2. Presentazione dei documenti: vedasi processo verbale
3. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
L’ordine del giorno reca la dichiarazione del Presidente della Commissione europea sullo stato dell’Unione. Come ricordate, ieri abbiamo discusso il problema della partecipazione ai dibattiti più importanti delle sedute plenarie del Parlamento. L’Ufficio di Presidenza, che ha analizzato ieri la questione, condivide l’opinione della Conferenza dei Presidenti in merito alla necessità di intensificare la partecipazione ai dibattiti principali. Abbiamo inoltre concluso che occorrono tempi più ampi, e che è necessario individuare le modalità più opportune per incrementare la partecipazione ai dibattiti più importanti. Facendo seguito alle consultazioni svoltesi ieri sera con i presidenti dei gruppi politici, desidero informarvi che in quest’occasione non verrà utilizzata la procedura per il controllo delle presenze. Desidero poi darvi il benvenuto in questo speciale dibattito che, ne siamo profondamente convinti, riveste un’immensa importanza per il futuro dell’Unione europea. Sono lieto di constatare che la partecipazione è folta, poiché ciò costituisce una degna cornice per la discussione. Per la prima volta, teniamo un dibattito sullo stato dell’Unione; si tratta di un grande passo in avanti verso il traguardo di una struttura parlamentare per l’Europa. Il trattato di Lisbona ci ha conferito poteri speciali, ma un maggior potere comporta maggior responsabilità; siamo difatti responsabili nei confronti dei 500 milioni di cittadini che ci hanno eletto. Una volta all’anno, discuteremo questioni come la situazione e lo stato attuali dell’Unione, le priorità politiche, economiche e sociali, le possibili modalità operative dell’Unione e i metodi decisionali che meglio potranno soddisfare le aspettative dei nostri cittadini. Tutto ciò fa parte del controllo democratico che esercitiamo sull’istituzione esecutiva dell’Unione europea: la Commissione europea.
Le relazioni in merito ci verranno presentate dal Presidente della Commissione. Desidero dare il benvenuto al Presidente Barroso, e insieme a lui a tutti i Commissari che lo hanno accompagnato e sono presenti in Aula. Sottolineo ancora una volta che il Parlamento europeo ha già compiuto un notevole sforzo per avvicinarsi ai cittadini e definire le possibilità di supervisione e controllo democratici sull’esecutivo. In luglio il Presidente Barroso ha presentato il suo manifesto programmatico, e nel settembre dell’anno scorso, prima di decidere di eleggerlo Presidente della Commissione, abbiamo tenuto colloqui con tutti i gruppi politici. Le commissioni del Parlamento europeo hanno pure tenuto audizioni con tutti i Commissari. Il Parlamento europeo ha stipulato un nuovo accordo quadro con la Commissione, e anche questo fatto contribuisce a garantire il funzionamento del metodo comunitario – metodo che il nostro Parlamento segue con grande convinzione. Infine, nel corso delle prossime settimane, verrà effettuata la presentazione del programma legislativo della Commissione per il 2011. Stiamo quindi svolgendo il compito che i cittadini europei ci hanno affidato.
Presidente Barroso, l’epoca in cui viviamo non è facile; è anzi densa di sfide. Confidiamo che la Commissione europea compirà il suo dovere e assolverà la sua funzione di custode dei trattati e fonte di iniziative e progetti legislativi nell’Unione. Attendiamo con interesse di ascoltare il parere suo e della Commissione sullo stato dell’Unione, sulle azioni che si possono intraprendere e sui molti problemi che nell’Unione europea attendono ancora una soluzione.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, è un grande onore pronunciare il primo discorso sullo stato dell’Unione di fronte a quest’Assemblea. D’ora in avanti, il discorso sullo stato dell’Unione costituirà l’occasione in cui programmare il nostro lavoro per i dodici mesi seguenti.
Molte delle decisioni che prenderemo durante il prossimo anno avranno implicazioni di lungo termine: daranno forma all’Europa che vogliamo; daranno forma a un’Europa in cui chi nutre aspirazioni può elevarsi e chi si trova in stato di bisogno non viene abbandonato. Un’Europa aperta al mondo e aperta ai propri cittadini; un’Europa che garantisce coesione economica, sociale e territoriale.
Nel corso dello scorso anno, la crisi economica e finanziaria ha posto l’Unione di fronte a una delle sfide più ardue di tutti i tempi. Ne è emersa la nostra interdipendenza e la nostra solidarietà è stata messa alla prova come mai era avvenuto in passato.
Se riconsidero la nostra reazione, sono convinto che abbiamo superato la prova. Abbiamo fornito molte delle risposte necessarie: in materia di assistenza finanziaria agli Stati membri che devono affrontare circostanze eccezionali, di governance economica e di regolamentazione finanziaria, di crescita e di occupazione. Siamo riusciti ad allestire un campo base da cui partire per modernizzare le nostre economie. L’Europa si è dimostrata capace di resistere e di farsi sentire, e coloro che profetizzavano la fine dell’Unione europea sono stati smentiti: le istituzioni europee e gli Stati membri hanno dato prova di leadership. Ecco il messaggio che voglio inviare a tutti i cittadini europei: potete confidare che l’Unione europea prenderà i provvedimenti necessari per garantire il vostro futuro.
Oggi le prospettive economiche dell’Unione europea sono più rosee di quanto fossero un anno fa, non da ultimo per effetto del nostro risoluto intervento. La ripresa si sta facendo più rapida, benché il suo ritmo non sia ancora uniforme in tutta l’Unione; la crescita quest’anno sarà più forte rispetto alle previsioni iniziali, e il tasso di disoccupazione – peraltro ancora troppo elevato – ha smesso di aumentare. È chiaro che rischi e incertezze non si sono ancora dissipati, tanto meno al di fuori dell’Unione europea.
Non dobbiamo farci illusioni: il nostro compito è tutt’altro che concluso, e non abbiamo motivo di crogiolarci nell’autocompiacimento. Il problema della disoccupazione rimane gravissimo. L’espansione del bilancio ha assolto la funzione di contrastare il declino dell’attività economica, ma ora è tempo di rompere gli indugi. In assenza di riforme strutturali, non riusciremo a creare una crescita sostenibile; dobbiamo sfruttare i prossimi dodici mesi per accelerare il calendario delle riforme. È giunto il momento di modernizzare la nostra economia sociale di mercato, per renderla più competitiva a livello globale e capace di raccogliere la sfida demografica. È giunto il momento di effettuare gli investimenti giusti per il nostro futuro.
Per l’Europa questo è il momento della verità: essa deve dimostrare di non essere formata solo da 27 diverse soluzioni nazionali. O nuotiamo insieme oppure affogheremo ognuno per proprio conto, ma riusciremo nell’impresa solo se – a livello nazionale, regionale e locale – sapremo pensare da europei.
Oggi definirò quelle che, a mio parere, sono le priorità su cui dovremo lavorare insieme nel corso del prossimo anno. In questa sede, non posso soffermarmi su ogni problema di politica europea o su tutte le iniziative che intraprenderemo. Tramite il Presidente Buzek, vi invierò un documento programmatico più completo.
Scorgo sostanzialmente cinque grandi sfide che l’Unione dovrà raccogliere nel corso del prossimo anno: il superamento della crisi economica e la governance; il rilancio della crescita, per creare occupazione, con un’accelerazione del programma di riforme Europa 2020; la formazione di uno spazio di sicurezza, libertà e giustizia; il varo di negoziati concernenti un bilancio moderno per l’Unione europea; e la necessità di far sentire il nostro peso sulla scena globale.
Vorrei iniziare dal tema della governance e della crisi economica. Già quest’anno, abbiamo agito con decisione allorché i paesi membri dell’area dell’euro e l’euro stesso hanno avuto bisogno del nostro aiuto.
Abbiamo imparato la lezione a caro prezzo; in materia di governance economica stiamo compiendo ora importanti progressi. In maggio e giugno la Commissione ha illustrato le proprie idee, che hanno ricevuto un’accoglienza favorevole da parte di quest’Assemblea e anche in seno alla task force guidata dal Presidente del Consiglio europeo; esse costituiscono la base su cui si sta aggregando un consenso. Presenteremo le proposte legislative più urgenti il 29 settembre, così da non perdere slancio.
I bilanci non sostenibili ci rendono vulnerabili. Debiti e deficit innescano cicli di crescita seguiti da crisi improvvise e lacerano la rete di sicurezza sociale; il denaro che si spende per il servizio del debito è denaro che non si può spendere né a vantaggio della società né per prepararci a sostenere i costi dell’invecchiamento della popolazione. Una generazione che si regge sul debito rende una nazione insostenibile. Le nostre proposte rafforzeranno il patto di stabilità e di crescita estendendo la sorveglianza e rendendo più rigorose le misure di applicazione.
Dobbiamo far fronte a gravi squilibri macroeconomici, soprattutto nell’area dell’euro. Proprio per questo abbiamo presentato subito proposte per individuare le bolle speculative, la mancanza di competitività e le altre cause di squilibri.
Constato che ora i governi sono disponibili ad accettare un monitoraggio più rigido, integrato da incentivi per il rispetto delle norme e da sanzioni più precoci. La Commissione potenzierà il proprio ruolo di arbitro indipendente e di organismo incaricato di applicare le nuove norme. Affiancheremo all’unione monetaria un’autentica unione economica.
Se verranno applicate conformemente alle nostre proposte, queste riforme garantiranno pure la stabilità a lungo termine dell’euro, che rappresenta la chiave del nostro successo economico.
La crescita dell’economia ha bisogno altresì di un forte e solido settore finanziario: un settore che sia al servizio dell’economia reale e che possa vantare una normativa e una vigilanza adeguate.
Ci siamo mobilitati per aumentare la trasparenza delle banche; rispetto a un anno fa, oggi la situazione è migliorata. Con la pubblicazione dei risultati dei test di stress, ora le banche dovrebbero essere in grado di concedersi reciprocamente prestiti, in modo da consentire il flusso del credito a vantaggio di cittadini e imprese d’Europa.
Abbiamo già proposto di tutelare i risparmi dei cittadini fino a 100 000 euro. Proporremo inoltre di vietare le operazioni di vendita allo scoperto “a nudo” e affronteremo il problema dei credit default swap: sono finiti i giorni in cui si poteva scommettere sulla possibilità che la casa del vicino andasse a fuoco. Continuiamo a insistere che deve toccare alle banche – non ai contribuenti – pagare per coprire i costi dei propri rischi di fallimento. Stiamo elaborando iniziative legislative per vietare i bonus per guadagni rapidi e immediati che rischiano di trasformarsi in pesanti perdite il giorno dopo. Nel quadro di quest’approccio sono anche favorevole alla tassazione delle attività finanziarie; presenteremo proposte in merito nel prossimo autunno.
La recente conclusione dell’accordo politico sul pacchetto di vigilanza finanziaria è davvero un’ottima notizia. Le proposte della Commissione, basate sulla relazione de Larosière, ci doteranno di un efficace sistema di vigilanza europeo. Desidero ringraziare il Parlamento per il ruolo costruttivo che ha svolto, e mi auguro che esso ci garantisca nel mese corrente il suo definitivo consenso.
Approfondiremo anche il tema della regolamentazione. Vi presenteremo presto iniziative in materia di derivati, ulteriori misure concernenti le agenzie di rating del credito e un quadro per la gestione delle crisi e la risoluzione delle insolvenze bancarie. Il nostro obiettivo è quello di giungere a una completa riforma del settore finanziario entro la fine del 2011.
Grazie alla solidità delle finanze governative e alla responsabilità dei mercati finanziari potremo contare sulla fiducia e sulla forza economica necessarie per una crescita sostenibile. Dobbiamo superare il dibattito che contrappone consolidamento fiscale e crescita: possiamo centrare contemporaneamente entrambi gli obiettivi.
Onorevoli deputati, la solidità delle finanze pubbliche è un mezzo per raggiungere un fine: una crescita che produca occupazione. Il nostro obiettivo è la crescita, una crescita sostenibile e inclusiva; è questa la nostra priorità fondamentale, ed è questo il settore in cui dobbiamo investire.
Europa 2020 comincia ora. Dobbiamo impegnarci e accelerare quelle riforme che, nell’ambito del nostro programma, sono maggiormente in grado di promuovere la crescita. In tal modo sarebbe possibile incrementare i livelli di crescita di più di un terzo entro il 2020.
A tale scopo occorre concentrarsi su tre priorità: estendere l’occupazione, stimolare la competitività delle nostre aziende e articolare maggiormente il mercato unico.
Permettetemi di iniziare dall’aspetto che lega popolazione e occupazione. Dal 2008 in poi, oltre 6,3 milioni di persone hanno perduto il lavoro. Ciascuna di esse deve avere l’opportunità di trovare un nuovo lavoro. In Europa, il tasso di occupazione per le persone tra i 20 e i 64 anni di età si attesta in media sul 69 per cento. Abbiamo convenuto sulla necessità di portarlo al 75 per cento entro il 2020, incrementando in particolare la partecipazione di donne e lavoratori anziani alla forza lavoro.
Le competenze in materia di politica occupazionale rimangono in gran parte agli Stati membri; lo sappiamo. Non per questo resteremo però spettatori passivi. Voglio un’Unione europea che aiuti i propri cittadini a cogliere le nuove opportunità e che si dimostri sociale e inclusiva. Ed è questa l’Europa che costruiremo se Stati membri, istituzioni europee e parti sociali porteranno avanti insieme il nostro programma comune di riforme.
Tale programma deve imperniarsi sulle competenze e l’occupazione e sugli investimenti nell’apprendimento permanente. Deve proporsi di liberare il potenziale di crescita del mercato unico, per costruire un mercato unico più robusto che crei occupazione.
Le opportunità esistono. Registriamo livelli di disoccupazione assai elevati, ma in Europa vi sono attualmente quattro milioni di posti di lavoro vacanti. Nel corso di quest’anno la Commissione proporrà un “Bollettino europeo delle offerte di lavoro” che indicherà ai cittadini dove siano disponibili posti di lavoro in Europa e quali competenze siano richieste. Presenteremo inoltre progetti per l’introduzione di un passaporto europeo delle competenze.
Dobbiamo inoltre affrontare i problemi della povertà e dell’esclusione. Dobbiamo scongiurare il pericolo che le persone più vulnerabili vengano abbandonate a se stesse; è questo l’obiettivo della nostra “Piattaforma contro la povertà”, che unificherà l’azione europea per i gruppi vulnerabili come i bambini e gli anziani.
Dal momento che una schiera sempre più folta di persone viaggia, studia o lavora all’estero, rafforzeremo anche i diritti dei cittadini che si spostano oltre frontiera. Già nel prossimo autunno la Commissione affronterà gli ostacoli persistenti.
La crescita deve fondarsi sulla competitività delle nostre aziende. Dobbiamo continuare ad agevolare l’attività delle piccole e medie imprese, che forniscono due terzi dei posti di lavoro del settore privato e devono confrontarsi essenzialmente con due problemi: l’innovazione e la burocrazia. Da parte nostra, lavoriamo su entrambi questi aspetti.
Proprio nell’imminenza dell’estate, la Commissione ha annunciato il più cospicuo pacchetto mai proposto finora, che rientra nel settimo programma quadro per la ricerca e ha un valore di 6,4 miliardi di euro. Questo denaro è destinato sia alle piccole e medie imprese che agli scienziati.
Investire nell’innovazione significa anche promuovere l’affermarsi, in Europa, di università che primeggino a livello mondiale. Voglio che esse attraggano gli intelletti migliori e più brillanti, sia dall’Europa che dal resto del mondo. Adotteremo un’iniziativa per modernizzare le università europee; voglio un’Europa forte nel campo della scienza, dell’istruzione e della cultura.
Dobbiamo migliorare le prestazioni dell’Europa in materia di innovazione, non solo nelle università ma in tutti gli anelli della catena, dalla ricerca al banco, in particolare per mezzo di partenariati per l’innovazione. Ci occorre un’Unione dell’innovazione: il mese prossimo, la Commissione definirà gli strumenti per raggiungere quest’obiettivo.
Un’altra prova cruciale sarà quella di verificare se gli Stati membri sono pronti a compiere un salto di qualità riguardo a un brevetto valido in tutta l’Unione europea. I nostri innovatori spesso pagano un prezzo dieci volte superiore a quello che devono sostenere i loro concorrenti negli Stati Uniti o in Giappone. La nostra proposta è già stata presentata: ridurrebbe i costi in maniera sostanziale e raddoppierebbe l’area di validità. Dopo decenni di discussioni, è giunto il momento di decidere.
Prenderemo poi ulteriori iniziative in materia di burocrazia: esistono grovigli normativi che soffocano le piccole e medie imprese. Il 71 per cento degli amministratori delegati afferma che il più arduo ostacolo per il successo delle imprese è la burocrazia. La Commissione ha presentato proposte che garantirebbero alle imprese europee risparmi annuali per 38 miliardi di euro.
Stimolare l’innovazione, sfrondare la burocrazia e formare una forza lavoro di elevata competenza: ecco i metodi per garantire all’industria manifatturiera europea una costante supremazia mondiale. Vogliamo che l’Europa possa vantare una base industriale robusta e allo stesso tempo moderna; per il nostro futuro, è di fondamentale importanza avere in Europa una base industriale fiorente. Il mese prossimo, la Commissione presenterà una nuova politica industriale per l’era della globalizzazione.
Disponiamo delle risorse umane e disponiamo delle imprese; ma le une e le altre hanno bisogno di un mercato unico aperto e moderno.
Il mercato interno è il vantaggio più importante di cui gode l’Europa, ma non lo stiamo sfruttando adeguatamente: è urgente svilupparlo in profondità. Solo l’8 per cento dei 20 milioni di piccole e medie imprese esistenti in Europa effettua scambi transfrontalieri, e per gli investimenti la percentuale è ancora inferiore. Anche in Internet, oltre un terzo dei consumatori non si fida di fare acquisti transfrontalieri. Su mia richiesta, Mario Monti ha preparato un’ottima relazione che individua 150 anelli mancanti e strozzature presenti nel mercato interno. Il mese prossimo definiremo le modalità per approfondire il mercato unico nel quadro di un vasto e ambizioso Atto per il mercato unico.
L’energia è un insostituibile elemento propulsore della crescita e una priorità essenziale per l’azione. Dobbiamo completare il mercato per l’energia, costruire e interconnettere le reti energetiche e garantire sicurezza e solidarietà nel campo dell’energia. Occorre fare per l’energia ciò che abbiamo già fatto per la telefonia mobile: offrire un’autentica possibilità di scelta ai consumatori nell’ambito di un mercato unico europeo. In tal modo avremo finalmente in Europa una vera comunità energetica.
Dobbiamo rendere le frontiere irrilevanti per le condutture o per i cavi per il trasporto dell’energia, dotarci di infrastrutture per l’energia solare ed eolica, e infine assicurare uno standard comune in tutta Europa, in modo che caricare le batterie delle automobili elettriche diventi un’operazione consueta come fare il pieno di benzina.
Nel corso del prossimo anno presenteremo un piano d’azione per l’energia, un pacchetto per le infrastrutture e un piano d’azione per l’efficienza energetica, così da poter tradurre in realtà questa visione. Prima della fine di quest’anno mi recherò di persona nella regione del Mar Caspio allo scopo di promuovere il corridoio meridionale quale strumento per migliorare la sicurezza dei nostri approvvigionamenti.
Per costruire un’Europa efficiente dal punto di vista delle risorse, dobbiamo però considerare questioni più ampie di quelle puramente energetiche. Durante il ventesimo secolo il mondo ha conosciuto una crescita fenomenale, basata sullo sfruttamento intensivo delle risorse: nel corso di quel secolo, su scala globale la popolazione è quadruplicata, e contemporaneamente la produzione è aumentata di 40 volte. Ma nello stesso periodo abbiamo aumentato di 16 volte il consumo di combustibili fossili, di 35 volte le catture nel settore della pesca e di 9 volte il consumo d’acqua; le emissioni di carbonio sono aumentate di 17 volte.
Questo significa che dobbiamo produrre un pacchetto clima-energia che fungerà da propulsore del cambiamento. Si tratta, in altre parole, di integrare le diverse politiche in materia di cambiamento climatico, energia, trasporti e ambiente in un approccio coerente all’efficienza energetica e a un futuro a basse emissioni di carbonio.
Un settore agricolo lungimirante svolgerà un ruolo di grande importanza nelle misure europee tese ad affrontare alcune delle più dure sfide che ci attendono, come la sicurezza alimentare globale, la perdita di biodiversità e la gestione sostenibile delle risorse naturali; lo stesso discorso vale per la nostra politica marittima.
Tutto questo non servirà solo a rafforzare la nostra economia in futuro, ma offrirà nuove aperture oggi stesso. Nelle ecoindustrie i posti di lavoro aumentano al ritmo del 7 per cento all’anno dal 2000. Entro il 2020 mi auguro di vedere tre milioni di “posti di lavoro verdi”, ossia tre milioni di colletti verdi che andranno ad aggiungersi ai colletti blu e ai colletti bianchi.
Ci occorre una crescita che sia sostenibile e insieme intelligente. Nel corso degli ultimi 15 anni, metà della crescita della produttività europea è stata il prodotto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; tale tendenza è destinata a intensificarsi. Entro il 2020 la nostra agenda digitale europea darà luogo a un mercato unico digitale il cui valore si può stimare al 4 per cento del prodotto interno lordo dell’Unione europea.
Signor Presidente, tutta la nostra azione è indirizzata a vantaggio dei cittadini d’Europa. Una dimensione fondamentale del nostro progetto europeo è la costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia; stiamo lavorando intensamente all’attuazione del piano d’azione di Stoccolma. Daremo un impulso concreto in materia di diritto d’asilo e migrazione.
Gli immigrati legali troveranno nell’Europa un luogo in cui i valori umani vengono rispettati e tradotti in pratica; allo stesso tempo, colpiremo con durezza lo sfruttamento degli immigrati clandestini, sia all’interno dell’Europa che ai nostri confini. La Commissione avanzerà nuove proposte per il controllo delle nostre frontiere esterne. Svilupperemo una strategia di sicurezza interna per affrontare le minacce della criminalità organizzata e del terrorismo.
Gli europei, dal canto loro, scopriranno che i loro diritti e doveri fondamentali continuano a valere, dovunque un cittadino si rechi. In Europa tutti devono rispettare la legge e i governi devono rispettare i diritti umani, compresi quelli delle minoranze. Il razzismo e la xenofobia non hanno cittadinanza in Europa.
(Applausi)
In campi così delicati, soprattutto quando sorge un problema concreto, tutti dobbiamo agire con grande senso di responsabilità. Esorto con forza a non risvegliare i fantasmi provenienti dal passato d’Europa. Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia creerà un ambiente in cui i cittadini europei potranno prosperare.
Onorevoli deputati, un’altra sfida ci attende il prossimo anno: dovremo sbrogliare la matassa del futuro bilancio dell’Unione europea. Il mese prossimo renderemo pubbliche le prime ipotesi della Commissione per la revisione del bilancio. Avvieremo un dibattito, privo di tabù, per preparare le nostre proposte legislative che saranno poi presentate nel secondo trimestre del prossimo anno.
È necessario spendere il nostro denaro là, dove esso darà miglior frutto; dovremo investirlo in quei settori in cui esso stimola la crescita. La qualità della spesa deve costituire per tutti noi il parametro di giudizio; è importante discutere non solo la quantità, ma anche la qualità della spesa e degli investimenti. A mio avviso l’Europa offre un reale valore aggiunto, e mi batterò per un ambizioso bilancio europeo per il periodo successivo al 2013.
Ritengo necessario mettere in comune i nostri mezzi, a sostegno delle priorità politiche che ci siamo dati. Non si tratta di spendere di più o di meno, ma piuttosto di spendere in maniera più intelligente, considerando i bilanci nazionali e quello europeo in un insieme organico. Il bilancio dell’Unione europea non serve a Bruxelles; serve invece ai cittadini che voi rappresentate: i lavoratori disoccupati che ottengono una riqualificazione grazie al Fondo sociale, gli studenti che partecipano al programma Erasmus, e le regioni che beneficiano del Fondo di coesione.
Le interconnessioni energetiche, la ricerca e gli aiuti allo sviluppo sono ovvi esempi dei casi in cui un euro speso a livello europeo frutta risultati migliori di un euro speso a livello nazionale. Come sapete, alcuni Stati membri scorgono tale logica anche in settori di fondamentale competenza nazionale, come la difesa; essi comprendono che la condivisione di alcuni strumenti e attività può consentire risparmi ingentissimi. Mettendo in comune il denaro a livello europeo, gli Stati membri possono tagliare i costi, evitare sovrapposizioni e rendere più remunerativi i propri investimenti.
Per tale motivo sarà anche opportuno esplorare nuove fonti di finanziamento per i grandi progetti infrastrutturali europei. Per esempio, intendo proporre il lancio di obbligazioni europee per il finanziamento di progetti, insieme alla Banca europea per gli investimenti.
(Applausi)
Inoltre, svilupperemo ulteriormente i partenariati pubblico-privato.
Come la vostra Assemblea ha chiaramente affermato, dobbiamo affrontare anche il problema delle risorse proprie. Il sistema attuale è giunto al limite di rottura, ed è appesantito da una bizantina congerie di correzioni; i nostri cittadini meritano un sistema più equo, più efficiente e più trasparente. Certo, alcuni non saranno d’accordo con tutte le idee che proponiamo; mi sembra comunque singolarissimo che qualcuno le stia già respingendo, prima ancora di conoscerle.
(Applausi)
So che la durata del prossimo bilancio è un argomento che sta molto a cuore a questo Parlamento; le opinioni in merito sono variegate. Da parte mia, penso a un quadro di dieci anni, con una revisione intermedia della dimensione finanziaria dopo cinque anni; definiamola pure opzione “cinque più cinque”. In tal modo avremo la possibilità di effettuare una pianificazione di più lungo periodo, e disporremo di un collegamento più chiaro con il mandato delle nostre due istituzioni.
Naturalmente, un bilancio europeo credibile deve prevedere una rigorosa politica di risparmi. Sto esaminando i costi amministrativi sostenuti dalla Commissione e da altri organismi comunitari, come per esempio le agenzie. Dobbiamo eliminare tutte le sacche d’inefficienza; per migliorare la gestione finanziaria faremo tesoro delle raccomandazioni della Corte dei Conti.
Onorevoli deputati, l’ultima sfida su cui vorrei soffermarmi quest’oggi riguarda il modo di far valere il nostro peso sulla scena mondiale. Quando ci occupiamo dei problemi di ogni giorno, perdiamo qualche volta il senso della prospettiva e scordiamo i risultati che l’Europa ha già ottenuto: una transizione positiva e pacifica verso un’Unione europea che ha raddoppiato le proprie dimensioni e sta negoziando ancora altre adesioni; una moneta solida – l’euro – che è una delle monete principali a livello mondiale; e un forte partenariato con i nostri vicini che ci rafforza tutti. Se agiremo con decisione, non abbiamo nulla da temere dal ventunesimo secolo.
Nel momento in cui vanno prendendo forma i partenariati strategici del ventunesimo secolo, l’Europa deve cogliere l’opportunità di definire il proprio futuro. Attendo con ansia il momento in cui l’Unione svolgerà nelle questioni globali un ruolo corrispondente al suo peso economico. I nostri partner ci osservano e si attendono che il nostro sia un impegno europeo, non solamente l’impegno di 27 singoli paesi. Se non agiremo insieme, l’Europa non costituirà una forza nel mondo e il resto del mondo procederà senza di noi: senza l’Unione europea ma anche senza i suoi Stati membri. Per tale motivo, nei miei orientamenti politici invito l’Europa a porsi come attore globale e leader globale: si tratta di un fondamentale compito e banco di prova per la nostra generazione.
Insieme all’Alto rappresentante e Vicepresidente signora Ashton, illustrerò la nostra concezione del modo in cui sarà possibile massimizzare il ruolo dell’Europa nel mondo. Grazie al Servizio europeo per l’azione esterna, disponiamo degli strumenti per tradurre in realtà le nostre aspirazioni.
In questo mondo globalizzato, sono i rapporti che intrecciamo con i partner strategici a determinare la nostra prosperità. Per agire con efficacia sulla scena internazionale, ci occorre il peso dell’Unione europea; oggi più che mai, le dimensioni sono importanti.
Un chiaro esempio ci è offerto dalla lotta contro il cambiamento climatico. Copenaghen ha dimostrato che, mentre le ambizioni altrui non corrispondevano alle nostre, noi ci siamo messi in difficoltà da soli perché non abbiamo parlato con una voce unica; i negoziati forse si sono bloccati, ma certo non si è bloccato il cambiamento climatico. Voglio che intensifichiamo l’azione nei confronti dei partner internazionali, per convincerli a passare dai comunicati stampa a impegni concreti per il taglio delle emissioni e l’erogazione di finanziamenti immediati.
Nei prossimi due mesi avranno luogo vertici cruciali con i partner strategici. Quanto più saremo in grado di fissare un’agenda comune, in cui l’interesse europeo sia chiaramente precisato, tanto maggiori saranno i risultati che otterremo. Sono convinto, per esempio, che lo sviluppo di un’agenda transatlantica per la crescita e l’occupazione rechi con sé un potenziale vastissimo.
L’ambito in cui stiamo già facendo valere il nostro peso è quello del G20, il luogo in cui i principali attori economici mondiali affrontano le sfide comuni. A novembre, il Presidente Van Rompuy e io ci recheremo a Seul per rappresentare l’Unione europea, fermamente intenzionati a cogliere risultati concreti: ulteriori progressi nel coordinamento economico globale, maggiore stabilità e responsabilità dei mercati finanziari e un accordo sulla riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, maggiore efficacia delle reti globali di sicurezza finanziaria e infine ulteriori progressi sull’agenda di sviluppo del G20. In questa sede continueremo a dare prova di leadership, e l’anno prossimo collaboreremo strettamente con la Presidenza francese del G8/G20.
Ci auguriamo inoltre di veder crescere il sostegno al Doha Round; gli scambi stimolano la crescita e la prosperità. Perseguiremo inoltre la conclusione di accordi di libero scambio a livello bilaterale e regionale. In ottobre la Commissione presenterà una politica commerciale rinnovata che procuri nuovi vantaggi all’Europa.
Aprirsi al mondo significa pure porsi al fianco dei paesi in via di sviluppo, e soprattutto dell’Africa. Fra due settimane mi recherò a New York per l’evento ad alto livello degli obiettivi di sviluppo del Millennio, e in quell’occasione – con il vostro consenso e a nome dell’Unione europea – intendo impegnare un miliardo di euro supplementare a favore degli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Porsi quale attore globale significa pure difendere i nostri valori. I diritti umani non sono negoziabili; mi sconvolgono le violazioni dei diritti delle donne, perpetrate in molti paesi. Rimango sgomento nell’apprendere che Sakineh Mohammadi-Ashtiani è stata condannata a morte per lapidazione. Siamo di fronte a un episodio di indescrivibile barbarie.
(Applausi)
In Europa condanniamo azioni di tal fatta, che non trovano giustificazione di sorta in alcun codice religioso o morale.
I nostri valori ci impongono pure di soccorrere coloro che si trovano di fronte a una situazione di crisi, in qualunque parte del mondo. Gli aiuti umanitari che abbiamo inviato in Pakistan costituiscono l’ultimo esempio della solidarietà europea in azione. Si tratta di un chiarissimo esempio della necessità di presentare i differenti contributi, offerti dalla Commissione e dagli Stati membri, nella forma di un vero e proprio pacchetto di aiuti europeo. Gli Stati membri hanno gli elicotteri e le squadre della protezione civile; ora occorre metterli in comune per creare un’autentica capacità europea di risposta alla crisi. Questo sarà per l’appunto il contenuto della proposta che la Commissione formulerà in ottobre. Esorto gli Stati membri a dimostrare la loro seria volontà di permettere all’Unione di far valere il proprio peso in questo campo.
In materia di politica estera comune stiamo compiendo progressi, ma non dobbiamo farci illusioni. Senza una politica di difesa comune, non potremo esercitare sulla scena mondiale quel peso che pure ci è necessario; a mio avviso è giunto il momento di raccogliere questa sfida.
(Applausi)
Onorevoli deputati, stiamo ancora precisando la nuova articolazione istituzionale dell’Europa creata dal trattato di Lisbona. Ciò che conta veramente sono i vantaggi che le istituzioni offrono ai cittadini; ciò che conta è il salto di qualità che l’Europa comporta per la vita quotidiana.
Il segreto del successo dell’Europa sta nel suo modello comunitario, che non conosce paragoni. Oggi più che mai, la Commissione deve guidare l’agenda politica, offrendo una visione complessiva e una serie di proposte. Ho caldeggiato la formazione di un rapporto speciale tra Commissione e Parlamento, le due istituzioni comunitarie par excellence. Intendo intensificare la mia cooperazione politica con voi.
L’Europa non è solo Bruxelles o Strasburgo: è formata anche dalle nostre regioni, dalle città e dai villaggi da cui voi stessi provenite. Quando percorrete i vostri collegi elettorali, potete indicare i progetti europei che sono così importanti per la loro prosperità.
In ultima analisi siamo tutti nella stessa barca: istituzioni europee, Stati membri e regioni. L’Unione non raggiungerà i propri obiettivi in Europa senza gli Stati membri, e d’altra parte gli Stati membri non raggiungeranno i propri obiettivi nel mondo senza l’Unione europea.
I cittadini d’Europa si attendono che noi prendiamo le iniziative necessarie per uscire da questa crisi. Dobbiamo dimostrare loro che i nostri sforzi comuni di oggi produrranno nuova occupazione, nuovi investimenti e un’Europa adatta al futuro.
Confido che l’Europa avrà le caratteristiche necessarie; otterremo i risultati che ci prefiggiamo. Una cosa è certa: non vinceremo questa battaglia con il pessimismo e una ostinata preparazione della sconfitta; vinceremo invece con la fiducia e con una forte volontà comune.
Oggi ho illustrato in che modo, a mio parere, l’Unione europea potrà riuscire in tale impresa. Mi sono impegnato a realizzare le proposte riguardanti la costruzione della nostra unione economica. Ho esposto la necessità di accelerare l’agenda delle riforme. Ho spiegato come modernizzare la nostra economia sociale di mercato per produrre crescita e occupazione nel quadro di un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva per mezzo delle nostre iniziative faro di Europa 2020. Ho indicato come realizzare una politica energetica comune in Europa. Ho sottolineato la necessità di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nel cui ambito gli europei potranno constatare che diritti e doveri fondamentali continuano a valere, dovunque un cittadino si rechi. Ho affermato chiaramente che la Commissione si batterà per un bilancio ambizioso. Ho proposto di lanciare obbligazioni europee per il finanziamento dei grandi progetti europei. Ho annunciato il rafforzamento del nostro impegno a favore degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Ho esposto chiaramente i motivi per cui ci occorrono una capacità comune di risposta alle crisi, una politica estera comune e una politica comune di difesa. Ho esortato i leader europei ad agire insieme, se desiderano che l’Europa sia un attore globale e se vogliono difendere gli interessi europei.
Si tratta di un programma ambizioso, che propone sfide e impone trasformazioni: per il successo dell’Europa la Commissione ha bisogno del vostro sostegno, in vista di un’Europa più forte e più equa, a vantaggio dei nostri cittadini.
(Applausi)
Presidente . – Presidente Barroso, la ringrazio per averci illustrato lo stato dell’Unione.
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, Presidente Barroso, signori Presidenti del Consiglio, onorevoli colleghi, questa mattina i presidenti di gruppi parlamentari e istituzioni sono felici, e lei ha dimostrato che potete partecipare senza danni: questa è proprio democrazia. Vi ringrazio tutti.
(Applausi)
Qual è lo stato dell’Unione europea? Quali sono stati i nostri successi comuni negli anni più recenti, e dove e come abbiamo fallito? Quali sono i nostri progetti? Quali strumenti politici, e soprattutto quali mezzi finanziari metteremo a disposizione per attuare tali progetti?
Signor Presidente, questo dibattito giunge graditissimo, e da parte mia sono lieto che il Parlamento e la Commissione, le due istituzioni comunitarie che rappresentano e difendono l’interesse generale, partecipino stamani a quest’esercizio, che il gruppo del Partito popolare europeo (democratico cristiano) auspica sia rivolto al futuro.
Gli europei talvolta – anzi, piuttosto spesso – si chiedono che cosa faccia veramente l’Europa per rispondere ai loro problemi e alle loro attese. Allo stesso tempo, come tutti i sondaggi d’opinione segnalano da anni, essi chiedono non meno Europa, ma anzi più Europa.
Più Europa in tema di migrazione: la questione dei rom, che esige una strategia europea di lungo periodo, illustra perfettamente il problema del rispetto della persona.
Più Europa per rappresentarli nel mondo. In che modo, per esempio, possiamo giustificare la nostra assenza dai negoziati tra Israele e Palestina, quando siamo i principali donatori in quella regione?
(Applausi)
Gli europei non lo comprendono, e non hanno torto. I nostri concittadini sanno anche molto bene che occorre più Europa – non meno Europa – per tutelare la nostra sicurezza, che si tratti di sicurezza personale, energetica o alimentare. Essi sanno che l’Europa ha bisogno di un coordinamento migliore per creare crescita e occupazione – come lei ha così efficacemente dimostrato – per regolamentare i mercati e scongiurare nuovi attacchi speculativi. Essi comprendono anche che ci occorre più Europa per ridurre le disuguaglianze e rafforzare il nostro modello sociale europeo, la nostra economia sociale di mercato.
Abbiamo quindi bisogno di più Europa, non per interferire nei dettagli della vita quotidiana ma per affrontare insieme le nostre sfide comuni, con efficienza assai maggiore e – punto su cui tornerò – in maniera più proficua e meno costosa.
Come dicevo, i nostri concittadini si chiedono perché l’Europa non sia più efficiente e organizzata, e perché non sia maggiormente ascoltata sulla scena mondiale. A ragione, essi si attendono che gli sforzi economici e finanziari che sono stati chiesti loro si rivelino proficui e servano a farci uscire tutti dalle difficoltà.
Abbiamo bisogno di più governance europea. Spetta a noi – Parlamento e Commissione – lavorare a tale scopo, convincere gli Stati membri a collaborare e a investire insieme. Non si tratta di attaccare la sovranità o il prestigio degli Stati membri; al contrario, è questo l’unico modo serio ed efficace di costruire un futuro per i 500 milioni di cittadini europei e per le prossime generazioni.
Chiedo quindi alla Commissione – a lei, Presidente Barroso, ma anche a ciascuno degli altri Commissari – di prendere un maggior numero di iniziative per proporre le misure e le riforme necessarie a migliorare il funzionamento dell’Europa, e per spiegare questi progetti ai nostri concittadini.
Insieme al mio gruppo, spero che il Parlamento sostenga questi sforzi ricorrendo alle sue nuove prerogative di colegislatore con il Consiglio. Non è unicamente una questione di potere, è una questione di comprensione, ed è una questione che dobbiamo discutere per far progredire l’Europa.
Signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, dobbiamo certo essere ambiziosi, ma contemporaneamente dobbiamo riconsiderare il cammino percorso. A mio parere, in merito a parecchi importanti problemi l’Europa non ha motivo di vergognarsi per il suo operato degli ultimi mesi. È stata l’Europa a prendere l’iniziativa per riformare i mercati finanziari dopo la crisi di Wall Street nell’autunno 2009. È stata l’Europa, dopo aver subito attacchi speculativi senza precedenti in primavera, a prendere iniziative, anch’esse senza precedenti, per rafforzare e stabilizzare la propria economia. I primi effetti di tale politica si sono già fatti sentire, ma dobbiamo spingerci ancor più in là.
L’Europa ha svolto un ruolo pionieristico anche nella lotta contro il riscaldamento globale. Occorre ammetterlo: la Conferenza di Copenaghen ha lasciato in bocca un gusto amaro. Le nostre ambizioni rimangono immutate e il tetto ora è stato fissato definitivamente; possiamo esserne orgogliosi.
Come dovremo agire nell’arco dei prossimi mesi e anni per consolidare la nostra azione, per rafforzare la fiducia dei nostri concittadini nella nostra azione comune? Suggerisco tre metodi.
Il primo è quello di rafforzare la nostra economia, di ridurre le disuguaglianze grazie a una serie di misure che incoraggeranno il ritorno degli investimenti, la fiducia degli imprenditori e la possibilità di sviluppare nuove fonti creative di ricchezza e occupazione. Signori Commissari, signor Presidente, dobbiamo far sì che le regole, come lei ha detto, possano scavalcare le frontiere. Nel ventunesimo secolo è inaccettabile il permanere di norme draconiane prive ormai di qualsiasi contatto con la realtà europea.
Il secondo suggerimento è quello di considerare con maggiore serietà la nostra politica esterna comune per diventare – come lei ha più volte ribadito – un attore più rispettato a livello mondiale. Non possiamo più accontentarci di ripetere che l’Europa è complessa, che c’è bisogno di tempo e che occorre avere pazienza. Non possiamo più accontentarci di essere il maggior donatore globale senza poter garantire che gli aiuti da noi inviati arrivino a destinazione insieme agli elicotteri del Primo ministro Putin e del Presidente Obama. Anche in questo campo, mi sembra, occorre serietà.
L’Europa è una delle grandi potenze globali, e la sua massima priorità, a mio avviso, dev’essere quella di intrattenere rapporti su un piede di parità con i partner più importanti, e in particolare con gli Stati Uniti. L’ho già affermato in questa sede, discutendo di relazioni transatlantiche.
Stamani, però, voglio anche sottolineare quanto sia importante per l’Europa allacciare relazioni strategiche e mirate non solo con la Russia, ma anche con la Cina, l’India e il Brasile. Auspico che, da questo punto di vista, il Servizio europeo per l’azione esterna divenga uno strumento efficace, così da assicurarci un risparmio nei vari Stati membri, quando tale strumento entri in funzione.
Il terzo metodo per garantire che la struttura europea sia all’altezza delle sfide che ci attendono riguarda l’elemento più importante di tutti: il denaro. So bene che dobbiamo ancora discutere approfonditamente questo punto. Pensiamo tutti di continuare a investire separatamente nell’innovazione e nella ricerca? Nell’istruzione e nella formazione? Nella sicurezza e nella difesa? Nella politica energetica?
Mentre Stati Uniti, Cina e India riescono a portare avanti la ricerca fondamentale o applicata, collocandosi sui mercati di domani, noi intendiamo forse continuare a lamentare che gli europei esitano a mettere in comune le risorse per realizzare economie di scala e compiere un salto di qualità in termini di efficienza? In questo momento stiamo costringendo i nostri ricercatori ad abbandonare l’Europa. È assolutamente essenziale convincerli a tornare in Europa e a rimanerci.
Ecco, Presidente Barroso, le questioni reali che noi, Parlamento e Commissione, dobbiamo porre nelle discussioni sui negoziati per il finanziamento dei progetti europei del periodo 2014-2020. Sono questi i problemi su cui i nostri concittadini si interrogano, e per i quali attendono risposte serie.
Per l’Europa è giunto ormai il momento di disporre di risorse proprie. Queste parole non devono spaventarci, né la questione di una tassa europea deve costituire un tabù. Non si tratta di introdurre una nuova tassa che vada ad aggiungersi alle tasse nazionali; al contrario, si tratta di realizzare economie di scala e di far sì che, nel complesso, i fondi pubblici vengano spesi in maniera più razionale; in ultima analisi, ciò ridurrebbe gli oneri che gravano sulle famiglie e sulle imprese.
Presidente Barroso, onorevoli colleghi, la dimensione europea e internazionale è un fatto chiarissimo per le nuove generazioni, che da noi non si attendono discorsi prolissi, bensì soluzioni per i loro problemi e una prospettiva per il futuro. Il nostro obiettivo principale dev’essere quello di garantire istruzione e formazione ai giovani tra i 15 e i 25 anni di età. Stabilizzare le finanze pubbliche e investire nell’innovazione, aprire nuove strade che consentano ai giovani di sfruttare il proprio talento in Europa, e non necessariamente in altri paesi: ecco le priorità che devono guidare la nostra azione e sulla base delle quali i nostri concittadini ci giudicheranno.
Signor Presidente, signori Commissari, voi dovete presentarci delle proposte, e a questo punto ripeterò le parole di un uomo che tutti conoscete, Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. Per far progredire l’Europa, per i nostri concittadini, per il gruppo PPE, saremo al vostro fianco se presenterete proposte valide.
Dal momento che mi resta qualche secondo, aggiungerò un altro suggerimento: iniziate subito con le provocazioni, fate proposte lungimiranti e da parte nostra cercheremo di presentare proposte altrettanto valide, insieme, a vantaggio dei cittadini europei.
(Applausi)
Martin Schulz, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo punto dell’ordine del giorno è intitolato “Dichiarazione del Presidente della Commissione europea sullo stato dell’Unione”. Oggi abbiamo udito esporre un programma di lavoro ambizioso e impegnativo, ma abbiamo sentito ben poco in fatto di analisi dello stato concreto dell’Unione. Qual è dunque oggi lo stato dell’Unione? Non è soddisfacente, e sarebbe stato opportuno che lei, nella sua analisi, avesse cercato di individuare le cause di questa insoddisfacente condizione.
Lo stato dell’Unione non è soddisfacente anche perché lei e la sua Commissione, Presidente Barroso, non state svolgendo adeguatamente i compiti essenziali che vi sono assegnati dai trattati. Durante la crisi, spesso mi sono chiesto “Dov’è la Commissione?”; quando poi mi rivolgo a lei, lei mi risponde: “Certo, ho rilasciato una dichiarazione su questo punto e poi ho emesso un comunicato stampa su quello, mentre il Commissario Šefčovič ha parlato di questo e il Commissario Reding di quest’altro!” Vado a leggere ed è proprio vero, la Commissione ha effettivamente rilasciato una dichiarazione. Allora devo chiedermi: perché il messaggio non passa? Perché l’opinione pubblica non ascolta? È un’analisi dello stato dell’Unione! Ma durante il suo mandato lei ha fatto concessioni per troppo tempo, soprattutto dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, a quel governo che sta prendendo piede in Europa, come una specie di direttorio in seno al Consiglio, sotto la guida di Francia e Germania.
(Applausi)
Il suo compito è quello di difendere il metodo comunitario. Molte delle osservazioni che lei ha fatto nel corso del suo intervento sono corrette, e lei può contare sul sostegno di tre quarti di quest’Assemblea: così stanno le cose. Se però lei introduce il tema delle risorse proprie, tre quarti dei membri del Consiglio insorgeranno contro di lei. Attendo ora con interesse di vedere se lei alle parole farà seguire i fatti e inizierà la lotta contro l’intergovernativizzazione dell’Unione europea.
(Applausi)
Le farò un esempio. Sono d’accordo con lei: l’Europa avrà successo solo se difendiamo i nostri valori elementari, e in Europa tra i valori elementari figura il rifiuto del razzismo e della xenofobia; su questo siamo tutti d’accordo. Ma tra i valori elementari figura anche il fatto che un governo, sottoposto a pressioni politiche interne, non deve cercare di ricorrere alla facile soluzione di una caccia alle streghe contro le minoranze. Possiamo fare i nomi: alludo al governo di Nicolas Sarkozy, François Fillon e Brice Hortefeux. Avrei gradito che lei indicasse esplicitamente i nomi, perché questo sarebbe stato il segnale che lei, Presidente Barroso, ha veramente iniziato la lotta.
(Applausi e proteste)
In primo luogo, i valori fondamentali dell’Unione europea – e parecchie delle considerazioni da lei svolte a questo proposito sono valide – comprendono la giustizia sociale. Ora, che ne è della giustizia sociale nella nostra Unione? Lei ci ha illustrato la drammatica crescita della disoccupazione in Europa. Il lievitare della disoccupazione innescherà un processo di impoverimento di massa e produrrà uno scenario di rischio per i cittadini. Un numero sempre maggiore di persone – compresi coloro che hanno ancora un lavoro – è attanagliato dalla paura: paura di perdere il lavoro e la stabilità sociale, paura per il futuro. È un quadro che va illustrato con qualche cifra: da un lato abbiamo un crescente numero di persone dal reddito milionario – il cui numero aumenta ogni anno di alcune migliaia – e dall’altro milioni di persone ridotte in povertà. Questa frattura sociale costituisce la minaccia più grave che incombe oggi sulla democrazia in Europa.
(Applausi)
In agosto, il Guardian ha pubblicato statistiche da cui risulta che l’anno scorso HSBC, Barclays Bank e Royal Bank of Scotland hanno realizzato profitti per oltre 20 miliardi di euro, 9 miliardi dei quali sono stati accantonati come bonus per i dirigenti di quelle banche. E ciò avviene nel momento stesso in cui, in Europa, i governi dell’Unione europea tagliano le pensioni. Attendo che lei ci presenti proposte per sanare questa frattura sociale.
(Applausi)
Le dirò quindi che è necessario introdurre la tassa sulle transazioni finanziarie. Dobbiamo coinvolgere le banche, e soprattutto il settore speculativo, nelle conseguenze della crisi economica. Presidente Barroso, abbiamo concluso un accordo interistituzionale per cui qualora il Parlamento – con una maggioranza legislativa – inviti la Commissione a presentare una proposta di direttiva corrispondente, lei ha accettato di aderire a tale invito. Può avere la sicurezza che il gruppo dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici al Parlamento europeo presenterà una richiesta in tal senso; ci attendiamo che lei prenda poi un’iniziativa adeguata.
Il Commissario Šemeta ha dichiarato che una tassa sulle transazioni finanziarie non è necessaria, e quindi non vedrà la luce. Lei invece afferma: “Voglio la tassa sulle transazioni finanziarie”; e noi dichiariamo allora che sosterremo il Presidente Barroso contro il Commissario Šemeta; la richiesta arriverà. Se lei non agirà nel senso concordato, utilizzeremo lo strumento dell’iniziativa dei cittadini. Può crederci! Poi condurremo le persone che ho ricordato a manifestare nelle piazze, fino a quando gli speculatori non avranno offerto il loro contributo per mettere in ordine le finanze europee.
(Applausi)
L’Europa ha bisogno pure di istruzione, qualifiche e opportunità di ascesa sociale. Nella nostra Unione, chi nasce povero non deve rimanere confinato nel ghetto in cui vive; ci devono essere opportunità di ascesa sociale. E per quanto riguarda tali opportunità, è importante che l’Unione europea faccia la sua parte contribuendo all’istruzione, alla qualificazione e alle pari opportunità, soprattutto per i giovani. Penso quindi che lei abbia ragione: questi ministri delle Finanze europei privi di ispirazione che – costretti a tagliare i bilanci a causa del debito eccessivo dei propri paesi – vanno invocando tagli anche per il bilancio dell’Unione europea, commettono un grave errore. L’Unione non deve riequilibrare un deficit eccessivo; deve invece, con i propri investimenti, utilizzare la politica regionale, la politica sociale, la ricerca, la qualificazione e gli investimenti in misure di stimolo per la crescita, allo scopo di sanare lo squilibrio sociale e mettere l’Unione europea in grado di agire in questo senso. A tal fine è necessario che l’Unione europea disponga di un bilancio robusto. Lei oggi ci ha esposto le stesse osservazioni, e in questo campo ha il nostro sostegno. Dimostri quindi la sua opposizione ai ministri Lagarde e Schäuble e ai ministri delle finanze degli altri paesi! Se per questo ha bisogno di aiuto, Presidente Barroso, non esiti a chiamarci; verremo subito a soccorrerla.
(Applausi)
Giustizia sociale significa anche che non dobbiamo lasciare alla prossima generazione un continente in cui non valga più la pena di vivere. Lei quindi ha ragione: per una questione di giustizia sociale, abbiamo bisogno anche di una nuova politica industriale sostenibile che armonizzi gli interessi dell’ambiente e quelli dell’economia. È questo l’approccio corretto.
Sono ansioso di vedere se lei riuscirà a scongiurare il ripetersi del disastroso fiasco di Copenaghen, cioè di una situazione in cui, come abbiamo dovuto constatare, l’Unione europea non è stata capace di negoziare. Lo ribadisco, non è stata colpa della Commissione; la responsabilità è invece dei 27 governi, che non sono stati assolutamente capaci di trovare un accordo a livello internazionale
(Applausi)
Ciò dimostra che, nella situazione odierna, si sono formate due opposte scuole di pensiero: una propugna il metodo intergovernativo, l’altra quello comunitario. Dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, si tratta ora di vedere se l’Europa di Lisbona è un’Europa dei capi di Stato e di governo, che discutono a porte chiuse le soluzioni che sembrano loro più adeguate per l’intero continente. Lo abbiamo constatato in occasione della crisi greca; il documento finale è stato negoziato da due sole persone, il cancelliere signora Merkel e il Presidente Sarkozy, il cui atteggiamento è stato il seguente: Presidente Van Rompuy, aspetti fuori e lasci fare a noi! Non so se le voci che abbiamo udito a questo proposito corrispondono a verità, ma non sembrano affatto inverosimili. Quest’Europa può essere l’Europa del metodo intergovernativo, o al contrario può essere l’Europa del metodo comunitario: l’Europa del metodo comunitario è quella della Commissione e del Parlamento europeo che lavorano insieme.
Giudico incompleta la sua analisi; le prospettive che lei ha aperto e gli annunci che ci ha fatto sono invece, a mio avviso, validi e adeguati. Fra un anno, quando ascolteremo la prossima relazione sullo stato dell’Unione, la giudicheremo in base a ciò che lei ha annunciato oggi e a ciò che sarà riuscito a conquistare per allora. Il suo intervento odierno è stato un discorso insieme liberal-conservatore, verde, radical-socialista; qualcosa per tutti.
(Proteste)
Dunque, lei può raccogliere il sostegno di tutti. Se si batterà contro le insidie del metodo intergovernativo e difenderà attivamente l’approccio comunitario, potrà contare su di noi. In caso contrario, la chiameremo a rispondere in occasione della prossima relazione sullo stato dell’Unione.
(Applausi)
Presidente . – Onorevole Schulz, la ringrazio per il suo intervento.
Ora parlerà l’onorevole Verhofstadt, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa.
Onorevole Verhofstadt, se ho ben compreso lei non intende dividere il suo intervento in due parti, ma chiede solo di prolungare lievemente una parte del suo intervento. È esatto?
Guy Verhofstadt, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, un dibattito sullo stato dell’Unione implica in primo luogo una riflessione sul passato per trarne gli opportuni insegnamenti, e poi una proiezione verso il futuro. Se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo ammettere che per l’Unione l’anno passato è stato estremamente difficile.
È stato un anno difficile perché abbiamo dovuto affrontare gravi problemi, ma l’unità per risolverli è mancata quasi del tutto. La Grecia si è trovata sull’orlo del crollo, l’euro ha subito attacchi continui per mesi di seguito, e i governi europei hanno impiegato parecchi mesi per concordare un piano di salvataggio a favore di uno Stato membro e della nostra valuta comune. Non mi sorprende quindi – e penso non sorprenda neppure altri colleghi – che la fiducia dell’opinione pubblica nell’Europa sia bruscamente diminuita.
È un dato che emerge dall’ultimo Eurobarometro, il quale indica che meno di metà dei nostri cittadini ritiene positiva l’appartenenza del proprio paese all’Unione. L’anno scorso la fiducia nelle nostre istituzioni è scesa al 42 per cento: è questo lo stato dell’Unione. Si tratta di un dato allarmante, ma allo stesso tempo – dobbiamo ammetterlo – niente affatto sorprendente. Il Parlamento ha spesso esortato i leader europei a sbloccare lo stallo che paralizza l’Europa, a progredire, abbandonare il protezionismo e il nazionalismo ed elaborare finalmente soluzioni europee.
Del resto, è proprio quello che vogliono i cittadini europei; infatti, se si esamina lo stesso Eurobarometro, si può rilevare che una percentuale non inferiore all’86 per cento dell’opinione pubblica è favorevole a una governance economica europea. Questi cittadini sono convinti che solo l’Unione possa offrire soluzioni alla crisi economica e finanziaria; oggi, però, essi non vedono profilarsi tali soluzioni, e da questo deriva la loro delusione nei confronti dell’Unione.
So che quest’anno è stato difficile anche per la Commissione, perché in effetti è stato un anno ridotto a metà. Tanto ci è voluto perché le nostre capitali comprendessero che era entrato in vigore un nuovo trattato con un nuovo metodo di lavoro, per non parlare del nuovo equilibrio di poteri che governa ora l’Unione. Possiamo quindi dire che il secondo mandato del Presidente della Commissione comincia oggi.
Questo secondo mandato esige una nuova visione e nuove risposte. In ogni caso è giunto il momento di ingranare una marcia più alta e di realizzare subito riforme importanti. A parere del nostro gruppo occorrono essenzialmente sette riforme grandi e importanti.
In primo luogo, è necessario completare la nostra risposta alla crisi finanziaria. Abbiamo già messo a punto provvedimenti legislativi sui requisiti patrimoniali e sui bonus. Abbiamo anche il test di stress, e la settimana scorsa abbiamo raggiunto un accordo sulla vigilanza finanziaria, che è valido anche perché la guida del sistema spetta al Presidente della Banca centrale europea, e ciò garantisce un approccio europeo alla sorveglianza.
Questo tuttavia non significa che abbiamo già raggiunto la meta. Tutt’altro, devo dire: non siamo neppure a metà strada. Attendiamo ancora che la Commissione presenti urgenti proposte sui derivati, sulle vendite allo scoperto, sulle agenzie di rating del credito, sulla risoluzione delle insolvenze bancarie, sugli abusi di mercato, sulle contrattazioni e sugli strumenti finanziari.
Il secondo grande compito che ci attende riguarda la necessità di un’autentica governance economica europea. L’anno scorso abbiamo avuto la prova che una valuta comune senza una politica economica comune è semplicemente priva di senso; è una situazione insensata, e peggio ancora, pericolosa. Non possiamo permetterci di formare un’Unione e allo stesso tempo avere 27 strategie economiche differenti, come avviene oggi.
(Applausi)
È chiarissimo che se desideriamo portare al successo il patto di stabilità e di crescita e la nuova strategia economica, dobbiamo rigorosamente applicare l’approccio del bastone e della carota, con il corredo di sanzioni adeguate.
A mio parere – e, ritengo, anche a parere della maggioranza di quest’Assemblea – è cosa positiva che il Consiglio stia pensando di collegare questo tema all’idea di una task force, ma ciò non può sostituire il diritto d’iniziativa della Commissione né il dovere della Commissione di presentare al più presto una proposta legislativa globale sulla governance economica.
(Applausi)
Mi rallegro che lei abbia annunciato l’intenzione di presentare tale proposta il 29 settembre; ciò che poi accadrà in seno al Consiglio non è importante. È suo compito e suo dovere presentare questa proposta il 29 settembre.
Giungo in tal modo alla mia terza priorità: il mercato unico. Su questo tema abbiamo l’eccellente relazione di Mario Monti, e il nostro messaggio è semplicissimo: dobbiamo agire sulla base di questa relazione. È inconcepibile, per esempio, che oggi siano ancora necessarie più di 40 ore per spostarsi in treno dai paesi dell’Europa centrale e orientale a Bruxelles, Parigi o Amsterdam. Come possono quei popoli sentirsi collegati all’Unione europea? Come possono quei mercati integrarsi pienamente? Dobbiamo dunque investire nelle reti transeuropee.
La quarta priorità importante, e forse il più importante messaggio odierno, riguarda il bilancio e il nuovo quadro finanziario. Cerchiamo di essere molto chiari su questo punto: l’obiettivo di alcuni governi nazionali, che vorrebbero ridurre il bilancio del 20 o 30 per cento, è ridicolo, nel momento in cui sono necessarie soluzioni più europee.
(Applausi)
Comprendo bene che, di fronte a deficit fiscali enormi, essi desiderino tagliare i propri contributi diretti all’Unione; si tratta di una reazione normale e spontanea. Proprio per questo proponiamo di sostituire tali contributi nazionali con risorse proprie europee.
Giungo così alla quinta priorità: la nostra credibilità nel mondo. Abbiamo il Servizio per l’azione esterna, ma quello che ci serve ora e che abbiamo chiesto alla Vicepresidente della Commissione signora Ashton (per inciso, sarebbe stato meglio se ella oggi fosse stata presente), è lo sviluppo di una nuova strategia per l’Unione. La nostra strategia per l’azione esterna si basa ancora su un documento stilato da Javier Solana nel 2003; ma dal 2003 in poi il mondo è cambiato, e il nostro quadro strategico andrebbe a sua volta adattato e modernizzato.
Queste considerazioni mi portano al tema del cambiamento climatico. A Copenaghen abbiamo perduto la nostra leadership, e per riuscire a svolgere un ruolo decisivo a Cancún dobbiamo a tutti i costi riconquistare tale leadership. Per riconquistare la nostra leadership, una cosa è assolutamente necessaria: parlare con una sola voce e promuovere una sola visione, non 27 come abbiamo fatto a Copenaghen.
(FR) Infine, signor Presidente, onorevoli colleghi, devo confessare il mio sconcerto rispetto a quella che è sostanzialmente – se mi consentite il termine – la raison d'être della nostra Unione, ossia la protezione delle libertà civili e dei diritti umani; al di fuori dell’Unione, naturalmente, ma – cosa ancor più importante – anche all’interno dell’Unione stessa.
Devo quindi dichiarare, con la massima solennità, che quanto sta accadendo in Francia è, a mio parere, inaccettabile.
(Applausi)
Purtroppo, però, non si tratta di un caso isolato. Come molti di voi, anch’io devo notare che oggi parecchi governi, di fronte alla crisi economica, cedono sempre di più alla tentazione, per così dire, del populismo, della xenofobia e talvolta persino del razzismo.
(Applausi)
Essi sfruttano così le preoccupazioni dei cittadini e la paura dell’altro; scagliano i loro pregiudizi contro le minoranze; non esito a dire che, in tema di migrazione, utilizzano metodi discutibili per confondere i problemi. Affermo con forza che giudico tale atteggiamento incompatibile con i principi e i valori che rendono la nostra Unione una delle idee politiche più grandi e più belle che mai lo spirito e il cuore dell’uomo abbiano dato alla luce.
(Applausi)
Signor Presidente, voglio affermarlo con grande forza: i rom sono cittadini europei, cittadini a pieno titolo.
(Applausi)
Non possiamo assolutamente tollerare che i loro diritti vengano violati, in un mondo travagliato da smarrimenti di ogni genere. Sono convinto che la nostra Europa debba rimanere un continente di libertà, tolleranza e giustizia. Signor Presidente, la Commissione, custode dei trattati, deve reagire con intransigenza. Non è solo suo diritto; è suo dovere istituzionale.
(Applausi)
Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, seguirò l’esempio dell’onorevole Verhofstadt: utilizzerò subito tutto il mio tempo di parola.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che gli onorevoli Schulz e Verhofstadt abbiano colto la difficoltà fondamentale della nostra situazione, e deploro che lei non abbia avuto la lucidità o la sincerità necessarie per indicarla chiaramente.
Da quando è entrato in vigore il trattato di Lisbona, infuria una battaglia sull’interpretazione del trattato stesso. Sospetto che moltissimi governi non lo abbiano letto, e solo dopo la sua introduzione si siano resi conto che il trattato di Lisbona è in realtà un mezzo e uno strumento per rendere comunitarie le politiche europee. In tutte le discussioni, l’epicentro della battaglia – lo abbiamo constatato sia in materia di servizi esterni, sia per quanto riguarda la regolamentazione finanziaria – rimane lo stesso. Come già si è ricordato, il problema è il seguente: ci stiamo avviando verso un’Europa intergovernativa, oppure verso un rafforzamento delle basi comunitarie dell’Europa? L’odierna situazione dell’Unione è precisamente questa.
Il mio sogno è che la Commissione rilasci una dichiarazione pubblica. In questo momento nelle istituzioni europee si combatte una battaglia politica che verte sull’interpretazione del trattato di Lisbona, e questo incide concretamente sulle politiche europee. È necessario che i cittadini europei sappiano quali sono le nostre conoscenze e le nostre opinioni nell’ambito dei dibattiti interistituzionali; ma su questo tema, Presidente Barroso, lei ha taciuto.
Giungo in tal modo al secondo punto del mio intervento. Questa Commissione, nelle sue dichiarazioni generali, si erge a paladina dell’Europa, e tali dichiarazioni sono effettivamente mirabili. Quando però si tratta di puntare il dito, cioè di descrivere una situazione che riguarda uno Stato membro, di indicare esplicitamente una persona o un governo, lei si distingue per il suo ostinato mutismo; non esiste. Posso fare un lungo elenco di esempi.
Torniamo ora alla Grecia. Come tutto sanno, lei stava perdendo il controllo della situazione di quel paese; in realtà, lei la conosceva già due o tre anni prima della crisi, e nei suoi archivi si accumulavano le relazioni in merito. Non c’è stata alcuna dichiarazione ufficiale; lei è andato in chiesa a pregare, sperando che le sue preghiere avrebbero risolto i problemi della Grecia. Così però non è stato; in seguito, lei ha sostenuto – e anche noi abbiamo sostenuto a maggioranza – l’applicazione di pesantissime pressioni sulla Grecia e sul popolo greco, che da parte sua ha commesso esattamente gli stessi errori delle élite di quel paese.
In questo momento però, Presidente Barroso, mentre esercitiamo tali pressioni sul popolo greco per risolvere il problema, non l’ho sentita ricordare il fatto che ora, in agosto, si sono svolti negoziati fra il governo greco e le grandi aziende francesi e tedesche del settore degli armamenti, per continuare la vendita alla Grecia di armi prodotte da aziende europee.
(Applausi)
Siamo completamente impazziti tutti quanti, come ho detto tre o quattro volte, ma quando ci decideremo ad agire? Sapete quanto denaro ha speso la Grecia in armamenti durante gli ultimi dieci anni? Qual è la cifra? 50 miliardi di euro in dieci anni! Presidente Barroso, lei lo sapeva! Uno dei problemi di questi paesi è precisamente tale struttura, che è collegata a un problema europeo di nazionalismo e al contrasto, o al dibattito, che oppone Grecia e Turchia.
Dove sono le iniziative della Commissione e dell’Europa per un intervento che, grazie all’integrazione della Turchia, ponga fine a questo contrasto ridicolo per cui il popolo greco spende miliardi in modo assolutamente inutile; infatti la Grecia non fa che ricomprare armi che Francia e Germania non utilizzano per le proprie forze armate. Veramente geniale! Ecco il mio esempio, Presidente Barroso, del non intervento della sua Commissione.
Posso ricordarle un secondo esempio, che ci è stato offerto dall’onorevole Verhofstadt. La vicenda che oggi coinvolge i rom mette alla prova la credibilità della Carta dei diritti fondamentali, che fa parte del trattato di Lisbona. Per esprimermi in maniera filosofica e morale, citerò Albert Camus: “Democrazia significa difendere le minoranze, non semplicemente eseguire la volontà delle maggioranze”.
(Applausi)
Forse la Commissione aspetta? Ha una relazione nei propri archivi? Lo dica pubblicamente: l’iniziativa della Francia viola i trattati europei. Dirlo e farlo sapere è semplicissimo.
(Applausi)
Le farò un altro esempio di ciò che lei non dice: lei ha parlato di economia, disoccupazione e crescita, ma non ha detto una parola sui cambiamenti che è necessario apportare alla natura della crescita. Non ha detto che la catastrofe ecologica e il cambiamento climatico ci hanno obbligato a reinterpretare il nostro concetto di crescita; non una parola su tutto questo.
Non ha parlato di Cancún; tre mesi ci separano da Cancún. Non ha detto una parola sul fatto che, se vogliamo essere credibili in fatto di cambiamento climatico, dobbiamo tornare a un obiettivo del 30 per cento per la riduzione delle emissioni di CO2 e dobbiamo porci all’avanguardia nel dibattito sul cambiamento climatico. Su tutto questo, signor Presidente, lei si distingue per il suo ostinato mutismo.
Di conseguenza, vorrei dire che lei è il Presidente assente di un’Europa che ha bisogno di un Presidente. È questo il nostro problema, ed è questa la situazione dell’Unione.
Per concludere, vorrei darle un consiglio; lei ha parlato di investimenti europei. Guardi pure l’ora, ho ancora tre minuti; so che è irritante, ma così è la vita. Come dicevo, vorrei darle un consiglio: prenda le cose sul serio. Il 40 per cento della produzione di CO2 in Europa deriva dagli edifici; utilizzi le risorse europee per creare un fondo energetico europeo, e offra alle città europee l’opportunità di ammodernare gli edifici di tutta Europa istituendo nel nostro continente un fondo europeo Keynes, dal momento che gli Stati nazionali non ne sono capaci.
(Applausi)
È questo, essenzialmente, il mio messaggio. In Europa ferve un vasto dibattito sull’opportunità di effettuare investimenti pubblici. Ecco l’invito che le rivolgo, Presidente Barroso: porti Keynes a Bruxelles. Oggi gli investimenti pubblici devono essere investimenti europei, aventi per obiettivo la trasformazione ecologica della nostra economia. Lo comprende, Presidente Barroso? In caso affermativo, mi auguro che, nel prossimo dibattito sull’Europa, lei dimostri di aver capito che non siamo più negli anni Settanta, e che oggi invece dobbiamo affrontare una crisi finanziaria e ambientale.
Per concludere, le segnalo un dato su cui dobbiamo riflettere tutti: le perdite causate dalla crisi stanno toccando i 50 000 miliardi di euro. Questa cifra equivale a cinque secoli di investimenti pubblici per gli aiuti allo sviluppo, e basterebbe per costruire 10 miliardi di scuole nei paesi africani. Ecco la situazione in cui si trova oggi il mondo, Presidente Barroso.
(Applausi)
Michał Tomasz Kamiński, a nome del gruppo ECR. – (PL) Inizierò comunicando al Presidente Barroso una buona notizia, per la quale egli meriterebbe addirittura le nostre congratulazioni. La sua apparizione odierna vale più dei biglietti per il prossimo concerto di Sting a Praga, che costano meno di 150 euro. Passo ora a una storiella popolare assai nota in Polonia: il protagonista, Presidente Barroso, è un tale che si arrampica su un albero e comincia a segare il ramo su cui è seduto. Un passante lo osserva e gli dice: “Guarda che se seghi quel ramo, cascherai”. Poi il passante se ne va, il ramo si rompe e il protagonista della storia precipita a terra; si rialza, guarda il passante che si allontana e brontola: “Chi diavolo è? Un profeta?”
Onorevoli colleghi, i conservatori europei, anche prima della formazione del nostro gruppo politico, erano paragonabili al passante che ammonisce il tale seduto sul ramo della burocrazia: “Guarda che stai segando il ramo su cui sei seduto”. Nel suo discorso di oggi intravedo la possibilità che si smetta una buona volta di segare il ramo. Lei ci ha esposto numerose idee, sicuramente meritevoli di sostegno, e a mio avviso strutturate in maniera tale da risultare gradite a tutti i gruppi di questo Parlamento. Dobbiamo però concordare con l’onorevole Schulz: si tratta di un progetto per il futuro, ma non abbiamo sentito – e a questo proposito non mi congratulo affatto con lei – un’analisi della situazione odierna dell’Unione. Perché le prestazioni dell’Unione sono quelle che sono? Perché mai l’Unione non è apprezzata da un numero così vasto di cittadini, e non corrisponde alle loro aspettative? Tocchiamo qui un punto importante. È assai positivo che lei si sia concentrato sullo sviluppo economico, sulla necessità di tale sviluppo in Europa e sulla necessità di creare occupazione. Anch’io sono convinto che la disoccupazione costituisca oggi uno dei più gravi problemi dell’economia europea. Dobbiamo però essere onesti: non è possibile preoccuparsi da un lato per la sorte dei disoccupati e il calo dell’occupazione in Europa, e dall’altro proporre soluzioni economiche che conducono automaticamente a esportare posti di lavoro dall’Europa verso altri continenti. Tra questi due elementi c’è un nesso inscindibile; non possiamo proclamare da un lato di voler incrementare il livello di occupazione in Europa, e dall’altro imporre nuovi oneri e infliggere una nuova sentenza di morte, firmata dalla burocrazia, alle imprese e all’economia europea. Questa tendenza va bloccata. Il suo discorso, Presidente Barroso, dimostra a mio avviso che le sue riflessioni si muovono nella direzione giusta. Lei ha ribadito che l’Europa deve parlare nel mondo con una voce sola; è un concetto che in quest’Aula risuona assai di frequente, ma in realtà non è difficile constatare che i diversi governi europei adottano approcci completamente differenti a settori essenziali della politica estera. Tale circostanza non si può ignorare; come potrà l’Europa parlare con una voce sola sulla scena globale, se i diversi governi europei parlano con voci differenti? Onorevoli colleghi, non illudiamoci: la situazione sarà questa. Riuniti in quest’Aula, potete anche chiudere gli occhi e fingere che quei 27 governi non esistano, ma esistono eccome; sono eletti dai cittadini dell’Unione europea, e noi difendiamo il diritto di quei governi a rappresentare i propri cittadini nell’arena dell’Unione. Desideriamo che in Europa si instauri un equilibrio tra la sfera comunitaria e la sfera nazionale, e per questo intendiamo difendere l’idea dello Stato-nazione, naturalmente nel contesto dell’Unione europea. Nello svolgere tali considerazioni voglio però precisare che concordo con tutti gli interventi pronunciati in ques’Aula; lo affermo ora con profonda convinzione. Non possiamo accettare situazioni in cui questo o quel governo europeo cercano, per scopi interni, di incendiare quella che, in Europa, è la tradizionale polveriera del nazionalismo e dello sciovinismo. È una tendenza inaccettabile, che però si registra in molti paesi europei. Quest’anno, nei paesi limitrofi alla Polonia si sono già verificati tentativi di strumentalizzare politicamente questioni relative alle minoranze. Uno dei maggiori successi dell’Unione europea sta nel fatto che l’Europa ha formato uno spazio di democrazia e tolleranza in cui da sessant’anni non si combattono più guerre. Non esito a riconoscerlo, anche se non sono un sostenitore entusiasta dell’Unione: è senza dubbio un risultato apprezzabile, che è necessario mantenere. Aggiungo che, per quanto riguarda i risultati che offriamo ai cittadini dell’Unione, dobbiamo dimostrarci più aperti e credibili. Il problema più grave della nostra Comunità sta nel fatto che le nostre dichiarazioni sono una cosa, mentre i fatti e l’operato che i cittadini possono osservare sono ben differenti. Io credo nell’Europa e tutti noi, conservatori europei, crediamo nell’Unione. Siamo però sostenitori dell’Unione nelle sua diversità; non crediamo in un nuovo Stato unitario destinato a fondersi in un’unica nazione. Questo progetto non passerà; i cittadini d’Europa sanno che si può essere buoni polacchi, buoni europei o buoni tedeschi e vivere insieme, rispettandosi e collaborando alla costruzione di un futuro comune. Signor Presidente, spero che lei abbia successo; ma il metodo migliore per rimettere a posto le cose non è certo quello di ripetere i vecchi errori. Voglio dirle con estrema chiarezza che, a mio parere, l’Europa non deve cercare di risolvere i problemi di oggi ripetendo gli errori del passato. Nel suo discorso odierno vedo profilarsi un’Europa in cui l’economia sia più libera e l’integrazione più stretta: alludo al mercato comune. Sono lieto che l’idea dell’Atto per il mercato unico sia scaturita dal nostro Parlamento, dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori; l’idea deriva dalla relazione Monti, elaborata in seno alla commissione presieduta dal collega onorevole Herber, e ne andiamo fieri. È questo il modo a nostro giudizio più opportuno per potenziare il mercato; vogliamo un mercato comune e più libertà per l’economia.
Lothar Bisky, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, Presidente Barroso, lei ci ha fornito una notevole sintesi dei compiti che abbiamo di fronte nei vari settori politici. Ha però dovuto ammettere, al pari di tutti noi del resto, che la fiducia dei cittadini europei sta venendo meno. L’onorevole Verhofstadt ha attirato la nostra attenzione su questo fenomeno, e quindi da parte mia non analizzerò la questione in maniera più dettagliata; esistono già studi attendibili.
I cittadini hanno visto pacchetti di salvataggio e di ripresa economica per miliardi di euro riversarsi sulle cosiddette banche rilevanti per il sistema, e hanno osservato in tutti paesi il debito nazionale raggiungere dimensioni pericolose. Ora essi si chiedono chi siano i responsabili di tutto questo, in particolare nel momento in cui i cittadini devono subire le misure di austerità adottate dagli Stati membri, nonostante il miglioramento delle prospettive economiche. Tali misure di austerità provocheranno l’aumento dei prezzi dei servizi pubblici, tagli alle prestazioni sociali, tagli all’istruzione, tagli ai salari, il prolungarsi della vita lavorativa in un contesto di occupazione precaria e pensioni incerte.
La protesta si allarga al di là degli Stati colpiti dalla crisi. Oggi scioperano i sindacati francesi, e il 29 settembre in molte città d’Europa verranno proclamati nuovi scioperi contro le politiche di austerità degli Stati membri. Ai cittadini era stato promesso che il trattato di Lisbona avrebbe reso l’Unione europea più sociale e più democratica. Ora l’Unione – Commissione e Parlamento compresi – perderebbe credibilità se si limitasse a proclamare che i responsabili delle misure di austerità sono gli Stati membri. Per esempio, efficaci riforme del mercato finanziario, come un divieto che colpisca i fondi hedge o le speculazioni sulle materie prime e i derivati alimentari, oppure una tassa sulle transazioni finanziarie, ma anche l’abbandono dell’ideologia della flessicurezza, rientrano ora senza il minimo dubbio tra le responsabilità dell’Unione europea. È questo un tema sul quale, nel corso dei prossimi mesi, dovremo impegnarci tutti.
Nell’Unione, la situazione dei vari settori della popolazione è assai differenziata e presenta numerose incoerenze. Nelle società degli Stati membri le fratture sociali si sono ancora una volta pericolosamente aggravate. Nell’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale, un’ingentissima somma di denaro, pari a miliardi di euro, è stata destinata a salvare le banche o a fungere per esse da riserva di sicurezza; non è andata a chi versa in situazioni di reale bisogno sociale, né è stata utilizzata nel settore dell’istruzione.
Nessuno vuole mettere in dubbio o sminuire i successi dell’Unione europea; ma cercare di dissimulare le palesi incoerenze dell’Unione non serve a nessuno. Anch’io desidero concludere il mio intervento con alcune osservazioni sulla vicenda dei rom in Francia. L’Unione europea, a mio avviso, può vantare una tradizione positiva; ma chi vuole combattere le inquietudini sociali a spese di una minoranza sociale, usando per di più mezzi poco corretti, abusa dei propri poteri politici. Desidero affermarlo con chiarezza: strumentalizzare le inquietudini sociali è assolutamente inaccettabile per una Comunità che considera sempre irrinunciabile la difesa dei valori morali e dei diritti umani universali. Valori morali e diritti umani che valgono per francesi, polacchi, britannici, spagnoli o tedeschi nell’Unione europea, e allo stesso modo per i sinti e i rom che vivono in Europa.
(Applausi)
Nigel Farage, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, non basta certo questa grande occasione, il discorso del Presidente Barroso sullo stato dell’Unione, per equipararlo al Presidente Obama. C’è infatti una differenza fondamentale tra voi, Presidente Barroso: il Presidente Obama è stato eletto, lei no. Quarantotto milioni di persone hanno assistito al discorso del Presidente Obama, mentre qui, nel Parlamento europeo, dobbiamo scongiurare i deputati di ascoltarla.
Lei ha ignorato del tutto lo stato dell’Unione. Ci ha comunicato le sue impressioni sulla situazione attuale, e ha indicato la strada da seguire. Ma Eurobarometro, l’organizzazione che svolge i sondaggi per la Commissione, ci ha detto la verità. Ha rivelato infatti che negli ultimi sei mesi si è registrato un sensibile calo di fiducia tra la gente anche per quanto riguarda la pura e semplice appartenenza all’Unione: un calo del 10 per cento in Germania; un calo del 17 per cento in Grecia, e un calo del 9 per cento in Portogallo. Meno della metà dei cittadini europei è convinta che valga la pena di far parte dell’Unione.
Ancora più illuminante è il fatto che negli ultimi sei mesi in Portogallo, il suo paese, è aumentato il numero delle persone – una su quattro – che hanno perso completamente la fiducia nelle istituzioni dell’Unione europea. Presidente Barroso, questa non è certo una prova del suo successo né una dimostrazione di fiducia, eppure molti oggi sembrano soddisfatti di se stessi.
Non siate troppo soddisfatti, perché i cittadini hanno scoperto da soli la verità sullo stato dell’Unione, che è sempre più odiata e disprezzata. Eppure qualcuno cerca di spiegare questa situazione proclamando che i cittadini vorrebbero più Europa! Secondo l’onorevole Verhofstadt, i cittadini chiedono più politiche comuni. Ma come è ampiamente dimostrato, è vero il contrario.
(Mormorii dall’Aula)
Questo è davvero interessante, Signor Presidente! Se sono io a interrompere, vengo minacciato di sanzioni. Ma non importa.
(Applausi dal gruppo EFD)
È stato dimostrato che all’aumentare delle politiche comuni, diminuisce il gradimento dei cittadini, i quali sono pienamente consapevoli del disastro provocato dalla politica comune della pesca; e ugualmente consapevoli delle sperequazioni generate dalla politica agricola comune; delle occasioni perdute a causa della politica commerciale comune. Ma ora arriva la più grossa: la valuta comune, il maldestro tentativo politico di costringere i cittadini a entrare a far parte dell’unione monetaria senza chiedere il loro parere. È evidente che questa valuta non è adatta alla Germania, né alla Grecia. Si finisce così per restare intrappolati in una prigione economica. Si può fingere che la crisi sia ormai passata, ma non è così, perché gli spread delle obbligazioni hanno raggiunto l’8 per cento per le obbligazioni a 5 e a 10 anni.
Onorevole Schulz, rida pure, ma lei non capisce niente dei mercati finanziari e del loro funzionamento. E nel suo paese, perché sempre più spesso spetta ai contribuenti tedeschi pagare il conto?
Questa forma di governo non funziona, eppure oggi ci è stato detto che avremo una politica comune di difesa e una politica estera comune.
L’altro motivo con cui si spiegano i risultati di questi sondaggi è che i cittadini non vi rispettano perché, pur di far passare il trattato di Lisbona, avete imbrogliato. Ci era stato detto che avrebbe semplificato ogni cosa, e che sarebbe stata garantita un’assoluta trasparenza. Ma non è così. Chi è responsabile di questa Unione europea? Lei forse, Presidente Barroso? O il mio vecchio amico, il Presidente del Consiglio Van Rompuy? O forse la Presidenza belga? Questa è buona! Non riuscite a formare un governo nel vostro paese, eppure avete la Presidenza dell’Unione europea! Da qualunque punto di vista, siamo di fronte a un ridicolo buco nell’acqua.
L’Unione europea non aveva mai esercitato tanto potere, né era mai stata così impopolare. E non contento dei 2,4 miliardi di euro all’anno che vengono spesi per la propaganda dell’UE, lei vuole aumentare il bilancio del 6 per cento, e a quanto ci risulta disporrà personalmente di una troupe televisiva che la seguirà ovunque, nonché di nuovi addetti stampa e nuovi amministratori del sito web. Presidente Barroso, lei non sta affatto analizzando i problemi dell’Unione, lei semplicemente non è in grado di capirli.
(Applausi dal gruppo EFD)
Andreas Mölzer (NI) . – (DE) Signor Presidente, forse anche a me sarà concesso di riunire i due tempi di parola cui ho diritto; potrò così parlare per tre minuti.
Molti cittadini in tutta Europa ritengono che il progetto europeo – stiamo discutendo dello stato dell’Unione – sia a rischio, sotto quattro punti di vista. La prosperità e la sicurezza sociale dell’Europa sembrano in pericolo, come risulta evidente sia dalla crisi finanziaria e dagli aiuti – forse inutili – forniti alla Grecia, sia dalla crescente disoccupazione di massa e dalle ondate di immigrati che si riversano sui nostri sistemi sociali. Sotto questo aspetto, l’immagine dell’Unione è quella di un gigante d’argilla incapace di controllare i mercati finanziari e di elaborare criteri adeguati.
In secondo luogo, vi è la diffusa sensazione che le libertà civili siano in pericolo. Non si può parlare di una vera democrazia diretta nell’Unione europea; in occasione del primo referendum irlandese o dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi, i risultati della democrazia diretta sono stati ignorati in maniera addirittura sprezzante. L’accordo SWIFT sottoscritto con gli Stati Uniti, per esempio, prevede la possibilità di memorizzare i dati, e questo dà la sensazione di essere costantemente spiati. Nell’Unione si va sempre più diffondendo una regolamentazione prodotta da un sistema paternalistico, così che i cittadini hanno l’impressione di assistere alla graduale riduzione della propria libertà personale. Anche la libertà di pensiero e di parola è soggetta a minacce crescenti con il pretesto di salvaguardare la correttezza politica; basti pensare al dibattito suscitato in Germania dalle dichiarazioni di Thilo Sarrazin.
In terzo luogo, molti ritengono che la diversità culturale e l’identità nazionale delle popolazioni europee siano a rischio, a causa dell’assimilazione culturale e della globalizzazione spirituale che in futuro faranno sentire i propri effetti, insieme ovviamente all’islamificazione e all’abuso del diritto di asilo. Probabilmente l’identità nazionale dei popoli europei è in grave pericolo.
In quarto luogo, in tutto il mondo il rispetto per l’Europa sta gradualmente scemando. La politica estera europea è ormai diventata uno zimbello. È stato ricordato l’esempio dei negoziati per il Medio Oriente, a cui l’Europa non ha partecipato benché sia uno dei principali donatori. Il ruolo svolto dall’Europa è scarsamente riconosciuto nel mondo e, in effetti, essa non occupa una posizione importante né per la sua politica estera né nell’ambito della politica globale.
L’attuale fase di sviluppo dell’Unione europea vede, al suo interno, un sistema che i cittadini trovano sempre più rigido e oppressivo, e che non tiene conto del regionalismo, delle diversità culturali o di fattori simili, ma mostra tutta la propria debolezza al mondo esterno. Rigida e irreggimentata con i propri cittadini, caratterizzata da una gestione burocratica e accentratrice, l’Europa si mostra debole all’esterno, non ha un proprio ruolo nella politica mondiale e non è capace di tutelare gli interessi europei a livello mondiale.
Questo è lo stato dell’Unione: un’Unione che non è più capace di salvaguardare gli interessi delle popolazioni e dei cittadini europei.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, ho ascoltato con estremo interesse e con molta attenzione, cercando di capire quali fossero, essenzialmente, le questioni fondamentali.
Mi sembra evidente, se non altro, che la maggioranza di questo Parlamento vuole più Europa, un più ampio ricorso al metodo comunitario e maggiori ambizioni. Le proposte della Commissione, d’altro canto, non sono state oggetto di critiche specifiche.
Alcuni hanno detto che avrebbero preferito un intervento che analizzasse la situazione attuale. Ma invece di commentare il passato e il presente, preferisco costruire il futuro. Mi sembra infatti che la cosa più importante non sia commentare – lascio questo compito ai commentatori, che peraltro rispetto molto – ma avanzare alcune proposte; questo è il nostro ruolo, il ruolo della Commissione. E credo che il mio intervento sullo stato dell’Unione riguardi anche lo stato a cui vogliamo condurre l’Unione con i nostri sforzi congiunti. Ed è questo che vi ho presentato oggi, insieme a proposte concrete e ambiziose.
Ma non voglio dare l’impressione di evitare le vostre domande. È vero: l’Europa si trova a un punto di svolta. È vero: abbiamo un nuovo trattato. Ed è ugualmente vero che alcuni, a livello nazionale, offrono un’interpretazione puramente intergovernativa di queste istituzioni.
Abbiamo già definito con chiarezza la nostra visione e, come ho detto nel mio intervento, sono favorevole al metodo e allo spirito comunitario. Ma il modo migliore per applicare tale metodo non è quello di lasciarsi coinvolgere in discussioni interminabili sulle istituzioni e ancor meno quello di ingaggiare conflitti istituzionali che non desidero e ai quali non ho intenzione di prendere parte. La cosa migliore è che la Commissione adempia il proprio ruolo di iniziativa presentando proposte sostanziali, audaci e di buon livello e che voi – come avete già fatto – possiate collaborare con noi in questo spirito. È su questo punto che abbiamo avanzato le nostre proposte; ed è su questo punto, credo, che potremo davvero mettere alla prova il nostro impegno per un’Europa più forte.
Alcuni hanno presentato i risultati di sondaggi in cui si è valutato il sostegno alle istituzioni europee e la fiducia riposta in loro. Esistono certamente alcune difficoltà, gravi difficoltà, a cui dobbiamo rispondere. Ma se aveste fatto un’analisi più esaustiva, avreste notato che se talvolta la fiducia nelle istituzioni europee rappresenta un problema, esiste un problema assai più grave: la fiducia accordata ai politici nazionali e ai governi nazionali, una questione che, in realtà, nessuno ha ricordato.
Dal punto di vista economico e sociale ci troviamo in un momento estremamente difficile, in cui tutti devono dare prova di responsabilità. Sappiamo bene che, nei momenti di difficoltà economica, l’opinione pubblica tende a non fidarsi delle istituzioni politiche, né a livello nazionale, né a livello europeo. Credo che il modo migliore per rispondere a tali inquietudini sia quello di produrre risultati e presentare proposte.
Fondamentalmente credo che siamo tutti d’accordo – almeno la maggioranza europeista del Parlamento europeo. Siamo favorevoli a consolidare la regolamentazione finanziaria. Abbiamo affermato con decisione che non siamo disposti a rinunciare al diritto d’iniziativa della Commissione. Auspichiamo quindi che anche le banche e le istituzioni finanziarie contribuiscano a risolvere il problema di cui sono in parte responsabili; ed è per questo che siamo favorevoli alla tassazione delle attività finanziarie. Ci auguriamo di ricevere proposte per stimolare la crescita in Europa, perché è in questo senso che intendiamo lavorare.
Alcuni di voi hanno menzionato un problema che, tra l’altro, sarà discusso questo pomeriggio nella seduta del Parlamento: la questione dei rom. Non intendo entrare nei dettagli del problema adesso, dal momento che se ne discuterà nel pomeriggio. Mi limiterò a dire che la Commissione se ne occupa da molto tempo.
All’inizio dell’anno abbiamo anche partecipato all’organizzazione di una riunione ministeriale sulla questione dei rom, riunione a cui erano presenti soltanto due o tre ministri per l’intera Europa. La Vicepresidente Reding rappresentava la Commissione. Disponiamo di importanti programmi di sostegno per favorire l’integrazione dei rom. Abbiamo intrapreso un dialogo serio e costruttivo con tutti i governi europei, sia i governi dei paesi d’origine dei rom, sia i governi dei paesi nei quali attualmente si registra una sensibile presenza dei rom.
Credo di potervi chiedere, in tutta sincerità, di non sottoporre questo problema a speculazioni politiche. Si tratta di una questione assai grave e delicata. Come europei, non offriremo certo un contributo utile polarizzando la discussione su una questione così delicata.
Come si è detto – io stesso l’ho affermato con estrema chiarezza –, la posizione di principio della Commissione e dell’Unione europea è il rifiuto di ogni forma di discriminazione, che riteniamo inaccettabile. Ma dovendo rispondere alle domande poste in alcuni dei nostri paesi, dobbiamo dire altresì che esistono diritti e doveri per tutti i nostri cittadini. Ed è necessario sottolineare l’importanza di un rapporto equilibrato tra libertà, in particolare libertà di circolazione, e sicurezza.
Se non rispetteremo questo equilibrio, correremo il rischio che la questione sia strumentalizzata da forze estremiste che potranno sfruttare in modo populista il sentimento di insicurezza diffuso in molte delle nostre società. Diamo quindi una risposta seria e responsabile, evitando sempre la manipolazione politica di una questione estremamente grave e delicata. La Commissione assumerà una posizione responsabile.
Ecco perché credo che ci aspetti un lavoro formidabile. Se con la critica che alcuni mi hanno rivolto si intendeva dire che io cerco il consenso tra le principali forze politiche europee, allora la accetto volentieri. In effetti, la Commissione deve rappresentare l’interesse generale europeo, e dobbiamo cercare di rappresentare questo stesso interesse generale tentando di ottenere il contributo di diverse forze politiche europeiste. È proprio quello che stiamo facendo.
Si è parlato di bilancio, e ho ascoltato i vostri interventi. Mi sembra che la maggior parte di voi desideri un bilancio ambizioso per l’Europa. Onorevoli deputati, credo che su questo punto sia necessario fare chiarezza: la Commissione sta per presentare un bilancio ambizioso ma non ci possiamo limitare a discuterne in quest’Aula, è necessario conquistare la fiducia dell’opinione pubblica europea. Chiedo quindi il vostro aiuto e il vostro sostegno per discuterne nei nostri paesi, e per spiegare alle forze politiche che formano i governi nelle nostre capitali il motivo per cui, come ha giustamente affermato l’onorevole Daul, gli euro che spendiamo a livello europeo rappresentano spesso un risparmio rispetto agli euro che potremmo spendere a livello nazionale.
È una battaglia con l’opinione pubblica che dobbiamo vincere attraverso un dibattito democratico nei nostri paesi. Ed è per questo che chiedo il vostro aiuto, affinché questo dibattito possa tenersi, con le forze politiche che voi rappresentate, non soltanto a Strasburgo o a Bruxelles ma anche nelle varie capitali europee, perché dobbiamo raggiungere un consenso tra Parlamento e Consiglio. Le diverse istituzioni devono trovare un accordo, e la Commissione sarà presente a questo importante appuntamento. La Commissione presenterà proposte ambiziose, ma sempre in un vero spirito di partenariato: per un’Europa più forte, un’Europa della cooperazione e non un’Europa della divisione.
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, userò i due minuti a mia disposizione per riprendere alcune domande che sono state poste e per dare una risposta. Non ho intenzione di fare attacchi personali; mi conoscete, non ne ho mai fatti e non ne farò mai.
Cominciamo innanzi tutto con il bilancio, e con ciò che abbiamo convenuto tra noi; il Parlamento a larga maggioranza è d’accordo sulla necessità di avere un bilancio proprio, per poter diminuire le risorse spese a livello nazionale. Questa è la mia prima sintesi, ma non dimentichiamo che si tratta di una decisione presa all’unanimità. Non si tratta di criticare i nostri capi di Stato e di governo, né i ministri delle Finanze Lagarde o Schäuble; si tratta piuttosto di convincere i nostri rispettivi partiti, come ha detto il Presidente Barroso. Si tratta di discutere e lavorare nella maniera più opportuna su questo tema, ognuno al proprio livello, ognuno nel rispettivo partito e ognuno nel proprio paese, giacché si tratta di decisioni da adottare all’unanimità. Sarà molto più complesso che non tenere discorsi magniloquenti in questa sede. Ma ci batteremo, e mi batterò per poter disporre di risorse proprie a livello europeo.
(Applausi)
In secondo luogo, per quanto riguarda i rom, pane al pane e vino al vino. Onorevoli colleghi, signori Presidenti, siamo persone responsabili e quindi dobbiamo trovare una soluzione. E adesso parlo nella mia veste di sindaco. Dobbiamo far fronte a problemi assai complessi nei rapporti con i nostri concittadini, che sono veri democratici e che rischiamo di gettare tra le braccia dei populisti. Abbiamo un compito da svolgere, e non possiamo fare a meno di deplorare i gravi reati che sono stati commessi. Non ho affermato che i colpevoli siano i rom, non mettetemi in bocca parole che non ho detto. Criminalità, delinquenza, prostituzione: questi sono mali da combattere.
Dal 1° gennaio agli agricoltori del mio cantone sono stati rubati undici trattori. Credete forse che la gente sia contenta? Guardate quello che succede nelle nostre città! Onorevoli colleghi, la questione è grave e dobbiamo affrontarla con estrema cautela, per il bene dei nostri concittadini; non intendo avviare un dibattito nazionale ma un dibattito europeo. Su questo punto mi unisco al Presidente Barroso. Dobbiamo impegnarci a fondo su questo tema per proporre soluzioni di concerto con i rom presenti in Parlamento e con la Romania, nonché con gli altri paesi interessati.
Si tratta di una questione veramente importante; se riusciremo a far sì che i figli di questi immigrati possano inserirsi nel mondo della scuola e della formazione, tra dieci anni avremo vinto questa battaglia. Questa è la mia proposta per la discussione.
Martin Schulz, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, vorrei esprimere un breve commento sui due punti ricordati dall’onorevole Daul. In primo luogo, siamo d’accordo sulla necessità di risorse proprie. Ci stiamo battendo proprio per ottenere tali risorse, ma dal momento che si richiede l’unanimità e probabilmente non raggiungeremo una decisione unanime, non otterremo il nostro scopo. Bisogna essere chiari: se le cose stanno così, non ci sarà alcuna riduzione nel bilancio dell’Unione europea. Mi auguro che questa conclusione sarà condivisa da tutti noi.
Adesso parlerò come ex sindaco. Per 11 anni sono stato sindaco di una città caratterizzata dalla presenza dei rom. La mia città infatti si trova sul confine tra Germania, Belgio e Paesi Bassi, ed è quindi un’area di transito per molti rom. Mi sono occupato del problema per 11 anni, e mi sembra perciò opportuno rivolgere un’osservazione all’onorevole Daul e agli altri colleghi: è vero, i rom sono una minoranza difficile. È certamente vero, ma credo che anche le minoranze difficili abbiano diritto al rispetto dei loro diritti fondamentali. Questo è il messaggio fondamentale. A questo proposito, l’affermazione di Bernard Kouchner è corretta.
In secondo luogo, gli Stati governati da uno stato di diritto hanno l’obbligo di perseguire i reati. In caso di furto, prostituzione o frode uno Stato in cui viga lo stato di diritto deve applicare la legge, indipendentemente dal soggetto sospettato di aver commesso il fatto. Questo è un diritto di qualunque Stato; ma tra gli obblighi di ogni Stato c’è anche quello di condurre indagini su ogni singolo caso, e di non dare l’impressione che fin dall’inizio il principale sospetto sia uno specifico gruppo etnico. A nostro avviso sarebbe intollerabile.
(Applausi)
Per concludere, non mi sembra opportuno ingaggiare conflitti. Sembrerebbe, a quanto è stato detto, che sia io a ingaggiare conflitti istituzionali, ma non è assolutamente così. Per tirare le somme, Presidente Barroso, i suoi attacchi istituzionali dovrebbero essere diretti. Le nostre critiche nei suoi confronti non si riferiscono alla sua evidente capacità di raggiungere un consenso, una capacità che nessuno mette in dubbio. Come ha visto quest’oggi tutti sono molto soddisfatti del suo operato.
Nell’ambito delle sue conversazioni personali, Presidente Barroso, lei è decisamente capace di sferrare un attacco, come è noto ai suoi Commissari e a me. Ma per una volta, le chiedo di andare all’attacco pubblicamente, soprattutto nei confronti dei capi di Stato e di governo, perché è di questo che ha bisogno l’Europa: un elemento disposto ad affrontare coloro che vogliono rinazionalizzare l’Europa.
E a lei, onorevole Farage, vorrei dire quanto segue: è certamente possibile che io non abbia ancora capito come funziona il sistema in cui molti si stanno riempiendo le tasche, ma so benissimo come mettere fine ai giochetti di questa gente.
Michał Tomasz Kamiński, a nome del gruppo ECR. – (PL) Presidente Barroso, se ha pensato che io la criticassi per l’attenzione che lei rivolge alle necessità di ogni gruppo, le posso assicurare che la mia affermazione non intendeva essere una critica. Personalmente apprezzo molto le sue capacità diplomatiche in questo settore, e credo che mantenere un equilibrio tra i vari Stati sia ancora più difficile, perché ciò impone uno sforzo ancora maggiore di quello richiesto per soddisfare tutti i gruppi politici. Dal momento che lei ha parlato di una maggioranza europeista e di una minoranza antieuropeista, vorrei chiedere a tutti, per favorire un dibattito democratico e onesto, di distinguere tra coloro che si oppongono ai piani che vengono elaborati per l’Europa o sono contrari all’Unione europea – perché personalmente non sono d’accordo con queste persone – e coloro che invece vogliono cambiare qualcosa in Europa ma sono interessati a questi piani. Dissentiamo su molte questioni che godono del sostegno della maggioranza in quest’Aula, ma facciamo parte di quest’Assemblea affinché l’Europa possa essere migliore, e non peggiore, e siamo sempre pronti a discuterne. Presidente Barroso, apprezzo la sua disponibilità a intrattenere questo dialogo con noi.
Per quanto riguarda la questione dei rom che è stata affrontata in questa sede, benché spesso dissenta dall’onorevole Schulz, in questo caso sono d’accordo con lui. Se un paese ha un problema con la criminalità, dovrà fare tutto ciò che è in suo potere per affrontare questo problema, perché le imposte pagate dai cittadini dovrebbero servire allo Stato per combattere la criminalità. Questo è ovvio. Dobbiamo però evitare qualsiasi situazione in cui a un gruppo etnico si attribuisce una particolare predisposizione a delinquere, perché sarebbe, a mio avviso, molto pericoloso e potrebbe sconfinare nella discriminazione razziale. Si tratta di questioni da affrontare con estremo tatto, che non devono essere strumentalizzate politicamente da nessuna delle due parti contendenti. Serve un approccio costruttivo, teso a risolvere il problema.
Lothar Bisky, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, vorrei tornare sulle affermazioni del Presidente Barroso, che si è espresso in modo estremamente corretto e opportuno contro il razzismo e la xenofobia.
A questo proposito, tuttavia, devo dire che non sono ancora soddisfatto della discussione sui rom, che naturalmente continuerà nel pomeriggio. Ci sono alcune questioni collaterali in discussione che mi sembrano molto pericolose. In Germania per esempio si discute molto del caso Sarrazin, una questione estremamente problematica. Si trascura il fatto che in Germania esistono strati della popolazione – tedeschi, immigrati, rom e cittadini di altri paesi – con un basso livello di istruzione e a cui la scuola non riesce a fornire strumenti adeguati, e mancano metodologie più raffinate in grado di aiutare questi bambini. Il razzismo non è che una conseguenza. Talvolta, il razzismo nasce in modo del tutto casuale.
Mi sembra opportuno ricordare la discussione sulla Grecia. A questo riguardo, nel mio paese, che non è particolarmente xenofobo, ho visto cose che non avrei pensato di poter vedere. Dobbiamo prestare particolare attenzione alle dichiarazioni nazionalistiche, xenofobe e razziste nell’Unione europea.
(Applausi)
Nigel Farage, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, la controversia sui rom in Francia ovviamente è la conseguenza diretta delle fallimentari politiche dell’Unione europea.
Consentire alla Bulgaria e alla Romania di diventare membri dell’Unione europea mentre in quei paesi si perpetravano gravi discriminazioni nei confronti di milioni di rom è stato un grave errore. Non c’è quindi da meravigliarsi se, adesso che fanno parte dell’Unione, essi cercano di trasferirsi altrove.
Questo è vero per qualsiasi cosa, mi sembra. Tutte le politiche applicate si sono dimostrate fallimentari e hanno creato problemi – che si tratti di questa o dell’euro – e in generale si osserva una fanatica ambizione politica tesa a creare gli Stati Uniti d’Europa, quali che siano le conseguenze. Niente di tutto ciò è mai stato approvato dal voto popolare. Questo, Presidente Barroso, è il vero stato dell’Unione.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, onorevoli deputati, a nome della Presidenza del Consiglio anch’io vorrei congratularmi con il Presidente della Commissione per il suo intervento sullo stato dell’Unione.
Questo discorso così importante è estremamente tempestivo; esso infatti ci consente di rimettere in discussione l’insieme delle tematiche europee dopo una lunga transizione istituzionale e dopo la crisi economica e finanziaria che si è abbattuta sull’Unione.
Signor Presidente, ho notato l’approccio lungimirante e ambizioso della Commissione, che mira a raccogliere le sfide attuali e, come abbiamo detto questa mattina, a difendere i valori dell’Unione.
I cinque temi individuati dal Presidente della Commissione (uscire dalla crisi e migliorare la governance economica; ritrovare il cammino della crescita grazie alle riforme strutturali della strategia Europa 2020; mettere in atto il programma di Stoccolma, per rafforzare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia; ammodernare il bilancio dell’Unione e infine permettere all’Europa di prendere il suo posto sulla scena internazionale) sono del tutto coerenti con le priorità del trio ma anche, evidentemente, della Presidenza belga, che sono state presentate dal Primo ministro a quest’Assemblea nel luglio scorso.
La realizzazione di questi obiettivi ovviamente richiederà del tempo e quindi molte Presidenze dovranno impegnarsi a tal fine. Signor Presidente, la Presidenza e il Consiglio studieranno nei dettagli il suo intervento e il documento di lavoro che lo accompagna. Ma in questa fase vorrei fare due osservazioni.
In primo luogo, i nostri concittadini si aspettano che le istituzioni traducano in realtà i nostri progetti, per poter guardare al futuro con maggiore serenità. Una vigilanza e una regolamentazione finanziarie efficaci, un brevetto comunitario abbordabile e competitivo, un servizio diplomatico europeo operativo: questi sono alcuni dei progetti più urgenti sulla base dei quali saranno giudicate le nostre tre istituzioni.
In secondo luogo, vorrei sottolineare il fatto che soltanto uno sforzo collettivo, di tipo comunitario, delle nostre istituzioni (Parlamento europeo, Commissione, Consiglio, Presidente del Consiglio europeo e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza) renderà possibili tali progetti e consentirà forse di combattere l’euroscetticismo che continua a diffondersi negli Stati membri.
Per questo motivo, signor Presidente, la Presidenza belga ha proposto di rafforzare la cooperazione con il Parlamento europeo sulla realizzazione delle attuali priorità. Sono stati programmati incontri regolari, sia a livello amministrativo che politico, per intensificare la nostra collaborazione. È in questo spirito che la Presidenza intende portare avanti la propria attività nei prossimi quattro mesi.
Corien Wortmann-Kool (PPE) . – (NL) Signor Presidente, benché questa mattina gli interventi dei capigruppo abbiano avuto toni assai diversi, una cosa è certamente chiara: molte delle azioni politiche annunciate dalla Commissione europea potranno contare sull’ampio sostegno di quest’Assemblea, dal momento che noi tutti approviamo il metodo comunitario. Ovviamente si dovrà ancora discutere molto della sostanza. Questa mattina, vorrei richiamare l’attenzione di voi tutti sui giovani, sui nostri figli. Dopo tutto, è a loro che dobbiamo fornire gli strumenti necessari a generare prosperità per il nostro futuro, per mantenere servizi pubblici efficienti e garantire una pensione al crescente numero di anziani. Questo è il motivo per cui adesso dobbiamo risolvere il problema dell’alto debito pubblico e adottare misure dolorose a tale scopo, ed è per questo che non possiamo accettare un tasso di disoccupazione giovanile pari al 20 per cento. Questa percentuale adesso è stata inclusa tra gli obiettivi della strategia 2020 dell’Unione europea, ma ciò significa che i giovani delle classi svantaggiate e quelli appartenenti alle minoranze continueranno a essere emarginati. Il Consiglio quindi deve impegnarsi ad aumentare l’occupazione giovanile, per raggiungere l’obiettivo, fissato dal Parlamento, per cui il 90 per cento dei giovani sia occupato o scolarizzato e soltanto il 10 della popolazione giovanile sia disoccupato. La realizzazione di tale obiettivo entro il 2020 è molto importante per l’Unione europea.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D) . – (HU) Signor Presidente, dall’inizio della crisi finanziaria e della recessione economica, nell’Unione europea sono emerse nuove divisioni. Non c’è più alcuna ragione per distinguere tra vecchi e nuovi Stati membri. Il Presidente Barroso non ha menzionato il motivo per cui il divario tra i paesi orientali e quelli meridionali dell’Unione europea comincia ad approfondirsi. Prima di aderire all’Unione noi, cittadini dei nuovi Stati membri, vedevamo nell’Irlanda, nella Spagna e nel Portogallo, che erano riusciti a colmare il divario che li separava dal resto dell’Europa, un esempio ispiratore. Mi chiedo adesso se tale tendenza continuerà a manifestarsi in questi paesi, o se si svilupperà invece un’Europa a più velocità. I nuovi Stati dell’Europa centrale e quelli baltici riusciranno a colmare il divario? Ci saranno risorse sufficienti dopo il 2014? Signor Presidente, i nuovi Stati membri vorrebbero un’Unione europea caratterizzata da forza, solidarietà e dinamismo.
Reinhard Bütikofer (Verts/ALE) . – (DE) Signor Presidente, Presidente Barroso, lei ci ha sommerso in una marea di belle parole. L’ho ascoltata con attenzione, ma mi chiedo: che cosa si intende fare concretamente? Per quanto riguarda i rom, per esempio, non mi interessa particolarmente che lei critichi con asprezza il Presidente Sarkozy. Vorrei sapere piuttosto che cosa intende fare, che cosa intende fare la Commissione per concretizzare una convinzione assai diffusa in questa sede: i diritti dei cittadini sono inviolabili e devono valere per tutti. A questa domanda che le è stata posta da tutti i settori del Parlamento, lei ha risposto: “Agiremo in maniera responsabile”. Ma purtroppo questa risposta si basa sull’idea che i luoghi comuni siano l’arma più forte della politica europea. E questo è assurdo!
La mia seconda osservazione è la seguente: qui si è parlato di perdita di fiducia da parte dei cittadini europei. Il suo intervento ha riservato uno spazio assai limitato ai cittadini. È necessario, a mio avviso, che le istituzioni europee diano prova di modestia nei confronti dei cittadini. Il principio per cui “ogni euro europeo speso in Europa è speso meglio” è infondato. Se non daremo prova di maggiore modestia nei confronti dei cittadini, anche gli obiettivi più nobili perderanno di significato.
Timothy Kirkhope (ECR) . – (EN) Signor Presidente, come ha riconosciuto lo stesso Presidente della Commissione, la fiducia nell’Unione europea si è sostanzialmente ridotta, e molti credono che l’adesione all’Unione europea non sia stata vantaggiosa per i propri Stati. È indubbiamente preoccupante, ma temo che la Commissione subisca le pressioni di coloro che pensano che per risolvere qualsiasi crisi serva più Europa. Alcuni sondaggi rivelerebbero addirittura un diffuso sostegno a una più forte governance economica europea. Ma l’opinione pubblica non vuole più Europa; vuole un’Europa migliore, un’Europa che aggiunga valore con tocco leggero.
Gli Stati membri hanno delegato all’Unione europea alcuni obiettivi fondamentali come il completamento del mercato interno e l’intensificazione del libero scambio a livello internazionale. Queste devono essere le nostre priorità, ed è per questa ragione che sosteniamo i principi della più importante iniziativa del Presidente Barroso – Europa 2020 – e il rilancio del mercato unico, un settore che ha visto l’intenso impegno dei deputati del mio gruppo.
Mario Mauro (PPE). – Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, nessun dubbio sul fatto che molti governi passano la notte a disfare quello che la Commissione fa di giorno. È importante quindi che la Commissione contribuisca con una riflessione opportuna a un'interpretazione corretta del principio di sussidiarietà, perché non diventi una scusa per arginare e limitare i progressi del trattato di Lisbona.
Ai colleghi liberali e socialisti voglio dire: attenti ad accusare i governi democratici di politiche razziste perché, se veramente siete convinti di quello che dite e ritenete la Commissione complice o debole verso queste politiche, perché non chiedete ai Commissari di provenienza liberale e socialista di dimettersi dai loro ruoli?
Da ultimo, un suggerimento al Presidente Buzek: adottiamo come sanzione nei confronti dei deputati assenti la stessa sanzione che la Commissione europea certamente adotterà nei confronti dell'assenza della Vicepresidente Ashton.
Catherine Trautmann (S&D) . – (FR) Signor Presidente, per noi francesi oggi lo stato dell’Unione è rappresentato dai cittadini, dagli uomini e dalle donne che affollano le strade, dal malcontento urlato in quelle strade. I nostri concittadini stanno attraversando una crisi di fiducia senza precedenti e hanno deciso di marciare al ritmo del rifiuto e delle richieste, ma anche della speranza. È in gioco una proposta fallita di riforma delle pensioni, ma non solo. È in gioco la possibilità di invecchiare con dignità. È in gioco la possibilità di garantire una solidarietà intergenerazionale che consenta oggi anche ai più giovani di vivere la propria vita lavorativa e professionale potendo contare su una pensione futura.
Su questo stesso tema, Presidente Barroso, la Commissione ha pubblicato un libro verde sulla riforma dei regimi pensionistici che ha scatenato, prima dell’estate, un’ondata di inquietudine nei sindacati. La sua proposta, che prevede di aumentare l’età pensionabile, mi sembra irrealistica. Sarebbe più utile che la Commissione ci dicesse come garantire ai lavoratori la possibilità di mantenere il proprio posto di lavoro fino al raggiungimento dell’età pensionabile. Vorrei sentire le sue proposte in proposito, e vorrei altresì alcuni chiarimenti su ciò che lei ha definito consolidamento fiscale piuttosto che coordinamento economico dei nostri Stati membri, che a mio avviso dovrebbe mirare alla solidarietà sociale.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE) . – (FI) Signor Presidente, ho ascoltato il discorso del Presidente della Commissione Barroso, e devo dire che mi è sembrato un programma di lavoro. Mi sono trovata a pensare che forse uno dei problemi dell’Unione europea era l’impossibilità di analizzare lo stato dell’Unione all’interno dell’Unione stessa.
L’intervento del Presidente Barroso ha indicato molti eccellenti obiettivi, ma niente di concreto. Penso per esempio alla promessa con cui il Presidente Barroso ha dichiarato che l’Unione europea avrebbe protetto le piccole e medie imprese. Mi è sembrato un déjà-vu, eppure se guardo al passato non vedo alcuna proposta a riguardo. Spero che ce ne saranno in futuro.
Un altro settore in cui avrei auspicato maggiore concretezza è quello della politica estera. Il problema è che gli Stati membri non lasceranno spazio ai rappresentanti dell’Unione europea. Ora che il prossimo G20 è alle porte, ho saputo che sarà la Francia a presiederlo, il che mi sembra assurdo. Sarebbe opportuno che un rappresentante dell’Unione, e l’Unione stessa, fossero presenti. Dobbiamo sollevare la questione, e se l’Unione intende parlare con voce nuova, dovrà essere un suo rappresentante a parlare. Mi sembra necessario discutere della questione.
Eleni Theocharous (PPE) . – (EL) Signor Presidente, talvolta lei ci vede quassù, in cima all’Himalaya. Presidente Barroso, la sua visione di un’Europa di giustizia, libertà, democrazia e prosperità, con un alto standard di etica politica moderna è molto importante. Mi sarebbe piaciuto analizzare nei dettagli ciò che ha detto l’onorevole Camus a riguardo, ma il tempo a disposizione è troppo breve. Questa visione è anche la nostra, e per questo il mio piccolo paese, Cipro, ha dato molto per portare libertà e democrazia in Europa e nel mondo. Personalmente mi sono battuta vigorosamente perché il mio paese potesse aderire all’Unione europea.
Perché allora, Presidente Barroso, lei evita e mette in pericolo questa visione, che è anche la sua? Perché consente che si attenti ai principi e ai valori fondamentali su cui poggia l’Unione? Mi riferisco al caso di Cipro: la sua insistenza sull’applicazione dell’articolo 207 del trattato di Lisbona al regolamento sugli scambi commerciali diretti viola il trattato di adesione e in particolare il protocollo 10 sull’adesione dell’intera Cipro all’Unione europea, infliggendo un duro colpo alla sovranità di Cipro e al contempo alla solidarietà nei confronti degli Stati membri e alla credibilità dell’Unione.
Proinsias De Rossa (S&D) . – (EN) Signor Presidente, c’è una sola cosa che vorrei dire al Presidente Barroso: lei ha torto. Non potremo avere alcuna valida proposta in mancanza di analisi e retrospezione. Lei ha torto anche perché non è possibile realizzare il consolidamento fiscale che è in corso di attuazione e contemporaneamente una crescita economica che generi occupazione.
Non abbiamo imparato niente dalle esperienze passate; in quasi tutti gli Stati membri si stanno smantellando gli ammortizzatori sociali che erano stati creati dopo la crisi del 1929.
Nel suo intervento lei ha riaffermato l’economia sociale di mercato e la coesione sociale, ma il suo programma ribadisce l’importanza della concorrenza nel mercato e del consolidamento fiscale, che impedisce la realizzazione di programmi ispirati al mercato sociale.
Vorrei che lei sfruttasse appieno gli articoli 3, 9, 14 e il protocollo 26 in tutta la loro portata giuridica e politica, in modo da sviluppare un nuovo patto sociale per l’Europa. Altrimenti, non riavremo la fiducia dei cittadini europei, né il loro sostegno a una maggiore unità nella nostra Europa.
Charles Goerens (ALDE) . – (FR) Signor Presidente, mi sarebbe piaciuto che anche il Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy fosse intervenuto nella discussione.
A mio avviso lo stato dell’Unione dovrebbe riflettere anche la realtà istituzionale dell’Unione. Dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, infatti, in molti settori chiave della politica europea abbiamo assistito a una sorta di presidenzializzazione nella persona del Presidente del Consiglio europeo.
Nella gestione della crisi dell’euro la task force istituita dal Consiglio europeo e presieduta dal Presidente Van Rompuy avrebbe potuto essere oggetto di una discussione sullo stato dell’Unione. Se è vero che niente impone al Presidente del Consiglio europeo di presentarsi davanti al Parlamento europeo, è ugualmente vero che niente glielo impedisce.
Presidente Barroso, vorrei sentire la sua opinione su questo punto e vorrei anche che lei facesse i nomi di coloro per i quali la presenza del Presidente Van Rompuy potrebbe essere un problema.
Rui Tavares (GUE/NGL) . – (PT) Presidente Barroso, non ha alcun senso fare discorsi sullo stato dell’Unione se agli attacchi mossi a uno dei principi fondamentali dell’Unione il Presidente della Commissione dà una risposta tiepida, timida e debole. Presidente Barroso, la sua prima reazione alla vicenda dei rom in Francia è stata più o meno adeguata, la seconda, francamente, ha provocato l’imbarazzo della Commissione. Adesso infatti il nuovo obiettivo delle azioni inizialmente intraprese nei confronti dei rom sono diventati i poveri: ieri il Presidente Sarkozy ha dichiarato che gli europei privi di mezzi di sostentamento non potranno rimanere in Francia per più di tre mesi. Ciò significa non soltanto che stiamo per distruggere il principio della libertà di circolazione, che è fondamentale per l’Unione europea, ma anche che d’ora in poi saremo più vulnerabili nei confronti della crisi perché, com’è noto, la mobilità della forza lavoro è uno strumento con cui i paesi rispondono alla crisi.
Negli Stati Uniti, se l’industria automobilistica di Detroit attraversa un periodo di crisi, si osserva una migrazione verso Chicago; questo non sarà possibile in Europa. Sarebbe quindi opportuno che la Commissione assumesse fin da ora una posizione chiara su questo punto, offrendo un sostegno importante all’Europa nell’opporsi a quello smantellamento dei principi fondamentali dell’Unione a cui stiamo assistendo. Se invece la Commissione non si esprimerà con chiarezza adesso, le conseguenze per l’Europa saranno molto gravi.
Oreste Rossi (EFD). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Presidente Barroso, il suo è un intervento che in Italia avremmo definito "democristiano", cioè che poteva andare bene a tutti.
In Europa vi sono quattro milioni di posti di lavoro disponibili? Bene, diamoli ai nostri disoccupati che, come lei ben sa, sono decine di milioni, creando un mercato del lavoro europeo. Stiamo uscendo dalla crisi? Bene, aiutiamo imprese e lavoratori, con sovvenzioni per una nuova crescita economica e con salari e pensioni adeguati, creiamo un mercato europeo dell'energia. L'Europa sta invecchiando? Male, aiutiamo le famiglie tradizionali, formate da uomini e donne, ad avere figli con contributi e servizi.
Potenziare la lotta ai cambiamenti climatici? Giusto, ma non lo possiamo fare a senso unico, non può essere solo l'impresa a farsi carico dei sacrifici economici a vantaggio di concorrenti extraeuropei. Tutelare i diritti delle minoranze? È corretto, ma quando gli appartenenti a quelle minoranze non rispettano le nostre leggi, è giusto che siano rispediti al loro paese d'origine. Non possiamo pensare di diventare il punto di raccolta dei disperati del mondo, li dobbiamo aiutare a casa loro.
Andrew Henry William Brons (NI) . – (EN) Signor Presidente, il Presidente Barroso ha parlato di crescita sostenibile. In realtà stiamo assistendo a una crescita negativa. Ha parlato di aumentare la percentuale della popolazione occupata, mentre tale percentuale si è ridotta. Parla di aumentare la competitività dei beni e dei servizi europei; ma l’Unione europea, come ognuno dei suoi Stati membri, ha abbracciato la globalizzazione e sta accettando volontariamente l’invasione di prodotti a basso prezzo che arrivano dai paesi del Terzo mondo favoriti dai bassi salari.
L’unico modo per competere con questi paesi è ridurre i nostri livelli retributivi per equipararli ai loro. È opportuno che i nostri lavoratori e datori di lavoro sappiano che stiamo accogliendo nei nostri paesi un crescente numero di lavoratori del Terzo mondo, che trasformano ampie zone dell’Europa in filiali del Terzo mondo, caratterizzate da retribuzioni inferiori ai minimi salariali e condizioni lavorative insoddisfacenti. Molti dei lavoratori occupati nel settore dei servizi commerciali stanno perdendo il posto di lavoro dal momento che delocalizziamo queste attività nel Terzo mondo.
I singoli stati nazionali europei, e l’Unione europea a nome dell’intero continente, stanno commettendo un suicidio economico e identitario.
Marian-Jean Marinescu (PPE) . – (RO) Moltissimi Stati membri devono far fronte a deficit e problemi connessi al debito.
A livello europeo sono state elaborate proposte legislative, che dovranno essere completate e attuate. Soltanto una politica finanziaria comune e una governance economica europea potranno risolvere la situazione attuale. Mi auguro che con la nuova legislazione il sistema bancario partecipi non soltanto agli utili, ma anche allo sviluppo e ai rischi economici.
In futuro il bilancio dovrà tener conto dell’attuale situazione, ma senza partire dal presupposto di apportare tagli al bilancio. Sarà necessario individuare gli strumenti più opportuni per garantire l’efficienza della spesa sia a livello nazionale che a livello europeo. Il valore e la ripartizione del bilancio devono basarsi sui requisiti fissati dalle politiche comuni in materia di coesione, energia, agricoltura e cambiamento climatico.
Come lei ha ricordato, in Europa mancano milioni di posti di lavoro. Nel bilancio attuale si registrano alcune risorse non spese, che dovranno essere stanziate nuovamente e destinate a settori in cui si creino posti di lavoro.
D’altro canto gli Stati membri devono avere la facoltà di trasferire fondi dai settori nei quali la domanda è insufficiente ad altri in cui le richieste hanno superato le risorse stanziate.
Un po’ di tempo fa, lo schedario che si trova nel mio ufficio, in questo stesso edificio, è stato scassinato. Non credo che il colpevole sia da ricercarsi in una regione o in un gruppo etnico particolare, ma che sia necessario trovare e punire il responsabile.
Monika Flašíková Beňová (S&D) . – (SK) La sua relazione illustra un programma molto ambizioso e impegnato per il futuro, e il Parlamento europeo nutre grandi aspettative in merito alle misure che lei ha ricordato.
Un minuto di tempo è veramente poco, e quindi mi limiterò a dire quanto segue: benché sia possibile che il Parlamento europeo, i deputati di quest’Assemblea, si trovino su posizioni diametralmente opposte alle sue, la nostra è un’opposizione costruttiva e vogliamo aiutarla a mettere in atto le misure che ci ha presentato. Potremmo unire le nostre forze contro coloro che frenano l’integrazione dell’Unione europea, in altre parole il Consiglio europeo.
Le offriamo la nostra amicizia e il nostro aiuto nella lotta contro i governi che stimolano l’egotismo nazionale, e che sulla base di tale egotismo pospongono lo sviluppo e l’ulteriore integrazione dell’Unione europea. Mi auguro quindi che ci incontreremo presto per discutere misure concrete e che insieme riusciremo a piegare il Consiglio.
Glenis Willmott (S&D) . – (EN) Signora Presidente, il Presidente della Commissione ha parlato di crescita sostenibile e di un obiettivo occupazionale del 75 per cento in tutta l’Unione europea, un obiettivo su cui tutti possiamo essere d’accordo.
Eppure nell’Unione europea i drastici tagli ai servizi pubblici infoltiscono le schiere dei disoccupati, sottraendo risorse finanziarie all’economia e riducendo i servizi essenziali. Com’è possibile che questo aiuti l’economia e scongiuri una crisi occupazionale? È assurdo. Si sta mettendo a rischio la ripresa, e nel mio paese – il Regno Unito – questo avviene per opera del governo Cameron.
Se manterremo gli investimenti in quei settori in cui l’Unione europea può assumere un ruolo guida, come l’energia rinnovabile e le ferrovie ad alta velocità, contribuiremo a creare l’Europa che vogliamo, contribuiremo a creare l’Europa di cui abbiamo bisogno, e contribuiremo a garantire la solidità economica.
Infine, dobbiamo garantire i bilanci degli aiuti esterni, che qualcuno considera facili bersagli. I paesi che non rispetteranno gli impegni assunti, dovranno essere indotti a ripensare questa disastrosa politica.
Ulrike Lunacek (Verts/ALE) . – (DE) Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, sulla questione dei rom lei si è espresso con forza e decisione: è importante adottare un’estrema cautela, ed evitare di parlare apertamente di ciò che sta avvenendo in Francia. Presidente Barroso, mi aspetto maggiore chiarezza su questo problema da parte sua e della Commissione.
È certamente auspicabile essere cauti in simili questioni, ma tale cautela si impone nei nostri rapporti con la gente, con i rom che sono stati espulsi dalla Francia e rimandati a casa. A quanto mi risulta, la Commissione non ha agito con sufficiente tempestività, e ha mancato di chiarezza nei suoi rapporti con il governo francese. Ma ne discuteremo ancora questo pomeriggio.
Abbiamo bisogno di una politica comune europea grazie alla quale questi gruppi etnici possano vivere nei paesi che preferiscono – non solo in Francia ma anche in altri Stati. Come molti dei precedenti oratori hanno già ricordato, i rom in Europa sono europei. In Francia, credo che il 90 per cento di loro abbia la cittadinanza francese. L’attuale politica francese è contraria a tutti i diritti fondamentali dell’Unione europea; mi aspetto dunque che lei si esprima con maggiore chiarezza.
Miloslav Ransdorf (GUE/NGL) . – (CS) Ho un messaggio per il Presidente Barroso. Nella tribù indiana dei Dakota c’è un detto: “Se sei in groppa a un cavallo morto, smonta.” La politica 20-20-20 tanto acclamata dalla Commissione (gli obiettivi 20-20-20) è proprio un cavallo morto. Se contestualizziamo questo detto nell’Unione europea, il nostro comportamento è esattamente opposto a quello della tribù indiana. Stiamo formando squadre per migliorare le prestazioni di un cavallo morto, per migliorare la dieta di un cavallo morto e per migliorare l’immagine di un cavallo morto. Signor Presidente, forse è davvero il caso di smontare da quel cavallo morto, non crede?
Jaroslav Paška (EFD) . – (SK) Presidente Barroso, nella sua relazione sullo stato dell’Unione lei ha rivolto particolare attenzione alla futura gestione economica dell’Europa, forse perché l’Europa non riesce ancora a tenere il ritmo delle dinamiche economiche in crescita dell’Asia e dell’America.
A suo avviso le misure previste dalla strategia 2020 possono offrirci una via d’uscita. Non intendo mettere in dubbio la sua ambizione di portare l’Europa fuori dall’attuale crisi, ma credo che il principale ostacolo alla crescita economica in Europa stia in un problema che lei non ha neanche menzionato. È proprio il complesso ambiente economico dell’Unione europea, con la sua burocrazia straordinariamente prospera, a soffocare la creatività e l’imprenditorialità, caratteristiche comuni all’Europa come agli Stati Uniti, al Giappone, alla Cina e all’India. Un ambiente giuridico semplice e trasparente, in cui si riscontrino lievi oneri burocratici, imprimerebbe certamente all’Europa un nuovo e forte impulso, stimolando ulteriormente la crescita economica. Presidente Barroso, la prego di considerare la questione.
Mairead McGuinness (PPE) . – (EN) Signora Presidente, la discussione odierna è stata interessante. Vorrei però ricordare che assistiamo a una crisi di fiducia, e su questo punto forse dovrebbe insistere il Presidente della Commissione. C’è una crisi di fiducia nella democrazia perché l’opinione pubblica ritiene che i rappresentanti eletti non riescano a regolamentare i mercati finanziari e tutti i mercati in generale. Sotto questo aspetto dobbiamo riconoscere le nostre carenze.
Si pensa che l’Unione europea possa fare meglio dei singoli Stati membri, e questa è certamente una convinzione assai diffusa nello Stato membro che rappresento – l’Irlanda – un paese che deve affrontare una grave crisi economica e bancaria per la quale si richiedono analisi e controlli approfonditi. Il problema principale da affrontare qui è quello della disoccupazione, e temo che, se il patto di stabilità e di crescita verrà applicato con rigore, ci potrebbero essere gravi conseguenze per l’occupazione, con l’aumento dei giovani delusi e in crisi a causa della situazione.
Ho apprezzato i suoi commenti sulla sicurezza alimentare, sulla biodiversità e sulla crescita sostenibile, ma dobbiamo vigilare affinché Doha e gli accordi commerciali bilaterali non distruggano questi nobili obiettivi.
Othmar Karas (PPE) . – (DE) Signora Presidente, per cominciare vorrei ricordare che molti temi affrontati nel corso della discussione sono importanti nel contesto attuale. Abbiamo bisogno di un nuovo dinamismo. Dobbiamo prendere una posizione decisa, a favore dell’Unione europea, dei nostri obiettivi e dei nostri valori. Il futuro comincia oggi, non dopodomani. È perciò necessario svolgere un’analisi approfondita, che prenda in esame le future conseguenze.
Abbiamo alcuni problemi. Assistiamo infatti a un grave conflitto tra il futuro e un’Europa comune da un lato, e il rafforzarsi del nazionalismo dall’altro. Come in passato, dobbiamo sfruttare la crisi per passare alla fase successiva dell’integrazione. Non è possibile rimanere in questa situazione di stallo; se non procediamo, finiremo per arretrare.
Dobbiamo sostenere il progetto teso a creare un’unione economica e sociale, oltre all’unione monetaria. A tale proposito, abbiamo bisogno di iniziative, programmi e specifici meccanismi sanzionatori, non di meri annunci. Dobbiamo prendere posizione e proibire la discriminazione, schierandoci a favore della solidarietà e del principio pacta sunt servanda. Le nostre azioni devono essere sempre più ispirate alla solidarietà, che non dovrà essere considerata un costo ma un investimento.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE) . – (ES) Signora Presidente, Presidente Barroso, l’Europa deve mettere in atto le sue buone intenzioni. È necessario riconoscere il ruolo di leadership svolto dal Presidente permanente dell’Unione europea che è stato decisivo nell’accordo sulla vigilanza finanziaria. Questa è la strada che gli Stati membri dovranno seguire per concordare le strategie di politica estera ed economica, la cui efficacia dipende appunto dalla definizione di una posizione comune. Altrimenti, continueremo a perdere posizioni e visibilità internazionale, sia in materia di pace e sicurezza, sia per quanto riguarda le questioni economiche e sociali.
L’integrazione si sta realizzando dall’alto verso il basso, ma dobbiamo anche favorire un’integrazione dal basso, per creare finalmente una vera Europa delle regioni. Ciò deve avvenire applicando il protocollo di sussidiarietà istituito nel trattato di Lisbona – che secondo gli stessi dati della Commissione, negli ultimi nove mesi ha dimostrato di non funzionare – e sfruttando l’esperienza e le conoscenze delle regioni in materia di innovazione e competitività, perché tutto questo migliorerà la situazione europea.
Inoltre, come possiamo essere più innovativi se, come si può desumere dai vostri dati, la maggioranza degli Stati membri ha intenzione di ridurre i bilanci destinati all’innovazione? Lei ha parlato poco dei cittadini: dobbiamo essere utili ai cittadini europei e contare davvero su di loro, se vogliamo avvicinare il progetto dell’Unione all’opinione pubblica europea.
Malika Benarab-Attou (Verts/ALE) . – (FR) Signora Presidente, Presidente Barroso, onorevoli colleghi, la situazione imposta ai rom – che comporta la loro espulsione e la negazione del diritto alla libertà di circolazione in Europa – è inammissibile: una situazione contraria ai valori europei. Ma tale situazione è soltanto il sintomo di un problema più grave e più generale. Non è che il riflesso di una malattia delle nostre cosiddette società moderne, nelle quali perdiamo di vista il concetto della fratellanza. No! Gli esseri umani non sono merci da accumulare o svendere a seconda dei casi.
La politica adottata da noi, in quanto Unione europea, sulle questioni concernenti la circolazione delle persone all’interno dell’Unione e l’ingresso e l’uscita da paesi terzi è inaccettabile; non possiamo continuare con questa politica, tipica di un’Europa assediata e timida.
La libertà di circolazione delle persone è fondamentale; lo è sempre stata e rappresenta uno dei fondamenti su cui sono costruite le nostre società odierne. Oggi, non si assicura più l’uguaglianza per quanto riguarda la circolazione dei cittadini, europei e non europei.
Mentre i turisti e i pensionati europei viaggiano liberamente e in massa verso sud, soprattutto nel Magreb, ai cittadini di questi stessi paesi si impedisce di spostarsi. Il sistema dei visti di Schengen e la relativa applicazione da parte dei paesi europei sono disumani. I considerevoli ostacoli alla circolazione impediscono ai cittadini del Sud di venire nei paesi del Nord come turisti, amici o familiari.
Presidente Barroso, con quali azioni audaci e concrete ci consentirete di aderire nuovamente ai nostri valori su tale questione?
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (FR) Signora Presidente, in primo luogo porgo il benvenuto alla Presidenza belga del Consiglio, e mi congratulo per il suo intervento.
Credo che l’idea di tenere questa discussione sullo stato dell’Unione, così come è stata concepita dal Parlamento, servisse anche ad avviare la nostra attività di programmazione. Per questo dobbiamo concentrarci anche sul lavoro legislativo. Come sapete, in Europa è la Commissione ad avere il diritto di iniziativa ma dopo, naturalmente, per concludere il processo legislativo sono necessari gli interventi del Parlamento e del Consiglio.
Vorrei anche sottolineare un aspetto che è stato ricordato dalla Presidenza belga: l’importanza di ottenere risultati concreti. Sia nel mio intervento, sia nel documento che vi ho inviato tramite il Presidente Buzek, abbiamo presentato la bozza di un programma molto ambizioso che comprende, per esempio, il brevetto comunitario, i servizi pubblici – qualcuno ne ha parlato – e molte altre misure che saranno un vero banco di prova non solo per il metodo comunitario ma per la nostra concreta ambizione per l’Europa.
Per quanto riguarda l’ambizione, vorrei ricordare uno sviluppo positivo. Ho appena saputo che il Consiglio Ecofin ha approvato la nostra proposta per un semestre europeo. Ecco un buon esempio. Ricorderete certamente che qualche mese fa, quando la Commissione aveva proposto l’idea di un semestre europeo, ossia un periodo di concertazione all’inizio dell’anno per preparare i bilanci e per vedere come coordinare effettivamente le nostre politiche economiche, alcuni soggetti ben noti hanno reagito immediatamente dicendo che questo avrebbe messo a rischio la sovranità nazionale e gli stessi parlamenti nazionali. Niente di più falso.
In realtà alla fine, grazie al lavoro svolto dalla task force presieduta dal Presidente Van Rompuy, grazie alle proposte caldeggiate con determinazione dalla Commissione e dal Consiglio, e sempre con il sostegno di questo Parlamento, ci siamo riusciti. Stiamo realizzando una governance economica europea. L’ho già detto e lo ripeto: non basta avere un’economia monetaria; quello che serve è una vera politica economica europea.
Come ho detto nel mio intervento è questa la direzione che intendiamo seguire, e la Commissione si batterà per queste proposte.
Un deputato ha detto: “Avete presentato alcune proposte interessanti, ma chi ci garantisce che avranno successo?” Buona domanda. Dobbiamo lavorare insieme, per realizzare questa nostra ambizione. E infine abbiamo bisogno dell’incondizionato appoggio di quest’Assemblea e del sostegno, talvolta unanime, degli Stati membri. La Commissione deve assumersi le proprie responsabilità. E chiedo alle altre istituzioni di fare altrettanto.
Nel pomeriggio si terrà una discussione dedicata in particolare ai rom, alla quale parteciperanno la Vicepresidente, il Commissario per la giustizia e i diritti fondamentali signora Reding e il Commissario per gli affari sociali Andor. Credo che sarà il momento migliore per approfondire le importantissime questioni da voi sollevate.
Sul tema della sussidiarietà, vorrei sottolineare che noi siamo favorevoli alla sussidiarietà e alla solidarietà in Europa. Non ho detto che ogni euro è speso meglio in Europa che a livello nazionale. Ho detto piuttosto – e ci tengo a ribadirlo – che in molti settori esistono sinergie ed economie di scala. La spesa a livello europeo è l’unico modo per garantire che l’Europa possa agire e apportare il massimo dei benefici ai nostri cittadini.
Dobbiamo tenere questa discussione con estrema serietà, perché nella maggioranza di quest’Assemblea ho potuto constatare l’emergere di un’idea ambiziosa per il bilancio che sta per essere presentato. Dobbiamo vincere questa discussione agli occhi dell’opinione pubblica dei nostri Stati membri. È evidente che sarà una discussione assai complessa, in una situazione economica estremamente difficile. Se gli Stati membri non potranno aumentare i propri contributi, sarà necessario reperire le risorse affinché l’Unione europea possa esibire dei risultati.
Ma non possiamo chiedere risultati all’Europa senza darle i mezzi necessari a tale scopo. Sarebbe impossibile farlo, ed è perciò necessario tenere una discussione estremamente seria sul tema della solidarietà e della sussidiarietà.
Alcune delle politiche che avete ricordato in questa sede devono essere sviluppate a livello nazionale. Sia la questione delle pensioni che quella della previdenza sociale sono questioni di rilevanza nazionale. Esistono modelli diversi. Il vero intento della Commissione, come risulta da vari documenti, è quello di riformare il settore. Se vogliamo garantire la sostenibilità delle pensioni, non solo delle nostre pensioni ma anche di quelle dei nostri figli, tenuto conto delle tendenze demografiche in Europa e dell’invecchiamento della popolazione, alcune riforme sono ovviamente necessarie. Sta però a ogni governo determinare il ritmo, il consenso e la portata di una riforma approfondita.
Ma se vogliamo vincere la battaglia globale della competitività, non possiamo farlo riducendo costantemente l’orario di lavoro, né riducendo il numero degli occupati. Non possiamo farlo e dobbiamo avere il coraggio di dire che, se l’Europa vuole vincere la battaglia della competitività, soprattutto nei confronti di alcuni paesi emergenti, dobbiamo lavorare di più e dobbiamo lavorare più a lungo. Se qualcuno afferma il contrario, non sta dicendo la verità; di più e meglio, questa è la verità.
E dobbiamo dire altrettanto chiaramente che senza il consolidamento del bilancio verrà a mancare la fiducia. Senza fiducia, non c’è crescita. Senza crescita, non c’è occupazione. Quindi il consolidamento del bilancio è un elemento essenziale.
Allo stesso tempo, abbiamo bisogno di investimenti nei settori del futuro, sia in Europa che a livello nazionale. E questo ci pone davanti a una grave sfida: una sfida lanciata a noi, nell’ambito delle istituzioni europee, ma anche ai centri decisionali a livello nazionale. Come garantire, in un periodo così critico, che gli investimenti effettuati riescano a portarci nel futuro? A livello europeo stiamo definendo i settori in questione. Ho già ricordato quelli in cui avanzeremo alcune proposte per un’Europa più ambiziosa.
Per le PMI ovviamente abbiamo presentato qualche idea concreta. Vi prego di considerare il documento che accompagna il mio discorso, in particolare per l’Atto per il mercato unico, la legislazione che proporremo sulla firma elettronica, le varie misure di semplificazione, l’abbattimento degli ostacoli che oggi complicano effettivamente la vita delle nostre imprese, soprattutto delle piccole e medie imprese. In realtà, per la grande maggioranza delle piccole e medie imprese non esiste ancora un mercato integrato. Esse operano soprattutto nell’ambito dei propri mercati nazionali, ma mancano ancora vere opportunità transfrontaliere che esse possano sfruttare.
Per concludere: crediamo che esista davvero, come è risultato evidente da alcuni dei vostri interventi, un problema di fiducia. Un problema di fiducia non solo a livello europeo, ma soprattutto tra le istituzioni politiche in generale. Questo rappresenta una sfida importante per tutti i centri decisionali politici, che devono assumersi una grande responsabilità. Dimostrando la propria determinazione si possono fornire risposte forti e valide: per evitare il centro molle e il falso consenso. Difendendo con coraggio, per l’Europa, questa politica di equilibrio, questa politica di rispetto delle differenze che esistono in Europa.
Ci sono differenze in Europa. Ci sono differenze tra i nostri Stati membri che talvolta hanno interessi nazionali contraddittori. È la verità. Ed è assolutamente legittimo per un governo difendere i propri interessi nazionali. Si pone quindi una domanda: com’è possibile dimostrare che essi potranno avere maggiori risultati, a livello nazionale, se anche l’Europa sarà più forte? Esistono anche, talvolta, differenze ideologiche, che sono del tutto legittime. Ma al di là di tali differenze ideologiche, riusciremo a coagulare un consenso più forte a favore dell’Europa?
Credo di sì. La Commissione lo fa ogni giorno con i colleghi di 27 paesi, con diversi contesti culturali e nazionali, e con diverse ideologie. Lavoriamo ogni giorno con determinazione per l’interesse europeo. Con voi, rappresentanti eletti direttamente dai cittadini, potremo fare di più per un’Europa che rappresenta questo spirito: un’Europa della solidarietà, un’Europa della convinzione, un’Europa che, allo stesso tempo, è l’Europa del mercato unico e l’Europa della coesione.
Presidente . – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Jean-Pierre Audy (PPE), per iscritto. – (FR) Ho apprezzato molto l'intervento improntato al futuro che ha pronunciato il Presidente Barroso sullo stato dell'Unione. Ad ogni modo, è un peccato che non sia stato affrontato il tema della relazioni con gli Stati membri in modo da rassicurare i cittadini, garantendo loro che le strategie approvate vengano effettivamente messe in atto. Si creerà certamente smarrimento tra i cittadini dinanzi ad una serie di diversi elementi globali, nazionali, comunitari ed intergovernativi. Sono molto lieto per la proposta sul fondo d'investimento, che ci consentirà di muoverci in direzione di una strategia d'investimento comunitaria per i prossimi dieci anni. Il fondo offre la prospettiva di effettuare investimenti programmati di 1 000 miliardi di euro in dieci anni in un'Unione europea che non investe abbastanza. È ora di pensare al futuro del continente, ovverosia l'Europa, in maniera congiunta: abbiamo 27 eserciti e nessun nemico, un'unica unione doganale e 27 amministrazioni doganali – e l'elenco potrebbe continuare. Mi dispiace, infatti, che il Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy non sia presente al dibattito. Propongo, infine, la creazione di un organismo, che forse potrebbe chiamarsi "congresso UE", costituito dal Parlamento europeo insieme alle delegazioni dei parlamenti nazionali e dai governi, in cui potrebbero essere pronunciati i discorsi futuri sullo stato dell'Unione, coinvolgendo quindi più direttamente gli Stati membri sul futuro del continente.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Annunci come quello fatto oggi dal Presidente della Commissione europea, il quale ha dichiarato che il peggio della crisi è ormai alle spalle, si susseguono con la stessa cadenza delle immancabili smentite inflitte dalla realtà. In verità l’Unione europea è ancora immersa in una profonda crisi di cui non si intravede la fine, come dimostrano i crescenti livelli di disoccupazione e povertà registrati in molti paesi. Il Presidente della Commissione oggi è venuto a parlarci del futuro dell’Unione. Ma lo ha fatto annunciando la ripresa delle prassi e delle politiche del passato – quelle stesse che ci hanno condotto alla tetra attualità: il patto di stabilità e di crescita; le cosiddette riforme strutturali, in altre parole l’attacco ai diritti sociali e del lavoro; il “consolidamento del mercato interno” ossia il perpetuarsi della liberalizzazione e della privatizzazione; la liberalizzazione e la deregolamentazione del mercato internazionale; e la rapida progressione degli interventi esterni dell’Unione europea, anche di quelli militari. Opzioni di questo tipo non potranno che esacerbare la crisi sociale ed economica, sia a livello di Unione europea che a livello globale. Sono opzioni che lavoratori e opinione pubblica respingono, come risulta evidente dalle proteste che hanno interessato molti paesi, con milioni di persone che manifestavano contro le misure proposte adesso dal Presidente Barroso.
András Gyürk (PPE), per iscritto. – (HU) Nel suo intervento il Presidente ha menzionato le azioni prioritarie da intraprendere nell’ambito della politica energetica. Consentitemi di fare tre osservazioni a riguardo. In primo luogo, concordiamo sul fatto che sono indispensabili progetti infrastrutturali, ma continuiamo a non capire quale livello di risorse comunitarie l’Unione europea accantonerà a tale scopo. L’interconnessione delle reti e la costruzione del corridoio meridionale per il trasporto del gas sono obiettivi considerevoli, ma rimarranno lettera morta se, oltre agli sforzi del settore privato, l’Unione non assumerà impegni finanziari. Non possiamo certo sottovalutare l’importanza dei negoziati sul bilancio dei prossimi sette anni.
In secondo luogo, nei documenti sulla strategia energetica dell’Unione non riscontriamo alcun interesse per la creazione di posti di lavoro. Eppure è essenziale dare la priorità a quei progetti che, oltre a rispettare altri criteri, creino anche nuovi posti di lavoro. Il piano di stimolo pari a quasi 4 miliardi di euro non ha soddisfatto le nostre aspettative in materia. Mentre le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) con il loro modesto potenziale di creazione di posti di lavoro hanno ricevuto un generoso sostegno, gran parte dei progetti sulla promozione dell’efficienza energetica, che creano posti di lavoro, sono comparsi soltanto per la prima volta nella normativa complementare.
Ultimo ma non meno importante punto, ci si è espressi con magniloquenza sul fatto che un giorno la carica delle batterie per le automobili elettriche sarà naturale nell’Unione europea come lo è oggi fare un pieno di benzina. Ma questo richiederà sforzi considerevoli da parte dei legislatori. Dobbiamo abbattere gli enormi ostacoli legislativi e di standardizzazione che si oppongono alle tecnologie rinnovabili, e sarà necessario ampliare i programmi di ricerca e sviluppo.
Edit Herczog (S&D), per iscritto. – (HU) È positivo che anche l’attuale situazione economica dell’Europa centro-orientale venga valutata più positivamente; ma sarebbe prematuro pensare che la crisi sia ormai alle spalle. Anche le prospettive economiche dell’Ungheria sono migliorate, benché la valutazione dell’attuale situazione economica del paese sia peggiorata. Sono aumentate infatti le aspettative di inflazione per i prossimi sei mesi. L’Ungheria quindi è l’unico paese per il quale non si preveda un calo dei tassi di interesse a breve termine. Questa tendenza sfavorevole è ulteriormente intensificata dalla rivalutazione del franco svizzero, dal momento che gran parte dei mutui è denominata in questa valuta. Ogni Stato della regione adesso sta effettuando tagli alla spesa, con gravi conseguenze sociali.
Si prevede che la Repubblica ceca abbia maggiori possibilità di successo. Le previsioni per l’Ungheria, però, sono caute: le probabilità di successo del pacchetto di tagli in Ungheria sono piuttosto scarse. Un attento esame della proposta presentata al Presidente dell’Unione europea da nove Stati membri rappresenta una questione importante per i paesi della regione. Nella proposta presentata si evidenzia il fatto che i calcoli relativi al debito nazionale devono riflettere i costi delle riforme del sistema pensionistico già adottate. Il libro verde sulle pensioni elaborato dalla Commissione, partendo dalla constatazione delle sfavorevoli tendenze demografiche europee, chiede con urgenza la riforma del sistema pensionistico, eppure il metodo utilizzato attualmente rappresenta uno svantaggio per i paesi dell’Europa centrale che stanno già introducendo tali riforme. Chiedo quindi al Parlamento europeo di seguire da vicino gli sviluppi in materia.
Stavros Lambrinidis (S&D), per iscritto. – (EL) Presidente Barroso, i costi derivanti dalle azioni intraprese per mettere fine alla crisi devono essere divisi equamente, giacché non è possibile superare unilateralmente questa crisi apportando tagli che, inevitabilmente, faranno aumentare la disoccupazione in alcuni Stati membri (con conseguenti benefici per le economie di altri Stati membri). Abbiamo bisogno piuttosto di uno sviluppo equo che, in un periodo di tagli alla spesa, comporta il reperimento di nuovi fondi per gli investimenti. Per raggiungere effettivamente tali obiettivi, al prossimo vertice del G20 l’Unione europea dovrà promuovere due politiche molto specifiche, sia a livello di Stati membri che su scala internazionale, e dovrà farlo, una volta per tutte, con forza e determinazione. In primo luogo dovrà adottare azioni decise per contrastare i paradisi fiscali. È intollerabile che nei nostri paesi lavoratori e pensionati subiscano gravi tagli, mentre pochi privati e imprese sottraggono alle nostre economie almeno mille miliardi con questa forma di evasione fiscale “legale”. In secondo luogo, c’è bisogno di un’imposta sulle transazioni di credito, affinché i responsabili di questa crisi paghino finalmente il dovuto. Un’imposta pari allo 0,05 per cento a livello mondiale produrrebbe più di 400 miliardi di euro all’anno di introiti essenziali per favorire l’occupazione e la crescita sostenibile negli Stati membri.
Iosif Matula (PPE), per iscritto. – (RO) La principale preoccupazione dei cittadini in questo momento è quella di superare la crisi economica e le sue nefaste conseguenze. Per questo motivo sostengo incondizionatamente la realizzazione di una governance economica europea, che possa aiutarci a uscire dalla crisi. Le istituzioni dell’Unione europea devono disporre delle risorse necessarie per agire. Sono favorevole alla creazione di strutture permanenti necessarie a gestire le crisi, come quelle proposte dalla Commissione europea. Le istituzioni dell’UE devono altresì monitorare il rispetto del patto di stabilità e di crescita, nonché la disciplina fiscale. Le decisioni adottate da uno Stato in materia di bilancio e di economia esercitano un impatto diretto sulla situazione economica di tutti gli Stati membri (come dimostra la crisi greca e come sancisce lo stesso trattato di Lisbona). In futuro, le analisi economiche effettuate per tempo dagli esperti della Commissione europea potrebbero rivelarsi utili per scongiurare e superare le crisi. L’avvio del “semestre europeo” offrirà agli Stati membri l’occasione di sfruttare a proprio vantaggio le analisi e le valutazioni professionali effettuate sui bilanci e sulla loro prestazione macroeconomica, affinché il dialogo tra la Commissione europea e i governi degli Stati membri diventi estremamente utile. Vorrei sottolineare che la realizzazione di una governance economica a livello europeo dovrà aiutare gli Stati che si trovano in una situazione difficile. Qualsiasi crisi diventa un banco di prova dei principi di solidarietà e di responsabilità, nonché della coerenza e dell’efficienza dell’Unione europea.
Kristiina Ojuland (ALDE), per iscritto. – (ET) Presidente della Commissione, il suo intervento di oggi è stato straordinario. Mi ha ricordato i bei tempi del Soviet in cui i discorsi abbondavano sempre quando la situazione economica peggiorava. Si sentono ancora gli incitamenti all'espansione, alla crescita e al miglioramento. Invece di "partito comunista", lei usa il termine "Commissione europea". Il suo intervento di oggi è stato assolutamente fuorviante e populista, ha fatto appello a tutti gli schieramenti politici, dalla sinistra fino all'estrema destra. Ha parlato di giustizia sociale, dell'economia sociale di mercato e delle modalità in cui la Commissione europea garantirà la creazione di posti di lavoro. Secondo me, non ci crede nemmeno lei a quello che dice. Da quando la Commissione Europea crea posti di lavoro? Da quando i governi degli Stati membri creano lavoro? Per quanto ne so, sono ancora gli imprenditori che creano occupazione, una categoria che, tra l'altro, non ha nemmeno menzionato nel suo discorso! Perché inganna i cittadini europei, promettendo loro giustizia sociale in una situazione in cui l'economia è appesa ad un filo? Invece di dare lo zuccherino alla gente, promettendo loro una vita migliore, lei dovrebbe dire la verità: fondamentalmente le persone devono fare affidamento su di sé, lavorare più alacremente e compiere uno sforzo per mantenere competitività nel mercato del lavoro. Mi aspettavo che avrebbe detto qualcosa a sostegno egli imprenditori europei dinanzi all'intensificazione della concorrenza globale, annunciando una diminuzione della pressione fiscale e la semplificazione delle norme. Devo dire che il suo discorso mi ha delusa.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) Abbiamo assistito alla prima discussione sullo stato dell’Unione, che era indubbiamente necessaria, e mi auguro che l’iniziativa si ripeta in futuro. Nutro alcune riserve però sui progressi e sul contenuto della discussione. In primo luogo credo che il Presidente Barroso abbia fatto riferimenti sporadici all’attuale stato dell’Unione; ha parlato molto invece delle sfide future e, a mio avviso, le sue affermazioni sono state troppo generiche. Il suo intervento non ha fatto riferimento, tra l’altro, al trattato di Lisbona e ai suoi effetti sulla funzione dell’Unione e sulle sue istituzioni. L’intervento del Presidente Barroso inoltre mancava di un’analisi approfondita della difficile situazione economica venuta a crearsi in Europa in seguito, tra l’altro, alla mancata osservanza del patto di stabilità e di crescita nei paesi della zona dell’euro. È anche opportuno ricordare che la Commissione europea non ha esercitato un efficace monitoraggio sull’osservanza del patto – una cosa curiosa dal momento che il Presidente Barroso era già in carica nella legislatura precedente, come del resto il Vicepresidente Almunia, che è stato Commissario per gli affari economici e monetari e adesso è Commissario alla concorrenza. Com’è possibile che la Commissione, il cui personale conta centinaia di persone, non abbia notato le irregolarità, per esempio in Grecia? Mi sembra strano, anche tenendo conto della scarsa reazione nei confronti dei maggiori Stati membri che hanno spesso violato le raccomandazioni del patto e i criteri di convergenza.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho apprezzato l’intervento del Presidente della Commissione davanti al Parlamento, ma critico la sua posizione sulla tragica situazione dei rom in Francia. È stato un errore non menzionare la decisione del governo francese.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Gli europei stanno vivendo momenti drammatici, caratterizzati da un tasso di disoccupazione estremamente alto, da una debole crescita economica e dalla fragilità delle finanze pubbliche. Inoltre, essi non sentono di condividere il progetto europeo e il lavoro delle istituzioni europee. La situazione potrà cambiare soltanto se i nostri concittadini sentiranno nuovamente di rientrare fra le priorità dell’Unione europea, come è stato affermato da quelle stesse istituzioni, e crederanno che tali priorità siano realizzabili.
Questo primo intervento del Presidente della Commissione sullo stato dell’Unione dimostra il suo impegno a riaffermare tali obiettivi negli orientamenti da seguire per la politica a breve e a medio termine. Sono convinto che, con l’impegno di tutti, potremo approfittare di questi momenti difficili per infondere nuove speranze ai nostri cittadini. La strategia Europa 2020 è un’occasione unica per farlo, ma avrà un senso soltanto se, oltre ad avere obiettivi ambiziosi, essa disporrà delle risorse necessarie a realizzarli.
Una forte crescita economica sarà cruciale per rispettare i piani di stabilità e di crescita, e potrà essere stimolata dalle riforme e dagli investimenti che sono alla base della nuova strategia; essi favoriranno infatti la coesione territoriale riducendo gli attuali squilibri tra gli Stati membri e tra le regioni, soprattutto le più vulnerabili come le regioni ultraperiferiche.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) L’Unione europea è fondata su un’economia sociale di mercato. Sia lo sviluppo economico che quello sociale dell’Unione dipendono da un mercato aperto e competitivo, e dall’esistenza di posti di lavoro che quantitativamente e qualitativamente possano assicurare una vita decorosa. La crisi economica e finanziaria ha esercitato un impatto enorme sull’occupazione dell’Unione europea. Negli ultimi due anni la disoccupazione ha registrato una drammatica impennata, passando dal 6,8 per cento (maggio 2008) al 10 per cento (luglio 2010). È proprio questo il motivo per cui la principale preoccupazione dei cittadini europei è quella di conservare il posto di lavoro. Per creare nuova occupazione è necessario effettuare investimenti considerevoli in settori che possano stimolare la competitività europea. Credo che le priorità dell’Unione europea in materia di investimenti debbano essere l’ammodernamento e lo sviluppo delle infrastrutture energetiche e di trasporto, l’agricoltura, l’istruzione e la sanità, la coesione sociale ed economica e una politica industriale ecoefficiente e competitiva per garantire uno sviluppo sostenibile. Tali priorità tuttavia devono riflettersi sui bilanci nazionali e su quello dell’Unione europea. L’Unione inoltre deve includere tra i propri obiettivi una maggiore efficienza energetica e una minore dipendenza energetica dai tradizionali fornitori di energia, per accrescere la competitività dell’UE e creare posti di lavoro.
(La seduta, sospesa alle 11.55, riprende alle 12.05)
Presidente. – Signor Presidente, signora Touré, Eccellenze, Commissario, Ministro, onorevoli colleghi, ho il grande piacere di presentarvi Sua Eccellenza Amadou Toumani Touré, Presidente della Repubblica del Mali, e la sua consorte. La visita odierna al Parlamento europeo non è la prima del Presidente; era già venuto un anno e mezzo fa, nell’aprile del 2009. Oggi però, per la prima terrà un discorso.
Il discorso odierno riveste particolare importanza perché precede di poco il vertice delle Nazioni Unite che si terrà a New York tra due settimane al fine di un riesame degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Ricordiamo inoltre gli avvenimenti degli ultimi mesi e anni collegati al terrorismo. Siamo perfettamente consapevoli del ruolo fondamentale che la Repubblica del Mali svolge nella lotta al terrorismo e non dimentichiamo che il processo di democratizzazione del paese è stato un autentico successo, una conquista esemplare sulla via della democrazia. Desidero sottolinearlo di nuovo: gli avvenimenti degli inizi degli anni Novanta hanno avuto luogo proprio grazie alla guida del Presidente Touré, consentendo l’introduzione di un sistema democratico e di un’economia di mercato dopo 23 anni di dittatura militare. Sappiamo molto bene che resta ancora molto da fare in tal senso. Abbiamo tutti da imparare e stiamo attraversando un periodo di cambiamenti; ci rendiamo conto che la riforma rappresenta un processo continuo, come possiamo constatare noi stessi nell’Unione europea e deve essere tale anche nella Repubblica del Mali. Siamo dunque certi che il suo discorso odierno sarà significativo, non soltanto sul piano dell’attuale situazione in Africa e del ruolo che il suo paese può svolgere in quanto simbolo dell’intero continente nel percorso verso uno sviluppo democratico e liberale, ma anche per noi europei. Vogliamo elaborare politiche all’avanguardia per i paesi che necessitano di sostegno; vogliamo essere in prima linea per i paesi che propugnano la democrazia, la tutela dei diritti umani e dei valori fondamentali, perché noi europei vi crediamo profondamente. Sono convinto che le aspirazioni dei nostri cittadini siano simili a quelle dei cittadini malesi. Signor Presidente, a lei la parola.
Amadou Toumani Touré, Presidente della Repubblica del Mali. – (FR) Signor Presidente, Presidente Barroso, signora Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Commissario per lo sviluppo, onorevoli membri del Parlamento europeo, onorevoli parlamentari del Mali, vorrei iniziare porgendo le mie congratulazioni al Presidente Buzek per essere stato eletto alla guida del Parlamento europeo. Desidero però ringraziare soprattutto i presidenti dei gruppi politici e l’intera Assemblea per avermi onorato dell’invito a condividere con voi, innanzi tutto, le mie riflessioni su alcune delle principali sfide che il Mali e l’Africa fronteggiano e, in particolar modo, a illustrarvi gli sforzi che il mio paese compie quotidianamente per individuare le soluzioni appropriate.
Onorevoli deputati, il Mali occupa una superficie di 1 240 000 km2 e si trova nel cuore nell’Africa occidentale, delimitato da una frontiera di 7 000 km che condivide con 7 paesi; la prestigiosa storia del Mali, paese caratterizzato da una civiltà antichissima e da un patrimonio culturale ricco e variegato, potrebbe essere esemplificata da numerosi eventi, svolte e simboli.
Vorrei citarne uno: la Carta di Kurukan Fuga che, adottata 776 anni fa, quando Sundiata Keita fondò l’impero malese nel 1236, presentava tutti i tratti di una costituzione: codificava la ripartizione dei poteri, le limitazioni e gli obblighi, la tutela dei diritti umani e delle libertà civili, la protezione delle attività professionali, della persona e dei beni.
Uno degli articoli è stato formulato nel seguente modo, e cito: "La persona umana è sacra e inviolabile". Si proclama dunque, con qualche secolo di anticipo, uno dei principi su cui si sarebbero poi fondate le costituzioni democratiche contemporanee. Mi premeva ricordarlo in questa illustre sede di espressione democratica che è il Parlamento europeo.
La storia del Mali passa anche per Timbuctu: la misteriosa città dei 333 santi, che nel XVI secolo ospitava già 25 000 studenti, venuti da svariati paesi per ascoltare gli studiosi all’ombra dell’antica moschea di Sankore e del suo complesso universitario.
Mahmoud Kati, autore del Tarikh al-fattash, descrive così quell’epoca: "Timbuctu era nota per la forza delle istituzioni, le libertà politiche, la sicurezza di beni e persone, la magnanimità e la compassione dimostrate ai poveri e agli stranieri, la cortesia verso gli studenti e gli uomini di scienza nonché l’assistenza loro offerta".
Nel 2006 Timbuctu è stata proclamata capitale della cultura islamica.
Il Mali è inoltre sinonimo della regione dei Dogon, nota in tutto il mondo per le straordinarie bellezze naturali e la ricchezza culturale, che ne fanno la principale meta turistica del nostro paese.
La storia del Mali è caratterizzata anche dagli antichi rapporti del paese con l’Europa. Ne è un esempio l’imperatore Mansa Musa, più conosciuto con il nome di Kanku Musa, che avviò le relazioni diplomatiche con il Portogallo nel XIV secolo.
Signor Presidente, onorevoli deputati, poiché ho l’opportunità di rivolgermi a voi, rappresentanti eletti dell’Europa, desidero esprimere la profonda gratitudine del popolo malese per la qualità e il livello della cooperazione tra l’Unione europea e il Mali.
L’UE è il principale partner per lo sviluppo del mio paese; siamo infatti i secondi beneficiari del Fondo europeo per lo sviluppo (FES) nell’Africa sub-sahariana.
Vorrei esprimervi il mio compiacimento soprattutto per l’ottima attuazione della nostra cooperazione.
Le risorse del nono Fondo europeo per lo sviluppo, ad esempio, sono state assegnate per intero, mentre l’attuazione del decimo FES, avviata quasi due anni fa, procede a ritmi serrati.
Signor Presidente, onorevoli deputati, gli esiti della nostra cooperazione hanno un’incidenza diretta sulla qualità della vita dei cittadini, oltre a consolidare le fondamenta della nostra democrazia.
Il processo democratico del paese, iniziato dopo gli avvenimenti che condussero al colpo di Stato del 26 marzo 1991, è stato scandito da una serie di passaggi fondamentali, tra cui la transizione democratica avvenuta tra il putsch e l’8 giugno 1992 e completata nel rispetto delle scadenze e degli impegni presi.
A seguito di una fase di transizione durata 14 mesi, nel 1992 si sono svolte elezioni libere e democratiche; dieci anni dopo, nel 2002, ho assunto il mio incarico, al termine di una consultazione presidenziale che ha segnato il primo passaggio di consegne pacifico e democratico del Mali.
Onorevoli deputati, dopo la mia elezione ho proposto alla comunità politica malese una forma di amministrazione consensuale, la cui filosofia si basava essenzialmente sulla seguente formula: governare insieme nel rispetto delle reciproche differenze.
L’esperienza del Mali è unica perché non rappresenta il frutto di una cristi post-elettorale: si sta intervenendo in modo consapevole e deliberato per rispondere all’esigenza di un impegno comune di politica, società e comunità verso l’ulteriore sviluppo del paese.
Dal mio punto di vista, il potere deve essere una forza di coesione anziché di divisione; si deve altresì mostrare rispetto per le libertà fondamentali nel loro complesso.
Mi corre l’obbligo di precisare che il consenso politico da noi raggiunto, dietro mia proposta, non equivale all’unanimità. Il concetto di consenso è più affine a quello di compromesso.
Il consenso politico nel Mali rappresenta un tentativo avanzato di costruire un sistema politico nuovo e in continua evoluzione in Africa: mi riferisco, a tale proposito, alle grandi coalizioni di governo.
L’esperienza del mio paese è consistita nel riunire tutti i gruppi politici attorno al progetto di un Presidente eletto indipendentemente.
Il consenso politico ha consolidato le fondamenta della riconciliazione tra gli attori principali della comunità politica e le istituzioni repubblicane, da un lato, e tra i politici stessi, dall’altro.
Signor Presidente, onorevoli deputati, con questo stesso spirito di consenso abbiamo inaugurato l’impegno volto a cementare la democrazia nel paese, dopo venti anni di pratica.
Il comitato di esperti incaricato di osservare questo processo ha tenuto incontri con la comunità politica, la società civile, i gruppi religiosi, i sindacati e le istituzioni tradizionali.
Le riforme proposte al termine delle consultazioni mirano essenzialmente al raggiungimento dei seguenti obiettivi: porre rimedio alle mancanze e alle debolezze evidenziate nella prassi istituzionale; ottenere un’elevata affluenza alle urne e ridurre i costi delle elezioni; accrescere le capacità dei partiti politici; elaborare uno statuto dell’opposizione e del suo capo. Le riforme saranno oggetto di un referendum costituzionale che, ovviamente, si terrà dopo l’adozione da parte dell’Assemblea nazionale del Mali.
Mi sembra un’occasione appropriata per rendere omaggio, in questa sede e al vostro cospetto, ai parlamentari malesi, con cui intrattengo rapporti eccellenti, indipendentemente dalla loro appartenenza alle fila della maggioranza presidenziale o dell’opposizione. Consentitemi di esprimere loro la mia sincera gratitudine per aver acconsentito ad accompagnarmi qua a Strasburgo.
(Applausi)
Signor Presidente, onorevoli deputati, la decentralizzazione svolgerà sempre un ruolo di primo piano nello sviluppo politico e istituzionale del Mali. Desidero precisare che i nostri grandi imperi (e ne abbiamo avuti numerosi a partire dal X secolo) erano tutti decentralizzati: nel nostro paese la decentralizzazione è dunque una realtà.
I primi modelli di decentralizzazione elaborati e attuati dal Mali si fondavano sui seguenti elementi: innanzi tutto, il concetto fondante che la volontà politica deve essere in armonia con la decentralizzazione e che quest’ultima non può andare a buon fine senza la "deconcentrazione", da attuarsi per gradi. Essa non può riuscire senza l’elaborazione e l’attuazione di profonde riforme, intese a migliorare la governance economica e sociale, in particolar modo a livello locale; non può riuscire senza il continuo sostegno, finanziario e soprattutto tecnico dell’Unione europea.
Il Progetto di sostegno alla riforma amministrativa (Projet d’appui à la réforme administrative, PARAD) e il Programma di sviluppo istituzionale (Programme de développement institutionnel, PDI) hanno entrambi beneficiato del sostegno europeo; Le due iniziative contribuiscono a migliorare l’organizzazione statale e modernizzare l’amministrazione pubblica rafforzandone le capacità.
Il Mali comprende 703 comuni urbani e rurali, 49 circoscrizioni (unità territoriali cui fanno capo diversi comuni), 8 regioni e 1 distretto, amministrati rispettivamente da consigli comunali, consigli di circoscrizione e assemblee regionali. L’Alto Consiglio delle comunità territoriali fa sì che gli organi decentralizzati siano rappresentati a livello nazionale; si prevede inoltre l’istituzione di un senato nell’ambito delle riforme politiche proposte per promuovere la decentralizzazione.
Al fine di sostenere lo sviluppo locale, un originale strumento finanziario chiamato Agenzia nazionale per l’investimento nelle comunità territoriali (Agence nationale d’investissement des collectivités territoriales, ANICT) ci ha consentito di realizzare numerose strutture per la collettività e, cosa ancora più importante, di fornire alle nostre comunità servizi sociali di base.
Signor Presidente, onorevoli deputati, desideravo affrontare anche il problema dell’immigrazione di fronte a questa illustre Assemblea. La migrazione riguarda tutti noi, perché si articola a più livelli per ciascuno di noi e dei nostri paesi: essa assomma in sé problemi economici e demografici, considerazioni sociali e umanitarie, timori per l’identità e la sicurezza.
Oggi il nostro compito sta nell’individuare i punti di interesse comune e gli incentivi che consentiranno di fare della migrazione uno stimolo alla crescita e al benessere generali dei nostri due continenti. È questa la sfida che ci troviamo ad affrontare.
La fuga dei cervelli impone il costo più elevato ai paesi africani, data la penuria di personale qualificato in vari settori, fra cui l’istruzione e soprattutto l’assistenza sanitaria. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), nel 40 per cento dei paesi africani la quota di laureati che si trasferisce all’estero è pari al 35 per cento, se non superiore.
A scanso di equivoci, vorrei però precisare che gli africani si muovono principalmente all’interno del loro continente: su una popolazione stimata a 1 miliardo, appena 2 milioni di cittadini provenienti dall’Africa sub-sahariana vivono in Europa.
La tragedia di questi giovani, delle donne e delle ragazze, che tentano di attraversare il deserto, i mari e gli oceani per approdare al paradiso dell’Europa, esponendosi a ogni genere di pericoli (fra cui scafisti senza scrupoli, perdonatemi la durezza), resta impressa nelle nostre menti. Quanti sono morti di sete? Quanti sono morti inghiottiti dal mare?
Non c’è statistica che possa rispecchiare questa realtà.
(Applausi)
Per citare l’esempio del mio paese, il Mali, dove immigrazione ed emigrazione hanno un’incidenza elevata, dei 4 milioni di malesi 3,5 vivono nel continente africano, mentre 200 000 circa sono sparsi tra l’Europa intera e il resto del mondo.
Sul piano economico, le rimesse derivanti dalla diaspora malese sono stimate a 456 milioni di euro l’anno, ossia l’11 per cento del PIL, secondo uno studio condotto dalla Banca africana di sviluppo nel 2005. La stessa fonte ci informa che le rimesse corrispondono all’85 per cento degli aiuti ufficiali allo sviluppo ricevuti dal Mali ogni anno.
Signor Presidente, onorevoli deputati, approfitto di questa opportunità per esprimere il mio apprezzamento per la qualità del dialogo politico tra l’Unione europea e il Mali in materia di migrazione.
Il co-sviluppo è una conquista preziosa: esso consente a molti dei nostri partner di finanziare progetti di formazione professionale rivolti ai giovani in vari settori occupazionali e di sostenere le iniziative imprenditoriali a livello locale, senza dimenticare i programmi di reinserimento degli emigrati rimpatriati.
Il dialogo politico sulla migrazione tra l’Unione europea e l’Africa occidentale ci ha permesso di inaugurare un progetto pilota con l’istituzione del Centro di informazione e gestione delle migrazioni (Centre d’information et de gestion des migrations, CIGEM) a Bamako. Il centro ha le seguenti finalità: migliorare le conoscenze sul tema delle tendenze della migrazione; offrire alloggio, consulenza, assistenza e sostegno ai migranti, potenziali e rimpatriati; fornire informazioni sulle condizioni giuridiche della migrazione; sensibilizzare i cittadini alla prevenzione dell’immigrazione clandestina; sviluppare le risorse umane, finanziarie e tecniche dei malesi all’estero.
Signor Presidente, onorevoli deputati, la sicurezza rappresenta un aspetto importante dei nostri rapporti con l’Unione europea. È dunque opportuno discutere con voi della regione del Sahel-Sahara, che pone adesso una minaccia comune, anche per l’Europa.
La regione copre una superficie di 8 milioni di km2, un quarto del continente africano, e si estende dalla Mauritania al Sudan passando per il Mali, il Burkina Faso, il Niger, l’Algeria, la Libia e il Ciad: la densità demografica per km2 è prossima allo zero, il suolo è tra i più ingestibili della zona e le catene montuose si estendono per centinaia di chilometri, mentre dune di sabbia ricoprono un’area di centinaia di migliaia di km2. Il territorio è dunque molto ostile e si caratterizza per l’aggressività del clima.
La temperatura può essere di appena 1° a dicembre e salire a 50° all’ombra da febbraio in poi.
La sola attività della regione resta l’allevamento intensivo, in uno degli ambienti più inospitali al mondo. La siccità di quest’anno ci è costata, ad esempio, il 50 per cento del bestiame che possediamo nella regione del Sahel-Sahara.
Le popolazioni autoctone vivono in condizioni precarie e i giovani non hanno altra scelta che arruolarsi in organizzazioni criminali di ogni sorta; restano dunque una delle principali preoccupazioni.
Il Mali è situato nella parte centro-occidentale del Sahel-Sahara, che si estende per 650 000 km2 e occupa così il 70 per cento della superficie del paese.
Il Mali è una zona di transito e oggi desidero affermare con forza che anche il mio paese è allo stesso tempo ostaggio e vittima dei pericoli transfrontalieri che provengono da altrove e sarebbero essenzialmente destinati ad altri luoghi e continenti. Mi riferisco innanzi tutto al contrabbando di sigarette, alla tratta di immigrati clandestini verso l’Europa, agli stupefacenti che giungono dall’America Latina e ai gruppi salafiti magrebini.
Questi rischi si manifestano sotto forma di rapimenti e omicidi, ma il loro tratto saliente è l’estrema mobilità lungo i confini tra paesi.
Nessuno dei pericoli che ho appena citato nasce nel nostro paese, nessuno è destinato direttamente a noi. Il Mali è un paese laico, in cui vive, ovviamente, un’ampia maggioranza di religione musulmana. L’Islam viene praticato fin dal IX secolo; è stato sempre praticato pacificamente e, soprattutto, nel rispetto della persona.
Non possiamo dunque capire il fondamentalismo islamico che viene predicato nella regione del Sahel-Sahara.
(Applausi)
Il fondamentalismo non ha ancora esercitato un impatto religioso significativo, ma per quanto tempo ancora? È questo l’interrogativo cui dobbiamo rispondere.
Signor Presidente, onorevoli deputati, i paesi del Sahel-Sahara, tra cui il Mali, mobilitano da tempo risorse umane, materiali e finanziarie per arginare il fenomeno dell’insicurezza, la cui natura transnazionale, va riconosciuto, sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti. La portata del fenomeno è tale da giustificare l’elaborazione e l’adozione, da parte del Mali, di una politica nazionale intesa a contrastare l’insicurezza e il terrorismo nella regione del Sahel-Sahara.
Tale politica si baserà essenzialmente sui seguenti fattori: innanzi tutto, il sostegno agli abitanti affinché assumano il controllo della politica di sicurezza; l’assistenza alle popolazioni vulnerabili, che si traduce nel soddisfacimento dei bisogni primari e, soprattutto, nell’accessibilità a lungo termine dei servizi sociali di base; l’adozione di nuove misure per l’attuazione di questa politica di sicurezza; il potenziamento dei programmi di recupero delle armi leggere e di piccolo calibro nel quadro della lotta alla proliferazione; l’instaurazione di una cooperazione sub-regionale, che ci consenta di agire a livello locale.
Per dimostrare l’estrema importanza dei problemi di sicurezza, il Mali ha creato un centro preposto all’elaborazione di analisi e ha elaborato una serie di proposte in merito alla lotta al terrorismo e ad altri pericoli, che riferisce al Presidente della Repubblica. L’iniziativa gode del sostegno dell’Unione europea, con cui ci congratuliamo e che ringraziamo, e di alcuni degli Stati membri qui rappresentati.
Abbiamo inoltre istituito un ufficio nazionale per la prevenzione del traffico di stupefacenti, rafforzando altresì il nostro arsenale giuridico.
Onorevoli deputati, in linea con le priorità strategiche del programma per la prevenzione del terrorismo e dell’insicurezza, il Mali ha introdotto un programma di emergenza (denominato PIRIN) inteso a ridurre l’insicurezza e contrastare il terrorismo nella parte settentrionale del paese nel periodo dal 2010 al 2012.
La finalità complessiva di PIRIN è ridurre significativamente, se non eliminare del tutto, le cause di insicurezza nel Mali settentrionale attraverso l’attuazione di misure efficaci nel settore della sicurezza e, mi permetto di sottolineare, dello sviluppo comunitario.
La strategia elaborata si fonderà sui seguenti elementi: in primo luogo una presenza responsabile e, soprattutto, razionale dell’amministrazione statale; la maggiore mobilità delle truppe impegnate in azioni di prevenzione o intervento; una copertura mirata della zona obiettivo grazie alle infrastrutture per le forze armate e di sicurezza; la mobilitazione della società al fine di arginare l’influenza delle sette religiose e dei gruppi criminali.
Per quanto riguarda il finanziamento del programma di emergenza, il governo della Repubblica del Mali e le autorità locali si faranno carico, per parte nostra, dei costi derivanti dal personale, dalle operazioni nonché dalle strutture amministrative, sociali e comunitarie.
Il progetto sarà gestito da un organo ad hoc che assumerà la configurazione di una task force, in grado di ricevere sostegno finanziario settoriale e di coordinare i vari soggetti e dipartimenti ministeriali.
Onorevoli deputati, la gestione del territorio del Sahel-Sahara dipende essenzialmente da un’analisi lucida e oggettiva, che si articoli (cosa più importante) all’interno di un progetto comune. Proprio per questo motivo, nel 2006 ho proposto personalmente una conferenza sullo sviluppo e la pace nel Sahel-Sahara.
Oggi dobbiamo condividere questa responsabilità: nessun paese della zona ne è esente, nessun paese può agire da solo contro i numerosi pericoli.
Nondimeno è importante porre l’accento sulla grave mancanza di cooperazione a livello sub-regionale dinanzi alle sfide transfrontaliere.
È altresì essenziale sottolineare che la lotta al terrorismo non si riduce alla sola sicurezza; abbiamo constatato i limiti di tale approccio.
La lotta al terrorismo consiste essenzialmente nell’impegno e nella partecipazione di rappresentanti eletti, autorità locali e cittadini. Il fulcro del processo è tuttavia lo sviluppo a livello locale, che ci consentirà di offrire alternative alle comunità del nord, con particolare riguardo ai giovani.
La formazione ci permetterà senza dubbio di potenziare le nostre capacità operative, logistiche e di raccolta delle informazioni, ma la lotta alle reti criminali spetta sostanzialmente ai paesi situati nella regione del Sahel-Sahara.
Signor Presidente, onorevoli deputati, ho già sottolineato l’esigenza di offrire un futuro migliore agli abitanti delle zone aride nel Sahel-Sahara. Desidero aggiungere che l’aspirazione al progresso sociale e al benessere è condivisa da tutti i nostri compatrioti.
Proprio per tale motivo le questioni legate allo sviluppo, e in particolare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio, devono essere affrontante ai massimi livelli.
Il Mali ha intrapreso svariate misure volte ad accelerare il proprio programma, fra cui la cosiddetta iniziativa "Villages du Millénaire" (villaggi del millennio), varata dai 166 comuni rurali che si trovano ad affrontare il più elevato numero di problemi di sicurezza, e il progetto nel campo dell’assistenza sanitaria denominato COMPACT.
Pur sapendo che non tutti gli obiettivi saranno raggiunti, abbiamo compiuto progressi significativi sia nel Mali sia nel resto dell’Africa in settori quali l’istruzione, la riduzione del tasso di incidenza dell’AIDS e, in particolare, l’accesso all’acqua potabile.
Abbiamo aspettative elevate per il vertice che si svolgerà tra qualche giorno a New York, il cui obiettivo sarà imprimere una spinta all’attuazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio. A nostro parere, è essenziale concentrare gli sforzi sui paesi e le regioni che sono rimasti indietro, come sottolinea l’Unione europea nel pacchetto di primavera.
Signor Presidente, Presidente Barroso, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Commissario per lo sviluppo, onorevoli deputati del Parlamento europeo e onorevoli deputati del Parlamento malese, il Mali celebrerà tra due settimane il cinquantesimo anniversario dell’indipendenza. Per vostra curiosità, desidero ricordare che la Germania è stata di fatto il primo Stato a riconoscere il Mali due giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza, il 24 settembre 1960 per la precisione. Il mio paese è grato all’Unione europea per il ruolo notevole che essa ha svolto nel suo sviluppo.
L’onore che ci usate oggi invitandoci alla plenaria del vostro Parlamento alimenta la speranza che vorremo e riusciremo a spingerci anche oltre, in un contesto di fiducia e, soprattutto, amicizia.
Onorevoli deputati, vi ringrazio per la cortese attenzione.
Presidente. – La ringrazio, signor Presidente. Ha detto che guarda con favore al dialogo politico tra l’Unione europea e il Mali. Noi siamo della stessa opinione: siamo favorevoli al dialogo politico. Ha citato le riforme del suo paese. Le stesse riforme sono necessarie ovunque, anche nella nostra Unione europea. Ha fatto riferimento al raggiungimento di un compromesso politico per assicurare all’Africa un futuro migliore. Accogliamo con favore il suo auspicio, perché è esattamente l’obiettivo che stiamo perseguendo nell’UE e che perseguiamo da sessanta anni. Le rendiamo omaggio in quando vero rappresentante dell’Africa democratica. Grazie per essere venuto e per aver parlato alla nostra Assemblea.
Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)
6.1. Libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione - testo codificato (A7-0222/2010, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
6.2. Autenticazione delle monete in euro e trattamento delle monete non adatte alla circolazione (A7-0212/2010, Slavi Binev) (votazione)
6.3. Concessione di assistenza macrofinanziaria alla Moldova (A7-0242/2010, Iuliu Winkler) (votazione)
6.4. Sospensione temporanea dei dazi autonomi della tariffa doganale comune sulle importazioni di taluni prodotti industriali a Madera e nelle Azzorre (A7-0232/2010, Danuta Maria Hübner) (votazione)
6.5. Bilancio rettificativo n. 2/2010 - parte 1: BEREC (Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche) (A7-0240/2010, László Surján) (votazione)
6.6. Richiesta di revoca dell’immunità parlamentare di Viktor Uspaskich (A7-0244/2010, Bernhard Rapkay) (votazione)
- Prima della votazione:
Viktor Uspaskich (ALDE). – (LT) Onorevoli colleghi, sono vittima di un attacco politico. Il relatore mente affermando che non ho presentato prove. La commissione giuridica mi ha impedito di replicare alla relazione durante la sua riunione. È ufficialmente riconosciuto che sono oggetto di una persecuzione politica, ufficialmente ai sensi della Convenzione europea.
Il caso è stato aperto non dalla polizia, ma dal Dipartimento di Stato per la sicurezza, un’istituzione corrotta e politicizzata i cui uomini hanno tentato di prelevarmi illegalmente nella notte; durante le elezioni il tribunale mi impediva di incontrare gli elettori, ma ero autorizzato a recarmi in Thailandia e Indonesia. Il relatore vi chiede di sovvertire le sei decisioni precedentemente prese dal Parlamento europeo. Non è mai accaduto che quest’Assemblea revocasse l’immunità a un politico in casi come questo.
Non ho detto questo in sede di commissione, non mi è stato permesso di replicare alla decisione. Ho le mani legate. La decisione è stata presa in contumacia, come durante il regime di Stalin.
6.7. Accordo tra l’Unione europea e il Giappone sull’assistenza giudiziaria reciproca in materia penale (A7-0209/2010, Salvatore Iacolino) (votazione)
- Prima della votazione:
Salvatore Iacolino, relatore. − Signor Presidente, rassicuro tutti sulla brevità dell’intervento.
È il primo accordo fra Unione europea e Giappone, e quindi ha un valore simbolico non di poco rilievo. Si tratta di un’attività importante, che costituisce sicuramente un momento qualificante nel contrasto alla criminalità organizzata. È stato raggiunto un punto di equilibrio fra le esigenze più disparate che consentono di ritenere il prodotto assolutamente in linea con le attese.
Per questo, evidentemente, va approvato perché rappresenta sicuramente un passo concreto in linea con gli auspici di entrambi i popoli verso una modernizzazione della giustizia che passa proprio attraverso accordi bilaterali.
6.8. Interconnessione dei registri delle imprese (A7-0218/2010, Kurt Lechner) (votazione)
6.9. Sviluppare il potenziale occupazionale di una nuova economia sostenibile (A7-0234/2010, Elisabeth Schroedter) (votazione)
- Prima della votazione:
Elisabeth Schroedter, relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero richiamare la vostra attenzione sull’importanza storica di questa votazione. Noi, il Parlamento europeo, abbiamo preso l’iniziativa sull’occupazione verde e stiamo spianando la strada in tal senso, ampliando gli orizzonti dell’impiego sostenibile e del lavoro dignitoso.
Seguiamo così l’esempio della Blue Green Alliance negli Stati Uniti. Il cambiamento climatico creerà nuovi posti di lavoro, preservando quelli già esistenti. Sono sei le commissioni parlamentari che hanno collaborato alla stesura della relazione e desidero ringraziare tutti i relatori e i relatori ombra che hanno apportato un contributo diretto. Sono inoltre lieta che la Presidenza belga abbia già dichiarato di voler far propria l’iniziativa del Parlamento, affermando che il Consiglio la esaminerà con l’obiettivo di adottarla e inserirla nelle conclusioni durante il vertice di dicembre. Questa è l’iniziativa del Parlamento europeo per il futuro.
Rafał Trzaskowski, relatore. – (EN) Signor Presidente, vorrei soltanto ringraziare il presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, onorevole Harbour, per aver preso l’iniziativa su questo argomento. Ringrazio inoltre tutti i relatori ombra, la cui collaborazione è stata esemplare.
6.11. Clausola bilaterale di salvaguardia dell’accordo di libero scambio UE-Corea (A7-0210/2010, Pablo Zalba Bidegain) (votazione)
- Prima della votazione sulla risoluzione legislativa:
Pablo Zalba Bidegain, relatore. – (ES) Signor Presidente, l’accordo di libero scambio con la Corea del Sud aprirà nuove opportunità all’industria sia europea sia coreana. Nondimeno, per prevenire le eventuali ripercussioni negative sull’industria europea, è fondamentale dotarsi di una clausola di salvaguardia efficace.
La settimana scorsa tutti i gruppi politici hanno deciso all’unanimità che è il momento di prendere posizione, in seduta plenaria, sugli emendamenti adottati con 27 voti favorevoli e appena un’astensione lo scorso giugno in sede di commissione per il commercio estero; essi sono fondamentali affinché la clausola di salvaguardia sia applicabile ed efficace.
Come saprete, voteremo soltanto sugli emendamenti e, ai sensi dell’articolo 57, rimanderemo la votazione sulla relazione legislativa alla seconda tornata di ottobre.
Allo stesso tempo, abbiamo deciso unanimemente di non escludere del tutto un accordo in prima lettura, sulla cui fattibilità non nutriamo alcun dubbio. A tale scopo, è però fondamentale che tutti i gruppi politici inviino un segnale chiaro di unità e forza.
Proprio per questo è importante che l’intera Assemblea sostenga il pacchetto di emendamenti nel suo complesso.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, come già ricordato ieri dal Commissario De Gucht, la Commissione accoglie con favore la proficua cooperazione svoltasi con il Parlamento sul fascicolo. La votazione odierna riguarda soltanto gli emendamenti, e non l’intera proposta legislativa, per ravvicinare i punti di vista ed eventualmente raggiungere un accordo in prima lettura. Un primo dialogo a tre ha avuto luogo il 30 agosto, mentre il prossimo appuntamento è previsto per il 22 settembre circa.
In questa fase, la Commissione preferisce non pronunciarsi pubblicamente per far sì che i dialoghi a tre facciano il proprio corso; prenderà posizione, si esprimerà e formulerà commenti, ove necessario, al momento della votazione in prima lettura.
(La proposta è accolta)
6.12. Redditi equi per gli agricoltori: Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa (A7-0225/2010, José Bové) (votazione)
- Prima della votazione sul paragrafo 21:
Elisabeth Köstinger (PPE). – (DE) Signor Presidente, chiedo che vengano aggiunte alcune parole al paragrafo 21. Propongo che il testo reciti:
(EN) "ritiene necessario vietare la vendita al di sotto del prezzo d’acquisto dei prodotti agricoli a livello dell’UE".
(L’emendamento orale è accolto)
6.13. Finanziamento e funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (A7-0236/2010, Miguel Portas) (votazione)
6.14. Competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (A7-0219/2010, Tadeusz Zwiefka) (votazione)
6.15. Integrazione sociale delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari (A7-0221/2010, Antonyia Parvanova) (votazione)
6.16. Il ruolo delle donne in una società che invecchia (A7-0237/2010, Sirpa Pietikäinen) (votazione)
6.17. Giornalismo e nuovi media - creare una sfera pubblica in Europa (A7-0223/2010, Morten Løkkegaard) (votazione)
Presidente. – Si conclude così il turno di votazioni.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) La ringrazio, signor Presidente. Ho chiesto di tenere una dichiarazione di voto sulla relazione d’iniziativa presentata dall’onorevole Lechner perché credo che sia estremamente importante. Suppongo che adesso seguirà una dichiarazione di voto sulla relazione Lechner, visto che si è rivolto a me. La ringrazio molto.
Onorevoli colleghi, sarà breve: la relazione d’iniziativa dell’onorevole Lechner, che abbiamo discusso in questa sede la sera scorsa, riveste, a mio parere, un’importanza fondamentale. Il documento propone l’interconnessione dei registri delle imprese o di registri simili, detenuti da persone fisiche oppure giuridiche nei vari Stati membri, per offrire una fonte di informazioni credibile e affidabile su un potenziale partner commerciale, consumatore o creditore, conseguendo così trasparenza e certezza giuridica nei rapporti giuridici e commerciali.
Tra i presupposti per il corretto funzionamento del mercato unico figurano la definizione di una serie di dati di base relativi alle entità registrate e, di conseguenza, anche l’interconnessione dei registri delle imprese. Ho sostenuto questa relazione anche perché propone l’integrazione del sistema dei registri delle imprese europei nel progetto di creare un portale per la giustizia elettronica, il che consentirà un’attuazione più efficace dell’iniziativa.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, sono certo che ricorderete la splendida scena nel film Dottor Živago in cui esponenti della borghesia e dell’aristocrazia bevono champagne alla calda luce di un ristorante, mentre fuori, nella nebbia circostante, il popolo si ribella. Ascoltando la nostra discussione di questa mattina, mi è tornata in mente, e non per la prima volta, quella sequenza cinematografica.
È stato condotto un Eurobarometro secondo cui la fiducia nell’Unione europea è a un minimo storico; i cittadini che credono nell’utilità dell’UE sono adesso una minoranza. Abbiamo sentito gli onorevoli Verhofstadt e Daul affermare che ciò accade perché non facciamo abbastanza e chiedere un maggiore intervento dell’Unione. Abbiamo sentito il Presidente della Commissione dire che è colpa degli Stati nazionali. Suppongo che sia nella natura umana cercare di non attribuirsi il demerito della propria impopolarità, ma sarebbe stato opportuno ascoltare un qualche accenno al fatto che la crisi potrebbe essere collegata all’euro, ai salvataggi finanziari, alla mera ingiustizia di bistrattare il denaro pubblico con la stessa arbitrarietà con cui ignoriamo i risultati elettorali.
Permettetemi di concludere con le parole di Edmund Burke, che appaiono stranamente adatte a descrivere la nostra insoddisfazione: "Solo perché una mezza dozzina di cavallette nascoste dietro una felce fanno risuonare il campo con il loro importuno stridio, mentre centinaia di grandi capi di bestiame si riposano all’ombra dell’albero e restano in silenzio, non immaginare che quelli che fanno rumore siano i soli abitanti del campo".
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Il tallone d’Achille dell’accordo con la Corea è il rimborso oppure l’esenzione dai dazi doganali (con particolare riguardo ai prodotti importanti dalla Corea alla Cina), che è difficilmente controllabile e con ogni probabilità danneggerà l’industria europea. Il mercato diventa aperto come mai prima d’ora, senza vantaggi reciproci, soprattutto da parte dell’Unione europea. Sono dunque contraria alla sottoscrizione di un accordo simile con la Corea. La relazione della commissione per il commercio internazionale tenta di richiamare l’attenzione su questi problemi, agevolando l’attuazione di misure protettive. L’accordo dovrebbe essere modificato a tale riguardo prima di essere ratificato; altrimenti taglieremo le gambe dell’industria europea (e non soltanto del settore automobilistico). Guardo con favore al rinvio del voto: è un passo ragionevole.
Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, volevo esser certo che la prenotazione per intervenire con dichiarazioni di voto su due relazioni avverrà.
Si tratta della relazione Binev e della relazione Winkler. Siccome si è iniziato da relazioni che sono successive, volevo aver conferma che mi sarà data la parola altrimenti… (Il Presidente comunica all’oratore che, conformemente all’articolo 170, paragrafo 3, del regolamento, non sarà possibile fare dichiarazioni di voto sulle due relazioni citate).
Ecco, quindi non ci sarà la dichiarazione di voto su queste due relazioni.
Paolo Bartolozzi (PPE). – Signor Presidente, la ringrazio e mi scuso; vorrei sottolineare, in questo mio intervento, come la progressiva erosione dei redditi degli agricoltori europei, a scapito dei crescenti margini di profitto della filiera agroindustriale, stia creando una preoccupante marginalizzazione economica degli addetti al settore agricolo, con conseguenti dismissioni dell’esercizio delle stesse attività.
Si impone quindi un cambiamento di rotta che la stessa Commissione europea riconosce e che la relazione all’esame e all’approvazione dell’Aula questa stamattina – alla quale voglio esprimere il mio sostegno – sottolinea con ampie motivazioni e suggerimenti anche di carattere legislativo e compartimentale.
È necessario infatti lottare contro le speculazioni globali sulle materie prime e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Inoltre, deve essere garantita una migliore trasparenza dei prezzi, che non solo renda giustizia e dignità agli agricoltori, ma corregga anche i forti squilibri esistenti a livello di potere negoziale ed eviti abusi fra i diversi operatori.
L’agricoltura deve riconfermarsi come il settore di stabilità economica e sociale e riguadagnare il potere nel contesto mercantile dell’Unione europea e in quello globalizzato.
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, credo che abbiamo preso una decisione giusta oggi, che giova agli agricoltori, ai consumatori, ma anche all’economia europea nel suo complesso. L’aspetto più importante di questa relazione d’iniziativa è il segnale politico che essa invia: si rivolge alla catena dei valori per affermare che anche gli agricoltori, e soprattutto gli agricoltori, hanno diritto a una remunerazione adeguata per il proprio lavoro. Questa situazione non può proseguire oltre.
Non ho assolutamente nulla contro l’offerta e l’acquisto di prodotti alimentari di buona qualità a basso costo, ma qui si parla di qualità del prodotto. Nondimeno, se si vendono prodotti alimentari al di sotto del loro effettivo valore energetico, in altre parole se il recupero termico degli alimenti è più redditizio della vendita, c’è qualcosa che non funziona nel sistema. In questo caso, la concorrenza non è leale e, di conseguenza, la politica deve intervenire. È proprio questo il contenuto della proposta che abbiamo adottato oggi.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signor Presidente, anche io ho appoggiato la relazione Bové e faccio eco alle osservazioni del mio collega, l’onorevole Jahr.
La relazione dimostra a tutti i soggetti, sia nel mondo politico sia nella filiera economica, che il Parlamento non ha cedimenti sul tema. Abbiamo avuto un’intensa discussione ieri sera. Non tutti condividono i contenuti del documento nella loro interezza, ma conveniamo tutti che gli agricoltori non possono continuare a essere sfruttati; vengono letteralmente spremuti come limoni. Si riduce sempre di più la quota che giunge loro dal prezzo finale degli alimenti nei supermercati. Occorre porre fine a questa situazione.
Dobbiamo prendere in considerazione il ruolo degli attori dominanti. Occorre istituire un difensore civico per il settore alimentare e analizzare gli effetti del mercato globale per i nostri produttori; occorre inoltre esaminare il diritto sulla concorrenza. Mi compiaccio che questa relazione sia stata accolta dal Parlamento con la discussione e con il sostegno che meritava. È un passo importante, che ci consentirà di corroborare con i fatti la retorica degli ultimi tempi.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Ho sostenuto la relazione sulle entrate eque per gli agricoltori e sono lieta che la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo si stia interessando al malfunzionamento della filiera alimentare e alla contraddizione tra il modesto valore d’acquisto per gli agricoltori e i prezzi elevati a carico dei consumatori. Colgo però l’occasione per sottolineare ancora una volta che esistono una discriminazione inaccettabile e una concorrenza sleale da parte degli agricoltori dell’Europa a 12, a causa dei sussidi più cospicui di cui beneficiano i paesi dell’Europa a 15. I consumatori cechi, ad esempio, hanno difficoltà ad acquistare il latte, le verdure, le uova e gli altri prodotti di base dell’agricoltura nazionale, perché le catene multinazionali preferiscono le merci provenienti dagli Stati dell’Europa a 15, più sovvenzionate e dunque più economiche. Questa situazione deve cambiare il prima possibile.
Inese Vaidere (PPE). – (LV) Grazie, signor Presidente. Giudico assolutamente fondamentale questa relazione sulle entrate eque per gli agricoltori, soprattutto perché nel settore agricolo i prezzi alla produzione e i costi hanno registrato un aumento ben più rilevante della quota che gli agricoltori ricevono per i propri prodotti. In questo contesto, sono le grandi catene di vendita al dettaglio a non subire nessuna perdita effettiva. Vorrei ricordare che l’Unione europea ha sempre mirato ad accrescere le entrate degli agricoltori, ma, come possiamo constatare, è impossibile soddisfare i criteri per lo sviluppo delle zone rurali. Le risorse destinate all’agricoltura continuano ad aumentare, ma non si ottiene nulla. Gli agricoltori di diversi Stati membri dell’Unione europea, fra cui la Lettonia, subiscono perdite ingenti al confronto con i produttori industriali e i loro colleghi dei paesi europei economicamente più solidi, che possono permettersi di offrire un sostegno aggiuntivo al settore. Peraltro, in questo modo si ostacola fortemente l’attuazione del principio di coesione all’interno dell’UE. Sono particolarmente d’accordo con il punto della relazione in cui si afferma che devono essere resi pubblici i profitti registrati dalla filiera e dai rivenditori all’ingrosso a spese degli agricoltori.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, sono lieto di appoggiare questa relazione. Il titolo, "entrate eque per gli agricoltori", dice tutto e ci ricorda l’attuale iniquità dei loro guadagni, che si protrae ormai da tempo.
Fortunatamente intraprendiamo un passo nella giusta direzione. I profitti devono essere distribuiti equamente tra produttori, trasformatori e rivenditori al dettaglio, a differenza di quanto accade al momento. La presente relazione invierà perlomeno il giusto segnale, dandoci un punto di partenza.
Quando avremo ottenuto questo scopo, spero che saremo in grado di elaborare una PAC solida e sostenuta dalle opportune risorse, per salvaguardare le aziende agricole a conduzione familiare e rendere sicura la filiera alimentare. Quest’inizio è promettente; mi auguro che riusciremo presto a ottenere risultati concreti.
Romana Jordan Cizelj (PPE). – (SL) Ho votato a favore della relazione sul finanziamento e il funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Sebbene per molti la solidarietà europea sia un concetto astratto, essa rappresenta in realtà un meccanismo che dovrebbe andare a diretto vantaggio dei singoli cittadini europei, soprattutto adesso che si trovano in una situazione di difficoltà.
Nondimeno è stato dimostrato che il Fondo non funziona adeguatamente; proprio per questo mi attendo che la Commissione prenda in seria considerazione la richiesta di condurre una valutazione intermedia del funzionamento del Fondo nonché un riesame del regolamento applicabile.
Nutro alcune riserve sull’indipendenza del Fondo, legate alla sua durata illimitata. Credo che il Fondo rappresenti una risposta politica alla situazione attuale e che in futuro l’Unione europea dovrebbe promuovere l’occupazione attraverso altri strumenti, garantendo la competitività dell’economia europea. Dobbiamo guardarci dal creare un meccanismo che faccia il gioco di quanti non si adattano alla continua evoluzione delle circostanze globali. Sono queste le considerazioni dietro il mio voto.
Barbara Matera (PPE). - Signor Presidente, in quanto shadow rapporteur di questa relazione d’iniziativa per il gruppo PPE, gradirei innanzitutto ringraziare il relatore per l’importante lavoro svolto in apertura, soprattutto in collaborazione con tutti i gruppi politici.
Ritengo che questa relazione contenga importanti spunti per il miglioramento del Fondo, in vista della sua revisione di medio periodo. Tali proposte di implementazione sono in linea con quanto riscontrato durante la valutazione dei casi da me presi in esame nel corso del 2010 all’interno della commissione per i bilanci e rispondono a una logica di semplificazione e velocizzazione delle procedure relative al Fondo.
Considerando la particolare congiuntura difficile per le imprese europee e il crescente numero di richieste di sostegno da parte degli Stati membri, ho ritenuto fondamentale sottolineare, all’interno della relazione, la necessità di estendere fino al 2013 la copertura del Fondo in favore dei lavoratori licenziati per cause legate alla crisi economica.
Concludendo: alle istituzioni europee è richiesto un segnale forte per stimolare la ripresa economica e il FEG rappresenta un messaggio importante rivolto ai nostri cittadini.
Inese Vaidere (PPE). – (LV) La ringrazio, signor Presidente. Se consideriamo che il Fondo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito per ridimensionare i pericoli legati alla disoccupazione e stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro per i cittadini che più risentono della globalizzazione, preoccupa il fatto che i 500 milioni di euro annui destinati alle finalità del Fondo vengano usati così poco e che ben nove paesi non abbiano presentato neppure una richiesta. È evidente che bisogna riprendere da quell’esordio promettente, quando la Commissione decise, in seguito allo scoppio della crisi, di semplificare e migliorare il meccanismo di mobilizzazione delle risorse del Fondo. Occorre continuare in tal senso, soprattutto nel caso dei nuovi Stati membri, in cui è forte la presenza della piccola e media imprenditoria e non si perdono tanti posti di lavoro all’interno di una sola impresa ma molti posti in tante imprese. È proprio questo l’aspetto che deve essere migliorato, in modo tale che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione possa essere mobilitato a favore dei paesi con un PIL inferiore alla media europea. Grazie.
Czesław Adam Siekierski (PPE). – (PL) Oggi abbiamo adottato un’importante relazione sulle entrate eque per gli agricoltori e il migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa. L’efficienza di quest’ultima deriva non soltanto dalla lunghezza del percorso che i prodotti agricoli compiono, dalla coltivazione alla trasformazione, fino alla vendita (prima all’ingrosso e poi al dettaglio) e alla tavola del consumatore; è anche risultato della specificità e complessità della filiera. La produzione agricola dipende in larga misura dalle condizioni naturali e climatiche, su cui gli agricoltori esercitano un’influenza molto limitata. Il settore della trasformazione alimentare detta i prezzi agli agricoltori; lo stesso fanno i distributori con i trasformatori e i consumatori. Proprio per questo è importarne analizzare i prezzi e salvaguardarne la trasparenza. Non si viola la legge del libero mercato, ma si riduce l’azione monopolizzatrice degli intermediari. Al momento i mercati finanziari stanno assistendo all’introduzione di istituzioni di vigilanza e controllo. Alcuni chiedono invece che i meccanismi di vigilanza e controllo del mercato agricolo vengano aboliti, ma non considerano che i produttori, piccoli e indipendenti, stanno soccombendo a potenti interessi commerciali e subiscono ingenti perdite.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, la relazione presentata dall’onorevole Zwiefka rispecchia la competenza e l’impegno profusi nella ricerca sulla legislazione esistente, le convenzioni internazionali (in particolare la Convenzione dell’Aia) e la giurisprudenza, che, bisogna ammetterlo, risultano davvero contraddittori per certi aspetti.
In realtà, la relazione risolve solo una parte del problema. Se c’è un ambito in cui la legislazione dell’Unione ha europea gode di completa legittimità, è l’armonizzazione non del diritto sostanziale (che condurrebbe alla normalizzazione del diritto negli Stati membri) ma delle regole che governano i conflitti tra giurisdizioni, determinando in sostanza il foro competente, e i conflitti tra leggi, stabilendo la legge applicabile.
Qual è la legge applicabile in materia di contratti, anche nell’eventualità che i contraenti si trovino in posti diversi? E nel caso delle proprietà immobili, mobili o intangibili, come quelle industriali? E per i contratti in cui le parti non si trovino nello stesso luogo?
Signor Presidente, tutte queste fattispecie devono essere disciplinate da un Codice europeo. Fintantoché non avremo un Codice europeo del diritto privato internazionale, ci troveremo ad affrontare serie difficoltà. Questa relazione ha il merito di risolverle almeno in parte sul tema dell’exequatur.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Convengo con l’autrice della relazione sul fatto che nell’Unione europea le donne appartenenti a una minoranza etnica subiscono varie forme di discriminazione ed è nostro dovere migliorarne le condizioni, soprattutto in settori come l’accesso all’istruzione, al mercato del lavoro, alla previdenza sociale e all’assistenza sanitaria. Tuttavia, la relazione chiede anche alla Commissione di raccogliere dati statistici suddividendoli per gruppo etnico, quando la Carta dei diritti e delle libertà fondamentali proibisce esplicitamente di rilevare dati per razza.
Vorrei dunque porre due domande: può la Commissione condurre tale analisi senza violare il diritto internazionale o si sta cercando di modificare l’articolo in questione della Carta per consentire studi del genere? L’autrice e l’intera Assemblea sono consapevoli di questa contraddizione? Ciononostante ho votato a favore della relazione.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Parvanova sull’integrazione sociale delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari perché, al pari di quasi tutte le iniziative "politicamente corrette" di questo genere, risulta controproducente. Ad esempio, i giri di parole in cui la relatrice si lancia pur di non usare il termine "Islam" sono ai limiti del ridicolo; un altro esempio è il riconoscimento che le donne appartenenti a minoranze etniche subiscono la discriminazione degli uomini del loro stesso gruppo. La relazione sostiene che nessuna violenza sia giustificata sulla base degli usi, delle tradizioni o di considerazioni religiose, ma evita accuratamente di prendere il problema di petto e affermare senza mezzi termini che molti dei principi dell’Islam non possono essere integrati nella società europea. Fintantoché il Parlamento europeo non supererà questa fase di negazione, tutte le misure volte a integrare le donne provenienti da paesi islamici saranno destinate al fallimento fin dalla loro introduzione.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Oggigiorno gli anziani vengono troppo spesso, e ingiustamente, considerati inefficienti e non idonei al lavoro, nonostante il diritto europeo vieti la discriminazione sulla base dell’età. Si dimentica così il notevole valore aggiunto che apportano alle economie nazionali, grazie all’esperienza di anni. A causa delle discriminazioni di genere che continuano a subire, le donne si trovano dunque in una situazione particolarmente difficile sul mercato per lavoro. Inoltre, in base alle statistiche, le donne vivono più a lungo degli uomini e sono pertanto più esposte al problema della povertà e a pensioni esigue, che riflettono il differenziale di retribuzione rispetto agli uomini a parità di posizione. Tutti questi problemi sono particolarmente evidenti nelle zone rurali. Alla luce di ciò, sono lieta che verranno approvate risoluzioni utili a ricordarci il problema e mobilitarci affinché continuiamo a impegnarci per il miglioramento della situazione attuale.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signor Presidente, sostengo la relazione e, in particolare, desidero richiamare la vostra attenzione su tre paragrafi che giudico davvero importanti, vista la facilità con cui gli anziani vengono affidati a servizi di assistenza anziché essere accuditi nella propria comunità o a domicilio. I paragrafi 17, 19 e 25 sono particolarmente incoraggianti in tal senso. Dobbiamo garantire che l’assistenza agli anziani segua un approccio basato sui diritti; dobbiamo far sì che queste persone possano vivere indipendentemente nelle proprie case e che ricevano un sostegno mirato. Non dovremmo permettere che si speculi sugli anziani affidati alle cure di entità private.
Desidero inoltre porre l’accento sul paragrafo 13, che mira a rendere compatibili lavoro e assistenza. Mi permetto di ricordare a quest’Assemblea e a molti parlamentari di tutta Europa (ma non solo) che dobbiamo occuparci della conciliazione di vita lavorativa e assistenza. Mi piacerebbe molto condurre un’indagine sul numero di persone che, in seno a questo Parlamento, affiancano l’assistenza all’attività politica; credo sia molto esiguo.
Erminia Mazzoni (PPE). - Signor Presidente, ho espresso voto favorevole a questa relazione perché contiene affermazioni di principio molto importanti.
Prima di tutto, che l’invecchiamento, normalmente percepito in senso negativo, è una risorsa economica e sociale cui attingiamo senza alcun riconoscimento; che le crisi economiche incidono in maniera più rilevante sulle donne, e in particolare sulle donne in età avanzata; che l’inclusione non deve discriminare per età e che le donne sono la categoria più esposta al rischio di povertà e soprattutto di pensioni esigue nonostante siano i pilastri del welfare.
Questa relazione propone un metodo importante per contribuire a dar vita all’Europa dei popoli, e quindi all’Europa delle persone, di tutte le persone. Il metodo consiste nel creare un approccio per definire studi, statistiche e dati fondato sulla consapevolezza che la disuguaglianza di genere in età avanzata risulta dall’accumulo di disparità basate sul genere nel corso dell’intera vita, e ancora di creare un approccio per le politiche in materia di invecchiamento, che tenga conto dell’intero corso della vita e delle interconnessioni tra genere ed età.
Con questa risoluzione si chiedono tre cose fondamentali e importanti: un meccanismo che garantisca l’accumulo dei diritti pensionistici, anche nei periodi in cui si presta lavoro di assistenza, che si tenga conto della dimensione di genere in sede di riforma dei sistemi pensionistici e di adeguamento dell’età pensionabile e che si preveda una remunerazione per l’assistenza.
Questo è un dato molto importante per quanto si sta realizzando nei singoli Stati membri – e in particolare in Italia – per adeguare i sistemi pensionistici nazionali alle indicazioni europee. Queste sono le reali indicazioni europee.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Ho votato contro la relazione perché accoglie la proposta che gli Stati prendano in considerazione la situazione specifica delle donne LBT (lesbiche, bisessuali e transgender) in età avanzata. Significa forse che dovrebbe spettare loro uno status privilegiato rispetto alle altre anziane? Durante la discussione di ieri, ho sottolineato che il rischio maggiore cui sono esposte le donne in età pensionabile deriva dal fatto che si prendono cura della propria famiglia e crescono i bambini, poiché i redditi attesi nel corso dell’intera vita sono mediamente inferiori a quelli degli uomini: questa situazione deve cambiare, ma non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, sono stato lieto di sostenere la relazione. Sono l’unico fra i partecipanti alla discussione di ieri sera a non aver parlato, perché avevo l’impressione che la scelta del titolo fosse, in un certo senso, inappropriata: non parlavamo del ruolo delle donne in una società che invecchia, bensì del trattamento delle donne in età avanzata in una società che invecchia.
Ovviamente alcune delle osservazioni sollevate erano del tutto valide, specialmente riguardo al divario delle pensioni tra uomini e donne, inaccettabile in una società democratica. Si avverte però la forte urgenza di approfondire il ruolo di uomini e donne in una società che invecchia, che deve essere ponderato soprattutto quando si parla di definizione del bilancio. Non credo che ciò sia accaduto in passato: le conseguenze economiche dell’invecchiamento della società non sono state affrontate in modo adeguato. Occorre rimediare quanto prima se non vogliamo che quei piani siano vanificati.
Clemente Mastella (PPE). - Signor Presidente, siamo rimasti lei, io e pochi altri. Ho votato a favore di questa relazione perché la considero importante ai fini del rapporto tra responsabilità dei politici e gli elettori e tutto questo può costituire un elemento centrale della nostra democrazia rappresentativa. Ritengo tutto questo un prerequisito importante per la piena e consapevole partecipazione democratica dei cittadini al processo d’integrazione dell’Unione europea.
Purtroppo va constatato che anche le ultime elezioni europee hanno evidenziato una forte tendenza all’astensionismo, così come accade in ampia misura in tutti i paesi europei – e non soltanto all’interno dell’Europa – dimostrando chiaramente quanto i cittadini siano scarsamente informati sulle politiche e sulle tematiche europee e quanto purtroppo si sentano distanti dalla nostra istituzione.
Considerando che il trattato di Lisbona introduce una nuova forma di partecipazione dei cittadini al processo decisionale comunitario, è importante un nostro sforzo tendente a superare questa distanza. Obiettivo dell’istituzione deve essere infatti quello di garantire un accesso libero e gratuito a tutte le informazioni pubbliche della Commissione europea.
Mi preme sottolineare infine quanto sia fondamentale garantire che le istituzioni europee lavorino in parallelo con le persone e con le preposte autorità nazionali, al fine di migliorare la comunicazione – e tutto questo deve avvenire incoraggiando gli Stati membri ad essere più attivi nell’informare i cittadini sulle questioni che riguardano la nostra Europa.
Morten Løkkegaard (ALDE) . – (DA) Signor Presidente, innanzi tutto sono lieto che oggi sia stata adottata una relazione sul miglioramento della comunicazione nell’UE. Ho anche votato a favore della risoluzione comune sottoscritta dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo e il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, perché crea una base solida. La risoluzione comprende all’incirca tutte le proposte adottate lo scorso marzo dalla commissione per gli affari culturali. Vorrei tuttavia precisare che, nel frattempo, sono state presentate altre soluzioni di compresso, che avevo ovviamente sperato di mantenere fino alla votazione finale. Non è stato possibile per via della pressione esercitata da forti lobby, intesa a indebolire la convinzione delle parti coinvolte all’ultimo minuto. Ad ogni modo, ne prenderò nota; constato con soddisfazione che le proposte hanno ingenerato una discussione positiva, tale da consentirci di andare avanti con le 46 idee per il miglioramento della comunicazione nell’UE.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signor Presidente, essendo un’ex giornalista, ho sostenuto questa relazione con particolare piacere. Conosco entrambi i punti di vista sull’argomento (prima come giornalista e adesso come politico) e ritengo dunque che l’equazione tra informazione e giornalismo sia pericolosa; occorre essere cauti su quel punto.
Temo che al momento la crisi economica stia costando a molti giornalisti la perdita del posto di lavoro, come accade in Irlanda. Le testate e le emittenti radiofoniche locali effettuano tagli al personale e vi sono spinte per il licenziamento dei lavoratori. Ne risentirà il livello del giornalismo, perché mancheranno il tempo e le risorse necessarie a condurre le ricerche e dare notizie di qualità.
Temo che l’Unione europea rischi di subirne le conseguenze, perché ci si concentra sulle notizie locali ma non su quelle europee, a meno che non riguardino direttamente i cittadini degli Stati membri. È questa la sfida che si pone ai membri eletti di questo Parlamento: stabilire un collegamento tra le nostre attività e i paesi di provenienza di ciascuno, perché esiste un’evidente correlazione.
Oldřich Vlasák (ECR). – (CS) L’aspetto positivo di questa relazione è, senza dubbio, l’importanza che attribuisce in più punti al crescente ruolo dei parlamenti nazionali e al principio di sussidiarietà. Il testo contiene inoltre varie proposte, ad esempio riguardo all’aumento della trasparenza, alla divulgazione delle informazioni, alla semplificazione dell’accreditamento dei giornalisti e altre ancora, che meritano sicuramente il nostro appoggio. Si avanzano però anche proposte più che controverse. La relazione suggerisce di istituire un gruppo di corrispondenti incaricati di presentare le notizie legate all’Unione europea in modo più edificante, e invita tutti gli Stati membri a dotarsi di un ufficio dedicato per gli affari europei, il cui ruolo consisterebbe nell’illustrare gli effetti delle politiche dell’UE. Allo stesso tempo, viene proposto un aumento degli stanziamenti per l’ufficio di informazione del Parlamento europeo. Ritengo che possano essere raggiunti risultati migliori potenziando l’efficienza ed elaborando nuove strategie, anziché aumentando il bilancio. Pertanto, ho respinto la relazione.
Inese Vaidere (PPE). – (LV) La ringrazio, signor Presidente. Accolgo con particolare favore il fatto che questa relazione ricordi il dovere dei mass media di informare i cittadini degli avvenimenti nell’Unione europea e la necessità di introdurre gli affari europei nei programmi scolastici. Inoltre, data la mole di informazioni disponibili sull’Unione europea, cresce l’importanza degli uffici di informazione del Parlamento europeo. Peraltro, vorrei porre l’accento sulla necessità di seguirne l’operato e controllare l’efficienza con cui vengono spese le risorse che l’Unione europea vi investe. Anche l’attenzione che il documento presta all’emittente televisiva Euronews è particolarmente positiva. Mi preme sottolineare che l’emittente dovrebbe agire proprio come richiede la relazione e trasmettere la propria programmazione in tutte le lingue ufficiali dell’Unione europea; ad esempio in Lettonia il canale trasmette in russo, ma non sono disponibili informazioni in lettone, la lingua ufficiale. Un ruolo di particolare rilievo spetta all’indipendenza del giornalismo. Vorrei inoltre proporre di introdurre una legislazione esaustiva a livello di UE, che ci consenta di individuare i veri mass media anche negli Stati in cui manca la capacità politica di varare norme di questo tipo. Grazie.
Emma McClarkin (ECR). – (EN) Signor Presidente, la relazione e la risoluzione sul giornalismo e i nuovi media, oggetto della votazione di oggi, dovevano servire ad analizzare i modi in cui i nuovi media cambiano il giornalismo. In realtà, sono diventate un elenco dei desideri degli onorevoli colleghi che intendono accrescere la propria visibilità nella stampa e manipolare la copertura mediatica accordata all’UE. Tra le proposte figurano programmi europei di formazione dei giornalisti, un aumento delle risorse per gli uffici di informazione del Parlamento europeo e un ulteriore rialzo degli stanziamenti a favore della politica europea di comunicazione.
Credo nella libertà di opinione e in un giornalismo indipendente e credibile. Costringere i giornalisti e le emittenti pubbliche indipendenti a occuparsi di temi legati all’UE per promuovere l’ideale europeo, assegnando loro risorse a questo scopo, è pura propaganda; proprio per questo motivo ho votato contro la relazione e la risoluzione. Per soddisfare la vanità di alcuni, è stata sprecata un’opportunità di trovare nuovi modi per promuovere il coinvolgimento democratico attraverso media sociali.
Jean-Pierre Audy (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione redatta dall'onorevole Geringer de Oedenberg sulla proposta di codificazione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione, che era stato emendato nel 1968, nel 1976, nel 1992 e due volte nel 2004. Nell'aprile 1987 la Commissione aveva dato istruzione ai propri servizi di procedere alla codifica di tutti gli atti legislativi entro e non oltre il decimo emendamento, enfatizzando al contempo che si trattava di una norma minima e che, allo scopo di garantire chiarezza ed una comprensione adeguata delle disposizioni, i servizi della Commissione dovevano adoperarsi per codificare i testi su cui avevano responsabilità a scadenze più ravvicinate. Benché sia stato introdotto un metodo di lavoro accelerato nell'ambito dell'accordo interistituzionale del 20 dicembre 1994, purtroppo si sono accumulati dei ritardi nella codifica della legislazione europea, le cui conseguenze ricadono sia sui cittadini che sugli Stati membri, in particolare la pubblica amministrazione, le professioni legali, gli studenti, i professori di diritto e via dicendo. Vi sono troppe disposizioni che sono state ripetutamente emendate nelle varie parti dei testi originari e nei successivi atti di emendamento.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, a sempre, nel sostenere la mia visione intergovernativa e territoriale della politica europea, difendo con strenua decisione il principio di sussidiarietà e mi oppongo con dura fermezza ai costosi fardelli burocratici e amministrativi che spesso vengono posti dall'Ue in capo agli Stati membri ai cittadini ed alle imprese.
Non posso dunque che sostenere con un voto positivo la relazione della collega Geringer de Oedenberg che richiama l´importanza del "Legiferare meglio" anche attraverso il potenziamento della valutazione d'impatto preventivo dei procedimenti legislativi prima che un determinato progetto venga presentato come proposta legislativa ufficiale dalla Commissione.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Questa nuova proposta contiene il testo codificato del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità. La proposta conserva, nella sostanza, il contenuto degli atti codificati, ma mira a fornire chiarimenti sull’applicazione delle norme di legge in materia di libera circolazione dei lavoratori. L’Unione europea deve prefiggersi un obiettivo a lungo termine e assicurare la libera circolazione dei lavoratori in tutti gli Stati membri. Tutti i lavoratori devono avere il diritto di circolare liberamente e di trovare occupazione negli Stati membri.
È compito dell’Unione europea rendere più trasparente la mobilità della forza lavoro e aiutare i lavoratori a migliorare le proprie condizioni di vita e a inserirsi nella società; vanno quindi abolite, senza alcuna eccezione, le discriminazioni basate sulla nazionalità e sulle condizioni di lavoro. Si rende quindi necessaria una maggiore collaborazione tra gli Stati membri al fine di stabilire condizioni di lavoro più flessibili.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) La libertà di circolazione costituisce un diritto fondamentale ed un mezzo per incrementare le possibilità di lavoro e di vita. Si tratta di una possibilità che deve essere garantita ai lavoratori a tempo indeterminato, agli stagionali e ai frontalieri nonché a tutti coloro che perseguono le proprie attività allo scopo di erogare dei servizi in tutti gli Stati membri. Ho votato a favore della risoluzione, poiché contribuisce a sostenere l'attività degli uffici di collocamento a favore dei cittadini degli altri Stati membri, la parità di trattamento e il diritto ad un istruzione generale, all'apprendistato e alla formazione per i figli dei cittadini che lavorano o che hanno lavorato in uno Stato membro diverso dal proprio.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Il regolamento mira a sostituirne uno del 1968 sulla libera circolazione dei lavoratori nonché i seguenti atti che lo hanno integrato. Si tratta quindi di un processo di codifica che, secondo l’opinione del gruppo consultivo dei servizi giuridici del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, non comporta modifiche sostanziali. Appoggio senza riserve l’iniziativa volta a semplificare e a rendere più chiara la normativa comunitaria che è stata spesso oggetto di modifiche e che è ora frammentata in diversi atti. Solo così potremo assicurare maggiore trasparenza alla legislazione comunitaria e renderla più accessibile a facile da comprendere al cittadino comune dell’Unione cui offrirà nuove opportunità e la possibilità di usufruire dei diritti specifici lui accordati, dando in tal modo forma a un’Europa dei cittadini.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione per garantire che ai cittadini europei che lavorano in uno Stato membro diverso da quello di origine sia riservato il medesimo trattamento dei lavoratori di quel paese per quanto riguarda le condizioni di impiego e di lavoro e in particolare la remunerazione, il licenziamento e il reinserimento nel mercato del lavoro.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Questa risoluzione si limita puramente e semplicemente a codificare i testi esistenti sulla libertà di circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione senza apportare emendamenti sostanziali, quindi ho votato a favore della sua adozione. Tuttavia, mi preme indicare che la libertà di circolazione implica una maggiore integrazione politica. Solo un nuovo concetto sociale, in grado di garantire i diritti sociali minimi di tutti sul piano europeo, può consentire la libertà di circolazione dei lavoratori, evitando problemi di carattere sociale, tra cui il dumping.
La libera circolazione presuppone l'attuazione di regole minime nei settori della sanità, dell'istruzione, delle pensioni sociali che vanno garantite a livello UE. Per quanto attiene ai diritti sociali, l'istituzione di siffatte norme minime intensifica l'omogeneità delle condizioni di occupazione, esercitando una funzione regolatrice sullo spostamento delle imprese che necessitano di lavoro manuale.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sono favorevole alla relazione che giustamente sottolinea l’importanza della Svizzera e dello Spazio economico europeo nelle questioni commerciali dell’Unione. Il documento afferma chiaramente che quest’Aula rispetta pienamente per i motivi della natura specifica delle relazioni tra Svizzera e Unione europea e vorrei spingermi oltre e chiedere anche il rispetto per le decisioni dei cittadini dei quattro paesi dell’Associazione europea di libero scambio in merito alle loro relazioni con l’UE.
Uno dei settori di interesse comune per i paesi dell’Unione e dello Spazio economico europeo è la pesca, che non rientra nell’ambito degli accordi sul mercato interno. Negli ultimi mesi l’Islanda ha fissato unilateralmente una quota per gli stock di sgombro che potrebbe metterne a repentaglio la sostenibilità. Pur essendo decisamente favorevole al concetto di controllo nazionale della pesca, ritengo che debba essere applicato in base a criteri di cooperazione regionale e al diritto internazionale. Chiedo quindi al governo islandese di intervenire a un tavolo negoziale con i paesi vicini al fine di trovare una soluzione responsabile e soddisfacente per tutti.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. − (EN) Questa procedura preserva la libertà di movimento dei lavoratori all'interno dell'Unione, una libertà che si annovera tra le principali conquiste dell'Unione europea.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La libertà di circolazione all'interno dell'Unione costituisce uno degli obiettivi principali di tutti gli Stati membri e favorisce lo sviluppo delle economie di tutti i paesi membri. Pertanto non ci possono essere discriminazioni di sorta. Ne discende che tutti i regolamenti tesi a conseguire questo obiettivo devono essere inquadrati e codificati. L'adozione del presente regolamento consente di fornire un orientamento agli Stati membri del affinché possano coordinare le proprie politiche per l'occupazione. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Alajos Mészáros (PPE), per iscritto. – (HU) La Commissione europea ritiene fondamentale semplificare e rafforzare la trasparenza della legge comunitaria al fine di renderla accessibile, in modo più rapido e semplice, ai cittadini degli Stati membri. Non sarà tuttavia possibile raggiungere questo obiettivo finché i regolamenti, spesso sottoposti a sostanziali modifiche, saranno tanto frammentari; attualmente sono a volte necessarie ricerche approfondite per capire qual è il regolamento in vigore. Anche la decisione del Consiglio sull’occupazione all’interno dell’Unione europea dovrà essere codificata in quanto è stata modificata diverse volte. Credo sia importante codificare prima possibile questa norma comunitaria e altre leggi analoghe; per questo motivo ho votato a favore del regolamento in oggetto.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) La Bulgaria e la Romania hanno aderito troppo prematuramente all'Unione europea. Le principali differenze tra i vecchi ed i nuovi Stati membri, in particolare rispetto a questi due paesi, stanno provocando un'enorme ondata migratoria di lavoratori dall'est verso l'ovest all'interno dell'Unione europea. In questo caso non si può giustificare il fenomeno adducendo la movimento libera circolazione dei lavoratori, poiché le differenze sono assolutamente macroscopiche e provocano problemi di integrazioni e di manodopera ad un prezzo eccessivamente basso nei vecchi Stati membri. Pertanto ho votato contro la relazione.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione in quanto ritengo che tratti di un tema della massima importanza, specialmente ora che si discute di mobilità dei cittadini rom all’interno dell’Unione europea.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto. – (CS) Ho votato a favore del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla libera circolazione dei lavoratori nell’Unione europea nella versione che tiene conto delle obiezioni giuridiche avanzate dal Parlamento europeo e l’approvazione in prima lettura accelererà l’importante introduzione di questo regolamento. Devo sottolineare, tuttavia, che alcuni Stati membri stanno ancora ostacolando la libera circolazione dei cittadini all’interno dell’Unione e lo fanno a diversi livelli e con vari pretesti, violando in tal modo il trattato sul funzionamento dell’UE. Desidero richiamare la vostra attenzione sulle attuali ingiustificate vessazioni cui la polizia tedesca sottopone gli automobilisti cechi nelle regioni di confine. Nel corso della riunione di ieri tra gli alti funzionari di polizia dei due paesi non si è fatto molto per risolvere il problema; si è anzi arrivati allo scontro verbale che è stato riportato dai media. Chiedo alla Commissione di cominciare a interessarsi seriamente al problema.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione presentata è un documento molto tecnico ma indiscutibile e per questo noi verdi lo abbiamo sostenuto.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione che garantirà la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione europea. Il mercato interno si basa sulla possibilità, per i lavoratori qualificati, di spostarsi senza impedimenti da uno Stato membro all’altro; per questo ho sostenuto la relazione.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) È essenziale semplificare e rendere più chiara la legislazione europea affinché le leggi possano divenire più comprensibili e accessibili ai cittadini. Una buona comprensione delle leggi può aumentare la consapevolezza dei cittadini sui loro diritti, generando nuove opportunità.
Al fine di assicurare una legislazione europea chiara, trasparente e più vicina al cittadino è necessario procedere a una codifica delle disposizioni, al momento frammentarie e soggette a frequenti emendamenti.
Tale operazione è ancora più importante in materia di libera circolazione dei lavoratori, un tema che è divenuto centrale nel dibattito sulla realizzazione dell’integrazione europea. La libera circolazione ha fornito ai cittadini degli Stati membri nuove opportunità definendo il loro diritto a lavorare liberamente in uno Stato membro diverso da quello di origine, con pari trattamento e senza discriminazioni.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione poiché credo che la libera circolazione sia un principio fondamentale dell’Unione europea e del mercato interno. Chiedo alla Commissione europea e al Consiglio di cogliere questa opportunità di approvare il regolamento e agli Stati membri di rimuovere le attuali barriere che penalizzano i lavoratori rumeni e bulgari. Tali barriere, che impediscono la libera circolazione dei lavoratori provenienti dagli Stati membri che il 1° maggio 2004 sono entrati a far parte dell’Unione europea, costituiscono una restrizione ai diritti dei cittadini di quei paesi e potrebbero generare lavoro nero e dumping sociale. L’abbattimento delle barriere tutelerebbe ugualmente i lavoratori migranti e locali e si assicurerebbe in questo modo la protezione e il rispetto dei principi fondamentali dell’Unione europea. Mi auguro quindi che la Commissione e gli Stati membri dimostrino la necessaria volontà politica.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) Onorevoli colleghi, la libera circolazione è un diritto fondamentale per i lavoratori e per le loro famiglie. La relazione sottolinea giustamente che la circolazione della forza lavoro nell’Unione europea deve essere uno degli strumenti che consentano ai cittadini europei di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro: è una questione di libertà e di dignità. L’adesione all’Unione europea ha avuto un enorme impatto nel mio paese, la Lituania: ora, in teoria, noi lituani possiamo lavorare in qualsiasi Stato membro dell’Unione europea salvo poche eccezioni.
È l’epoca d’oro della compagnia aerea lowcost Ryanair e questo rende più facile viaggiare: partendo da uno dei tre più importanti aeroporti lituani si possono attualmente raggiungere oltre 40 città europee. Per noi questa è al contempo una benedizione e una maledizione; la costante migrazione dalla Lituania è preoccupante poiché comporta una fuga di cervelli. Nel Regno Unito vivono attualmente quasi 60 000 lituani a fronte di meno di 5 000 nel 2001.
In Irlanda sono circa 90 000. Siamo una piccola nazione e, dopo aver provveduto all’istruzione scolastica e aver investito nello studio, stiamo perdendo i giovani più attivi tra i venti e i trent’anni. La Lituania e altri Stati membri dell’Unione europea devono fare tutto il possibile per porre fine a questa pericolosa tendenza.
Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la falsificazione dell’euro rappresenta, come ben specificato nella relazione in questione, una minaccia reale e considerevole.
Proprio per questo l’adozione di uno specifico regolamento può contribuire a ridurre sensibilmente la circolazione di moneta contraffatta, attraverso l’applicazione di procedure comuni per l’autenticazione delle monete in circolazione, nonché di meccanismi per il controllo di tali procedure da parte delle autorità. Voto pertanto a favore della relazione del collega Binev e lo ringrazio per il lavoro svolto.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Questa proposta di regolamento definisce le misure che si rendono necessarie per proteggere l'euro dalla contraffazione. Tra l'altro, impone agli istituti di credito e a taluni operatori economici, come i vettori contante che trasportano contanti, di verificare l'autenticità delle monete e delle banconote di euro che ricevono prima di re-immeterle in circolazione. Il testo prevede inoltre l'obbligo per questi soggetti di identificare le monete e le banconote false. Tuttavia, la mancanza di procedure comuni per l'autentificazione delle monete ha favorito la diffusione di prassi diverse nei vari Stati membri, quindi non siamo in grado di assicurare una protezione uniforme alla valuta a livello di Unione. In qualità di relatrice per il mio gruppo, ho lavorato a stretto contatto con l'onorevole Binev sulla proposta di regolamento. Come il collega, sostengo la proposta della Commissione ed ho quindi espresso voto favorevole.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) L’esistenza di meccanismi e di un quadro legislativo che assicurino che tutte le monete in circolazione vengano sottoposte a verifiche dalle autorità preposte è fondamentale per tutelare dalle frodi le istituzioni finanziarie e i mercati. Garantire la validità delle monete e la loro circolazione richiede interventi adeguati che devono essere garantiti a livello nazionale. È quindi importante introdurre norme vincolanti per ottimizzare l’attuazione del processo di autenticazione delle monete in euro tramite la verifica delle procedure. Tali questioni dovrebbero essere affrontate da professionisti qualificati, competenti in materia, in modo da garantire l’efficacia delle procedure. Credo inoltre che sia fondamentale ottimizzare le procedure per aumentare la fiducia dei consumatori e del mercato nel suo insieme nell’area euro.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) La contraffazione delle monete di euro è una minaccia significativa, soprattutto per le monete che hanno tagli più cospicui. La mancanza di un quadro comune obbligatorio per l'autenticazione delle monete può rappresentare un ostacolo per la protezione delle monete in metallo. Il regolamento che è appena stato varato costituisce uno strumento giuridicamente vincolante che consente l'introduzione di un metodo comune per l'autenticazione delle monete in euro.
Uno degli obiettivi primari del regolamento consiste nel garantire che gli istituti di credito e altri organismi provvedano obbligatoriamente a sottoporre ad un processo di verifica le monete che re-immettono in circolazione. L'autenticazione deve essere messa in atto mediante dei macchinari appositi, che sono indicati nell'elenco menzionato all'articolo 5, paragrafo 3, o da personale debitamente formato in linea con i metodi definiti dagli Stati membri. Inoltre, in ragione del fatto che l'autentificazione delle monete di euro inevitabilmente provoca dei costi per gli organismi deputati a svolgere questo processo, ad esempio gli istituti di credito, e una serie di altri soggetti, come i vettori che trasportano contante, propongo di riconoscere a tali organismi il diritto di trattenere un corrispettivo per la movimentazione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La lotta contro la contraffazione delle banconote e delle monete in euro oltre che le procedure per l'autenticazione delle monete in euro rappresentano i motivi che hanno portato all'approvazione del regolamento. Infatti ora potrà essere allestito un quadro comune obbligatorio per l'autenticazione delle monete. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Claudio Morganti (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione ha come oggetto il problema della circolazione di monete contraffatte.
Fino ad oggi le pratiche per il ritiro delle monete contraffatte erano diverse tra i vari Stati membri. In questo contesto, la presente proposta mira a garantire l’effettiva applicazione, in tutta la zona dell’euro, di procedure comuni per l’autenticazione delle monete in euro in circolazione nonché di meccanismi per il controllo di tali procedure da parte delle autorità. Ho espresso un voto positivo in quanto ritengo fondamentale un’uniformità di procedure in tutta Europa.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, come membro della commissione per i problemi economici e monetari ho attivamente partecipato e seguito l’iter di questa relazione cui ho espresso il mio appoggio.
La più ampia uniformità dei sistemi utilizzati in Europa per combattere la contraffazione delle monete è cosa più che auspicata, specie dopo aver raggiunto ottimi livelli di tutela in quanto alla lotta alla falsificazione delle banconote. La proposta che andiamo ad approvare permetterà di controllare e monitorare il flusso e la quantità di monete false nei vari Stati membri, che ad oggi non presentano sistemi univoci e sufficientemente sicuri in tal senso. Il problema della falsificazione, infatti, va combattuto in modo serio e con strumenti efficaci e all’avanguardia per evitare forti danni ai cittadini, agli operatori commerciali e in definitiva ai bilanci dei nostri Stati.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la falsificazione delle monete in euro rappresenta una minaccia considerevole, in particolare per quelle di taglio più elevato.
La mancanza di un quadro comune obbligatorio per l’autenticazione delle monete può ostacolare, in alcuni Stati membri, la ricerca attiva delle monete contraffatte da parte degli enti interessati, il che crea differenti livelli di protezione della valuta nell’Unione europea.
La proposta di regolamento rappresenta lo strumento giuridicamente vincolante attualmente necessario per stabilire un metodo comune per l’autenticazione delle monete in euro, che dovrà essere applicato dagli enti interessati, e per definire i necessari controlli da parte degli Stati membri. In questo contesto, la presente proposta mira a garantire l’effettiva applicazione, in tutta la zona dell’euro, di procedure comuni per migliorare il controllo e debellare la falsificazione delle monete.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutte le monete contraffatte e le monete non adatte alla circolazione devono essere ritirate e rinviate alle autorità nazionali indicate, le quali provvedono alla loro distruzione.
Esprimiamo un voto favorevole nonostante in questo testo non siano previste misure a tutela dei cittadini che in buona fede possiedono denaro falso e se lo vedono ritirare dalla propria banca quando lo depositano. Spesso sono le persone anziane che vengono truffate da chi spaccia denaro falso e per questo motivo sarebbe necessario individuare un sistema di rimborso almeno parziale del denaro a loro ritirato. È altresì necessario individuare misure più severe per chi fabbrica e spaccia monete false.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione che propone l’introduzione di misure comuni per intraprendere azioni efficaci contro la contraffazione nei paesi dell’area euro. Attualmente non esistono norme armonizzate sull’autenticazione e il ritiro delle monete in euro non adatte alla circolazione; simili norme contribuirebbero a proteggere il consumatore dalla circolazione di monete contraffatte e per questo motivo ho sostenuto la relazione.
Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, ho espresso un voto favorevole in merito alla relazione del collega Binev, che mira ad introdurre procedure comuni sia per l’autenticazione di denaro falso sia per controllare le monete non adatte alla circolazione.
Attualmente le banche e gli istituti che esercitano servizi di erogazione di denaro sono obbligati a sottoporre banconote e monete ricevute a un controllo di autenticità, prima di rimetterle in circolazione e quando vengono individuate monete contraffatte, queste devono essere ritirate dalla circolazione. Ma le pratiche per rintracciare il denaro falso differiscono tra i vari paesi dell’Unione europea: ho ritenuto dunque corretto sostenere tale iniziativa che vuole garantire una tutela uniforme della valuta in tutta l’area dell’euro.
Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. − Grazie Presidente, Sono favorevole alla concessione di un’assistenza macro-finanziaria a favore della Repubblica moldova, uno dei paesi che maggiormente ha subito le conseguenze della crisi economica mondiale. Tale misura dovrebbe infatti, come si evince dal testo della relazione, contribuire a coprire il fabbisogno di finanziamenti esterni del paese nel 2010 e 2011, ma soprattutto accelerare il ritmo delle riforme sostenendo il programma economico del governo e il suo impegno a favore dell’integrazione con l’UE. Grazie.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Sono favorevole alla proposta di concessione di assistenza macrofinanziaria a favore della Repubblica moldova. La Moldova è uno dei paesi del Partenariato orientale più colpiti dalla crisi globale avendo subito un drastico calo della produzione, un deterioramento della posizione di bilancio e un aumento del fabbisogno di finanziamenti esterni. Ritengo che, se fornita in tempo, l’assistenza consentirà al paese di affrontare con maggior rapidità ed efficacia le conseguenze della crisi finanziaria alleggerendo il fabbisogno della bilancia dei pagamenti e del bilancio.
Sostenendo il programma di stabilizzazione economica del governo moldovo e il suo impegno verso l’integrazione nell’Unione europea, si creeranno le condizioni necessarie al consolidamento delle riforme introdotte nel paese. Per garantire efficacia e trasparenza nella concessione degli aiuti sarà tuttavia necessario rafforzare la vigilanza e il controllo da parte della Commissione europea nel settore.
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) La crisi economica globale ha avuto un grave impatto sull’economia della Repubblica moldova, paese con uno dei redditi pro capite più bassi del Partenariato orientale dell’Unione europea. Ritengo che, dato che l’Unione si è assunta l’onere di sostenere i paesi del Partenariato orientale e che il nuovo governo della Repubblica moldova ha dimostrato di essere ricettivo nei confronti dell’Unione europea, l’iniziativa di fornire assistenza macrofinanziaria a favore di questo Stato in forma di sovvenzione di 90 milioni di euro sia un provvedimento più che necessario.
Va detto che l’assistenza proposta apporterà grandi benefici al paese, la cui già precaria situazione economica è stata ulteriormente aggravata delle gravi alluvioni di quest’estate. È importante ricordare l’accordo intergovernativo firmato in aprile, con il quale la Romania si è offerta di fornire alla Repubblica moldova assistenza finanziaria non rimborsabile per 100 milioni di euro a sostegno delle infrastrutture del paese. Concludo sottolineando che gli aiuti finanziari provenienti dall’Unione verranno utilizzati per sostenere la Repubblica moldova lungo il cammino verso l’integrazione politica ed economica con l’Unione europea.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Esprimo il mio voto contrario a questo report, fondamentalmente per un motivo di concretezza e praticità. L’idea di dare assistenza alla Repubblica di Moldova può essere in linea di principio condivisibile, nella misura in cui dare sostegno a Paesi vicini all’Europa può aiutare anche noi a prevenire i problemi dovuti alla povertà e alla conseguente immigrazione che investe in nostro continente. Tuttavia, per due motivi voto a sfavore della proposta. Innanzitutto, ho forti dubbi sull’utilizzo concreto e serio dei fondi che verrebbero stanziati dall’UE. Aldilà delle parole e delle rassicurazioni giunte dalle autorità moldove, sappiamo che quel Paese è afflitto da una corruzione dilagante e ha ancora oggi un sistema economico e finanziario molto antiquato. Non c’è pertanto alcuna garanzia credibile che i fondi europei verrebbero maneggiati con criterio e serietà. Inoltre, se anche avessimo sufficienti garanzie circa il buon utilizzo dei fondi, la cifra proposta apparirebbe comunque inadeguata: non vedo come i 90 milioni di euro di cui si parla nella relazione possano veramente aiutare un Paese ad intraprendere la strada della modernizzazione interna e del rinnovamento economico e politico.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) La Repubblica moldova è uno degli Stati europei più duramente colpiti dalla crisi economica e da oltre un anno le autorità di Chişinău devono far fronte a una situazione di incertezza politica che sicuramente inasprisce gli effetti della crisi non solo sulla popolazione ma anche sulle finanze statali. Fornendo alla Moldova una sovvenzione di circa 90 milioni di euro il cui utilizzo (che verrà monitorato) è destinato esclusivamente a coprire la bilancia dei pagamenti e a finanziare il bilancio statale, si aiuterà il paese a centrare gli obiettivi macroeconomici fissati dal Fondo monetario internazionale, promuovendo, nel medio e lungo periodo, la credibilità del paese sui mercati finanziari globali. Accolgo con favore l’intenzione di Parlamento e Commissione di imporre meccanismi di verifica per assicurare che la concessione comunitaria giunga a destinazione. La Moldova si trova in una situazione politica difficile e potrebbe avere la tentazione di ricorrere a gesti populistici in vista delle imminenti elezioni. Accolgo inoltre con favore le rassicurazioni del Primo ministro Filat e la sua determinazione a rispettare gli impegni presi, che sicuramente porteranno benefici all’economia moldova. Il paese, nell’attraversare questo momento difficile, ha bisogno di un segnale di buona volontà da parte della comunità internazionale ed è nell’interesse dell’Unione europea dare una mano alla Moldova, per avere al confine orientale uno Stato stabile sotto il profilo economico e politico.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Mi sono astenuto dal voto sulla relazione riguardante l’assistenza finanziaria alla Moldova, nonostante sia convinto che l’Unione europea debba aiutare il paese nel far fronte ai propri obblighi economici. Purtroppo i finanziamenti sono soggetti alle condizioni imposte al paese dal Fondo monetario internazionale e ritengo moralmente e politicamente inaccettabile il fatto che l’Unione abbia collegato la norma sull’assistenza finanziaria alla necessità che il paese si adegui alle politiche dettate dal FMI. Siamo contrari all’intervento del FMI poiché sono ancora ben evidenti le disastrose conseguenze dell’intervento del FMI in Grecia e in altri paesi.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della proposta di risoluzione legislativa del Parlamento europeo sulla concessione di assistenza macrofinanziaria a favore della Repubblica moldova. In qualità di relatore ombra per il mio gruppo politico ho chiesto che venga concessa il prima possibile una sovvenzione pari a fino 90 milioni di euro. La Repubblica moldova, un paese facente parte del Partenariato orientale, è stata colpita duramente dalla crisi economica e finanziaria e al contempo ha avviato importanti riforme politiche che devono essere rafforzate e accompagnate dall’applicazione pratica della normativa europea. Per questo ritengo che concedere sostegno finanziario possa accelerare il ritmo del processo di riforma.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Dato l’impatto dell’attuale crisi economica e finanziaria sulla Moldova e il cammino verso l’integrazione con l’Unione europea che il paese intende seguire, ritengo saggio da parte dell'Unione europea concedere assistenza macrofinanziaria alla Moldova. Il principio di solidarietà nei confronti dei paesi che rientrano nella politica europea di vicinato non deve però impedire all’Unione di effettuare adeguati controlli sulle modalità di utilizzo del fondo e alle autorità locali che ricevono l’aiuto di renderne conto.
Se gli aiuti non venissero monitorati da vicino, non sarebbero di alcun beneficio e potrebbero persino essere dannosi in paesi quali la Moldova, che stanno cercando di rendere stabili le proprie istituzioni e di rafforzare la democrazia e lo stato di diritto.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’assistenza macrofinanziaria alla Moldova proposta non costituisce un aiuto del tutto disinteressato; è invece soggetta ai requisiti e alla vigilanza del Fondo monetario internazionale e ai principi e agli obiettivi chiave della riforma economica stabiliti nel memorandum delle politiche economiche e finanziarie, con particolare riferimento agli esuberi e al congelamento dell’impiego nel settore pubblico, all’introduzione di misure tese a indebolire ulteriormente i contratti di lavoro e a ridurre i diritti dei lavoratori, all’innalzamento dell’età pensionabile, all’aumento dei prezzi dell’energia, alle privatizzazioni, al congelamento dei salari nel pubblico impiego, alla riduzione degli aiuti destinati all’agricoltura, all’aumento delle imposte dirette e indirette, alla chiusura di edifici scolastici, alla subordinazione delle università al finanziamento privato e alla deregolamentazione e ulteriore liberalizzazione degli investimenti interni ed esteri.
Questi motivi sono più che sufficienti per non sostenere la concessione di assistenza macrofinanziaria alla Moldova. Il pacchetto di misure proposte, infatti, potrebbe impoverire ulteriormente il paese, che già oggi è uno dei più poveri della regione. Con l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale che incoraggiano questo attacco brutale ai diritti dei cittadini moldovi, viene da chiedersi chi ha bisogno di nemici avendo amici come questi.
Filip Kaczmarek (PPE), per iscritto. – (PL) Ho approvato la relazione sulla concessione di assistenza macrofinanziaria a favore della Repubblica moldova, una misura che ritengo importante poiché potrebbe incidere profondamente sul futuro del paese come parte integrante dell’Europa. La settimana scorsa, durante una visita al Parlamento europeo, il Presidente polacco Bronisław Komorowski ha affermato che la cooperazione con la Moldova deve divenire una priorità della nostra politica estera.
Molti deputati sono rimasti un po’ sorpresi da questa dichiarazione, ma la Moldova, dopotutto, è uno Stato europeo e potrebbe un giorno diventare membro dell’Unione. Ecco perché dovremmo cooperare con il paese e pensare seriamente al suo futuro. Mi auguro che si riesca a superare rapidamente l’attuale crisi costituzionale in Moldova e che dalle nuove elezioni esca un parlamento in grado di avviare cambiamenti storici.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) L’Unione europea ha buone relazioni politiche ed economiche con la Repubblica moldova ed è fondamentale conservarle e approfondirle. Per questo motivo la concessione di assistenza macrofinanziaria alla Repubblica moldova, un paese gravemente colpito dalla crisi economica, è chiaramente un’iniziativa da appoggiare. Il denaro promesso dall’Unione europea è legato a condizioni chiare e raggiungerà i settori giusti. L’assistenza finanziaria europea, unitamente allo stanziamento del Fondo monetario internazionale, contribuirà a stabilizzare il bilancio nazionale e avrà un impatto positivo sui negoziati per l’accordo di associazione con il paese. Sono favorevole al pacchetto di assistenza macrofinanziaria che servirà a rafforzare i legami politici ed economici con il paese e che apporterà beneficio non solo alla Moldova ma a tutta l’Unione europea.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) L’economia della Repubblica moldova è stata duramente colpita dalla crisi finanziaria globale, come evidenziato dal deterioramento della situazione di bilancio e dal crescente fabbisogno di finanziamenti esterni. Dato l’aggravarsi della propria situazione economica, la Repubblica moldova ha richiesto l’assistenza macrofinanziaria dell’Unione europea. Ho votato a favore della proposta di fornire assistenza al paese, poiché credo che l’Unione europea debba cercare, assieme al Fondo monetario internazionale, alla Banca mondiale e ad altre istituzioni internazionali, di alleggerire la difficile situazione in cui si versa la Repubblica moldova. Gli aiuti sosterranno il governo di Chişinău per quanto concerne il finanziamento del deficit della bilancia dei pagamenti e di altri fabbisogni di bilancio e al contempo consolideranno le relazioni bilaterali tra il paese e l’Unione europea, dando all’UE la possibilità di dimostrare la propria solidarietà nei confronti di un paese firmatario del Partenariato orientale.
Iosif Matula (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione presentata dall’onorevole Winkler dato che ritengo si debba fornire assistenza macrofinanziaria alla Repubblica moldova per aiutarla a combattere la crisi economica. La Commissione europea propone l’erogazione di 90 milioni di euro in almeno tre tranche e tali aiuti europei andranno a sommarsi al sostegno finanziario del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale che il paese ha richiesto. L’assistenza macrofinanziaria europea è destinata ad accelerare il ritmo del processo di riforma nella Repubblica moldova sostenendo il programma economico del governo e il suo impegno verso l’adesione all’Unione europea.
L’Alleanza per l’integrazione europea, guidata dall’attuale Presidente in carica Ghimpu e dal Primo ministro Filat, ha ribadito il proprio impegno nella promozione delle riforme democratiche e nell’applicazione delle norme europee. In qualità di membro dell’Assemblea parlamentare Euronest e in qualità di cittadino rumeno, credo fermamente che sia nell’interesse dell’Unione europea avere paesi stabili, prosperi e amici ai propri confini orientali.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Il processo di stabilizzazione e di ripresa dell'economia moldova è supportato dall'assistenza finanziaria erogata dal Fondo monetario internazionale. A fronte del deterioramento delle prospettive economiche, la Repubblica moldova ha chiesto assistenza macro-finanziaria all'Unione europea. Questo programma è vitale anche per migliorare la stabilità finanziaria delle nazioni europee che hanno gravemente risentito della recente crisi globale e delle conseguenze che si sono abbattute sui loro principali partner commerciali. Gli squilibri finanziari infatti si ripercuotono sui bilanci e sulla bilancia dei pagamenti. Siffatto aiuto è importante affinché la Repubblica moldova possa affrontare la crisi nella maniera più coerente possibile e l'Unione europea deve essere un'area di solidarietà. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) L’economia della Repubblica moldova è stata gravemente colpita dalla crisi finanziaria internazionale che ha causato un drastico calo della produzione, un deterioramento delle finanze pubbliche e una maggiore necessità di finanziamenti esterni. Dato che il paese si trova ai confini dell’Unione europea e ha forti legami con la Romania, Stato membro dell’UE, è sicuramente nell’interesse comunitario stabilizzare la situazione nella regione e porre rapidamente fine alla migrazione su vasta scala, indotta da motivi economici.
La stabilizzazione e la ripresa economica della Repubblica moldova sono anche finanziariamente sostenute dal Fondo monetario internazionale e la Commissione europea deve garantire che l’assistenza macrofinanziaria dell’Unione sia legalmente e sostanzialmente allineata con le misure adottate in altri settori di azione esterna e con le altre politiche comunitarie attinenti. L’assistenza macrofinanziaria dell’Unione dovrebbe essere gestita dalla Commissione, che ha il compito di tenere regolarmente informati il Parlamento europeo e il comitato economico e finanziario sui relativi sviluppi e di fornire la documentazione pertinente, al fine di consentire loro di seguire l’applicazione della decisione. In tal modo si garantisce una corretta applicazione della decisione e un utilizzo attento del denaro dei contribuenti; per questo motivo ha votato a favore della decisione.
Sławomir Witold Nitras (PPE), per iscritto. – (PL) È con grande soddisfazione che prendo atto dell’approvazione odierna della relazione Winkler sull’assistenza macrofinanziaria a favore della Repubblica moldova. Uno dei nostri compiti fondamentali, come Stati membri dell’Unione, è di sostenere, con ogni mezzo possibile, i paesi che hanno bisogno del nostro aiuto. La questione è importante perché è essenziale prestare maggiore attenzione ai nostri partner orientali, compresa la Moldova.
Un’Europa forte è un’Europa che parla con una sola voce e nella quale la solidarietà, nel senso più ampio del termine, intesa anche come solidarietà economica, è un principio fondamentale. A mio parere la stabilità economica della Moldova è sicuramente un aspetto determinante che contribuirà a migliorare le relazioni politiche del paese.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La politica dei verdi in materia di assistenza macrofinanziaria è di verificare che non sussistano ragioni politiche per negare il sostegno e, poiché non è questo il caso della Repubblica moldova, non vi è quindi motivo per negare gli aiuti al paese. Noi verdi abbiamo votato a favore in seno alla commissione e anche oggi in plenaria. Desideriamo tuttavia sottolineare che ci attendiamo che la Commissione istituisca un quadro per la propria politica di assistenza macrofinanziaria.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo molto scettici sul fatto che l’Europa si faccia carico di contributi finanziari a paesi extra-UE.
Un conto è intervenire secondo il motto che tanto piace alla Lega Nord, "Aiutiamoli a casa loro", con progetti mirati ad aiutare le popolazioni con interventi umanitari, a combattere la povertà, a finanziare progetti per la tutela dei bambini, un altro conto è dare assistenza macrofinanziaria ad uno Stato nazionale. È evidente che un intervento di questo tipo non dà un aiuto diretto ai poveri ma ad un "sistema-Stato" che non è stato in grado di gestire le proprie finanze. Pertanto il nostro voto è contrario.
Bogusław Sonik (PPE), per iscritto. – (PL) Sostenere la politica di avvicinamento tra gli Stati membri europei e la Moldova richiede un grande impegno da parte di tutta l’Unione, che dovrebbe obbligare la Russia a consentire alla Repubblica moldova di prendere una decisione autonoma sulla Transnistria, un territorio che ne forma parte integrante. Occorre creare le condizioni affinché l’assistenza dell’Unione europea possa essere utilizzata in modo efficace all’interno della regione.
Traian Ungureanu (PPE), per iscritto. – (EN) In qualità di relatore ombra del PPE sul documento relativo all’accordo di associazione con la Repubblica moldova, sono lieto che il pacchetto di assistenza macrofinanziaria dell’Unione sia stato approvato a larga maggioranza. Il governo pro-europeo della Repubblica moldova ha urgente bisogno di assistenza e il voto del Parlamento europeo rappresenta un forte segnale del nostro sostegno alle attuali autorità moldove e al loro impegno per mitigare le conseguenze negative di molteplici crisi.
Mi auguro che, grazie a questa misura, il sostegno dell’UE al cammino europeo della Repubblica moldova acquisisca maggiore visibilità agli occhi dei cittadini di quel paese, confermando la nostra intenzione di continuare a fornire assistenza concreta alla Repubblica moldova nel suo impegno di avvicinamento agli standard e ai valori comunitari, quali il buon governo e il rafforzamento delle istituzioni democratiche.
Ribadisco infine il mio rammarico per l’inaccettabile lentezza del processo decisionale dell’Unione europea nella concessione di assistenza macrofinanziaria alla Repubblica moldova e chiedo alle istituzioni comunitarie di far tesoro dell’esperienza di quest’anno per evitare che simili ritardi si ripetano in futuro.
Iuliu Winkler (PPE), per iscritto. – (EN) In qualità di relatore della proposta di concessione di assistenza microfinanziaria alla Repubblica moldova, sono lieto che l’approvazione sia avvenuta senza intoppi nel corso della seduta plenaria, con un’ampia maggioranza che riflette il sostegno unanime del mio gruppo politico al Parlamento europeo. La Repubblica moldova è uno dei paesi del Partenariato orientale più duramente colpiti dalla crisi globale e l’assistenza sosterrà gli sforzi di ripresa del paese dalla crisi e la sua necessità di finanziamenti esterni. Sono convinto che l’assistenza contribuirà a rafforzare le riforme moldove e l’impegno del nostro vicino nel percorso verso l’integrazione con l’Unione europea. In linea con i principi e gli obiettivi chiave del PPE, ho presentato una serie di emendamenti volti a rafforzare l’efficienza, la trasparenza e l’obbligo di rendiconto dell’assistenza, con particolare riferimento ai sistemi di gestione delle finanze pubbliche della Repubblica moldova.
La relazione stabilisce che è compito della Commissione europea informare regolarmente quest’Aula sugli sviluppi relativi alla gestione dell’assistenza e di fornire i documenti pertinenti. La votazione della seduta plenaria del Parlamento europeo è caratterizzata da un profondo spirito europeo. Desidero sottolineare che la relazione ha ottenuto un consenso unanime anche in seno alla commissione per il commercio internazionale e vorrei ringraziare la commissione per gli affari esteri per aver sostenuto la sua rapida approvazione.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione volta a rafforzare la competitività degli operatori economici delle Azzorre in modo da assicurare una maggiore stabilità occupazionale che consenta di superare le difficoltà economiche derivanti dalla posizione geografica della regione.
La sospensione temporanea dei dazi consentirà agli operatori economici locali delle Azzorre e di Madera di importare senza dazi una certa quantità di materie prime, di pezzi di ricambio e di prodotti finiti destinati ai settori della pesca, dell’agricoltura, dell’industria e dei servizi. In una situazione economica sfavorevole questa misura determinerà un aumento della competitività e, sul lungo periodo, un quadro più vantaggioso per gli investitori.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Parlamento europeo deve svolgere un ruolo autentico nel processo legislativo europeo. Ora che è stata approvata la relazione, il Parlamento europeo comunicato verrà informato ogniqualvolta viene presentata una proposta di emendare lo status delle deleghe di potere (articolo 290 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea). È un punto importante, poiché l'Assemblea deve essere in grado di contribuire al dibattito sulla definizione di modifiche talvolta necessariamente tecniche agli elenchi di merci cui si applica la sospensione temporanea dei dazi autonomi della tariffa doganale comune sulle importazioni di taluni prodotti industriali nelle regioni autonome di Madera e delle Azzorre.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Voto con entusiasmo a favore del contenuto di questa relazione. Adottare le misure necessarie per rispondere ai problemi specifici delle regioni ultraperiferiche dell’Unione europea è particolarmente importante in un momento di crisi economica. L’isolamento geografico delle regioni autonome di Madera e delle Azzorre comporta per gli operatori economici dell’area notevoli svantaggi commerciali che hanno ripercussioni negative sull’andamento demografico, sull’occupazione e sullo sviluppo economico e sociale.
Le economie regionali di Madera e delle Azzorre dipendono in larga misura dal turismo, una risorsa economica piuttosto volatile condizionata da diversi fattori, nonché dalla capacità di controllo e rafforzamento da parte delle autorità locali e del governo portoghese. Lo sviluppo economico di Madera e delle Azzorre risente di queste limitazioni.
Date le circostanze, è ovviamente fondamentale sostenere i settori economici meno dipendenti dall’industria turistica al fine di controbilanciare le fluttuazioni, stabilizzando in questo modo l’occupazione nella regione. Occorre in particolare sostenere le piccole e medie imprese locali e gli agricoltori affinché investano e creino occupazione stabile nelle isole.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sulla sospensione temporanea dei dazi autonomi della tariffa doganale comune sulle importazioni di taluni prodotti industriali nelle regioni autonome di Madera e delle Azzorre perché sta diventando urgente, nel contesto della crisi internazionale, rafforzare la competitività degli operatori economici locali e assicurare un’occupazione stabile nelle regioni ultraperiferiche.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Come ho detto in gennaio, ritengo che la sospensione temporanea dei dazi autonomi sia essenziale per rafforzare la competitività degli operatori economici delle regioni autonome portoghesi di Madera e delle Azzorre, assicurando in tal modo un’occupazione più stabile su queste isole.
L’approvazione dell’esenzione è cruciale per lo sviluppo di queste regioni autonome portoghesi, entrambe fortemente dipendenti dall’industria turistica e quindi altamente vulnerabili per la volatilità del settore; il loro pieno sviluppo economico è infatti penalizzato dalle caratteristiche dell’economia locale e dalla posizione geografica. È quindi evidente che qualsiasi incentivo diretto all’industria locale fornirebbe sicuramente il sostegno necessario a migliorare le condizioni di vita della popolazione residente e ad aprire la strada alla creazione di posti di lavoro sulle isole, una misura essenziale per contenere l’emigrazione e creare le condizioni per lo sviluppo.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) A seguito della richiesta delle autorità regionali di Madera e delle Azzorre, presentata nell’agosto e nel dicembre 2007, sulla sospensione temporanea dei dazi autonomi della tariffa doganale comune sulle importazioni di taluni prodotti industriali dal 1° gennaio 2010 al 31 dicembre 2019, il Parlamento approva il regolamento del Consiglio, introducendo al contempo l’obbligo di essere informato qualora venga adottato un atto delegato o il Consiglio intenda sollevare obiezioni.
Siamo favorevoli alla sospensione richiesta dalle due regioni che rappresenta una misura importante per lo sviluppo delle isole, delle piccole e medie imprese regionali e degli agricoltori e produttori locali, riconoscendo al contempo le limitazioni derivanti dall’essere regioni ultraperiferiche. Per questo motivo abbiamo votato a favore.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Sono favorevole all’approvazione della relazione, mirata alla realtà delle regioni ultraperiferiche; Madera e le Azzorre, per loro stessa natura, hanno economie fragili e caratteristiche molto particolari che richiedono risposte specifiche. Le misure approvate mirano a rafforzare la competitività degli operatori economici locali; questo dovrebbe aiutare le piccole e medie imprese e gli agricoltori locali a investire e a creare posti di lavoro, promuovendo un’occupazione più stabile in queste regioni autonome. Nel contesto della crisi economica generale, questa misura specifica servirà a stimolare l’attività economica e l’occupazione sul medio periodo, fornendo un importante contributo alla coesione e alla convergenza in Europa. La sospensione dei dazi durerà dieci anni e riguarderà una serie di articoli, quali prodotti finiti destinati all’agricoltura, prodotti commerciali o industriali, materie prime, pezzi di ricambio e componenti utilizzabili nel settore agricolo e in quello della trasformazione industriale o della manutenzione. Anche se non è possibile valutare con precisione quale sarà l’impatto delle misure in quanto facenti parte di una serie di altri provvedimenti finalizzati ai problemi specifici delle regioni autonome in oggetto, la Commissione europea prevede che le misure concordate avranno un impatto sulle proprie risorse ed entrare pari a circa lo 0,12 per cento all’anno nel periodo 2010-2019.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione in quanto ritengo che siano in gioco gli interessi fondamentali di due regioni portoghesi.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto. – (CS) Onorevoli deputati, desidero cogliere l’opportunità per sottolineare che nello stilare il suo progetto di regolamento la Commissione ha dimenticato che ora, con il trattato di Lisbona, non è più possibile escludere il Parlamento europeo per quanto concerne il trasferimento di poteri per l’adozione di atti di questo tipo: la Commissione sembra aver scordato che il trattato di Lisbona è entrato in vigore. Desidero ringraziare i relatori per aver modificato gli articoli che obbligano la Commissione ad informare il Parlamento europeo prima di adottare atti sul trasferimento di poteri nel settore doganale e a tenere conto dei nostri punti di vista: credo si tratti di una lezione che servirà alla Commissione anche in altri casi.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Le autorità regionali di Madera e delle Azzorre hanno richiesto la sospensione temporanea dei dazi autonomi della tariffa doganale comune per stimolare la competitività degli operatori economici locali e consolidare l’occupazione in queste regioni ultraperiferiche dell’Unione europea. La sospensione proposta avrà effetto limitatamente alle isole in questione e aiuterà le piccole e medie imprese e gli agricoltori locali a investire e a creare posti di lavoro. Nella relazione iniziale la commissione per lo sviluppo regionale ha appoggiato la proposta; sono stati presentati e approvati alcuni emendamenti (procedura semplificata – articolo n. 43, paragrafo 2 del regolamento) che proponevano l’inclusione di ulteriori prodotti rispetto alla proposta iniziale (è stato aggiunto un nuovo codice di nomenclatura combinata), l’introduzione di una nuova data per l’entrata in vigore del regolamento (1° febbraio 2010 anziché 1° gennaio 2010) e una data di scadenza fissata al 31 dicembre 2019. Nella votazione odierna noi verdi abbiamo espresso voto favorevole poiché sosteniamo la nuova consultazione e l’inclusione dell’obbligo di notifica al Parlamento europeo.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) La sospensione temporanea dei dazi autonomi su taluni prodotti industriali importati a Madera e nelle Azzorre è una misura intesa a rafforzare la competitività delle economie locali e quindi ad assicurare l’occupazione in queste due regioni ultraperiferiche dell’Unione europea. La sospensione è condizionata dall’utilizzo finale dei prodotti e favorisce esclusivamente gli operatori economici di queste regioni, in quanto mira ad attrarre investimenti, offrendo una prospettiva a lungo termine che consentirà di creare un ambiente sociale ed economico stabile nelle isole.
La proposta consentirà la sospensione dei dazi per le industrie situate nelle zone di libero scambio e agevolerà gli operatori economici di tutti i settori che risiedono nelle regioni. La gamma dei prodotti ammessi è stata allargata ai prodotti finiti per uso industriale, alle materie prime e ad altri materiali, nonché ai pezzi di ricambio e ai componenti destinati al settore agricolo e della trasformazione industriale e della manutenzione.
Le economie delle regioni ultraperiferiche sono fragili e mostrano caratteristiche peculiari che richiedono risposte specifiche. Mi rammarico che il documento non includa un maggior numero di prodotti, ma è comunque previsto un incentivo alle economie delle regioni ultraperiferiche. Ho quindi espresso voto favorevole.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Dato che la proposta non comporta spese aggiuntive, ma si limita a fare chiarezza sugli stanziamenti amministrativi e per le spese operative rendendo più specifica e precisa la sezione III del bilancio, mi unisco al relatore nell’esprimere la mia approvazione alla decisione del Consiglio.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Il trattato di Lisbona ha attribuito nuove responsabilità al Parlamento. Pertanto si rende necessario un lavoro amministrativo supplementare ed i deputati hanno bisogno di personale qualificato in grado di fornire consulenze. Insorgono quindi due problemi: l'incremento dei costi dovuto ad un maggior numero di assistenti e lo spazio supplementare necessario affinché essi possano espletare i propri doveri in condizioni di lavoro adeguate. I costi quindi sono destinati a lievitare. È una questione difficile da spiegare in un periodo di crisi, ma se il lavoro del Parlamento deve essere eccellente, l'Assemblea deve disporre di risorse finanziarie ed umane appropriate.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Difendere l'indipendenza del mandato dei deputati di quest'Aula è responsabilità del Parlamento e siffatta indipendenza non può essere messa a repentaglio. In questo caso, visto che il capo d'accusa verte sul reato di falso in bilancio in relazione al finanziamento di un partito politico avvenuto prima dell'elezione del deputato in quest'Assemblea, non sussiste alcun collegamento con le attività che egli svolge in qualità di deputato europeo. In questo caso, pertanto, dobbiamo concedere la revoca dell'immunità. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Mi sono astenuto dalla votazione sull’immunità del collega, onorevole Uspaskich, dato che non credo che l’immunità sia cosa di poco conto: o c’è o non c’è e dà ai deputati la possibilità di svolgere il proprio lavoro, proteggendoli da possibili pressioni. Ritengo che l’immunità non possa essere revocata senza un giudizio della Corte di giustizia europea.
Non sono certo che la corte lituana si sia comportata in modo corretto dato che il governo e il Presidente della Lituania hanno spesso fatto allusione all’alto livello di corruzione presente nel loro paese. Che garanzie abbiamo che il giudizio sia stato raggiunto in modo obiettivo? Se oggi decideremo di revocare l’immunità all’onorevole Uspaskich, dovremmo anche rimuoverne il concetto stesso dal regolamento del Parlamento europeo.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Ho votato contro la revoca dell’immunità all’onorevole Uspaskich poiché, da un esame più accurato dei documenti, risulta chiaramente che l’azione avviata contro di lui è parzialmente dettata da motivi politici. In qualità di membro della minoranza russa, l’onorevole Uspaskich e il suo partito sono stati oggetto di ripetuti attacchi pubblici in Lituania da parte del governo. Ora egli viene accusato di aver tenuto la contabilità del partito in modo scorretto per un periodo di tre anni, ma è interessante notare che invece non sia stata rivolta alcuna accusa al responsabile dei pagamenti. L’onorevole Uspaskich, inoltre, è stato coordinatore e quindi anche responsabile del partito, ma solo nel corso del primo anno. La scorrettezza con cui il Parlamento europeo ha gestito la questione, arrivando persino a negare all’onorevole Uspaskich la possibilità di esprimere la propria opinione e di presentare una dichiarazione alla commissione giuridica, completa il quadro. Il relatore socialista sembra essere coinvolto in questo processo politico e questa situazione non è accettabile: ogni caso va trattato nel rispetto dei criteri dello stato di diritto, a differenza di quanto è avvenuto in questo frangente.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) L’argomento è stato aggiunto all’ordine del giorno della sessione di settembre I all’ultimo momento. La scorsa settimana la commissione giuridica ha deciso di revocare l’immunità all’onorevole Uspaskich e il nostro gruppo è a favore di tale decisione dato che si tratta di un caso di falso in bilancio nel finanziamento di un gruppo politico e non riguarda opinioni o voti espressi dal deputato europeo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari. Abbiamo quindi espresso la nostra opinione in plenaria votando a favore della relazione.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) La relazione dell’onorevole Rapkay è illegale e il Parlamento europeo ha violato il mio diritto alla difesa. Ho fornito al relatore prove eloquenti della persecuzione politica di cui sono vittima, ma egli ha rifiutato volutamente di trasmetterle agli altri membri della commissione giuridica.
Non mi è stato consentito di accedere alla proposta di decisione né di commentarla durante la riunione della commissione; non mi è stato permesso di parlare del fatto che sono stato ufficialmente riconosciuto vittima di persecuzione politica in Russia né di esprimere opinioni sui precedenti del Parlamento europeo. Nella proposta di decisione il relatore ha fornito una versione e un’interpretazione false della costituzione lituana: i deputati del Seimas, il parlamento lituano, godono di immunità in relazione agli atti compiuti prima delle elezioni. Non mi è stato consentito di parlare della questione nel corso dell’incontro.
Il Parlamento europeo, inoltre, ha violato la legge sui precedenti obbligatori. Nella storia dell’Unione europea non si è mai verificato un caso di revoca dell’immunità in una situazione come la mia. In primo luogo sono stato riconosciuto ufficialmente vittima di una persecuzione politica e in secondo luogo, come ha dichiarato il Seimas stesso, il dipartimento statale per la sicurezza che ha sferrato l’attacco iniziale nei miei confronti è un organo politicizzato e, come testimoniato da un dirigente del dipartimento, è stato il Presidente del Seimas ad ordinare di attaccarmi. In terzo luogo i procuratori mi vietano di incontrare gli elettori e di recarmi in un’altra città lituana; durante le elezioni, però, mi hanno permesso di andare in vacanza, di partecipare a manifestazioni sportive e di visitare luoghi di interesse religioso. In quarto luogo, in base ai precedenti stabiliti dai casi Herkotz, Blumenfeld, Venelzi, Amadei, Gaibisso e Marchiani, un leader politico non può essere accusato del reato di falso in bilancio.
Presenterò reclamo alla Corte di giustizia europea in merito a questa decisione illegale chiedendone la revoca.
Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, la globalizzazione, che caratterizza il momento storico attuale, si manifesta in tutti i settori della vita quotidiana, incluso purtroppo quello della delinquenza. Come ben spiegato nel testo in questione le statistiche relative alle procedure di cooperazione giudiziaria penale intercorse tra i singoli Stati membri ed il Giappone evidenziano che pure in assenza di un quadro normativo le autorità giudiziarie europee e giapponesi si trovano nella necessità di cooperare tra loro.
A tale scopo ho ritenuto un atto dovuto votare a favore di questa relazione e colgo l’occasione per ringraziare l’onorevole Iacolino per l’ottimo lavoro svolto.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − La cooperazione internazionale in materia penale è oggi un obiettivo da perseguire con il maggior impegno possibile da parte dell’UE. L’odierno aumento di fenomeni di criminalità organizzata che agisce su un piano transnazionale impone il massimo sforzo da parte della realtà statuali, nazionali e internazionali al fine di pervenire ad accordi che agevolino i passaggi burocratici e amministrativi e facilitino le procedure di investigazione e la persecuzione dei reati. L’accordo tra Europa e Giappone su cui siamo chiamati ad esprimere il nostro voto dà sufficienti garanzie di rispetto della legalità e dei diritti dei singoli, ed è oltretutto un’occasione storica perché sancisce giuridicamente per la prima volta la volontà dei due soggetti di pervenire a forme di cooperazione in materia penale e di lotta alla criminalità. Il mio voto è pertanto favorevole alla relazione del collega Iacolino.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) L’accordo mira ad avviare una cooperazione più efficace a livello di assistenza giudiziaria reciproca in materia di criminalità tra gli Stati membri dell’Unione europea e il Giappone. Credo che la firma del documento sia importante non soltanto perché consente di creare un quadro giuridico chiaro e coerente per regolamentare tale cooperazione ma anche perché, ad oggi, non esistono accordi bilaterali tra gli Stati membri e il Giappone in questo settore. Le sfide attualmente derivanti dalla globalizzazione stanno accentuando la necessità di avere risposte transnazionali: la lotta alla criminalità ne è un chiaro esempio e dimostra che la cooperazione e l’assistenza tra gli Stati della comunità internazionale sono aspetti fondamentali.
L’accordo prevede la possibilità di presentare una richiesta formale o di avere uno scambio spontaneo di informazioni, come per esempio testimonianze, dichiarazioni, documenti ed estratti bancari, indicazioni sulla localizzazione e l’individuazione di persone. Lo Stato cui viene presentata la richiesta ha la possibilità di rifiutarla in base ad uno dei motivi “tradizionali”, ma gli Stati in questione sono tenuti a consultarsi reciprocamente prima di rifiutare l’assistenza.
Sono quindi favorevole all’accordo che prevede un’assistenza giuridica più efficace, pur salvaguardando un adeguato livello di garanzie.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Da tempo il crimine organizzato ha varcato i confini dei singoli paesi ed è attualmente presente in molte parti del mondo. La situazione, tipica dei nostri tempi, richiede una risposta concordata e uniforme da parte delle organizzazioni internazionali, dei paesi e dei cittadini vittime di atti criminali e l’accordo tra Unione europea e Giappone sull’assistenza legale reciproca in materia di criminalità costituisce un ulteriore passo in questa direzione. I paesi in cui vige lo stato di diritto hanno l’obbligo di assicurarsi che i confini che li separano in termini di diritto internazionale non vengano utilizzati dalla criminalità per sfuggire alla giustizia ed evitare una condanna negando alle vittime un equo indennizzo.
Una maggiore efficienza della polizia e delle autorità giudiziarie dei singoli paesi, maggiori scambi di informazioni e l’adozione di migliori prassi andranno a vantaggio di tutti, accrescendo i benefici dell’assistenza legale reciproca. Mi auguro che tutto ciò possa divenire realtà.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Nel febbraio 2009 il Consiglio aveva autorizzato l'apertura dei negoziati per l'istituzione di un accordo sull'assistenza giudiziaria reciproca in materia penale tra l'Unione europea ed il Giappone. Con la decisione del 30 novembre 2009, ai sensi degli articoli 24 e 38 del trattato sull'Unione europea, il Consiglio aveva autorizzato la firma di siffatto accordo. A seguito dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, al Parlamento è stato chiesto di adottare la decisione del Consiglio in conformità con l'articolo 218 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
L'accordo ricalca altri accordi di cooperazione giudiziaria precedentemente conclusi e verte, in particolare, sulla cooperazione in materia di conduzione delle inchieste o sull'acquisizione delle prove, oltre che su altre attività, come la notifica delle comunicazioni nel paese interessato. Le disposizioni più importanti dell'accordo riguardano la deposizione e le dichiarazioni testimoniali, la videoconferenza ai fini delle udienze, la trasmissione dei verbali, dei documenti e degli estratti conto, fino alla localizzazione e l'identificazione delle persone e la produzione di reperti in possesso delle autorità legislative, amministrative o giudiziarie dello Stato interessato e delle sue autorità locali.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto.– (FR) Un regolamento sulla cooperazione giudiziaria in materia penale per agevolare le inchieste e per combattere in modo efficace la criminalità transfrontaliera: sono questi gli obiettivi e le finalità degli accordi internazionali sull’assistenza legale reciproca e, nel caso specifico, dell’accordo tra Unione europea e Giappone sull’assistenza in materia di criminalità. È facile immaginare le difficoltà che incontrerebbe un investigatore europeo (un’autorità giudiziaria, di polizia o di dogana) nel raccogliere prove in un paese terzo, soprattutto oggi quando la globalizzazione e la criminalità transfrontaliera che rendono essenziali nelle questioni penali la cooperazione tra Stati e l’esistenza di un quadro normativo e di un’interfaccia operativa tra l’Unione europea e i paesi terzi. Il valore aggiunto di questo accordo è evidente: condurre inchieste, acquisire prove, raccogliere testimonianze, ottenere documenti bancari e individuare e localizzare persone sono tutti settori nei quali, d’ora in poi, la cooperazione concordata formalmente tra Unione europea e Giappone garantirà maggiore efficacia e rapidità. Il Parlamento ha quindi approvato senza difficoltà la conclusione di questo accordo internazionale e ne sono molto lieta.
Clemente Mastella (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, vorrei innanzitutto congratularmi per l’eccellente lavoro svolto dal collega Iacolino.
Ho votato a favore della stessa perché ritengo che il numero elevato delle procedure di cooperazione giudiziaria penale intercorse, negli ultimi anni, tra i singoli Stati membri ed il Giappone richiedano oramai un quadro giuridico e normativo unico, soprattutto in considerazione dell’incomprensibile assenza di trattati bilaterali con gli Stati membri dell’UE.
Si tratta di un accordo di cooperazione giudiziaria, sulla linea di quelli già conclusi in passato e riguarda, in particolare, la cooperazione volta allo svolgimento di indagini o all’acquisizione di mezzi di prova, così come altre attività quali la notifica di comunicazioni nel paese richiesto. Le disposizioni che formano oggetto dell’Accordo tendono a realizzare un’assistenza giudiziaria quanto più efficace possibile, capace di fronteggiare le sfide odierne, senza rinunciare, allo stesso tempo, ad adeguati livelli di garanzia.
Quanto ai motivi di rifiuto, vorrei qui sottolineare la rilevanza della disposizione che tutela gli Stati membri contro il possibile utilizzo degli accordi nel quadro di procedure per reati punibili con la pena capitale; tutto ciò in piena osservanza della posizione più volte riaffermata da parte dell’Unione europea, circa un’abolizione della pena di morte o quanto meno una sua moratoria internazionale.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La globalizzazione che caratterizza la nostra epoca, oltre ad interessare la sfera economica, si estende anche ad altri settori, tra cui la criminalità. Per tale ragione la cooperazione giudiziaria tra Stati in materia penale è sempre un tema di attualità. Nel caso del Giappone le autorità europee e giapponesi collaborano, nonostante la mancanza di un quadro giuridico. É pertanto estremamente importante avviare i negoziati al fine di istituire un accordo sull'assistenza giudiziaria reciproca in materia penale tra l'Unione europea ed il Giappone. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi voglio complimentare con il collega Iacolino per l'eccellente lavoro svolto in questa relazione. La relazione ha un ottimo impianto giuridico e procedurale e rappresenta un deciso passo in avanti nella cooperazione giudiziaria non solo nei confronti del Giappone, ma mi auguro possa essere usata come modello per le future relazioni sull'assistenza con altri paesi extra UE.
Spesso i cittadini europei si trovano all'estero e commettono un reato, a volte anche non sapendo di violare le leggi del paese ospitante. In ogni caso, è fondamentale assicurare assistenza legale e giudiziaria a cominciare dalle traduzione, dalla possibilità di potersi esprimere nella propria lingua e dalla possibilità di ottenere aiuto e assistenza nella propria lingua. Chiaramente occorre tenere presente alcune difficoltà legate ai differenti sistemi giuridici ma ritengo vi siano alcune garanzie che , in ogni caso vanno osservate e rispettate.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la globalizzazione che caratterizza il momento storico in cui viviamo si manifesta in tutti i settori della vita quotidiana, incluso quello della delinquenza.
Le statistiche relative alle procedure di cooperazione giudiziaria penale intercorse tra i singoli Stati membri ed il Giappone evidenziano che pure in assenza di un quadro normativo le autorità giudiziarie europee e giapponesi si trovano nella necessità di cooperare tra loro.
Prendendo atto dell’assenza di trattati bilaterali tra gli Stati membri dell’Unione europea ed il Giappone e consapevole dei vantaggi di un quadro normativo armonico e coerente, nel febbraio del 2009 il Consiglio ha autorizzato l’avvio dei negoziati per la conclusione di un accordo sull’assistenza giudiziaria in materia penale tra l’Unione europea e il Giappone.
In conclusione, gli standard di protezione previsti da questo accordo appaiono superiori a quelli garantiti in analoghi accordi, compresi taluni recentemente sottoscritti. Per quanto detto, l’adozione dell’accordo non presenta particolari elementi di criticità.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) La relazione è un ulteriore passo in avanti verso l’istituzione di un’ampia cooperazione giudiziaria con i paesi terzi.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, è corretto che si cerchino rapporti di collaborazione per la lotta alla criminalità fra Unione europea e paesi extra UE, perché la globalizzazione porta all’estensione delle reti criminali nazionali, basti pensare alla mafia e alle triadi.
Potenziare e ampliare questi accordi anche a paesi ad alto tasso di criminalità potrebbe portare alla riduzione dell’espansione delle illegalità nell’Unione europea. Pertanto il nostro voto è a favore.
Rui Tavares (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) In base a una relazione del 2008 della Federazione internazionale per i diritti dell’uomo il Giappone continua a condannare a morte alcuni criminali e a tenerli per decenni in istituti carcerari nei quali vigono la segretezza e l’isolamento. Nel corso degli ultimi anni, e in particolare nel 2008, il numero delle esecuzioni è aumentato e dal 1996 non è stata condotta alcuna revisione di processo in casi di condanna a morte. L’accordo che l’Unione europea sta per concludere non contempla procedure di estradizione.
L’accordo permette invece l’acquisizione di diversi elementi di prova da utilizzare per giungere a eventuali condanne e contempla il trasferimento temporaneo di detenuti per la raccolta di testimonianze. L’articolo 11 consente agli Stati membri dell’Unione europea di respingere una richiesta di assistenza in base ad alcune condizioni, ma non vieta di dare seguito alle richieste qualora l’esito del processo potrebbe comportare una condanna a morte.
Sono favorevole alla cooperazione giudiziaria in questioni penali, a condizione che si rispettino i diritti della difesa, le garanzie procedurali e i diritti umani. Nel caso del Giappone la situazione è, a dir poco, confusa e per questo motivo non posso accordare il mio sostegno al nuovo trattato in questione.
Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho espresso un voto favorevole al testo presentato dal collega on. Iacolino perché rappresenta un accordo di cooperazione giudiziaria di grande valore, un passo concreto verso la modernizzazione del sistema giudiziario internazionale che si pone l’obiettivo di contrastare la criminalità organizzata.
Le autorità europee e giapponesi sono spesso chiamate a collaborare nella lotta al crimine organizzato e questo accordo internazionale garantisce senza dubbio i vantaggi dello sviluppo di un quadro normativo armonico e coerente in materia di assistenza giudiziaria reciproca in materia penale tra l’Unione Europea e il Giappone.
E mi permetto di sottolineare come l’intesa UE-Giappone garantisca standard di protezione superiori a quelli previsti in analoghi accordi siglati in tema di cooperazione giudiziaria.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione in quanto l’interconnessione dei registri delle imprese costituisce una misura idonea a promuovere l’ulteriore integrazione dello spazio economico all’interno dell’Unione europea e a rafforzare la certezza giuridica per le imprese e i consumatori. I registri delle imprese sono normalmente amministrati a livello nazionale e regionale; tuttavia l’aumento dell’attività economica transfrontaliera rende necessaria una migliore interconnessione per motivi di certezza del diritto e trasparenza; la misura, inoltre, farà risparmiare tempo e denaro.
L’attuale crisi finanziaria ha sottolineato ancora una volta l’importanza della trasparenza in tutti i mercati finanziari. Quanto alle misure finalizzate alla ripresa del settore, ritengo che maggiori opportunità di accesso alle informazioni ufficiali più recenti sulle imprese contribuirebbero a ripristinare la fiducia in tutti i mercati europei.
I registri delle imprese sono molto importanti poiché esaminano, registrano e archiviano informazioni sulle società, quali forma giuridica, sede, capitale e rappresentanti legali e rendono tali informazioni accessibili al pubblico. La misura in oggetto creerebbe le condizioni essenziali affinché i creditori, i partner commerciali e i consumatori possano ottenere informazioni ufficiali e affidabili sulle imprese su base transfrontaliera, garantendo in tal modo la necessaria trasparenza e la certezza del diritto in tutti i mercati comunitari.
António Fernando Correia De Campos (S&D), per iscritto. – (PT) L’interconnessione dei registri delle imprese è una misura essenziale dato che l’attuale frammentazione non solo danneggia il mondo degli affari, ma porta ad una mancanza di fiducia da parte del consumatore. Di particolare rilievo sono i problemi che tale frammentazione crea alle piccole e medie imprese, che costituiscono la spina dorsale dell’economia europea, nella creazione di posti di lavoro, nella crescita economica, nella coesione sociale europea e nelle relazioni transfrontaliere, generando le evidenti difficoltà del mercato unico europeo.
Concordo pienamente con l’idea di creare un unico punto d’accesso alle informazioni, disponibile in tutte le lingue comunitarie e debitamente pubblicizzato, che dia la possibilità di acquisire dati di elevata qualità, affidabili e aggiornati sul registro europeo delle imprese.
Attualmente sono state adottate misure di ampia portata per sfuggire alla crisi e, in questo contesto, lo strumento proposto può fornire un valore aggiunto nel rafforzamento della fiducia di 500 milioni di europei del mercato unico, oltre a migliorare le relazioni commerciali transfrontaliere. Per questo motivo accolgo con favore la relazione sulla quale l’Aula è chiamata oggi a votare.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Quando parliamo di mercato interno dobbiamo comprendere che una delle sue conseguenze è l’aumento del commercio transfrontaliero. Questo sviluppo è auspicabile e va incoraggiato, ma comporta la necessità di fornire ai cittadini informazioni ufficiali e affidabili sulle società che operano nell’Unione europea. La mancanza di uniformità tra i dati riportati nei diversi registri delle imprese genera incertezza giuridica, a discapito sia delle imprese sia dei consumatori europei. È quindi necessario creare un portale europeo centralizzato che conservi, in un formato standard, gli archivi dei dati di tutti gli Stati membri.
Il provvedimento aumenterà la trasparenza, l’efficienza e la certezza del diritto e rafforzerà la fiducia dei 500 milioni di consumatori europei; questo è fondamentale affinché l’Europa si riprenda dalla crisi economica. Infine, sulla scia di quanto espresso dalla commissione per i problemi economici e monetari, desidero ribadire il concetto che il nuovo sistema o portale non dovrà comportare un ulteriore fardello amministrativo per le imprese europee, ma deve agevolare il lavoro di tutti gli operatori del mercato e non rappresentare un ulteriore ostacolo burocratico.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) A fronte dell'incremento delle attività economiche transfrontaliere, bisogna migliorare l'interconnessione dei registri delle imprese al fine di garantire certezza giuridica e trasparenza. In questo modo, inoltre, si ridurrebbero i costi e aumenterebbe l'efficienza. L'interconnessione dei registri delle imprese rappresenta una soluzione appropriata per favorire una maggiore integrazione nel settore economico all'interno dell'Unione europea e per garantire una migliore certezza giuridica alle imprese e ai consumatori.
I registri vengono amministrati a livello nazionale e regionale e contengono solamente le informazioni relative ad imprese registrate nella zona di pertinenza – Stato o regione. Attualmente esistono già diversi meccanismi per l'interconnessione dei registri delle imprese: l'iniziativa sul registro europeo delle imprese (EBR) ed il progetto Interoperabilità dei registri delle imprese in Europa (BRITE). Siffatti programmi, però, sono volontari ed il secondo è solamente un progetto di ricerca. Un punto unico d'accesso per le informazioni relative a tutte le imprese europee comporterebbe un risparmio di tempo e di denaro. Pertanto, deve essere fatto obbligo agli Stati membri di prendervi parte.
Edvard Kožušník (ECR), per iscritto. – (CS) Sono favorevole all’iniziativa della Commissione europea sull’interconnessione dei registri delle imprese e credo che la possibilità di trasmettere informazioni oltre confine serva non solo a rivitalizzare il mercato interno, ma anche a rafforzare la credibilità del mercato e la certezza del diritto per tutti gli operatori attivi nel mercato interno. Non dobbiamo dimenticare il notevole impatto che avrebbe una riduzione del carico amministrativo che attualmente grava sulle imprese. Secondo il gruppo ad alto livello di esperti indipendenti sugli oneri amministrativi presieduto da Edmund Stoiber, la possibilità di accesso elettronico transfrontaliero alle informazioni sulle imprese farebbe risparmiare alle stesse spese amministrative pari a fino 160 milioni di euro l’anno.
Chiedo alla Commissione di concentrarsi in modo particolare sull’interoperabilità e sulla neutralità tecnica della soluzione nel suo complesso al momento dell’attuazione del progetto. Non sarebbe certo soddisfacente se, a fronte di 160 milioni di euro risparmiati sugli oneri amministrativi, se ne spendessero altrettanti per trovare soluzioni tecniche su come applicare l’interconnessione dei registri alle imprese.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La globalizzazione economica certamente intensifica la necessità di interconnettere i registri delle imprese. Al momento, tutte le informazioni sulle imprese vengono gestite solamente a livello nazionale e regionale, pertanto, dinanzi all'incremento della domanda di accesso alle informazioni sulle imprese in un contesto transnazionale, è necessario estendere il sistema a tutti gli Stati membri. É molto importante interconnettere i registri delle imprese per mettere fine alle perdite economiche e ai problemi che investono tutte le parti interessate, sia le imprese stesse che i loro dipendenti, i consumatori ed i cittadini in genere.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Nel mondo degli affari è particolarmente importante che determinati dati siano accessibili al pubblico ed è quindi positivo avere registri delle imprese a livello nazionale e regionale in modo da garantire, da un lato, la certezza del diritto e dall’altro la conformità al principio di sussidiarietà; bisogna però rendere al contempo possibile l’accesso transfrontaliero ai dati. Occorre assicurare l’interoperabilità, specialmente per quelle società che operano oltre confine a seguito, per esempio, di un trasferimento della sede legale o di una fusione. La cooperazione amministrativa non deve in nessun caso portare alla creazione di barriere burocratiche, ma deve tenere conto dei problemi linguistici e qualitativi e preparare il terreno alla direttiva sui servizi. Per quanto concerne, invece, i prerequisiti professionali, la cooperazione transfrontaliera non è del tutto soddisfacente.
In Austria, per esempio, contrariamente a quanto accade in altri paesi, per lavorare come guida turistica bisogna aver seguito corsi di formazione intensivi e aver superato alcuni esami. Le equivalenze e le verifiche promesse per risolvere problemi di questo tipo sono del tutto inadeguate e quindi, tenendo conto dell’alto livello qualitativo della formazione professionale in Austria, mi sono astenuto dal voto.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto favorevole sulla relazione in oggetto.
L’interconnessione dei registri delle imprese costituisce una misura idonea a promuovere l’ulteriore integrazione dello spazio economico all’interno dell’UE e a rafforzare la certezza giuridica per imprese e consumatori. Le informazioni derivanti da un registro commerciale non sono però comparabili alle informazioni peraltro disponibili in ambito economico. Esse hanno un’adeguatezza e una valenza giuridica diverse da Stato membro a Stato membro, di cui gli utenti, nel consultare i dati, devono essere assolutamente a conoscenza.
In virtù delle particolari circostanze, è necessario prevedere che l’interconnessione dei registri e l’accesso ai dati avvenga in un unico contesto, di semplice utilizzo e facilmente accessibile. Infine, un vero successo del progetto presuppone la partecipazione di tutti gli Stati membri, affinché esso possa essere reso vincolante non appena affinati i criteri tecnici.
Evelyn Regner (S&D), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione sull’interconnessione dei registri delle imprese perché, in qualità di relatore ombra del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, sono riuscita a raggiungere un buon compromesso con il relatore, onorevole Lechner. I miei principali problemi sono i seguenti:
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione Lechner è un’iniziativa sicuramente positiva che ci è risultato facile sostenere.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’idea di interconnettere i registri delle imprese in modo da permettere agli interessati l’accessibilità agli stessi è in linea con le richieste di trasparenza avanzate dalle associazioni di categoria.
La globalizzazione porta a spostamenti continui di imprese all’interno e all’esterno dell’UE ed è bene che chi è interessato possa consultare questi registri in tutta libertà. Troppe volte imprese fantasma hanno realizzato truffe sfruttando proprio la possibilità di non essere individuate con certezza dal punto di vista societario e quindi questa iniziativa non può che vederci favorevoli.
Catherine Soullie (PPE), per iscritto. – (FR) Desidero congratularmi con il relatore per la valida relazione approvata in quest’Aula a larga maggioranza. In qualità di relatore per parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori in materia di registri per le imprese, desidero sottolineare l’importanza di questo documento. I dati sul commercio all’interno dell’Unione europea sono fondamentali per uno sviluppo positivo e per la crescita del nostro mercato unico e attendo con ansia le proposte legislative della Commissione in materia.
La partecipazione obbligatoria di tutti gli Stati membri al registro comune delle imprese andrebbe a beneficio di tutta l’Unione. L’iniziativa però sarà attuabile solo se si avrà cura di non imporre ulteriori oneri amministrativi alle nostre imprese e se si garantirà il carattere privato dei dati, in modo da conservare un clima di fiducia.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione poiché sono convinta che l’interconnessione dei registri delle imprese possa contribuire ad aumentare la trasparenza nelle transazioni legali e commerciali. In generale il progetto è finalizzato a consentire agli operatori di mercato di accedere più facilmente alle informazioni e a dare a chiunque la possibilità di scoprire chi sta dietro a una particolare società, di qualsiasi forma giuridica si tratti. L’interconnessione sarebbe quindi nell’interesse della tutela dei consumatori e dei creditori.
Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, ho espresso voto favorevole alla relazione del collega Portas sull’interconnessione dei registri delle imprese poiché, al fine di rimuovere gli ostacoli esistenti alla mobilità delle imprese nell’UE, è opportuno prendere in considerazione l’integrazione in via obbligatoria per tutti gli Stati membri dei registri delle imprese europee.
Introdurre un portale unico europeo di accesso ai registri delle imprese, un portale valido e accessibile nei ventisette Stati membri che permetta a tutti i cittadini l’accesso alle informazioni sulle imprese europee, sicuramente rappresenta uno strumento per rendere più facile e agevole lo sviluppo delle imprese all’interno dell’Unione.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore dato che, a mio avviso, la nuova economia sostenibile deve basarsi sulla disponibilità di lavoratori qualificati, in grado di promuovere l’innovazione in settori strategicamente vantaggiosi per il futuro dell’Europa, con particolare riferimento all’energia e alla ricerca. Il valore aggiunto insito in questi ambiti della conoscenza, le opportunità di riconversione professionale che offrono e il fatto che possono svilupparsi sia nelle regioni periferiche che centrali dell’Unione europea sono indice del notevole potenziale che le caratterizza, in riferimento alle nuove tecnologie e alla loro capacità di adattarsi al nuovo contesto ambientale e umano.
Sarà fondamentale investire nei settori che promuovono la prevenzione e la limitazione degli effetti del cambiamento climatico. Le regioni marittime svolgeranno un ruolo significativo in questo senso, come del resto il ricorso a metodi alternativi di produzione energetica, basati sull’uso delle risorse naturali presenti in ciascuna regione europea.
La conoscenza associata all’innovazione ambientale rappresenta il futuro della nuova economia: occorre pertanto porre l’accento in maniera decisa sull’applicazione della conoscenza ai nuovi impieghi economici. La conoscenza può quindi offrire un valore aggiunto, ma potrà generare occupazione solo attraverso sinergie tra centri di ricerca, di produzione e di distribuzione, creando posti di lavori negli ambiti più variegati, dalla ricerca ai servizi, passando per il commercio.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) Oggi la precarietà sul mercato del lavoro fa sentire i propri effetti soprattutto sulla situazione occupazionale dei giovani europei. Accolgo con favore l’accento posto dalla relazione sull’accesso al mercato del lavoro, sul miglioramento delle opportunità occupazionali per i giovani e dei programmi di formazione a tal fine.
I giovani devono avere la possibilità di trovare uno sbocco lavorativo sul mercato: accolgo quindi con particolare favore la proposta di migliorare i rapporti tra centri di formazione, università e mondo aziendale. Questi rapporti promuoveranno l'ingresso dei giovani sul mercato del lavoro e creeranno opportunità per laureati e giovani qualificati.
In secondo luogo, condivido la necessità di un coordinamento multilivello tra i programmi di finanziamento europei, nazionali e regionali.
Tuttavia la relazione non mi trova d'accordo sulla proposta di abbandonare i meccanismi di sostegno diretto a favore dello sviluppo rurale e dello sviluppo di un’agricoltura sostenibile, dato che rappresentano il metodo più efficace per offrire un sostegno al reddito degli agricoltori.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Questa relazione il mio appoggio. Per poter dar vita a un’economia sostenibile per l’Unione europea, dobbiamo garantire uno sviluppo economico e sociale equilibrato. È essenziale ridurre la dipendenza della crescita economica dal consumo di risorse e di energia, contenere le emissioni a danno del clima e in tal modo il riscaldamento globale. Dobbiamo inoltre sfruttare il potenziale di creazione di posti di lavoro "verdi" nei settori dei servizi e dell’economia sociale. A tal fine, la Commissione dovrebbe redigere una strategia per la creazione di occupazione verde, che dovrebbe essere seguita dagli enti regionali al momento di adottare le proprie strategie di sviluppo. L’attuazione di questa strategia dovrebbe essere finanziata con fondi europei, nazionali e regionali, la cui distribuzione dovrebbe essere attentamente coordinata. Questi aiuti verrebbero utilizzati per svolgere attività di ricerca e sviluppo, adattare le innovazioni e le infrastrutture e creare nuove tecnologie negli ambiti dell’energia rinnovabile e dell’efficienza energetica, per esempio.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) A causa della crisi finanziaria, l’Europa e molte regioni del mondo continuano a vivere una situazione di stallo, senza che il mondo politico si chieda come risolvere questo problema. Non solo: molti politici credono addirittura che basti tener duro per ripristinare la situazione precedente al mese di settembre 2008.
Non condivido questo pensiero: se non affrontiamo la questione ambientale, le stesse cause produrranno esattamente gli stessi effetti. L’ambiente rappresenta un’opportunità per creare un nuovo modello di sviluppo. Il potenziale occupazionale è notevole, purché ci si doti dei mezzi necessari per dar vita a un’economia sostenibile.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Concordo con i contenuti di questa relazione, che promuove la creazione di posti di lavoro sostenibili, in altre parole, posti di lavoro che tengono conto delle esigenze della generazione attuale senza compromettere le opportunità per quelle future. La relazione sottolinea, inoltre, come questa occupazione debba creare benessere sociale, servendo, al contempo, l’uomo e la natura. Una nuova economia sostenibile dovrebbe puntare a una sostenibilità ecologica e sociale comune e creare prospettive a lungo termine per una maggiore competitività, benessere sociale e una più efficace tutela ambientale. L’aumento dei contratti di lavoro precari al livello di qualifica più basso rende particolarmente rilevante la questione della qualità dell’occupazione, per cui questa relazione promuove il concetto di lavoro dignitoso.
Si punta a creare un’attività lavorativa stabile e orientata socialmente, con particolare attenzione alla salute e alla sicurezza del lavoratore, a condizioni di lavoro dignitose e alle competenze richieste. Invito pertanto gli Stati membri a non limitarsi a creare occupazione per i livelli di formazione più alto, ma di sviluppare anche i livelli basso e intermedio, garantendo condizioni di lavoro dignitose. Condivido inoltre l’iniziativa volta ad adattare le strategie per l’apprendimento permanente alle esigenze dei lavoratori più anziani, in modo tale da garantire un tasso di partecipazione elevato anche tra i lavoratori che hanno più di 55 anni di età.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) La politica di coesione dell’Unione europea svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo del potenziale occupazionale di un’economia sostenibile, dato che contribuisce ad eliminare le differenze regionali e a sviluppare l’economia. Da questo punto di vista, gli enti regionali e locali dovrebbero utilizzare in misura maggiore i Fondi strutturali europei per iniziative tese a creare nuovi posti di lavoro sostenibili e a lungo termine. Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) aiuta a creare aggregazioni regionali che riuniscono ricerca, innovazione e infrastrutture locali nel quadro delle nuove tecnologie.
Gli enti locali e regionali sono i più capaci e meglio posizionati per creare le condizioni necessarie alla crescita di queste aggregazioni, che possono accelerare in modo determinante lo sviluppo economico locale e creare nuovi posti di lavoro nelle regioni. Anche le PMI rivestono un ruolo importante nella promozione dell’innovazione in Europa e dovrebbero essere incoraggiate a utilizzare il Fondo sociale europeo per promuovere lo spirito e le competenze imprenditoriali.
La mancanza di coordinamento tra i programmi di finanziamento europei, nazionali e regionali costituisce tuttavia un ostacolo al conseguimento di questi obiettivi. È pertanto necessario garantire un migliore coordinamento multilivello per generare maggiori sinergie tra le diverse politiche comuni.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione, poiché riconosco l'importanza di creare posti di lavoro"verdi" per un'economia sostenibile. Grazie a siffatti posti di lavoro deve essere possibile risparmiare energia e risorse naturali, mediante l'impiego di fonti rinnovabili, preservando al contempo gli ecosistemi e riducendo l'impatto dei rifiuti e dell'inquinamento atmosferico. In realtà, l'effetto positivo che discende dalla promozione di questi settori è considerevole e deve essere ampliato. Al contempo, devono essere garantite condizioni di lavoro adeguate insieme all'istruzione e alla formazione professionale.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore di questa relazione poiché critica la strategia EUROPA 2020, che non fa nulla per affrontare i problemi della disoccupazione e della coesione sociale, e invita a modificare il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo sociale europeo affinché possano promuovere davvero l’occupazione e un’integrazione sociale equa. La relazione intende inoltre avviare un dibattito e adottare misure specifiche per la creazione di posti di lavoro di qualità, che possano contare su una giusta retribuzione e previdenza sociale, promovendo una crescita sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale.
La relazione si pronuncia a favore di un ruolo forte per il settore pubblico promovendone lo sviluppo sostenibile con servizi e infrastrutture pubbliche in linea con gli standard sociali ed ambientali. Auspica inoltre una nuova politica per l’industria, l’educazione e le qualifiche, in grado di creare un’economia sostenibile che punti sull’uguaglianza di genere e un ruolo forte per i rappresentanti del lavoratori.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. − (EN) Sostengo la relazione in cui si afferma che, nell'opera di ottimizzazione del potenziale occupazionale, deve essere assegnata un'attenzione speciale alle condizioni di lavoro oltre che alla salute e alla sicurezza dei lavoratori. Al fine di anticipare il cambiamento, scongiurando la disoccupazione, è essenziale promuovere il dialogo sociale ed i contratti collettivi (che spesso non esistono nei settori nuovi) e rafforzare la sicurezza sociale, i sistemi di sostegno al reddito e le iniziative settoriali proattive di formazione, la parità di genere ed un mercato del lavoro socialmente inclusivo. La relazione prende le mosse dalla definizione di lavoro "verde" dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) secondo cui tutti i posti di lavoro suscettibili di promuovere lo sviluppo sostenibile sono lavori "verdi". Per garantire una transizione equa a livello sociale, i lavoratori devono partecipare attivamente al processo. La relazione chiede il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori preposti a promuovere l'occupazione verde sul posto di lavoro – ai sensi della definizione dell'ILO – affinché l'occupazione, le imprese e le industrie diventino più sostenibili. Essendo uno degli obiettivi previsti, l'incremento della sostenibilità deve essere incluso nella prospettiva finanziaria dei vari fondi, compresi i Fondi strutturali ed il Fondo di coesione. Dobbiamo inserire la creazione di occupazione sostenibile tra le priorità dell'agenda dell'Unione, prevedendo una transizione progressiva e degli investimenti tesi a promuovere un'occupazione di qualità ed ecocompatibile
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sullo sviluppo del potenziale occupazionale di una nuova economia sostenibile poiché sostiene che la creazione di posti di lavoro verdi non debba essere considerata soltanto in un’ottica numerica. È importante sapere anche come garantire condizioni di lavoro dignitose e come attuare la transizione verso un’economia sostenibile in maniera socialmente equa.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il numero di commissioni parlamentari coinvolte nella redazione di questa relazione – sei – è segno evidente della grande importanza rivestita oggi dalla questione dell’occupazione, nonché di come il concetto di sostenibilità sia ormai imprescindibile nel dibattito politico. La sostenibilità dell’economia e il suo potenziale occupazionale sono questioni che accomunano lavoratori, uomini d’affari e politici, tecnici e non addetti ai lavori, ambientalisti, industriali e molti altri soggetti ancora. Uno dei problemi principali è rappresentato proprio dai costi della sostenibilità e da come vengono distribuiti.
Ci chiediamo in che misura questo bisogno, che non è sempre individuabile o sufficientemente realizzabile, non stia intaccando la capacità dei mercati di adottare nuove iniziative e di organizzarsi, o non stia introducendo ulteriori difficoltà in un’economia già provata dalla crisi e da un clima di incertezza. Oggi la sostenibilità deve essere qualcosa di più di un termine generico, difficile da tradurre in realtà. Dovrebbe essere, invece, un presupposto concreto per modificare l’azione dell’uomo nel mondo, anche in termini economici, a vantaggio di tutti e non soltanto di pochi radicali.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Lo sviluppo è sostenibile quando la soddisfazione dei fabbisogni della generazione attuale non va a minacciare la soddisfazione dei fabbisogni delle generazioni future. Serve un approccio che riunisca la considerazione degli interessi economici, sociali ed ecologici, un dialogo sociale più intenso, una maggiore responsabilità sociale per le imprese e l'adozione del principio della prevenzione e del principio "chi inquina paga". Bisogna ragionare a lungo termine, puntando alla competitività e alla coesione sociale, territoriale ed ambientale. Pertanto sosteniamo l'investimento nel capitale umano, sociale ed ambientale, nell'innovazione tecnologica e nei nuovi servizi ecologici.
Assumendoci questo impegno, contribuiamo alla lotta contro il cambiamento climatico. L'Unione europea si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra di almeno il 20 per cento entro il 2020, a coprire il 20 per cento del proprio fabbisogno energetico con le energie rinnovabili e ad incrementare l'efficienza energetica del 20 per cento. Secondo uno studio condotto da un pannello intergovernativo sul cambiamento climatico, il surriscaldamento globale può essere limitato a 2° C solamente se i paesi industrializzati entro il 2050 riusciranno a tagliare le proprie emissioni di gas ad effetto serra del 80-90 per cento rispetto al livello del 1990. Pertanto invochiamo la creazione di posti di lavoro "verdi" atti a contribuire alla crescita sostenibile basata sulla giustizia sociale e sull'efficienza ecologica oltre alla promozione dell'occupazione nel mondo rurale al fine di prevenire la desertificazione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione di iniziativa presenta una serie di aspetti positivi in diversi ambiti e accoglie il parere di cui sono stata responsabile in seno alla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, per quanto non sottolinei, come dovrebbe, la necessità di prestare maggiore attenzione alle specificità di ciascuno Stato membro. Mi soffermerò su alcuni aspetti positivi:
- la relazione sostiene che una nuova economia sostenibile per l’Unione europea debba garantire uno sviluppo economico e sociale equilibrato, insistendo sull’importanza del settore pubblico;
- chiede un'ambiziosa politica industriale sostenibile, che tenta in particolare considerazione l’efficienza delle risorse e sottolinea che l’economia verde deve offrire prospettive occupazionali dignitose e ben retribuite, ispirate all’idea di efficienza energetica o che contribuiscano alla diversificazione industriale;
- sottolinea che la transizione verso una nuova economia sostenibile è un procedimento complesso, che impone la necessità di prestare particolare attenzione alle regioni colpite dalla deindustrializzazione, istituendo idonei meccanismi di sostegno finanziario e interventi integrati mirati allo sviluppo sostenibile e ad un’economia maggiormente basata sull'innovazione, che sia in grado di creare posti di lavoro dignitosi, ben retribuiti e con diritti e di ridurre le disparità sociali e le asimmetrie regionali; di concerto con le parti sociali, sostenendo in modo particolare le piccole e medie imprese.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La votazione su questa relazione cade a proposito. Proprio oggi, infatti, il governo scozzese ha annunciato che la Scozia è a metà del proprio cammino verso il raggiungimento degli obiettivi 2020 per le emissioni di gas serra. Una relazione pubblicata di recente ha sottolineato come l’energia eolica prodotta offshore, da sola, potrebbe creare 48 000 posti di lavoro in Scozia. Il governo scozzese intende essere in prima linea negli sforzi profusi dall’Unione europea per generare occupazione in un’economia sostenibile. Purtroppo, però, il governo di Westminster continua a discriminare i fornitori di energia scozzesi applicando oneri di allacciamento alla rete nazionale, frenando così uno sviluppo importante per tutte l'UE. Sostengo le proposte avanzate da questa relazione e invito il governo britannico ad ascoltarli.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Si osserva oggi una crescente tendenza, soprattutto per i giovani, verso contratti di breve durata con condizioni di lavoro meno qualificanti. Si tratta di un notevole ostacolo sulla strada di una vita stabile per i cittadini e, pertanto, verso un’economia sostenibile. L’attenzione posta all’ecologia nello sviluppo e nelle innovazioni industriali è volta a favorire lo sviluppo dell’occupazione e la tutela dell’ambiente.
Secondo il parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, imporre l'impiego di tecnologie eco-sostenibili in agricoltura contribuirà allo sviluppo occupazionale e al sostegno al reddito degli agricoltori. Si tratta di una tesi interessante, che merita sicuramente di essere discussa e analizzata in maniera approfondita. Anche la proposta di lanciare campagne informative per sensibilizzare i cittadini in merito all’importanza dell’ecologia merita di essere appoggiata.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. − (EN) La sostenibilità dell'energia è uno dei temi principali che la società deve affrontare in Europa e può altresì divenire una delle principali fonti di occupazione negli anni a venire. Sostengo questa iniziativa, poiché promuove la creazione di occupazione, proteggendo i diritti dei lavoratori.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) La lentezza con cui la crisi economica sta volgendo al termine dovrebbe spingere l’Unione europea a gestire le proprie risorse in maniera più cauta e competitiva. Ciò è possibile solo adottando un approccio sostenibile alle attività commerciali, che comporta un ampio ventaglio di vantaggi aggiuntivi per l’ambiente e i cittadini. Dobbiamo creare condizioni generali stabili, in cui il potenziale occupazionale insito nell’economia verde europea possa svilupparsi, garantendo uno sviluppo sostenibile delle attività. Voto a favore di questa relazione dal momento che la crescita economica, la tutela dell’ambiente e la coesione sociale sono realtà che vanno di pari passo e si completano a vicenda. L’obiettivo non dovrebbe essere solo creare nuovi posti di lavoro sostenibili "verdi", ma anche incoraggiare le aziende e la società a svolgere un ruolo in questa nuova ottica. Dobbiamo sfruttare appieno il potenziale dell’economia verde contribuendo inoltre all’immagine globale dell’Europa come modello di unione economica progressista, sostenibile e cosciente dell’importanza dell’ambiente.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) A seguito della crisi, la crescita economica e l’occupazione sono diventate una priorità per l’Unione europea. Ho votato a favore di questa relazione poiché ritengo essenziale sviluppare l’occupazione tramite politiche mirate a promuovere l'invecchiamento attivo e l’integrazione nel mercato del lavoro dei giovani, dei disabili, degli immigrati regolari e di altri gruppi vulnerabili. Queste politiche, accanto all’istruzione e alla formazione professionale di qualità, devono essere accompagnate da incentivi efficaci a sostegno dell’apprendimento permanente e di opportunità per conseguire migliori qualifiche.
Un altro gruppo che non possiamo trascurare è rappresentato dai giovani laureati. Dobbiamo promuovere un solido partenariato tra gli Stati membri e le parti sociali in grado di aiutare questi giovani a trovare il primo impiego o di offrire loro nuove opportunità di formazione, anche in termini di apprendistato. A questo scopo, gli Stati membri devono attivare e sfruttare appieno i fondi europei disponibili, in particolare il Fondo sociale europeo.
Ramona Nicole Mănescu (ALDE), per iscritto. – (RO) Abbiamo bisogno di misure in grado di creare nuovi posti di lavoro, in particolare ora che gli Stati membri stanno affrontando una grave crisi economica e sociale. In questo contesto, la politica di coesione dell’Unione europea può svolgere un ruolo fondamentale ai fini dello sviluppo del potenziale occupazionale in un'economia sostenibile, riducendo le differenze regionali e creando una società caratterizzata dalla piena occupazione. Dobbiamo incoraggiare le regioni a utilizzare i Fondi strutturali, per finanziare progetti nazionali, regionali e locali, e a servirsi del Fondo sociale europeo per creare migliori opportunità formative e occupazionali.
Il Fondo sociale europeo è la soluzione per quegli Stati membri che vogliono investire a favore dello sviluppo delle competenze, di attività formative, della riconversione e della consulenza professionale ai disoccupati, al fine di creare maggiore e migliore occupazione. Per poter sostenere le comunità e le regioni negli Stati membri, ho chiesto alla Commissione europea di finanziare un progetto pilota volto a organizzare corsi di formazione e agevolare lo scambio di modelli di buone prassi per i soggetti direttamente coinvolti nella gestione e nell’impiego dei fondi europei a livello locale e regionale.
Thomas Mann (PPE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione di iniziativa dell’onorevole Schroedter sullo sviluppo del potenziale occupazionale di una nuova economia sostenibile. Il punto focale della relazione è la cosiddetta occupazione "verde", ossia di posti di lavoro in quasi tutti i settori dell’industria e dei servizi che contribuiscono a un’economia sostenibile. La tutela dell’ambiente può diventare una forza motrice per l’economia, a condizione di creare da subito un quadro prevedibile e favorevole agli investimenti. L’introduzione di una serie di criteri aggiuntivi per gli appalti va contro l’obiettivo dell’Unione europea di ridurre immediatamente gli oneri burocratici. Sono lieto che si sia deciso di limitare l’aumento dei criteri agli standard sociali minimi. La maggior parte delle aziende europee sono, senza ombra di dubbio, all'avanguardia mondiale nell’adozione di politiche di tutela ambientale efficaci. Al fine di garantir loro una concorrenza leale, dobbiamo evitare che la produzione venga delocalizzata al di fuori dell’Unione europea, in paesi terzi con standard di tutela ambientale meno rigorosi. La Commissione europea e gli Stati membri devono adottare tempestivamente misure efficaci per contrastare questa tendenza. Il mio emendamento a tal fine ha ottenuto oggi l’appoggio della maggioranza.
Vanno inoltre promossi i principi dell’anti-discriminazione e della parità di trattamento sul luogo di lavoro. Meccanismi sanzionatori e quote sono il modo sbagliato per conseguire questo obiettivo. Il requisito che prevede una quota femminile obbligatoria del 40 per cento nei consigli di amministrazione delle società è irrealistico e, pertanto, tale proposta non è stata appoggiata. Le donne non hanno bisogno di quote: hanno bisogno di migliori opportunità per sviluppare la propria carriera, pertanto è necessario rimuovere gli ostacoli che intralciano la crescita professionale delle donne.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Il concetto di occupazione in una nuova economia sostenibile sta creando un nuovo paradigma in relazione ai bilanci di tipo economico, che sinora sono stati considerati fondamentali per lo sviluppo e la creazione di occupazione. Un'economia sostenibile presuppone grandi cambiamenti in relazione al potenziale di occupazione, poiché le aziende che operano nel settore dell'efficienza energetica sono destinate a svolgere un ruolo cruciale nella creazione di posti di lavoro in tutto il mondo. L'esempio tedesco in questo ambito è molto significativo del successo di siffatte società nella creazione di posti di lavoro. Pertanto è essenziale che altri paesi dell'Unione europea seguano l'esempio della Germania affinché si produca un effetto moltiplicatore sull'occupazione nell'economia sostenibile in tutta Europa.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Ecco un'altra relazione dell’Unione europea piena di belle parole. Per esempio, si parla di potenziale occupazionale ottimale per uomini e donne nella nuova economia sostenibile, di condizioni di lavoro dignitose, di una trasformazione socialmente equa e di soddisfare il fabbisogno di competenze. Al contempo, però, l’Unione europea deve essere cosciente del fatto che, proprio a causa dell’allargamento ad est, la pressione sul mercato del lavoro è aumentata notevolmente in alcuni settori, senza alcun segno di miglioramento. Non solo: negli ultimi anni, in particolare, è aumentata notevolmente la precarietà con l’avvento dei lavori interinali, dei contratti a tempo parziale, dei "MacJobs" e di presunte forme di lavoro autonomo. Oggigiorno neppure una formazione di alta qualità è garanzia di un posto di lavoro.
Fintantoché continueranno le discussioni sui permessi di soggiorno per i lavoratori provenienti da paesi terzi, destinati a fornire manodopera a basso costo ai settori del commercio e dell’industria, invece di tentare di offrire le opportune qualifiche ai lavoratori residenti nell’Unione, tutto ciò rimarrà probabilmente lettera morta. I requisiti sembrano corretti, ma si può dire quel che si vuole sulla carta. Senza certezza che a queste parole seguiranno misure adeguate in grado di tradurle in realtà, mi sono astenuto dal voto.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. –Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho espresso il mio appoggio a favore della relazione della collega Schroedter, in quanto ne condivido il messaggio e l'impostazione.
Lo sviluppo sostenibile tiene conto delle esigenze delle generazioni attuali, in modo da non compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni. La decisione del Consiglio, oltre a tenere in considerazione gli interessi economici ed ecologici, prevede investimenti nel capitale umano, nel sociale e nell'innovazione, con l'obiettivo di incentivare le condizioni per la competitività, il benessere e la coesione sociale.
Inoltre, un altro punto molto importante del documento riguarda la definizione dei ”lavori verdi”. Questi lavori non si riferiscono soltanto ai settori direttamente collegati alla protezione dell'ambiente, ma anche a quelli che contribuiscono alla transizione verso un’economia sostenibile favorendo sia il risparmio energetico e l'utilizzo delle rinnovabili, sia prevenendo la produzione di rifiuti.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) La crescita sostenibile deve basarsi sulla giustizia sociale e sull’eco-efficienza. La trasformazione delle economie europee in economie eco-efficienti ad ogni livello – locale, nazionale, regionale ed europeo – comporterà profondi cambiamenti nella produzione, nella distribuzione e nei consumi. Appoggio gli sforzi profusi per organizzare campagne di informazione pubblica e sensibilizzazione volte a illustrare come la nostra strategia per una transizione verso un’economia verde e sostenibile sia socialmente equa e contribuirà allo sviluppo dell’occupazione.
Vorrei sottolineare la necessità di prestare particolare attenzione alla biodiversità nell’ambito della creazione di nuovi posti di lavoro verdi in Europa, in particolare nell’attuazione delle reti Natura 2000. Invito la Commissione a proporre, entro il 2011, una strategia che contenga misure di natura legislativa e non solo, atte a promuovere la creazione di posti di lavoro verdi, che rappresentino una fonte di crescita e prosperità per tutti.
Chiedo alla Commissione e agli Stati membri di includere in tutte le altre politiche europee iniziative per la conversione professionale dei lavoratori in un’ottica verde.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) La creazione di posti di lavoro verdi in Europa è essenziale. Questo tipo di occupazione rende possibile la crescita sostenibile e, al contempo, dà un contributo importante al conseguimento degli ambiziosi obiettivi quantificati che l’Unione europea si è posta nella lotta ai cambiamenti climatici. Ho votato a favore della relazione della mia collega, l’onorevole Schroedter, che chiede l’adozione di provvedimenti volti a promuovere questo tipo di occupazione. Per incrementare il numero di posti di lavoro verdi, le aziende dovrebbero essere incentivate, in particolare, a investire in tecnologie pulite: mi riferisco, per esempio, all’introduzione di sgravi fiscali per le PMI. Le regioni dovrebbero essere incoraggiate ad utilizzare i Fondi strutturali europei e il Fondo di coesione per creare nuovi posti di lavoro con contratti a lungo termine. Dobbiamo tuttavia garantire che i sistemi nazionali di formazione ed educazione siano in grado di soddisfare la domanda di lavoratori qualificati, nonché di garantire la riconversione di coloro che rischiamo di perdere il posto di lavoro a causa di questi cambiamenti strutturali dell’economia.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto – (CS) Mi sono astenuta dalla votazione sulla relazione sullo sviluppo del potenziale occupazionale di una nuova economia sostenibile dato che non condivido l’opinione della relatrice, secondo cui risolveremo il problema della disoccupazione riducendo del 90 per cento le emissioni nell’arco dei prossimi 40 anni. La relazione sostiene sicuramente la necessità di introdurre nuove tecnologie, che non si traducono però necessariamente in nuovi posti di lavoro per i cittadini europei. Facciamo parte di un mercato globale liberalizzato che offre alle aziende, alle comunità e ai consumatori nuove tecnologie provenienti dall’Asia, in grado di competere con la tecnologia europea essenzialmente grazie ai prezzi contenuti. Ciò non significa che non dovremmo introdurre standard ambientali, ma non fingiamo che siano una cura per la disoccupazione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore il fatto che il Parlamento europeo, oggi, abbia approvato una relazione sul potenziale occupazionale di un’economia sostenibile, a cura della mia collega tedesca, l’onorevole Schroedter. Come ha precisato la collega dopo il voto, il gruppo Verde sostiene da tempo la necessità che l’Europa si impegni per un vero e proprio "Green New Deal", accelerando la transizione verso un’economia verde, intesa come unica risposta efficace all’attuale crisi economica. È quindi più che positivo che un’ampia maggioranza di deputati, di diversi gruppi politici, abbia appoggiato questa relazione, che mette in luce il considerevole potenziale esistente per la creazione di nuovi posti di lavoro verdi e per la trasformazione in un’ottica verde di posti di lavoro già esistenti in tutta Europa, formulando opportune raccomandazioni in tal senso.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione in oggetto ci vede contrari, seppur favorevoli su alcuni principi.
Lo sviluppo di nuovi posti di lavoro nei settori "verdi", il ricorso a fonti rinnovabili, il ripristino dell'ecosistema e il risparmio di energia sono auspicabili e da sostenere. D'altra parte non possiamo accettare che i costi per la transazione verso posti sostenibili, specie in un momento di crisi come questo, debbano essere a carico delle nostre aziende.
Occorrerebbe predisporre fonti di finanziamento a cui possano attingere le imprese interessate a convertirsi totalmente o in parte nel settore ecosostenibile. Occorrerebbe anche semplificare le procedure per la sostituzione negli impianti più inquinanti con quelli a basso impatto ambientale che, come succede spesso in Italia, vengono contrastati dalle popolazioni.
Edward Scicluna (S&D), per iscritto. – (EN) Sono lieto di appoggiare questa relazione. È importante evitare che l’attuale crisi socioeconomica impedisca agli Stati membri di procedere verso un’economia più sostenibile, a basse emissioni di carbonio ed efficiente sotto il profilo del consumo di risorse. In tal modo le nostre economie saranno più solide, competitive e meno dipendenti da importazioni sempre più onerose. La Commissione dovrebbe porre particolare attenzione ai posti di lavoro verdi, soprattutto dal momento che l’OCSE ha dimostrato che il settore dei beni e dei servizi ambientali è in grado, potenzialmente, di creare occupazione per un ampio ventaglio di abilità e competenze, includendo anche i lavoratori scarsamente qualificati. Vorrei inoltre che gli Stati membri definiscano sistemi di finanziamento e incentivi fiscali in grado di orientare le PMI verso politiche occupazionali verdi. Mentre la nuova politica europea per l’occupazione fornirà una definizione di ampio respiro del concetto di "posti di lavoro verdi", sarà necessario operare opportune distinzioni tra ambiti quali il controllo dell’inquinamento, il riciclaggio, la gestione delle risorse idriche, la conservazione della natura, la creazione di tecnologie ambientali e per la produzione di energie rinnovabili e attività di R&S ambientali. Un’economia "verde" è potenzialmente in grado di generare crescita economica e di affrontare il fenomeno della precarietà emerso negli ultimi decenni nell’UE e sempre più diffuso, in particolare, tra i giovani. Servono a tal fine programmi di formazione ed educazione adeguati per sviluppare il potenziale occupazionale di una nuova economia sostenibile.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) Secondo la definizione del Consiglio europeo, lo sviluppo è sostenibile se risponde alle esigenze delle generazioni attuali, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni. In questa relazione si parla molto della creazione di posti di lavoro verdi. C’è un aspetto estremamente importante da sottolineare: il settore delle energie rinnovabili offre un considerevole potenziale per la creazione di occupazione verde. In Europa, la Germania offre un buon esempio dell’attuazione responsabile di una politica di questo tipo. Nella transizione verso un’economia sostenibile, dobbiamo inoltre prestare attenzione alla giustizia sociale, se vogliamo che i cittadini accettino questo cambiamento. A tale scopo sono importanti anche aspetti come una formazione adeguata e il sistematico miglioramento delle competenze dei lavoratori. Lo sviluppo sostenibile impone rispetto non solo per gli standard ambientali, ma anche per quelli occupazionali.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) La relazione sullo sviluppo del potenziale occupazionale di una nuova economia sostenibile può contare sul mio pieno appoggio. L’onorevole Schroedter fa riferimento alla definizione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), secondo cui un posto di lavoro è verde se contribuisce alla gestione sostenibile e all’Europa sociale. Questa definizione, pertanto, non riguarda solo i posti di lavoro ad elevato tasso tecnologico nei settori dell’energia e della gestione ambientale a cui si riferisce la Commissione. Uno degli obiettivi consiste, per esempio, nell'implementare un’ambiziosa politica industriale sostenibile, che tenga in particolare considerazione l’efficienza delle risorse e posti di lavoro dignitosi e ben retribuiti. Si raccomanda di potenziare il coinvolgimento dell’industria, di incoraggiare gli enti regionali ad orientare verso tale obiettivo quadri normativi, strumenti di controllo dell’economia di mercato, sovvenzioni e appalti. Si raccomanda inoltre di offrire una risposta più mirata non solo alla necessità di nuove competenze, ma anche alla creazione di un dialogo sociale o di contratti collettivi nazionali di lavoro nei nuovi settori.
I nuovi settori sono caratterizzati da una notevole spinta verso una maggiore produttività e da una scarsa inclinazione a garantire condizioni di lavoro dignitose. Di conseguenza non è semplice convincere i lavoratori dei settori tradizionali, che vantano una solida tradizione di protezione sociale alle spalle, a cambiare settore. L’Unione si è assunta un impegno nella lotta al riscaldamento globale: occorre pertanto una strategia efficace, in grado di garantire una transizione socialmente equa verso un’economia più verde.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che chiede lo sviluppo di una strategia occupazionale europea per un’economia sostenibile. La relazione appoggia inoltre le richieste avanzate in seno al Consiglio di una revisione delle sovvenzioni che hanno un impatto ambientale negativo e sottolinea la necessità di garantire condizioni di lavoro dignitose.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione sullo sviluppo del potenziale occupazionale di una nuova economia sostenibile poiché ritengo che gli Stati membri debbano muoversi nella direzione di un’economia competitiva, efficiente e a basse emissioni di carbonio. Ecco perché chiedo all’Unione europea di sviluppare una politica industriale sostenibile e di coinvolgere il settore industriale nell’eco-innovazione, nell’intento di ridurre la dipendenza della crescita economica dal consumo di risorse e di energia e di limitare le emissioni inquinanti. Ritengo che, per poter creare posti di lavoro in un’economia eco-efficiente, si debba investire nell’efficienza energetica, nonché nell’uso di fonti di energia rinnovabile e di tecnologie verdi nei settori dell’edilizia, dei trasporti e dell’agricoltura. Chiedo con urgenza che lo sviluppo di una strategia occupazionale europea per un’economia sostenibile sia fatto rientrare nella strategia UE 2020, sottolineando il ruolo degli enti regionali in tal senso.
Chiedo inoltre che vengano sviluppati sistemi di finanziamento efficienti e incentivi fiscali per aiutare le PMI a generare innovazione e dar vita a processi di produzione verdi. Infine ritengo che la politica occupazionale possa svolgere un ruolo essenziale nella lotta contro la povertà e l’emarginazione sociale e invito gli Stati membri a utilizzare il FEAG per promuovere le nuove competenze necessarie per uno sviluppo economico eco-efficiente.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) Onorevoli colleghi, perseguire un’economia sostenibile non è solo una necessità ecologica, ma anche uno dei pilastri fondamentali della nostra strategia per un’Europa sociale. Tuttavia, questo cambiamento darà i propri frutti soltanto se sarà socialmente equo e, in ultima analisi, se incentiverà l’occupazione, migliorando le condizioni di lavoro e potenziando i meccanismi di previdenza sociale.
Pertanto, un’economia sostenibile deve essere tale non solo dal punto di vista sociale ed ecologico, ma anche tecnologico ed economico. Questi termini non dovrebbero essere in contraddizione tra loro. Abbiamo bisogno di misure più creative.
Prendiamo l’efficienza energetica, per esempio. In Lituania, il settore edile è stato tra i più colpiti dalla crisi economica. Nel mio paese, la maggior parte dei vecchi edifici sono ben poco efficienti sotto il profilo energetico e l’energia importata viene utilizzata in maniera inefficiente, come dimostrano le ingenti bollette per il riscaldamento che i residenti sono costretti a pagare.
È probabile che i progetti nazionali volti a dotare gli edifici di sistemi di isolamento e ad incrementarne l’efficienza energetica avranno una ripercussione positiva sul mercato, in termini di retribuzioni e investimenti nel settore edile. Al contempo, la Lituania avrà così la possibilità di affrancarsi, in parte, dalla dipendenza dall’estero per la fornitura energetica.
Ovviamente questo non è che un esempio e non è necessariamente applicabile a tutti gli Stati membri. Dimostra tuttavia che, soprattutto in tempi di crisi, dobbiamo pensare in maniera più creativa e unire le forze per gettare le basi di un futuro sostenibile.
Zuzana Brzobohatá (S&D), per iscritto. – (CS) Ho appoggiato la relazione su SEE-Svizzera: ostacoli alla piena attuazione del mercato interno, essenzialmente perché incoraggia la Commissione ad adottare una serie di misure tese ad agevolare e approfondire la cooperazione economica tra l’Unione europea e la Svizzera. La relazione, a ragione, mette in evidenza il sistema, inutilmente complicato, dei 120 accordi settoriali vigenti tra la Svizzera e l’Unione europea. È giusto impegnarci al massimo per semplificare la legislazione, in particolare per eliminare gli ostacoli che bloccano l’accesso al mercato svizzero alle aziende europee e viceversa. Per esempio la relazione sottolinea l’obbligo per le aziende che accedono al mercato svizzero di fornire una garanzia finanziaria, del tutto inutile. Dal mio punto di vista si tratta di un ostacolo superfluo che dovrebbe essere rimosso, e che la relazione cita a ragione.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Voto a favore di questa relazione dato che la piena attuazione e l’efficienza del mercato interno sono importanti per l’Unione europea quanto per i suoi partner commerciali, con particolare riferimento ai paesi membri dell’EFTA. La Svizzera – il quarto partner commerciale dell’Unione per volume – opera in base a un modello di integrazione economica senza adesione, basato su accordi settoriali bilaterali. Questa impostazione crea ulteriori problemi dato che, a differenza dell’accordo sullo Spazio economico europeo, questi accordi bilaterali non prevedono meccanismi automatici di adattamento all’acquis communautaire.
Nonostante gli sviluppi positivi che riguardano l’accordo tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e la Confederazione svizzera, dall'altro, sulla libera circolazione delle persone (FMPA), vi sono questioni relative alla sua attuazione che meritano ulteriore attenzione. Ritengo pertanto che debbano essere valutate tutte le possibilità volte a migliorare l’attuazione dell’FMPA, sotto forma di una migliore armonizzazione della sua attuazione e di una maggiore convergenza tra la legislazione dell’Unione e quella svizzera in materia di mercato interno.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La Svizzera ha una storia e una particolare serie di caratteristiche che si riflettono non solo nella forma di governo interno di cui si è dotata , ma anche nel modo in cui ha deciso di relazionarsi agli altri paesi, oltre che nelle condizioni e nelle riserve che impone a tali rapporti. La riluttanza svizzera ad aderire alle grandi organizzazioni internazionali o a sottoscrivere trattati con valenza permanente che ne vincolino il sistema giuridico è nota ormai da secoli. Come del resto è noto il trattamento privilegiato che riserva ai propri cittadini e alle società domiciliate sul suo territorio, a scapito della concorrenza straniera, che spesso deve fare i conti con barriere giuridiche o amministrative irragionevoli.
Ciononostante la Svizzera è sempre stata un importante partner dell’Unione europea, con cui ha sottoscritto oltre cento accordi bilaterali. Se, da una parte, la decisione svizzera di rimanere fuori dallo Spazio economico europeo non ha accelerato né agevolato i rapporti economici dell’Unione con questo paese, dall’altra non è stata neppure d’intralcio a un loro sviluppo positivo. Spero che in futuro questi rapporti si intensifichino ulteriormente.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) I quattro Stati membri dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA) (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) sono importanti partner commerciali per l'Unione europea; in particolare la Svizzera e la Norvegia occupano rispettivamente il quarto ed il quinto posto per volume degli scambi e appartengono alla stessa area culturale, nel senso che condividono valori di base ed un retaggio storico e culturale comune.
Visto che le nuove disposizioni del trattato di Lisbona potrebbero rallentare l'attuazione della legislazione sul mercato interno nei paesi membri dello Spazio economico europeo (SEE) e dell'EFTA, anch'io ritengo che la Commissione debba formalizzare il processo di notifica delle nuove norme e delle nuove normative UE che ricadono nel campo d'azione dell'accordo con l'EFTA per poter colmare il divario tra l'adozione di nuovi regolamenti ed il potenziale di assorbimento da parte dei paesi membri del SEE e dell'EFTA.
Inoltre i parlamenti dei paesi di questi due organismi devono essere associati in maniera più stretta con il processo legislativo UE in relazione alle proposte che interessano il SEE. Propongo quindi che la Commissione trasmetta ai parlamenti nazionali di questi paesi le proposte legislative che vengono inviate anche agli Stati membri dell'UE a fini di consultazione.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) In veste di presidente della delegazione del Parlamento europeo per i rapporti con la Svizzera e lo SEE, conosco piuttosto bene le questioni sollevate in questa relazione. L’EFTA conta quattro Stati membri: Svizzera, Islanda, Norvegia e Liechtenstein. Nel 1994, con la firma dello SEE, tre di questi quattro paesi hanno aderito al mercato interno. La Svizzera, con un referendum, ha deciso di non entrare nello SEE, con il 50,3 per cento di voti i contrari e il 49,7 per cento a favore. Con la stipula di circa 120 accordi bilaterali, ha pertanto optato per intrattenere rapporti separati con con l’Unione europea.
Questi accordi riguardano la libera circolazione delle persone, il trasporto stradale, l’aviazione civile, la ricerca scientifica, le barriere tecniche agli scambi, gli appalti pubblici e l’agricoltura. La Svizzera è il secondo partner economico dell’Unione europea e le aziende svizzere danno lavoro a più di un milione di persone in tutta l’UE.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Ho appoggiato questa relazione poiché accolgo con favore i progressi compiuti nella liberalizzazione della prestazione transfrontaliera di servizi tra l’Unione europea e la Svizzera e, in particolare, gli effetti positivi dell’accordo sulla libera circolazione delle persone. Il costante aumento del numero di lavoratori distaccati e di fornitori di servizi autonomi dell’UE che operano in Svizzera dal 2005 al 2009 (secondo le statistiche vi sono circa 200 000 pendolari transfrontalieri dei paesi dell’UE e dell’EFTA che si recano ogni giorno al lavoro in Svizzera) si è dimostrato vantaggioso per tutti i soggetti coinvolti. A mio avviso, in futuro il governo svizzero e le autorità cantonali dovranno attingere all’esperienza dell’Unione e dello SEE nel settore dei servizi attraverso la trasposizione della direttiva sui servizi.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La Svizzera, insieme all'Islanda, alla Norvegia e al Liechtenstein, fa parte dell'Associazione europea di libero scambio ed è un importante partner commerciale dell'Unione europea. Tuttavia, l'Islanda, la Norvegia ed il Liechtenstein hanno consolidato ulteriormente le proprie relazioni con l'UE, adottando l'Accordo sullo Spazio economico europeo. Visto che la Svizzera si colloca al quarto posto in termini di importanza per volume degli scambi commerciali, l'adozione dell'accordo SEE è del tutto fondamentale. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) Questa relazione non presta un'attenzione sufficiente alla sovranità della Svizzera. Per tale ragione ho votato contro.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) È assolutamente essenziale dar vita a un vero e proprio Spazio economico europeo come delineato nel trattato di Porto.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il gruppo dei Verdi ha appoggiato questa relazione, che formula una serie di osservazioni sugli ostacoli all’attuazione delle regole del mercato interno da parte della Svizzera e dei paesi dello SEE. La relazione, in particolare, sviluppa le seguenti idee: a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, la Commissione europea dovrebbe fornire ai parlamenti nazionali degli Stati SEE-EFTA le proposte legislative che sono trasmesse ai parlamenti nazionali dell’UE per consultazione; gli Stati SEE-EFTA dovrebbero stanziare risorse adeguate per l’attuazione della direttiva sui servizi, in particolare per istituire sportelli unici; e gli Stati SEE-EFTA dovrebbero accrescere il proprio coinvolgimento nelle discussioni relative alla direttiva sui diritti dei consumatori, tra le altre proposte.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. –Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo in accordo con la relazione in esame in quanto toglie ostacoli al libero scambio tra i paesi UE e partner commerciali europei importanti.
Riteniamo in particolare per l'Italia che un'attuazione maggiore del mercato interno con la Svizzera potrebbe avere risvolti positivi per le nostre aziende e i nostri lavoratori. Bisogna considerare positiva la decisione già presa dalla Svizzera di ridurre in modo considerevole il segreto bancario, per allinearsi alla necessità di trasparenza come deciso nell'Unione europea.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che raccomanda una maggiore cooperazione e condivisione delle buone prassi, oltre a suggerire le modifiche da apportare dopo Lisbona. La relazione segnala un dato confortante: il deficit di recepimento si colloca allo 0,7 per cento, più o meno allo stesso livello degli Stati membri dell’Unione.
Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto. – (PL) Sono molto lieto che questa relazione sia stata approvata dal Parlamento con una così ampia maggioranza. Spero che i vostri voti a favore della sua adozione stiano anche a significare che vi riconoscete, come me, nei due obiettivi di base della relazione. In primo luogo, io e la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori abbiamo voluto inserire gli Stati dello SEE non membri dell’UE e la Svizzera nell’agenda della commissione, che si occupa di un tema essenziale per l’UE: il mercato interno. Spero che questi paesi, che dopo tutto sono , i principali partner economici dell’Unione, vi rimangano a titolo permanente. Il secondo obiettivo consisteva nell’affrontare, finalmente, gli ostacoli a questa cooperazione, con particolare riferimento alle barriere esistenti tra Bruxelles e Berna. Spero che il voto del Parlamento in materia convincerà entrambe le parti – sia la Commissione europea che le autorità della Confederazione svizzera – a rivedere i meccanismi che disciplinano attualmente la loro cooperazione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Gli accordi di libero scambio consentono ai paesi firmatari di scambiare una vasta gamma di prodotti e di sfruttare i rispettivi punti di forza. Sono quindi estremamente lieta che l'Unione europea presto firmerà un accordo di libero scambio con la Corea del sud. Dobbiamo, però, essere sempre molto vigili rispetto ai termini degli accordi commerciali proposti. In questo caso dobbiamo evitare cambiamenti repentini che potrebbero potenzialmente destabilizzare i flussi commerciali. Ne discende la necessità di inserire clausole di salvaguardia, anche per proteggere la nostra industria automobilistica. All'atto pratico sono lieta che la relazione sia stata adottata, in quanto contiene una richiesta dei deputati dell'Assemblea affinché possa essere avviata un'indagine sui flussi d'importazioni, su richiesta di uno Stato membro, del Parlamento europeo, del gruppo consultivo nazionale, di una persona giuridica o di un'associazione che agisce per conto dell'industria dell'Unione e che ne rappresenti almeno il 25 per cento, o su iniziativa della Commissione. Se i produttori europei dovessero subire conseguenze pesanti a causa dell'aumento delle importazioni di un qualche prodotto, possono essere introdotte misure di salvaguardia sotto forma di dazi doganali protettivi.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione sull’applicazione della clausola bilaterale di salvaguardia dell’accordo di libero scambio UE-Corea. La clausola di salvaguardia tutelerà l’industria e l’occupazione europee da eventuali pregiudizi arrecati dalle importazioni coreane. Un rigoroso monitoraggio del flusso di esportazioni e una tempestiva rettifica di eventuali irregolarità nell’osservanza del principio della concorrenza leale sono aspetti particolarmente importanti. Ritengo pertanto che il Parlamento debba indicare al Consiglio e alla Commissione l’intenzione di approvare questo regolamento il più rapidamente possibile.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Il Parlamento ha approvato gli emendamenti sulla clausola di salvaguardia da includere nell'accordo di libero scambio con la Corea del sud. Tuttavia, questo è solo il primo voto. La votazione finale è stata rinviata alla seduta del 18-21 ottobre in modo da consentirci di raggiungere un accordo con il Consiglio in prima lettura. Tutte le valutazioni sull'impatto svolte dalla Commissione europea hanno dimostrato che la Corea del sud è destinata a trarne maggiori vantaggi rispetto all'UE. La Commissione, pertanto, deve, se non altro, dotarci di una clausola di salvaguardia. Riteniamo che la nostra richiesta sull'introduzione di siffatta clausola sia legittima, in quanto l'impatto dell'apertura del mercato UE ai prodotti sudcoreani può variare considerevolmente da Stato a Stato. È decisamente più semplice infatti prevedere l'impatto delle esportazioni europee in un paese con 50 milioni di abitanti (contro i 500 milioni dell'UE). È altresì vitale che il Parlamento ed i settori industriali interessati abbiano il diritto di avviare un'indagine ai fini di salvaguardia e che il Parlamento abbia un maggiore margine d'azione al fine di migliorare o di bocciare le misure di salvaguardia.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Spero che l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e la Corea del Sud vada a vantaggio di entrambi i partner e che le restrizioni al libero scambio possano essere minime. Le misure di salvaguardia sono volte ad affrontare i gravi pregiudizi causati alle industrie europee. Considerando l’accordo firmato con la Corea del Sud in ottobre, la clausola di salvaguardia bilaterale dovrebbe essere ulteriormente dettagliata, in modo tale che i vari aspetti della sua attuazione vengano delineati adeguatamente, che osservi un processo trasparente e coinvolga la controparte.
In quanto ostacoli al libero scambio, queste clausole dovrebbero limitarsi a quanto necessario per evitare un pregiudizio di maggiore portata; inoltre dovrebbero essere adeguate e proporzionali alle situazioni per cui sono state definite. Spero che l’industria europea saprà dare segno di una maggiore solidità e creatività in modo da non dover più ricorrere a questa eventualità.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Questa proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio costituisce uno strumento giuridico necessario per mettere in atto la clausola di salvaguardia nell'accordo di libero scambio tra Unione europea e Corea del sud. Il 15 ottobre 2009 è stato siglato un accordo di libero scambio tra UE e la Repubblica di Corea. L'accordo comprende una clausola di salvaguardia bilaterale che prevede la possibilità di reimpostare il trattamento del paese più favorito quando, in conseguenza della liberalizzazione degli scambi, le importazioni aumentano a tal punto e in condizioni tali da infliggere o minacciare di causare danni gravi all'industria UE che produce prodotti analoghi o direttamente concorrenti. Affinché tali misure diventino operative, la clausola di salvaguardia deve essere incorporata nel diritto UE, in quanto bisogna indicare gli aspetti procedurali, ma anche i diritti delle parti interessate nell'ambito dell'imposizione delle misure di salvaguardia.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’adozione di questa clausola di salvaguardia, che riconosce le tragiche conseguenze della liberalizzazione e della deregolamentazione del commercio mondiale, non elimina i pericoli e le preoccupazioni relative al libero scambio tra l’UE e la Corea del Sud per quanto concerne il futuro di vari settori dell’economia, soprattutto per alcuni Stati membri, come il Portogallo, e per le regioni che più dipendono da questi settori.
Ricordiamo il settore tessile e dell’abbigliamento, particolarmente interessato da questo accordo; ricordiamo lo studio della direzione generale per l’Occupazione e di Eurofund, , che prevede una diminuzione tra il 20 e il 25 per cento dei posti di lavoro dell’Unione in questo comparto entro il 2020, a fronte di uno scenario più generale in cui andrebbe perso il 50 per cento dei posti di lavoro attualmente esistenti nell’Unione europea. Ricordiamo inoltre settori come l’elettronica e i componenti per autoveicoli.
Il fondamentalismo neoliberale dell’Unione europea continua a sacrificare posti di lavoro e capacità produttiva sull’altare del libero scambio, a favore degli utili delle sue multinazionali; continua a incrementare i deficit e ad alimentare la dipendenza dai mercati esteri, nonché squilibri cronici sempre più accentuati negli scambi. Questa ideologia continua a giustificare gli attacchi ai diritti dei lavoratori, il dumping sociale e la rovina di milioni di piccoli produttori e di molte piccole e medie imprese.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Questo è il primo accordo commerciale concluso dopo il trattato di Lisbona, il primo accordo che il Parlamento europeo approverà. È quindi importante che il Parlamento faccia sentire la propria voce. Per affermare i nuovi poteri del Parlamento nella definizione della politica commerciale europea, abbiamo votato a favore degli emendamenti presentati dalla commissione parlamentare per il commercio internazionale, ma abbiamo deciso di votare contro il testo della risoluzione nel suo insieme, nel tentativo di raggiungere un accordo migliore con il Consiglio. A tale scopo, dovrebbero essere rivisti svariati punti: vogliamo una vera e propria clausola di salvaguardia, che sia efficace e affronti le distorsioni regionali tra i vari Stati membri dell’UE e che, soprattutto, consenta di evitare situazioni in cui i produttori europei si trovino a dover subire un "grave pregiudizio". C’è inoltre la questione del diritto del Parlamento di richiedere l’avvio di indagini ai sensi della clausola di salvaguardia.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L'accordo di libero scambio tra l'Unione europea e la Corea del sud riveste una grande importanza per lo sviluppo economico degli Stati membri dell'UE. Ad ogni modo, per scongiurare qualsiasi distorsione, assicurando un equilibrio tra importazioni ed esportazioni per entrambe le parti, occorrono clausole di salvaguardia bilaterali. Ai sensi di siffatte clausole, sarà possibile prevenire i potenziali danni che potrebbe subire l'industria comunitaria qualora dovessero aumentare in maniera sproporzionata le importazioni di taluni prodotti. Questo genere di salvaguardia quindi deve essere incorporata nella legislazione UE affinché le misure possano divenire operative.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Rispetto ad altri paesi con cui l’Unione europea ha negoziato o ha già concluso un accordo di libero scambio, l’ex colonia giapponese della Corea del Sud vanta standard sociali e i diritto del lavoro superiori. È importante, nonché giustificato, consentire l’introduzione di una clausola di salvaguardia per un periodo di tempo limitato a livello regionale nei singoli Stati membri dell’UE. L’esperienza passata ha dimostrato che è importante, in particolare per quanto attiene all’importazione e all’esportazione di merci, intervenire per adottare opportune rettifiche strutturali o misure simili.
È inoltre essenziale monitorare le esportazioni e le importazioni negli ambiti potenzialmente più interessati, al fine di evitare gravi pregiudizi a comparti industriali dell’Unione. In linea di principio, la conclusione di accordi commerciali mira a promuovere la crescita economica all’interno dell’UE: per questo motivo ho votato a favore di questa relazione.
Cristiana Muscardini (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, condivido pienamente il testo della risoluzione che stabilisce un regolamento che dia la possibilità di attuare misure di salvaguardia ove le importazioni della Corea del Sud, a seguito dell’applicazione dell’ALS, rischiassero di causare un serio pregiudizio ai produttori europei e all'industria manifatturiera.
L'applicazione regionale di tale clausola è fondamentale per dare facoltà non solo agli Stati membri, ma anche alla stessa industria e al Parlamento, di richiedere l'avvio d'indagini a salvaguardia delle esportazioni europee in tempi rapidi. Il voto favorevole alla risoluzione Zalba ci permette di prendere una posizione chiara e decisa verso il Consiglio per confermare il ruolo del Parlamento che è attore e non solo mero esecutore delle politiche commerciali europee.
Siamo molto stupiti che la Presidenza belga abbia inserito nell'ordine del giorno del prossimo Consiglio “Affari esteri” la proposta di decisione sulla firma e l'applicazione provvisoria del trattato prima che lo stesso Parlamento avesse avviato la discussione sul trattato e prima di conoscere il voto dell’Aula sulla clausola di salvaguardia senza aver avuto un trilogo ufficiale, pur conoscendo le incognite circa i contenuti finali. È perciò evidente la necessità di richiamare tutte le istituzioni a un maggior rispetto reciproco secondo quando stabilito dal trattato di Lisbona.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea è la regione manifatturiera che adotta gli standard più rigorosi del mondo e, al contempo, il mercato più permeabile. Questa situazione crea problemi di estrema gravità, soprattutto per i nostri produttori che, essendo obbligati a rispettare un ampio ventaglio di leggi particolarmente onerose, talvolta devono affrontare costi di produzione più elevati rispetto ai loro concorrenti in altre parti del mondo. Se questi concorrenti ottengono libero accesso ai nostri mercati, si viene a creare un sistema di concorrenza sleale, che non può essere accettato dagli operatori della produzione e della trasformazione, dall’industria e dal commercio. Uno sviluppo di questo tipo arrecherebbe un grave pregiudizio alla società europea sul breve periodo.
Accolgo con entusiasmo questa relazione sul commercio tra l’Unione europea e la Corea del Sud. Dal momento che prevede una clausola di salvaguardia bilaterale tesa a prevenire un grave pregiudizio all’industria europea in caso di elevati volumi delle importazioni, la relazione riconosce questo problema cronico e inizia ad adottare adeguati provvedimenti per contenerlo.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, il 23 aprile 2007 il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad avviare negoziati con la Repubblica di Corea allo scopo di concludere un accordo di libero scambio UE-Corea.
L’accordo è stato siglato il 15 ottobre 2009. L’accordo contiene una clausola bilaterale di salvaguardia che dispone la possibilità di riapplicare l'aliquota NPF se per effetto della liberalizzazione degli scambi le importazioni sono effettuate in quantitativi così accresciuti, in termini assoluti o in relazione alla produzione interna, e si svolgono in condizioni tali da arrecare o rischiare di arrecare grave pregiudizio all'industria dell’Unione produttrice di prodotti simili o direttamente concorrenti.
Affinché le misure siano operative, tale clausola di salvaguardia deve essere integrata nella normativa dell’Unione europea, non solo per gli aspetti procedurali relativi alla sua applicazione, ma anche perché occorre specificare i diritti delle parti interessate. Questa proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio costituisce lo strumento giuridico per l’attuazione della clausola di salvaguardia dell'accordo di libero scambio tra l’UE e la Corea del Sud.
Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. – (SV) L’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e la Corea del Sud è molto importante per l’UE. In quanto liberali, vediamo con favore gli accordi di libero scambio e crediamo nei loro effetti positivi sull’economia e sul commercio europei, pertanto siamo particolarmente scettici nei confronti delle clausole di salvaguardia regionali che il Parlamento europeo vuole inserire nell’accordo a titolo di restrizione al libero scambio. Vorremmo invece sottolineare l’importanza del libero scambio per lo sviluppo dell’UE. Se vogliamo che l’Unione sia competitiva sullo scenario del commercio globale, il Parlamento europeo dovrebbe attivarsi al fine di agevolare e gli scambi con il resto del mondo attraverso accordi commerciali scevri da restrizioni.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il mio gruppo politico non ha presentato alcun emendamento al progetto di relazione, dato che non si riconosce nella proposta che verrà votata contro l’accordo di libero scambio con la Corea in quanto talenell’ambito della prossima procedura del parere conforme. Siamo infatti contrari a lasciare che la scena industriale europea venga determinata arbitrariamente da un singolo accordo di libero scambio. Inoltre ci opponiamo alla clausola di esclusione negoziata dall’UE nell’accordo di libero scambio che consente l’esportazione in Corea di veicoli di grossa cilindrata che non rispettano i ben più rigorosi limiti di emissione di CO2 previsti da questo paese e le relative tempistiche. Riteniamo per altro che la strategia UE 2020 sia un tentativo di incoraggiare una politica industriale di portata europea che dovrebbe essere accompagnata da una moratoria temporanea sugli accordi di libero scambio pendenti potenzialmente in conflitto con la definizione di tale politica.
Ciononostante, in questa situazione appoggiamo la formulazione di clausole di salvaguardia più rigorose e questa particolare salvaguardia rappresenterà un esempio per altri accordi di libero scambio. Condividiamo inoltre il rifiuto opposto dal relatore a una situazione in cui la clausola di salvaguardia coreana nasca esclusivamente nell’interesse dell’industria automobilistica. Concordiamo altresì sulla proposta di prendere in considerazione tutti i rapporti commerciali e le eventuali esigenze di predisporre meccanismi di difesa commerciale.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Bové, di cui sono responsabile a nome del gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, perché credo sia necessaria per riequilibrare e rendere trasparenti le relazioni nella filiera alimentare, promuovendo un quadro equo e competitivo di buone prassi e un sistema di sorveglianza che ne garantisca il corretto funzionamento. Mi auguro che la Commissione prenda in considerazione gli orientamenti adottati oggi dal Parlamento e li introduca nella proposta legislativa che ci presenterà entro la fine dell’anno.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione si limita a constatare la tragica situazione della filiera alimentare, che peggiora quotidianamente, e a criticare la Commissione per le carenze della sua comunicazione. Nel documento si accetta però la commercializzazione dei prodotti e si propongono soluzioni per una migliore competitività, trasparenza e informazione nel mercato alimentare, senza affrontare però la causa fondamentale del problema: il metodo produttivo capitalista, che deruba le piccole e medie aziende agricole dei frutti del proprio lavoro e i consumatori del proprio reddito. In Grecia, la politica antipopolare dell’Unione europea, del governo del PASOK (il movimento socialista panellenico) e di Nea Demokratia (Nuova Democrazia), ha rafforzato la morsa dei monopoli sul mercato alimentare e la creazione di cartelli, per esempio per i prodotti lattiero-caseari e i fiori. I prezzi al dettaglio sono di conseguenza saliti alle stelle, incrementando ulteriormente i già massicci profitti dell’industria alimentare e diventando inaccessibili per le famiglie operaie e la gente comune.
Il fabbisogno alimentare della popolazione sarà soddisfatto solo se le classi operaie, i proprietari di piccole e medie aziende agricole e le classi popolari lotteranno insieme contro i monopoli, la politica antipopolare e i suoi rappresentanti, per dare potere al popolo, trasferire alla società i mezzi di produzione e organizzare una produzione agricola pianificata, basata sulle necessità delle famiglie operaie e della gente comune, nel quadro di un’economia popolare.
Alfredo Antoniozzi (PPE) , per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, voto a favore di questa relazione perché, come ben descritto nel punto 3 della stessa, sono stati raggiunti tutti gli obiettivi stabiliti dal trattato di Roma in materia di agricoltura (incremento della produttività, sufficiente approvvigionamento di prodotti alimentari, prezzi al consumo ragionevoli, stabilizzazione dei mercati), tranne l'obiettivo di assicurare un reddito adeguato agli agricoltori. la Commissione dovrebbe pertanto tenere conto di ciò quando redige le proprie proposte di bilancio.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) I nostri agricoltori devono avere la possibilità di guadagnarsi un reddito decoroso a fronte del proprio lavoro, contando anche che essi producono alimenti in linea con rigorosi standard qualitativi e al contempo a prezzi accessibili per i consumatori. Grazie al lavoro svolto dalla commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, la relazione dell'onorevole Bové è calibrata e delinea una serie di soluzioni atte ad affrontare le sfide del comparto. Il rafforzamento delle organizzazioni dei produttori, l'introduzione di contratti standardizzati in alcuni settori ed il sostegno all'autoregolamentazione, a mio giudizio, sono strade che vale la pena di percorrere. Pertanto ho votato a favore della relazione.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) Il reddito medio degli agricoltori è diminuito di oltre il 12 per cento nel 2009 e i costi operativi sono aumentati del 3,6 per cento. Se tale situazione persiste, gli agricoltori non lavoreranno a lungo nella filiera alimentare, che, dal 1996, vede un aumento dei prezzi per i consumatori pari al 3,3 per cento su base annua.
La catena alimentare è una struttura complessa che oggi non funziona adeguatamente. Gli agricoltori non ottengono una ricompensa adeguata per il tempo e gli investimenti spesi nella produzione di alimenti di alta qualità. Se vogliamo contare sugli agricoltori per garantire la sicurezza alimentare in Europa, dobbiamo affrontare la volatilità del mercato e le distorsioni presenti nella filiera, assicurando loro entrate eque.
È necessario garantire prezzi equi per gli agricoltori, un’adeguata trasparenza del mercato e prezzi al dettaglio equi per i consumatori. La Commissione deve esaminare la filiera alimentare. Sostengo quanti richiedono una valutazione minuziosa della distribuzione dei margini di profitto, per identificare con precisione il punto della catena alimentare in cui la distorsione influenza negativamente la competitività.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) Ho sostenuto la relazione e condivido le preoccupazioni che esprime sulla situazione degli agricoltori dell'Unione europea. La crisi economica e finanziaria globale e la volatilità dei prezzi dei prodotti alimentari e delle materie prime hanno provocato gravissimi problemi ai produttori agricoli, le cui conseguenze si sono abbattute anche sui consumatori. Benché i prezzi abbiano segnato un aumento del 3,3 per cento dal 1996, i prezzi pagati agli agricoltori sono aumentati solamente del 2,1 per cento, mentre i costi operativi sono lievitati del 3,3 per cento, dimostrando che la catena dell'approvvigionamento alimentare non funziona a dovere. Inoltre il reddito medio agricolo è diminuito di oltre il 12 per cento nell'UE a 27 nel 2009, quindi gli agricoltori non riescono più a produrre un reddito sufficiente a fronte del proprio lavoro. Oltretutto gli agricoltori ed il settore agroalimentare sono comunque tenuti a garantire prodotti agricoli che ottemperano ad elevatissimi standard di qualità a prezzi accessibili per i consumatori. Convengo sulla necessità di una maggiore trasparenza nel comparto agricolo, la Commissione europea deve svolgere un ruolo trainante e proporre l'introduzione dell'obbligo di presentare relazioni periodiche per i principali operatori commerciali europei, le aziende del comparto della trasformazione, i grossisti ed i dettaglianti in relazione ai mercati di competenza.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Quando si attraversa una crisi agricola, agricoltori e consumatori avanzano sempre le medesime richieste: prezzi ed entrate trasparenti in tutte le filiere di produzione agricola. La presente relazione sta seguendo proprio questa strada e dobbiamo quindi accoglierla con favore. Mi rammarico comunque del respingimento, per un pugno di voti, della proposta di concedere un trattamento preferenziale alle cooperative, alle PMI e alle organizzazioni di produttori in fase di aggiudicazione di appalti pubblici nella filiera alimentare.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, trasparenza, concorrenza, approvvigionamento sono questi solo alcuni degli aspetti affrontati dal collega José Bové che invita la Commissione e il Consiglio ad intervenire per migliorare il funzionamento della filiera alimentare in Europa.
Ho deciso di sostenere con un voto favorevole la eelazione Bové perché credo fermamente che l´efficienza della filiera alimentare debba passare attraverso la rimozione di pratiche commerciali sleali, il monitoraggio dei prezzi, un maggiore coinvolgimento dei produttori e dei consumatori nell'elaborazione di criteri di qualità e sviluppo economico locale.
Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) Ho votato a favore della relazione presentata dall’onorevole Bové perché ritengo che questo argomento meriti maggiore attenzione in ambito europeo. Ho comunque una riserva sulla relazione: non condivido la scarsa attenzione riservata all’estrema disuguaglianza tra il potere contrattuale degli agricoltori e quello delle imprese di trasformazione; infatti, mentre queste ultime sono integrate ed economicamente forti, gli agricoltori spesso sono frammentati, trovandosi in una posizione contrattuale inevitabilmente più debole. Ciononostante la Commissione desidera rafforzare l’integrazione dell’industria della trasformazione nel mercato interno, nell’ambito del miglioramento della competitività della filiera alimentare europea.
La relazione non indaga soluzioni volte a parificare la posizione degli agricoltori a quella dell’industria agroalimentare e delle catene commerciali. La mia attenzione è stata attirata anche dalla richiesta di porre fine al diffondersi di regimi nazionali e regionali di etichettatura dell'origine e di sostituirli con un nuovo quadro normativo per le indicazioni geografiche nell'ambito della politica di qualità. Dal mio punto di vista, i regimi regionali di etichettatura costituiscono un’adeguata integrazione al sistema di etichettatura europeo, posto che non riducano la libera circolazione delle merci nel mercato interno.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) La relazione Bové sui prezzi nel settore alimentare e sui redditi degli agricoltori è stata adottata in data odierna, martedì 7 settembre, dal Parlamento europeo, ed è il risultato di una stretta collaborazione tra i gruppi politici, con un contributo significativo del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano).
Accolgo con favore le proposte avanzate alla Commissione europea, volte al rafforzamento della posizione dei produttori nei negoziati con i distributori. Mi unisco al relatore nel richiedere un adattamento delle norme europee vigenti in materia di concorrenza, per prevenire abusi di posizione dominante.
Ritengo altresì importante la proposta di creare contratti standard che includano clausole sul volume e sui prezzi che garantiscano redditi equi agli agricoltori. Necessitiamo di una nuova regolamentazione per il mercato, che fornisca alla politica agricola comune gli strumenti per combattere le crisi in modo efficace.
Come nel caso dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, attribuisco enorme rilevanza alla promozione di prodotti di qualità e a una produzione sostenibile. È dunque fondamentale che i prodotti importati da paesi terzi rispondano agli stessi requisiti richiesti ai prodotti europei, al fine di prevenire qualsiasi tipo di concorrenza sleale.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Visti i problemi che si evidenziano nella catena di approvvigionamento alimentare a livello europeo e mondiale, devono essere urgentemente individuate delle soluzioni. La relazione ne delinea alcune, tra cui tengo a porre l'accento sulla necessità di favorire un aumento del valore aggiunto della produzione agroalimentare europea, l'importanza di prevedere misure atte a scoraggiare prassi abusive, come l'introduzione di sanzioni e di liste nere delle società che disattendono le norme e la creazione di un osservatorio europeo dei prezzi e dei margini agricoli. Ritengo, inoltre essenziale, promuovere la razionalizzazione della catena dell'approvvigionamento alimentare per ridurre l'impatto ambientale del trasporto delle derrate alimentari, per promuovere la commercializzazione di prodotti locali e per sviluppare in maniera sostenibile l'economia rurale.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione Bové non solo perché segue la giusta direzione e contiene informazioni molto importanti, ma anche perché apporta numerosi cambiamenti significativi allo scarno testo originale della Commissione. La relazione promuove la varietà dei prodotti, il patrimonio culturale agricolo, i punti vendita al dettaglio e strutture per la vendita diretta da parte degli agricoltori, i posti di lavoro e il finanziamento per le piccole e medie imprese agricole e per le cooperative, per favorire autosufficienza alimentare e protezione ambientale. Pone inoltre l’accento sulla necessità di garantire entrate eque per gli agricoltori, esortando la Commissione a tenere conto di tale aspetto in tutte le proposte di bilancio. La relazione richiede un migliore inquadramento giuridico delle etichette di qualità private, al fine di evitarne la moltiplicazione e garantire una maggiore trasparenza per i consumatori e un miglior accesso ai mercati per i produttori.
Secondo la relazione è necessario vietare la vendita al di sotto del prezzo d'acquisto dei prodotti agricoli a livello dell’Unione europea e si esorta la Commissione a effettuare una revisione dei criteri attualmente utilizzati per valutare i comportamenti anticoncorrenziali, perché, nonostante l’indice Herfindahl sia utile per valutare rischi monopolistici, non è in grado di dare una dimensione reale delle pratiche anticoncorrenziali di tipo collusivo o oligopolistico, come sembra accada nel caso della grande distribuzione organizzata.
Lara Comi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, il primo obiettivo della PAC è sempre stato quello di garantire entrate eque per gli agricoltori. A seguito dell'esame posto in essere dalla Commissione, si riscontrano delle discrepanze dal principio iniziale che noi tutti non possiamo ignorare. I nostri agricoltori sono convinti che il loro lavoro sia sottovalutato da un punto di vista economico.
Il passaggio dalla prima alla seconda fase della filiera, che li vede protagonisti, oggigiorno non è più considerato elemento determinante per stabilire il prezzo finale, che ricade poi sui consumatori. È necessario controllare le fluttuazioni dei prezzi dei beni primari che danneggerebbe solo ed esclusivamente il consumatore. Ritengo utile prevedere una revisione delle modalità di passaggio della filiera per evitare un incremento del prezzo del bene non congruo con la corretta distribuzione del costo per il lavoro svolto.
Bisogna controllare che il livello asimmetrico tra il costo del prodotto nella prima fase e nell'ultima sia in ascesa creando così un danno per il consumatore. Sul mercato si rischierebbe di commercializzare prodotti più cari che non rispecchierebbero un aumento di qualità. I consumatori devono essere protagonisti per garantire un guadagno equo a tutti gli operatori della filiera produttiva.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Il settore agricolo è uno dei più duramente colpiti dalla crisi economica e per questo la Commissione europea deve adottare misure volte a promuovere sistemi di produzione sostenibili ed etici e ad indennizzare gli agricoltori per i loro investimenti, creando un equilibrio e favorendo il miglioramento della filiera alimentare europea.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) La crisi alimentare e l’instabilità dei prezzi degli alimenti e dei prodotti di base hanno generato serie preoccupazioni in merito al funzionamento della filiera alimentare a livello europeo e mondiale. Si è anche accentuata la differenza tra l’aumento del 3,3 per cento del prezzo dei prodotti alimentari su base annua e del 2,1 per cento dei prezzi pagati agli agricoltori, a fronte di un incremento del 3,6 per cento delle spese di gestione; questo andamento riflette la mancanza di trasparenza dei prezzi nella catena alimentare. Relazioni commerciali equilibrate permetterebbero un migliore funzionamento della filiera, favorendo peraltro gli agricoltori; ho quindi votato a favore della presente relazione.
Desidero ribadire che gli obiettivi fondamentali della PAC dovrebbero essere il sostegno all’agricoltura europea e la salvaguardia della competitività nel settore, nonché la garanzia di una produzione alimentare a livello locale e uno sviluppo territoriale equilibrato. Questi obiettivi devono essere perseguiti senza trascurare la capacità di garantire entrate eque nel settore agricolo. Sarà possibile promuovere sistemi produttivi sostenibili ed etici, solo indennizzando equamente gli agricoltori per gli investimenti e per l’impegno profuso in questi ambiti.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo ha invocato un reddito più equo per gli agricoltori nel contesto del miglioramento della catena alimentare. Non è accettabile che i redditi agricoli debbano costantemente scendere, mentre i profitti dell'industria alimentare, dei grossisti e delle catene di vendita al dettaglio multinazionali segnano un incremento. Pertanto chiediamo alla Commissione europea di introdurre alcune misure pratiche (per contrastare le posizioni dominanti, le prassi contrattuali e commerciali vessatorie, i ritardi nei pagamenti e via dicendo) al fine di creare un'economia trasparente ed efficiente in cui le merci abbiano un prezzo giusto, garantendo agli agricoltori un reddito decoroso.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della presente relazione perché affronta il problema dell’iniqua distribuzione dei profitti lungo la filiera alimentare, in particolare al fine di garantire entrate adeguate agli agricoltori.
Il reddito medio degli agricoltori europei è diminuito di oltre il 12 per cento nell’Unione a 27 nel 2009, mentre i prezzi al consumo rimangono stabili o sono in aumento; questa situazione dimostra chiaramente la scarsa trasparenza dei prezzi lungo la filiera alimentare e la volatilità sempre maggiore dei prezzi delle materie prime. È dunque necessario cercare una maggiore trasparenza nella filiera, per porre fine alle pratiche abusive dei grandi supermercati e dell’industria della trasformazione.
Diane Dodds (NI), per iscritto. – (EN) In linea di principio sono a favore della presente relazione, perché affronta i principali problemi della filiera alimentare. Dobbiamo affrontare la realtà: attualmente nel sistema sussiste una distorsione che concentra troppo potere nelle mani dei dettaglianti; i produttori, di conseguenza, sono costretti a subire i prezzi, senza avere la possibilità di stabilirli. Concordo con i principi alla base della presente relazione, ma ho alcune riserve in merito alle soluzioni proposte dal relatore. Non sono a favore di una regolamentazione eccessiva: più burocrazia aggiungerebbe ulteriore pressione e spese extra nel sistema attuale. Allo stesso modo sono contrario all’istituzione di un organo che monitori a livello europeo tutte le transazioni del mercato, in quanto i costi associati sarebbero proibitivi.
Un mediatore per i supermercati istituito dagli Stati membri può svolgere questo ruolo. Concordo con alcuni emendamenti proposti dai Conservatori e Riformisti europei, ma temo che un rapido passaggio a un mercato più libero non gioverebbe ai produttori della mia circoscrizione elettorale. La loro riluttanza nell’affrontare il potere dei dettaglianti non garantirà l’approvvigionamento alimentare da parte dei produttori nel lungo termine.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Bové perché è necessario adottare misure volte a garantire entrate eque per gli agricoltori, maggiore trasparenza per i consumatori e un migliore funzionamento della filiera alimentare, particolare soprattutto attraverso proposte legislative per contrastare l’ingiusta distribuzione dei profitti, la volatilità dei prezzi e per ridurre la vulnerabilità degli agricoltori.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Siamo tutti concordi sull'estrema vulnerabilità degli agricoltori alla volatilità dei prezzi a causa delle caratteristiche intrinseche del proprio lavoro. La relazione suggerisce alcune idee valide per tutelarli e alcune che invece lasciano spazio a dubbi. Innanzi tutto, l’obbligo di presentare una relazione annuale sulle quote di mercato rischia di diventare una misura puramente burocratica; in secondo luogo, l’enfasi posta sugli abusi di posizione dominante e di pratiche commerciali sleali nella filiera, perché quando di verificano simili episodi, si applicano le norme in vigore in materia di concorrenza per punire i trasgressori.
Per questo motivo, non vedo alcuna reale necessità di una nuova relazione tra le norme in materia di concorrenza e la PAC. Per quanto riguarda i marchi privati, sappiamo che lasciano maggiore libertà di scelta ai consumatori, i quali, secondo alcuni studi, li preferiscono. Il mercato funziona in questo modo e per questo molti punti della presente relazione dovrebbero essere riconsiderati.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Gli agricoltori devono avere un reddito adeguato. È inaccettabile che dal 1996 i prezzi pagati agli agricoltori siano aumentati solamente del 2,1 per cento, mentre i costi operativi hanno subito un incremento del 3,6 per cento. Parallelamente, i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati del 3,3 per cento su base annua, quindi gli agricoltori sono stati penalizzati. Va osservato che il reddito agricolo medio si è contratto di oltre il 12 per cento nell'UE a 27 nel 2009.
Tutti gli obiettivi connessi all'agricoltura previsti dal trattato di Roma – aumento della produttività, approvvigionamento alimentare adeguato, prezzi al consumo ragionevoli, stabilizzazione del mercato – sono stati raggiunti, salvo per l'obiettivo del reddito equo in agricoltura. Pertanto chiediamo alla Commissione di migliorare lo strumento di controllo sui prezzi dei prodotti alimentari europei al fine di colmare l'esigenza tanto dei consumatori che degli agricoltori di una maggiore trasparenza nella costruzione dei prezzi dei prodotti alimentari. Chiedo inoltre alla Commissione di mettere rapidamente in atto il progetto pilota sulla creazione dell'osservatorio europeo dei prezzi e dei margini agricoli, avvalendosi al contempo dei dati sui prezzi, sui margini e sui volumi per cui il Parlamento ed il Consiglio hanno approvato una riserva di 1,5 milioni di euro nell'ambito del bilancio per il 2010.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione non è all’altezza delle ambizioni espresse nel titolo. Il testo avanza poche proposte e quasi nessuna, su come ottenere entrate adeguate per gli agricoltori si limita invece a espressioni vaghe, persino ambigue, e lascia alla Commissione il compito di formulare proposte, compito che spetterebbe al Parlamento europeo.
Innanzi tutto, per garantire entrate eque agli agricoltori è necessario un distacco netto dalle politiche di liberalizzazione dei mercati agricoli, fissati nel corso della riforma della PAC, nonché l’eliminazione dell’agricoltura dall’Organizzazione mondiale del commercio e dagli “accordi di libero scambio”, che hanno portato a esiti positivi per alcune grandi società operanti nella filiera e conseguenze disastrose per le piccole e medie imprese agricole. Si deve attuare una politica dei prezzi che tenga in considerazione la delicata natura di quest’attività e che, assieme ad altre disposizioni, stabilisca un prezzo minimo equo da pagare agli agricoltori.
È necessario un controllo quantitativo delle importazioni, privilegiando i prodotti europei e rendendo prioritaria la produzione e la sovranità alimentare di ciascun paese. Si deve imporre ai supermercati la vendita di quote significative di alimenti prodotti a livello nazionale, riservando particolare attenzione ai livelli di dipendenza agroalimentare, al relativo equilibrio commerciale e agroalimentare.
Lorenzo Fontana, per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione del collega Bové sul miglioramento della filiera alimentare in Europa costituisce un primo passo importante per una redistribuzione, più equa, delle entrate e per una giusta valorizzazione dei produttori che sono stati, negli ultimi anni, i soggetti più colpiti da pratiche commerciali sleali. Credo sia necessario intervenire nel settore con misure volte ad accrescere il potere negoziale dei produttori. Così come la maggior parte dei produttori europei, anche i produttori della mia regione sono stati fortemente colpiti dal disequilibrio delle entrate nella filiera alimentare e dalla diminuzione dei prezzi dei prodotti agricoli, che ha interessato numerose colture e allevamenti. Le oltre 91.000 imprese registrate, nel 2005, in Veneto sono calate del 14% e tale diminuzione ha riguardato principalmente i piccoli produttori, in pratica, coloro che hanno minore rilevanza nel mercato. Voterò, quindi, a favore della relazione d'iniziativa, augurandomi che ad essa segua una proposta della Commissione altrettanto attenta alla situazione di emergenza in cui versano molti produttori.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) Sono a favore della relazione sul miglioramento del funzionamento della filiera alimentare presentata dall’onorevole Bové e adottata oggi.
I problemi nella filiera alimentare sono innegabili: sappiamo che gli agricoltori sono i soggetti maggiormente colpiti e per questo bisogna stabilire in modo chiaro e trasparente i prezzi pagati loro. Desidero chiedere alla Commissione europea di integrare le raccomandazioni della presente relazione nella comunicazione sulla PAC dopo il 2013, che verrà pubblicata verso fine di quest’anno.
Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, il problema è annoso e la situazione, con il crescere del potere e della concentrazione della distribuzione, sta volgendo al peggio.
I piccoli e medi produttori agricoli faticano a raggiungere redditi dignitosi e i consumatori fanno i conti con l’aumento continuo dei prezzi. Non c’è dubbio che nella filiera alimentare a dettare le regole sia soprattutto la grande distribuzione organizzata, soggetto forte nelle condizioni di fornitura. È quindi importante attuare le misure dirette a combattere le pratiche commerciali sleali e innestare meccanismi di trasparenza dei prezzi previsti da questa direttiva, alla quale ho dato con convinzione il mio voto. Tuttavia ciò non è ancora sufficiente per garantire agli agricoltori quei margini di profitto equi che la stessa PAC si pone come obiettivo.
Occorre perfezionare ulteriormente il meccanismo di controllo dei prezzi; incentivare l’istituzione delle organizzazioni dei produttori, al fine di potenziare il potere contrattuale delle singole aziende; migliorare l’organizzazione della filiera alimentare tenendo conto delle diversità dimensionali delle aziende e delle specificità dei vari mercati.
In sostanza per garantire redditi equi a ciascun anello della filiera, soprattutto in un contesto di qualità e di tutela dei consumatori, bisogna affrontare la questione in maniera più incisiva e nella sua complessa globalità.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Una politica agricola non dovrebbe semplicemente garantire prezzi accessibili o bassi per i consumatori, ma dovrebbe anche assicurare entrate eque agli agricoltori per il proprio lavoro, promuovere filiere corte, incoraggiare consumatori, produttori, trasformatori e distributori a pensare in modo “locale e stagionale” (qualità dei prodotti, eccetera) e porre fine ad alcune pratiche attuate dal settore della distribuzione su ampia scala o da intermediari.
Come abbiamo già ribadito più volte in questa Camera, l’agricoltura è differente dalle altre attività economiche, poiché fornisce gli alimenti, preserva il paesaggio ed è alla base della civiltà.
Per questi motivi, non dovrebbe essere soggetta a regole sulla concorrenza, tantomeno a livello internazionale. È vergognoso vedere prodotti agricoli di base, da cui dipendono vite umane, trattati come prodotti finanziari o mercati altamente speculativi. La relazione Bové ha intrapreso la giusta direzione, ma è un peccato che, a causa della maggioranza filoeuropea di questa Camera, rientri nuovamente nel frammentato quadro concettuale dell’Unione europea e dei suoi dogmi.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato con convinzione a favore della presente relazione, che fa appello alla Commissione europea affinché adotti misure specifiche volte a garantire entrate eque per gli agricoltori e a un migliore funzionamento della filiera alimentare europea. Si tratta di un voto importante perché gli agricoltori non ricevono un compenso adeguato per i loro prodotti e spesso sono le prime vittime di pratiche commerciali talvolta abusive. Questo testo costituisce un progresso, perché afferma che la posizione negoziale di tutte le parti deve essere equilibrata e che i mercati alimentari devono basarsi su una concorrenza leale, e perché chiede entrate eque per gli agricoltori e prezzi trasparenti per i consumatori. Sono dunque favorevole all’adozione del presente testo, che costituisce un passo in avanti per gli agricoltori e per i consumatori. Se vogliamo mantenere un’agricoltura dinamica e una filiera europea di qualità e vantaggiosa per i consumatori, gli agricoltori devono ricevere di più per la propria produzione.
Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Bové perché l’agricoltura “a contratto” imposta dagli acquirenti potrebbe indebolire la posizione negoziale degli agricoltori.
Sono dunque necessarie nuove norme per integrare i produttori primari agli altri anelli della catena e per garantire prezzi trasparenti per i consumatori.
La creazione di contratti standard, con clausole sul volume e sul prezzo, permetterebbe ai produttori di rafforzare la propria posizione negoziale verso i settori finali della filiera. Questi contratti potrebbero aiutare nel prevenire pratiche quali modifiche delle condizioni contrattuali, pagamenti tardivi e rivendite in perdita e dovrebbero anzi diventare obbligatori in alcuni settori.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Bové sui prezzi dei prodotti alimentari, poiché dobbiamo garantire un reddito stabile agli agricoltori, proteggendo al contempo i prezzi al consumo. Ultimamente una serie di fluttuazioni dei prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità, tra cui il latte, hanno acceso i riflettori sulla grave situazione in cui attualmente versano molti agricoltori. I prezzi di vendita si contraggono e gli agricoltori non riescono più a viverci. Dall'altro capo della catena i consumatori non godono mai dei benefici dovuti alla diminuzione dei prezzi, se e quando si verificano. Eppure, quando i prezzi aumentano, anche in conseguenza di attività speculative, il prezzo al consumo lievita immediatamente. È necessario intensificare con urgenza la trasparenza sul ruolo degli intermediari, soprattutto i distributori su larga scala.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione, in quanto esprime esasperazione per gli abusi perpetrati dai grossisti e dalle multinazionali ai danni degli agricoltori. La ricchezza deve essere distribuita equamente lungo la catena dell'approvvigionamento alimentare. Spero che la Commissione agisca con rapidità, proponendo un meccanismo atto ad affrontare questo genere di problemi. Siffatta iniziativa, se attuata, contribuirebbe enormemente a migliorare la vita della comunità agricola in Irlanda, motivo per cui la sostengo.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. − (DE) Sostengo la relazione dell'onorevole Bové che invoca un miglioramento della catena di approvvigionamento alimentare. Il testo verte su temi chiave per lo sviluppo futuro del comparto agricolo e quindi sull'approvvigionamento in sicurezza e sotto debito controllo di alimenti salutari e freschi per la popolazione europea. Le preoccupazioni principali degli agricoltori vertono sulla trasparenza dei prezzi, sulla concorrenza leale, sulle restrizioni agli abusi di potere dei compratori, sul miglioramento dei contratti, sull'intensificazione del ruolo dei gruppi di produttori e sulle limitazioni alla speculazione sulle materie prime agricole. La relazione invia un segnale chiaro dal Parlamento alle piccole imprese agricole familiari in un momento di crisi economica globale. Il documento, inoltre, si rivolge contro tutti coloro che nella catena alimentare contribuiscono ad esacerbare i problemi connessi ai prezzi. Non dobbiamo consentire che agli agricoltori vengano praticati prezzi inferiori rispetto ai costi di produzione che essi debbono sostenere.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L'Unione europea riuscirà ad avere un comparto agricolo forte atto a garantire l'autosufficienza solo se gli agricoltori riusciranno ad avere un reddito adeguato e se quanto producono viene venduto ad un prezzo giusto. Ad ogni modo, le grandi pressioni esercitate dalle principali catene di approvvigionamento alimentare hanno provocato una diminuzione dei prezzi pagati agli agricoltori ed un aumento dei costi dei prodotti per i consumatori. Gli aumenti dei prezzi al consumo devono riflettersi nei prezzo pagato agli agricoltori, poiché solo in questo modo si avrà una relazione commerciale bilanciata. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Se da una parte accolgo con favore le conclusioni della presente relazione sulla disastrosa situazione dell’agricoltura europea, dall’altra mi rammarico che l’unica soluzione proposta sia avere sempre più Europa: più leggi europee e filoeuropee e più interventismo burocratico.
Date le nostre identità e tradizioni locali, regionali e nazionali, le profonde differenze in termini di prassi e le diverse necessità dei mondi economici e sociologici degli agricoltori dell’Unione, le misure adottate dai filoeuropei devono essere urgentemente messe in discussione. Ci troviamo di fronte a una politica fallita che ha acuito la desertificazione rurale, il quasi monopolio, le pratiche sleali dei distributori e degli acquirenti su ampia scala, e diverse forme di speculazione che stanno distruggendo i nostri agricoltori.
Il buon comune suggerisce che gli agricoltori ricevano sostegno per ottenere entrate eque in una filiera alimentare sicura, ben funzionante e di buona qualità, e tutto questo deve avvenire a livello nazionale. Dobbiamo rinazionalizzare la politica agricola comune (PAC) e discostarci dalle argomentazioni liberali e internazionaliste della Commissione europea.
Astrid Lulling (PPE), per iscritto. – (DE) Non mi è stato permesso di intervenire nel corso della discussione sulla relazione Bové e non ho potuto spiegare per quale motivo non voto a favore della relazione; desidero quindi chiarire in questa sede che, per ora, viviamo ancora nell’Unione europea, e non nell’Unione sovietica.
Rifiuto quindi tutte le soluzioni proposte dall’onorevole Bové che non sono compatibili con la nostra economia sociale di mercato.
Concordo sull’identificazione delle cause dei problemi, quali l’abuso di potere d’acquisto degli acquirenti dominanti, pagamenti tardivi, restrizioni dell’accesso al mercato e molti altri fattori che sono alla base del malfunzionamento della filiera alimentare.
Dobbiamo agire, e siamo certamente pronti, per garantire entrate eque agli agricoltori, senza colpire l’industria della trasformazione o il commercio a livello mondiale. A differenza delle autorità nazionali, l’industria della trasformazione e il commercio devono affrontare l’economia reale; tuttavia, se l’aiuto, a cui gli agricoltori hanno diritto e su cui contano, arriva con oltre 12 mesi di ritardo, avrà sulle entrate degli agricoltori le stesse ripercussioni negative di alcune riprovevoli pratiche impiegate nell’industria della trasformazione e nel commercio, al momento in attesa di revisione.
Non voterò pertanto a favore della relazione se non saranno prima eliminate le incoerenze che si oppongono al sistema.
Marisa Matias e Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore della presente relazione perché comprende numerose proposte volte al riequilibrio delle relazioni di forza tra gli attori coinvolti nella produzione e nella filiera alimentare. Attualmente le piccole e medie imprese agricole sono l’anello debole di questa catena; senza entrate eque sarà impossibile combattere con successo la desertificazione di origine antropica delle aree rurali e, allo stesso tempo, riorganizzare in termini ambientali l’agricoltura su piccola scala e la relativa industria di trasformazione.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Concordo con tutti i punti della relazione Bové. L’atteggiamento improduttivo della Commissione europea nei confronti degli agricoltori e il costante desiderio di aumentare le tasse su produzione, approvvigionamento, vendita e stoccaggio possono portare a un crollo della produzione agricola europea tra il 30 al 50 per cento rispetto a oggi.
Gli europei dipenderebbero allora completamente dall’importazione da Cina, India, America del Sud e Russia, dove i costi nel settore sono sensibilmente più bassi. La relazione Bové chiarisce alla Commissione europea che gli onorevoli membri del Parlamento non permetteranno al Presidente Barroso e ai suoi Commissari di esercitare pressioni sugli agricoltori, privandoli delle proprie entrate a favore delle finanze pubbliche dell’Unione. Dobbiamo “rimproverare” quanti vogliono rendere più difficile e complicata la vita degli agricoltori.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Nella filiera alimentare qualcosa sta andando per il verso sbagliato. I prezzi al dettaglio non sono in alcun modo correlati con i prezzi pagati alle piccole imprese agricole per il loro duro lavoro e si registrano sempre più pratiche sleali e abusi di potere d'acquisto dominante: per esempio, in occasione di anniversari o di piani di ristrutturazione, i distributori attingono direttamente alle tasche della catena di distribuzione. Le piccole aziende vengono spremute come limoni e le società ricorrono a deprecabili pratiche fraudolente di etichettatura di prodotti scaduti, come è avvenuto nel caso della carne avariata.
Se vogliamo porre fine al declino delle regioni agricole e alla diminuzione del numero di agricoltori, è giunto il momento di interrompere lo stanziamento di sussidi agricoli alle grandi multinazionali e ai milionari e di elargirli a chi ne ha bisogno per sopravvivere. Se il centralismo dell’Unione e il meccanismo di scaricare le colpe su altri messo in atto da Bruxelles lo rendono impossibile, la rinazionalizzazione dei sussidi agricoli rimarrà l’unica soluzione praticabile. Questa relazione non apporta alcun reale miglioramento alla situazione, sebbene alcune idee siano corrette. Di conseguenza, mi sono astenuto dal voto.
Claudio Morganti (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho dato il mio voto positivo alla relazione in quanto la ritengo positiva per l'industria alimentare Italiana.
In particolare trovo indispensabile l'adozione di strumenti di sostegno per lo sviluppo di filiere corte e di mercati gestiti direttamente dagli agricoltori, riducendo così le varie intermediazioni a vantaggio dei consumatori che acquisteranno i prodotti ad un prezzo più equo. Inoltre si invita la Commissione a prendere provvedimenti seri contro la concorrenza sleale la quale provoca un impatto negativo sui piccoli produttori.
Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE), per iscritto. – (LT) Di fronte alla recessione economica e ai capricci del clima, gli agricoltori europei si trovano ad affrontare inevitabili difficoltà e sorgono problemi significativi soprattutto in relazione al fluttuare dei prezzi dei prodotti agricoli di base e degli alimentari. La comunicazione della Commissione europea fa riferimento a trasparenza dei prezzi, concorrenza e migliore qualità dei prodotti, ma mancano alcuni elementi importanti. Per questo motivo, la risoluzione adottata oggi è di fondamentale importanza: il Parlamento europeo, esprimendo il proprio parere, porta l’attenzione sull’iniquo potere contrattuale degli agricoltori, che ha spinto molti attori del mercato agricolo ad abusare della situazione, attraverso la distorsione delle entrate degli agricoltori, contratti sleali e accordi di cartello. Ho votato a favore della presente risoluzione perché, dal mio punto di vista, dobbiamo garantire un migliore funzionamento della filiera alimentare e ottenere entrate eque per gli agricoltori, prezzi trasparenti lungo la filiera, promuovere la concorrenza, combattere la volatilità dei prezzi e favorire un migliore scambio di informazioni tra i partner di mercato, in vista di sfide future, quali il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione Bové perché affronta un grave problema attuale e suggerisce provvedimenti utili per alleviarlo; ho votato comunque contro gli articoli che propongono misure che non incoraggiano la libertà economica e la competitività. Non dobbiamo dimenticare che non vi sono alternative a una politica economica equa, anche in agricoltura, nonostante la natura particolare del settore. Ancora una volta, mi rammarico per il mancato riferimento alle politiche di sviluppo rurale; spero comunque che nelle future proposte legislative della Commissione ci sarà posto per misure eque e utili.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) La relazione contiene alcuni elementi molto positivi ed importanti, come il tentativo di contrastare i monopoli nel comparto agricolo al fine di garantire un reddito certo ai piccoli agricoltori. Mi oppongo però all'approccio enunciato nel testo in cui si vuole introdurre una maggiore regolamentazione comunitaria per risolvere i problemi del comparto agricolo. Non è questa la strada giusta da seguire. Bisogna rapidamente restituire potere al livello nazionale e regionale, dove le sfide possono essere affrontate in maniera più immediata. Pertanto mi sono astenuto.
Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione Bové perché uno degli obiettivi principali della politica agricola comune dell’Unione (entrate eque per gli agricoltori) non è ancora stato raggiunto. Nonostante l’aumento annuo del 3,3 per cento dei prezzi alimentari nell’UE a partire dal 1996, i prezzi offerti agli agricoltori sono aumentati solo del 2,1 per cento, e i costi operativi del 3,6 per cento: questi dati dimostrano lo squilibrio nella filiera alimentare causato della posizione dominante delle aziende agroindustriali, delle società che forniscono fattori produttivi agricoli, delle imprese di trasformazione e dei dettaglianti. Ritengo necessario promuovere lo sviluppo delle organizzazioni di produttori e di cooperative agricole, perché aumentano l’influenza e il potere negoziale degli agricoltori. Concordo con le proposte della relazione volte a una maggiore trasparenza dei prezzi nel settore alimentare, finalizzate in particolare alla lotta alla speculazione globale sulle materie prime alimentari, al controllo della volatilità dei prezzi e a garantire un migliore scambio di informazioni sui prezzi e sui contratti tra la parti del mercato. È particolarmente importante prevenire l’abuso di potere degli acquirenti nella filiera alimentare. Sono pienamente d’accordo con la proposta della commissione per l’agricoltura di introdurre programmi volti a stimolare la vendita di prodotti sui mercati locali e a concedere un trattamento preferenziale alle organizzazioni di produttori, alle cooperative agricole e alle PMI in occasione dell’aggiudicazione di appalti pubblici nella filiera alimentare. È deplorevole che il Parlamento abbia respinto tale proposta.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho espresso il mio voto favorevole alla relazione per le stesse ragioni del titolo che essa reca: garantire entrate eque per gli agricoltori. Tuttavia, anche se questo risulta essere uno degli obiettivi della politica agricola comune, rispetto ad altri obiettivi quali una maggiore produttività e la competitività globale dell’industria alimentare europea ha sempre avuto meno attenzione. Sono cosciente dei fattori che compromettono un adeguato funzionamento della filiera alimentare in Europa. Essi sono divenuti evidenti a causa della grave volatilità dei prezzi delle materie prime nel settore agroalimentare.
Tali problemi sembrano essere strettamente collegati all'aumentata concentrazione nei settori delle aziende di trasformazione, dei grossisti, dei dettaglianti e delle catene di supermercati, al loro sempre maggiore potere di mercato e a varie pratiche di abuso di potere d'acquisto dominante nella filiera alimentare. Sono d'accordo con il relatore quando afferma che per rispondere a tali problemi è auspicabile e opportuna una migliorare trasparenza dei prezzi lungo la filiera alimentare al fine di aumentarne la concorrenza e di combatterne la volatilità ed una migliore circolazione tra i partner commerciali delle informazioni concernenti domanda e offerta.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della presente relazione perché avanza proposte concrete per un migliore funzionamento della filiera alimentare e per garantire entrate eque agli agricoltori.
Il miglioramento del funzionamento delle filiere alimentari dovrebbe includere: una differenziazione e revisione delle norme igieniche; il decentramento e la semplificazione dei sistemi di certificazione e di controllo; la promozione di relazioni dirette tra produttori e consumatori e di filiere alimentari brevi; il coinvolgimento dei produttori e dei consumatori nell’elaborazione di criteri di qualità e di commercio equo, nonché di criteri di sostenibilità ambientale per quanto riguarda le forniture alimentari al pubblico (servizi di ristorazione) quale strumento per migliorare la qualità dei prodotti alimentari e lo sviluppo economico locale, favorendo al contempo i prodotti a “chilometro zero” e riducendo la dipendenza dai prodotti chimici per l’agricoltura; perdite estremamente elevate di cibo lungo l’intera filiera alimentare, che nella maggior parte degli Stati membri raggiungono il 30 per cento dei generi alimentari prodotti e immessi sul mercato; l’influenza del Programma europeo di aiuto alimentare sulla filiera alimentare, il quale si occupa di 43 milioni di poveri in Europa e che deve essere rivisto in termini di un migliore collegamento tra produttori e consumatori locali .
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore l’adozione della relazione Bové che, nonostante introduca le proposte della Commissione per la creazione di organizzazioni di produttori agricoli, sottolinea l’enfasi posta dalla commissione per l’agricoltura sul fatto che la revisione delle norme in materia di concorrenza dovrebbe rispecchiare i differenti livelli di competitività in relazione ai mercati e alle catene di distribuzione. Anche il volume di dettaglianti locali indipendenti, mercati, filiere alimentari locali e sistemi di approvvigionamento alimentare di semisussistenza deve pertanto essere presi in considerazione. Le norme europee in materia di concorrenza dovrebbero aumentare il potere negoziale delle organizzazioni di produttori, permettendo loro di ottenere un prezzo equo per la propria produzione.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione Bové perché è necessaria una maggiore trasparenza nel mercato alimentare europeo. La filiera alimentare non funziona in modo adeguato e gli speculatori ne traggono il maggiore vantaggio. Gli agricoltori europei necessitano di entrate eque e sicure; dobbiamo far sì che non siano sempre questi ultimi le vittime più colpite nella filiera alimentare, garantendo una concorrenza leale.
Christel Schaldemose (S&D), per iscritto. – (DA) A nome degli eurodeputati socialdemocratici danesi (onorevoli Jørgensen, Schaldemose, Thomsen e Christensen), desidero esprimere il nostro sostegno a una maggiore chiarezza e trasparenza sui prezzi dei prodotti alimentari nell’Unione europea. Riteniamo tuttavia che la presente relazione persegua uno scopo differente, ovvero l’aumento degli attuali aiuti agricoli e un controllo ancora più centralizzato sui prezzi degli alimenti. Per questo motivo abbiamo votato contro la risoluzione finale, sebbene sosteniamo la necessità di trasparenza sui prezzi degli alimenti e sulla distribuzione dei profitti nel settore alimentare.
Olga Sehnalová (S&D), per iscritto. – (CS) Accolgo con favore la presente relazione poiché apre il dibattito sulla reale situazione della filiera alimentare in Europa. Gli agricoltori si trovano di fronte a una continua riduzione dei prezzi per la maggior parte dei prodotti, mentre i prezzi finali dei prodotti nella distribuzione al dettaglio rimangono invariati o aumentano. È necessario rafforzare la posizione contrattuale dei produttori e dei consumatori e, più in generale, eliminare gli squilibri relativi al potere contrattuale dei diversi anelli della catena alimentare. Questo argomento dovrebbe rientrare nelle discussioni sulla nuova PAC; ho votato a favore della presente relazione.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Ho accolto con favore la relazione Bové sulle entrate eque per gli agricoltori e su un migliore funzionamento della filiera alimentare. Sussiste un’enorme differenza tra il prezzo pagato agli agricoltori per i propri prodotti e quello pagato invece dal consumatore finale: il motivo è evidente a tutti. È giusto dunque chiedere una maggiore trasparenza sui prezzi, sia per gli agricoltori che per i consumatori. La relazione rivolge un appello alla Commissione, affinché identifichi i reali costi di produzione sostenuti dagli agricoltori e il prezzo che viene pagato loro per i prodotti, a beneficio della trasparenza dei margini di profitto di tutti gli anelli della filiera. Gli agricoltori non devono essere vittime del prezzo poco trasparente fissato dalle catene di supermercati.
La chiarezza sui profitti degli intermediari e delle catene di supermercati su un determinato prodotto fornirà all’agricoltore una posizione negoziale più forte. Inoltre, una maggiore trasparenza permetterà di ridurre l’abuso di potere dei supermercati nella fissazione dei prezzi, Mentre trasparenza e concorrenza leale favoriranno una filiera sostenibile. Attualmente vediamo le Fiandre importare pomodori dalla Spagna e viceversa: una maggiore trasparenza dei prezzi e dei margini di profitto permetterà di prevenire queste pratiche inefficienti e dannose dal punto di vista ambientale.
Marc Tarabella (S&D), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore l’adozione dell’eccellente relazione Bové, in cui si chiedono entrate più eque per gli agricoltori, maggiore trasparenza e un migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa. Mi rammarico tuttavia della posizione di maggioranza adottata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) e dal gruppo dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa, che, tornando agli emendamenti di compromesso negoziati diversi mesi fa, hanno respinto alcuni paragrafi fondamentali della presente relazione. La mancata approvazione, tra gli altri, del paragrafo 52 che richiede un trattamento preferenziale per le organizzazioni di produttori, le cooperative di agricoltori e le piccole medie imprese in fase di aggiudicazione di appalti pubblici, non lascia spazio ad alcun dubbio: la priorità è stata attribuita agli interessi dei settori di distribuzione e di trasformazione, a scapito dei produttori.
Artur Zasada (PPE), per iscritto. – (PL) Ho ascoltato con piacere l’esito della votazione odierna. Dal punto di vista economico, le associazioni volontarie dei produttori costituiscono per gli agricoltori il metodo più efficace per collaborare. Tali organizzazioni aumentano il potere negoziale degli agricoltori sul mercato, bilanciano le loro opportunità nei negoziati con l’industria della trasformazione e ottimizzano la produzione senza la necessità di un eccessivo sostegno esterno. Per far fronte alla concorrenza, gli agricoltori devono collaborare più strettamente. La cooperazione e il coordinamento sotto forma di organizzazioni di produttori permettono di intraprendere una serie di iniziative, quali la promozione dei prodotti regionali e la creazione di campagne di informazione per i consumatori, garantendo anche una maggiore varietà sul mercato dell’Unione.
I gruppi costituiscono inoltre lo strumento migliore per determinare le diverse necessità nelle aree di pianificazione strategica, la razionalizzazione dei costi, l’ottimizzazione dell’efficienza agricola e l’organizzazione della vendita dei prodotti agricoli. Il denaro speso per i gruppi di produttori gioverà allo sfruttamento del potenziale umano e di investimento, alle entrate e alla posizione di mercato delle aziende agricole.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sul finanziamento e il funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) perché sono convinto che debba essere mobilitato più rapidamente, soprattutto in un momento in cui bisogna renderlo uno strumento di sostegno flessibile e permanete per far fronte all’aumento della disoccupazione a seguito della crisi economica e finanziaria.
Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, il FEG si è dimostrato un buono strumento a livello UE per fronteggiare le conseguenze della crisi finanziaria, soprattutto nell’ambito occupazionale. Tuttavia l’aumento del numero di domande d’intervento e le difficoltà nell’applicazione della sua procedura d’attivazione ed esecuzione richiedono una rapida modifica delle sue disposizioni procedurali e di bilancio. Auspicando che ciò avvenga in maniera rapida e puntuale voto a favore di questa relazione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) ha l’obiettivo di sostenere i lavoratori, in particolare nelle regioni e nei settori che hanno subito le conseguenze della nuova economia globale; il Fondo è dotato di un importo massimo di 500 milioni da utilizzarsi per il sostegno al reinserimento nel mercato del lavoro. È indispensabile migliorare il finanziamento e l’operatività del FEG, che devono essere semplificare per permettere una più rapida e agevole mobilitazione del Fondo. Questi sono i motivi alla base degli emendamenti che ho presentato alla commissione per i problemi economici e monetari in merito a questa relazione. Il FEG deve divenire uno strumento efficace di una politica sociale europea che presenta alcune lacune. Ritengo che la relazione Portas debba essere approvata, sebbene in forma semplificata, ed è per questo che l’ho supportata.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) Approvo appieno quanto sostenuto nella relazione riguardo alla riduzione dei tempi necessari all’erogazione dell’assistenza finanziaria da parte del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione ai lavoratori rimasti senza occupazione a causa della globalizzazione o della crisi economica. A questi lavoratori, il Fondo deve fornire assistenza con prontezza ed efficacia.
È evidente che i tempi di applicazione del Fondo vanno notevolmente ridotti. La relazione illustra chiaramente che il tempo che intercorre tra la presentazione della domanda e l’erogazione del finanziamento può essere ridotto, migliorando in questo modo l’efficacia del Fondo.
Approvo il contenuto della relazione riguardo alla creazione di una struttura di comunicazione e amministrazione del Fondo a livello nazionale, al fine di garantire alle persone interessate una migliore informazione sullo stato e sull’esito delle domande presentate e il processo seguente la concessione del finanziamento.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) Ho espresso sostegno per questa relazione. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione inizialmente era stato concepito solo come mezzo per contrastare l'impatto avverso della globalizzazione sui lavoratori più vulnerabili e meno qualificati di determinati settori, che avevano perso il lavoro a causa dei grandi cambiamenti intervenuti nelle tendenze commerciali mondiali suscettibili di turbare gravemente l'economia. Il 1° giugno 2009 il campo d'azione era stato esteso in modo da includere i lavoratori che perdono il lavoro come conseguenza diretta della crisi economica e finanziaria; a tal fine il periodo di presentazione delle richieste partiva dal 1° maggio 2009 fino al 31 dicembre 2011. Benché ultimamente sia stato registrato un aumento nel numero delle domande, l'impiego del FEG permane limitato nelle regioni più povere dell'UE, in cui è più acuta la necessità di aiuti tra i lavoratori che sono stati licenziati. Questo impiego non omogeneo del FEG si ricollega alle differenti strategie degli Stati membri. Sostengo le disposizioni delineate nel documento, secondo cui il sostegno finanziario dal FEG deve essere erogato quanto più rapidamente ed efficacemente affinché possa supportare quanti più lavoratori possibili. È necessario preparare ed approvare nuove misure in modo che gli Stati membri possano redigere le domande per la mobilitazione del FEG non appena vengono annunciati licenziamenti collettivi, e non dopo, abbreviando inoltre i tempi richiesti per giungere ad una decisione in merito alle assegnazioni.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa relazione, perché le conseguenze negative della crisi economica e finanziaria sull’occupazione e sul mercato del lavoro europei sono ancora vaste e continuano i licenziamenti di massa in vari settori economici. Di conseguenza il numero di domande d‘intervento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione da parte degli Stati membri è in notevole aumento; le attuali procedure di sostegno finanziario sono però troppo complesse e occorrono tempi lunghissimi per ottenere i finanziamenti. Attualmente il FEG impiega dai 12 ai 17 mesi per fornire sostegno finanziario a uno Stato membro, il che significa che la maggioranza dei lavoratori in esubero non ottiene sostegno per un lungo periodo, diventando così vittima delle conseguenze della globalizzazione e della crisi. Per questo motivo è urgente semplificare le procedure del Fondo, perché solo in questo modo sarà possibile dimezzare i tempi necessari all’ottenimento del sostegno finanziario. È inoltre indispensabile che le istituzioni europee garantiscano un’agevole e rapida adozione delle decisioni su questioni riguardanti l’erogazione di sostegno finanziario, perché ulteriori ritardi non farebbero che aggravare l’incresciosa situazione dei lavoratori in questo momento.
Invito inoltre gli Stati membri a scambiare modelli di buone prassi e in particolare a prendere esempio da quei paesi che hanno già introdotto reti d’informazione del FEG nazionali, coinvolgendo le parti sociali e quelle interessate a livello locale, in modo da costituire un valido sistema d’aiuto in caso di licenziamenti di massa.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) L’obiettivo del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è di rimediare alle conseguenze negative della globalizzazione per i lavoratori più vulnerabili e meno qualificati rimasti senza occupazione per ragioni economiche. Questo si rende ancor più necessario nell’attuale contesto di crisi economica. Il valore aggiunto del FEG risiede nella natura visibile, specifica e temporanea del sostegno finanziario fornito a programmi personalizzati di reinserimento professionale dei lavoratori.
È necessario prorogare fino alla scadenza dell’attuale quadro finanziario pluriennale la deroga introdotta nel giugno 2009 per assistere i lavoratori in esubero a seguito della crisi economica. Per accelerare e semplificare le procedure, occorre garantire un coordinamento più efficace tra la Commissione e il Parlamento europeo, in modo da ridurre il termine massimo per le decisioni.
La Commissione dovrà tenere debito conto del calendario del Parlamento e informarlo in tempo utile in merito ad eventuali difficoltà incontrate in sede di valutazione delle domande degli Stati membri. È infine auspicabile che la Commissione migliori la rendicontazione sul ricorso al FEG, trasmettendo regolarmente al Parlamento europeo informazioni sull’impiego dei contributi finanziari da parte degli Stati membri.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della risoluzione, poiché condivido le richieste avanzate alla Commissione europea affinché il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) divenga più efficiente, prevedendo, tra l'altro, un'analisi dei contribuiti concessi in modo da tener conto dell'impatto prodotto sulla rete dei beneficiari e sulle medie imprese che potrebbero risentire dei piani sugli esuberi e di cui dipendenti potrebbero trarne beneficio. Condivido inoltre le proposte avanzate dalla Commissione volte a dimezzare i tempi per la mobilitazione del FEG, in particolare la Commissione dovrà disporre delle capacità tecniche ed umane necessarie, rispettando il principio della neutralità di bilancio, in modo da elaborare le richieste presentate dagli Stati membri in tempi brevi e con efficacia.
Françoise Castex (S&D), per iscritto. – (FR) Nell’ambito della valutazione intermedia degli strumenti finanziari dell’Unione, ho votato a favore di questa risoluzione perché la Commissione per i bilanci ha elaborato una relazione sul Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), uno strumento volto a sostenere la riqualificazione e il reinserimento professionale dei lavoratori per i quali è evidente il legame tra il licenziamento e la globalizzazione o la crisi economica.
Per noi socialisti, l’analisi di questa relazione ha rivelato che destra e sinistra vedono la questione in maniera molto diversa. Secondo i socialisti è di vitale importanza mantenere il Fondo, perché, indipendentemente dalla crisi, la globalizzazione ha conseguenze negative sull’intero tessuto industriale. Al contrario, la destra ritiene che il Fondo dovrebbe avere un termine massimo, il 2013, perché la globalizzazione non può che essere un elemento positivo in un clima economico ritornato stabile.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Portas, deputato del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, che ha fornito una corretta valutazione dell’importanza e del ruolo del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. La relazione contiene anche suggerimenti e proposte su come utilizzare il Fondo al meglio, al fine di dare sostegno alle “vittime” dei licenziamenti dovuti alla globalizzazione neoliberale e alla crisi economica, le cui conseguenze sui lavoratori europei sono particolarmente dure.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sul finanziamento e il funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. L’aumento del numero di domande d’intervento del FEG e le difficoltà nell’applicazione della sua procedura d’attivazione ed esecuzione richiedono una rapida modifica delle sue disposizioni procedurali e di bilancio. Data la varietà dei casi, la Commissione europea deve delineare una proposta mirata a una maggiore flessibilità dei criteri d’intervento applicabili ai singoli Stati membri in modo da evitare disuguaglianze nell’accesso a tale strumento.
Göran Färm (S&D), per iscritto. – (SV) Noi socialdemocratici svedesi oggi abbiamo scelto di votare a favore della relazione sul finanziamento e il funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Il FEG sostiene i singoli lavoratori vittime di licenziamenti a seguito degli effetti della globalizzazione e fornisce assistenza finanziaria per la loro riqualificazione e formazione supplementare per facilitarne il reinserimento professionale.
La relazione contiene proposte specifiche per dimezzare i tempi necessari all’attivazione del Fondo, a livello sia nazionale che europeo. Propone inoltre di coinvolgere le parti sociali, sia nella fase di presentazione della domanda sia al momento dell’attuazione delle misure finanziate. La relazione propone di estendere il periodo di validità della deroga che consente di ricevere assistenza anche ai lavoratori che restano senza occupazione in seguito alla crisi finanziaria. Riteniamo che questo strumento sia di vitale importanza per contrastare gli effetti della crisi finanziaria e per evitare che i lavoratori restino definitivamente esclusi dal mercato del lavoro.
Il paragrafo 16 della relazione propone inoltre che la Commissione valuti la possibilità di istituire un Fondo di adeguamento alla globalizzazione permanente. Desideriamo tuttavia sottolineare che le parole non sono indicative di una posizione definitiva sulla questione, ma indicano semplicemente che la Commissione indagherà e valuterà i benefici derivanti da un Fondo permanente. Vorremmo oltretutto ribadire che la politica del mercato del lavoro è di responsabilità degli Stati membri; il Fondo di adeguamento alla globalizzazione non dovrà quindi mai sostituirsi a misure nazionali, ma va considerato come uno strumento complementare ai provvedimenti adottati a livello nazionale.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Le vicissitudini del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) rivelano la varietà e la relativa scarsità delle domande d’intervento del FEG, nonché le carenze di questo strumento nel sostenere il reinserimento professionale dei lavoratori vittime di licenziamenti. È importante esaminare in dettaglio quali sono le cause dell’insufficiente applicazione del Fondo e individuare al contempo modalità che consentano di ottimizzarne l’utilizzo da parte degli Stati membri, in particolare dei paesi con un tasso di disoccupazione più elevato.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Per poter contrastare l'impatto avverso della globalizzazione sui lavoratori oggetto di esuberi, dando prova di solidarietà, l'Unione europea ha istituito il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) che mira ad erogare sostegno finanziario per programmi personalizzati finalizzati a reintegrare i lavoratori licenziati nel mercato del lavoro. Il FEG ha una dotazione annua massima di 500 milioni di euro.
Vista la crisi economica e sociale, è sorprendente che sia stato fatto un uso assai modesto del Fondo. In realtà, dal 2007 fino alla prima metà del 2009, sono stati mobilitati solamente 80 milioni di euro su un totale di 1,5 miliardi di euro disponibili, a fronte di 18 domande presentate per 24 431 lavoratori di otto Stati membri. Da quando sono stati introdotti i cambiamenti al FEG nel maggio 2009, il numero delle domande presentate è passato da 18 a 46, il totale dei contributi richiesti da 80 a 197 milioni di euro, mentre il numero di Stati membri che presentano le domande è salito da 8 a 18. Ad ogni modo, 9 Stati membri non se si sono ancora avvalsi.
Inoltre sono le regioni dell'UE con il prodotto interno lordo più elevato che hanno beneficiato maggiormente del FEG. Bisogna analizzare i motivi di siffatte variazioni affinché il Fondo possa essere mobilitato più rapidamente e più spesso e affinché sia trasformato in un fondo indipendente con una propria dotazione e riserve di pagamento.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’applicazione di questo fondo ha dimostrato che avevamo ragione quando, al momento del suo avvio, abbiamo subito criticato vari aspetti della sua regolamentazione, che abbiamo poi parzialmente accettato nella successiva revisione proposta dalla Commissione, riconoscendo la validità di alcune delle critiche da noi mosse alla versione originale.
Per questo motivo siamo concordi nel chiedere alla Commissione di anticipare la presentazione della sua valutazione intermedia al 30 giugno 2011, includendo una proposta di revisione del regolamento FEG al fine di rimediare alle “carenze più flagranti” del Fondo.
Tuttavia, come ho ribadito nel mio intervento in Aula, non bisogna dimenticare le misure preventive da adottare per impedire la delocalizzazione delle multinazionali, per combattere la disoccupazione e per aumentare l’occupazione con tutela dei diritti. Occorre assicurarsi che il Fondo non serva in qualche misura a coprire o a facilitare i licenziamenti motivati da ristrutturazioni aziendali o dalla delocalizzazione di multinazionali.
Infine insistiamo sulla necessità di innalzare la soglia di cofinanziamento dell’Unione dal 65 per cento ad almeno l’80 per cento, al fine di mettere il Fondo a disposizione degli Stati membri con maggiori difficoltà finanziarie e sostenere rapidamente ed efficacemente i disoccupati in condizioni di gravi ristrettezze.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) Il Fondo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), istituito nel 2007 per rispondere ai problemi e alle sfide posti dalla globalizzazione, sta facendo fronte con successo agli effetti della disoccupazione su vasta scala in Irlanda e in Europa.
Questa iniziativa mette a disposizione 500 milioni di euro l’anno e fornisce aiuto e assistenza a regioni dove si sono registrati oltre 1 000 licenziamenti a causa della delocalizzazione di aziende legata ai cambiamenti nelle contingenze mondiali. Ancora una volta l’Europa sta affrontando il problema della disoccupazione in Irlanda e il FEG, così come il Fondo sociale europeo, sono strumenti fondamentali.
Estelle Grelier (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Portas e ne sostengo l’obiettivo principale, ovvero mantenere il FEG, perché, indipendentemente dalla crisi che stiamo attraversando, la globalizzazione ha conseguenze negative nel lungo termine per i lavori del settore industriale, sebbene la destra europea rifiuti di accettarlo. Ho contribuito ad emendare questo testo affinché le piccole e medie imprese e i subappaltatori possano beneficiare degli stanziamenti del FEG. Questi lavoratori sono particolarmente vulnerabili in ragione della loro dipendenza dalle multinazionali ed è quindi di vitale importanza che il FEG dia loro reali prospettive di riqualificazione professionale in caso di licenziamento. Sono lieto che sia stata riconosciuta l’importanza di realizzare studi sugli organismi nazionali preposti alla produzione della documentazione, in modo da ottimizzare l’utilizzo del Fondo, spesso misconosciuto e poco sfruttato, specialmente in Francia. Visto il rifiuto da parte della destra europea di mantenere il FEG dopo il 2013, nella discussione sulla prossima prospettiva finanziaria dell’Unione mi batterò affinché venga reso permanente.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Dal momento che i finanziamenti per i lavoratori rimasti senza occupazione a causa della globalizzazione o della crisi finanziaria andrebbero mobilitati più rapidamente, ho votato a favore di una serie di raccomandazioni volte a migliorare le disposizioni procedurali e di bilancio del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Il Fondo è stato istituito nel 2006, ma da allora sono state presentate poche domande, in parte a causa della complessità degli interventi e dei criteri di cofinanziamento. Per questo motivo i miei colleghi ed io riteniamo opportuno apportare delle modifiche a questo meccanismo. Questo testo rappresenta pertanto un progresso notevole, poiché chiede alla Commissione di semplificare ulteriormente la procedura al fine di correggerne i punti deboli più evidenti e di ridurne i tempi. Sinora questo fondo è stato finanziato da diverse linee di bilancio; il testo propone invece una linea distinta per il Fondo nel bilancio 2011, e ciò costituisce un’evoluzione importante. Per questo motivo sono lieto dell’adozione delle presenti raccomandazioni, che sono vitali in un momento in cui i nostri concittadini sono colpiti dalla crisi finanziaria.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. − (EN) Con i recenti sconvolgimenti che hanno scosso il mondo finanziario e dinanzi ai licenziamenti che ne sono conseguiti, il settore della riqualificazione e della reintegrazione della forza lavoro riveste una grandissima importanza per la creazione di occupazione. Esprimo apprezzamento per la rivalutazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) come strumento di politica sociale dell'Unione europea. Ad ogni modo, chiedo una maggiore flessibilità nel processo una volta completata la domanda e chiedo altresì una maggiore consultazione con gli stessi lavoratori in sede di definizione dei piani sul FEG. Non deve più ripetersi quanto è accaduto in Irlanda nel caso dei lavoratori della Dell e di Waterford Crystal.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione non è solo un importante strumento di aiuto verso chi non è stato in grado di adeguarsi all’apertura dei mercati, ma rappresenta anche un modo per rafforzare la fiducia nell’Unione europea, aspetto che a mio avviso merita di essere sottolineato. Ci permette di dimostrare che, di fronte al cambiamento economico, non abbiamo perso di vista chi non riesce a reagire abbastanza velocemente alla nuova situazione; è però altrettanto importante che la fiducia si basi sul principio di reciprocità. I fondi stanziati per chi, nonostante l’impegno, è rimasto vittima dei cambiamenti del mercato, devono effettivamente raggiungere i destinatari desiderati. È essenziale che l’allocazione dei fondi sia trasparente e comprensibile e che i finanziamenti non vengano semplicemente assegnati in maniera indiscriminata. La situazione di queste persone richiede un intervento transfrontaliero e al tempo stesso mirato a livello regionale e per questo gli stanziamenti devono avvenire in tempi rapidi. Solo in questo modo il Fondo di adeguamento alla globalizzazione potrà essere all’altezza del suo compito e rafforzare la fiducia nell’Unione mediante aiuti rapidi. Approvo quindi la relazione.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Signor presidente, onorevoli colleghi, ho sostenuto la relazione sul finanziamento e il funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), perché ritengo tale strumento una valida risorsa di sostegno ai lavoratori in difficoltà a causa della crisi economica.
Il Fondo è stato creato per fornire un concreto supporto ai lavoratori licenziati per cause legate alla delocalizzazione delle relative aziende o a seguito della crisi, al fine di provvedere al loro reinserimento nel mercato del lavoro. La relazione di iniziativa votata oggi evidenzia alcuni punti critici del funzionamento del Fondo e avanza alcune proposte rivolte sia alla Commissione sia agli Stati membri per giungere ad una revisione delle modalità di funzionamento del Fondo che contribuisca a snellire ed abbreviare le procedure di accesso allo stesso.
Un punto fondamentale, che vorrei, infine, portare alla vostra attenzione, riguarda la proposta di estensione della deroga introdotta nel 2009 – e che ha permesso di ampliare l’area di attivazione del Fondo, inserendo fra i requisiti la crisi economica – fino alla fine del 2013.
Iosif Matula (PPE), per iscritto. – (RO) Il ruolo del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è di offrire sostegno ai lavoratori licenziati in seguito alle trasformazioni dell’economia mondiale. Oltre a questo, dal 2009 il Fondo si impegna a fornire assistenza a colpiti chi è rimasto colpito dalla crisi economica, con l’obiettivo di ridurre il tasso di disoccupazione. Personalmente ritengo opportuno convertire il Fondo in uno strumento permanente di sostegno per chi è in cerca di occupazione, a lato delle politiche sociali degli Stati membri.
Questa misura permetterà di concentrarsi sulle potenzialità dei singoli lavoratori, controbilanciando le misure attuate a favore delle aziende. Non dobbiamo dimenticare che, allo stato attuale, persistono ancora difficoltà relative alle procedure di attivazione del Fondo e ai suoi tempi di attuazione.
Se si tiene conto che le principali problematiche dei lavoratori in esubero sono la riqualificazione professionale e l’assistenza temporanea, la semplificazione delle procedure del Fondo è assolutamente necessaria affinché gli aiuti vengano mobilitati nel modo più rapido ed efficace possibile.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione si è rivelato uno strumento molto importante per fornire un aiuto a milioni di disoccupati nell'UE che si trovano in questa situazione a causa della delocalizzazione delle industrie verso altri continenti. Nel contesto della presente crisi e dinanzi all'aumento nel numero di esuberi, è necessario sia migliorare questo strumento che trovare nuove fonti di finanziamento. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Claudio Morganti (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, in Europa è in atto un aumento strutturale della disoccupazione dovuta alla crisi economica e alle politiche di delocalizzazione.
Il FEG è uno strumento utile con il quale l’UE può dare sostegno e solidarietà ai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro. Il Fondo fino al 2009 era stato utilizzato poco per motivi burocratici e trovo fondamentale la richiesta alla Commissione di introdurre misure che permettano di ridurre la durata della procedura di attivazione del Fondo. Se aumentano la flessibilità e l’accessibilità, il FEG diventerà uno strumento fondamentale per le politiche sociali degli Stati membri.
Per questi motivi mi sono espresso positivamente nella votazione.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli Colleghi, esprimo il mio sostegno a favore della relazione del collega Portas. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è uno strumento fondamentale per fornire sostegno supplementare ai lavoratori licenziati per cause legate alla delocalizzazione delle relative aziende. Si è rivelato uno strumento ancora più importante per i lavoratori, assistendoli nel reinserimento nel mercato del lavoro nel corso della recente crisi.
La relazione del collega Portas è un punto cruciale e un punto volto a migliorare e semplificare una risorsa importante per i cittadini europei, nonché una prova tangibile di come l’UE si stia impegnando per contribuire ad affrontare la congiuntura negativa, a combattere la disoccupazione e a sostenere i suoi cittadini.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché condivido le richieste rivolte alla Commissione europea di ottimizzare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), tra le quali vi sono la valutazione dei contributi concessi (tenendo conto del tasso di reinserimento e del miglioramento delle competenze dei beneficiari), l’analisi comparativa delle misure finanziate per rispondere ad ogni domanda di intervento del FEG, i risultati basati sul reinserimento e l’impatto del FEG sul tessuto dei suoi beneficiari e sulle piccole e medie imprese potenzialmente toccate dal piano di licenziamenti e i cui dipendenti potrebbero beneficiare del Fondo.
Concordo anche con l’invito alla Commissione a fornire agli Stati membri una serie di linee guida per la creazione e l’attuazione delle domande di finanziamento a titolo del FEG per conseguire una procedura di candidatura rapida e un ampio consenso tra le parti interessate sulla strategia da attuare e le misure da porre in essere ai fini di un’effettiva reintegrazione dei lavoratori nel mercato del lavoro.
Infine condivido la richiesta rivolta agli Stati membri di istituire una struttura di comunicazione e di amministrazione del FEG a livello nazionale, in sinergia con tutte le parti in causa e in particolare con le parti sociali, e di scambiare le migliori prassi a livello europeo.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) L’assistenza fornita dal FEG deve essere dinamica e in grado di adattarsi alle situazioni in continuo mutamento, spesso imprevedibili, del mercato. Lo scopo di questo Fondo è di fornire aiuti specifici e rapidi, al fine di facilitare la riqualificazione professionale dei lavoratori rimasti senza occupazione a seguito delle gravi turbolenze economiche nel mercato del lavoro.
Esorto gli Stati membri a coinvolgere le parti sociali e a promuovere il dialogo con le parti sociali e gli imprenditori sin dall’inizio della procedura di presentazione delle domande di intervento del FEG. Allo stesso tempo, invito gli Stati membri a utilizzare questo fondo per promuovere nuove competenze affinché i lavori esistenti siano “verdi” e per crearne di nuovi, nonché per incoraggiare la formazione lungo tutto l’arco della vita, al fine di permettere ai lavoratori di sviluppare una propria carriera personale e contribuire al miglioramento della competitività dell’Unione nel contesto della globalizzazione.
Sono anche a favore della possibilità di far operare il Fondo in maniera indipendente, dotandolo di un suo bilancio, dopo il 2013. La Commissione e gli Stati membri devono lavorare congiuntamente per monitorare efficacemente il sostegno fornito alle multinazionali e per impegnarsi con determinazione nella creazione di posti di lavoro, sostenendo i diritti dei lavoratori e scoraggiando il dumping sociale.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della risoluzione, in quanto condivido le richieste avanzate alla Commissione europea affinché il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) diventi più efficace, in particolare apprezzo l'introduzione dell'analisi dei contributi concessi sulla base del tasso di successo della reintegrazione e la valutazione della riqualificazione dei beneficiari. Sostengo inoltre le proposte presentate alla Commissione affinché siano dimezzati i tempi necessari per mobilitare il FEG, in particolare devono essere garantiti tutti i mezzi tesi a garantire una comunicazione rapida e più efficace con lo Stato membro interessato.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La discussione su questo argomento non è stata facile. Negli ultimi mesi ci si è interrogati sulla “reattività” del Fondo (senza tuttavia entrare nel merito di come intervenire sulle cause migliorando le strategie generali per l’innovazione e l’istruzione in un mondo globalizzato, con obiettivi migliori e incoraggiando l’utilizzo del Fondo sociale europeo negli Stati membri e da parte degli stessi); sul numero limitato di settori finanziati (in quel momento in particolare), segnatamente il settore automobilistico e quello tessile (rispettivamente 15 e 13 domande), in merito ai quali verrebbe da chiedersi, per esempio, se i licenziamenti siano da imputare alla globalizzazione o piuttosto alla scarsa innovazione del settore; se e in che misura tali dispositivi prendono o hanno preso il posto di aiuti nazionali; sul paradosso che, da un lato, vede destinare al Fondo (solo) 500 milioni di euro all’anno (costituiti dagli impegni non spesi del bilancio UE), mentre in linea di principio, posto che vengano soddisfatti i criteri di ammissibilità, si può presentare un numero illimitato di candidature (chi prima arriva); sul fatto che è più difficile per le piccole e medie imprese beneficiare del Fondo; sul rapporto tra aiuti statali e tasse. Alla fine è stata adottata una posizione di consenso e la relazione è stata approvata, anche da noi verdi.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Ho approvato la risoluzione sul finanziamento e il funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) poiché è essenziale migliorare le norme che disciplinano il funzionamento del FEG al fine di aumentarne l’efficacia. Auspico che la Commissione faccia buon uso delle proposte del Parlamento, che consentiranno di dimezzare i tempi delle procedure di erogazione dell’assistenza. Le risorse finanziarie del FEG hanno assunto nuova importanza a seguito dell’aumento della disoccupazione legato alla crisi, in quanto garantiscono sostegno individuale ai lavoratori vittime di licenziamenti e al loro ritorno al lavoro. I rigorosi criteri di ammissibilità all’assistenza e la lentezza delle procedure portano gli Stati membri a non sfruttare pienamente le opportunità messe a loro disposizione per ottenere il sostegno del FEG. Per esempio nel mio paese, la Polonia, sono state presentate al Fondo solo tre domande di sostegno finanziario; la ragione di un così scarso interesse risiede proprio nella lungaggine delle procedure.
Oltre a migliorare le norme che disciplinano il funzionamento del Fondo, è necessario estendere, almeno fino al termine dell’attuale quadro finanziario, la validità del criterio di sostegno per i lavoratori che hanno perso il lavoro a seguito della crisi e mantenere il tasso di cofinanziamento al 65 per cento. Continueremo a risentire degli effetti della crisi sul mercato del lavoro ancora per molti anni, perciò questa assistenza è e sarà necessaria. Vorrei inoltre attirare l’attenzione della Commissione e degli Stati membri sulla coordinazione dello scambio di migliori prassi a livello europeo, per consentire un rapido ed efficace intervento del Fondo in caso di licenziamenti di massa.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) I fondi strutturali si sono dimostrati strumenti di valore inestimabile per ridurre gli squilibri in Europa, non ultimo sostenendo le regioni ultraperiferiche più vulnerabili. L’istituzione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione rappresenta il riconoscimento da parte dell’Unione europea del fatto che il fenomeno della globalizzazione ha portato grandi cambiamenti e non sempre positivi, con conseguenze disomogenee in Europa, poiché alcune regioni ne hanno tratto beneficio, mentre altre hanno perso considerevolmente terreno.
Questo fondo tuttavia non ha goduto della visibilità che merita, a mio parere a cause dell’enorme quantità di tempo che intercorre tra la presentazione della richiesta di intervento da parte dello Stato membro e l’effettivo ottenimento dell’aiuto. Queste tempistiche hanno gravi ripercussioni sulle famiglie interessate e sono diretta conseguenza dell’intrinseca complessità del processo di candidatura, mobilitazione e attuazione dei fondi. Diventa quindi urgente e prioritario semplificare tali procedure; solo in questo modo sarà possibile raggiungere gli obiettivi del Fondo attraverso l’effettivo reinserimento di tutti i lavoratori in esubero a causa delle trasformazioni intervenute nella struttura del commercio internazionale. La relazione che oggi abbiamo votato rappresenta uno sforzo per raggiungere un compromesso tra i diversi gruppi politici e per questo l’ho sostenuta.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) Secondo recenti statistiche europee, il numero di disoccupati nei 27 Stati membri dell’Unione è aumentato di 1,1 milioni nell’ultimo anno a seguito della crisi economica e finanziaria. Questo spiega perché il numero di domande di intervento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è passato da 18 a 46 nel periodo tra maggio 2009 e aprile 2010. Inoltre, sebbene il numero di Stati membri che hanno presentato domanda di aiuto sia passato da 8 a 18, nove paesi non hanno ancora fatto ricorso al FEG.
Su queste premesse, ho votato a favore della mozione per una risoluzione del Parlamento europeo sul finanziamento e il funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, poiché la crisi economica potrebbe continuare a ripercuotersi sull’occupazione. Proprio per questo motivo è a nostro avviso importante esortare la Commissione ad anticipare la sua valutazione finanziaria intermedia sull’utilizzo del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione e la revisione delle relative norme, al fine di ridurre notevolmente i tempi delle procedure di attivazione del Fondo.
Desidero inoltre attirare l’attenzione della Commissione sugli esuberi nel settore pubblico, che non beneficia dell’assistenza del Fondo, sebbene i licenziamenti in questo settore siano una diretta conseguenza dei tagli di bilancio determinati dall’attuale crisi economica e finanziaria.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) Condivido pienamente la relazione dell’onorevole Portas sul finanziamento e il funzionamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Nel documento, affronta molti aspetti, quali il miglioramento dell’efficienza del processo di candidatura e la necessità di attivare il FEG più rapidamente per fornire assistenza a chi ha perso il posto di lavoro. Sebbene al momento il Regno Unito non abbia fatto richiesta di finanziamenti al Fondo (grazie allo “sconto britannico”), constatiamo quanto questo strumento si sia rivelato utile ad altri Stati membri in tempi di difficoltà economiche
Sono favorevole all’istituzione di un Fondo permanente dopo il 2013, al fine di fornire assistenza a chi è stato colpito dai cambiamenti legati alla globalizzazione o alla crisi economica e finanziaria. Ritengo fondamentale che la Commissione valuti la possibilità di rendere il FEG un fondo indipendente, dotato di propri stanziamenti d’impegno e di pagamento, nell’ambito del nuovo quadro finanziario pluriennale (2013-2020).
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore della relazione. La base del regolamento che abbiamo votato oggi è la convenzione di Bruxelles, una delle normative più riuscite della legislazione UE che ha gettato le fondamenta dell'area giudiziaria europea. L'applicazione di norme europee uniformi basate sulla giurisprudenza favorisce una maggiore certezza giuridica e la prevedibilità delle sentenze, evitando procedimenti paralleli. Una delle condizioni fondamentali per il funzionamento dell'area giudiziaria europea è la libera circolazione delle sentenze giudiziarie. Pertanto convengo con la posizione espressa nel documento, in quanto è necessario rivedere il regolamento per garantire l'effettiva libertà di circolazione delle sentenze giudiziarie.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Il regolamento Bruxelles I costituisce le fondamenta della cooperazione giudiziaria europea in materia civile e commerciale ed è uno degli atti legislativi comunitari più efficaci, dal momento che ha gettato le basi di un’area giudiziaria europea. il regolamento ha dimostrato la propria efficacia nel facilitare la risoluzione delle controversie transfrontaliere, attraverso un sistema di cooperazione giudiziaria basata su norme mondiali in materia di competenza giurisdizionale, nonché nel coordinare procedimenti paralleli e nella circolazione delle sentenze. Concordo sulla necessità di introdurre miglioramenti, quali l’abolizione dell’exequatur, in tutte le aree di pertinenza del regolamento, in modo da accelerare la libera circolazione delle sentenze, posto che vengano salvaguardate tutte le garanzie necessarie.
Ritengo inoltre che sia importante promuovere una cultura giudiziaria europea mediante la formazione e il ricorso a reti quali la Rete europea di formazione giudiziaria e la Rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, che dovrebbero contribuire a migliorare la comunicazione tra i giudici. È essenziale definire un quadro giuridico coerentemente strutturato e facilmente accessibile che venga sottoposto a revisione da parte della Commissione in merito all’interrelazione tra i vari regolamenti in materia giurisdizionale, esecutiva e di legge applicabile.
Anna Maria Corazza Bildt, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark, Anna Ibrisagic e Alf Svensson (PPE), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato a favore della facilitazione dei procedimenti giudiziari per i cittadini europei, in crescente movimento. Questo non significa che condividiamo e sosteniamo senza riserve tutti i punti delle riforme che potrebbero scaturire dalla relazione Zwiefka nel lungo termine. Rimaniamo ad esempio critici rispetto all’intenzione di introdurre il ricorso collettivo e desideriamo sottolineare che nessun cambiamento alla cooperazione civile oggetto di discussione può essere tale da influire sulla libertà di stampa in Svezia.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Consapevole dell’enorme importanza del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concernente il diritto privato internazionale e della necessità di un adeguato quadro giuridico che consenta il riconoscimento e l’esecuzione di norme giuridiche in materia civile e commerciale, io, proprio come il relatore, riconosco che la revisione di detto regolamento solleva questioni tecniche e legali estremamente importanti. Sono propenso a sostenere l’abolizione dell’exequatur, come proposto nella relazione, e trovo interessanti e pragmatiche molte delle altre proposte in essa contenute. Questa sarà una discussione da seguire con attenzione.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) La risoluzione riguarda l'attuazione del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I) alla luce del libro verde della Commissione. Il regolamento, con il suo predecessore, la convenzione di Bruxelles, è una delle normative più riuscite della legislazione UE, in quanto ha gettato le basi dell'area giudiziaria europea e ha reso un valido servizio a cittadini e imprese. Ha promosso la certezza giuridica e la prevedibilità delle sentenze mediante norme europee uniformi.
Il regolamento, tuttavia, deve essere aggiornato. Convengo sull'abolizione dell'exequatur (ordine di esecuzione), poiché, così facendo, si favorirà la libera circolazione delle sentenze e si compirà un passo significativo verso la creazione dell'area giudiziaria europea. Ad ogni modo, questa abolizione deve essere bilanciata da salvaguardie appropriate destinate a proteggere i diritti della parte contro cui è diretta l'esecuzione. La Commissione deve rivedere l'interrelazione tra i diversi regolamenti in materia di competenza giurisdizionale, esecuzione e legge applicabile. L'obiettivo generale deve essere quello di creare un quadro giuridico strutturato in maniera coerente e facilmente accessibile.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto. – (PL) La relazione Zwiefka, oggetto del voto odierno, fa riferimento al Libro verde della Commissione sulla revisione del regolamento Bruxelles I concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. La discussione sul Libro verde ci permette, in qualche misura, di prepararci per la reale revisione del regolamento, attesa a breve. Si tratterà di una sfida enorme per il Parlamento, data la natura straordinariamente tecnica e complicata del regolamento. Oltretutto, il Parlamento deciderà congiuntamente con il Consiglio, per la prima volta in regime di procedura legislativa ordinaria, su questa materia tanto complessa e delicata. Allo stadio attuale, permangono divergenze di opinione tra i gruppi politici in merito agli emendamenti proposti, per esempio riguardo all’exequatur e alla competenza giurisdizionale particolare in materia di occupazione.
Per questa ragione il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo ha deciso di non approvare la relazione nella sua forma attuale. Ritengo comunque che, in futuro, tutti i gruppi politici si impegneranno in una cooperazione costruttiva su questo tema, perché il regolamento Bruxelles I è di fondamentale importanza per il mercato unico. Una revisione efficace di detto regolamento mostrerà come il Parlamento sappia usare le sue nuove competenze, per le quali, dopo tutto, ha a lungo lottato.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) La relazione che abbiamo adottato ieri, nell'ambito della seduta del Parlamento europeo, pur essendo assai tecnica, è molto importante per un'integrazione più ampia nello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia dell'area giudiziaria e quindi per il consolidamento del mercato interno. Il regolamento Bruxelles I ha dato corso ad un notevole progresso in campo giudiziario: determina la giurisdizione competente nelle materie civili e commerciali nel caso di controversie transfrontaliere e disciplina il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze giudiziarie in ambito civile e commerciale tra Stati membri. Ora bisogna rivedere la normativa per modernizzarne le disposizioni e "migliorare" determinate procedure: comunicazione tra giudici, l'emissione di atti autentici, la questione dell'arbitrato e, soprattutto, la questione dell'exequatur. Senza entrare nel dettaglio di queste complesse questioni giuridiche, attendo con ansia che la normativa sia emendata affinché i cittadini europei possano avere una migliore tutela giuridica: una migliore "libertà di circolazione" delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, una maggiore "fiducia reciproca" tra giurisdizioni e sistemi giuridici dei diversi Stati membri, ovverosia il rafforzamento della certezza giuridica in Europa e dei diritti dei cittadini europei.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. − (EN) Questa iniziativa è strumentale all'istituzione di una cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sostenuto la relazione del collega, in quanto ritenga rappresenti un passo in avanti nel settore del diritto internazionale privato. Questa branca del diritto, data anche la maggiore interconnessione tra i sistemi giuridici, necessita di un aggiornamento.
Entrando nel merito della relazione condivido l’ipotesi di un'abolizione dell'exequatur, ma ritengo, comunque, che tale provvedimento debba essere compensato da una procedura straordinaria, abbinata alle opportune misure di salvaguardia per i debitori giudiziari. Sono, inoltre, contrario ad abolire l'esclusione dell'arbitrato dal campo di applicazione del regolamento, ma credo che la relazione tra procedimenti arbitrali e procedimenti giudiziari richieda una riflessione molto più approfondita e che non si dovrebbe perseguire l’idea di un'autorità competente esclusiva nei procedimenti giudiziari a sostegno dell’arbitrato nei tribunali civili degli Stati membri finché non si saranno condotti un riesame completo e un'ampia consultazione.
Concordo, poi, con il relatore quando invita ad avviare un'ampia consultazione e un dibattito politico prima di adottare qualsiasi misura su tale questione che esuli dai suggerimenti proposti nella presente relazione.
Evelyn Regner (S&D), per iscritto. – (DE) Ho votato contro la relazione sul regolamento Bruxelles I, perché ritengo che nella risoluzione siano assenti alcuni punti fondamentali. Credo che, per migliorare il regolamento, si debba adottare un approccio olistico, tutelando la parte più debole mediante norme sulla competenza giurisdizionale che siano ad essa più favorevoli. Questo si applica sia ai lavoratori sia ai consumatori, esattamente come si propone il regolamento, ma nessuno degli emendamenti da me proposti, volti a rafforzare la posizione della parte più debole, è stato accolto nella relazione. Ritengo sia importante istituire una sede apposita per le controversie in materia di lavoro per raggiungere una certa coerenza tra il regolamento Bruxelles I e il regolamento Roma II. Quest’ultimo stabilisce già quale diritto va applicato in caso di danni con ripercussioni transnazionali dovuti a scioperi. Non capisco perché una causa non possa procedere nello Stato membro in cui lo sciopero ha avuto luogo; in questo modo non si impedirebbe comunque la scelta opportunistica del foro. Il mio obiettivo è di porvi fine nel processo legislativo più ampio.
Sono contraria anche all’introduzione del “forum non conveniens” e delle “anti-suit injunctions”’, poiché si tratta di strumenti giuridici del diritto comune che sono già stati giudicati inconciliabili con la distribuzione dei poteri comunitaria da varie sentenze della Corte di giustizia europea.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) In merito alla relazione dell’onorevole Zwiefka sull’attuazione e la revisione del regolamento Bruxelles I, il gruppo del PSE ha proposto una risoluzione alternativa che noi verdi abbiamo deciso di non sostenere, perché si tratta di una relazione di attuazione già discussa ampiamente tra tante ombre in seno alla commissione giuridica. La mozione alternativa per la risoluzione mette in rilievo alcuni punti validi, che, tuttavia, non sono direttamente pertinenti alla presente relazione. Per questo motivo oggi ci siamo limitati a votare la relazione adottata in seno alla commissione giuridica.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo regolamento che ci vede favorevoli è equilibrato e tende a dare certezza, ad esempio nell’individuare il giudice competente all’interno della giurisdizione europea quando vi siano contenziosi in materia civile e commerciale in conflitti a carattere transnazionale.
Ogni futura modifica del regolamento vedrà il Parlamento europeo nella veste di colegislatore, le modifiche avverranno infatti in regime di procedura legislativa ordinaria.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione che raccomanda l’estensione del periodo di attività del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) fino al 2013 e invita con determinazione a renderlo permanente dopo quella data. Il FEG fornisce sostegno finanziario per la riqualificazione dei lavoratori vittime di licenziamenti e questo si rende particolarmente necessario ora che l’Europa si trova ad affrontare una profonda crisi finanziaria. Per questo motivo ho sostenuto questa relazione, contrariamente ai miei colleghi Conservatori e Liberali che desiderano che il Fondo non venga mantenuto.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Con la votazione di oggi, martedì 7 settembre 2010, sulla relazione di iniziativa concernente l’integrazione sociale delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari, il Parlamento europeo va al cuore del dibattito politico attuale. L’integrazione dei gruppi di minoranza negli Stati membri è di fatto una questione cruciale, che merita il sostegno delle istituzioni europee, tanto più che manca ancora qualche mese alla fine dell’Anno europeo della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Accolgo pertanto con favore l’adozione della relazione, che è utile per ravvivare la discussione a livello comunitario e ha il vantaggio di coniugare le questioni dell’integrazione delle minoranze con la lotta per la parità tra uomini e donne.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Numerose comunità minoritarie che vivono nell’Unione, e in particolare le donne e le ragazze appartenenti a tali comunità, sono vittima di molteplici discriminazioni e sono quindi più esposte all’esclusione e alla povertà rispetto alle donne locali. Il fatto di essere una donna appartenente a un gruppo etnico specifico non rappresenta un handicap in una società democratica. L’Unione europea si propone pertanto di dotare le donne di un numero crescente di diritti e di individuare nuove strade per aumentare la loro consapevolezza in merito ai diritti loro spettanti. La Commissione e gli Stati membri devono entrambi garantire la piena attuazione della legislazione esistente in materia di uguaglianza di genere e lotta alle discriminazioni, per consentire alle minoranze etniche di poter accedere ai servizi di sostegno e partecipare a diversi programmi di istruzione. Rimangono tuttavia irrisolte le questioni inerenti all’integrazione sociale delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari nell’Unione europea.
Non è stata ancora messa a punto una politica comunitaria coerente sull’integrazione degli immigrati, e invito pertanto la Commissione a redigere con urgenza orientamenti comunitari per aiutare gli Stati membri a garantire alle donne appartenenti a minoranze etniche un accesso migliore e più rapido al sistema di istruzione, all’occupazione, all’assistenza sanitaria, alle prestazioni sociali e all’assistenza finanziaria. Concordo con la posizione del Parlamento che auspica una piena attuazione della legislazione sull’uguaglianza di genere anche nei gruppi etnici minoritari.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) La relazione analizza l'integrazione sociale delle donne nella politica dell'Unione europea. Il testo verte altresì sul ruolo delle donne appartenenti a minoranze etniche. Questo presupposto è essenziale per comprendere le difficoltà che queste donne devono affrontare per integrarsi, anche nel caso di minoranze ormai radicate o tradizionali ovverosia nuove, come quelle degli immigrati.
Ho votato a favore della relazione, poiché reputo fondamentale soddisfare le aspirazioni legittime delle donne che appartengono a gruppi minoritari. Devono essere assunte misure specifiche a livello UE, anche nell'ambito dell'adozione di politiche volte all'inclusione sociale. Inoltre, come indica il relatore, bisogna incoraggiare la partecipazione politica e sociale di queste donne in settori quali la direzione politica, l'istruzione e la cultura. In questo modo, si contribuirà a contrastare l'attuale sotto-rappresentanza.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione in quanto precisa l’importanza dell’analisi delle politiche comunitarie nel campo dell’integrazione sociale delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari e dell’identificazione delle aree in cui tale legislazione produce risultati e di quelle in cui invece il tentativo di definire delle soluzioni risulta problematico.
Viviamo in una società multiculturale composta da varie comunità culturali, etniche e religiose. A tal fine, è auspicabile che le politiche di integrazione rivolte ai cittadini di paesi terzi comprendano un’ampia prospettiva specifica in materia di genere, necessaria a garantire che si tenga conto delle esigenze peculiari delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari.
Occorre un approccio mirato all’inclusione sociale delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari per evitare una molteplicità di discriminazioni, stereotipi, stigmatizzazioni e segregazioni etniche.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore la relazione in quanto sono convinta che le donne appartenenti a gruppi etnici minoritari siano soggette a diversi tipi di discriminazione. Occorre pertanto sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti delle donne, conferire loro autonomia, incentivarle ad assumere funzioni di guida nelle loro comunità; è anche un modo per promuovere i diritti umani. Benché l’integrazione sociale sia di competenza esclusiva degli Stati membri, la Commissione deve tener conto delle questioni di genere al momento di prendere decisioni sulle politiche e le misure mirate all’inclusione sociale.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) In una società sempre più multiculturale, le politiche di integrazione dei gruppi minoritari assumono una particolare rilevanza come strumento per combattere le discriminazioni, il razzismo, la violenza, nonché l’esclusione e l’emarginazione dei gruppi minoritari, che vengono confinati ai margini della società. Sappiamo che stigmatizzare ed escludere i gruppi minoritari sfocia solamente nel malcontento e nei disordini, che finiscono per alimentare la trasgressione e la violenza.
Spetta alla nostra società capire come riuscire a integrare senza discriminare, ad accettare senza escludere. Ciò non significa tuttavia che sia necessario accogliere indiscriminatamente tutti gli aspetti della cultura, della tradizione o delle credenze delle minoranze etniche, un’osservazione che vale soprattutto per i costumi relativi alle donne. Dovremmo pertanto opporci con fermezza a tutte le pratiche culturali basate sulla discriminazione sessuale e a tutte le forme di violenza tuttora perpetrate ai danni delle donne appartenenti a certi gruppi etnici. Integrare significa anche proteggere, e in questo caso proteggere le donne e soprattutto le bambine, che sono spesso vittime silenziose di pratiche e tradizioni semplicemente inaccettabili.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) La risoluzione verte sulle politiche UE in tema di inclusione in relazione alle donne che appartengono a gruppi etnici minoritari. In siffatto ambito sottolineo la necessità di promuovere la scolarizzazione, l'istruzione e la formazione per questa categoria, oltre a sostenerne l'accesso al mercato del lavoro, al fine di prevenire l'esclusione sociale e le discriminazioni.
Solo attraverso l'inclusione possiamo affrontare la stigmatizzazione ed i preconcetti dovuti alla segregazione etnica. È significativo il fatto che non esista una politica giuridicamente vincolante sull'integrazione europea nell'Unione europea, principalmente perché l'integrazione rientra nelle competenze degli Stati membri. Ad ogni modo, la politica di integrazione ha acquisito un'importanza crescente a livello UE e l'integrazione sta diventando sempre più importante a fronte della crescente rilevanza che stanno acquisendo gli aspetti di carattere economico e sociale rispetto al fenomeno dell'invecchiamento demografico. Le norme ed i principi comunitari in genere vengono applicati solamente ai cittadini UE che simultaneamente sono cittadini di uno Stato membro. I membri delle minoranze che si sono radicati e che hanno acquisito lo status giuridico di cittadini sono protetti da norme e da principi dell'Unione europea. Ad ogni modo, questa protezione va estesa agli immigrati che non sono ancora cittadini degli Stati membri.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’integrazione sociale delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari è una questione primaria, in quanto tali donne sono più esposte all’esclusione sociale; di fatto la situazione attuale, con l’inaccettabile espulsione collettiva dei rom in Francia, rappresenta un esempio illuminante in tal senso.
è essenziale che la lotta contro tutte le forme di discriminazione sia al centro dell’attenzione e delle politiche comunitarie, che si tratti di discriminazione per motivi di genere, origine etnica o colore della pelle.
è pertanto giunto il momento di rompere con le politiche macroeconomiche che acuiscono la disoccupazione, le disparità sociali e le discriminazioni. Come fa notare la relazione, occorre lottare per un’integrazione sociale autentica, impegnandosi a favore di servizi pubblici di qualità che siano universali e accessibili a tutti senza distinzioni di genere, comprese le famiglie di immigrati e i bambini, in particolare i servizi per l’istruzione, la salute, gli alloggi e la protezione sociale.
Ne abbiamo abbastanza di dichiarazioni vuote e di parole vane: occorrono misure urgenti che promuovano dignità e uguaglianza, che diano risposte chiare ai problemi sociali, e che non si traducano in azioni xenofobe e discriminatorie, ancor più deplorevoli se promosse dagli stessi governi.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Non si può difendere “l’accettazione delle diverse culture” e la comunicazione delle minoranze, di donne o altro, nella loro lingua madre, e sostenere contemporaneamente di voler promuovere l’inclusione sociale di tali minoranze.
Vi è una contraddizione fondamentale in questo, poiché il requisito minimo di tale “inclusione” è la condivisione con la società ospitante di una base minima comune, vale a dire una lingua comune e regole di base di “convivenza”, a partire dal rispetto per le leggi sociali e le pratiche del paese ospite.
L’unica eccezione che viene concessa alla logica profondamente europeista della relazione è il riconoscimento, in maniera poco convinta e mediante circonlocuzioni, che non ci può essere alcuna giustificazione per la violenza o la discriminazione basate su costumi, tradizioni o considerazioni religiose.
Aprite gli occhi: le pratiche più violente e discriminatorie non sono opera degli europei. La poligamia, l’escissione, l’infibulazione, le donne trattate come creature inferiori e così via sono pratiche perpetrate da comunità che si rifiutano di rispettare le nostre leggi e i nostri costumi e che tentano persino di imporci i loro. è il risultato delle politiche di immigrazione di massa imposte per decenni ai nostri cittadini. è tempo di porre fine a tutto questo!
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione dell'onorevole Parvanova sull'integrazione sociale delle donne che appartengono a gruppi etnici minoritari. Purtroppo le discriminazioni si configurano come un processo cumulativo e le donne che appartengono a gruppi etnici minoritari sono le più colpite. Il testo chiede che le politiche dell'Unione analizzino più da vicino la discriminazione di genere contro queste donne. Esse devono essere in grado di partecipare attivamente alla società e, a tal fine, devono avere accesso all'istruzione e al mercato del lavoro, ovverosia ai fattori decisivi per l'emancipazione.
Lívia Járóka (PPE), per iscritto. – (EN) In qualità di relatore ombra della relazione, vorrei congratularmi con l’onorevole Parvanova per l’accoglienza ricevuta dal suo documento, che si propone di offrire soluzioni per ridurre al minimo i disagi delle donne appartenenti a gruppi minoritari, disagi causati dalla loro appartenenza a un’etnia particolare e rafforzati dalle strutture specifiche che discriminano sulla base del genere. Benché l’uguaglianza di genere sia ben lungi dall’essere una conquista consolidata nella società tradizionale, le donne rom, rispetto alle loro controparti non rom, presentano un’aspettativa di vita più bassa, livelli di istruzione inferiori, tassi di occupazione decisamente minori e indici di povertà più elevati. Per conseguire un’inclusione completa, le statistiche, gli indicatori e i parametri di riferimento ripartiti per sesso, nonché le statistiche suddivise, tra l’altro, per genere ed etnia, sono strumenti cruciali e necessari per valutare adeguatamente i progressi compiuti.
La raccolta di dati non aggregati è una condizione imprescindibile per tutelare e promuovere i diritti delle minoranze etniche e deve conformarsi alle norme degli Stati membri in materia di protezione dei dati personali. Il livello di istruzione, la misura dell’attività economica e la probabilità di evitare la povertà per l’intera famiglia sono fattori strettamente correlati. Per tale motivo occorrono in primo luogo azioni politiche mirate volte a migliorare l’accesso delle donne rom all’istruzione e a un’attività lavorativa ufficialmente riconosciuta.
Marisa Matias and Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato per questa risoluzione in quanto riteniamo che, tra l’altro, occorra un coordinamento più strutturato delle politiche europee nel settore, allo scopo di migliorare l’inclusione sociale delle donne appartenenti a minoranze etniche e di ribadire l’importanza dell’educare la comunità ospite ad accettare le diverse culture, mettendola in guardia dalle conseguenze del razzismo e dei pregiudizi. Abbiamo inoltre votato per la relazione in quanto invita le donne appartenenti a gruppi etnici minoritari a svolgere un ruolo politico e sociale attivo in tutte le aree della società, compresa la leadership politica, l’istruzione e la cultura, per combattere la loro scarsa rappresentanza attuale.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L'Europa è uno spazio di integrazione e non vi possono essere discriminazioni di sorta, soprattutto contro gruppi etnici minoritari, in particolare contro le donne di questi gruppi. L'obiettivo della politica in materia di parità di genere nell'UE consiste nel promuovere la parità tra uomini e donne, obiettivo che viene conseguito in misura crescente nella società. Tuttavia, le donne di alcune minoranze etniche sono soggette a molteplici discriminazioni. È pertanto necessario sensibilizzare l'opinione pubblica su questi fenomeni affinché le donne che appartengono a gruppi etnici minoritari possano essere pienamente integrate. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Miroslav Mikolášik (PPE), per iscritto. – (SK) Signor Presidente, onorevoli deputati, ritengo che l’inclusione sociale delle donne appartenenti a gruppi etnici minoritari sia un’area estremamente importante e sensibile in cui gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero dare prova di maturità e di determinazione autentica a diffondere i valori della tolleranza e dell’uguaglianza nella vita di ogni giorno.
Reputo inaccettabile che i membri di minoranze etniche siano esposti alla discriminazione, all’esclusione sociale, alla stigmatizzazione e persino alla segregazione. Sostengo pertanto l’invito rivolto alla Commissione, e soprattutto agli Stati membri, che detengono la piena responsabilità delle politiche di inclusione sociale, a garantire l’attuazione completa della legislazione esistente in materia di uguaglianza di genere e di politiche antidiscriminatorie.
Gli strumenti giuridici andrebbero integrati con misure amministrative, nonché con campagne culturali volte a sradicare gli stereotipi e a fornire alternative all’esclusione sociale e alla povertà.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Ai fini della pace sociale in tutti i paesi, è di importanza fondamentale che le minoranze etniche vengano integrate nella vita pubblica. Tuttavia, contrariamente alla relazione, reputo che tale compito spetti a coloro che ricercano l’integrazione. Alla luce delle difficoltà di bilancio che penalizzano tutta l’Europa, non sono in grado di appoggiare una relazione che sembra proporre misure costose e inefficienti. Per tale ragione ho votato contro la relazione.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La relazione mette in luce una questione di cui l’opinione pubblica europea sembra aver acquisito una sempre maggiore consapevolezza, non solo a causa delle situazioni tragiche che si verificano al di fuori dei confini dell’Unione e che interrogano la nostra coscienza morale, bensì per il riconoscimento del fatto che problemi di questo livello emergono anche tra di noi e richiedono il nostro intervento politico e civile.
Le donne appartenenti a gruppi etnici minoritari sono spesso soggette a pressioni da parte dei familiari dotati di maggiore autorità, che preferiscono mantenere in vita le tradizioni che schiavizzano le donne. Di norma, tali donne hanno un livello di istruzione basso e poche informazioni sui mezzi a loro disposizione per contrastare l’autorità della famiglia e affermarsi nelle società in cui si stanno integrando e/o di accoglienza. A questo livello possono persino andare incontro ad atteggiamenti xenofobi.
Lo sviluppo e l’attuazione di politiche europee per l’uguaglianza di genere dovrebbero contribuire a ridurre drasticamente le gravi ingiustizie di cui sono vittima tali donne nel mondo e nell’Unione europea.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) è risaputo che gli atteggiamenti antirom continuano a serpeggiare in tutta Europa: i rom sono costantemente vittima di attacchi razzisti, discorsi che fomentano l’odio, evacuazioni illegali ed espulsioni perpetrate dalle autorità locali e centrali. Mi preme in particolare ricordare le azioni recenti intraprese dalle autorità francesi per espellere la popolazione rom.
Visto che l’UE dispone di numerosi meccanismi e strumenti a cui è possibile ricorrere per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini europei di origini rom, migliorare il loro accesso a un’istruzione di buona qualità in seno al sistema d’istruzione convenzionale, nonché l’accesso all’occupazione, agli alloggi, ai servizi sanitari e alle prestazioni sociali e pubbliche, al fine di migliorare la loro inclusione sociale, mi rivolgo agli Stati membri affinché:
- eradichino gli stereotipi e le discriminazioni ai danni delle donne e ragazze rom, che sono state vittima di numerose forme di discriminazione sulla base dell’origine etnica e del genere, in particolare per quanto riguarda il loro diritto all’istruzione, all’occupazione e all’assistenza sanitaria;
- applichino appieno le direttive europee sulla lotta contro la discriminazione e la libertà di circolazione, e promuovano misure e programmi proattivi per migliorare l’inclusione delle popolazioni rom nei contesti sociali, politici, economici e nell’istruzione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sono molto lieto dell’adozione di questa relazione, che avanza le seguenti richieste specifiche: invita gli Stati membri a rispettare i diritti fondamentali delle minoranze etniche e delle donne immigrate a prescindere dalla regolarità del loro stato (par. 11); invita gli Stati membri a garantire l’accesso ai servizi di sostegno volti a prevenire la violenza di genere e a proteggere le donne contro tale tipo di violenza a prescindere dal loro stato giuridico (par. 17); chiede all’Agenzia dei diritti fondamentali di includere una prospettiva trasversale sulla parità di genere e sui diritti delle donne in tutti gli aspetti, inclusi quelli sulla discriminazione etnica e sui diritti fondamentali dei rom (par. 22); invita l’Istituto europeo per la parità di genere a raccogliere dati ripartiti per genere ed etnia; esorta gli enti nazionali per la parità a sviluppare strumenti e formazioni in materia di discriminazione multipla; e, infine, postula un appoggio mirato al fine di evitare discriminazione multipla, stereotipi, stigmatizzazione e segregazione etnica.
Oreste Rossi (EFD) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, su questa relazione nutriamo forti perplessità e quindi esprimiamo voto contrario, perché se è corretto far conoscere alle donne provenienti dai paesi extra UE quali sono i diritti all'interno delle loro famiglie dove spesso vivono segregate, d'altra parte non possiamo pensare di favorire invece coloro che nel nostro paese vengono da ospiti, rispetto ai nostri cittadini che da sempre vivono e pagano le tasse nei paesi membri.
Già oggi, se valutiamo la percentuale di residenti extracomunitari rispetto ai cittadini europei che godono di servizi sociali gratuiti come sanità, scuola, case, questa è nettamente a favore dei primi. Ciò significa che chi vive, lavora e paga le tasse nel proprio paese passa dopo nelle graduatorie rispetto a chi in Europa è appena arrivato.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione che si propone di valutare le politiche comunitarie di integrazione sociale per le donne appartenenti a gruppi etnici minoritari. Ciò consentirà di adottare misure specifiche per conseguire l’uguaglianza di genere tra le minoranze etniche e garantire la piena applicazione della legislazione antidiscriminatoria in vigore negli Stati membri.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) La relazione solleva l’interrogativo se le donne appartenenti a minoranze etniche siano di fatto escluse dalle misure comunitarie per l’uguaglianza di genere a causa della loro scarsa integrazione sociale. Le donne appartenenti a gruppi etnici minoritari sono praticamente invisibili da diversi anni, anche se molte di loro sono soggette a due ordini di svantaggi, sociali ed economici.
Marina Yannakoudakis (ECR), per iscritto. – (EN) Il gruppo ECR appoggia incondizionatamente il principio della parità di trattamento per tutti, comprese naturalmente le donne appartenenti a gruppi etnici minoritari. Siamo tuttavia contrari a questa relazione per diversi motivi, molto specifici.
In primo luogo, ci opponiamo a ulteriori incrementi dei finanziamenti europei destinati agli affari sociali. I governi nazionali di tutta Europa stanno operando tagli nel settore pubblico, e il gruppo ECR ritiene che l’UE dovrebbe fare lo stesso. In secondo luogo, siamo fondamentalmente contrari a ogni iniziativa che vada nella direzione di una politica comune nel campo dell’immigrazione e degli asili, e riteniamo che alcuni punti della relazione si occupino di politiche comuni di immigrazione e asilo che sarebbe molto più opportuno gestire e attuare a livello nazionale. In terzo luogo, questioni quali l’assistenza all’infanzia, l’istruzione e l’assistenza sanitaria, tra cui la salute sessuale e riproduttiva, continuano a essere di competenza degli Stati membri e non dell’UE.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sul ruolo delle donne in una società che invecchia in quanto ritengo sia giunto il momento di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle disuguaglianze di genere presenti nelle generazioni più anziane, che sono principalmente la conseguenza di svantaggi legati al genere accumulati nel corso di un’intera vita. Oggi è evidente a tutti che le donne anziane sono maggiormente esposte alla povertà, in quanto percepiscono pensioni meno consistenti, dovute al divario retributivo esistente tra uomini e donne o al fatto che spesso hanno interrotto o cessato la loro carriera per dedicarsi alla famiglia senza beneficiare di alcun tipo di remunerazione o di iscrizione alla sicurezza sociale. In un periodo di recessione economica, le donne corrono rischi anche maggiori di precipitare nella povertà.
è tempo che le nostre istituzioni adottino un atteggiamento più positivo nei confronti dell’invecchiamento. Accolgo pertanto con soddisfazione l’iniziativa della Commissione affinché il 2012 sia un anno dedicato all’invecchiamento attivo e alla solidarietà tra le generazioni. L’adozione di un approccio basato sull’interconnessione tra età e sesso dovrebbe diventare uno strumento indispensabile per formulare politiche in tutte le aree d’interesse: questioni economiche e sociali, salute pubblica, diritti dei consumatori, il programma digitale, lo sviluppo rurale e urbano e così via.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) In questa relazione l'onorevole Pietikäinen ci ricorda che le donne solitamente sono maggiormente a rischio di povertà e in genere percepiscono pensioni esigue per tutta una serie di ragioni, ad esempio a causa dell'ampio divario retributivo tra i generi o per il fatto che le donne tendono a prendere dei congedi dal lavoro o smettono di lavorare per assolvere a responsabilità familiari, o ancora per il fatto che hanno lavorato nell'impresa del marito, prevalentemente nei settori del commercio e dell'agricoltura, senza remunerazione e senza contributi previdenziali. Sono assolutamente d'accordo con la posizione espressa nel testo. In qualità di presidente dell'associazione Femmes au Centre (Donne al centro), combatto costantemente per catalizzare l'attenzione sulle disuguaglianze che talvolta passano sotto silenzio, come questa. Parallelamente al dibattito sulla riforma dei sistemi pensionistici, è vitale tener conto delle differenze di trattamento tra uomini e donne.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il divieto di praticare discriminazioni di qualsiasi tipo fa ora parte della competenza legislativa dell’Unione europea. è quindi importante diffondere un’immagine positiva della terza età e offrire agli anziani l’occasione di condurre una vita piena.
Sono lieta che il Parlamento abbia presentato una relazione che promuove interventi a favore della società che invecchia. è soprattutto importante dedicare un’attenzione particolare alle donne anziane che vivono in condizioni di povertà, in quanto percepiscono solitamente pensioni più basse a causa delle retribuzioni inferiori ad esse corrisposte nei settori in cui hanno prestato la loro opera. Inoltre, gli anziani rappresentano un gruppo di consumatori molto consistente, e pertanto la domanda di servizi per la terza età sta conoscendo un incremento rapidissimo che è destinato a proseguire in futuro. Sussistono tuttavia degli ostacoli all’erogazione di servizi pubblici e privati facilmente accessibili, di buona qualità e a costo contenuto.
Di conseguenza, è importante che la Commissione intervenga per disciplinare l’accessibilità a molti servizi di base e per garantire la qualità della vita, al fine di evitare gli abusi di natura fisica, psicologica ed economica. L’invecchiamento della società viene spesso visto in maniera negativa, vale a dire come sfida ingente per la struttura dell’età della forza lavoro e per la sostenibilità della protezione sociale e dell’assistenza sanitaria. In verità, gli anziani rappresentano un’arma vincente e offrono un sostegno chiave in seno alla comunità e alla famiglia, pertanto dobbiamo garantire loro il diritto a una vita dignitosa e autonoma.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Rispetto agli uomini, le donne devono affrontare maggiori difficoltà nel mondo del lavoro. Dobbiamo urgentemente sradicare le discriminazioni cui sono soggette quando cercano lavoro, nell'ambito della progressione di carriera e nel diritto ad un'equa remunerazione. Inoltre anche l'assistenza sanitaria ed i servizi sociali devono essere indirizzati a soddisfare le esigenze specifiche delle donne. Tutte queste difficoltà vengono esacerbate con l'età, il che dimostra l'importanza della relazione. In particolare, sottolineo che bisogna attingere alle conoscenze e all'esperienza delle donne più anziane. Infine, in ragione dei meccanismi di controllo previsti dalla relazione ho votato a favore del testo.
Anna Maria Corazza Bildt, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark, Anna Ibrisagic e Alf Svensson (PPE), per iscritto. – (SV) Ieri, 7 settembre 2010, ci siamo espressi a sfavore della relazione (A7-0237/2010) sul ruolo delle donne in una società che invecchia [2009/2205(INI)]. La ragione principale è stato il nostro dissenso nei confronti della proposta di un sistema in cui a tutti i cittadini dell’Unione europea venga assicurato il diritto a un reddito di base, nonché la richiesta formulata dalla relazione di introdurre misure di discriminazione positiva a favore delle donne. Viene inoltre formulata una proposta che chiede al Parlamento europeo di invitare gli Stati membri a introdurre nuove tipologie di congedo che consentano ai cittadini di ottenere congedi retribuiti per motivi di assistenza diversi da quelli del congedo parentale. A tale proposito, desideriamo ribadire il principio di sussidiarietà. Vorremmo tuttavia anche sottolineare che diverse parti della relazione suscitano il nostro consenso.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione in quanto l’invecchiamento delle nostre società viene troppo spesso visto sotto una luce negativa, benché gli anziani rappresentino anche una risorsa economica e una fonte essenziale di esperienza. Gli anziani sono inoltre maggiormente esposti al rischio di povertà rispetto al resto della popolazione: nel 2008, il tasso di rischio di povertà delle persone di 65 anni e oltre era pari a circa il 19 per cento nell’UE a 27, mentre nel 2000 tale cifra si aggirava attorno al 17 per cento.
Concordo sull’adozione di un approccio globale e multidisciplinare all’invecchiamento e alla creazione di opportunità, soprattutto nel campo dei mercati di prodotti e servizi mirati alle esigenze degli anziani e di coloro che si occupano in via informale delle persone non autosufficienti. Ecco perché occorrerebbe chiedere alla Commissione di proporre entro la fine del 2011 un piano d’azione che comprenda queste diverse misure.
Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) Si è già detto molto sulla posizione di disuguaglianza occupata dalle donne nella società. Le donne sono costantemente vittima di discriminazioni sul posto di lavoro a causa di una retribuzione inferiore a parità di mansione, e sono costrette dalle circostanze a interrompere la loro carriera o a scegliere un impiego con retribuzioni più basse per rimanere vicine alla famiglia. Ciò è motivato in primo luogo dalla nascita e dalla cura dei figli, e secondariamente dall’assistenza ai genitori anziani o a familiari malati. Nella maggior parte dei casi sono le donne a “sacrificarsi” per occuparsi della famiglia e dei figli, a discapito del lavoro e della carriera. Va detto che la società tende ad aspettarsi da loro questo tipo di comportamento. Ne consegue la dipendenza finanziaria dai partner e l’assenza o quasi di sicurezza sociale o dell’erogazione di pensioni per la terza età. Per tali ragioni, le donne anziane sono molto più vulnerabili degli uomini e rappresentano il gruppo più a rischio della società in termini di povertà.
La situazione è aggravata dal fatto che spesso l’assistenza ai genitori e la cura dei nipoti ricadono sulle spalle delle donne, che non ricevono alcuna retribuzione per tali servizi e per i quali tendono anzi a spendere il loro reddito o i loro risparmi. Il potenziale degli anziani non viene sfruttato, una condizione creata spesso dal modello di vita sociale in vigore, che prevede che giovani e anziani vivano in case separate. Nelle “famiglie allargate” del passato, ognuno ricopriva una propria funzione e ruolo, e gli anziani non venivano emarginati né condannati a vivere nella povertà. Appoggio la relazione Pietikäinen e intendo votare a favore della sua adozione.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sul ruolo delle donne nella società che invecchia. Nell’Unione europea la disparità di retribuzione tra uomini e donne ammonta a oltre il 17 per cento. Il divario retributivo tra uomini e donne tende ad aumentare nell’età della pensione in parte per questo e in parte per il fatto che le donne sono spesso costrette a trascorrere la loro vita attiva a casa per occuparsi dei figli o di altri familiari a carico, e scelgono pertanto frequentemente di lavorare a tempo parziale. Gli Stati membri devono adottare con urgenza misure che tengano conto della dimensione del genere al momento di riformare i sistemi pensionistici e di adeguare l’età pensionabile, considerando le differenze che sussistono tra donne e uomini in termini di modelli lavorativi e il rischio più elevato di discriminazioni ai danni delle donne anziane sul mercato del lavoro.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Alla luce del fatto che, come si legge nella relazione, “il genere è un fattore rilevante nell’invecchiamento, dato che l’aspettativa di vita per le donne supera di circa 6 anni quella degli uomini”, e che la società europea sta invecchiando, ne consegue che il numero delle donne anziane nella nostra società è destinato ad aumentare. Occorrerà assicurarci che tali donne possano disporre di condizioni di vita adeguate e, in molti casi, di un ruolo attivo.
Come precisato giustamente nella relazione, non dobbiamo dimenticare che le donne anziane sono le più esposte alla povertà e meritano pertanto un’attenzione particolare. Tuttavia, sono dell’avviso che a tali donne andrebbe garantito un ruolo attivo nella società più che soluzioni basate sull’assistenzialismo o sullo stato sociale. Molte di loro sono professioniste di grande esperienza, che potrebbe essere utilizzata a vantaggio dei più giovani. Altre sono nonne e bisnonne che potrebbero assumere ruoli fondamentali di assistenza in seno al nucleo familiare, consentendo pertanto alle giovani madri di conciliare al meglio la vita familiare e professionale. Tali ruoli hanno un valore inestimabile e sta a noi incoraggiarli e tutelarli, in modo da creare una società che promuova una solidarietà autentica tra le generazioni.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Questa risoluzione verte sulla vulnerabilità delle donne più anziane nell'ambito del fenomeno dell'invecchiamento della popolazione nell'UE, che è visto come un futuro fardello per le economie nazionali, mentre il potenziale degli anziani viene spesso ignorato, dal momento che sono sempre più visti come oggetti passivi invece che come soggetti attivi. Mi preme mettere in luce il rischio specifico di povertà cui sono soggette le donne anziane e sostengo gli incentivi volti a favorire l'occupazione degli anziani, ad esempio offrendo degli stimoli economici ai datori di lavoro. Tuttavia, non sostengo le disposizioni specifiche sulle donne omosessuali, bisessuali e transessuali.
Con l'entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la competenza legislativa dell'Unione europea ora comprende il divieto contro ogni sorta di discriminazione. Ai sensi dell'articolo 21 della Carta: "è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o d qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.", mentre l'articolo 25 stabilisce che: "L'Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare ala vita sociale e culturale". Attuando queste disposizioni, si contribuirà a combattere ogni forma di discriminazione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Benché la relazione vada generalmente giudicata in maniera positiva, in diversi punti si sarebbe potuta spingere molto oltre, in particolare per quanto riguarda l’analisi delle cause della doppia discriminazione di cui sono vittima milioni di donne nell’Unione europea, e che peggiora con l’avanzare della loro età: le immigrate, le disabili, le donne appartenenti a minoranze e quelle poco qualificate.
Le lavoratrici che hanno subito la discriminazione di retribuzioni più basse e di svalutazione del proprio lavoro, alla quale, in molti casi, si è aggiunta la discriminazione della maternità, percepiscono pensioni inferiori e vivono al di sotto della soglia della povertà. è tempo di porre fine a tale situazione modificando le politiche comunitarie, rompendo con le politiche neoliberali, impegnandosi a valorizzare maggiormente il lavoro, a rispettare i diritti umani, nonché a garantire l’accesso a servizi pubblici di qualità, in particolare alle prestazioni sanitarie e sociali, e a pensioni che consentano alle donne di vivere una vita dignitosa.
Continueremo pertanto a batterci a favore di politiche che valorizzino il ruolo delle donne e rispettino appieno i loro diritti.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione dell'onorevole Pietikäinen sul ruolo delle donne in una società che invecchia, perché, se le donne hanno un'aspettativa di vita più elevata rispetto agli uomini, esse corrono un rischio maggiore di insicurezza nella terza età. Attualmente lo si può vedere in Francia nel dibattito sulle pensioni e nel divario retributivo. Le donne inoltre prendono dei congedi dal lavoro o smettono di lavorare per assolvere a responsabilità familiari, pertanto sono destinate a percepire pensioni più basse. Il testo ci ricorda che ora più che mai serve una direttiva ad ampio spettro contro le discriminazioni.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) Con l’entrata in vigore della Carta europea dei diritti fondamentali e del trattato di Lisbona, rispettivamente nel dicembre 2009 e nella primavera del 2010, l’Unione europea si è impegnata a vietare la discriminazione di ogni genere entro i confini dell’UE, che si basi sulla classe sociale, sulla razza, sul colore della pelle o sul genere. Tuttavia, i cittadini dell’Unione, e in particolare le anziane, continuano a subire discriminazioni. Appoggio la relazione in quanto ritengo che sia oltremodo necessaria per garantire alle donne di ogni età condizioni di parità rispetto ai giovani. Le donne anziane sono svantaggiate in molte aree della vita pubblica. Un esempio grave di ciò è la loro dipendenza dai servizi pubblici, in quanto la cattiva organizzazione di tali servizi esercita un impatto diretto sulle donne. Inoltre, i livelli pensionistici più bassi associati ai salari costituiscono un ulteriore svantaggio, in quanto gli uomini percepiscono solitamente retribuzioni più elevate. Le anziane non dovrebbero essere considerate un onere, ma piuttosto membri attivi della nostra società, e come tali andrebbero riconosciute in seno all’Unione europea.
Marisa Matias and Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore della risoluzione in quando concordiamo col suo approccio all’invecchiamento basato sui diritti, e in particolare con la sua visione degli anziani, considerati soggetti attivi. Le donne continuano a veder pregiudicate le loro carriere, il che sfocia in una rappresentanza maschile eccessiva nelle posizioni migliori e con retribuzioni più elevate; ciò diventa particolarmente evidente nel caso delle anziane e degli anziani. In aggiunta a ciò, le anziane si scontrano con ostacoli insuperabili al momento di cercare un nuovo impiego, in quanto i datori di lavoro tendono a svalutarle completamente.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L'invecchiamento della popolazione e la contrazione nella crescita demografica che si evidenzia nell'Unione europea destano preoccupazione in merito alla sostenibilità dei sistemi di assistenza sanitaria e di previdenza sociale. Ad ogni modo, siffatte preoccupazioni sono particolarmente acute per le donne, in quanto le donne anziane risentono maggiormente dell'ineguaglianza di genere. La situazione è particolarmente inquietante, poiché le donne svolgono un ruolo molto significativo nella società, soprattutto come supporto alla comunità e alla famiglia nell'assistenza prestata a familiari non autosufficienti. Pertanto è molto importante contrastare le discriminazioni basate sull'età che colpiscono in particolar modo le donne. Sono stati questi i motivi che hanno guidato il mio voto.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Mi sono espresso a favore della risoluzione soprattutto per richiamare l’attenzione della società sulle donne anziane. Le pensioni da esse percepite sono solitamente molto più basse di quelle degli uomini. Di norma, le donne vivono più a lungo degli uomini e sono condannate a una vita di solitudine in età avanzata. Non molti politici prestano attenzione al fatto che, al di fuori del lavoro, dove possono guadagnarsi una pensione, quasi tutte le donne hanno prestato la loro opera in seno alla famiglia allevando figli e nipoti, e non considerano che il loro lavoro in questa sfera della vita è molto maggiore del contributo offerto dagli uomini.
Alla luce del fatto che le donne sono fisicamente più fragili degli uomini, occorre trattare le donne anziane e sole con particolare cura. Spetta a noi avviare un dibattito sulla questione, in modo da richiamare l’attenzione della società sull’atteggiamento ingiusto e a volte indifferente nei confronti del “sesso debole”. Ho votato a favore dell’attenzione che dobbiamo prestare alle nostre madri e nonne – alle donne che hanno dedicato tutta la loro vita ai figli e ai nipoti. Non dobbiamo lasciarle sole; non dobbiamo dimenticarle.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La relazione sul ruolo delle donne in una società che invecchia tratta molti temi importanti che, a mio avviso, non andrebbero considerati dal punto di vista specifico del genere. Vanno create condizioni quadro per la popolazione nel suo complesso che consentano ai lavoratori di restare attivi più a lungo, se lo desiderano, e di vivere una vita indipendente il più a lungo possibile. Sono tuttavia alquanto scettico sul ricorso alla discriminazione attiva. Mi sono pertanto astenuto.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (EN) Da un punto di vista umanitario, dovremmo migliorare i servizi e l’assistenza sanitaria e concedere sempre maggiori poteri a un segmento della nostra popolazione in rapida crescita – le donne anziane – in quanto anch’esse, come qualsiasi altro cittadino europeo, hanno diritto a una vita sana, dignitosa e autonoma. Da una prospettiva economica, dovremmo ambire a livelli di occupazione più elevati e a maggiori opportunità di lavoro flessibile e a tempo parziale per le donne anziane. Se attingessimo a questa fonte, spesso trascurata, di potenziale ed esperienza, promuoveremmo la crescita economica, ridurremo la povertà in età avanzata, miglioreremmo lo standard generale di vita dei pensionati, e incrementeremmo la coesione sociale. Ho votato a favore della risoluzione nella speranza che affrontare tali questioni con un duplice approccio possa aprire la strada per gestire i problemi più basilari ma non meno urgenti correlati alle disuguaglianze di età e di genere sul posto di lavoro, alla sottovalutazione e scarsa retribuzione di coloro che prestano assistenza nelle famiglie e, in ultima analisi, alla preferenza inveterata della nostra società per lo stile invece che per la sostanza quando si tratta di risolvere le questioni relative al genere e all’età. L’età, il genere e l’invecchiamento dei propri cari andrebbero sempre visti come un fattore positivo, e mai penalizzante.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sostenuto la relazione della collega finlandese per una serie di ragioni. La popolazione dell'Unione europea sta invecchiando. Secondo le statistiche, le donne vivono più a lungo degli uomini. La discriminazione per motivi di età è vietata dalla legislazione europea nella sfera lavorativa. La legislazione in vigore, tuttavia, non implica automaticamente la scomparsa dal luogo di lavoro della discriminazione basata sull'età.
In generale, le donne continuano a sperimentare difficoltà nel fare carriera e ciò comporta un forte squilibrio in cui la componente maschile è molto più rappresentata in ruoli manageriali di vertice, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori più anziani. Inoltre, le donne incontrano più di frequente difficoltà nel reinserimento nel mondo del lavoro, e quanto più una donna è avanti con l'età e tanto meno risulta competitiva agli occhi di un datore di lavoro. Ma, oltre che sul luogo di lavoro, le donne anziane devono essere tutelate in tutti i settori della vita, poiché la discriminazione fondata sull'età e sul sesso costituisce una violazione di diritti fondamentali.
Al fine di combattere la doppia discriminazione che spesso sperimentano le donne di una certa età, è necessario riconoscere gli aspetti esposti in appresso e agire.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La relazione si sofferma su una questione di importanza crescente nei paesi occidentali, considerando il lavoro aggiuntivo che le donne hanno tradizionalmente sempre svolto nella società e il fatto che la situazione potrebbe peggiorare alla luce di una piramide demografica capovolta. Oltre a tali questioni, è anche importante ricordare che l’aspettativa di vita delle donne è maggiore di quella degli uomini e continua a crescere. Benché si tratti di per sé di uno sviluppo positivo, si traduce spesso nel fatto che sempre più donne sono costrette a provvedere a se stesse in età avanzata.
Al giorno d’oggi è consuetudine che le donne adulte si occupino dei figli, dei genitori e dei suoceri; in un secondo momento, finiscono per badare ai nipoti, alla madre e alla suocera, per poi ritrovarsi da sole, vedove e con i figli lontani, a causa dell’estrema mobilità che caratterizza le società contemporanee, in cui nessuno si occupa delle donne che in precedenza hanno prestato assistenza a tutti.
Ho votato a favore della relazione in quanto richiama l’attenzione su tale questione, perché indica le modalità per monitorare la situazione e sollecita interventi nel settore.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Una popolazione che invecchia viene considerata un onere futuro per le economie nazionali. Di fatto, il potenziale offerto dagli anziani viene spesso ignorato. Man mano che la popolazione invecchia, le donne, che vivono più a lungo degli uomini anche in Romania (l’aspettativa di vita media nel 2008 era 76 anni per le donne e 69 per gli uomini) sono più vulnerabili, soprattutto a causa del calo drastico dei redditi delle famiglie allargate. Opportunità più frequenti di lavoro a tempo parziale sarebbero utili per incrementare il reddito delle donne anziane.
Le donne anziane dipendono in larga misura dall’erogazione di servizi pubblici e privati, nonché dal sistema sanitario. Invito gli Stati membri a sviluppare servizi che agevolino l’assistenza a domicilio a lungo termine, in quanto ciò eserciterebbe un impatto non solo sulle donne che offrono tale assistenza, ma anche sui destinatari di tali cure.
La qualità dell’assistenza può essere garantita da risorse adeguate e dalla formazione nel settore sanitario. Esorto gli Stati membri a promuovere politiche pubbliche che dedichino particolare attenzione a tali questioni e mettano a disposizione risorse adeguate per contenere l’impatto a lungo termine. Alle iniziative politiche dovrebbero seguire l’elaborazione e l’attuazione di programmi efficaci.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) Alla luce dell’invecchiamento della popolazione europea, l’equilibrio dei sistemi pensionistici nazionali e l’assunzione di responsabilità nei confronti delle persone a carico rappresentano sfide considerevoli per l’Unione europea. L’Europa deve intervenire con celerità e decisione per evitare un rapido indebolimento del suo sistema sociale e il crescente impoverimento della sua popolazione anziana e in particolare delle donne, in quanto queste ultime, stando alle statistiche, hanno maggiori probabilità degli uomini di cadere nella morsa della povertà.
Sostengo la relazione Pietikäinen, che incita in particolare l’adozione di misure volte a combattere più efficacemente la discriminazione per motivi di età perpetrata sul luogo di lavoro, in particolare ai danni delle donne. Sono inoltre a favore del sostegno alla solidarietà tra le generazioni che, per esempio, si propone di sostenere le donne che badano ai nipoti mentre i genitori si assentano per motivi di lavoro. Appoggio inoltre l’idea di una maggiore coerenza nell’area della sicurezza sociale, compresi i piani pensionistici, il congedo per motivi di assistenza e i contratti di lavoro a tempo parziale.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore l’adozione di questa relazione, nella quale figurano proposte verdi specifiche, tra cui: misure volte ad accogliere la dimensione del genere al momento della riforma dei sistemi pensionistici; misure tese a promuovere una più equa divisione dell’assistenza non retribuita tra donne e uomini; l’intenzione di prestare maggiore attenzione alle patologie che colpiscono soprattutto le donne anziane, quali l’artrite reumatoide, e di far valere il punto di vista degli immigrati anziani e degli LGBT, solo per citare alcuni aspetti.
Licia Ronzulli (PPE) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione adottata tocca un tema tanto importante quanto troppo spesso trascurato.
I cittadini europei vivono sempre più a lungo, prolungando la cosiddetta "terza età" anche di molti anni rispetto al passato. Troppo spesso però questa fase della vita viene vissuta negativamente, subendo i condizionamenti di una società che ignora il potenziale di esperienza degli anziani e lo considera un vero e proprio peso, trasformando soggetti attivi in oggetti passivi.
Questo pericoloso fenomeno interessa principalmente le donne, che mediamente vivono più degli uomini e che l'attuale crisi economica ha duramente colpito, riducendo drasticamente i servizi loro dedicati. Molte sono rimaste esposte al rischio di povertà, condannate a vivere con una pensione insufficiente. Auspico che nell'interesse di tutte le donne europee, giovani e meno giovani, il voto di oggi possa andare nella direzione di rendere manifesta la centralità del loro ruolo nell'attuale società.
Oreste Rossi (EFD) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, pur essendo perfettamente in linea sulla richiesta di parità sull'occupazione e sul trattamento economico tra uomo e donna, ritengo si sarebbe dovuto insistere di più sui servizi alle famiglie, in quanto, nella stragrande maggioranza dei casi, quando in una famiglia ci sono figli e anziani malati, sono le donne che si assumono gli oneri maggiori.
Potenziare i servizi di aiuto alle famiglie, non solo economici ma strutturali – ad esempio asili per i bambini, mezzi pubblici efficienti, assistenza domiciliare ad anziani e malati – solleverebbe le donne, specie se lavoratrici, di buona parte dei gravosi impegni a cui normalmente vanno incontro. Questa relazione ci vede contrari perché chiede un piano d'azione che comprende in modo specifico l'integrazione di lesbiche, gay, bisessuali e transgender.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Appoggio la relazione Pietikäinen in quanto mostra l’invecchiamento della società sotto una nuova luce. Tale processo viene solitamente presentato in maniera ingiusta, sotto una luce esclusivamente pessimistica. Le discussioni vertono principalmente su costi e oneri. Ne consegue una discriminazione ai danni degli anziani, soprattutto delle donne, che vivono più a lungo, sono più esposte alla povertà, percepiscono pensioni più basse e hanno difficoltà ad accedere ai servizi pubblici e privati. In base alle statistiche, la percentuale di popolazione dell’Unione europea di un’età pari a 65 anni e oltre è destinata a passare dal 17,1 per cento del 2008 al 30 per cento del 2060, mentre la quota di popolazione con un’età superiore agli 80 anni aumenterà dal 4,4 al 12,1 per cento. In Polonia, in base all’ufficio centrale di statistica, gli anziani rappresenteranno il 26 per cento della popolazione nel 2030, ammonteranno cioè a 10 milioni di persone.
è tempo di cambiare il modo in cui vengono trattati gli anziani. Essi rappresentano un enorme potenziale non ancora sfruttato, che consiste in vasta esperienza, capitale intellettuale, sapere e competenze sociali. Prima ci renderemo conto di tali qualità e inizieremo ad avvalercene, meglio sarà per noi, per le nostre economie e per le strategie comunitarie. Accolgo pertanto con favore l’iniziativa della Commissione di proclamare il 2012 l’anno dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale. Promuoviamo l’economia della terza età, investiamo negli anziani, combattiamo gli stereotipi. La volontà degli anziani di lavorare non dovrebbe essere sottovalutata. Gli standard, la cultura sociale e la saggezza di una società possono essere giudicati esaminando proprio l’atteggiamento che promuove nei confronti degli anziani.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) In caso di recessione economica, le donne sono uno dei gruppi più penalizzati dagli effetti della crisi. Spetta soprattutto a loro far quadrare il bilancio familiare in una situazione critica. La popolazione attiva si sta riducendo, e il rapporto tra numero di persone occupate e pensionati si sta contraendo. Le politiche a favore delle famiglie dovrebbero diventare prioritarie per gli Stati membri dell’UE. Per le donne è difficile conciliare l’accudimento dei figli e la vita familiare con la vita lavorativa. Sentiamo spesso parlare di discriminazioni contro le donne a causa dei loro doveri nei confronti dei figli – tali discriminazioni emergono sia durante il processo di selezione per una posizione lavorativa specifica, sia in caso di opportunità di promozione. La maggioranza delle persone che occupano posizioni di livello più elevato è di sesso maschile. In un secondo momento, tale disparità si ripercuote anche sull’ammontare delle pensioni che, a loro volta, incidono sulla qualità della vita. Un’altra questione cruciale è l’età pensionabile. Poiché lavorano per un periodo più breve, le donne hanno automaticamente diritto a meno prestazioni sociali, il che si ripercuote sul loro standard di vita e sul rischio potenziale di cadere nell’indigenza.
La differenza in termini di età pensionabile sortisce un effetto avverso sulle possibilità loro offerte dal mercato del lavoro – donne e uomini della stessa età vengono visti in maniera diversa dai datori di lavoro, che non vogliono assumere donne destinate ad andare in pensione dopo qualche anno. Le disparità a livello di pensione emergono anche a causa del divario tra i livelli di retribuzione, un altro aspetto che andrebbe eliminato.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione che si propone di tutelare i diritti fondamentali delle anziane in seno all’UE. Le donne anziane sono più esposte al rischio di povertà, poiché le pensioni da esse maturate sono più basse e per il tempo da esse sottratto al lavoro per ottemperare ai loro obblighi di assistenza. Per questo ho espresso il mio sostegno alla relazione.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) In generale, il termine “società che invecchia” è associato a un onere futuro imprevedibile a carico delle economie nazionali. Il dibattito tende sempre a concentrarsi sulle pensioni e i regimi assistenziali. Come mostra la relazione, le donne percepiscono pensioni più basse a causa dei loro impegni familiari e corrono pertanto un rischio maggiore di povertà in età avanzata. Si tratta di un circolo vizioso che va spezzato affrontando il cambiamento continuo che caratterizza la nostra società con un approccio onnicomprensivo che includa in particolare le politiche in materia di istruzione e di mercato del lavoro.
Marina Yannakoudakis (ECR), per iscritto. – (EN) Benché la relazione prodotta dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere richiami l’attenzione sulle difficoltà pratiche riscontrate dalle donne che si prendono cura della popolazione europea che invecchia, il gruppo ECR non può appoggiare la relazione, in quanto ritiene che affronti questioni che non rientrano nelle competenze dell’UE, bensì sono prerogativa dei nostri parlamenti nazionali. Ci opponiamo in particolare a qualsiasi intervento comunitario in questioni concernenti l’assistenza sanitaria, l’istruzione e la formazione, le pensioni, l’età pensionabile e le case di riposo per anziani.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) In un periodo di inasprimento della crisi del capitalismo, il Parlamento europeo sta adottando iniziative volte a manipolare la coscienza dei lavoratori e a organizzare propaganda comunitaria nei media pubblici e privati, al fine di mettere a tacere qualsiasi voce si opponga agli interessi del capitale e di creare un’immagine di consenso artificiale ai piani imperialisti. La relazione promuove gli obiettivi di un assoggettamento completo delle agenzie dei mezzi di comunicazione pubblici alla propaganda dell’unificazione europea e di una loro interconnessione con i monopoli dei mass media privati. Per conseguire tale finalità, le proposte perseguono un incremento delle risorse finanziarie stanziate a favore dei mass media pubblici e privati, la creazione e il rafforzamento di strutture di controllo centralizzate, e la manipolazione delle notizie. La relazione vuole educare i giornalisti a perseguire gli interessi del capitale, intervenire nelle attività mediatiche degli Stati membri mediante l’Osservatorio europeo dell’audiovisivo e sostenere i piani comunitari rafforzando gli uffici di informazione – e propaganda – e intensificando gli interventi ideologici/politici a vantaggio dell’UE e del sistema bacato di sfruttamento; ciò dimostra ancora una volta che l’indipendenza dei mezzi di comunicazione, al pari del loro pluralismo e diversità, rappresentano un evidente tentativo di fuorviare i lavoratori che, tuttavia, non possono non riconoscere che l’unico modo per tutelare gli interessi del popolo consiste nel combattere per rovesciare e destabilizzare tale sistema e garantire così che vengano rispettate le esigenze attuali della base della società.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) A mio parere è cruciale creare una sfera pubblica in Europa. Non si tratta di una questione squisitamente filosofica, ma è una questione che attiene alla democrazia, in cui è in gioco la legittimità dell'Unione europea. I media e anche i nuovi social network sono fondamentali per la vitalità della sfera pubblica europea: noi parlamentari europei dobbiamo informare i cittadini europei in merito al nostro lavoro, attraverso i giornalisti e anche mediante i nostri siti, Facebook, Twitter e via dicendo. Una migliore comunicazione sull'Europa è una priorità oggi, e sostengo senza riserve la relazione, che attira l'attenzione sulla responsabilità dei media in questo ambito e sulla responsabilità delle istituzioni europee, che devono fare del proprio meglio per favorire l'accesso al propri lavoro e a diffonderlo mediante i mezzi di comunicazione.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) Ai sensi del trattato di Lisbona, il Parlamento svolge un ruolo dall’importanza senza precedenti nella vita quotidiana dei cittadini europei. Pertanto, è essenziale migliorare i rapporti esistenti tra Parlamento, eurodeputati, istituzioni europee e cittadini dell’Unione. Da numerosi sondaggi svolti dall’Eurobarometro è emerso che le popolazioni dell’UE vogliono essere tenute maggiormente al corrente degli affari comunitari e ricevere informazioni più puntuali sull’Europa.
Come constatato dalla relazione, se vogliamo che i cittadini europei partecipino più attivamente agli affari europei, occorre fornire informazioni chiare e pertinenti tramite i mezzi di informazione e i centri di comunicazione. Accolgo con particolare favore il passaggio della relazione in cui si caldeggia la restrizione dell’uso del “gergo comunitario” e di un linguaggio eccessivamente tecnico.
Le informazioni messe a disposizione dei cittadini comunitari dalle istituzioni devono essere chiare, comprensibili e pertinenti. A tal fine, appoggio la richiesta avanzata nella relazione che la Commissione prosegua con l’approccio “locale” attualmente adottato, teso a migliorare la visibilità dell’Unione a livello locale.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Fare pedagogia sull’Europa significa smantellare il processo semplicistico e sistematico alla base del passatempo più in voga, che consiste nel ripetere all’infinito lo slogan: “è colpa di Bruxelles”. A questo livello, gli sforzi esplicativi saranno decisamente salutari. I governi, i partiti politici, le strutture dell’istruzione e le emittenti pubbliche devono prendere parte e altresì contribuire in maniera più incisiva a spiegare le questioni europee al pubblico. I nuovi mezzi di comunicazione hanno il potenziale di rivoluzionare la democrazia europea. Mettiamoci al lavoro!
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Le questioni europee faticano a comparire sulla stampa nazionale e sono più presenti sui mass media internazionali, seguiti soltanto da un segmento limitato dell’opinione pubblica. Tale indifferenza rispetto a quanto accade a Bruxelles e a Strasburgo si è manifestata anche nel calo dell’affluenza dei cittadini alle urne in occasione delle elezioni europee.
E questo accade in un periodo in cui non prevale un’opinione contraria all’Unione europea. L’atteggiamento degli europei nei confronti dell’Unione europea potrebbe forse essere descritto, nel migliore dei casi, come indifferente. Ci troviamo nella situazione paradossale in cui tutte le decisioni prese a Bruxelles e Strasburgo influiscono direttamente sulla vita di ogni cittadino europeo.
Il trattato di Lisbona ha posto i cittadini europei al centro dell’Unione europea e ha stabilito di coinvolgerli nel processo decisionale comunitario, seppure attraverso la garanzia di maggiori poteri al Parlamento, l’unico organo direttamente eletto. Oltre alle proposte presentate nella relazione discussa dalla tornata, ogni europarlamentare, e se è per questo anche ogni politico nazionale, è ovviamente tenuto ad appoggiare in maniera chiara e comprensibile le decisioni prese a livello comunitario e a spiegarne l’impatto nei nostri paesi d’origine.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della proposta di risoluzione alternativa in quanto, in primo luogo, riconosce la carenza di trasparenza e democrazia nelle istituzioni europee e, pertanto, l’esigenza di sviluppare nuove forme di mezzi di comunicazione e giornalismo in rete, per far sì che i cittadini ricevano informazioni più precise sull’UE, e in secondo luogo rileva l’importanza di garantire l’indipendenza dei media e la libertà di espressione.
Lara Comi (PPE) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Unione Europea, con l'adozione del trattato di Lisbona, ha acquisito un potere più ampio soprattutto a livello legislativo.
L'80% delle norme nazionali provengono dalle decisioni del Parlamento europeo, ma i cittadini non comprendono tale influenza nella loro vita quotidiana. I media locali non agevolano il cambiamento dando troppo spazio alle dinamiche nazionali. È importante migliorare lo scambio di informazioni europee tra i giornalisti, incrementare la gamma delle lingue di euronews e le comunicazioni deputati-elettori.
Le nuove tecnologie sono di grande aiuto alla circolazione di news se usate in modo corretto e saggio. Internet ha aiutato la diffusione di notizie soprattutto tra i giovani che, in questo modo, si sentono più partecipi alla vita sociale. Molti di loro creano blog, aree di discussione, web site sull'Unione europea dando vita ad un dibattito costruttivo. La critica è un diritto-dovere del cittadino purché basata su fatti veri e non sul gossip.
Mário David (PPE), per iscritto. − (PT) L'accesso pubblico alle informazioni e la comunicazione tra l'elettorato ed i rappresentanti politici costituiscono fattori importanti in ogni società democratica e sono una condizione fondamentale affinché i cittadini possano esercitare il proprio diritto di partecipare alla vita pubblica. Consapevole dell'importanza di creare delle basi per una sfera pubblica europea, ad esempio ampliando la presenza nei media sociali degli Stati membri delle questioni europee nella sfera nazionale, ho votato ampiamente a favore della relazione (alternativa, con gli emendamenti avanzati dal mio gruppo e da altri gruppi del Parlamento). Una sfera pubblica trasparente e indipendente non deve essere confusa con la manipolazione dei media sociali o con un controllo subdolo, come credo stia accadendo ripetutamente nel mio paese. Vi ricordo infatti la vicenda TVI che ho portato all'attenzione dell'Assemblea.
In questa relazione sottolineo l'importanza di monitorare e poi riportare al Parlamento i contenuti delle trasmissioni pubbliche e private degli Stati membri, da parte dell'Osservatori europeo dell'audiovisivo e la proposta di integrare più efficacemente EuroParlTV nella strategia di comunicazione Internet del Parlamento europeo. La prima rappresenta un contributo eccellente all'azione politica, mentre la seconda è un elemento importante di comunicazione.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sul giornalismo e i nuovi media – creare una sfera pubblica in Europa, in quanto reputo essenziale elaborare strategie per avvicinare il pubblico europeo ai responsabili delle decisioni dell’Unione europea. è necessario migliorare la comunicazione delle istituzioni europee per promuovere una maggiore trasparenza e incrementare la partecipazione pubblica al dibattito politico, in quanto le decisioni prese a livello europeo influiscono direttamente sulla vita dei cittadini.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Benché sia generalmente positiva e molto necessaria, la creazione di una sfera pubblica europea è scivolata nell’indifferenza pubblica e nel disinteresse dell’opinione pubblica nazionale, uno sviluppo che sembra in contrasto con gli investimenti massicci nell’informazione e nella divulgazione effettuati dalle istituzioni, e che denuncia invece una disaffezione sempre più preoccupante nei confronti del progetto europeo. Come si evince dalla relazione, una siffatta sfera pubblica dell’informazione deve cominciare dal basso, da un impegno individuale e pubblico autentico a costruire la realtà che tutti condividiamo. Nonostante tale convinzione, la risoluzione dovrebbe preoccuparsi maggiormente di rafforzare i mezzi con cui raggiungere tale obiettivo invece che promuovere una comprensione efficace delle ragioni alla base della disaffezione e del disinteresse del pubblico.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) La relazione contiene una serie di proposte volte ad incrementare il coinvolgimento dell'opinione pubblica europea in questioni che attengono all'Unione europea. È importante promuovere la partecipazione pubblica nel processo di integrazione europea e per cercare di comunicare con i cittadini invece di limitarsi ad informarli. L'informazione fatta mettendo meramente a disposizione i contenuti non necessariamente suscita l'interesse tra i cittadini degli Stati membri. È pertanto imperativo che il "mittente" segua i principi della comunicazione per creare un dialogo con i cittadini.
Vi sono programmi , fondi e aiuti disponibili per i cittadini europei e la maggioranza non ne è al corrente. Sottolineo pertanto la necessità di garantire la presenza di corrispondenti dagli Stati membri in grado di costruire un ponte tra quanto viene fatto a Bruxelles e l'impatto che si produce nei rispettivi paesi e regioni. Già di per sé, l'Unione europea infatti è un'entità complessa che non è facile da spiegare. Non esiste una soluzione unica e semplice per creare una sfera pubblica in Europa. Tuttavia, il quadro istituzionale e tecnologico ora è ottimale. Il trattato di Lisbona rappresenta un passo importante nella democratizzazione dell'UE, mentre i media sociali presentano all'opinione pubblica delle possibilità nuove di partecipare al processo di integrazione europea.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) L'afflusso sempre più basso nelle elezioni europee mostra per l'ennesima volta quanto sia urgente raddoppiare gli sforzi per colmare il divario tra l'Unione europea ed i cittadini. La crisi economica, che attualmente investe i paesi dell'Unione, parallelamente richiede un sostegno autentico e fiducia incondizionata nelle istituzioni europee da parte dei cittadini. In questo contesto il trattato di Lisbona, sopratutto con il varo dell'iniziativa dei cittadini, favorisce un'Unione più democratica, un elemento che non può essere ipotizzato senza l'introduzione di una politica di comunicazione globale. Pertanto ho votato a favore della risoluzione che promuove la creazione di una sfera pubblica in Europa. È una nostra chiara responsabilità di deputati al Parlamento europeo, di deputati dei parlamenti nazionali, di membri di partito, di membri di istituzioni dedite all'istruzione e di emittenti di servizio pubblico. Ad ogni modo bisogna essere cauti, per comunicare di più bisogna comunicare meglio. La creazione di una sfera pubblica europea deve basarsi su informazioni attendibili, fattuali e indipendenti. Oltre a questo criterio di qualità, deve essere altresì assunto un approccio pedagogico per impartire le informazioni in modo che il funzionamento delle istituzioni europee diventi più comprensibile e susciti un maggiore interesse.
Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. – (RO) Pur essendo solamente una relazione d'iniziativa, la relazione dell'onorevole Løkkegaard ha conferito una nuova prospettiva al ruolo del giornalismo e dei mezzi di comunicazione di massa in una società in continuo mutamento.
Il nostro gruppo, supportato dal gruppo ALDE e dal gruppo S&D, ha presentato una risoluzione alternativa che ha cancellato alcune disposizioni comprese nella relazione iniziale, come il monitoraggio dell'Osservatorio europeo dell'audiovisivo delle notizie UE trasmesse da canali pubblici e privati negli Stati membri o l'istituzione di un gruppo di giornalisti "indipendenti" a Bruxelles. La versione finale della relazione, benché meno ambiziosa di quella iniziale, è realistica e calibrata, motivo per cui l'ho sostenuta insieme ad altri colleghi.
Ramona Nicole Mănescu (ALDE), per iscritto. – (RO) Mi preme complimentarmi con l’onorevole Løkkegaard per aver prodotto una relazione così conclusiva. La comunicazione in seno all’Unione europea rappresenta attualmente un aspetto essenziale di una politica europea integrata. Tuttavia, continua a essere una sfida per le istituzioni europee. Di fatto, i cittadini europei devono avere una conoscenza diretta dell’impatto reale delle decisioni prese dalle istituzioni europee. Tuttavia, per farlo, devono avere accesso a informazioni sufficienti circa le implicazioni delle decisioni europee a livello nazionale, regionale e locale, dove le emittenti pubbliche svolgono un ruolo estremamente importante.
Inoltre, gli sportelli informativi locali delle istituzioni europee devono adottare un approccio molto più attivo e coordinato alla promozione della comunicazione. Per questo ritengo che sia essenziale che la Commissione europea sostenga e incoraggi, a livello istituzionale, forme di comunicazione europea già esistenti a livello nazionale. Inoltre, la Commissione deve instaurare un rapporto stretto con le emittenti pubbliche per garantire un impiego più efficiente delle risorse stanziate dalla strategia europea per la comunicazione. Sappiamo tutti che gli Stati membri sono responsabili della comunicazione. Occorrono tuttavia maggiore coinvolgimento e coordinamento da parte delle istituzioni europee su questo fronte.
Iosif Matula (PPE), per iscritto. – (RO) I progressi messi a segno dalla tecnologia negli ultimi anni obbligano i professionisti di molti settori ad adeguarsi alla situazione in termini di atteggiamento, competenze e attività svolta. La comunicazione di massa è una delle aree maggiormente interessate dalle innovazioni tecniche. Ciò significa che il confine tra giornalisti e pubblico non è più così chiaramente definito, in quanto i ruoli sono divenuti intercambiabili. Per tale ragione accolgo con favore il progetto di relazione sul giornalismo e i nuovi media.
Mette inoltre in luce il desiderio del Parlamento europeo di contribuire a creare una sfera pubblica a livello europeo e di incoraggiare lo spirito di partecipazione. Sono fermamente convinto che occorra incoraggiare i giornalisti a fornire regolarmente informazioni sulle istituzioni europee e, al contempo, dobbiamo valutare periodicamente il modo in cui i nuovi media favoriscono la creazione di tale sfera pubblica europea. Con l’emergere di nuovi strumenti e tecnologie di comunicazione, occorre redigere un codice etico europeo del giornalismo.
Al contempo, bisogna porre maggiormente l’accento sui programmi scolastici e sui corsi di preparazione per questa nuova forma di giornalismo. In segno di riconoscimento da parte del Parlamento europeo, propongo di includere i nuovi media nelle categorie del premio del Parlamento europeo per il giornalismo che assegniamo ogni anno.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Per le istituzioni UE è difficile comunicare con i cittadini europei, in quanto la maggioranza non comprende l'utilità delle varie istituzioni di cui consta l'Unione. È quindi giunta l'ora di incrementare il coinvolgimento dell'opinione pubblica europea nelle questioni che afferiscono all'Unione. Dobbiamo trovare dei modi per comunicare al fine di avviare, promuovere ed approfondire il dibattito ed il flusso di informazioni, sia attraverso una maggiore trattazione delle tematiche europee nei media nazionali che mediante una sfera pubblica europea. Pertanto la creazione di una sfera pubblica in Europa rappresenta un passo essenziale affinché l'intera popolazione degli Stati membri possa comprendere meglio gli eventi europei.
Marek Henryk Migalski (ECR), per iscritto. – (PL) A mio avviso, la relazione Løkkegaard sul giornalismo e i nuovi media – creare una sfera pubblica in Europa, contiene molte disposizioni allarmanti che limitano le libertà dei mezzi di comunicazione. In particolare, reputo inaccettabili i paragrafi nn. 8, 14, 20, 23, 31 e 39 e i considerando N e O. Secondo me, la relazione Løkkegaard interferisce con la libertà del giornalismo. Tale documento sottolinea, tra le altre cose, l’obbligo delle emittenti pubbliche di fornire informazioni sull’Unione europea. Richiamerei inoltre l’attenzione sul fatto che la relazione prevede nuovi obblighi finanziari a carico dell’Unione europea, in quanto propone l’aumento delle linee di bilancio destinate agli sportelli informativi del Parlamento, solo per citare un esempio.
La relazione sul giornalismo e i nuovi media propone inoltre di inserire l’Unione europea quale nuova materia nei programmi scolastici. A mio avviso, le istituzioni europee non dovrebbero interferire nella redazione dei programmi scolastici, che spettano esclusivamente agli Stati membri. Dissento dal relatore sul ruolo dei media nell’Unione europea e non accetto nemmeno l’imposizione di oneri finanziari aggiuntivi a carico dell’Unione e degli Stati membri, per tale ragione ho deciso di esprimere un voto contrario alla relazione.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo su una divulgazione pubblica più efficace delle informazioni in merito all’Unione europea. Il popolo lettone non ha ben chiara la differenza tra Consiglio dell’Unione, Commissione europea e Parlamento europeo. Il novantanove percento dei lettoni non comprende le funzioni e il significato delle istituzioni comunitarie. Dobbiamo spiegare a ogni cittadino europeo la ragione delle attività comunitarie. Se non agiremo celermente in tal senso, l’affluenza alle urne nelle elezioni europee scenderà ai minimi storici, e i cittadini cominceranno a diffidare dalle decisioni e dalle leggi approvate dalle istituzioni europee.
Ho votato a favore di una maggiore attenzione nei confronti della politica europea della comunicazione, a favore cioè della divulgazione di quante più informazioni possibile sul modo in cui vengono impiegati i fondi del bilancio comunitario e sui loro obiettivi. Se riusciremo a fare del nostro meglio in tal senso, potremo ispirare maggiore fiducia nei cittadini e convincerli ad adottare un atteggiamento più ponderato nei confronti delle elezioni europee. Se riuscissimo in tale intento, i deputati del Parlamento europeo sarebbero molto più professionali.
Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. – (LT) Il 7 settembre ho votato a favore della proposta di adottare il progetto di risoluzione del Parlamento europeo sul giornalismo e i nuovi media – creare una sfera pubblica in Europa (A7-0223/2010). In base ai risultati di diversi sondaggi condotti dall’Eurobarometro, i cittadini sono poco informati sulle politiche e questioni europee. Tuttavia, queste medesime indagini dimostrano che tali informazioni destano l’interesse della società. I partecipanti ai sondaggi riferiscono inoltre che quest’assenza di informazioni è una delle cause principali che inducono i cittadini a decidere di non votare e li rendono riluttanti nei confronti delle istituzioni europee. Per essere incisiva, la comunicazione deve chiarire che le decisioni politiche prese a livello comunitario hanno un impatto diretto sulla vita quotidiana dei cittadini europei, che continuano a considerare l’UE troppo distante e poco influente nella risoluzione dei loro problemi reali. Convengo inoltre che, per migliorare la conoscenza dei cittadini circa l’UE, occorre introdurre nei programmi scolastici studi specifici in materia.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione in quanto offre soluzioni per consentire ai cittadini e alla società dell’Unione di partecipare più attivamente alla vita nazionale e pubblica in tutta l’Unione europea. Finora i cittadini comunitari non hanno ricevuto informazioni sufficientemente chiare sul fatto che le decisioni politiche prese a livello di UE hanno una rilevanza diretta nella vita di ogni giorno. Mancano informazioni ragionate e approfondite sull’Unione europea nei media degli Stati membri. Convengo col relatore che i paesi membri dovrebbero aumentare il numero di giornalisti accreditati presso le istituzioni europee. La Lituania, ad esempio, non dispone al momento di nessun giornalista accreditato presso le istituzioni europee. Occorre continuare a formare giornalisti e a sviluppare la loro conoscenza del processo decisionale complesso in vigore nell’Unione europea. Il canale televisivo Euronews potrebbe inaugurare delle trasmissioni nelle lingue della maggior parte dei paesi membri dell’Unione, mentre le istituzioni europee potrebbero diramare relazioni nei social-media, che stanno diventando sempre più diffusi tra i giovani. Appoggio in particolare l’invito del relatore a rispettare la libertà e l’indipendenza editoriale dei mezzi di comunicazione, soprattutto il diritto delle emittenti radiotelevisive pubbliche di organizzare il palinsesto come ritengono opportuno. Tuttavia, alcuni governi dei paesi membri limitano i finanziamenti a favore delle emittenti pubbliche e, così facendo, puntano a interferire con la selezione del personale e il contenuto dei programmi.
Alfredo Pallone (PPE) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la comunicazione in un contesto politico è fondamentale. Di conseguenza, se la politica non viene adeguatamente comunicata, si pone un problema. E in questo ambito l'Unione europea si trova davanti a una sfida ardua e difficile. È opportuno trovare nuovi sistemi per interessare maggiormente i cittadini europei alle questioni che riguardano l’Unione europea.
La relazione ha preso in considerazione le modalità attraverso le quali la comunicazione può attivare e stimolare il dibattito europeo e il flusso delle informazioni, sia per mezzo di una più ampia discussione delle questioni europee nei media nazionali sia tramite una sfera pubblica europea. Tuttavia, se nello spirito la relazione può essere condivisa, vi sono alcuni punti e alcune richieste che trovo forse eccessive.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Da quando è stata varata la moneta unica, è stata introdotta una gamma compatta di misure volte a proteggere l’euro dalle contraffazioni, tra cui iniziative legislative, strumenti tecnici e modifiche istituzionali, con particolare enfasi sulla stretta cooperazione tra tutte le agenzie coinvolte a livello nazionale ed europeo. In base alla risposta (E-0107/10) recentemente fornita alla mia interrogazione, la Commissione constata che il numero di monete contraffatte è ancora estremamente basso e rappresenta non più dello 0,2 per mille di tutte le monete in circolazione. Inoltre, l’articolo 3 paragrafo 1 del regolamento (CEE) n. 1338/2001 sancisce che le autorità nazionali competenti hanno il compito di raccogliere e indicizzare tutti i dati tecnici e statistici relativi alle banconote e monete false rinvenute negli Stati membri. Malgrado ciò, l’attuale proposta di regolamento rafforza ulteriormente gli strumenti per combattere la contraffazione chiarendo le procedure necessarie per stabilire l’autenticità e la gestione delle monete in euro non adatte alla circolazione.
Al contempo, sono previste disposizioni per l’applicazione di procedure congiunte volte a stabilire meccanismi di autenticità e controllo per tali procedure da parte delle autorità nazionali. Le proposte in questione rafforzano gli interventi contro le falsificazioni, per questo ho votato a favore delle disposizioni rilevanti e della relazione nel suo complesso.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Løkkegaard sul ruolo del giornalismo e dei nuovi media nella creazione di una “sfera pubblica europea” autentica. Come abbiamo ripetutamente ricordato, il divario esistente tra le istituzioni europee e l’opinione pubblica va colmato con urgenza. A questo punto è opportuno rammentare il tasso di affluenza deplorevolmente basso registrato alle elezioni europee. Ricordiamo inoltre che tutti gli indicatori del livello di fiducia dei cittadini nell’integrazione europea sembrano denotare una situazione di allarme. L’ultimo sondaggio dell’Eurobarometro è particolarmente eloquente in tal senso, in quanto più della metà degli intervistati ha espresso un parere negativo sull’appartenenza del proprio paese all’Unione europea. La cosa interessante è che, al contempo, le aspettative sono elevate, visto che oltre l’80 per cento degli interpellati sostiene che l’UE sia la – e sottolineo “la” – soluzione ai problemi esistenti.
Per fornire spiegazioni più chiare su quello che fa l’Europa, come lo fa e di che mezzi si serve per farlo, e quindi per generare meno delusione, occorre rendere prioritaria una comunicazione più efficace e una diffusione più puntuale delle notizie europee. Insisto tuttavia sul fatto che, come sottolineato nel testo da noi adottato, tale esercizio va condotto in un’atmosfera di fiducia, con il dovuto rispetto per l’indipendenza editoriale e la libertà del giornalismo.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La maggioranza degli emendamenti presentati dal gruppo Verde/Alleanza libera europea sono stati adottati dalla commissione per la cultura e l’istruzione, che ha accolto la relazione con 24 voti a favore, 3 contrari e 1 astensione.
Gran parte degli emendamenti del gruppo Verde/Alleanza libera europea sono stati inseriti negli emendamenti di compromesso. è quello che si è verificato nel caso del paragrafo n. 33, che sancisce che le istituzioni europee dovrebbero contribuire a decentralizzare la politica di comunicazione dell’UE verso una dimensione locale e regionale, e del paragrafo n. 36, che sottolinea la necessità di esaminare soluzioni per creare relazioni interparlamentari tra i parlamenti nazionali o regionali e il Parlamento europeo.
Oggi dobbiamo votare su una risoluzione alternativa proposta da S&D e sostenuta da PPE e ALDE. Il gruppo Verde/Alleanza libera europea ha accolto le modifiche introdotte, pertanto in ultima analisi abbiamo votato a favore della relazione.
Oreste Rossi (EFD) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è corretto cercare di spiegare ai cittadini europei cosa fa e a cosa serve l'Unione europea con tutti suoi organismi.
In particolare, bisognerebbe cercare di rendere protagonisti i cittadini permettendo loro anche di poter scegliere da chi essere rappresentati. Ancora oggi le cariche più importanti come l'Alto Rappresentate per gli affari esteri, il Presidente della Commissione e il Presidente del Consiglio sono assegnate senza il coinvolgimento dei cittadini. Bisognerebbe favorire l'uscita sui media nazionali delle notizie relative all'attività che svolgono i parlamentari che sono eletti direttamente dagli europei e che quindi li rappresentano.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione che propone soluzioni per incrementare la consapevolezza dei cittadini circa le politiche comunitarie e il processo decisionale attraverso il ricorso ai vari strumenti mediatici disponibili. Come rappresentante eletta, ritengo che sia importante che i cittadini possano rendersi conto di come le politiche comunitarie influiscono sulla loro vita quotidiana, ed è per questa ragione che ho sostenuto la relazione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Si trattava di una relazione tecnica e non controversa e noi, il gruppo dei Verdi, l’abbiamo appoggiata.
8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 13:50, riprende alle 15:05)
PRESIDENZA DELL’ON. BUZEK Presidente
9. Approvazione del processo verbale della seduta precedente
Abbiamo ora a disposizione il processo verbale della seduta di ieri. Vorrei sapere se ci sono commenti sul processo verbale. Nessuno chiede la parola. Il processo verbale viene approvato.
10. Il caso di Sakineh Mohammadi-Ashtiani (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione del Consiglio e della Commissione sulla situazione dei rom in Europa. Vorrei porgere il benvenuto nella nostra seduta al Presidente in carica del Consiglio Chastel, alla Vicepresidente della Commissione Reding, e al Commissario per l’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione Andor. Il primo a prendere la parola, a nome del Consiglio, è il Presidente Chastel.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, Commissario, onorevoli deputati, i valori e i principi dell’Unione europea sono sanciti chiaramente nei trattati e nella Carta dei diritti fondamentali, che è diventata vincolante con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona.
Il rispetto per lo stato di diritto e il rispetto per i diritti umani, compresi quelli delle persone appartenenti a minoranze, occupano una posizione preminente in tali testi. Il Consiglio conferma pertanto il proprio impegno nei confronti di tali valori.
Il Consiglio ha espresso in svariate occasioni il proprio sostegno a misure volte a far progredire l’inclusione dei rom. Di fatto, i nostri capi di Stato e di governo, che si sono riuniti in seno al Consiglio europeo, hanno anche riconosciuto la situazione molto specifica della popolazione rom nell’Unione e hanno esortato gli Stati membri e l’UE a fare il possibile per migliorare la loro inclusione.
Sono trascorsi 10 anni da quando il Consiglio ha adottato una direttiva completa che vieta la discriminazione sulla base delle origini razziali ed etniche in tutta una serie di aree, tra cui le condizioni che disciplinano l’accesso all’occupazione, la formazione professionale, la protezione sociale (tra cui la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria), l’istruzione e la fornitura di beni e servizi, compresi gli alloggi. Tutti i gruppi etnici, e pertanto anche i rom, naturalmente, sono tutelati da questa direttiva. Infine, la direttiva prevede una clausola in materia di azione positiva, che consente agli Stati membri di mantenere o adottare misure specifiche volte a prevenire o a compensare gli svantaggi derivanti dall’origine razziale o etnica.
Alcuni di voi hanno presenziato al secondo vertice europeo sui rom, tenutosi a Córdoba in aprile. Il Consiglio ha accolto con molto favore quest’evento importante, che ha riunito le parti interessate più importanti. In seguito al vertice, nel mese di giugno, il Consiglio ha adottato all’unanimità alcune conclusioni intitolate “Promozione dell’inclusione dei rom”.
I ministri hanno preso atto all’unanimità del fatto che una percentuale significativa di tale popolazione è soggetta a condizioni di estrema povertà, discriminazione ed esclusione, che comportano anche livelli d’istruzione bassi, condizioni abitative scadenti, mancato accesso all’occupazione e stato di salute precario. Sono soprattutto le donne e le ragazze rom a dover affrontare particolari difficoltà, tra cui figura il rischio di essere esposte a molteplici discriminazioni. In molti casi, le suddette condizioni sono peggiorate enormemente negli ultimi anni, mentre si assiste a un’intensificazione degli atteggiamenti antirom e degli episodi di violenza nei loro confronti.
Occorre tenere a mente il fatto che, mentre gli Stati membri detengono la responsabilità primaria di promuovere l’integrazione sociale ed economica dei rom, la cooperazione a livello europeo garantisce un valore aggiunto significativo. Di conseguenza, il Consiglio ha invitato la Commissione e gli Stati membri a far progredire l’integrazione sociale ed economica dei rom nel quadro del decisioni e raccomandazioni elaborate dalle istituzioni europee, assicurando un impiego più efficace delle politiche e degli strumenti esistenti.
La responsabilità in questo settore è condivisa: è compito di tutti i soggetti coinvolti promuovere l’inclusione dei rom facendo leva sulle rispettive competenze, e il Consiglio farà la sua parte. Il Consiglio ha anche posto l’accento sull’importanza di garantire il coinvolgimento attivo della società civile, delle autorità locali e dei rom medesimi.
Vorrei anche precisare le misure specifiche che sono state recentemente adottate sia dal Parlamento europeo sia dal Consiglio per agevolare l’inclusione sociale dei cittadini meno avvantaggiati. Abbiamo recentemente concluso in prima lettura un accordo per la modifica delle disposizioni che disciplinano il Fondo europeo per lo sviluppo regionale. Ai sensi di tali disposizioni, sarà ora possibile garantire assistenza per migliorare la situazione abitativa delle comunità più emarginate d’Europa, che comprendono molti rom.
Le due istituzioni hanno convenuto – un aspetto determinante – che tali misure dovrebbero essere sempre applicate come parte di un approccio integrato. Tale approccio prevede in particolare interventi nei campi dell’istruzione, della salute, degli affari sociali, dell’occupazione e della sicurezza, nonché misure contro la segregazione.
Mi preme infine sottolineare che il Fondo sociale europeo ha anche la possibilità di finanziare azioni per combattere la discriminazione in generale.
L’Unione europea deve creare un ambiente sicuro in cui le differenze vengano rispettate e i più vulnerabili protetti. Tali principi sono sanciti nel programma di Stoccolma, adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2009. Vanno ricercate con determinazione misure per combattere discriminazioni e xenofobia. La comunità rom viene citata espressamente nel programma di Stoccolma, ai sensi del quale gli Stati membri devono compiere uno sforzo comune per integrare appieno i gruppi vulnerabili.
Analogamente agli altri cittadini comunitari, i rom devono godere della libertà di circolazione e del diritto alla protezione, e non devono subire nessun genere di discriminazione.
In un periodo in cui le nostre società sono alle prese con la crisi economica, impegniamoci a non usare come capri espiatori i nostri concittadini più emarginati. A tal fine, è importante comprendere chiaramente e sinceramente le cause, gli effetti e i costi dell’esclusione sociale. Che cosa può fare una popolazione priva di istruzione, alloggi, assistenza sanitaria e, quel che è peggio, di occupazione? Per agevolare l’integrazione dei rom occorre sviluppare un approccio integrato che sia in linea con la legislazione e i valori europei e nel quale siano attivamente coinvolte tutte le parti interessate.
La situazione della popolazione rom figura nel programma di lavoro della triade di Presidenze adottato dal Consiglio nel dicembre 2009, e la Presidenza belga si è impegnata in svariate occasioni ad affrontare la questione dell’integrazione dei rom.
In primo luogo, alla conferenza sulla povertà infantile, svoltasi il 2 settembre; al vertice sull’uguaglianza, in programma per il 14-16 novembre e, in particolare, quando verranno affrontate le questioni dell’uguaglianza e della diversità in ambito occupazionale; alla conferenza sui senzatetto, in programma per il 9 e 10 dicembre, nonché alla riunione della piattaforma integrata per l’inclusione dei rom che si svolgerà a breve, dal 7 al 17 settembre. Infine, come annunciato al Consiglio “Affari generali” del 26 luglio, il Consiglio dell’Unione europea continuerà a monitorare la questione dell’inclusione dei rom.
Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei esordire ringraziando i miei colleghi Commissari, Andor e Malmström, per la stretta collaborazione instauratasi nelle ultime settimane tra i nostri servizi per la questione dei rom. In tal modo, durante l’estate la Commissione ha raggiunto una posizione chiara ed equilibrata sulla questione, che ha oggi ricevuto il pieno sostegno del collegio dei Commissari.
Vorrei anche ringraziare il Presidente Barroso, con cui ho collaborato strettamente sulla questione durante l’estate, in parallelo all’evolversi della situazione francese. E, in pieno accordo col Presidente, il 25 agosto ho assunto una posizione pubblica sulla situazione dei rom in Francia e sulla necessità di rispettare le leggi europee e i diritti e principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali.
La linea assunta dalla Commissione – che, come politici, sapete bene che deve essere sempre consapevole del pericolo di strumentalizzazione da parte dei dibattiti politici dei partiti nazionali – si è mantenuta costante nelle ultime settimane.
Innanzi tutto, sono gli Stati membri a essere responsabili dell’ordine pubblico e della sicurezza dei loro cittadini sul loro territorio nazionale. Ciò significa che, malgrado l’importanza del diritto di libera circolazione, gli Stati membri devono adottare misure contro i cittadini comunitari che violano la legge. Non ci può essere impunità sotto l’ombrello dei principi europei di libera circolazione. In determinate condizioni, i paesi membri possono persino rimpatriare cittadini europei che abbiano violato la legge, a condizione che vengano osservati i principi di proporzionalità e le salvaguardie procedurali previste dalla direttiva europea sulla libera circolazione del 2004.
In secondo luogo, nella nostra Unione europea nessun cittadino deve diventare bersaglio di azioni repressive soltanto perché appartiene a una minoranza etnica o è di una determinata nazionalità. Lo sancisce chiaramente la Carta europea dei diritti fondamentali, che vieta la discriminazione sulla base della nazionalità o delle origini etniche, e che vieta espressamente le espulsioni collettive. Non sono pertanto ammesse punizioni collettive in Europa, ed è altresì vietato stigmatizzare determinati gruppi etnici. Ogni essere umano ha i propri diritti e anche doveri.
In terzo luogo, l’integrazione sociale ed economica dei rom – e voi tutti sapete che, con i suoi 10-12 milioni di membri, si tratta della minoranza etnica più numerosa d’Europa – rappresenta una sfida per tutti e 27 gli Stati membri, sia per i paesi d’origine sia per i paesi di destinazione dei rom. Ai sensi del principio di sussidiarietà, spetta ai paesi membri garantire l’accesso agli alloggi, all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’occupazione, ma al contempo le istituzioni europee – da oltre un decennio – hanno sviluppato strategie e politiche finanziarie a sostegno degli sforzi nazionali, segnatamente tramite il Fondo sociale europeo, lo strumento di preadesione, e il Fondo europeo per lo sviluppo regionale, che è stato recentemente emendato per comprendere anche la situazione abitativa dei rom.
è molto importante sottolineare che, per la Commissione, l’integrazione sociale ed economica dei rom non è un questione limitata al mese di agosto. Si tratta di una problematica da affrontare ogni giorno e ogni anno. All’inizio di quest’anno, il 7 aprile, io e il Commissario Andor abbiamo presentato una comunicazione strategica sui rom, la prima in assoluto nella storia dell’Unione europea. Sulla base di tale documento abbiamo indetto una riunione ministeriale a Córdoba con la partecipazione delle associazioni dei rom. Come ha ricordato stamani il Presidente Barroso, soltanto tre ministri hanno presenziato alla riunione.
Le questioni legali e politiche principali sollevate dalle misure adottate quest’estate dalla Francia sono state adeguatamente riassunte in una nota dettagliata presentata da me e dai Commissari Andor e Malmström al collegio dei Commissari la scorsa settimana, e che è stata adottata in data odierna.
Consentitemi di aggiornarvi sullo stato attuale delle cose. Innanzi tutto, grazie a un dialogo molto intenso tra la Commissione e le autorità francesi instauratosi nelle ultime settimane, ho assistito a uno sviluppo importante. A mio avviso, è stato cruciale che la Francia abbia chiarito di non avere alcuna intenzione di promuovere azioni contro la comunità rom, in quanto tali azioni mirate sarebbero state incompatibili con i valori e diritti fondamentali su cui si fonda l’Unione europea.
Ecco perché era importante che il ministro Éric Besson partecipasse a una riunione a Bruxelles con me e Cecilia Malmström la scorsa settimana. Ci ha assicurato pubblicamente che le autorità francesi avrebbero trattato tutti i cittadini allo stesso modo, che non era in corso alcuna azione mirata contro i rom o altri gruppi, e che le autorità francesi avrebbero fatto del loro meglio per attenersi scrupolosamente alle leggi europee. Considero tale rassicurazione fornita da un ministro francese uno sviluppo molto positivo.
Nel frattempo, i servizi della Commissione (DG Giustizia e i Servizi Legali) dallo scorso venerdì stanno continuando a effettuare controlli tecnici con le autorità francesi per verificare se quanto detto rispecchi la realtà giuridica effettiva.
I servizi della Commissione hanno identificato tutta una serie di questioni sulle quali le autorità francesi dovranno fornire informazioni aggiuntive e per cui avranno necessità di ricevere assistenza attiva da parte dei servizi della Commissione, per assicurarsi che le loro azioni attuali e future siano pienamente conformi alla legislazione comunitaria.
Dal 2008 la Commissione ha fatto ripetutamente presente alla Francia che occorre attuare appieno la direttiva comunitaria in materia di libertà di circolazione, comprese le salvaguardie procedurali e sostanziali presenti nella direttiva che non erano state ancora pienamente recepite dalla legislazione francese.
Benché tali salvaguardie vengano parzialmente applicate in Francia grazie alla giurisprudenza utilizzata dai tribunali – come avrete constatato di recente, i tribunali hanno deciso sulla base della direttiva comunitaria, sebbene la stessa non sia stata recepita dalla legislazione francese – abbiamo ribadito con chiarezza alle autorità francesi che il recepimento legislativo accrescerà la certezza legale in situazioni di libera circolazione simili a quelle verificatesi quest’estate.
Per questo motivo, dopo la riunione odierna del collegio, ho inviato una lettera alle autorità francesi in cui ho ribadito tali aspetti. Ovviamente, gli altri Stati membri che si trovassero in situazioni simili riceverebbero un’assistenza analoga.
Un insegnamento importante impartitoci dagli sviluppi di quest’estate è che l’integrazione dei rom rappresenta una sfida che deve essere mantenuta nell’agenda politica di tutti i paesi membri. Per tale ragione, io, Cecilia Malmström e László Andor abbiamo messo a punto cinque azioni appena approvate dal collegio dei Commissari.
In primo luogo, per garantire che tutte le misure adottate dagli Stati membri sui rom siano conformi alle leggi comunitarie in materia di libera circolazione e antidiscriminazione, nonché alla Carta dei diritti fondamentali, monitoreremo e valuteremo i progressi compiuti sulle questioni.
In secondo luogo, istituiremo una task force ad alto livello sui rom che avrà il compito di analizzare il riscontro dato dagli Stati membri alla comunicazione strategica sui rom della Commissione del 7 aprile. In particolare, tale task force semplificherà, valuterà e raffronterà l’impiego e l’efficacia dei finanziamenti europei per l’integrazione dei rom in tutti gli Stati membri e individuerà carenze di base nell’utilizzo di tali risorse. Lo facciamo semplicemente perché vogliamo essere messi al corrente e raccogliere le prove di eventuali casi in cui i fondi (a) non vengano utilizzati e (b) se vengono utilizzati, non vengano impiegati nella maniera adeguata.
Le prime conclusioni della task force verranno sottoposte all’attenzione del collegio prima della fine dell’anno, ed io terrò informati il Parlamento e il Consiglio sui risultati di tali studi.
In terzo luogo, invito la Presidenza a organizzare il prima possibile un Consiglio Jumbo GAI “Sicurezza e Affari sociali” per identificare un impiego più mirato delle risorse nazionali e dei fondi complementari europei al fine di promuovere l’integrazione sociale ed economica dei rom. La riunione del Consiglio dovrebbe essere seguita da riunioni annuali a livello ministeriale, in quanto abbiamo avuto esperienze negative con gli Stati membri che non si sono assunti la responsabilità di cambiare di propria iniziativa le cose nel proprio territorio. Dobbiamo riunire i paesi membri in modo ufficiale e pubblico e orientarli verso la giusta direzione.
In quarto luogo, esorto le presidenze future del Consiglio a occuparsi delle priorità individuate nella tabella di marcia approvata lo scorso giugno dalla piattaforma europea per l’inclusione dei rom. In tale contesto andrebbe intensificato il dialogo con i rappresentanti della comunità rom. La prossima piattaforma avrà luogo sotto la Presidenza ungherese.
In quinto luogo, inviteremo anche gli Stati membri a considerare la questione del traffico di esseri umani, a cui sono particolarmente esposti i rom, con l’assistenza della Commissione e, se necessario, con l’intervento di Europol ed Eurojust, se del caso.
Passo ora la parola a László Andor, che si soffermerà sul tema importante dell’impiego del Fondo sociale europeo per l’integrazione dei rom.
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, come testé precisato dalla Vicepresidente Reding, l’Unione europea poggia su diritti e valori fondamentali, e la Commissione si impegna su tutta la linea per tutelare i diritti fondamentali dei rom e la loro piena integrazione sociale ed economica nelle nostre società.
Il secondo punto su cui vorrei porre l’accento è che l’inclusione dei rom rappresenta una responsabilità comune dell’Unione europea e degli Stati membri. Un’integrazione sociale ed economica dei rom coronata dal successo richiede un impegno costante, basato sulla cooperazione di tutte le parti coinvolte: Commissione, Stati membri, governi locali, ONG e organizzazioni internazionali.
La Commissione non ha atteso gli sviluppi recenti e assai deplorevoli per entrare in azione. Il 7 aprile di quest’anno, la Commissione ha elaborato un approccio strategico e completo nella sua comunicazione politica, senza precedenti, concernente l’integrazione sociale ed economica dei rom in Europa. Tale documento individua le azioni prioritarie della Commissione e degli Stati membri in tutta una serie di aree rilevanti in termini di integrazione dei rom.
La Commissione si è posta l’obiettivo di migliorare l’efficacia degli strumenti e delle politiche in termini sia di contenuto sia di processo, e sottolinea l’importanza di una cooperazione più stretta tra Unione europea, soggetti nazionali e internazionali, e comunità rom.
La comunicazione ribadisce inoltre l’impegno della Commissione a incoraggiare e assistere gli Stati membri nello sfruttare appieno il potenziale dei Fondi strutturali per sostenere l’integrazione sociale ed economica dei rom.
I Fondi strutturali europei offrono una leva finanziaria molto utile per sostenere gli sforzi nazionali tesi a migliorare la situazione dei rom. Dei 27 Stati membri, 12 – tra cui paesi membri di vecchia e di relativamente nuova adesione – dispongono di programmi di sostegno mirati ai rom, oltre che ad altri gruppi vulnerabili, per un totale di 17,5 miliardi di euro, tra cui 13,3 miliardi di euro del Fondo sociale europeo.
Tra gli esempi di progetti figurano interventi mirati alla base della società per promuovere l’occupazione dei rom e lo sviluppo di un nuovo programma di studi per le scuole con corsi specifici sui rom.
Inoltre, come ricordato anche dalla Vicepresidente, nel maggio di quest’anno il FESR è stato modificato e può ora essere utilizzato per finanziare la ristrutturazione di alloggi nelle aree rurali, dove vivono molti rom.
L’inclusione dei rom rappresenta inoltre un criterio politico importante per l’adesione all’Unione europea, e l’UE sostiene in tal senso i candidati effettivi e potenziali mediante gli strumenti di preadesione.
La Commissione sta attualmente attuando o pianificando progetti per un valore di 50 milioni di euro destinati esclusivamente o in parte ai rom.
La Commissione ha organizzato nei paesi membri eventi ad alto livello con la partecipazione di ampie minoranze rom, al fine di promuovere un impiego più efficace delle risorse comunitarie per l’integrazione di questa popolazione. In Ungheria è stato avviato un dialogo tra le autorità nazionali e i rom sotto gli auspici della Commissione.
Nel mese di ottobre in Romania si svolgerà una seconda serie di incontri ad alto livello a cui parteciperemo io e il Commissario Cioloş.
Infine, su richiesta di quest’Assemblea, la Commissione sta attuando un progetto pilota intitolato “Pan-European coordination of Roma integration methods – Roma inclusion” (Coordinamento paneuropeo dei metodi di integrazione dei rom – inclusione dei rom). Tale progetto è formato da tre componenti relative all’istruzione e all’assistenza nella prima infanzia, al lavoro indipendente e ai microprestiti, e alle informazioni e attività di sensibilizzazione. Le azioni in tal senso sono state avviate nel maggio di quest’anno.
Esistono fondi e strumenti comunitari che possono contribuire a risolvere le questioni delicate di natura legale, umana e pratica relative all’integrazione dei rom. Noi alla Commissione siamo pronti a fare il possibile per risolverle. Sono fermamente convinto che Europa 2020 sia il quadro giusto per combattere la povertà e di conseguenza anche per migliorare le condizioni delle popolazioni rom in Europa.
Restiamo ancorati ai nostri principi, resistiamo alla tentazione di soluzioni facili ma illusorie, e affrontiamo insieme la questione nello spirito di solidarietà.
Lívia Járóka, a nome del gruppo PPE. – (EN) Signor Presidente, sono lieta che le istituzioni europee mostrino tanta sensibilità nei confronti della tragedia attuale dei rom. Per lo stesso motivo, è deplorevole che i politici, senza distinzione di appartenenza politica, sembrino sfruttare la questione dei rom quale arma contro gli avversari.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che la libertà di circolazione rappresenta uno dei principi fondamentali del diritto comunitario, e conveniamo che tale diritto non è incondizionato. Come confermato dalla Commissione, tutti i paesi dell’Unione hanno il diritto di adottare misure di sicurezza nei confronti degli stranieri che risiedono nel loro territorio. I valori basilari dell’Unione europea, quali la non discriminazione, la tolleranza e la solidarietà, meritano il pieno rispetto, mentre l’espulsione dei cittadini dell’Unione deve essere effettuata caso per caso sulla scorta di decisioni giudiziarie pertinenti, oppure con il consenso pieno, completo e informato degli individui interessati. Per citare nuovamente la Commissione, “nessuno dovrebbe essere espulso soltanto perché è rom”.
Le opinioni politiche e le sentenze giuridiche sono questioni separate. Siamo liberi di considerare tali espulsioni sconvenevoli o eccessive, ed è nostro dovere richiamare l’attenzione sulle salvaguardie e i principi applicabili, ma la responsabilità della Commissione si esaurisce nel giudicare la legittimità delle misure adottate dalla Francia. I rimpatri su larga scala potranno sembrare disgustosi, ma lo sono ancor di più se si considera la finta e vuota dedizione alla causa dei diritti umani degli ultimi decenni quando, a livello tecnico, non è stato fatto nulla per alleviare le condizioni di terribile povertà dei rom, ad eccezione del ritornello fatto di parole fredde e distaccate sulla lotta alle discriminazioni e la difesa della tolleranza nel momento in cui tali discorsi risultavano politicamente utili.
Noi rom europei respingiamo l’abuso politico e il travisamento dei nostri problemi. Spetta ai rom avviare la discussione su se stessi per mettere alla luce le problematiche e decidere quali azioni e misure intraprendere. Come dichiarato più volte da questo Parlamento, e segnatamente dal Partito Popolare Europeo, la povertà e l’esclusione sociale dei rom rappresentano una questione europea e richiedono una strategia a se stante; occorre una soluzione europea comune per un problema europeo comune.
Tale strategia deve essere mirata agli aspetti economici dell’esclusione sociale dei rom e dei non rom, quali la disoccupazione strutturale, il livello basso delle qualifiche, il fatto di abitare in microregioni gravemente svantaggiate e le barriere al lavoro indipendente – tutti problemi a cui il nostro popolo cerca di sfuggire quando sceglie di emigrare.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Hannes Swoboda, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, sono profondamente deluso – e lo è anche il mio gruppo – dalle parole pronunciate oggi dalla Commissione.
In primo luogo, il Presidente Barroso: il Presidente Barroso si è espresso meno criticamente di molti altri ministri del governo francese rispetto alle misure adottate. Lo trovo scandaloso. Vicepresidente Reding, le sue parole non costituiscono una risposta chiara. Io e molti cittadini europei vorremmo sapere quanto segue: il governo francese ha violato o no la legge? A settimane di distanza da tali misure, lei non ci può venire a dire “Esamineremo la questione”. Ci dica sì o no, ma la prego di darci una risposta chiara.
Credete a tutto quello che vi dicono i ministri francesi dopo che hanno già adottato le suddette misure. Non sono venuti da noi prima di intraprenderle. Prima hanno espulso le persone, e poi sono venuti a dirle “Siamo nel giusto e non discrimineremo contro nessuno!” Reputo scandaloso che un Commissario sia venuto qui oggi a dirci queste parole. Non è in linea con le sue convinzioni né col suo operato fino ad oggi. Sono pertanto deluso dal fatto che, in merito a questa questione, lei voglia trovare con l’inganno una scappatoia dal problema in maniera così condiscendente.
(Applausi)
Non è completamente all’oscuro della responsabilità che sta assumendo, perché tra qualche settimana un altro paese – forse l’Italia, o magari l’Ungheria o un altro paese – dichiarerà: “Ritiriamo la cittadinanza a queste persone. Se poi risulteranno senza nazionalità, li sistemeremo da qualche parte, in qualche campo”. Avete preparato il terreno a questo genere di reazioni, e la Commissione non sta prendendo posizione in tal senso. Credo che sia scandaloso e, per quanto riguarda il mio gruppo, lo consideriamo inaccettabile.
(Applausi)
Renate Weber, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo il secondo conflitto mondiale il diritto internazionale ha vietato le espulsioni di massa e le deportazioni. L’umanità ha già sofferto a sufficienza a causa di queste politiche barbariche.
Nel 2010 la Francia, il paese in cui sono nati i diritti umani, ha fatto ricorso all’inganno. Si sta avvantaggiando dell’ignoranza del popolo rom, la popolazione più vulnerabile d’Europa, a cui sta offrendo 300 euro per ogni adulto e 100 euro per ogni bambino in cambio della promessa di lasciare il paese. Il governo francese sostiene che si tratta di rimpatrio volontario, e dipinge cinicamente come aiuto umanitario il fatto di aver indecorosamente comprato le coscienze della popolazione rom.
è passato sotto silenzio il fatto che le autorità abbiano preso le impronte digitali degli adulti e persino dei bambini, o che molti di loro non abbiano espresso pieno consenso nella totale consapevolezza delle conseguenze, come confermato anche dal comitato contro la discriminazione razziale delle Nazioni Unite, il che rappresenta una violazione palese del diritto europeo e internazionale.
Eppure questo modello è già stato utilizzato due anni fa dall’Italia, benché la Commissione europea abbia preferito passare la questione sotto silenzio. Per tale ragione, la Commissione ha la sua fetta di responsabilità per questa nuova ondata di deportazione dei rom in seno all’Europa.
La Commissione deve ora dar prova del fatto di essere veramente la custode dei principi e dei diritti fondamentali dell’Unione europea e delle sue leggi.
(Applausi)
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, Vicepresidente Reding, devo ammettere di condividere pienamente la costernazione degli onorevoli Swoboda e Weber. Ci lascia decisamente allibiti che, dopo gli svariati incontri a cui avete avuto modi di partecipare e i vari documenti da voi ricevuti, siate ancora a questo livello di constatazione, o meglio, di mancata constatazione, delle evidenti violazioni perpetrate dal governo francese con l’espulsione dei rom. E non è un argomento nuovo: un anno fa, un gruppo di organizzazioni volontarie vi ha rivolto una petizione su questioni sollevate nuovamente oggi, quali la mancata conformità alla norma del preavviso di un mese prima del rimpatrio di cittadini europei, disposizione sancita nella direttiva sulla libertà di circolazione.
Per quanto riguarda il diritto a un esame personale delle circostanze, non credo serva l’opinione supplementare di esperti per concludere che nel momento in cui in un campo vengono distribuiti in massa ordini di “accompagnamento alla frontiera”, indirizzati a tutti collettivamente, siamo di fronte a una violazione del diritto a un esame della situazione personale. I bambini di sei anni rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico? Servono veramente altre prove, quando la giustizia e i tribunali francesi hanno giudicato tale caso e il governo francese sta facendo un’interpretazione estremamente ampia e illegittima della minaccia in termini di ordine pubblico?
Se vi servono magistrati, esperti o ONG, ve li possiamo fornire noi. Vi preghiamo tuttavia di porre fine a questo atteggiamento di rifiuto della realtà e dell’assunzione delle vostre responsabilità!
La discussione di stamattina è stata scandalosa. Abbiamo sentito il leader del gruppo politico più importante del Parlamento europeo parlare dei rom in relazione ai furti di trattori nel suo comune. Abbiamo sentito José Manuel Barroso, Presidente della Commissione europea, citare le esigenze di sicurezza dei cittadini europei durante la discussione sui rom. In altre parole, al livello più alto della dirigenza politica europea, viene promossa e alimentata la tendenza ad associare automaticamente i rom alla criminalità, alla prostituzione e ai traffici.
Così facendo, mettono in discussione i diritti fondamentali e il significato stesso dell’Europa. Come ricordato stamani dall’onorevole Cohn-Bendit, questo è un banco di prova per lei, Vicepresidente Reding, è un banco di prova per il trattato di Lisbona, un banco di prova della vostra utilità. Sarà in grado di dimostrare, in questa situazione, che la Carta dei diritti fondamentali non è una semplice mistificazione? Tocca a lei, è suo dovere, ed è giunto il momento di dirlo.
(Applausi a sinistra)
Timothy Kirkhope, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, in qualità di ex ministro britannico per l’immigrazione, io e il mio gruppo appoggiamo incondizionatamente la garanzia della parità di diritti e di opportunità per tutti. Convengo con il presidente del mio gruppo, onorevole Kamiński, che ha affermato stamani che questo continente non deve mai più richiamare in vita i fantasmi dei passati nazionalismi, che l’UE è una zona di libertà e che la tolleranza è la sua maggiore conquista. Dovremmo andarne fieri, ma non dobbiamo mai cedere alla tentazione di credere di aver risolto tutti i nostri problemi più gravi.
è fuor di dubbio che la questione richiede discussioni, riflessioni e interventi su come trattiamo i gruppi minoritari, come possiamo migliorare l’integrazione dei rom, e come rispettare l’equilibrio tra diritti e poteri dei governi nazionali e dell’UE. Ritengo tuttavia che la nostra Unione poggi sul principio dello stato di diritto.
Pur essendo diritto dei deputati sollevare perplessità giustificate in tale discussione, vi chiederei di attendere che la Commissione, custode dei trattati, emetta una sentenza formale sulla questione. A quel punto potremo esprimere giudizi informati sulla base di tutti i fatti e decidere come procedere per migliorare l’integrazione del popolo rom in Europa, invece di condannare preventivamente uno Stato membro.
Cornelia Ernst, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il cosiddetto esodo volontario dei rom dalla Francia è un caso evidente di espulsione – per di più della popolazione più numerosa e antica tra le minoranze europee. Tale mossa incoraggerà i politici di destra e di estrema destra. Dobbiamo respingere tali azioni – anche in seno a quest’Assemblea. è essenziale.
Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica esige pertanto che venga posto fine a tali deportazioni. Vicepresidente Reding, mi sarebbe piaciuto che anche lei ci invitasse a pretendere una sospensione di tali deportazioni e anche tutto quello che ne sarebbe seguito. Il governo del Presidente Sarkozy sta violando il diritto comunitario, poiché sta perpetrando la deportazione collettiva dei rom, che provengono da paesi membri dell’Unione, senza tener conto dei casi individuali, poiché sta trasgredendo al principio della libertà di circolazione, sta violando la Carta dei diritti fondamentali e sta contravvenendo alla parità di trattamento sancita dalla Carta stessa.
Vi voglio dire in tutta onestà che è finalmente giunto il momento di agire. Abbiamo già dibattuto la questione innumerevoli volte. Dobbiamo ora adottare misure reali che determinino un cambiamento.
I rom sono a casa propria qui in Europa. Sono parte della Comunità europea e dovrebbero continuare a esserlo. Dobbiamo accertarci che ciò accada. Pertanto critichiamo anche la deportazione dei rom dalla Germania, dall’Austria, dalla Svezia, dall’Italia, dal Belgio e da altri paesi dei Balcani occidentali. Ci occorre una strategia europea integrata che comprenda tutti i rom, non solo alcuni. Dobbiamo combattere per conseguire questo obiettivo.
L’ultimo punto che vorrei sollevare è che l’idea europea di solidarietà e di autodeterminazione deve emergere con chiarezza nella nostra gestione della minoranza rom, altrimenti è come se non esistesse.
Mario Borghezio , a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sentito attacchi al governo francese, come a suo tempo erano stati fatti al governo italiano, e attacchi molto duri anche alla Commissione. In realtà, queste accuse sono del tutto pretestuose.
Non ho sentito alcuna contestazione a un dato, quello fornito dalle autorità di polizia francesi, e cioè che nei diciotto mesi successivi all'esodo dei Rom dalla Bulgaria e dalla Romania vi è stato un incremento dei furti superiore al 250 percento. A questo proposito, forse qualche domanda bisognerebbe porla a Romania e Bulgaria, che con molta leggerezza sono state fatte entrare nell'Unione europea senza risolvere prima questo problema.
Bisogna parlare chiaro anche a questi signori che vengono, ospiti degli altri Stati, di cui devono rispettare i cittadini, non entrando abusivamente nelle loro case e compiendo azioni che non sono proprie di chi è ospite, che deve rispettare, deve essere tutelato – come dicono quelli che ci parlano degli alti principi – ma ci sono anche le vittime dei reati: gli altri cittadini onesti dell'Unione europea che forse motivatamente non sempre gradiscono di avere come vicini di casa i rom.
Queste sono le cose scomode che la maggioranza dei cittadini e del popolo pensa e che certi buonisti non hanno il coraggio di ammettere, perché è la verità che qualche volta bisogna anche avere il coraggio politico di dire ....
(Il Presidente interrompe all'oratore).
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, non voglio difendere il governo francese. Il Presidente Sarkozy e il ministro Hortefeux sono stati entrambi eurodeputati. Avrebbero dovuto sapere che i trattati da loro avallati – il trattato di Maastricht, il trattato di Amsterdam, il trattato di ratifica e il trattato di Lisbona, nella cui elaborazione Nicolas Sarkozy si vanta di aver svolto un ruolo fondamentale – avrebbero effettivamente aperto le frontiere a chiunque desiderasse venire e stabilirsi nel nostro paese.
Tuttavia, malgrado ciò, sono sorpreso e attonito innanzitutto per il travisamento della situazione giuridica da parte dei miei onorevoli colleghi, che sembrano aver dimenticato che i cittadini dell’Unione europea provenienti dall’Europa centrale e orientale non godono ancora del diritto definitivo di stabilirsi nei nostri paesi, che acquisiranno soltanto nel 2013.
In secondo luogo, tutti parlano di una minoranza oppressa, ma onorevoli deputati, credete seriamente che per sei secoli i rom non si siano integrati nei paesi dell’Europa centrale e orientale in cui risiedono semplicemente perché i rumeni, i bulgari e gli ungheresi sono malvagi o perché sono stati perseguitati dagli slovacchi, dai cechi, dagli sloveni o dai serbi?
Il vostro atteggiamento angelico è in realtà un’altra forma di razzismo, un razzismo che viene di fatto applicato alle popolazioni autoctone che, come i cittadini del mio paese, e mi dispiace dirlo, non vogliono che 12 milioni di rom vengano a vivere da loro. L’unica soluzione, come avete voi stessi suggerito, è uscire da quest’Europa.
(Applausi)
Manfred Weber (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non è un caso che noi, come gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano), abbiamo lasciato che oggi prendesse per prima la parola la nostra collega, onorevole Járóka, unica rappresentante della minoranza rom in questo Parlamento. L’abbiamo fatto perché il gruppo PPE preferirebbe di gran lunga concentrarsi sui problemi attuali di questa popolazione. Non vogliamo mettere in piedi uno show politico – non ci interessa il Presidente Sarkozy – vogliamo parlare dei problemi della minoranza rom e di come aiutarla a risolverli.
Su questa considerazione poggia anche la nostra risoluzione. Onorevole Swoboda, ha dichiarato che è scandaloso che la Commissione abbia tratto queste conclusioni. Non posso che dirle che è lei a ritenere scandaloso il fatto che la Commissione non si presti allo show politico che lei vuole allestire e abbia invece espresso un commento serio sulla situazione.
In secondo luogo, per quel che riguarda la libertà di circolazione, abbiamo già detto tutto. Disponiamo di regole chiare in seno all’Unione europea. La libertà di circolazione è soggetta a determinate restrizioni; può essere limitata su base individuale, ed è anche quello che è successo in Francia.
Il mio terzo punto è anche quello più importante. Ai fini del dibattito politico sulla questione, dobbiamo chiederci come integrare le minoranze presenti in Europa nelle nostre società. Se partiamo tutti dal presupposto che siamo tolleranti e di vedute aperte, ci muoviamo su un terreno comune. Se, facendo un passo ulteriore, accettiamo anche il fatto che circa il 90% sta andando nella direzione della maggioranza della società, che dovremmo veramente unire le forze e prendere seriamente l’integrazione, continuiamo a trovarci tutti d’accordo. Quel che ci divide è la questione di come gestire gli immigrati – indipendentemente dalla loro tipologia – che non accettano quel che la maggioranza della società ha da offrire, che si rifiutano di cooperare, e che non si conformano alle regole di base.
La sinistra di quest’Assemblea continua a insistere sul fatto che dovremmo offrire qualcosa a queste persone. Noi del gruppo del PPE affermiamo che anche gli immigrati devono accettare le nostre offerte. Se non si tiene conto di tale requisito e non lo si ribadisce con forza, se non c’è uno Stato che lo faccia proprio, si finisce per minare alla disponibilità dei cittadini a integrare il prossimo, e si presta il fianco all’operato della destra in quest’Aula, se non si permette allo Stato di intervenire con decisione. Siamo autorizzati a dire anche questo.
(Applausi)
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione “cartellino blu”, ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Rui Tavares (GUE/NGL). – (EN) Signor Presidente, ringrazio il collega Weber per aver accettato l’interrogazione.
Ha affermato che la libertà di circolazione non è illimitata in Europa – e legalmente ha ragione – ma che può essere soggetta a restrizioni su base individuale.
Che prove ha del fatto che questo tipo di deportazioni vengono condotte su base individuale, e come può contraddire le informazioni di cui disponiamo, sia dalla stampa sia dalle ONG che hanno seguito il caso, secondo cui il criterio principale alla base della deportazione, anzi, l’unico criterio, è di natura etnica?
Manfred Weber (PPE). – (DE) Signor Presidente, grazie dell’interrogazione. La risposta è anche piuttosto semplice. La questione sul recepimento o meno di una legge viene decisa in Europa dai politici o dai giornalisti. In seno all’Unione europea, tale decisione spetta ai tribunali. Nell’Unione europea – e anche in Francia – la situazione è tale per cui i membri dei gruppi rom interessati possono rivolgersi ai tribunali e presentare un ricorso contro tale decisione su base individuale. è già successo.
Il Commissario ha precisato che i magistrati francesi ricorrono anche al diritto europeo come base per le loro decisioni. Non sono pertanto i giornalisti che decidono se sono state o meno applicate determinate leggi nell’Unione europea, sono i tribunali, e stando alla dichiarazione della Commissione, è così che funzionano le cose sia in Francia sia negli altri Stati membri dell’Unione europea.
Ioan Enciu (S&D). – (RO) Il 24 giugno di quest’anno lei ha confermato in una risposta a un’interrogazione parlamentare che la relazione dell’Agenzia per i diritti fondamentali dipinge un quadro lugubre per i 12 milioni di rom presenti nell’Unione europea.
Se la Commissione non si esprimerà con forza contro la crisi scatenata dalle espulsioni etniche perpetrate dalle autorità francesi, la decisione quadro sulla lotta contro determinate forme ed espressioni di razzismo e xenofobia corre il rischio concreto di rimanere nulla di più di un’ammirevole intenzione. Lo stesso vale anche per il piano d’azione del programma di Stoccolma, da lei citato nel suo intervento.
Dopo aver invocato una presunta recrudescenza della criminalità di matrice etnica impossibile da verificare, oltre a cifre pari a centinaia di migliaia di rom che rappresenterebbero una minaccia per la pace delle città occidentali, le autorità francesi non sono riuscite ad addurre altra argomentazione che non l’allontanamento di qualche centinaio di cittadini dalle condizioni disastrose di campi improvvisati, che sono stati convinti a rimpatriare volontariamente nei loro paesi d’origine in cambio di denaro.
Dobbiamo constatare che, oltre ai rom in Francia, vi sono qualche centinaio di migliaia di rom in Romania che vengono ignorati dal loro stesso governo, ma che non possono essere ignorati da qualsiasi strategia volta a integrarli e a migliorare la loro situazione nel contesto di un’Europa unita.
Entrambe le situazioni vanno affrontate con un approccio specifico e interdipendente. La questione non è se i rom appartengano solo alla Romania o all’intera Europa, bensì come correlare le misure di integrazione adottate a livello europeo con quelle tese a migliorare la situazione a livello nazionale. La Commissione deve passare dalle parole, dalle strategie e dai fatti…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Sophia in 't Veld (ALDE). – (EN) Signor Presidente, in Europa disponiamo di un mercato interno perfettamente riuscito. Una delle ragioni alla base di ciò è l’estrema determinazione dimostrata dalla Commissione nell’imporre le regole del mercato. Vorrei tuttavia che la Commissione desse prova di pari convinzione nell’applicazione dei diritti fondamentali in Europa.
(Applausi)
Per questo motivo, Commissario, il mio gruppo ha tanto insistito per avere un Commissario europeo speciale per i diritti fondamentali. Ed è lei a ricoprire questo ruolo. Ci attendiamo che lei si erga a difesa non dei governi europei, bensì dei cittadini europei, e se non le piace quello che vede, non dovrebbe chiudere gli occhi di fronte a quello che accade in Europa, dovrebbe agire.
Non vogliamo parole in quest’Assemblea, non dal Presidente Barroso, non da lei. Potremmo evitare questa discussione se fossimo sicuri che la Commissione europea ha intenzione di far rispettare le norme – non solo le norme sull’immigrazione e la libertà di circolazione, ma anche i diritti fondamentali – perché è l’unico modo per far diventare l’Unione europea una comunità di valori capace di riscuotere il medesimo successo del mercato interno.
(Applausi)
Franziska Keller (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, è lodevole e importante parlare dell’integrazione dei rom, e mi chiedo per quale ragione la Commissione abbia notato soltanto adesso che alcuni dei fondi non sono stati impiegati in maniera opportuna. Inoltre, è importante parlare di come è possibile adeguare le realtà presenti negli Stati membri per soddisfare le esigenze del popolo rom, ma non credo che sia questo il tema della discussione odierna. Oggi trattiamo la questione delle deportazioni di massa perpetrate dalla Francia ai danni dei rom, e nemmeno un’integrazione carente può essere una giustificazione per le deportazioni di massa.
è evidente che i rom in Francia non vengono espulsi su base individuale e non vedo come si possa non rendersene conto. Reputo preoccupante che la Commissione, custode dei trattati, non osi dirlo apertamente, che non osi salvaguardare i trattati e la Carta dei diritti fondamentali. Non possiamo permettere le punizioni collettive. Vi chiedo di assumere una posizione forte e di non chiudere gli occhi di fronte alla discriminazione contro i rom in Francia e anche in altri Stati membri, in quanto disonora l’Unione europea.
(Applausi)
Derk Jan Eppink (ECR). – (NL) Signor Presidente, quando lavoravo come corrispondente per l’Europa orientale, ho avuto modo di constatare i problemi che affliggono i rom. Si trattata di un problema sociale enorme, e in passato i regimi socialisti non sono stati in grado di trovare una soluzione. Adesso è un problema che appartiene all’Europa. è troppo facile vedere la situazione dei rom solamente attraverso la lente del razzismo o della xenofobia, come sta attualmente facendo la sinistra. Gruppi di persone che viaggiano per l’Europa a bordo di roulotte, senza reddito fisso, a lungo andare causano disagi. Ed è inevitabile, perché di cosa devono vivere queste persone? L’Europa garantisce la libera circolazione delle persone, ed è un vantaggio innegabile. Tuttavia, chi gode di questo diritto ha anche dei doveri, dei quali si discute troppo poco qui in Parlamento. Il primo tra questi doveri è evitare di causare fastidi. Gli uomini spediscono le donne rom per le strade a mendicare. Com’è la situazione dei diritti delle donne nella comunità rom? Ho visto bambini mendicare per le strade quando sarebbero dovuti essere a scuola; come stanno le cose in termini di frequenza scolastica obbligatoria? Se vengono commessi dei reati, sono i cittadini comuni a subirli e non, di norma, i leader politici di sinistra, che vivono nelle loro torri d’avorio. Per andare a fondo della questione, chiederei loro di essere ospitali e di accogliere una famiglia rom a casa propria.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, esistono molti pregiudizi sui rom. Si è già detto molto. Condivido l’indignazione di alcuni dei miei onorevoli colleghi, ma vorrei fornirvi delle informazioni di contesto per mettere le cose in chiaro.
In primo luogo, nessun rom era implicato negli eventi che hanno scatenato la polemica xenofoba e di sicurezza di quest’estate in Francia. è stato semplicemente un tentativo di distogliere l’attenzione dalla verità. Non ha nulla a che vedere con il rimpatrio di persone che hanno commesso o che sono sospettate di aver commesso atti criminali. Tutti gli individui che sono stati rimpatriati avevano la fedina penale pulita. La verità è che si è voluto prendere di mira un’etnia e usarla come capro espiatorio.
Qual è la procedura seguita per le espulsioni? Vengono effettuate sistematicamente mediante operazioni di evacuazione dei campi di fortuna. Intervengono le forze di polizia, solitamente la mattina presto, e viene rilevata l’identità delle persone. Tali dati vengono poi utilizzati per redigere ordini collettivi di abbandono del paese, elaborati utilizzando un modello standard. Quindi, in assenza di un esame individuale. I campi vengono poi smantellati e le persone evacuate non hanno nemmeno il permesso di recuperare gli effetti personali. Esistono testimoni oculari.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Gerard Batten (EFD). – (EN) Signor Presidente, la Francia ha deciso che non vuole che le si presentino sulla soglia schiere numerose di rom senza invito, ma il fatto è che l’invito è stato loro già rivolto. L’intera questione è il risultato diretto della direttiva 2004/38/CEE sul diritto alla libera circolazione dei cittadini comunitari.
Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di vivere in un altro paese UE. Come è già successo ripetutamente con la legislazione comunitaria, nella pratica si è tradotta in una situazione assurda. Dagli altri paesi membri non arrivano solamente cittadini colti e qualificati dotati di un’etica del lavoro salda. Significa che non abbiamo modo di difenderci dall’ingresso di criminali e di individui socialmente sgraditi.
I governi francesi sono sempre stati entusiasti dell’Unione europea. Adesso stanno scoprendo sulla propria pelle che non possono avere l’UE senza i rom. Ora i francesi vorrebbero unirsi agli italiani e proclamare “arrivederci Roma”. Ebbene, non possono farlo. è meglio aderire all’UKIP ed esclamare “addio Unione europea”.
Corneliu Vadim Tudor (NI). – (RO) Se gli Stati d’Europa hanno un comune denominatore, questo non è la moneta, né l’economia né tanto meno la civiltà; il loro comune denominatore sono gli zingari.
Come storico e sociologo, utilizzerò il termine “zingari”, che non ha connotazioni spregiative o peggiorative, soprattutto visto che il termine “rom” è artificiale e artefatto. Dopo tutto, proprio 125 anni fa, Johann Strauss compose l’operetta “Lo zingaro barone”, e non “Il barone rom”.
è deplorevole che persista la mancata distinzione tra rom e rumeni. Ho constatato che, per quanto riguarda gli zingari, in tutto il mondo abbondano i pregiudizi razziali, gli stereotipi fasulli e la falsificazione della realtà. Ci sono persone che li chiamano rom e li detestano, mentre io li chiamo zingari e li amo.
Né gli zingari né il mio paese, la Romania, sono colpevoli di quanto sta attualmente accadendo. L’ondata più significativa di emigrazione degli zingari verso l’Europa si è verificata nel 1241, ai tempi della grande invasione mongola. Vennero in Europa come artigiani qualificati di servizio nelle truppe ausiliarie.
Il fatto che, dopo tanto tempo, la Romania conti più rom del resto d’Europa è dovuto a ondate successive di espulsioni e persecuzioni che hanno avuto luogo nell’arco di 500 anni nella maggior parte dei paesi del vecchio continente. E la Romania viene ora messa alla berlina perché è stata eccessivamente tollerante e ospitale.
L’espulsione di massa degli zingari non è una soluzione. Non è un’esperienza piacevole vedere la propria vita agiata andare in frantumi, me ne rendo conto, ma quando vengono commessi dei reati, la legge va applicata caso per caso invece che optare per sanzioni collettive.
Perché il governo parigino non li espelle direttamente in India, loro paese d’origine?
Simon Busuttil (PPE). – (MT) La terribile situazione in cui versa la maggioranza delle comunità rom è senza dubbio fonte di imbarazzo per l’Europa. Molte di queste persone vivono nella trappola della povertà e devono essere liberate senza indugio. Eppure, se c’è una cosa che ancor più imbarazzante di questa, sono le manipolazioni e l’opportunismo politico praticati da coloro che stanno convertendo la questione in un gioco politico indecente. A mio parere, è scandaloso e imbarazzante anche per l’Europa, in quanto questo genere di manipolazioni politiche distorce l’intera questione. Il vero problema è la situazione della comunità rom e come aiutarla ad uscirne. Per questa ragione il Partito Popolare Europeo si sta adoperando attivamente per garantire l’elaborazione di una strategia efficace per aiutare queste persone, una strategia che riunisca istituzioni e Stati membri e coinvolga direttamente i rom. Va poi considerata la norma sulla libera circolazione. Tale legge conferisce diritti oltre che doveri, ed entrambi devono essere applicati appieno. Ne consegue che, se qualcuno viola la legge, rischia di essere deportato. Se noi, soprattutto noi appartenenti ai partiti di maggioranza, non applichiamo tale norma e aderiamo ai diritti umani, i cittadini, i nostri elettori, voteranno a favore di partiti estremisti e populisti, e chiederanno loro di applicarle.
Sylvie Guillaume (S&D). – (FR) Onorevoli deputati, voglio esprimere la mia più profonda condanna della condotta tenuta dal governo francese, che ha sfruttato la situazione dei rom per usarli come capro espiatorio, come hanno fatto e continuano a fare altri governi dell’Unione europea.
L’obbligo imposto alle persone di lasciare il paese, i raid nei campi nelle prime ore del mattino, la separazione delle famiglie, le minacce, la distruzione dei pochi beni in possesso delle persone e la loro espulsione: è così che il governo francese ha usato i rom quest’estate, nel tentativo di addossare loro la colpa del clima di insicurezza e per coprire la propria difficoltà di gestione dei problemi economici e sociali del paese.
Tali affermazioni e tale condotta sono deplorevoli e riprovevoli. Tuttavia, devono servire come stimolo per una reazione decisa da parte di tutti coloro che ritengono che il dovere di rispettare i diritti non sia soltanto argomento di dichiarazioni, bensì una realtà intoccabile che ci costringe ad agire.
Pertanto, se la Commissione europea ritiene veramente di avere il dovere di esprimere un giudizio, ci deve far sapere immediatamente, senza mezze misure, se il governo francese abbia o meno violato il diritto comunitario e la Carta dei diritti fondamentali. Credo di avere un’idea di quale potrebbe essere la risposta.
La Commissione europea deve attuare tutti gli aspetti del piano d’azione per l’integrazione dei rom come parte di un approccio onnicomprensivo mirato in particolare all’istruzione, all’occupazione, alla protezione sociale e all’assistenza sanitaria. A tal fine, la Commissione deve impegnarsi nel coordinamento delle proprie politiche. La lotta contro le discriminazioni è uno dei nostri obiettivi comuni e la Commissione deve dare prova di una volontà politica forte in tal senso. Reputo che sia una sfida adatta al 2010 che, vorrei ricordarlo, è l’Anno europeo di lotta contro la povertà e l’esclusione sociale.
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signor Presidente, la Vicepresidente Reding mi ha sicuramente convinto che prenderà seriamente la questione e che si sta adoperando molto in tal senso con i colleghi.
Tuttavia, condivido con altri colleghi l’impazienza di sapere se la Commissione reputi o meno che la Francia abbia violato il diritto comunitario. Spero che avremo molto presto risposta e che scopriremo anche se la Commissione intende avviare una procedura di infrazione contro la Francia – e di fatto contro tutti gli Stati membri che lo meritino – per la violazione della direttiva in materia di libera circolazione.
Come ribadito già da altri, ammetto che siano previste restrizioni ai diritti di residenza ai sensi della direttiva sulla libertà di circolazione e, a ben vedere, ai sensi degli accordi – purtroppo – temporanei di adesione, ma vogliamo che la Commissione ci indichi con precisione se tali norme sono state violate.
Un aspetto che non è stato menzionato altrove – e si tratta di una questione molto delicata, che consente al governo francese di trovare una scappatoia per la problematica della discriminazione sulla base dell’etnia – è che la Francia non raccoglie dati di carattere etnico. Pertanto, quando il ministro Lalouche ha dichiarato in una riunione a cui ho presenziato che un giovane arrestato su quattro in Francia è di nazionalità rumena, non ha voluto assumersi la responsabilità di affermare che si trattava di ragazzi rom.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Catherine Grèze (Verts/ALE). – (FR) Sì, tocca alla Francia conoscere l’era delle espulsioni. Si tratta di espulsioni di massa basate sull’appartenenza a un’etnia, completamente contrarie al diritto comunitario. In quest’epoca di “social-sarkozismo”, l’unica domanda che affiora alle labbra dei cittadini francesi è “Oggi è il turno dei rom, a chi toccherà domani?”. Se vogliamo “pensare europeo”, come ci ha ricordato stamani il Presidente Barroso, è tempo di dimostrare che il nostro pensare europeo non è confinato al mondo dell’economia.
Presto l’Europa dovrà affrontare il proprio passato e riconoscere il genocidio degli zingari. Le affermazioni di alcuni dei nostri eurodeputati di estrema destra mi fanno rabbrividire. In questo momento, se vogliamo garantire che le nostre minoranze vengano trattate con rispetto, tutelare i nostri valori e conformarci alla Carta dei diritti fondamentali, che fa parte del trattato di Lisbona, c’è solo un’alternativa, vale a dire condannare la Francia.
Dimitar Stoyanov (NI). – (BG) Il problema dei rom è particolarmente sentito in Bulgaria. Le centinaia di migliaia di rom che vivono in Bulgaria sono intenzionalmente tenute in uno stato di povertà dai capi zingari, che hanno l’opportunità di gestire grandi bande criminali organizzate che operano sfruttando la miseria degli altri rom. Ogni cittadino bulgaro che diventa vittima della criminalità rom subisce questo stesso destino.
Prima dell’adesione della Bulgaria all’Unione europea, sono state mosse molte critiche alle nostre scarsissime opportunità di integrazione, decimate dalla debolezza economica. Eppure a cosa assistiamo oggi? La grande Francia, paese fondatore ed economia di punta dell’Unione europea, è incapace di gestire l’integrazione di poche centinaia di rom, figuriamoci l’economia indigente della Bulgaria, dove vivono centinaia di migliaia di rom. Le azioni del governo francese non vanno a beneficio di nessuno, tanto meno dell’Unione europea. Le espulsioni mettono in evidenza l’applicazione di due pesi e due misure non solo ai rom, ma anche a tutti i cittadini bulgari, e questo è fonte di profonda delusione. I bulgari e Attack, quale partito conservatore, si attendono una dimostrazione di solidarietà al momento di risolvere questi problemi. Il piano di azione paneuropeo annunciato dal Presidente Barroso è essenziale, in quanto il problema è già di dimensione paneuropea.
Grazie.
Monica Luisa Macovei (PPE). – (RO) Le discriminazioni e le espulsioni collettive sono vietate. Lo dice la legge che noi tutti appoggiamo, indipendentemente dal gruppo politico di appartenenza. La Commissione deve presentare immediatamente, in maniera chiara e ufficiale, una revisione di ciascun caso, nonché indicare i responsabili e le misure da adottare.
Qualsiasi associazione generica tra l’etnia rom e la criminalità conduce al razzismo e alle discriminazioni. La responsabilità penale è individuale e confermata sulla base di prove e procedure specifiche.
Vorrei tuttavia che sottolineassimo con onestà la responsabilità di ognuno, compresa la responsabilità delle autorità rumene e dei politici di ogni fazione per tutto quello che hanno fatto, o hanno omesso di fare, per questa minoranza etnica negli ultimi 20 anni. Tra parentesi, per chi di voi non lo dovesse sapere, io sono cittadina rumena.
Dobbiamo unire le forze adesso, come paesi membri e istituzioni europee, e attuare la strategia per i rom, indipendentemente da dove si trovino queste persone.
Claude Moraes (S&D). – (EN) Signor Presidente, le questioni cruciali per questo Parlamento sono le problematiche di base della povertà e dell’esclusione sociale dei rom, e noi assumeremo seriamente le nostre responsabilità. Ma nessuno dubita del fatto che il motivo per cui siamo oggi riuniti in quest’Aula in presenza dei Commissari e del Consiglio è per scoprire cosa pensa la Commissione, custode dei trattati, dell’azione collettiva francese – come definita dalla Vicepresidente Reding – contro i rom.
Ora, se vuole posticipare e darci una risposta in un secondo momento, lo accettiamo. Ma noi siamo qui per scoprire, signora Commissario, non soltanto se darà seguito alla sua decisione, bensì quale sia tale decisione. Se può fornire soltanto una risposta debole e confusa alla domanda se si sia trattato di punizioni collettive – le parole da voi usate – o se siano state promosse azioni caso per caso, come previsto dalla direttiva europea sulla libertà di circolazione, lei ha il dovere di dircelo. Ci aspettiamo da lei una risposta.
Quando avremo tale risposta, saremo in grado di capire che gli altri paesi non possono sfruttare come precedente la punizione collettiva di una minoranza etnica tra le più numerose dell’Unione europea. Questo per noi è un fattore critico oggi, e le chiedo di essere più specifica, di adempiere alla sua funzione di custode dei trattati. Solo allora potremo passare alla strategia per i rom, che tutti in questo Parlamento sembrano desiderare, e che serve per sanare i problemi che portano all’esportazione della povertà e dell’esclusione sociale nell’Unione europea.
Ma oggi parliamo di espulsioni Riteniamo che siano illegali e che lei ci abbia fornito una risposta debole e confusa. Sia più specifica. Si comporti da custode dei trattati.
Marielle De Sarnez (ALDE). – (FR) A mio parere, questa discussione può essere utile a due condizioni: numero uno, se porta a un miglioramento delle condizioni di vita di una popolazione, in altre parole, dei 10 milioni di rom che vivono attualmente in una situazione estremamente vulnerabile, e numero due, se induce tutti noi ad assumerci le nostre responsabilità. Personalmente, ritengo che dobbiamo tutti fare ordine a casa nostra, a partire dai paesi d’origine, che devono attuare politiche d’integrazione più efficaci, in quanto i rom vengono spessi respinti ed emarginati in tali paesi. Le cose devono cambiare. Anche nei paesi ospiti – e penso all’Italia del passato e al mio paese, la Francia, adesso – dove i leader politici hanno dato troppo spesso l’impressione di puntare il dito, di stigmatizzare un’intera comunità e di usare i rom come capro espiatorio facile per i timori e la sfiducia generali. è inaccettabile. L’Unione europea non può tollerare politiche discriminatorie, l’Unione europea che non ha saputo valutare la portata della questione ai tempi dell’allargamento. I miliardi che sono stati spesi non sono serviti a nulla per migliorare la vita quotidiana dei rom. Occorre recuperare il tempo perduto e introdurre un piano d’azione lungimirante per l’integrazione che coinvolga la Commissione, gli Stati membri e le autorità locali, che troppo spesso assumono il ruolo dei governi centrali al momento di offrire accoglienza ai rom. Grazie.
Andrey Kovatchev (PPE). – (BG) Vorrei innanzi tutto esortare gli onorevoli colleghi a resistere alla tentazione di sfruttare la discussione sul tema “Situazione dei rom in Europa” per conseguire obiettivi politici di breve termine e attaccare governi europei specifici. Non è opportuno opporsi all’argomento sulla base di convinzioni di partito. Dalla sinistra non mi sono giunte proposte concrete, solamente attacchi. Ci occorre una strategia a lungo termine per integrare questa minoranza. Mi aspetto naturalmente che gli Stati membri rispettino la legislazione europea e garantiscano la piena applicazione della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione europea conformandosi alle norme statutarie e ai requisiti amministrativi in vigore in ogni paese membro. Tra questi figurano anche pari diritti e obblighi – consentitemi di sottolineare con enfasi il termine “obblighi” – per ciascun cittadino comunitario.
Occorre un approccio individuale. Non va bene un’impostazione generica che consenta la censura o la stigmatizzazione di popoli o gruppi collettivi sulla base della loro etnia o di altri tratti minoritari. L’integrazione dei rom non è una questione che riguarda soltanto uno Stato membro nel cui territorio tale minoranza si è insediata nel corso degli anni. Si tratta di una problematica paneuropea che, come tale, richiede una soluzione paneuropea.
Ci serve una strategia elaborata dalle istituzioni europee e dai paesi membri dell’Unione, dai rappresentanti della comunità rom e dalla società civile. Tuttavia, per far sì che tale strategia non si esaurisca in parole scritte sulla carta, la stessa deve essere efficacemente tradotta in pratica, il che richiede una volontà in tal senso di entrambi i fronti, sia della minoranza sia della maggioranza. Dobbiamo agire compatti sulla base dei nostri valori comuni di tolleranza, libertà, sicurezza e solidarietà, per individuare una risposta equilibrata a questa grande sfida che si profila all’orizzonte del continente.
Infine, non voglio che il legame con Schengen venga direttamente o indirettamente incluso...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Kinga Göncz (S&D). – (HU) L’espulsione dei rom dalla Francia solleva questioni relative ai diritti fondamentali, nonché ai valori fondamentali. Oggi se n’è parlato a profusione. Dal punto di vista politico, il fatto probabilmente ancor più importante è che un’etnia vulnerabile e particolarmente povera è stata etichettata e criminalizzata. Ciò viola il diritto alla libertà dalle discriminazioni e potrebbe anche aprire la strada a tendenze pericolose. Il Presidente Sarkozy ha già trovato dei seguaci. In Ungheria, il partito di estrema destra, Jobbik, intrattiene già l’idea di revocare la cittadinanza dei rom ungheresi e di chiudere i rom nei campi. L’eurodeputato del partito Jobbik parla di insediamenti di pubblica sicurezza e di integrazione forzata.
Durante l’estate la Commissione ha preso provvedimenti lenti, incerti e inefficaci. Avrei qualche domanda. Cosa intende fare la Commissione per la diffusione di questo linguaggio dell’odio, per l’intensificazione dell’esclusione sulla base dell’etnia che sta avvelenando sempre più l’Europa? Quando disporremo di una strategia europea onnicomprensiva sui rom che possa impedire ai paesi di rimbalzarsi il problema, e cosa ha in animo di fare la Commissione per monitorare l’impiego delle risorse europee e garantire che migliorino effettivamente la situazione dei rom?
Luigi de Magistris (ALDE) . – Signor Presidente, onorevoli colleghi, trovo molto grave la decisione del presidente Sarkozy, che ancora una volta per nascondere problemi politici interni – come già accaduto in Italia – cerca di recuperare il consenso criminalizzando i diversi e gli immigrati, cercando consenso sull'ansia della sicurezza sociale.
L'Europa, prima ancora che l'Europa dei mercati, deve essere l'Europa dei diritti, l'Europa della solidarietà e l'Europa dell'inclusione. Ecco perché subito è stato rincorso Sarkozy dalla dichiarazione gravissima del ministro dell'Interno italiano che vuole adottare il metodo Sarkozy ed estenderlo ai comunitari, espellendo i comunitari senza reddito e senza dimora.
Quindi, invece di favorire politiche di inclusione, politiche che riducono le disuguaglianze sociali e tendono ad unire, si cerca ancora una volta di criminalizzare. Questo è molto grave perché gli immigrati, i diversi, coloro che vengono considerati ai margini della società sono utili quando servono, per esempio, per il lavoro nero, quindi i doveri li hanno ma non hanno diritti. Se un diverso, un rom o un immigrato compie un reato viene punito, ma non deve essere un pretesto per giustificare espulsioni gravissime.
La Commissione deve reagire se vuole un'Europa della solidarietà, dell'uguaglianza e delle libertà.
Mario Mauro (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come ho già detto questa mattina in un altro dibattito, vorrei che ci aiutassimo a prendere sul serio le cose che diciamo.
Se è vero – come affermano i colleghi socialisti e liberali – che il comportamento del governo francese è antidemocratico e se è vero che la Commissione – a detta del collega, onorevole Swoboda – è debole o complice addirittura di questo comportamento, perché allora quest'ultimo è stato avallato dai membri della Commissione provenienti dalle famiglie socialista e liberale? E perché questi Commissari non si dimettono, mettendo così Commissione e governi di fronte alle loro responsabilità?
Se invece è tutta propaganda, è propaganda fatta per l'appunto per non affrontare il cuore del problema, perché il cuore del problema e la prima strategia è che al centro di tutto c'è la persona. Persona è il cittadino di etnia rom, persone sono i nostri poveri, perché le difficoltà dell'integrazione si concentrano nei quartieri di periferia e pesano sugli strati più poveri della popolazione; tutte queste persone hanno bisogno di regole certe.
Che cosa chiediamo, che cosa ha chiesto il governo francese? Di applicare le direttive dell'Unione europea che in questo Parlamento abbiamo votato, di dare regole certe per un futuro buono della nostra gente.
Rita Borsellino (S&D) . – Signor Presidente, signora Commissario, signor rappresentante del Consiglio, onorevoli colleghi, la decisione del governo francese di espellere più di mille rom è un fatto di estrema gravità, soprattutto se si pensa che questo provvedimento è stato fatto per motivi propagandistici e populisti in un momento in cui il governo francese non gode certo del favore dell'opinione pubblica, e questa è la vera manipolazione politica.
Con questo provvedimento si lede prima di tutto il principio di cittadinanza europea. La restrizione di questo principio, secondo quanto stabilito dalla direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione, deve avvenire in casi particolari ed essere valutato caso per caso. Non mi sembra che tutto questo sia avvenuto.
Compito della Commissione, come guardiana dei trattati, è proprio quello di intervenire tempestivamente e valutare attentamente comportamenti xenofobi e non conformi al diritto comunitario da parte degli Stati membri. Del resto, voglio ricordare che con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali ha forza vincolante e proibisce ogni sorta di discriminazione fondata sull'origine etnica o la nazionalità.
Oggi questo dibattito ci dà l'opportunità di sapere cosa pensano e come agiranno Commissione e Consiglio su questi provvedimenti, anche perché, con tutta sincerità, la risposta della Commissione mi è sembrata un po' tardiva.
Concludo chiedendo alla Commissione e al Consiglio che ne è stato del piano d'azione per lo sviluppo di una strategia europea in favore dei rom e della loro integrazione e in che modo venga impiegato dalla Francia e dagli altri Stati membri il denaro europeo destinato all'integrazione delle minoranze etniche.
PRESIDENZA DELL’ON. TŐKÉS Vicepresidente
Jean-Pierre Audy (PPE). – (FR) Signora Vicepresidente, Commissario, onorevoli colleghi, sono allibito dall’ipocrisia di numerosi interventi a cui ho appena assistito, e voglio ricordare che lo stato di diritto è ben saldo in Francia. Non abbiamo politiche discriminatorie; come se non bastasse, non riconosciamo nemmeno le minoranze. La repubblica è una e indivisibile. Prendiamo le decisioni sui casi singoli sotto la supervisione di un magistrato, e le decisioni lo dimostrano. La ringrazio, signora Commissario, per avercelo ricordato. Tuttavia, il popolo francese ha scelto la sicurezza. La Francia è generosa con coloro che vi risiedono legalmente. Intraprendiamo azioni contro coloro che vi risiedono illegalmente, e il popolo francese non tollera le situazioni di illegalità. Naturalmente esiste la libertà di circolazione. Ovviamente, tale libertà di circolazione si applica a condizione che gli individui non violino la pace e che, trascorso un periodo di tre mesi, dispongano di mezzi sufficienti. Tuttavia le libertà – e cito il secondo capitolo della Carta dei diritti fondamentali – non possono essere comprese in assenza di sicurezza. La libertà non può esistere senza ordine, in quanto la libertà senza ordine coincide con l’anarchia. Peraltro, in tali circostanze, tutti i politici locali competenti richiedono l’intervento delle forze dell’ordine. Ora quello che occorre fare è redigere un programma europeo di ampio respiro per l’integrazione – tra l’altro, una richiesta avanzata dal Presidente Băsescu – per combattere le organizzazioni mafiose e il traffico di esseri umani, risolvere i problemi dell’istruzione, migliorare l’accesso alla protezione sociale, e garantire la rappresentanza politica dei rom. Accoglieremmo con molto favore una soluzione comune. Sarebbe un peccato non disporre di una soluzione comune soltanto per condannare la Francia. Stiamo sprecando un’opportunità politica, e spero che entro giovedì troveremo i mezzi per individuare tale soluzione comune.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) Signor ministro, signora Commissario, grazie dei vostri contributi. Tuttavia, da tali interventi emerge con chiarezza che non avete idea di quello che sta accadendo negli insediamenti rom dell’Unione europea e dei paesi membri dell’UE.
Quello che è accaduto in Francia è solamente la punta dell’iceberg, e la decisione presa dal Presidente Sarkozy non è la prima decisione del genere che viene adottata da un capo di Stato europeo. Tali decisioni sono state prese in passato anche da altri paesi. Sono state prese in Gran Bretagna e in Italia, e di sicuro verranno prese nuovamente anche in futuro. è palese che la Commissione non ha risposto in maniera adeguata, e non siamo noi socialisti che ne facciamo una questione politica, è il vostro gruppo, che è incapace di riconoscere che questo genere di cose è inaccettabile nell’Unione europea.
Commissario, se vogliamo veramente risolvere la questione dei rom, dobbiamo smetterla di pronunciare le parole e frasi vuote che ci scambiamo ormai da anni in questa sede. Occorre condurre un’analisi approfondita vera e risolvere la situazione in collaborazione con i rom, e non soltanto con gli intellettuali rom, che spesso hanno opinioni molto diverse su come vivono effettivamente i rom, bensì direttamente con i rappresentanti di tali insediamenti da me citati.
Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, quanti luoghi comuni sulle valutazioni ascoltate oggi! Valutazioni che sono più trasparenti se guardiamo ai diritti; ai diritti a non essere rimpatriati – su cui siamo tutti d'accordo – ma anche ai diritti dei bambini di vivere e di studiare in condizioni dignitose.
Se costringessi mio figlio a stare per giorni in un passeggino a un incrocio stradale, esposto al sole, alla pioggia e lo facessi mangiare tra gli scarichi dei gas delle auto blu, se facessi questo il tribunale mi toglierebbe l'affidamento di mio figlio. Se uno Stato membro agisce su situazioni simili, determinate da comunità di minoranze etniche, si grida al razzismo.
L'articolo 7 della direttiva 2004/38/CE stabilisce che il diritto di soggiorno superiore a tre mesi è concesso a chi è iscritto a una scuola per seguire un corso di studi. Però non dobbiamo prendere le impronte digitali ai bambini, cosicché noi non li possiamo identificare, se a scuola un giorno se ne presenta uno, si fa l'appello, il giorno dopo arriva un altro che dice "no, sono io". L'appello a scuola bisogna farlo non con i nomi, ma con dei versi vocali perché non li si può identificare altrimenti si è razzisti.
È una logica abbastanza curiosa quella secondo la quale noi dovremmo rispettare i diritti al non rimpatrio, ma non i diritti a una vita dignitosa, che dovremmo impegnarci a garantire anche alle minoranze etniche comunitarie presenti nella nostra Europa.
Juan Fernando López Aguilar (S&D). – (ES) Signor Presidente, stamani durante la discussione sullo stato dell’Unione è emerso con chiarezza il divario crescente che esiste tra le istituzioni europee e il pubblico. Si tratta di un problema politico e, per di più, di un problema europeo. Dimostra pertanto che l’Europa non è costruita sul mercato interno e la moneta unica, bensì sui cittadini, sui diritti fondamentali e su uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Ciò significa che la mancata integrazione sociale di una minoranza obiettivamente emarginata non è un problema del paese interessato o di quei paesi che denotano un livello elevato di integrazione della popolazione rom, quali la Spagna.
Si tratta di un problema europeo e pertanto, indipendentemente dal responso giuridico – responsabilità in primo luogo della Commissione e in ultima analisi delle corti di giustizia – esiste una procedura politica che rientra nelle responsabilità del Parlamento. Il Parlamento deve innanzi tutto ribadire con chiarezza che un’espulsione mirata sulla base dell’appartenenza a un’etnia va contro la necessaria integrazione europea dei cittadini. In secondo luogo, deve precisare che gesta populiste che pretendono di superare i problemi dei governi degli Stati membri alla ricerca di capri espiatori in risposta ai sondaggi di opinione vanno contro l’Unione europea e contro la necessaria integrazione europea dei cittadini. Infine, va detto che ogni volta che viene compiuto un gesto di disprezzo che trasmette il messaggio che ci sono governi a cui non importa cosa dicono le istituzioni europee perché credono ai sondaggi, i responsabili dovranno rendere conto al Parlamento, alla Commissione e alle istituzioni europee nel loro complesso.
Jan Mulder (ALDE). – (NL) Signor Presidente, quasi tutti gli oratori hanno affermato che la legge deve essere applicata con equità in tutta l’Unione europea, e la Commissione ha dichiarato che la Francia deve ancora rispondere a qualche domanda nel caso dell’espulsione dei rom. La domanda che vorrei rivolgere alla Commissione è la seguente. è stato stabilito un termine entro il quale la Francia deve rispondere a tali domande? La Commissione quando pretenderà di ricevere una risposta chiara? E inoltre, a seguire, la Commissione quando potrà adottare una posizione chiara?
Vi è poi l’aspetto dell’enorme entità di risorse spese per l’integrazione dei rom. Il Commissario per l’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione ha citato tutta una serie di esempi, uno dei quali, se non ho capito male, è il dialogo con i rom intrapreso con successo in Ungheria. Per come la vedo io, un dialogo non deve costare tanti soldi. Non esistono esempi migliori di progetti di integrazione andati a buon fine del dialogo avviato in Ungheria?
Ulrike Lunacek (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, Commissario Reding, nell’anno che ho trascorso come europarlamentare, ho avuto modo di constatare che lei è un Commissario che combatte le discriminazioni in molte aree e, fino ad oggi, ritenevo che fosse giusto che ricoprisse la carica di Commissario per i diritti fondamentali. Tuttavia, il suo intervento di oggi, le sue dichiarazioni delle ultime settimane e l’approccio esitante che ha adottato nei confronti degli accadimenti francesi – la deportazione di massa dei rom
– mi hanno profondamente delusa. A tale proposito, mi trovo d’accordo con coloro che definiscono tale situazione scandalosa.
Da una parte, sostiene che il governo francese le ha confermato che non sono state compiute azioni mirate in cui si è verificata una violazione dei diritti fondamentali, e successivamente, dall’altra, ci viene a dire che vuole accertarsi che la Francia sia conforme al diritto comunitario. Questo significa che la Francia ha infranto il diritto europeo. Perché non lo dice apertamente e senza tanti giri di parole?
Mi aspetto da lei che usi la stessa chiarezza da sempre manifestata dalla Commissione in difesa della libertà di mercato – come già rilevato – anche per tutelare la libertà di stabilimento e la libertà di movimento di tutti i cittadini europei e che non si dia per vinta.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) I paesi dell’Europa orientale, in cui vivono ampie minoranze di etnia rom, sono spesso bersaglio di critiche per l’assistenza inadeguata da loro offerta ai rom. Tuttavia, a queste critiche generiche non seguono proposte concrete che descrivano possibili soluzioni per integrare i rom nella maggioranza della società in maniera civilizzata e informata.
L’attuale deportazione di centinaia di rom dalla Francia ai loro paesi d’origine dimostra che lo stile di vita delle famiglie rom immigrate, la loro scala di valori e il loro rapporto con la maggioranza della società non vengono compresi, nemmeno in un paese che vanta un’ampia esperienza nell’integrare gli immigrati che provengono praticamente da tutto il mondo.
Non voglio esprimere un giudizio sulla decisione del governo francese. So tuttavia che non risolverà il problema dei rom. Potrebbe invece essere un meccanismo capace di innescare nell’Unione europea e nei paesi membri un nuovo processo comune verso una soluzione completa e intensiva del problema. L’Unione europea dovrebbe tuttavia assumere un ruolo guida, in quanto i singoli Stati stanno affrontando il problema, chi più chi meno, con una certa dose di egoismo.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signor Presidente, si sta tentando di accusare il Presidente Sarkozy di azionismo politico per distogliere l’attenzione dai problemi francesi, ma la deportazione deplorevole dei rom è sintomo di problemi più gravi. In centinaia di insediamenti, i rom vivono confinati in mondi paralleli e spesso cedono alla criminalità. Una situazione tale genera ovviamente ansia e paura nelle persone che vivono nel territorio circostante.
Non dobbiamo dimenticare l’incidente che ha portato alla situazione attuale. La causa è stata un attacco subito da agenti della polizia francese da parte di 50 rom mascherati. La libertà di circolazione di cui godono i cittadini europei non può essere usata come pretesto. Vorrei inoltre che venisse posto l’accento sul fatto che la Romania, in particolare, applica una politica di naturalizzazione generosa e che soprattutto ai rom, ma anche ai membri della mafia moldava, vengono distribuiti passaporti in maniera decisamente magnanima.
Per noi è naturalmente inaccettabile pretendere da una parte libertà di circolazione illimitata in seno all’Unione europea – una mobilità caldeggiata più volte oggi – e vedere come dall’altra vengono distribuiti con estrema generosità passaporti e cittadinanze, che incoraggiano un afflusso incontrollato in Europa.
Roberta Angelilli (PPE) . – Signor Presidente, onorevoli colleghi, non è la prima volta che facciamo dibattiti sui rom. Molti buoni propositi, ma risultati francamente inadeguati. Le responsabilità ovviamente sono ampiamente condivise; possiamo dire in questo caso che chi è senza peccato scagli la prima pietra per quanto riguarda l'integrazione dei rom.
Desidero tuttavia ringraziare la Commissione per le nuove politiche che ha enunciato oggi; mi sarebbe piaciuto un dibattito approfondito su questi temi, ma non è stato possibile. Abbiamo assistito al solito teatrino e quello che più mi dà fastidio è la strumentalizzazione ideologica dei rom a fini politici, come fa la sinistra oggi, quella stessa che ha governato per anni a livello nazionale e locale, che ha lasciato che i rom vivessero in indecenti baraccopoli, che i bambini fossero costretti a chiedere l'elemosina, che non andassero a scuola, eccetera.
Allora, onorevole Swoboda, quando governava la sinistra non ci si scandalizzava, non ho sentito parole di sdegno quando accadevano questi fatti. Rivolgo un appello al Presidente: la prossima volta facciamo un dibattito vero sulle politiche, sui programmi, sui fatti.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D). – (RO) Conosco le azioni e le dichiarazioni che vengono utilizzate per stigmatizzare una determinata etnia. Conosco altresì le affermazioni capaci di creare un’immagine negativa di uno Stato o di un popolo, un atteggiamento del tutto opposto allo spirito e ai principi europei e che genera comportamenti populisti e xenofobi capaci di minare i principi comunitari.
Non possiamo permettere che i pregiudizi contro i rom vengano utilizzati per fini politici. Non possiamo accettare la presenza di cittadini di prima e di seconda classe nell’Unione europea. Lo scopo del coordinamento a livello comunitario deve essere il miglioramento della situazione dei rom, e non la limitazione dei diritti dei cittadini.
I 12 milioni di rom, tzigani, ambulanti o zingari, come vengono chiamati nei loro paesi d’origine, rappresentano un problema comune che richiede soluzioni comuni. Reputo inaccettabile che la questione dei rom venga collegata alle problematiche relative ai visti di Schengen o all’adesione di Romania e Bulgaria.
Rui Tavares (GUE/NGL). – (PT) è stato già abbastanza imbarazzante assistere stamani al Presidente della Commissione che tentava di scansare la domanda, ma devo ammettere che questo pomeriggio la situazione ha rasentato il ridicolo. Il Commissario per i diritti fondamentali viene nella nostra Aula e la prima cosa che fa è parlare di criminalità? Signora Commissario, il suo portafoglio sono i diritti fondamentali ed io ho sempre sostenuto l’esistenza di tale mandato e l’energia con cui lei vi si è dedicata, ma in questo momento non la riconosco in tale ruolo, Commissario.
Tuttavia, mentre noi qui discutiamo, si stanno compiendo violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini europei: il diritto alla libertà di circolazione, e anche il diritto a non essere discriminati. è lo spirito dei trattati a venir violato, e la storia stessa di quest’Unione che viene disonorata, non solo la storia remota della Seconda guerra mondiale, bensì anche quella degli anni novanta.
Richiamiamo alla mente cos’abbiamo detto tutti alla Romania e alla Bulgaria quando hanno manifestato il desiderio di aderire all’Unione europea. Abbiamo chiarito loro che avrebbero potuto entrare a far parte dell’Unione se non avessero perseguitato le minoranze, se non avessero perpetrato la pulizia etnica, se si fossero comportate in maniera adeguata in termini di diritti umani. Tali paesi hanno aderito, e improvvisamente si trovano a constatare che i paesi più potenti, nel cuore dell’Unione europea, possono fare esattamente quello che avevamo vietato loro di fare prima che aderissero all’Unione europea, e il tutto senza che la Commissione ne prenda atto.
Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sono state dette molte cose, e si sono scatenate molte polemiche. Io non adotterò lo stesso atteggiamento, perché dobbiamo mantenere la calma e capire il motivo per cui siamo qui – cioè per risolvere i problemi e non per crearne di nuovi. Una domanda concreta che è stata posta è la seguente: Chi c’era al vertice di Córdoba con i rappresentanti dei rom? La risposta è László Andor ed io, due ministri spagnoli, un segretario di Stato francese e un ministro finlandese. Tutto qui, dei 27 governi.
Se esaminaste i documenti disponibili che rivelano chi spende cosa per la popolazione rom, vi rendereste conto che, in generale, i nostri governi non stanno utilizzando i fondi per investire in una vita migliore per la popolazione rom, anche se lascerò che sia il mio collega László Andor ad aggiornarvi su questo.
Vorrei rispondere all’intervento dell’onorevole Swoboda, il cui tono è stato condiviso da molti deputati del Parlamento europeo. Sono allibita, perché condividiamo gli stessi valori e gli stessi principi, e quando leggo la risoluzione del partito socialista, noto che riporta parola per parola quello che ho affermato a nome della Commissione lo scorso agosto. Ve lo cito: “Mi rammarico che [...] la retorica utilizzata in alcuni Stati membri nelle ultime settimane sia stata manifestamente discriminatoria e in parte sediziosa. La situazione dei rom è una questione grave. Dovrebbe comparire nell’ordine del giorno non soltanto in agosto, ma per tutto l’anno, e dovrebbe essere trattata in maniera attenta e responsabile da tutti i politici. I responsabili delle decisioni nazionali hanno un ruolo importante da svolgere per garantire sia l’ordine pubblico sia l’integrazione sociale di tutti gli europei che scelgono di vivere nel loro territorio. Perché l’Europa non è soltanto un mercato comune – è al contempo una Comunità di valori e di diritti fondamentali. La Commissione europea vigilerà su questo”.
E questa era la dichiarazione ufficiale rilasciata dalla Commissione. Tuttavia, la Commissione si rifiuta di guardare alla problematica dei rom in maniera univoca e di farne una questione politica di partito.
Come voi, ho condannato molto chiaramente la retorica utilizzata non soltanto in Francia, ma anche in molti altri Stati membri. Come voi, credo che la libertà di circolazione rappresenti una delle libertà fondamentali della nostra Unione europea. La Commissione nel suo complesso appoggia tale affermazione.
Tuttavia, non esistono solo i diritti. Ci sono anche i doveri, e la Commissione ha il dovere di trovare un equilibrio tra diritti e doveri, che non sono stati messi sul tavolo da noi, bensì sono stati decisi da quest’Assemblea nel 2004, come espressione degli interessi degli elettori. Per trovare questo equilibrio tra diritti e doveri, abbiamo intrattenuto contatti giornalieri con le autorità francesi. Abbiamo messo le cose in chiaro, ed è per questo che i ministri sono venuti a Bruxelles per avviare una discussione molto onesta e molto chiara con la Commissione. Vi ho già riferito cos’hanno detto i ministri alla Commissione.
Al contempo, i nostri servizi legali stanno continuando ad analizzare i fatti concreti, perché non possiamo semplicemente dichiarare guerra a uno Stato membro. Vi sono regole da seguire per analizzare l’operato di un paese membro, e vi ho riferito con molta chiarezza che quest’analisi non si è ancora conclusa e che non disponiamo ancora di tutte le prove per affermare che ci siano stati o meno episodi di discriminazione e che siano state o meno applicate le garanzie procedurali, in seguito a una valutazione caso per caso, con una decisione motivata redatta per iscritto e un preavviso di un mese in cui lasciare il paese.
La questione è ancora in fase di analisi. Sappiamo – e questo è un fatto inequivocabile – che la Francia non ha attuato la direttiva del 2004 sulla libera circolazione per quanto riguarda le garanzie procedurali, e sono proprio queste ultime ad essere l’oggetto della nostra discussione, per cui la Commissione ha preso in mano il fascicolo. Per questa ragione oggi ho inviato alle autorità francesi una lettera per conto della Commissione proprio a questo proposito. Siate certi che se vi sono le prove legali contro la Francia o qualsiasi altro paese – e sapete per esperienza che anche i paesi “grandi” possono essere destinatari delle mie accuse e che solitamente vinco tali cause dinanzi alla Corte – mi muoverò di conseguenza. Ma per vincere dinanzi alla Corte, occorrono motivi gravi; non bastano le dichiarazioni politiche di partito. La Commissione è un organo serio che deve attenersi alle regole ed è esattamente quello che la Commissione fa e continua a fare.
Mi rammarico di una cosa. Dimentichiamoci l’eccitazione politica di partito, è normale in politica. Mi pento di non esserci soffermati a sufficienza sul destino dei rom, quando è proprio questo il motivo per cui siamo qui.
Ci sono stati la comunicazione e il piano d’azione. Ci sono le piattaforme per i rom. Abbiamo tutte le misure a disposizione. Perché le stesse non vengono applicate? Ci sono la trappola della povertà e la questione della discriminazione. Dovreste aiutare la Commissione a indurre gli Stati membri ad applicare tali misure. I fondi sono disponibili, ma non vengono impiegati per risolvere il problema.
E come mai? Ebbene, a mio parere, potrebbe essere perché nei nostri paesi membri non è pratica diffusa prendere le risorse comunitarie e investirle nella comunità rom. Spero di sbagliarmi e che con le cinque azioni che ho proposto le cose in futuro cambieranno. Conto sull’aiuto del Parlamento per questo, in quanto da sola, o con l’ausilio del mio collega Andor, non riuscirò a ottenere tale obiettivo.
Mi serve il vostro aiuto, ma non per le polemiche di partito. Mi occorre il vostro aiuto per adottare azioni concrete e risolvere e superare i problemi.
Anna Záborská (PPE). – (FR) Signor Presidente, stiamo discutendo una questione molto importante. Eppure, a più di 20 onorevoli colleghi non è stata concessa la possibilità di esprimersi sul tema. Propongo pertanto che, nel prossimo futuro, il Presidente possa cambiare l’ordine del giorno e prolungare le discussioni, per consentire a tutti gli europarlamentari di prendere parte a discussioni importanti come queste.
Hannes Swoboda (S&D). – (EN) Signor Presidente, sarò molto breve. In primo luogo, signora Commissario, abbiamo discusso le questioni dei rom qualche mese fa. Il Parlamento aveva caldeggiato tale discussione.
In secondo luogo, non mi ritengo pienamente soddisfatto, ma quello che ha dichiarato nella sua risposta di adesso è stato molto più incisivo e chiaro di quanto affermato all’inizio della discussione.
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, così come ho fatto in passato, anche in futuro mi renderò sempre disponibile a discutere le questioni dei rom.
Nella mia risposta vorrei concentrarmi su alcuni punti chiave. All’inizio di quest’anno, subito dopo l’insediamento di questa Commissione, la mia prima visita ufficiale mi ha portato a Parigi in occasione della conferenza di apertura dell’Anno europeo della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Sono rimasto colpito dall’atmosfera e dall’intenzione molto sincera delle ONG e dei funzionari governativi di combattere la povertà e collaborare per quelli che sono stati successivamente definiti obiettivi di Europa 2020.
è fuor di dubbio che gli eventi degli ultimi due mesi non sono stati quello che noi avevamo previsto o incoraggiato a Parigi nel mese di febbraio. è stata una delusione per molti di noi, e comprendo che parte di quest’Assemblea sia molto critica nei confronti di tali sviluppi.
Tuttavia, pur capendo la natura molto complessa di tali questioni, credo che dovremmo rivolgere la nostra attenzione alla situazione ben più scandalosa esistente nei paesi d’origine del popolo rom, che ora si trova a dover affrontare condizioni molto difficili, visto che la Francia ed altri paesi hanno deciso per l’espulsione. Parliamo di dieci milioni circa di persone, molte delle quali vivono in situazioni inaffrontabili.
Non è vero, come ho sentito in una delle dichiarazioni odierne, che queste persone non sono mai state integrate. Non è vero che i rom sono culturalmente – o per qualsiasi altra ragione – incapaci di integrarsi nelle società tradizionali. Anche se si tratta ancora una volta di una tematica complessa, devo ammettere che prima del 1989 molti rom avevano un lavoro. Spesso erano molto poveri e svolgevano professioni non qualificate, ma in una certa misura erano integrati nel mercato del lavoro e avevano un livello di sussistenza elementare.
Dobbiamo ribadire con molta chiarezza che la transizione economica ha comportato anche degli svantaggi notevoli. I rom sono evidentemente diventati le vittime principali di questo periodo di transizione. Se non ci renderemo conto di questo, non potremo capire le origini del problema odierno né comprendere l’enorme entità degli sforzi necessari. Devono essere sforzi a livello europeo, perché i paesi coinvolti non dispongono di risorse, energia e impegno sufficienti ad affrontare i problemi da soli.
Respingo categoricamente l’ipotesi – o l’accusa – che la Commissione si sia accorta soltanto adesso che parte di questi fondi – il Fondo sociale e i Fondi strutturali – non raggiunge i destinatari e non produce risultati.
Ne abbiamo parlato con molta franchezza a Córdoba, anche con George Soros. Ne abbiamo discusso alla conferenza parlamentare presieduta dall’onorevole Swoboda; e sono in programma altri incontri tesi ad affrontare tale questione. Anche la conferenza di due giorni del FSE tenutasi in giugno ha rivolto l’attenzione a tale problema, analogamente alla conferenza che si sta attualmente svolgendo a Budapest. Sono in programma eventi analoghi in Bulgaria e Slovacchia per il prossimo anno. L’incontro principale, al quale è attesa anche la presenza del Presidente Băsescu, si svolgerà a ottobre a in Bucarest e sarà incentrato esclusivamente su come impiegare al meglio i fondi europei per fronteggiare tali problemi.
In collaborazione col Parlamento, ci siamo adoperati attivamente per istituire il nuovo strumento di microfinanza. Una delle argomentazioni chiave in tal senso è stato il fatto che le comunità emarginate – e in particolare i rom – non vengono raggiunti e assistiti in maniera sufficiente dal settore finanziario tradizionale e nemmeno dagli strumenti europei di finanziamento.
Ma ci occorre una strategia a lungo termine. Nessuno dovrebbe credere nell’esistenza di una soluzione miracolosa – una sorta di rimedio improvvisato al problema – e ritenere che sia solo questione di trovare una scappatoia rapida. Ci serve una strategia a lungo termine. Abbiamo una strategia di lungo periodo, segnatamente Europa 2020, con il forte impegno di combattere la povertà e con obiettivi misurabili. Gli Stati membri stanno mettendo a punto i loro programmi di riforma. Non sarà semplicemente accettabile che, nei paesi in cui i rom sono più numerosi, non venga assunto un impegno deciso nei confronti del programma di riduzione della povertà per le comunità rom in termini di occupazione e, altrettanto importante, di istruzione.
L’istruzione della prima infanzia è basilare. Il Commissario Vassiliou è presente nello spirito di tutte queste discussioni e prenderà anche parte alla task force suggerita dalla Commissario Reding quando verrà istituita. L’impegno comincia con l’istruzione della prima infanzia e prosegue con una preparazione adeguata per prendere parte al mercato del lavoro. Ma si tratta effettivamente di un’impresa ardua che richiederà molta energia.
Convengo tuttavia con tutti coloro che affermano che dovremmo prendere seriamente anche la situazione corrente e non limitarci a parlare di piani a lungo termine per l’integrazione. Assistiamo effettivamente a un incremento del rischio di razzismo e xenofobia. Come ricordato stamani dal Presidente, tali atteggiamenti non devono assolutamente trovare posto in seno all’Unione europea.
Presidente. – Per concludere, consentitemi di esprimere un commento soggettivo. Visto che presiedo questa sessione, sono stato impossibilitato a contribuire alla discussione del tema, ma ho presentato le mie osservazioni per iscritto, in quanto considero la questione di estrema importanza.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, qualche rapido accenno per concludere la discussione, che è stata certamente oltremodo interessante. Mi preme ricordare che questa discussione si rivelerà utile per il futuro se ci aiuterà a compiere progressi in merito alla questione dell’integrazione dei rom. A mio parere è proprio questo il messaggio che dobbiamo ricavare da questa sessione pomeridiana. Come ho già ricordato, tale questione compare regolarmente nelle conclusioni raggiunte dalle varie configurazioni del Consiglio, tra cui “occupazione, politica sociale, salute e consumatori” (EPSCO); tutte queste conclusioni sono tese a promuovere l’integrazione della popolazione rom negli Stati membri. Sfogliando i vari documenti del Consiglio, emerge la frequenza con cui il Consiglio si occupa di tale questione e si esprime contro la stigmatizzazione di un’etnia. Inoltre, la Presidenza belga ha recentemente precisato che l’integrazione si conferma uno dei principi fondatori dell’Unione europea e che tale questione merita di essere discussa nei forum competenti. Sicuramente la discussione deve coinvolgere tutti i paesi interessati, e con la serenità necessaria. Abbiamo ovviamente preso atto delle recenti decisioni della Commissione e della richiesta di organizzare un Consiglio congiunto EPSCO-Giustizia e affari interni (GAI). Detto ciò, non voglio commentare oltre l’adeguatezza di tale richiesta. Vorrei solamente affermare che il Consiglio EPSCO ha comunque in parte anticipato tale richiesta, in quanto la questione dell’integrazione dei rom è già stata inserita nell’ordine del giorno della prossima riunione, che avrà luogo il 21 ottobre.
Presidente. – Ho ricevuto sei proposte di risoluzione(1) presentate ai sensi dell’articolo 110, paragrafo 2, del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 9 settembre 2010.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Sono fermamente convinta che i problemi affrontati dai rom non possano essere risolti ricorrendo a misure drastiche. Dobbiamo agire responsabilmente e coinvolgere tutti i paesi europei in questo processo, indipendentemente da quanto possa sembrare arduo. I rom sono cittadini europei e devono godere di tutti i diritti fondamentali garantiti dalla legislazione europea: il diritto di stabilire una residenza e la libertà di circolazione. La violazione di tali diritti in Francia crea un precedente pericoloso e potrebbe sortire effetti avversi a lungo termine. Ritengo che sia nostro dovere evitare di incriminare e, soprattutto, di criminalizzare un gruppo specifico di immigrati, specialmente perché i rom rimpatriati volontariamente non avevano precedenti penali. Reputo inoltre che la soluzione non consista nell’espellere i cittadini rom da una regione europea all’altra o, qual che è peggio, nel procedere ad espulsioni collettive. Dobbiamo intraprendere azioni europee congiunte per integrare questa minoranza ed elaborare una strategia europea per i rom. Le aree prioritarie della strategia dovranno essere l’istruzione, la salute e l’accesso agevolato al mercato del lavoro. Per noi è essenziale individuare insieme soluzioni concrete a sostegno dell’inclusione sociale dei rom e non permettere in nessun caso che i rappresentanti di tale comunità si sentano emarginati.
Cristian Silviu Buşoi (ALDE), per iscritto. – (RO) Mi preme sottolineare che le espulsioni dei cittadini rom perpetrate dalle autorità francesi non contravvengono necessariamente ai trattati. La questione va esaminata caso per caso, in quanto i cittadini europei non godono del diritto incondizionato alla libertà di circolazione, bensì esercitano tale diritto in conformità alle disposizioni della direttiva 2004/38, che sancisce molto chiaramente le condizioni di soggiorno. Inoltre, i cittadini comunitari possono venir espulsi per motivi di sicurezza, ordine pubblico e salute pubblica. La questione dell’illegittimità di tali misure si presenta soltanto se sono stati espulsi rom che risiedono legalmente nel paese. D’altro canto i rom, come gli altri cittadini europei, hanno sia diritti sia doveri. La soluzione consiste nell’elaborare una strategia europea efficace e coerente a sostegno dell’inclusione sociale dei rom per consentire loro di adempiere ai loro obblighi di cittadini. Un altro aspetto chiave è l’eliminazione delle discriminazioni, che può avvenire cambiando la percezione della gente nei confronti dei rom. Né la Francia né gli altri Stati membri dovrebbero addossare alla Romania tutta la responsabilità di risolvere la questione dei rom. La distorsione operata dai mass media in Francia e il tentativo di capitalizzare sulle espulsioni a scopi elettorali sono totalmente inutili. Dobbiamo dimostrare solidarietà e responsabilità nel gestire questa questione delicata. Di fatto, la nostra capacità di conseguire tale obiettivo è un banco di prova per i valori proclamati dall’UE nel corso degli anni.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Condanno profondamente la violazione dei diritti umani commessa dal governo francese con l’espulsione collettiva dei rom. Purtroppo, tale modello di comportamento populista estremista promosso da Silvio Berlusconi è in vigore anche in un paese a cui piace dichiarare di essere la patria dei diritti umani. Devo al contempo puntualizzare alla Commissione europea che la sua posizione passiva nei confronti della violazione della Francia delle disposizioni degli articoli 14, 27 e 30 della direttiva 2004/38 evidenzia la sua complicità nel perpetuare e acuire le discriminazioni ai danni della maggiore minoranza europea. La situazione dei rom sta peggiorando sia per la mancanza di una politica europea coordinata per l’integrazione sia per le manifestazioni populiste che pregiudicano i valori europei. Di conseguenza, chiedo un intervento deciso della Commissione per porre fine alle espulsioni collettive, nell’esercizio dei poteri ad essa garantiti ai sensi dell’articolo 258 del trattato europeo consolidato. In caso contrario, rischieremmo la diffusione di comportamento non democratico e vergognoso, come sottolineato nelle dichiarazioni rilasciate dai rappresentanti del governo finlandese e dal feedback della riunione ministeriale informale di ieri a Parigi.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Tutti sanno che la libertà di circolazione in seno all’UE è un diritto fondamentale garantito ai cittadini europei. Un altro diritto cruciale è quello di non diventare il bersaglio di azioni motivate dall’appartenenza a un particolare genere o a un gruppo razziale, etnico o sociale, per il fatto di parlare una lingua specifica, di professare una religione o di avere determinate convinzioni politiche. Per tale ragione mi preme sottolineare che il tentativo di associare la questione dell’integrazione sociale di determinati cittadini comunitari al processo di adesione di Romania o Bulgaria allo spazio Schengen è ingiustificato e ingiusto. La responsabilità dell’integrazione dei rom non spetta solamente a Romania, Bulgaria o Francia, bensì all’Europa. Per tale ragione, ritengo che l’integrazione dei rom debba essere prioritaria per l’UE e che Stati membri e Commissione europea debbano trovare soluzioni comuni.
Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. – (RO) La risoluzione del Parlamento europeo sulle espulsioni dei cittadini rom dalla Francia è un atto necessario nella lotta contro gli abusi perpetrati dai governi di destra. Con questa risoluzione chiediamo il rispetto di un diritto fondamentale dei cittadini dell'Unione europea, ovverosia il diritto alla libera circolazione e all'accesso al mercato del lavoro.
Se le autorità francesi asseriscono che il rimpatrio dei rom è stato messo in atto su base volontaria, vi sono infinite dichiarazioni che dimostrano il contrario. Le decisioni assunte dal governo francese provano che l'esecutivo non è stato in grado di gestire la situazione. Da un punto di vista politico, il governo francese attualmente in carica sta creando un capro espiatorio, sperando di riscuotere credito politico. La Francia deve ripensare il suo atteggiamento verso gli immigrati a prescindere dalla nazionalità o dall'origine etnica.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) La situazione dei cittadini rom che commettono reati nei paesi dell’UE deve essere gestita senza alcun pregiudizio o stereotipo generalizzato e soprattutto senza basarsi su criteri inaccettabili, quali l’origine etnica, o in assenza di un approccio collettivo. In relazione alla situazione delle comunità rom, la Commissione europea deve esortare gli Stati membri a presentare misure specifiche per aiutare a risolvere i loro problemi, identificati a livello nazionale da ogni paese, in collaborazione con le strutture di rappresentanza. Inoltre, la Commissione può incoraggiare tali approcci stanziando risorse aggiuntive dalle linee di bilancio rimaste inutilizzate. La questione dell’integrazione sociale dei cittadini dell’Unione europea non ha nulla a che vedere con l’acquis di Schengen né rientra nel mandato dello stesso. Schengen è uno spazio comune di libera circolazione e la Romania soddisfa i requisiti dell’acquis comunitario applicabile ad aree quali la cooperazione tra le forze dell’ordine, la protezione dei dati personali, i visti e i controlli di frontiera per mare e per terra, dati confermati da tutte le valutazioni di esperti. Di conseguenza, la Romania ha già dimostrato di essere in grado di gestire con efficienza il flusso di immigrati alle frontiere esterne dello spazio Schengen secondo gli standard osservati dagli attuali membri di Schengen che stanno fronteggiando la questione in questo momento.
Marian-Jean Marinescu (PPE), per iscritto. – (RO) Tutti i cittadini europei devono rispettare il diritto nazionale e comunitario. I rom sono cittadini europei. Tutti gli Stati membri devono conformarsi alle norme loro ed europee. L’Unione europea E conta 27 paesi membri. La verità è che i rom costituiscono un problema specifico, non ascrivibile a circostanze di discriminazione, bensì a circostanze di natura sociale. Si tratta di una situazione dettata dalle condizioni economiche generali, ma soprattutto da alcuni aspetti della loro stessa tradizione: nomadismo e un livello basso di istruzione, che determinano l’assenza di qualifiche professionali. Se vogliamo veramente risolvere questo problema specifico, dobbiamo mettere a punto e applicare una politica europea attuata da tutti gli Stati membri. Tale politica deve poggiare in primo luogo sull’istruzione. L’istruzione offre opportunità di lavoro, che possono contribuire enormemente all’integrazione sociale dei rom.
Katarína Neveďalová (S&D), per iscritto. – (SK) Onorevoli colleghi, la situazione della minoranza rom in Europa è veramente critica. Gli appartenenti a tale gruppo sono spesso vittima di aggressioni e persino di pulizia etnica. Vorrei unirmi al coro di critiche delle misure recentemente adottate dal governo francese, che ha espulso diverse centinaia di cittadini dell’Unione e li ha minacciati con diverse infrazioni della legge. Tuttavia, il nucleo della questione è che non conosciamo altre espulsioni di massa di persone accusate di violazioni simili della legge. Gli eventi francesi potrebbero pertanto essere ricondotti alla pulizia etnica. La mia domanda è pertanto: e adesso a chi toccherà? A cittadini appartenenti ad altre minoranze o agli immigrati? Siamo in una situazione molto precaria nell’UE. Abbiamo tollerato tali misure in passato nel caso di altri Stati membri, segnatamente Gran Bretagna e Italia, e rieccole nuovamente. Dobbiamo prendere incondizionatamente le distanze da queste misure e punire con severità i paesi che le perseguono. Misure di questo genere danno luogo a due diversi concetti di uguaglianza, e i rom finiranno per rientrare nel livello più basso. Dobbiamo individuare delle soluzioni per la situazione attuale. A mio parere, dovremmo investire di più nell’istruzione di questa comunità, è l’unico modo. Potrebbe essere troppo tardi per salvare questa generazione, ma magari potremo salvare le generazioni che verranno.
Alfredo Pallone (PPE) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, occorre instaurare un dibattito serio volto a trovare una soluzione, a livello europeo, per un problema che investe molti dei nostri Stati. Ma il dibattito va affrontato in modo costruttivo, evitando pretestuose prese di posizione o demagogia.
La sinistra europea, ancora una volta, si dimostra cieca dinanzi a un'emergenza come quella dei rom che non ha voluto e saputo affrontare, e utilizza questo problema per gettare benzina sul fuoco e strumentalizzare l'emergenza per meri fini propagandistici.
Sono da sempre fautore di una società dell'inclusione e dell'accoglienza, ma, proprio per questo, è necessario il rispetto di alcune regole da parte di tutti coloro che vogliono fare parte e integrarsi in una società, in una nazione. Un socialista come Tony Blair ha affermato che "l'immigrazione e la fusione delle culture rappresentano, da sempre, un arricchimento, ma coloro i quali arrivano in un altro Stato si trovano davanti a un sistema di valori. E questi valori vanno osservati da tutti". Ecco perché, a prescindere da qualunque differenza culturale o religiosa, ci sono dei principi condivisi, stabiliti sullo Stato di diritto che fanno parte del nostro retaggio collettivo, e che tutti devono accettare.
Sirpa Pietikäinen (PPE), per iscritto. – (FI) Tra o valori fondamentali dell’Unione europea figurano il rispetto per la dignità umana, la tolleranza e l’apertura. Inoltre, la libera circolazione è uno dei suoi pilastri fondanti. Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, diviene giuridicamente vincolante la Carta dei diritti fondamentali, che aggiunge valore alla dimensione dei diritti umani dell’Unione. La situazione dei rom europei dimostra che l’uguaglianza su base quotidiana e l’attuazione dei diritti fondamentali lasciano ancora molto a desiderare. Per quanto riguarda gli strumenti legali disponibili a livello europeo, il problema è che, a parte tutto e malgrado la natura giuridicamente vincolante della carta dei diritti fondamentali, la Commissione europea non è autorizzata a interferire in questioni che, almeno per il momento, non rientrano nelle sue competenze. La direttiva sull’uguaglianza, che vieta ogni genere di discriminazione e i cui progressi vengono sostenuti dal Consiglio, rappresenta a mio avviso uno degli strumenti più importanti per combattere la discriminazione contro i rom e molti altri europei. Esistono molti gruppi vulnerabili, tra cui gli anziani e le minoranze sessuali. è importante garantire che la direttiva abbia una copertura orizzontale e che vieti la discriminazione sia attiva sia passiva su qualsiasi base, senza scappatoie o eccezioni. Non c’è posto per la discriminazione nella società europea civilizzata, col il suo rispetto per i diritti umani e l’uguaglianza, e ognuno di noi dovrebbe avere pari opportunità di parteciparvi. Occorre attuare immediatamente i diritti fondamentali, e non tra cinque o dieci anni.
Cristian Dan Preda (PPE), per iscritto. – (RO) I rom non rappresentano solamente la minoranza più numerosa dell’Unione europea, ma anche la comunità più emarginata. Il loro destino non migliorerà se la controversia tra la sinistra e la destra si sposterà dal livello nazionale a quello europeo e se genererà maggiore intolleranza sociale invece che più responsabilità politica. Ai rom occorrono politiche di inclusione a livello nazionale, indipendentemente dal paese in cui risiedono, e interventi europei nel caso in cui il livello nazionale sia inadeguato, come accade nel momento in cui si gestiscono comunità di immigrati. D’altro canto, le competenze di determinate ONG in Romania o Bulgaria, in Francia o in Spagna, dovrebbero fungere da modello di migliori pratiche per i governi o le agenzie comunitarie.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. – (RO) Vorrei unirmi al coro di coloro che hanno condannato le misure inaccettabili adottate dal governo francese contro i rom. La popolazione rom costituisce la minoranza etnica più numerosa dell’Unione europea. Parliamo di circa 10 o 12 milioni di persone, più della popolazione del Belgio. I problemi dei rom non sono di competenza di uno Stato specifico: sono problemi dell’Unione europea. Se non lo capiremo e non faremo nostro questo concetto, ogni misura adottata si rivelerà fallimentare. La questione dell’integrazione dei rom non viene risolta mediante espulsioni coatte, violenza, bonus da 300 euro o simposi sulla diversità culturale. Se proseguiremo lungo questa strada, sprecheremo tempo e risorse e il problema si aggraverà, mentre i rom diventeranno sempre più poveri, esclusi e attratti dalla criminalità. Dobbiamo porre fine agli approcci brutali ed esaminare seriamente le cause del loro comportamento, vale a dire esaminare le loro circostanze precarie in termini di istruzione, assistenza sanitaria, barriere all’accesso al mercato del lavoro, discriminazioni e controllo inefficace della criminalità. Una strategia chiara per l’integrazione di tali cittadini nella società deve puntare a risultati a lungo termine. Dobbiamo adottare queste misure insieme, senza scaricare continuamente la responsabilità da un paese all’altro.
Bogusław Sonik (PPE), per iscritto. – (PL) I rom o zingari, come venivano chiamati una volta, sono degni di rispetto come tutti gli altri gruppi etnici. Sono un popolo presente in Europa da secoli. Anche i rom hanno portato le ricchezze della loro cultura alla cultura europea, ed è così che andrebbero percepiti, con la loro poesia, le canzoni, la musica, con la loro conoscenza dell’artigianato e la tradizione del viaggio e dell’incessante nomadismo. Sono stati compiuti tentativi di sterminio nei loro confronti, mentre altri hanno cercato di costringerli a prendere fissa dimora, di insegnare loro a dimenticare i loro costumi e a rinunciare alle loro tradizioni e valori. Non hanno ceduto, i rom sono ancora con noi. Tuttavia, il mondo sta cambiando. Oggi il loro mondo è radicalmente diverso da quello che li circonda, un mondo fatto di carriere a tutti i costi, di consumi, di desiderio di ricchezza e successo. Tale situazione è una sfida per tutti noi, per tutta l’Europa. L’Unione europea deve sviluppare un programma di sostegno efficace per gli appartenenti a questa comunità, per permettere loro di uscire dall’isolamento e dall’esclusione pur nel rispetto delle loro tradizioni. L’Unione europea non è stata fondata solamente perché i cittadini possano vivere in pace e arricchirsi. Deve anche affrontare le sfide più difficili. Non credo nemmeno che i paesi membri dell’Unione europea non riescano a consegnare alla giustizia i veri colpevoli dei crimini invece che accontentarsi del sospetto generico che ogni gruppo possa avere tendenze criminali.
Michèle Striffler (PPE), per iscritto. – (FR) La situazione dei rom in Europa è un problema che mi preoccupa in maniera particolare, non tanto come europarlamentare francese, quanto come cittadina europea. La stragrande maggioranza dei rom sono cittadini europei. Come tali, beneficiano pienamente della libertà di circolazione e del diritto di residenza sanciti dai trattati e dalla direttiva 2004/38/CEE.
Tuttavia questo diritto, come tutti i diritti, implica dei doveri. Per di più la legge, in tutte le sue dimensioni, deve essere rispettata da tutti. Attualmente si stima che vi siano 11 milioni di rom in Europa. Si tratta chiaramente di una questione che interessa l’intera Europa e il mio gruppo è ancora una volta l’unico che dimostra di aver veramente riflettuto sulla questione, in quanto ha contribuito alla discussione in maniera costruttiva.
Dobbiamo ad esempio valutare come mobilitare al meglio i fondi europei per migliorare le condizioni di integrazione dei rom nei paesi d’origine. Analogamente, dobbiamo mettere in campo una vera strategia per i rom a livello europeo e coinvolgere la comunità rom nel suo sviluppo, nella sua attuazione e nel seguito da dare.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D), per iscritto. – (HU) Nelle ultime settimane gli eventi in Francia hanno dimostrato da una parte che una semplificazione eccessiva del problema non può portare a una soluzione duratura capace di migliorare la situazione delle persone coinvolte. I rom sono un gruppo minoritario speciale in quanto hanno uno status di doppia minoranza. Costituiscono una comunità etnica, e la maggior parte di loro appartiene ai segmenti della società più socialmente svantaggiati. Oggi i rom sono ancora vittima di discriminazione, emarginazione e segregazione in numerose aree della vita pubblica e privata. La comunità rom non è ancora un gruppo minoritario etnico o nazionale ufficialmente riconosciuto in tutti i paesi membri, e pertanto non gode dei diritti associati a tale status in tutti i paesi interessati. Di conseguenza, la loro possibilità di partecipare pienamente alla vita pubblica è limitata e, in molti casi, può essere attuata solo su base volontaria. La maggioranza della società e i rom condividono la responsabilità sociale dell’integrazione delle comunità rom in misura asimmetrica. La maggioranza della società deve accettare i rom senza assimilarli, e sostenerli come gruppo sociale svantaggiato. D’altro canto, i rom devono accettare le norme che disciplinano la società nel suo complesso, ed essere più intraprendenti per risolvere i loro problemi. Un altro insegnamento da trarre dagli eventi francesi è che l’integrazione sociale delle comunità rom non può avvenire soltanto a livello nazionale. Oltre a operare a livello locale, regionale e nazionale, gli Stati membri devono anche cooperare a livello comunitario. A tal fine, dovrebbero essere messe a disposizione risorse ingenti dei Fondi strutturali e di coesione nel ciclo di bilancio successivo al 2013.
László Tőkés (PPE) , per iscritto. – (HU) Ogni giorno assistiamo ad aspri attacchi rivolti alle politiche e alle misure rigorose adottate dalla Francia contro i rom rumeni e bulgari. Tra i socialisti e i liberali, alcuni definiscono il Presidente Nicolas Sarkozy un populista, uno xenofobo e un razzista, sfruttando per i loro fini politici di partito la sciagura degli zingari che accorrono numerosi in Europa occidentale. Purtroppo, il problema dei rom espulsi è stato troppo politicizzato. Enfatizzando eccessivamente il principio della libertà di circolazione in maniera univoca, molti rischiano di dimenticare che la questione dei rom in Europa centrale e orientale non può essere risolta mediante l’emigrazione o una “nomadizzazione” in tutto il continente; la loro situazione può essere invece risolta in maniera soddisfacente solo nei loro paesi d’origine, da parte degli Stati membri, e con la collaborazione dell’UE.
Alcuni, mossi da obiettivi puramente propagandistici, tendono a dimenticare che la libertà di circolazione non può essere fine a se stessa. Al contrario: il diritto di restare nel proprio paese d’origine e di condurre una vita dignitosa è un valore europeo fondamentale e universale, a cui può auspicare anche la minoranza etnica e sociale più numerosa d’Europa. Dobbiamo pertanto adoperarci affinché tutti i cittadini dell’Unione europea si sentano a casa nel proprio paese e – di conseguenza – non siano costretti a cercare fortuna all’estero. La risposta migliore ai paladini falsamente democratici dei rom, il cui comportamento rasenta il cinismo politico, potrebbe essere data dalle parole del Premio Nobel Elie Wiesel: dopo tutto, i rom non vengono spediti ad Auschwitz, ma solo in Romania.
Traian Ungureanu (PPE), per iscritto. – (EN) Ci sono due modi di gestire la questione rom. Uno è quello di unirsi ai nostri colleghi socialisti e liberali nell’affermare: Adesso siamo tutti razzisti! Ma questo andrebbe solamente a vantaggio della posizione morale della sinistra. Non sarebbe affatto utile alla popolazione rom.
L’altro modo consiste nel gestire con onestà il problema reale. Dovremmo convenire che il diritto alla sicurezza e il diritto alla libera circolazione sono di pari importanza. Inoltre, invece di collegare il problema dei rom all’adesione della Romania a Schengen, dovremmo renderci conto che la Romania ha fatto molto per agevolare l’istruzione e l’integrazione dei rom. L’esperienza rumena dovrebbe servire da modello – in cooperazione con gli altri paesi europei – perché il problema dei rom non è una questione nazionale, bensì una realtà paneuropea che richiede una politica paneuropea.
Presidente. – L'ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulla situazione umanitaria in Pakistan in seguito alle inondazioni.
Kristalina Georgieva, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziarla per aver messo il Pakistan all'ordine del giorno. Cosa ancora più importante, desidero ringraziare il Parlamento per il contributo attivo alla risposta dell'Unione europea mediante l'organizzazione di utilissimi incontri a livello di commissione e per aver esercitato con molta sollecitudine questa estate, di fatto in un solo giorno, il proprio diritto di controllo. In questo modo siamo stati in grado di adottare prontamente decisioni di finanziamento per garantire l’arrivo degli aiuti.
Il mio obiettivo oggi è di comunicarvi le impressioni ricevute dalla mia recente missione in Pakistan, di individuare i prossimi passi da seguire nei nostri sforzi e di concludere con alcuni insegnamenti che possiamo ricavarne per l'Unione europea.
Consentitemi allora di iniziare con le mie impressioni sul Pakistan, dominate dall’idea che si tratta di una situazione estremamente complessa che, in realtà, comprende due disastri in uno.
Nella zona settentrionale del paese, tre milioni di sfollati e rifugiati sono dovuti fuggire da conflitti armati solo per vedere i loro campi e le loro abitazioni di recente costruzione spazzati via e le loro nuove vite distrutte. A valle, nelle fertili pianure del sud del Pakistan, le comunità rurali hanno perso non solo le proprie case ma anche i mezzi di sussistenza e gran parte dell'economia su cui si basa il paese.
Da quando ho informato la commissione per lo sviluppo, le cifre che indicano l'impatto di questo disastro sono di fatto aumentate. In totale oltre 20 milioni di pakistani sono stati colpiti dalle inondazioni in tutto il paese. Oltre 12 milioni di persone hanno bisogno di immediata assistenza.
(Il Presidente chiede ad alcuni parlamentari di fare silenzio)
So che la questione discussa in precedenza è molto importante per i valori europei. Come del resto lo è il tema che sto trattando adesso, quindi vi ringrazio.
In termini numerici, solo una settimana fa si parlava di 8 milioni di persone bisognose di immediata assistenza, mentre ora la cifra è salita a 12 milioni; oltre 1,8 milioni di case sono andate distrutte o danneggiate, mentre ora la cifra è aumentata di 1,2 milioni; oltre 3,4 milioni di ettari di terreni agricoli sono sommersi dall’acqua. Sono stati segnalati focolai di diarrea e di colera. In queste condizioni, il nostro aiuto è incentrato su palesi priorità immediate: cibo, acqua potabile, servizi igienici, assistenza sanitaria e riparo. Di fronte a un disastro di proporzioni così ingenti è necessario un massiccio soccorso internazionale. Consentitemi quindi di passare direttamente al punto successivo. Che cosa ha fatto l'Unione europea, e che cosa ha intenzione di fare in seguito?
La nostra risposta umanitaria è stata significativa. L'Unione europea, cioè gli Stati membri e la Commissione, ha finora contribuito con un totale di 231 milioni di euro per interventi di soccorso immediato, 70 milioni dei quali provenienti dalla Commissione e i restanti 161 milioni di euro dagli Stati membri. Dodici Stati membri hanno mobilitato anche l'assistenza in natura attraverso il Meccanismo di protezione civile dell'Unione europea. Questo fa di noi il più grande donatore. Il nostro contributo dovrebbe essere valutato rispetto alla richiesta delle Nazioni Unite di 460 milioni di dollari per l’aiuto immediato, ma devo anche sottolineare che questa richiesta sta per essere rivista al rialzo e probabilmente entro una settimana riceveremo un nuovo appello da parte delle Nazioni Unite.
Il nostro aiuto è stato rapido: il 30 luglio è apparso chiaro che le inondazioni sarebbero state devastanti e la nostra prima decisione finanziaria di 30 milioni di euro è stata presa il giorno successivo, il 31 luglio.
Il 6 agosto, dopo aver ricevuto una richiesta da parte delle autorità pachistane, abbiamo immediatamente attivato il Meccanismo europeo di protezione civile e abbiamo inviato un gruppo di 18 esperti per coordinare la nostra assistenza con l'ONU e con le autorità pakistane in modo che potesse risultare più efficace.
Questa è la prima volta che aiuti in natura da parte degli Stati membri sono stati consegnati con compagnie di trasporto aereo strategico civile in coordinamento con il personale militare dell'Unione europea. Ciò ha permesso di fornire le necessarie unità di purificazione dell'acqua, ospedali mobili, medicine, ripari e tende. Ma non voglio nascondere il fatto che, nonostante questo enorme sforzo, ci troviamo davanti a grandi sfide.
Permettetemi quindi di evidenziare quattro sfide principali. In primo luogo, l’emergenza umanitaria è ben lungi dall'essersi conclusa e forse non abbiamo ancora raggiunto il picco della crisi. Sappiamo da operatori umanitari che, ad oggi, si aspettano nel mese di settembre di raggiungere 6 dei 12 milioni di persone bisognose di assistenza. Dunque, in un certo senso, la crisi si sta espandendo più velocemente di quanto gli aiuti possano essere mobilitati per tenerne il passo. La situazione potrebbe peggiorare prima di un miglioramento, soprattutto in termini di epidemie.
In secondo luogo, è estremamente importante, dato che ci impegniamo a raggiungere il maggior numero possibile di persone, puntare a quanti sono più vulnerabili. Ciò comprende le comunità più povere, le donne, specialmente le famiglie guidate da donne, i bambini, gli anziani e i portatori di handicap, in quanto, se non li scegliamo consapevolmente come obiettivo, corrono il rischio di venir trascurati. Questo è esattamente ciò che la Commissione intende fare, in collaborazione con i nostri 26 partner.
In terzo luogo, portare un rapido aiuto non è solo una questione di sopravvivenza delle persone, ma significa anche preservare la stabilità di un paese che deve affrontare rilevanti sfide nella sicurezza. Il malcontento popolare può nascere facilmente dalla disperazione e dobbiamo quindi essere assolutamente determinati nel cercare di aiutare le persone nel modo più rapido e ampio possibile.
In quarto luogo, per quanto oggi sia importante salvare vite umane, a partire da ora dobbiamo pensare anche alla ripresa. E parlando di ripresa precoce ci sono due obiettivi molto importanti: per garantire la ripresa dell’agricoltura quando le acque si saranno ritirate, dobbiamo essere pronti con attrezzature e sementi per aiutare gli agricoltori a recuperare questa stagione di semina. Al contempo, vi è la necessità di ricostruire le infrastrutture fondamentali che collegano gli agricoltori ai mercati e che ci permettono peraltro di raggiungere le comunità più isolate.
Sul lungo periodo, ovviamente, il paese sta affrontando una grande sfida di risanamento. È attualmente in corso una valutazione condotta dalla Banca mondiale e dalla Banca asiatica di sviluppo, insieme alla Commissione e al Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, per determinare le esigenze di ripresa a lungo termine. Abbiamo lavorato a stretto contatto con l’Alto rappresentante e Vicepresidente Ashton, il Commissario Piebalgs e il Commissario De Gucht in modo che l'Unione europea possa elaborare una proposta omnicomprensiva e olistica su come sostenere lo sviluppo del paese.
Il Pakistan sarà all'ordine del giorno nella prossima riunione Gymnich e nella riunione degli Amici del Pakistan democratico a Bruxelles il 14 e 15 ottobre.
Consentitemi di trarre alcuni insegnamenti per l'Unione europea. Ne individuo tre. In primo luogo, le inondazioni in Pakistan sono solo uno dei molti indicatori del profondo impatto dei cambiamenti climatici. Considerato il costo che ne deriva è fondamentale concentrarsi sulla prevenzione dei disastri e sulla ricostruzione di un paese altamente vulnerabile devastato da una catastrofe, in modo che possa resistere al rischio dei mutamenti climatici.
Per mantenere un approccio cauto, non posso affermare che queste inondazioni siano causate dai cambiamenti climatici. So di certo però che i pareri scientifici sono molto chiari: la maggiore frequenza e l’intensità delle catastrofi sono dovute ai cambiamenti climatici. In secondo luogo, in un anno che ha visto il terremoto ad Haiti, la siccità nel Sahel, il conflitto in Sudan e ora alluvioni di grandi proporzioni in Pakistan, ancora una volta la nostra situazione di bilancio è precaria, poiché il nostro bilancio e la riserva per gli aiuti d'emergenza si sono quasi esauriti. Tuttavia siamo ancora solo all'inizio di settembre.
A causa della tendenza all'aumento del numero e dell'intensità delle catastrofi, nel preparare le prossime prospettive finanziarie dobbiamo tener conto di una lacuna sempre più ampia nel nostro bilancio umanitario, in modo da far coincidere le nostre risorse con l'impegno dei nostri cittadini nell’aiutare chi ha bisogno.
Il terzo punto è che l'Unione europea è stata in prima linea fin dall'inizio della crisi, ma nei primi tempi la nostra presenza non è stata ampiamente riportata dai media. Dobbiamo concentrarci, quindi, per migliorare non solo l'efficienza ma anche la visibilità degli strumenti dell'Unione europea in risposta ai disastri, come indicato questa mattina nella sessione che avete tenuto con il Presidente Barroso. Presenteremo una proposta in merito il prossimo mese.
Vorrei concludere affermando con orgoglio, a nome dei nostri cittadini, che il caso del Pakistan ha dimostrato come la solidarietà europea non si limiti alle parole, ma si riflette anche nei fatti e nell'azione. Possiamo esserne fieri, perché il nostro lavoro non è solo salvare vite umane, ma anche difendere principi e valori che sono al cuore del progetto europeo.
Filip Kaczmarek, a nome del gruppo PPE. – (PL) Signora Presidente, Commissario Georgieva, le inondazioni in Pakistan rappresentano una catastrofe umanitaria molto grave che ha colpito decine di milioni di persone. Non dobbiamo cercare di superarci a vicenda riportando il numero delle vittime e paragonando le loro sofferenze: non ho quindi intenzione di confrontare l’attuale disastro con altri. Si è trattato di un’enorme tragedia. Vorrei ringraziare il Commissario Georgieva per l'intervento rapido e appropriato della Commissione. È un peccato non essere riusciti ad organizzare durante la pausa estiva una seduta straordinaria della nostra commissione parlamentare per lo sviluppo. Dobbiamo ricordare che milioni di persone hanno ancora bisogno di aiuto, supporto e collaborazione. Infatti le sue priorità, Commissario Georgieva, sono cruciali, al di là dell’aiuto immediato, dell'agricoltura e dei trasporti. Se non sarà possibile salvare l'agricoltura del Pakistan, l'anno prossimo il paese subirà un altro disastro umanitario: la carestia. Paradossalmente, vi è una possibilità che le inondazioni abbiano alcuni effetti benefici: potrebbero ad esempio ostacolare le attività degli estremisti o agevolare la risoluzione del problema dei rifugiati.
Accolgo con favore la sua intenzione di presentare un'iniziativa per aumentare l'efficacia dei nostri strumenti di reazione in caso di catastrofi umanitarie. Sono lieto, inoltre, che la Presidenza belga sia pronta ad adottare l'iniziativa come propria priorità. Il Parlamento europeo sosterrà certamente tali iniziative.
Véronique De Keyser, a nome del gruppo S&D. – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, mi permetta di congratularmi con lei per il suo impegno. È stata sicuramente all’altezza del suo compito.
Detto questo, c'è ancora tanto da fare e vi è stato una sorta di divorzio tra il Pakistan e l'opinione pubblica. Il quadro è confuso, la gente non vuole fare donazioni e questo è un problema reale. La partecipazione oggi è molto scarsa e le persone a volte mi dicono: “Oh, sai, ora in Pakistan non ci sono problemi, l'acqua si sta ritirando.” Va bene, sì, l'acqua si sta ritirando, ma siamo ancora di fronte a un disastro della massima portata, tanto grave quanto lo tsunami.
Sono consapevole di due questioni: innanzi tutto, un miglioramento del nostro meccanismo di risposta rapida. Con i fondi a sua disposizione lei ha fatto quanto si poteva in termini di coordinamento e via dicendo. Questa non è affatto una critica, ma penso che l'Europa abbia tutto l'interesse a rafforzare il proprio meccanismo di risposta rapida, in modo analogo al B-Fast belga ed invito la Presidenza belga a lavorare su questo problema, insieme alla Commissione.
Il secondo punto è il problema delle donne. Come le ho già detto, signora Commissario, in occasione di conflitti e disastri le donne vengono spesso dimenticate. Sappiamo qual è il destino delle donne pakistane; sappiamo che oggi, in questo momento, ci sono 300 000 donne che si troveranno in difficoltà nelle prossime settimane; sappiamo che, di queste, 30 000 avranno bisogno di un intervento chirurgico e su questo problema la prego di intraprendere azioni mirate.
Vi sono ONG locali, ad esempio collegate con la International Planned Parenthood Federation, che hanno accesso quasi ovunque sul campo. Cerchi accordi locali e ci tenga informati. Quello che le chiediamo, signora Commissario, non è una contabilità, ma notizie su quelle donne. Mi auguro che sarà in grado di fornircele.
Charles Goerens, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signora Presidente, attualmente il lago più grande del mondo si trova in Pakistan, per citare il rappresentante di Oxfam per quel paese.
In considerazione della sofferenza e della miseria causata da queste inondazioni di eccezionale gravità, mi pare appropriato parlare di un oceano di problemi, di dolore, di sofferenza e di disperazione.
Abbiamo la responsabilità collettiva di agire. Perché?
In primo luogo perché i 20 milioni di vittime dirette di questo disastro non possono riprendersi senza aiuto. La nostra responsabilità è una responsabilità europea, ma lo è anche degli Stati membri, il che equivale alla stessa cosa. Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona è giunto il momento di porre fine a questa distinzione artificiale che non ha più ragione di essere.
L'Europa infatti si assume le proprie responsabilità, e lei, signora Commissario, ne è un esempio. L'Europa lo sta facendo perfino in maniera esemplare. Non è forse l'Unione europea, in generale, il primo finanziatore per l'intervento umanitario? Altri potrebbero trarne ispirazione per aumentare il proprio contributo affinché il Pakistan esca dalla miseria causata dalle inondazioni in corso, e penso in particolare agli stati ricchi e alle potenze petrolifere di quella parte del mondo.
Questo significa che noi europei siamo perfetti? No. Credo che possiamo fare di meglio, senza dover spendere di più. In primo luogo abbiamo la relazione Barnier, con la quale si chiedono risorse e strumenti comuni che i 27 paesi potrebbero applicare in occasione di un disastro. Che cosa stiamo aspettando per attuare finalmente le conclusioni di questa relazione?
Vi è poi la mancanza di visibilità dell'Unione europea. Non è certamente l'aspetto più importante, ma occorre porvi rimedio, non per vanto o per fare sfoggio di generosità. Ciò che conta, in questo caso, è che l'Unione europea faccia di tutto per distinguersi in quello che sa fare meglio, ovvero affermarsi chiaramente come protagonista umanitario del mondo e per eccellere in quella che comincia a essere considerata la sua vera vocazione: diventare una reale potenza di pace.
Jean Lambert, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, come è stato detto, quella che si sta attualmente verificando in Pakistan è una vera tragedia e si richiederà un impegno a lungo termine, a nome del popolo del Pakistan e del suo governo democraticamente eletto.
Accolgo con grande favore la risposta del Commissario, la sua prospettiva a più lungo termine e non ultimo il rimando alla resilienza climatica. Condivido le preoccupazioni che ha espresso sui finanziamenti a lungo termine per tali catastrofi. Credo che tutti solleciteremo la comunità internazionale ad intensificare la propria risposta. Accogliamo certamente con favore l’aumento del contributo dell'India al fondo delle Nazioni Unite, perché manda un importante segnale politico.
A nostro avviso, la comunità internazionale potrebbe fare di più. Si potrebbe allocare più denaro al Pakistan intervenendo per alleviarne il debito estero, gran parte del quale è stato accumulato sotto i regimi militari. Nel 2008, il Pakistan ha speso 3 miliardi di dollari per il rimborso del debito: questo sembra quasi sminuire l’aiuto internazionale. La Francia e la Germania sono importanti donatori bilaterali. Penso che dovremmo considerare con una certa sollecitudine le condizioni di pagamento che possono essere offerte per i prestiti attualmente proposti.
Ritengo infine importante avere una risposta analoga dal Pakistan, non da ultimo da quei ricchi proprietari terrieri che potrebbero, per esempio, offrire una sorta di sgravio sugli affitti per i contadini poveri che, per qualche tempo a venire, non saranno in grado di pagare il canone.
Sajjad Karim, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signora Presidente, innanzi tutto mi permetta di accogliere con favore le osservazioni che il Commissario ha avanzato in commissione e anche qui oggi. La nostra risposta – guidata dal Commissario – è stata davvero encomiabile sia a livello di Unione europea sia degli Stati membri che agiscono su base bilaterale. Il Regno Unito ha certamente fatto tutto quello che poteva.
È molto triste constatare che, mentre il popolo del Pakistan stava fronteggiando questa catastrofe, il loro Presidente si stava godendo quanto di più e di meglio l'Europa ha da offrire. Mentre si comportava così, noi abbiamo cominciato a mobilitarci e a fare fronte comune con la gente del Pakistan. Sono molto orgoglioso del nostro operato.
Dato che le infrastrutture civili erano andate in pezzi, sono dovute intervenire quelle militari. Il nostro impegno per fornire gli aiuti d'emergenza richiesti è assai lodevole, ma l'emergenza è ancora in corso mentre siamo riuniti qui oggi. Stiamo facendo quello che possiamo mentre la catastrofe è ancora in corso, ma dobbiamo iniziare a pianificare la nostra risposta per il medio e lungo termine.
La portata senza precedenti delle alluvioni richiede una risposta internazionale senza precedenti. Dobbiamo cominciare a ricostruire il Pakistan, ma dobbiamo farlo in modo che la gente del Pakistan se ne accorga o potrebbero davvero verificarsi conseguenze inimmaginabili. Abbiamo un programma di sviluppo, ma dobbiamo collegarlo a questa agenda degli scambi commerciali, in modo da permettere al popolo pakistano di ricostruire il proprio paese.
Onorevoli colleghi, vi chiedo di essere davvero ambiziosi e di presentare un piano comunitario: un po’ come il piano Marshal che contribuì a ricostruire parti d'Europa. Ecco quanto è necessario. Questa è la portata della sfida. Vi prego di raccoglierla.
Michèle Striffler (PPE). – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, la situazione umanitaria in Pakistan è tragica: è peggiore dello tsunami che colpì l'Asia.
Plaudo alla decisione della Commissione europea di innalzare a 70 milioni di euro l'importo complessivo degli aiuti umanitari per soccorrere le vittime delle inondazioni e accolgo con favore la risposta del Commissario Georgieva, che, ancora una volta, è stata immediata.
Uno dei problemi principali è quello di raggiungere le vittime, che, a seguito della distruzione delle infrastrutture, sono circondate dall’acqua e in condizioni di sicurezza è assai precarie. È assolutamente necessario rispettare i principi umanitari di imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità nell’invio degli aiuti, che si devono basare esclusivamente sulle esigenze della popolazione.
Anche se il meccanismo di risposta dell'Unione europea al disastro ha funzionato bene, la crisi in Pakistan ha dimostrato nuovamente la necessità di rafforzare la nostra efficacia in termini di rapidità, coordinamento e visibilità. Questo disastro ha ribadito il bisogno di creare capacità europee di reazione rapida. Ribadisco quindi il mio desiderio di assistere alla creazione di una forza europea di protezione civile.
Signora Commissario, nel mese di novembre lei presenterà un documento sul rafforzamento delle capacità dell'Unione europea di fronte alle calamità, al quale faranno seguito proposte legislative. Lei ha pertanto l'opportunità di proporre soluzioni ambiziose e confido che lo farà.
Thijs Berman (S&D). – (NL) Signora Presidente, l'Unione europea si è accollata una quota ampia di aiuti, ma ora le sue promesse (230 milioni di euro da parte dell'Unione europea e dei suoi Stati membri) devono essere onorate. Il Pakistan non deve cadere vittima di una tacita diffidenza. L'aiuto umanitario è un dovere, separato dalla politica e senza discriminazioni. L'Unione europea è uno dei principali donatori ed è quindi essenziale che noi, in particolare, coordiniamo i nostri sforzi in modo efficace. Ho una domanda per il Commissario Georgieva: quali aspetti del nostro coordinamento possono essere migliorati e cosa è necessario – che cosa lei richiede – a questo scopo?
Le persone devono avere accesso costante all’acqua potabile, alle cure mediche e al cibo. Mentre rimane la minaccia di nuove inondazioni, la ricostruzione delle regioni colpite sarà irta di difficoltà. Non appena sia possibile, la comunità internazionale deve inoltre aiutare il governo e il popolo pakistani ad alleviare le conseguenze a lungo termine di questo disastro e, se questo dovesse richiedere un budget più grande, dobbiamo trovare il modo per garantirlo.
Louis Michel (ALDE). – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, desidero naturalmente complimentarmi con lei, Commissario, per il notevole lavoro svolto.
Grazie al suo intervento i paesi dell'Unione europea hanno mobilitato 230 milioni di euro di aiuti di emergenza, 70 milioni di euro dei quali sono fondi europei. Come altri prima di me hanno già sottolineato, questo è notevole, è magnifico. Anche la sua presenza in loco testimonia il suo reale interesse e determinazione nell’affrontare il problema.
Prima di tutto, vorrei sostenere quanto è già stato detto qui a proposito del problema delle donne, della sanità e della questione politica, anche perché esiste il rischio di guidare questo paese nelle braccia degli estremisti. Vorrei ripetere – anche questo è stato detto, ma purtroppo non c'è altra scelta se non dirlo ancora una volta – che bisogna rapidamente mettere in atto una forza europea di protezione civile. Ho già avuto occasione di sostenerlo in diverse occasioni, in particolare in occasione della discussione sul terremoto ad Haiti.
La relazione Barnier è una perfetta fonte di ispirazione per mettere in atto questo meccanismo. Vorrei informazioni più dettagliate sulle sue intenzioni a riguardo.
Peter van Dalen (ECR). – (NL) Signora Presidente, nei Paesi Bassi la lotta contro l'acqua ci è familiare e quindi avverto un forte senso di vicinanza con il popolo pakistano, così gravemente colpito da disastrose inondazioni. Invito l'Unione europea, gli Stati membri e la comunità internazionale a sostenere il popolo pakistano e a non abbandonarlo alla volontà dei talebani.
Come cristiano, mi sento vicino anche ai cristiani in Pakistan. Ho sentito riferire da organizzazioni come Open Doors International e Compass Direct News che in diverse aree del paese i cristiani sono discriminati quando si tratta della distribuzione di cibo e dell’assistenza medica. Ho trovato questi resoconti scioccanti e vorrei chiedere al Commissario di prestare attenzione anche a questo aspetto. Un rapporto ancora più grave riferisce che, a quanto pare, tre operatori umanitari stranieri di un’organizzazione cristiana sono stati uccisi dai talebani pakistani. Vorrei chiedere al Commissario di dedicare particolare attenzione a questo aspetto e di sostenere il governo pakistano, che ha il compito di proteggere gli operatori umanitari nazionali e stranieri: gli aiuti non devono mai essere oggetto di discriminazione.
Vorrei ricevere una risposta da parte del Commissario anche su questo punto.
Eija-Riitta Korhola (PPE). – (EN) Signora Presidente, in primo luogo desidero esprimere la mia solidarietà al popolo del Pakistan per la tragica perdita di vite umane. Vorrei anche ringraziare il Commissario Georgieva per il lavoro svolto perché il Pakistan diventasse una priorità urgente della sua agenda.
Il mondo e l'Unione europea hanno impiegato del tempo per comprendere la portata del disastro. Ora, dato che capiamo meglio le necessità delle persone colpite, la nostra risposta deve essere immediata e adeguata alle esigenze. Dobbiamo fornire maggiore assistenza finanziaria e materiale, garantendo al contempo che gli aiuti raggiungano tutti, comprese le minoranze, in base ai propri bisogni.
Non dobbiamo dimenticare che il Pakistan è un paese in prima linea nella guerra internazionale contro il terrorismo e contro l'estremismo. Se non riusciamo ad aiutarlo, allora la povertà e la disperazione potrebbero rafforzare quelle militanze. Uno sforzo una tantum di assistenza umanitaria non è sufficiente; deve essere combinato con l'aiuto per ricostruire le infrastrutture del paese: strade, ponti, scuole ecc.
Dobbiamo anche adottare misure urgenti per aiutare il Pakistan a rimettere in piedi la propria economia e il proprio commercio. Un potenziamento dell’accesso al mercato per le esportazioni pakistane e nuovi accordi sul debito potrebbero cambiare la situazione. Gli Stati membri dell'Unione europea devono seriamente riconsiderare un riequilibrio del debito come un modo per portare aiuto in questa tragedia.
Enrique Guerrero Salom (S&D) – (ES) Signora Presidente, signora Commissario, la percezione generale dell'opinione pubblica mondiale e anche nostra è che la reazione della comunità internazionale al disastro umanitario in Pakistan è stata lenta ed esigua. Siamo arrivati troppo tardi e con minore intensità rispetto ad altre catastrofi umanitarie di simile portata.
Si è percepito anche un certo grado di riluttanza a coprire il fabbisogno stabilito dalle Nazioni Unite. Alcuni colleghi hanno fatto riferimento alle resistenze che potrebbero sussistere nella nostra società a causa del tipo di regime politico o dei possibili problemi in Pakistan. Ritengo tuttavia che, in quanto deputati, dobbiamo fare uno sforzo nelle nostre società per spiegare che stiamo aiutando persone, esseri umani, che si trovano in difficoltà, e non un particolare regime politico. L'azione umanitaria si deve basare sulla neutralità, l’imparzialità e l’indipendenza e questi devono essere i valori che guidano il nostro intervento.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Possiamo definire le inondazioni in Pakistan come un disastro senza precedenti.
Venti milioni di persone sono state colpite; due mila persone hanno perso la vita, oltre un milione di case sono state distrutte; parte delle infrastrutture e una grande porzione di terreni agricoli sono ora inutilizzabili.
L'Unione europea non può rimanere indifferente di fronte a questa tragedia, tanto più che alcuni dei suoi Stati membri, tra cui la Romania, hanno sperimentato questa estate la violenza delle alluvioni.
Accolgo con favore il deciso impegno della Commissione europea e degli Stati membri, che hanno mobilitato fondi per un importo di 230 milioni di euro, facendo dell'Unione europea il maggior donatore di aiuti esterno per il Pakistan.
La situazione umanitaria resta tuttavia particolarmente grave, con implicazioni a lungo termine.
Ritengo che una ripresa sostenibile possa essere raggiunta solo attraverso la crescita economica del paese. A questo proposito l'Unione europea può contribuire aprendo i propri mercati al Pakistan.
Corina Creţu (S&D). – (RO) In effetti l'Unione europea ha risposto prontamente alla tragedia in Pakistan anche se, come lei ha affermato, non sempre con un alto profilo. La visita alle zone colpite dalle inondazioni ha tuttavia messo in evidenza la solidarietà dell'Unione europea in risposta a questo disastro umanitario.
Le vittime della catastrofe (stiamo parlando di circa 18 milioni di persone) sono esposte adesso a gravi rischi di malattia. Purtroppo, l'ONU ha ricevuto solo un terzo delle risorse richieste, a causa anche delle perplessità manifestate dagli Stati membri in merito alla diffusa corruzione in Pakistan.
Ritengo che sia necessario un meccanismo di controllo delle modalità con cui vengono incanalati direttamente gli aiuti umanitari alle vittime delle inondazioni, in modo che non vengano sottratti da signori locali, incrementando nel contempo le missioni umanitarie.
Dovremmo rendere prioritaria l’attenzione alle misure di sicurezza per gli operatori umanitari, alla luce della minaccia islamista.
Jürgen Creutzmann (ALDE). – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, abbiamo assistito alle alluvioni devastanti in Pakistan e dobbiamo aiutare le vittime indigenti di questo paese. A questo proposito mi rattrista particolarmente che il governo centrale del paese vieti l’accesso degli aiuti a determinate regioni.
Ad esempio, la regione di Gilgit-Baltistan a nord di Jammu, e il Kashmir all'interno della regione di confine pakistana, sono state duramente colpite dalle forti precipitazioni e dalle loro conseguenze. Secondo le informazioni che ho ricevuto, nel solo Gilgit-Baltistan, 500 persone sono morte e 50 000 sono rimaste senza tetto; quattro ponti sono stati spazzati via e molte aree sono rimaste completamente isolate. Finora, tuttavia, solo un aiuto equivalente a circa 10 000 euro ha raggiunto il Gilgit-Baltistan.
L'Unione europea non deve quindi limitarsi a consegnare i propri aiuti al governo centrale pakistano, ma deve fornire sostegno diretto alle organizzazioni non governative che stanno portando soccorso anche nelle regioni remote del Pakistan.
Janusz Władysław Zemke (S&D). – (PL) Signora Presidente, quando questa gigantesca catastrofe umanitaria ha colpito il Pakistan la reazione dell'Unione europea è stata più efficace che in altre occasioni. Penso che tutti noi, qui, avvertiamo una grande soddisfazione guardando ai progressi compiuti, rispetto ad esempio all'aiuto fornito ad Haiti. Vorrei richiamare l'attenzione su due questioni molto importanti: in primo luogo l'aumento di quello che l'Unione europea può fare davvero – e sottolineo qui le parole “quello che l'Unione europea può fare davvero” – nel fornire aiuti umanitari. Abbiamo ad esempio bisogno di risolvere le questioni relative al trasporto aereo; se non è disponibile, diventa difficile portare aiuto in modo efficace. La seconda questione è legata a migliorare il coordinamento delle azioni a livello di Unione europea, che si sta impegnando in maniera molto rilevante: tuttavia gli sforzi compiuti dalla stessa Unione e dagli Stati membri devono essere maggiormente coordinati.
Kristalina Georgieva, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare gli onorevoli deputati per le utilissime osservazioni. Cercherò di concentrare la mia risposta intorno a tre ordini di problemi: in primo luogo, le priorità a breve e a lungo termine e le modalità per integrare i consigli avanzati oggi; in secondo luogo, l'ambito politico e il modo per tutelare la neutralità e l'indipendenza del lavoro umanitario, nonché la sicurezza degli operatori umanitari; in terzo luogo, la capacità dell'Unione europea di rispondere ai disastri e il nostro impegno per garantire maggiore efficienza in futuro.
Riguardo alla prima questione, concordo pienamente con le osservazioni apportate in quest'Aula per garantire che ci si concentri su quanti rischiano di restare esclusi. Questo riguarda soprattutto le aree più conservatrici del Pakistan, le donne e, naturalmente, i bambini in famiglie guidate da donne che sono a rischio molto elevato, oltre alle minoranze, incluse quelle religiose a cui è stato fatto riferimento.
In qualsiasi paese, ed anche in Pakistan, le comunità che sono difficili da raggiungere corrono un rischio particolarmente elevato poiché sono isolate sia per motivi naturali sia a causa di conflitti. Vi posso assicurare che esamineremo con molta attenzione le proposte dei nostri partner per assicurarci che il nostro finanziamento raggiunga in misura rilevante quanti rischiano di rimanere esclusi.
Seguirò in modo più dettagliato con la mia équipe la questione specifica che mi è stata sottoposta del trattamento delle minoranze religiose. So che consideriamo le minoranze con molta attenzione e sono sicura che disponiamo di maggiori e più specifiche informazioni sulle minoranze e sulla situazione in Kashmir. Vi posso confermare che abbiamo lavorato con le ONG partner in loco per essere in grado di raggiungere quelle persone.
È stato fortemente sottolineato il fatto che l'agricoltura è alla base di gran parte della società e dell'economia pakistane. Con il graduale ritiro, l’acqua può lasciare un terreno più fertile, ma potremo cogliere questa opportunità solo se saremo rapidi nell’aiutare gli agricoltori a recuperare la loro capacità di coltivazione. Come sempre nel caso di un disastro, se la risposta è ben coordinata, soprattutto per quanto riguarda la ripresa a lungo termine, può apportare miglioramenti anche in termini di sicurezza.
Questo mi permette di ricollegarmi alla necessità di guardare alla raccolta di fondi da ulteriori donatori: in altre parole, dovremmo usare la nostra autorità morale per esortare i paesi vicini, come le nazioni del Golfo, ad aiutare il Pakistan. Lo stanno già facendo e l'Unione europea, con il suo intervento rapido e massiccio, può adesso esortare gli altri paesi. Continueremo a farlo, mentre ci prepariamo per la riunione del 14 e 15 ottobre degli Amici del Pakistan democratico. L'Alto rappresentante e Vicepresidente Ashton, insieme con il ministro degli Affari esteri del Pakistan Qureshi, si accinge a co-presiedere questo incontro e siamo già d’accordo di tenere una sessione speciale allargata con cui sensibilizzare e sostenere l’impegno degli altri paesi e sollecitarli a contribuire.
Per quanto riguarda gli Stati membri e le nostre specifiche risorse, posso dire quanto segue: delle risorse della Commissione, sono già stati impegnati 70 milioni di euro e gran parte di questi fondi è già stata erogata. Nella settimana che ho trascorso in Pakistan abbiamo esaurito i fondi per i progetti di soccorso urgente che stiamo sostenendo insieme a organizzazioni credibili e a persone molto competenti che operano sul territorio. Il nostro personale ci ha già comunicato la necessità di mettere a disposizione risorse aggiuntive.
Per quanto riguarda gli Stati membri, voglio rendere omaggio a Regno Unito, Germania e Svezia, i maggiori donatori. In molti altri casi hanno fornito il loro aiuto. La Commissione e gli Stati membri hanno condiviso le competenze in questo settore. Stiamo naturalmente collaborando e vorremmo vedere pienamente dispiegato tutto il nostro impegno.
Per quanto riguarda le priorità per una nostra risposta a lungo termine, è molto chiaro che le previsioni economiche per il Pakistan dovranno essere riviste al ribasso. In altre parole, la previsione di crescita per il prossimo anno scenderà dal 4,5 per cento prima delle inondazioni a forse l’1 per cento, o addirittura al di sotto dello zero. Vi è stata una distruzione massiccia che deve essere ancora valutata, ma sarà nell'ordine di miliardi di euro. Sarà quindi necessario mobilitare il sostegno per il Pakistan in modo olistico, ovvero esaminando tutte le possibili opzioni su come l’aiuto potrà essere messo a disposizione.
La Commissione non ha ovviamente alcuna capacità di credito e non posso quindi prendere una posizione sulla riduzione del debito dal punto di vista delle possibilità della Commissione. Una delle opzioni potrebbe comunque essere l’esame delle risorse del Pakistan. Faremo in modo che la vostra voce sia ascoltata quando verranno discusse tali opzioni.
Allo stesso modo, vi saranno domande sul commercio e sulle relative possibilità d’intervento. Posso dirvi che il Commissario De Gucht sta già esaminando attentamente quanto possiamo offrire attraverso questa risposta olistica ai problemi del paese.
Vorrei aggiungere un altro punto. Dobbiamo collaborare con il Pakistan anche per sostenere il governo nelle riforme intraprese, al fine di rilanciare l'economia su una base più solida (tra cui la riforma sull’organizzazione delle loro finanze pubbliche e dei loro bilanci) in modo che le inondazioni non finiscano per distrarre il governo dal fare a lungo termine la cosa giusta per il proprio popolo. Anche questa è una cosa di cui stiamo discutendo.
Naturalmente, aiutare il Pakistan è anche una questione di stabilità politica in un paese tanto importante per la propria regione e per il resto del mondo. Ci auguriamo che la nostra azione collettiva non solo risparmi delle vite umane, ma prevenga anche lo scoppio del caos in questa regione molto delicata. In tal modo, per quelli di noi che hanno a cuore il lato umanitario, è cruciale sottolineare sempre alle autorità (come ho fatto nel corso della mia visita) che la sicurezza degli operatori umanitari è fondamentale.
Un altro aspetto per noi importante è garantire la neutralità. La scelta di chi aiutare non può essere basata su fattori quali religione, sesso, o l’ubicazione rurale o urbana. La neutralità e la sicurezza degli operatori umanitari sono imprescindibili. Il 19 agosto è stata la Giornata degli operatori umanitari; quel giorno, purtroppo, è stato fatto notare che lo scorso anno abbiamo perso più operatori umanitari che operatori di pace: sono morti 102 operatori umanitari. Nel contesto del Pakistan, mi sveglio ogni giorno in preda all’ansia di perdere una vita umana nel rispondere a questa catastrofe. Intendo solo confermare che abbiamo preso la cosa seriamente.
Vorrei concludere con il rafforzamento della risposta dell'Unione europea alle catastrofi. Sono molto grata a quanti di voi hanno parlato positivamente delle nostre azioni finalizzate a una migliore organizzazione e coordinazione. Sono grata anche a chi dice che dobbiamo fare di più e sono d'accordo.
Permettetemi di fare solo un esempio di cosa significa il coordinamento nel caso del Pakistan. Come ho detto, abbiamo implementato il nostro team di coordinamento della protezione civile in Pakistan e abbiamo ottenuto che 12 Stati membri fornissero assistenza in natura. Abbiamo organizzato dieci voli in un ponte aereo tra l’Unione europea e il Pakistan: due dalla Repubblica Ceca, uno finanziato dalla Finlandia e sette co-finanziati dalla Commissione. Abbiamo effettivamente portato aiuto a nome di molti paesi in modo più coordinato e, sempre in maniera coordinata, l’abbiamo dispiegato sul terreno.
Abbiamo quindi compiuto progressi, ma a chi sostiene che occorre fare di più, rispondo “tutto il potere alla vostra opinione”. Se tutto va bene vedrete che la Commissione ha a un modo molto determinato e ambizioso di affrontare quel che significa avere una forte capacità di reazione alle calamità da parte dell'Unione europea.
Poiché questa è una discussione che terremo in futuro, vorrei riassumere molto brevemente quattro punti.
Per quanto riguarda la pianificazione degli scenari, in primo luogo, dobbiamo essere molto più preparati ad anticipare i tipi di disastri futuri.
In secondo luogo, abbiamo bisogno di risorse predeterminate e impegnate da parte degli Stati membri su cui poter contare in caso di disastro. Ogni volta che si verifica una calamità e avanzo una richiesta di aiuto, non so se al momento della richiesta otterrò o meno quanto è necessario. Fortunatamente per me, finora, ogni volta che lo abbiamo chiesto, gli Stati membri si sono fatti avanti, ma sarebbe molto più prudente essere in grado di prevedere con anticipo l'impegno degli Stati membri e le risorse che abbiamo a disposizione.
La terza questione riguarda il rafforzamento del coordinamento. Non ho intenzione di aggiungere di più in merito. Ovviamente dobbiamo ottenere che i nostri 27 Stati più uno agiscano come un’unica entità.
In quarto luogo, abbiamo bisogno di un approccio olistico di risposta alle crisi che includa prevenzione, preparazione, risposta e verifica del risanamento.
Questi quattro punti stanno alla base della proposta che vorrei presentarvi.
Signora Presidente e onorevoli deputati vi ringrazio ancora per i vostri consigli rivolti a me e alla mia équipe.
Presidente. – La discussione è chiusa.
13. Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (discussione)
Presidente. - L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0235/2010), presentata dall’onorevole Őry, a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione [COM(2010)0193 – C7-0111/2010 – 2010/0115(NLE)].
Csaba Őry, relatore. – (HU) Grazie per la parola, signora Presidente. Cercherò di essere breve. Sarebbe ottimo infatti poter concludere in fretta la discussione,che ha avuto un inizio piuttosto difficile che poiché non si tratta di un normale processo di consultazione, dato che la Commissione e il Consiglio, e anche noi qui in Parlamento, consideriamo l’attuale stesura degli orientamenti a favore dell’occupazione come parte di una comune riflessione sulla strategia Europa 2020.
In definitiva, sembra che il tempo a nostra disposizione abbia arricchito la discussione, anche se devo dire che fin dall'inizio, avevamo trovato una serie di utili e valide raccomandazioni nella proposta della Commissione. Tuttavia, abbiamo apportato delle modifiche su alcuni punti.
Prima di tutto, vorrei attirare la vostra attenzione su un cambiamento strutturale. Sebbene tanto la scuola quanto la formazione siano importanti, non ci sembra necessario affermarlo in due diverse direttive, soprattutto perché abbiamo ridotto le 24 precedenti direttive a favore dell’occupazione a un totale di quattro. È per questo che abbiamo unito queste due aree, pur con l’introduzione di un nuovo elemento.
Vorremmo sottolineare l'importanza della politica di coesione come strumento al servizio dell'occupazione e del suo contesto, dal momento che, se vogliamo prendere decisioni in merito agli sviluppi e lanciare iniziative nell'Unione europea volte a ridurre il divario tra gli Stati membri, allora queste avvicineranno paesi che sono distanti tra loro sotto molti aspetti. Queste politiche devono essere collegate tra loro dal punto di vista dell'occupazione. Sosteniamo sviluppi che contribuiscano alla creazione di posti di lavoro, dal momento che siamo tutti d'accordo che la priorità fondamentale è creare nuova occupazione.
Questo è giustificato in particolare dalla crisi economica, che non è ancora del tutto conclusa nonostante i segnali incoraggianti. Abbiamo ancora meno chiaro che cosa questo significhi in realtà per l'occupazione. Tra il 2008 e il 2010 il numero dei disoccupati potrebbe essere aumentato da 16 a 23 milioni, un numero enorme; purtroppo devo dire che la situazione dei giovani è ancora peggiore, dal momento che tra di loro il numero dei disoccupati è aumentato a circa il 20,5 per cento. Questi dati indicano una vera e propria malattia: suggeriscono problemi che devono farci aprire gli occhi sul compito che abbiamo di fronte. A mio parere, possiamo sostenere un buon numero delle raccomandazioni contenute nelle proposte del Consiglio e della Commissione. Siamo in grado di sostenere l'obiettivo di un tasso di occupazione del 75 per cento, cioè l’occupazione del 75 per cento dei cittadini in età lavorativa, anche se vorremmo che questa cifra fosse più alta tra i giovani. Tra quanti, in età compresa tra 15 e 24 anni, studiano o lavorano, tale proporzione dovrebbe essere almeno del 90 per cento. Non ci dovrebbero essere giovani che perdono tempo. Allo stesso modo, per quanto che riguarda la povertà, dobbiamo porre particolare attenzione nell’affrontare l’indigenza infantile come elemento chiave e, anche se non voglio ripetere qui l'intero quadro di tutte le 10 linee guida o orientamenti, sono lieto che sia la Presidenza belga sia quella ungherese stiano trattando la questione come una priorità. Mi auguro pertanto che anche il Consiglio decida di dare particolare enfasi al tema.
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero ringraziare innanzi tutto il relatore, onorevole Őry, per la sua relazione e per il suo approccio costruttivo alla proposta della Commissione sugli orientamenti a favore dell'occupazione: concordo pienamente con lui sulla necessità di collocare questi nuovi orientamenti a favore dell’occupazione nel contesto della crisi.
Sono passati solo due anni dalla caduta della Lehman Brothers e il 2008 è stato un annus horribilis nel settore finanziario; il 2009 è stato un annus horribilis per l'economia, con una recessione senza precedenti e il 2010 è un annus horribilis per l'occupazione in Europa, con un tasso medio di disoccupazione totale del 10 e del 20 per cento tra i giovani. Dobbiamo veramente prendere sul serio tali problemi ed è per questo che apprezzo molto il modo in cui abbiamo collaborato con il Parlamento nel corso degli ultimi mesi (in primavera, in particolare) sia sugli orientamenti sia sulla strategia Europa 2020.
La Commissione ha seguito molto da vicino il lavoro su questa relazione. La discussione è stata ampia e proficua e ha dimostrato la necessità di individuare le priorità e raggiungere compromessi. Accolgo con favore l'eccellente cooperazione negli ultimi quattro mesi tra la commissione per l'occupazione e gli affari sociali e la Commissione europea. Come ho già sottolineato in diverse occasioni, è di vitale importanza che la Commissione abbia il sostegno di tutte le principali istituzioni dell'Unione europea, e in particolare del Parlamento, al fine di stabilire la necessaria volontà politica della nuova strategia Europa 2020 e garantirne il successo.
Vi posso assicurare che la Commissione sarà pronta a coinvolgere il più possibile il Parlamento nell'attuazione della strategia per i prossimi anni. Sono lieto di notare che gran parte delle proposte e degli emendamenti presentati nel progetto di relazione sono stati introdotti dal Consiglio e sono inclusi nel testo a cui è stato dato avallo politico da parte del Consiglio europeo di giugno. Ci sono un certo numero di punti in sospeso che dovranno essere discussi con il Consiglio.
La Commissione non è a favore degli emendamenti volti a modificare la struttura degli orientamenti aggiungendone di nuovi. In questo modo si verrebbe a compromettere la chiarezza e la coerenza della proposta della Commissione. La Commissione si oppone anche all'idea di aggiungere ulteriori obiettivi principali ai cinque già concordati a livello politico, in quanto ritiene che il principio fondamentale nella progettazione della nuova strategia è stato di limitare il numero di finalità e obiettivi, al fine di focalizzare meglio la nuova strategia.
Ciò premesso, la Commissione concorda sulla possibilità di un ulteriore rafforzamento nel testo di alcuni problemi, quali la tutela dei bambini, il lavoro dignitoso e le piccole e medie imprese. La Commissione è pronta a lavorare con il Parlamento e con il Consiglio per trovare un testo di compromesso reciprocamente accettabile.
Eva-Britt Svensson, relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – (SV) Signora Presidente, non è esagerato dire che la strategia di Lisbona non ha avuto successo. Dobbiamo quindi imparare dai nostri sbagli e non ripeterli nella nuova strategia. Alcuni degli difetti principali della strategia sono stati non dare priorità alla parità sul posto di lavoro, non offrire alle donne le opportunità e le condizioni necessarie per partecipare pienamente al mercato del lavoro, e non dare priorità all’impegno per eliminare le disparità retributive tra uomini e donne.
Abbiamo bisogno di incrementare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e di accrescere così la partecipazione degli uomini alla cura dei figli e alle attività correlate. Vi chiedo quindi di sostenere i miglioramenti di questa strategia proposti dalla commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere. Chiedo inoltre di rimuovere la dicitura che indica la necessità di tagliare i salari del settore pubblico, in cui oggi si trovano molte delle nostre donne che percepiscono un basso reddito. Vi prego di non aumentare ulteriormente le disparità salariali.
Pascale Gruny, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signora Presidente, abbiamo bisogno di una legislazione a lungo termine per migliorare l'occupazione in Europa e ridurre la povertà. Dobbiamo affrontare il problema della disoccupazione con una prospettiva di crescita sostenibile. Vorrei sottolineare tre aspetti.
Prima di tutto, il Consiglio propone che gli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione vengano stabiliti ogni 10 anni. Sono d'accordo; abbiamo bisogno di una prospettiva di lungo periodo, ma abbiamo anche bisogno, ogni tre anni, di veri capisaldi per garantire che non si perdano di vista gli sviluppi nel mercato del lavoro.
In secondo luogo, ho presentato un emendamento, che non è stato accolto, nel quale proponevo l’istituzione di un osservatorio sull’occupazione per condurre un’analisi specifica dei futuri posti di lavoro. Molti giovani abbandonano la scuola o l'università senza alcuna formazione che risponda alle esigenze del mercato del lavoro. Abbiamo bisogno di prevedere i futuri posti di lavoro. I nostri giovani devono essere in grado di andare avanti e specializzarsi, completando un percorso di formazione che permetta loro di tenersi al passo con il mercato del lavoro.
Infine, la lotta contro la disoccupazione non comporta solo l’impegno per migliorare la situazione occupazionale in Europa, ma anche la lotta contro la povertà, nella quale è di vitale importanza l'integrazione professionale delle persone rimaste per lungo tempo senza lavoro. Il Fondo sociale europeo è lo strumento che può contribuire a riportare queste persone nel mercato del lavoro. Cominciamo con il restituire a queste persone la loro dignità dandogli un lavoro ed evitando di aiutarli senza alcuna prospettiva di integrazione sociale. Ci tengo a sottolineare questo aspetto.
Jutta Steinruck, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signora Presidente, vorrei iniziare il mio intervento con una critica alla procedura. Il lavoro del Parlamento è stato fortemente compromesso dalla tardiva presentazione di questa relazione. Di fatto ha potuto solamente presentare la propria posizione perché sono state avanzate delle eccezioni e ora il Consiglio non discuterà la questione fino al vertice di autunno.
Alla fine è stato raggiunto un compromesso accettabile. La collaborazione tra il relatore e i relatori ombra è stata eccellente, come si può intuire anche dal fatto che in sede di commissione abbiamo ottenuto una chiara maggioranza per la nostra posizione. Come socialdemocratici abbiamo potuto includere molti aspetti fondamentali che ci stanno a cuore, anche se non siamo contenti di ogni singolo punto. Sono comunque grata che la Presidenza belga abbia assicurato il sostegno alla posizione del Parlamento.
Al fine di facilitare questa procedura, abbiamo presentato quattro emendamenti per i quali chiediamo il sostegno nel corso della votazione di domani. È per noi importante che gli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione contengano delle componenti sociali: in altre parole, la definizione di cosa sia un buon lavoro, la condizione che un lavoro adeguato debba essere anche ben retribuito e il fatto che vengano stabiliti obiettivi intermedi verificabili. Gli orientamenti verranno tuttavia presi sul serio negli Stati membri solo se li prenderanno sul serio la Commissione e il Consiglio. Chiediamo pertanto alla Commissione di garantire che vengano attuate misure idonee e che i risultati vengano verificati.
Sono lieta che il Commissario ci abbia assicurato di inserire le nostre posizioni, perché il Parlamento ha aggiunto una componente ben orientata socialmente e vicina ai lavoratori della quale beneficeranno i cittadini europei. Questo è quanto la gente si aspetta da questo Parlamento e rappresenta un miglioramento delle condizioni sociali.
Siiri Oviir, a nome del gruppo ALDE. – (ET) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, stiamo discutendo gli orientamenti a favore dell'occupazione nel bel mezzo della crisi economica. Senza dubbio questo influenzerà pesantemente il mercato del lavoro per un certo numero di anni. È importante concordare una strategia efficace a livello di Unione europea che sia di reale aiuto nella risoluzione dei problemi. Non è stato possibile raggiungere gli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona soprattutto a causa dei problemi connessi alla loro attuazione, e non perché quegli obiettivi fossero sbagliati.
Il successo della nuova strategia dipende in larga misura dalla capacità di imparare dagli errori precedenti. La creazione di posti di lavoro e l’aumento dell'occupazione devono restare al centro della nuova strategia. È dunque una priorità creare posti di lavoro di alta qualità, che sono necessari in una prospettiva a lungo termine e creano un elevato valore aggiunto. La politica a favore dell'occupazione deve garantire che le transizioni siano il più agevoli possibile per i lavoratori dipendenti, sia tra i settori economici sia tra i diversi status del mercato del lavoro. Per questo motivo, è necessario estendere ulteriormente gli obiettivi a lungo termine e concentrarsi maggiormente su un'azione coordinata nel mondo degli affari, dell'istruzione e della politica a favore dell'occupazione.
La lotta contro la povertà e l'esclusione è oggi particolarmente rilevante. Dobbiamo creare per tutti i gruppi sociali opportunità di partecipazione o di reinserimento nel mercato del lavoro, indipendentemente dall’età e dal genere, ponendo particolare attenzione a tutti quei gruppi che si trovano in condizioni di bisogno.
In qualità di relatore ombra per il gruppo dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa, sono lieta che ora, in collaborazione con i membri del Parlamento, abbiamo trovato nella relazione l'indicazione che verrà garantita la parità dei diritti di genere. Infine, adottando la relazione, ci aspettiamo che la Commissione e gli Stati membri adottino il quadro giuridico in modo tempestivo; non solo, ma ci attendiamo anche una stretta cooperazione tra Commissione e Parlamento, così come tra gli stessi Stati membri. In caso contrario, parlare di un mercato unico dell'Unione europea sarà vero solo in parte, per non dire altro. Vorrei anche ringraziare l'onorevole Őry per il suo impegno e per l’alto livello di cooperazione.
Emilie Turunen, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Őry, molto è stato detto circa il contenuto e il procedimento in relazione a questi orientamenti a favore dell'occupazione. Senza dubbio questo Parlamento ha migliorato significativamente gli orientamenti nel corso del proprio lavoro sul progetto presentato. Oggi vorrei sottolineare due punti a nome del gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea: in primo luogo, siamo riusciti a garantire il sostegno per un’ambiziosa iniziativa a favore dell’occupazione di gruppi particolarmente vulnerabili, compresi i giovani. Il Parlamento chiede che la disoccupazione giovanile venga ridotta della metà, in altre parole un tasso di disoccupazione per i giovani di età compresa tra 15 e 25 anni non superiore al 10 per cento, contro l’attuale 20 per cento e oltre. Si tratta di un obiettivo ambizioso ma necessario se vogliamo salvaguardare una forza lavoro per il futuro e assicurare prosperità e coesione sociale.
In secondo luogo, gran parte di questo Parlamento chiede un maggiore impegno per un'Europa sociale. In particolare questo significa che non dovremmo semplicemente combattere la povertà per mezzo di un aumento dell'occupazione, ma che, nell’orientamento 10, si richieda un lavoro di qualità dignitosa e che fornisca un salario di sussistenza. Un altro requisito fondamentale è la parità di accesso alla prosperità e ai servizi sociali. In questo Parlamento oggi, stiamo inviando il messaggio chiaro che lotteremo per eliminare il concetto di “lavoratori poveri” e che ci rifiutiamo di consentire che l'Europa abbia un mercato del lavoro in stile americano. Questi due aspetti, l'occupazione giovanile e l’orientamento sociale, sono due importanti miglioramenti che ritengo il Consiglio o la Commissione non possano ignorare.
Milan Cabrnoch, a nome del gruppo ECR. – (CS) Onorevoli colleghi, la situazione della disoccupazione negli Stati membri dell'Unione europea è critica. La disoccupazione è al suo più alto livello dall'introduzione dell'euro nel 1999 e si attesta al 10,1 per cento. Oltre 23 milioni di persone sono senza lavoro, 16 milioni dei quali nell'eurozona. Tutti noi qui probabilmente concordiamo sull'urgenza di trovare una soluzione al problema, ma la relazione presentata non offre alcuna via d'uscita alla crisi. Noi non crediamo che l'attuazione del diritto di piena occupazione possa rappresentare una soluzione in sé. Stiamo definendo obiettivi artificiali senza sapere come raggiungerli. Perché disporre di prescrizioni amministrative in termini di percentuale di partecipazione al mercato del lavoro, di occupazione delle donne o dei giovani e di riduzione della percentuale degli studenti che abbandonano i propri studi, quando non sappiamo chi misurerà e confronterà il raggiungimento di tali obiettivi o come potrà farlo? Siamo del parere che il raggiungimento di un solido ed efficace mercato unico sia uno strumento fondamentale per garantire le complessive prestazioni macro-economiche dell'Unione europea, e un mercato del lavoro flessibile è il modo migliore per creare nuovi posti di lavoro.
Thomas Händel, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la proposta della Commissione di orientamenti integrati a favore della maggiore e migliore occupazione è stata notevolmente migliorata con il lavoro del Parlamento.
Nonostante una serie di miglioramenti, siamo ancora ben lontani dall’aver raggiunto i nostri obiettivi. Noi non neghiamo il fatto che sono stati apportati miglioramenti per quanto riguarda la parità tra uomini e donne, ma avremmo preferito l’integrazione di un orientamento distinto in questo insieme di orientamenti. Avanzeremo questa richiesta con determinazione domani in seduta plenaria.
In secondo luogo, è importante che la valutazione dei risultati e degli obblighi di segnalazione venga fermamente stabilita nella sfera di competenza del Parlamento e che nella relazione vi siano obiettivi e sotto-obiettivi più impegnativi in materia di partecipazione e di politica attiva del mercato del lavoro. Tuttavia, è importante che domani il Parlamento confermi di prendere in considerazione nella relazione i principi dell'Organizzazione internazionale del lavoro relativi al lavoro giusto e dignitoso, nonché la questione di un salario minimo che sia chiaramente al di sopra della soglia di povertà.
Sono comunque del parere che questa relazione contenga ancora una serie di carenze. Ricorda troppo la vecchia strategia di Lisbona. I principi di flessicurezza, che non hanno avuto successo, sono stati ripetuti come un mantra e gran parte del testo sa di vecchia politica di deregolamentazione.
In secondo luogo, vengono citati principi quali la compatibilità tra lavoro e vita familiare, la coesione sociale, la gestione economica sostenibile, gli investimenti e l'istruzione, senza però indicare misure specifiche per dar loro seguito; questo rappresenta un punto debole della relazione. Per una maggiore e migliore occupazione è necessario porre l'accento sulla riduzione della precarietà della situazione attuale e sottolineare il principio della “parità di retribuzione per pari lavoro nello stesso luogo”, fare ancora una volta del modello di lavoro a tempo pieno il punto centrale, limitare la durata massima settimanale del lavoro e ridurre gli orari di lavoro e, soprattutto, per quanto riguarda la coesione, includere il progresso sociale quale elemento vincolante e non consentire che si facciano dei passi indietro.
Mara Bizzotto, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, immobilismo e miopia: è questa la diagnosi del malessere che colpisce oggi l'Europa a 27.
Immobilismo perché se in Italia un giovane su quattro è senza lavoro e nella zona euro si contano 16 milioni di disoccupati è anche perché al rumore dell'europropaganda degli ultimi mesi non ha fatto seguito nessuna azione concretamente efficace.
Miopia perché l'Europa, per indicare la via d'uscita dalla crisi, non solo ha ripresentato la solita ricetta, ma ha completamente perso di vista la dimensione più autenticamente territoriale della politica di coesione economica e sociale. Solo mettendo al centro dell'azione politica il territorio, solo rispettandone le peculiari vocazioni culturali, le politiche per lo sviluppo e l'occupazione europee potranno ripartire, nutrendosi di quelle naturali energie che ogni area geografica esprime: distretti, piccole e medie imprese, artigianato.
Per risolvere il problema occupazionale bisogna pensare prima in piccolo, investire negli enti locali e privilegiare la sussidiarietà, tutelando un patrimonio fatto di diversità linguista e culturale.
Se l'ago della bussola europea non guiderà la sua politica verso il territorio, il naufragio dell'europrogetto è una certezza.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signora Presidente, il 2 settembre un giornale austriaco ha scritto che “agli apprendisti manca l’istruzione”. Purtroppo, questo è vero. Ora sono disponibili più posti di apprendista di quanti siano i candidati adatti per ricoprirli e il 30 per cento delle nostre imprese commerciali non è in grado di coprire i propri posti di apprendistato. Le imprese si lamentano sempre di più della scarsa istruzione di chi ha abbandonato gli studi e solo un’impresa su cinque si occupa della formazione generale dei suoi stessi apprendisti.
Tuttavia, come misura per contrastare questa situazione, l'Europa vuole importare da paesi terzi lavoratori qualificati con una solida preparazione. Questa è la cura miracolosa: più immigrazione, perché i nostri giovani non ricevono più una formazione adeguata a scuola; è del tutto inaccettabile, perché si tratterebbe di una dichiarazione di fallimento del nostro sistema educativo, del fallimento dell'Europa. Abbiamo urgente bisogno di un cambiamento di rotta nel settore della formazione. Senza buone qualifiche non c’è accesso al mercato del lavoro, e questo riguarda i nostri giovani e, in definitiva, anche il futuro dell'Europa.
Veronica Lope Fontagné (PPE). – (ES) Signora Presidente, l'Europa ha bisogno di una strategia che le permetta di uscire rafforzata dalla crisi economica e finanziaria e di superare le sfide a lungo termine, quali ad esempio l'invecchiamento della popolazione.
Nella strategia per il prossimo decennio, la strategia Europa 2020, la politica a favore dell’occupazione deve svolgere un ruolo molto importante. I suoi obiettivi devono essere la crescita sostenibile, la creazione di posti di lavoro, la ricerca di una maggiore coesione sociale e la lotta alla povertà, una nuova priorità per l'Unione europea che vede impegnato il mio gruppo.
La strategia Europa 2020 manifesta la necessità di intraprendere riforme strutturali al fine di migliorare sia il modo in cui operano i mercati del lavoro, sia la competitività e la produttività. Non saremmo efficaci se pensiamo solo a creare futuri posti di lavoro e permettiamo la distruzione di quelli esistenti, come sta in effetti avvenendo in alcuni settori; ne è un esempio il settore del carbone, dove potrebbero attualmente andare perduti in tutta Europa un gran numero di posti di lavoro. L’attività estrattiva deve essere mantenuta come riserva strategica e per integrare le fonti energetiche rinnovabili.
Se me lo consentite, vorrei parlare del mio paese, la Spagna, e della mia regione, l'Aragona. Per una delle province, segnatamente Teruel (dove la densità di popolazione è di circa 12 abitanti per metro quadrato) la perdita di circa 5 000 posti di lavoro significherebbe la desertificazione di un'intera area di territorio. Abbiamo quindi bisogno di concentrarci, da un lato per consolidare e mantenere i posti di lavoro disponibili in questo momento e dall'altro per compiere le riforme di cui alla presente relazione.
Alejandro Cercas (S&D). – (ES) Signora Presidente, questa discussione è molto importante per il gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo perché è molto importante offrire speranze a milioni di europei che hanno perso l’impiego, che temono di perderlo o che vogliono lavorare e non hanno ancora trovato uno spazio nel nostro mercato del lavoro.
È importante che l'occupazione sia stata posta al centro della strategia Europa 2020 e in qualche misura stiamo dicendo che non è tuttavia sufficiente a correggere gli squilibri economici. Abbiamo invece bisogno di una dimensione sociale nella strategia, perché l'economia da sola, senza un’anima, non risolverà i problemi economici.
È importante altresì fissare degli obiettivi, perché se è pur vero che stabilire obiettivi non basta a raggiungere il nostro scopo, senza neanche sapere dove stiamo andando certo non lo raggiungeremo mai. Ringrazio quindi l'onorevole Őry per aver costruito una maggioranza attorno a questi principi. Ringrazio anche il Commissario Andor e le Presidenze spagnola e belga per aver acconsentito ad ascoltare il Parlamento ai sensi dell'articolo 148 del trattato, non solo perché è una decisione positiva per il Parlamento in quanto istituzione, ma anche perché lo mette in contatto con l'opinione pubblica europea e, in futuro, con i parlamenti nazionali, in merito a un obiettivo comune a tutti.
Ora è necessario che ci ascoltiate e che mettiate in atto tutte le nostre raccomandazioni. Non importa in che modo, ma per la prima volta dovrete integrare il lavoro del Parlamento, cosa che sarà molto positiva per la Commissione, il Consiglio, il Parlamento e soprattutto per i cittadini europei.
Marije Cornelissen (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, un nutrito gruppo di persone in questo Parlamento ha lavorato molto duramente a questa relazione. Abbiamo raggiunto un compromesso e concordato su cinque priorità per migliorare il testo della Commissione: migliore governance, lavoro dignitoso, uguale retribuzione a parità di lavoro, sotto-obiettivi per i gruppi vulnerabili, parità di genere e politica di coesione.
Tutto il nostro duro lavoro sarà stato vano, però, se il Consiglio deciderà di ignorarlo. Può farlo, se lo decide.
Presidente Chastel, desidero chiederle se farete del vostro meglio per le nostre priorità. Vorrei anche sapere se è vero che le nostre priorità hanno maggiori possibilità di essere adottate nei considerando, come indicato dal ministro Milquet. È fondamentale saperlo per il nostro voto di domani.
Desidero chiedere ai miei onorevoli colleghi di tenere fede ai nostri compromessi: se ci ritroveremo divisi non saremo in sintonia con il Consiglio. I verdi certamente resteranno fedeli al proprio impegno e contano che tutti voi facciate lo stesso.
Jacek Olgierd Kurski (ECR). – (PL) Il mercato unico e la libera circolazione dei lavoratori sono tra i più grandi vantaggi dell'integrazione europea. Stiamo discutendo gli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione nel quadro della strategia Europa 2020, mentre ancora subiamo gli effetti della crisi che ha colpito le economie europee e i mercati del lavoro. Per tale ragione, la lotta contro la disoccupazione deve diventare una priorità per la politica dell'Unione europea e per questo occorre reperire fondi nel bilancio comune. Da questo punto di vista è essenziale una stretta cooperazione a livello di Unione europea e un equilibrio fra gli attuali obiettivi derivanti dalla crisi e quelli di natura più strategica. L'Europa si trova ad affrontare sfide a lungo termine come i mutamenti demografici e la globalizzazione. Sia a livello europeo sia negli Stati membri dobbiamo garantire la disponibilità del potenziale per la creazione di nuovi impieghi e per aiutare le persone a integrarsi nel mercato del lavoro. Queste priorità non possono tuttavia essere perseguite a costo di un aumento degli oneri amministrativi e di maggiori normative. Dobbiamo fare attenzione al coordinamento delle misure adottate dagli Stati membri in settori quali l'economia, l’occupazione e gli affari sociali. Tuttavia, gli orientamenti e gli obiettivi comuni a livello dell’Unione europea non devono pregiudicare in nessun caso le competenze degli Stati membri.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Le parole, per quanto interessanti, non sono sufficienti a modificare la tragica situazione sociale attraversata da numerosi paesi dell'Unione europea. È necessaria una rottura con le attuali politiche economiche e finanziarie; occorre porre fine al Patto di stabilità e crescita con i suoi criteri irrazionali che realmente strangolano i paesi in difficoltà economica e finanziaria: purtroppo non è quanto sta accadendo qui.
Continuando ad insistere su piani di riforma che si accordino con il Patto di stabilità e crescita e con la flessicurezza, non sfuggiremo ai piani di austerità che alcuni paesi, come la Grecia, il Portogallo e la Spagna, stanno attuando,. Tali piani avranno conseguenze tragiche: aumenteranno la disoccupazione, la povertà, la disuguaglianza sociale e le ben note proteste dei lavoratori.
Insistiamo quindi su proposte che mutino le attuali politiche macro-economiche, sospendendo il Patto di stabilità e crescita, ponendo fine ai processi di privatizzazione e di liberalizzazione, dando priorità a un’occupazione di qualità con diritti e salari dignitosi senza discriminazione nei confronti delle donne e promuovendo la dignità del lavoro attraverso un patto che favorisca realmente l'occupazione e il progresso sociale.
Derek Roland Clark (EFD). – (EN) Signora Presidente, l’unico orientamento per l'Unione europea è smetterla di interferire. La direttiva sull'orario di lavoro è un disincentivo al lavoro. Perché non si può permettere alle persone di fare straordinari quando vogliono? Per favore non mi si dica che questo serve a proteggere i lavoratori dallo sfruttamento, visto che il tribunale fantoccio dell'Unione europea, la Corte di giustizia, si è pronunciata a favore delle imprese che sfruttano gruppi di lavoratori pagandoli meno del salario minimo in almeno quattro paesi.
Siete consapevoli che oltre un quinto dei giovani medici appena qualificati nel Regno Unito vengono rifiutati perché, secondo la direttiva sull’orario di lavoro, mancano di esperienza e che un numero ancora maggiore abbandona la formazione per lo stesso motivo?
Questo Parlamento ha approvato di recente una relazione sui camionisti indipendenti che costringerà molti di loro a rinunciare al lavoro. Nella votazione di oggi i membri del Parlamento hanno approvato un paragrafo della relazione Bové – che aggiungerà gravosi oneri burocratici per le PMI – poche ore dopo che il Presidente Barroso si era lamentato che le piccole e medie imprese sono strangolate dalla burocrazia.
L'Unione europea è il problema, non la risposta: i popoli d'Europa stanno cominciando a rendersene conto.
Edit Bauer (PPE). – (HU) La ringrazio molto, signora Presidente. Desidero ringraziare il relatore per il suo impegno nel rafforzare i legami tra la strategia Europa 2020 e gli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione. Ritengo che questo sia estremamente importante. Vorrei affrontare brevemente due questioni: in primo luogo, l'aumento del tasso di occupazione femminile al 75 per cento. Anche se questa percentuale non sembra essere molto lontana dal 60 per cento, in termini pratici fa diminuire di un quarto l'occupazione femminile. Vorrei dire a questo proposito che, se non si pongono le basi di questa politica nel settore dei servizi pubblici, sarà probabilmente impossibile raggiungere questo obiettivo.
L’altra questione che vorrei sottolineare in questa sede, evidenziata anche dal relatore, è la povertà infantile. Io ritengo che, malgrado il Consiglio anni fa abbia stabilito questa priorità, di fatto non molto è accaduto e se non sorvegliamo attentamente la situazione, se non riusciamo a convincere gli Stati membri ad affrontare seriamente questo problema e ad impostare e realizzare importanti obiettivi a questo proposito, sprecheremo il nostro futuro. Non dobbiamo trattare le nostre risorse umane con una simile negligenza.
Pervenche Berès (S&D). – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, come sapete questa discussione è di vitale importanza per il Parlamento europeo.
È lo strumento specifico di cui disponiamo per affermare le modalità di attuazione della strategia Europa 2020. Viste le vaghe discussioni che abbiamo avuto in merito, la definizione di orientamenti a favore dell’occupazione è, per noi, assolutamente vitale: per questo abbiamo insistito così tanto sul perché non fossero adottati dal Consiglio prima di questa discussione e prima della votazione di domani. Questo è già un punto molto importante per noi.
Ovviamente però, al di là di questa tempistica concordata, ci piacerebbe anche essere ascoltati sul merito della questione. Dai contatti che abbiamo avuto con la Presidenza belga, abbiamo motivo di sperare che il Consiglio non si privi di quelle che sembrano proposte utili, quali il valore aggiunto che può portare la posizione del Parlamento europeo, e che accetti di rivedere il testo adottato al fine di integrarvi queste valide proposte.
Dopo averne discusso con la Presidenza belga, tutti i gruppi coinvolti nello scambio concordano sulla necessità di adottare, in forma di considerando, elementi inclusi nel corpo del testo: da questo punto di vista, esiste tra di noi un ampio consenso. Per questo motivo mi auguro che domani vengano adottati i quattro emendamenti presentati.
Il primo (e quello su cui senza dubbio ci sarà, immagino, il maggior consenso tra di noi) è che, affinché questi orientamenti a favore dell'occupazione siano efficaci, devono essere soggetti a quanto costituisce l'ordine del giorno: la buona governance. In questo caso, buona governance significa che i parlamentari nazionali ed europei e le parti sociali devono essere consultati in tutte le fasi dell'elaborazione e dell'attuazione degli orientamenti.
Riguardo al merito, vi sono due emendamenti che per quanto mi riguarda sono politicamente di vitale importanza, poiché riguardano il nostro concetto di lavoro dignitoso. Come può l'Unione europea votare tutti questi orientamenti senza applicare essa stessa i principi di lavoro dignitoso e senza attuare gli orientamenti che, finalmente, affrontano la situazione delle persone più vulnerabili, siano essi i giovani e il loro livello di istruzione o i cittadini svantaggiati, al fine di combattere la povertà?
Queste sono le proposte che vi abbiamo sottoposto e spero che sosterrete questi emendamenti se, come spero, domani saranno approvati dalla maggioranza in questo Parlamento.
Timo Soini (EFD). – (FI) Signora Presidente, non possiamo permettere che i costi aumentino negli Stati membri a seguito di provvedimenti del governo o dell'Unione europea. Non ci sono tasse verdi, non ci sono tasse blu, non ci sono tasse rosse: ci sono soltanto le tasse pagate dalla gente.
Un aumento dei costi è letale per l'occupazione. Ogni aumento dei costi divora posti di lavoro. L'Unione europea e la Banca centrale europea non hanno al momento alcuna politica indipendente sui tassi di interesse. Questo rende difficile per gli Stati membri gestire le proprie finanze, in quanto non sono in grado di attuare una politica finanziaria.
Nonostante questi fattori deplorevoli, abbiamo ancora bisogno di una politica a favore della crescita e dell'occupazione. Tanto il lavoro finlandese quanto quello europeo hanno successo grazie ai propri prodotti e alla loro qualità.
Le norme relative alle gare d'appalto devono essere leali, oneste e trasparenti. È fondamentale per noi che il lavoro venga svolto in Finlandia con mano d’opera finlandese e lo stesso vale per ogni altro Stato membro. Lavoro nazionale per l'esportazione e per il proprio paese: questa è la ricetta per il successo.
Ria Oomen-Ruijten (PPE). – (NL) Signora Presidente, onorevole Őry, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto ringraziare il relatore e congratularmi con lui per la relazione oggi in esame. Ora abbiamo obiettivi specifici a lungo termine e dobbiamo cercare di perseguirli nei prossimi anni. I problemi che dobbiamo affrontare non sono di facile risoluzione; bisogna compiere ogni sforzo per una ripresa sostenibile e dobbiamo tenere conto dei cambiamenti demografici. Per uscire più forti dalla crisi e ottenere mercati europei del lavoro adeguati, abbiamo bisogno di raccogliere nuove sfide. Ritengo che la nostra attenzione alla formazione sia fondamentale, perché rappresenta l'unico modo per aumentare le opportunità per tutti.
Signora Presidente, anche l'accento posto sulla riduzione della povertà, in particolare la povertà infantile, è molto importante. In questa relazione, noi in seno alla commissione per l'occupazione e gli affari sociali abbiamo elaborato raccomandazioni specifiche e abbiamo raggiunto un valido consenso in merito: lo ritengo molto importante, se non altro perché ci valuteremo reciprocamente sulla base di tali raccomandazioni. Questo significa non solo mettersi al lavoro a livello europeo, ma anche che i governi degli Stati membri devono collaborare con le parti sociali per lavorare su questi obiettivi.
Molto tempo fa ho avanzato l’idea che avremmo dovuto evitare una situazione in cui i giovani non riescono a trovare un impiego quando entrano nel mercato del lavoro. È semplicemente inaccettabile. Un aspetto positivo della presente relazione è che sostiene che, entro quattro mesi, ad ogni giovane che non frequenti più la scuola venga offerto un posto di formazione o di perfezionamento professionale o un’alternativa.
Olle Ludvigsson (S&D). – (SV) Signora Presidente, desidero evidenziare alcuni aspetti che è particolarmente importante sottolineare una volta stabiliti gli orientamenti.
In primo luogo, il livello dell’occupazione deve aumentare per sviluppare l'economia si sviluppi in modo positivo. Si tende a chiudere gli occhi davanti alla gravità della disoccupazione attuale e ai problemi correlati. Solo se ci si impegnerà per ridurre la disoccupazione, potremo stimolare la crescita e correggere gli squilibri della finanza pubblica.
In secondo luogo, gli investimenti a favore dell’occupazione hanno un effetto positivo sui bilanci nazionali: un più basso livello di disoccupazione si ripercuote sia sulle entrate fiscali sia sulla riduzione della spesa sociale. Vale la pena quindi investire nelle politiche a favore dell’occupazione.
In terzo luogo, la politica a favore dell'occupazione può funzionare solo con il sostegno convinto delle parti sociali e in vista di un’efficace cooperazione. Dobbiamo bisogno trasformare le nostre parole in fatti.
Raffaele Baldassarre (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, i nuovi orientamenti a favore dell'occupazione costituiscono un passaggio fondamentale per il rilancio e la crescita economica in Europa.
La crisi ha determinato un aumento significativo del tasso di disoccupazione, che nel 2010 ha raggiunto il 9,6 percento; il 20,3 percento per la disoccupazione giovanile, insomma, milioni e milioni di disoccupati. Ma la disoccupazione è solo una parte del problema. Infatti, non si tratta di creare nuovi posti di lavoro, ma anche di riqualificare e preservare quelli esistenti.
E per raggiungere gli obiettivi che sono indicati nella relazione è necessario un cambiamento strutturale dell'economia. A tale riguardo, nonostante i notevoli sforzi profusi dal relatore, il collega Ory, la risposta del Parlamento ai dati indicati poc'anzi resta generica, dispersiva, e ciò va a discarico della strategia europea. Indicatori e obiettivi chiave non bastano. Non basta usare termini quali "coordinare", "dialogare", "collaborare", non basta un patto fra generazioni. Occorre una politica europea che risponda ai bisogni dei cittadini.
I limiti imposti dalle politiche di bilancio vanno superati con una programmazione pubblica più concreta, orientata allo sviluppo. Dobbiamo proiettare gli interventi di oggi a favore dei giovani e delle nuove generazioni, abbiamo bisogno di politiche formative e di istruzione capaci di investire nel capitale umano per migliorarne la qualità e collegarla al mercato del lavoro. Abbiamo bisogno di scelte a favore del sistema produttivo. Insomma: meno documenti, più investimenti e più scelte economiche chiare.
Evelyn Regner (S&D). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, mi sta particolarmente a cuore che non ci si limiti solo a creare posti di lavoro di vecchio tipo, ma che se ne creino di alta qualità, sostenibili e dignitosi.
Negli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione, quali quelle attualmente in vigore, l'aspetto della qualità del lavoro mi sembra abbia ricevuto troppo poca attenzione. Se l'Unione europea si pone l'obiettivo di portare la media europea di partecipazione al mercato del lavoro tra i 20 ei 64 anni al 75 per cento entro il 2020, allora, a mio parere, vi è un elevato rischio di intestardirsi sui numeri, su un’ideologia su base quantitativa simile a quella cui abbiamo assistito tempo fa, in epoca sovietica. Non si tratta semplicemente di raggiungere gli obiettivi quantitativi; è importante la qualità dei posti di lavoro. In questo calcolo non dovrebbero essere inclusi tutti i posti di lavoro precari, mal pagati, non dignitosi e temporanei; i contratti sicuri di lavoro e di buon livello devono rappresentare l'obiettivo primario.
Thomas Mann (PPE). – (DE) Signora Presidente, ci siamo posti obiettivi ambiziosi. Con l’eccellente relazione dell'onorevole Őry vogliamo che gli Stati membri si impegnino ad incrementare entro il 2020 la partecipazione al mercato del lavoro per il 75 per cento della popolazione attiva. L’onorevole Bauer ha precisato poc’anzi quanto ciò sia importante. Particolare attenzione viene rivolta ai giovani. La “garanzia europea per i giovani” intende permettere a tutti i giovani di trovare un lavoro o di perfezionarsi professionalmente entro quattro mesi dal completamento della loro formazione, e, in ultima analisi, il tasso di abbandono scolastico deve essere ridotto a meno del 10 per cento.
Anche il 2010, Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, riflette questi orientamenti. Il numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà deve essere ridotto del 25 per cento; si tratta di un obiettivo ambizioso poiché potranno beneficiarne 20 milioni di persone. Allo stesso tempo stiamo rafforzando la lotta contro l'esclusione dei disoccupati di lunga durata; almeno il 25 per cento di questi ha bisogno di misure attive del mercato del lavoro sotto forma di formazione avanzata, istruzione e ridistribuzione del lavoro.
Un altro punto di interesse si rivolge alle nuove forme di occupazione, come i contratti a tempo determinato e il lavoro interinale. I contratti di lavoro atipici non devono diventare tipici per tutti; queste forme di occupazione hanno senso solo se creano una transizione verso un lavoro dignitoso permanente, tutelato e di qualità.
Un'altra delle richieste del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) può ottenere il sostegno della maggioranza: il pieno utilizzo delle risorse del Fondo sociale europeo per accrescere l'occupazione e la qualità del lavoro. Questo è un segnale importante per i nostri Stati membri dell'Unione europea.
PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT Vicepresidente
Danuta Maria Hübner (PPE). – (EN) Signor Presidente, vi è un elevato rischio di “ripresa senza occupazione” o “crescita senza occupazione” e l'Europa non può permettere che ciò accada.
In primo luogo dobbiamo orientare la nostra strategia in materia di occupazione verso i vantaggi comparativi dell'Unione europea rappresentati dall'istruzione, dalla ricerca e dalla tecnologia verde. In secondo luogo, dobbiamo evitare un rapporto inverso tra innovazione e creazione di posti di lavoro e lo si può evitare se l'innovazione è complessiva.
In terzo luogo, dobbiamo trovare un equilibrio sostenibile tra il sostegno ai posti di lavoro esistenti e la creazione di nuovi impieghi. Investire in una forza lavoro altamente qualificata va di pari passo con l'innovazione. Naturalmente, ci saranno lavori che non verranno sufficientemente premiati dai mercati e dobbiamo disporre di strumenti politici per far fronte a questo aspetto.
In quarto luogo vi è la necessità di attivare sia la domanda di lavoro sia le misure politiche di sostegno. Sono disponibili numerosi strumenti politici a favore dell’occupazione, ma devono essere riuniti in un quadro politico positivo e globale.
In quinto luogo, dobbiamo orchestrare con successo gli sforzi, le responsabilità e gli strumenti politici a tutti i livelli di governo: europeo, nazionale, regionale e locale. Ultimo ma non meno importante, il mercato interno deve prevedere la piena mobilità della forza lavoro, soprattutto in termini di carriera e di apprendimento permanente, e deve farlo su base geografica orizzontale.
Elisabeth Morin-Chartier (PPE). – (FR) Signor Presidente, vorrei iniziare congratulandomi con l'onorevole Őry per il complicato lavoro svolto in un momento di crisi, quando gli orientamenti a favore dell'occupazione fino al 2020 non vengono esattamente dati per scontati. Il lavoro svolto in seno alla commissione per l'occupazione e gli affari sociali per integrare la proposta della Commissione è assolutamente fondamentale.
Vorrei sottolineare tre punti: il primo è la necessità di una politica risoluta a favore dell'integrazione dei giovani nel mondo del lavoro. Per raggiungere questo obiettivo, oltre a quanto ha detto in precedenza il mio amico, onorevole Mann, dobbiamo anche confrontarci con le persone che lasciano la scuola senza qualifiche. In realtà, abbandonare la scuola senza qualifiche porta i giovani direttamente all’emarginazione professionale e all'esclusione sociale. Dobbiamo impegnarci in un grande lavoro al fine di lottare contro la disoccupazione tra i giovani.
Il secondo gruppo su cui dobbiamo concentrare i nostri sforzi è rappresentato dalle donne. Qui dobbiamo impegnarci molto su due fronti: in primo luogo, dobbiamo lottare per l’occupazione e la parità di retribuzione e di carriera tra uomini e donne; in secondo luogo, abbiamo bisogno di conciliare la vita familiare e la vita lavorativa, perché è solo in questo modo che realizzeremo una vera parità tra uomini e donne.
Infine, dobbiamo spezzare il circolo vizioso del pensionamento anticipato, per garantire che la maggiore aspettativa di vita non si traduca in una vita lavorativa più corta che, di conseguenza, ci priverebbe di competenze per noi indispensabili.
Mi affido al Consiglio.
Horst Schnellhardt (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi complimento con il relatore perché ha presentato una relazione adeguata. In particolare vorrei elogiare il fatto che gli orientamenti sono stati suddivisi in modo chiaro e costituiranno una proficua guida per il Consiglio e la Commissione nella futura legislazione. Accolgo con particolare favore il fatto che gli orientamenti e il tema dell'occupazione siano stati riuniti con la politica di coesione, in modo che, a partire dal 2014, la politica di coesione venga utilizzata in particolare per ridurre la disoccupazione.
Tuttavia desidero anche esprimere alcune critiche. Dal considerando 6 è stata eliminata una frase e non riesco a capire perché. Quando si afferma che “l'euro ha costituito un fattore stabilizzante nel limitare gli effetti della crisi economica e finanziaria”, si presenta effettivamente la realtà. Non si può semplicemente cancellare questo aspetto per raggiungere un compromesso. A questo proposito ritengo sia stato commesso un errore: la parte del testo che segue è corretta, ma in questa forma non posso sostenerlo.
Sylvana Rapti (S&D). – (EL) Signor Presidente, devo congratularmi con l'onorevole Őry per l'eccellente relazione, basata su parere conforme. Questo le conferisce molta più forza e la Commissione e il Consiglio devono tenerne seriamente conto.
Noi socialisti siamo lieti che la relazione includa la nostra posizione non negoziabile: riteniamo che essa risolverà i problemi della disoccupazione e della dignità umana. Stiamo parlando della pari retribuzione per pari occupazione nello stesso posto di lavoro. Tuttavia desidero aggiungere la questione della dignità: le offerte di lavoro devono essere sostenibili e il lavoro deve essere dignitoso.
Il Consiglio sembra essere disposto a tener conto di tutto questo, ma non è sufficiente tenerne conto solo nei considerando; dovrebbe invece essere incluso nel corpo principale del testo.
Danuta Jazłowiecka (PPE). – (PL) Signor Presidente, nel dibattito europeo sulle politiche a favore dell’occupazione siamo soliti parlare della lotta contro la disoccupazione e di un'adeguata protezione sociale, ma purtroppo dedichiamo molto meno tempo agli argomenti correlati, quali il reinserimento delle persone nel mondo del lavoro o il sostegno alle imprese che creano nuova occupazione. Gli orientamenti hanno incluso come priorità il sostegno alla partecipazione al mercato del lavoro. Consentiteci di ricordare tuttavia che una volta stabilite le priorità è estremamente importante metterle in atto. È inquietante leggere la comunicazione della Commissione che dimostra come le persone istruite e con un impiego abbiano utilizzato il 70 per cento del fondo sociale per accrescere la partecipazione al mercato, mentre solo il 30 per cento è stato utilizzato dai disoccupati. Mi auguro che l’attuazione della strategia Europa 2020 inverta queste proporzioni per ottenere un reale aumento dell'efficacia del fondo sociale, contribuendo al contempo a un aumento dell’occupazione e anche, alla fine, per diventare competitivi nel mercato globale del lavoro.
Derek Vaughan (S&D). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore questa relazione, che ritengo lodevole. In veste di convinto sostenitore della politica di coesione e dei fondi strutturali, accolgo con particolare favore le osservazioni sull’importanza fondamentale di questi ultimi per aiutare a riportare le persone nel mondo del lavoro.
Nel Galles del sud, per esempio, ho visto il fondo sociale europeo fornire sistemi per l'acquisizione di competenze e molti altri programmi aiutare le persone a rientrare nel mondo del lavoro. Il Commissario Andor potrebbe non gradire le mie parole, ma questo è uno dei motivi per cui credo che il Fondo sociale europeo debba rimanere allo sviluppo regionale e non andare all’occupazione. Questa è una discussione che intraprenderemo senza dubbio in futuro.
Accolgo con favore il riconoscimento nella relazione dell'importanza delle parti sociali, intendendo i sindacati, così come gli enti locali e il governo regionale. Questi ultimi sono grandi fornitori di servizi, ma anche grandi datori di lavoro e devono quindi essere inclusi in qualsiasi dialogo sociale sulle politiche occupazionali.
Jan Kozłowski (PPE). – (PL) Prima di tutto vorrei congratularmi con il collega, onorevole Őry, per la stesura di un’eccellente relazione. Gli orientamenti devono essere chiari e semplici: ridurne il numero è un passo nella giusta direzione. L’aumento dei livelli occupazionali costituisce una sfida fondamentale; ridurre semplicemente la disoccupazione strutturale non è sufficiente. È importante anticipare e prevenire i problemi, coltivare e sviluppare le imprese e la flessibilità. Non è sufficiente limitarsi ad aumentare il numero delle persone che accedono all’istruzione superiore, che deve educare al giusto livello e in quelle aree dove c’è necessità di impiego. Il modo migliore per uscire dalla povertà è l'occupazione, ma spesso sono necessari programmi di sostegno individuali. È essenziale anche monitorare l'efficacia del lavoro in questo settore. Una condizione per il successo della strategia Europa 2020 è che sia strettamente legata alla politica di coesione. La semplificazione dei Fondi strutturali e la riduzione della burocrazia ad essi collegata deve contribuire agli obiettivi della strategia.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, signor relatore, onorevoli colleghi, come sapete, una volta ricevuti tutti i pareri richiesti ai sensi del trattato, l'approccio generale del Consiglio verrà riesaminato. Pertanto, a seguito della votazione in plenaria, il Consiglio assieme ai suoi gruppi preparatori esamineranno gli emendamenti del Parlamento. La prima riunione del gruppo di lavoro sulle questioni sociali è prevista per il 14 settembre, con l'obiettivo di adottare tali orientamenti nel Consiglio occupazione, politica sociale, sanità e consumatori (EPSCO) del 21 ottobre.
A nostro modo di vedere non vi sono differenze sostanziali tra l'approccio generale del Consiglio e la posizione del Parlamento. Inoltre il Consiglio ha già modificato la proposta iniziale della Commissione includendo una serie di punti importanti per il Parlamento, in particolare la parità di genere, la protezione per i disabili, le sfide connesse ai mutamenti climatici, lo sviluppo dello spirito imprenditoriale, lo stimolo alla domanda di lavoro e la tutela dei lavoratori poveri. Tutti gli Stati membri vogliono un testo conciso al fine di migliorarne l’efficacia.
La Presidenza belga può quindi suggerire al Consiglio di tener conto nei considerando di una serie di emendamenti del Parlamento, soprattutto in termini di governance della strategia europea per l'occupazione e, in parte, in relazione alla definizione degli obiettivi che gli stessi Stati membri si pongono in termini di qualità dell’occupazione e di lavoro dignitoso, di legami con la produttività e di stimolo alle piccole e medie imprese e, infine, in termini di genere.
Si sono tenute discussioni (soprattutto su richiesta della delegazione belga) nel gruppo di lavoro istituito per definire i sotto-obiettivi in termini di occupazione, soprattutto per determinati gruppi. In definitiva, come sapete, gli Stati membri non hanno dato credito a questa opzione. Poiché sarà molto difficile includere i sotto-obiettivi quantificati negli orientamenti, la Presidenza belga può suggerire che la questione venga collegata al nuovo contesto di governance socio-economica, la strategia di governance economica Europa 2020.
La Presidenza può suggerire al Consiglio di garantire un controllo efficace degli orientamenti. Tale monitoraggio dovrebbe comportare l'annuale adozione da parte di ciascun paese di raccomandazioni a favore dell'occupazione da parte del Consiglio EPSCO, che potrebbe poi suggerire i sotto-obiettivi per ciascun paese a seconda delle specificità nazionali.
Inoltre, come il Comitato dell'occupazione (EMCO) ha già sottolineato nel suo contributo alla strategia Europa 2020, gli Stati membri sono incoraggiati a raggruppare i sotto-obiettivi nazionali per obiettivi in linea con le rispettive situazioni nazionali.
In conclusione desidero ringraziare il Parlamento per il lavoro svolto su questi orientamenti e garantire che questo contributo verrà tenuto in considerazione.
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, mi pare che il tempo incalzi per cui cercherò di essere abbastanza conciso. Vorrei fare poche osservazioni relative alla procedura e alla sostanza di queste discussioni, perché è un dibattito fondamentale per il presente e il futuro dell'Unione europea.
In effetti, in primavera abbiamo proceduto di fretta ed è noto che la Commissione si è insediata in ritardo a causa della ritardata ratifica del Trattato di Lisbona in molti paesi. Alcuni documenti dovevano essere prodotti in tempi brevi, tra cui, in primo luogo, la strategia Europa 2020. Questo ha influenzato anche il calendario degli orientamenti a favore dell'occupazione e i lavori in merito alla governance economica si sono dovuti svolgere rapidamente.
Tuttavia le sfide in discussione giustificavano questa fretta e mi rendo conto che in merito abbiamo instaurato una buona cooperazione con il relatore e, in generale, con il Parlamento. Ora anche io devo rispondere in fretta, ma mi limiterò a pochissime questioni sostanziali.
Prima di tutto, un paio di osservazioni in relazione alla strategia di Lisbona. Abbiamo obiettivi molto più strutturati e una proposta migliore per la governance della strategia, il che ci lascia sperare che un successo garantito, in contrasto con la strategia di Lisbona che ha avuto solo parzialmente buon esito. Qualche critica è fondata, ma non è vero che fino al 2008 e alla crisi finanziaria, la strategia di Lisbona è stata un completo insuccesso.
Con gli orientamenti a favore dell'occupazione abbiamo intenzione di incrementare sia la quantità sia la qualità dei posti di lavoro. La quantità è un obiettivo numerico della strategia Europa 2020 e, a mio avviso, è un obiettivo ambizioso dato che ci troviamo a un basso livello, la disoccupazione è molto alta e attraversiamo una ripresa senza lavoro. Non sta arrivando. È già qui.
Purtroppo solo pochissimi Stati membri il registrano un aumento dell’occupazione in questo momento, ma la buona notizia è che la Germania è uno di questi. Con la crescita dei posti di lavoro in Germania, possiamo ora sperare di mantenere la crescita ed estenderla ad altri paesi. Il fatto di disporre ora di un trend migliore al centro dell'economia europea sottolinea l'importanza della coesione.
Sono l'ultimo a negare l'importanza della politica di coesione, ma vorrei precisare che, se avessi avuto bisogno di collegare la coesione con gli orientamenti integrati, allora avrei preferito inserirla negli orientamenti economici piuttosto che negli orientamenti a favore dell'occupazione, perché ci sono delle disparità in Europa, ma tra il centro e la periferia vi sono differenze molto più ampie in termini di performance economica che in termini di tassi di disoccupazione.
Sono lieto come sempre di collaborare con voi sui temi della coesione e della sua connessione con le politiche a favore dell'occupazione. Abbiamo l'ambizioso obiettivo del 75 per cento, ma vorrei fare una precisazione: il 75 per cento non si applica individualmente a ogni sottogruppo; non si ritiene, per esempio, che anche le donne abbiano una media occupazionale del 75 per cento. Si tratta di un valore che abbiamo dato per uomini e donne insieme. Questo è importante quando gli Stati membri si accingeranno a sviluppare nei prossimi mesi i propri programmi per l'occupazione e la connessione con questa iniziativa chiave.
Abbiamo un ambizioso obiettivo per i sottogruppi come i giovani e vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che la prossima settimana lanceremo l’iniziativa “Gioventù in movimento”. Anche questa è parte integrante e consistente del nostro lavoro sull'occupazione complessiva. Se osservate il contenuto del documento “Gioventù in movimento”, noterete che riguarda al 50 per cento l’istruzione e al 50 per cento l'occupazione, in quanto la Commissione comprende l'importanza che le sfide a favore dell’occupazione rivestono per i giovani in Europa.
Procedo con altri punti in elenco, considerato il poco tempo a disposizione. Non possiamo promettere il mantenimento dell’occupazione in ogni singolo settore, come nell'industria del carbone a cui è stato fatto riferimento. La Commissione apprezza l'importanza di mantenere posti di lavoro in settori in declino e abbiamo esteso la possibilità delle sovvenzioni pubbliche a favore dell'industria del carbone per i prossimi anni, ma non all'infinito.
Dobbiamo prepararci al cambiamento e per il futuro dobbiamo dare la priorità alla transizione verso posti di lavoro verdi. Ecco perché stiamo lavorando su questi ultimi sia per facilitare il passaggio, sia per meglio anticipare in termini di posti di lavoro questo inevitabile cambiamento strutturale dell'economia, sia per aiutare le persone a prepararsi a una diversa struttura in termini di produzione e impiego dell'energia, nell’industria delle costruzioni, nell’industria automobilistica, nell’agricoltura e così via.
Sono pienamente d'accordo con quanto è stato detto riguardo alla povertà infantile. Abbiamo appena coordinato con le Presidenze belga e ungherese che la prima avvii una raccomandazione e l'altra completi il lavoro su una nuova raccomandazione in materia, in pieno coordinamento con il nostro lavoro per la piattaforma europea.
Sono anche d'accordo sulla necessità di guardare oltre la limitata serie di strumenti (la strumentazione delle politiche a favore dell’occupazione) puntando ad aumentare i tassi di occupazione e procedendo verso la piena occupazione. Non si tratta solo di lavorare sulle competenze, benché il loro sviluppo sia fondamentale. Dobbiamo partecipare alle più ampie discussioni macroeconomiche – per esempio alla discussione sulle strategie di uscita – e dobbiamo essere certi che un’uscita prematura dalle misure di supporto non comprometta la ripresa e il ritorno alla creazione di posti di lavoro in Europa.
Vorrei astenermi da qualsiasi tipo di proposta che in questo contesto metterebbe in discussione la struttura dell'unione economica e monetaria e le strutture di nuova costituzione della governance economica, perché dobbiamo imparare la lezione. Dobbiamo unire gli sforzi e questo significa un più stretto coordinamento macro-economico. Quando cerchiamo di affrontare gli squilibri globali nell'ambito delle nuove strutture di governance economica, dobbiamo tener conto della disoccupazione, che è uno dei grandi squilibri dell'economia.
Il Fondo sociale europeo continuerà ad essere uno strumento importante di sostegno all'occupazione, in particolare per migliorare la qualità del sostegno ai disoccupati verso un ritorno al lavoro, a posti di lavoro nuovi, migliori, più competitivi e potenzialmente autonomi. Sono in diretto contatto con le autorità gallesi che mi hanno spiegato con grande soddisfazione come il Fondo sociale europeo stia operando in Galles. Vorrei mantenere il FSE nel quadro di coesione, ma è pur vero che, date le sfide della disoccupazione e della povertà, dobbiamo dare una migliore visibilità al Fondo sociale europeo. Mi piacerebbe vedere un maggiore ruolo e un maggiore coinvolgimento del Parlamento nella progettazione del futuro del FSE per quanto riguarda ad esempio una nuova regolamentazione futura.
Sono sicuro che potremo collaborare in modo proficuo su questo aspetto. Potrei commentare molte altre questioni, ma il tempo scarseggia e ho tenuto incontri bilaterali a livello di commissione e discussioni con molti eurodeputati qui presenti.
Vorrei infine ringraziare la Presidenza belga per la cooperazione con il vice Primo ministro e con tutti gli altri responsabili per le questioni dell'occupazione e degli affari sociali nel governo belga.
Csaba Őry, relatore. – (HU) Signor Presidente, vorrei dire all'onorevole Andor che non abbiamo creato nuovi obiettivi, ma piuttosto nuovi sotto-obiettivi; questo significa che non stiamo cercando di aggiungere nuovi obiettivi, ma di renderli più precisi. Spero che sia accettabile in questa forma. Dalla discussione odierna, noto che siamo tutti d'accordo sul fatto che, per sopravvivere alla crisi e sostenere la concorrenza delle regioni emergenti del mondo, un maggior numero di noi deve lavorare di più e meglio e che, nel perseguire questo obiettivo, gli anziani, le donne, i disabili e le persone con basse qualifiche non sono un peso né una responsabilità ma piuttosto un'opportunità e una riserva: naturalmente le politiche devono essere regolate in tal senso. È stato inoltre raggiunto un accordo generale e sono lieto che i rappresentanti della Presidenza belga abbiano sottolineato come si debba prestare particolare attenzione alle piccole e medie imprese e al loro contesto fiscale; questo è infatti il settore in grado di generare nuova occupazione e un gran numero di nuovi posti di lavoro e sul quale dobbiamo concentrarci.
È importante che si sia discusso delle nuove forme di occupazione. Esse esistono e spesso danno luogo a malintesi. È chiara la necessità di una migliore regolamentazione per quanto riguarda la definizione di lavoro equo da parte dell'Organizzazione internazionale del lavoro, con le aspettative e le esigenze connesse. Allo stesso modo, sono ottimista per quanto riguarda le parole del Presidente Chastel: quando pensiamo a una efficace governance, dobbiamo anche sottolineare la necessità di controllare e verificare e ognuno di noi si deve assumere la responsabilità di realizzare effettivamente quanto abbiamo concordato, promesso e deciso di fare.
Desidero dunque ringraziare tutti per la collaborazione. La nostra cooperazione tra Commissione, Consiglio, colleghi e relatori ombra è stata davvero ottima. Spero che alla fine questo impegno comune si rifletta nella risoluzione del Consiglio, nella decisione e in ogni successiva consultazione. Vorrei far notare quanto vi chiediamo; se ritenete necessario apportare molti cambiamenti, allora dovremmo tornarci sopra in una consultazione congiunta. Naturalmente, da parte nostra e del Parlamento europeo, siamo pronti alla consultazione. Vi ringrazio per la collaborazione e spero che siamo riusciti a fare un buon lavoro.
Paul Rübig (PPE). – (DE) Signor Presidente, in realtà desidero rispondere all’intervento dell'onorevole Clark il quale ha affermato che abbiamo un tribunale fantoccio nell'Unione europea. Sono in disaccordo con tale affermazione. Sono certo che l’onorevole Clark non sia un eurodeputato fantoccio: è stato eletto e ritengo che anche lui dovrebbe garantire a questo Parlamento un senso di decenza. Viviamo in una democrazia e quindi non dobbiamo descrivere un tribunale come un tribunale fantoccio.
Presidente. – Grazie per l'osservazione. L’onorevole Clark non è qui, ma sono sicuro che terrà conto delle sue osservazioni.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani (mercoledì 8 settembre 2010).
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come ha recentemente sottolineato il Fondo monetario internazionale nel suo rapporto semestrale, la disoccupazione rappresenta, e continuerà a rappresentare nei prossimi anni, il problema maggiore che dovranno affrontare le economie avanzate.
Particolarmente difficile è la situazione dei giovani che approcciano per la prima volta il mercato del lavoro: secondo i recenti dati Eurostat la disoccupazione giovanile, anche a causa della recente crisi economico-finanziaria, è cresciuta in tutta Europa. Lo scorso aprile la Commissione ha presentato una proposta relativa agli "Orientamenti integrati di Europa 2020" nella quale espone il quadro della nuova strategia e suggerisce le riforme che gli Stati membri devono attuare.
Con riferimento alla relazione oggi in discussione, che esamina la componente relativa all'occupazione degli orientamenti integrati, in particolare, concordo nel ritenere che il numero degli orientamenti debba essere limitato, al fine di dare maggiore concretezza all'azione europea volta a combattere il problema della crescente disoccupazione.
In questa sede desidero ribadire l'importanza dell'investimento in capitale umano: occorre sia promuovere gli investimenti nelle risorse umane e dare priorità alla formazione professionale continua, sia incentivare l'innovazione all'interno delle piccole e medie imprese, che rappresentano il motore dell'economia europea.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) A causa della crisi economica e finanziaria, nei prossimi anni la situazione del mercato del lavoro europeo continuerà ad essere molto tesa. Date queste circostanze, la lotta contro la disoccupazione deve essere uno degli obiettivi prioritari della politica dell'Unione europea e degli Stati membri e deve pertanto essere meglio valutata negli orientamenti proposti dalla Commissione.
Vorrei sottolineare che, in generale, in questi orientamenti a favore dell'occupazione viene rivolta troppa poca attenzione alla politica dell'uguaglianza di genere e alla promozione dell'imprenditorialità femminile. Per ridurre davvero i rischi di povertà in Europa, dobbiamo fissare obiettivi vincolanti che possano rimuovere gli stereotipi di genere, la discriminazione in atto nel mercato del lavoro e le cause strutturali che provocano la disparità di retribuzione tra uomini e donne, nonché rimuovere le barriere che impediscono alle donne di svolgere alcune professioni e limitano le loro opportunità di avviare un’attività.
Gli orientamenti inoltre non riescono a promuovere l'obiettivo della riduzione del lavoro irregolare o dell’economia sommersa: in questo momento difficile, molte persone lavorano al di fuori delle regole poiché sono semplicemente incapaci di trovare un'altra via d'uscita alla situazione attuale. Gli orientamenti non promuovono ambiziosi obiettivi di lotta alla povertà, per la quale devono essere intraprese misure politiche a favore dell'occupazione e dell'istruzione rivolte ai gruppi più vulnerabili che devono affrontare la povertà estrema, quali ad esempio le ragazze madri, gli anziani con pensioni basse e i disabili.
Invito quindi gli Stati membri e la Commissione ad adoperarsi al massimo per l'attuazione degli obiettivi di orientamento, perché in caso contrario, l'Europa non potrà conseguire i risultati stabiliti negli orientamenti.
Martin Kastler (PPE), per iscritto. – (DE) Accolgo con favore la relazione sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione redatta dall’onorevole Őry. Perché? In questa relazione, il Parlamento europeo ha chiarito bene perfettamente cosa noi europei possiamo aspettarci nei prossimi anni nel settore del lavoro e dell'occupazione. Oltre alle questioni delle migrazioni e dei mutamenti demografici, il potenziale per l'occupazione in Europa nel campo della cosiddetta “economia verde” è una questione molto importante. Questo potenziale può essere sfruttato con successo se sono disponibili sufficienti posti di lavoro qualificati, il che offre un'opportunità unica per le donne in particolare a livello dirigenziale. In questo dinamico settore del mercato ancora relativamente nuovo, gli uomini e le donne hanno pari opportunità, cosa che a volte è più difficile in altre aree. È necessario garantire la possibilità di equilibrare lavoro e vita familiare, per esempio creando posti di lavoro compatibili con le esigenze della famiglia e fornendo servizi di assistenza all'infanzia. Deve essere possibile stabilire singoli modelli per l’orario lavorativo, nonché sistemi di part-time, in particolare per le posizioni dirigenziali. Purtroppo questo non è ancora possibile in tutte le aree del mercato del lavoro europeo.
Tunne Kelam (PPE), per iscritto. – (EN) Come l'onorevole Daul ha affermato stamattina, abbiamo bisogno di più Europa, che non significa interferire maggiormente nelle attività dei cittadini o degli Stati membri; significa invece diventare più efficienti e competenti in quanto Unione. Gli orientamenti integrati servono in larga parte a capirlo.
I tassi di disoccupazione sono ai massimi livelli da dieci anni e la disoccupazione giovanile è ad un tasso allarmante. Questa situazione rischia di minare i tentativi di ristabilire la crescita economica nel prossimo futuro.
Al tempo stesso, eventuali soluzioni devono includere una dimensione qualitativa. Oggi il Presidente Barroso ha sottolineato l’esistenza di quattro milioni di posti di lavoro vacanti, la maggior parte dei quali richiede una manodopera qualificata. Esorto la Commissione a introdurre senza indugio la proposta di un sistema europeo di monitoraggio dei posti di lavoro vacanti che includa anche un passaporto europeo delle competenze.
La sfida più immediata rimane tuttavia quella di fornire ai giovani una formazione di qualità che corrisponda più da vicino alle esigenze concrete del mercato del lavoro. I programmi educativi dovrebbero essere riformati alla luce di questo obiettivo e gli Stati membri devono impegnarsi a ridurre l'abbandono scolastico.
L'obiettivo interamente europeo deve essere di mettere a disposizione del nostro continente una manodopera qualificata.
Abbiamo infine bisogno di determinazione e coraggio per ridurre drasticamente gli ostacoli amministrativi e non di tariffari per le piccole e medie imprese.
Ádám Kósa (PPE), per iscritto. – (HU) Il mio collega, onorevole Őry, ha svolto un ottimo lavoro per il quale merita solo complimenti. In qualità di membro del Parlamento europeo e anche in quanto disabile sono convinto che senza il suo lavoro e la sua apertura, il Partito popolare europeo, il gruppo politico più numeroso in Europa, non avrebbe sostenuto la partecipazione dei disabili nel Parlamento europeo, diversamente da quanto accade ora. Il nuovo approccio dell’onorevole Őry e la sua attenzione alla semplificazione possono portare a risultati duraturi sia nella selezione di temi appropriati sia nella loro adeguata attuazione. Il mio collega non solo ha scelto con efficacia il proprio argomento principale, ma, grazie ai suoi sforzi di coordinamento professionale, si possono ora realizzare più compiutamente anche gli obiettivi del Parlamento europeo e in particolare del Partito popolare europeo, attraverso la messa a punto delle evidenti interfacce. Il più importante di questi obiettivi è l'investimento nel capitale umano. Abbiamo bisogno di un numero crescente di posti di lavoro sostenibili. Oltre alla creazione di posti di lavoro di qualità, considero un obiettivo fondamentale anche l'occupazione delle persone disabili, in quanto il loro tasso di disoccupazione varia tra il 60 e il 70 per cento, con picchi del 90 per cento in alcuni Stati membri. Oltre all'innovazione e ai posti di lavoro “verdi”, l'Europa deve impiegare anche i gruppi per i quali la formazione è difficile, con un’eventuale riconsiderazione della globalizzazione contrastando lo sfruttamento dei lavoratori socialmente svantaggiati provenienti dall'esterno dell'Unione europea e abbattendo i costi dell'aumento della disoccupazione tra i disabili.
Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE), per iscritto. – (PL) L'economia europea si sta lentamente riprendendo dopo la crisi iniziata nel 2008; tuttavia il livello di occupazione nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione europea è ancora troppo basso, a livelli inferiori al periodo precedente alla crisi. I giovani sono uno dei gruppi sociali più colpiti dalla crescente disoccupazione durante la crisi economica. Dal 2008 il numero dei giovani senza lavoro è aumentato drasticamente e oggi in molti Stati membri il tasso di disoccupazione tra le persone di età compresa tra 15 e 25 anni è superiore alla media globale. Questi dati sono preoccupanti, soprattutto in considerazione del fenomeno dell'invecchiamento della popolazione europea, il che significa che il numero delle persone in età produttiva è in calo rispetto al numero dei pensionati. È quindi prioritario aiutare i giovani a ottenere il loro primo impiego e a trovare un'occupazione stabile. La relazione sugli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione Europa 2020 è un utile passo avanti verso il miglioramento della situazione dei giovani nel mercato del lavoro. Tuttavia, per garantire un sensibile miglioramento è necessario mettere in atto misure supplementari a livello di Stati membri. Particolare attenzione deve essere riservata al sostegno ai giovani nella ricerca del loro primo impiego e alla lotta alla disoccupazione tra i laureati. Fornire una forza lavoro qualificata, con le competenze richieste dal mercato, e preparare i laureati a entrare nel mercato del lavoro, sono solo alcuni dei compiti che devono essere affrontati a livello di istituzioni educative.
Theodor Dumitru Stolojan (PPE), per iscritto. – (RO) La creazione di nuovi posti di lavoro nell'Unione europea dipende anche dalla completa liberalizzazione del mercato del lavoro. È nostro dovere, in quanto parlamentari, intervenire su questo aspetto. Chiediamo agli Stati membri che ancora mantengono restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori provenienti da alcuni Stati membri di intervenire su questo punto. Chiediamo a tutti gli Stati membri, alla Commissione europea e al Consiglio di adottare le misure necessarie per rendere più flessibile il mercato del lavoro, visto che oggi è ancora frammentato da troppe restrizioni nazionali. Senza questa maggiore flessibilità l’adeguamento del mercato del lavoro al ciclo economico viene ritardato e si complica, con conseguenti gravi perdite per le persone.
14. Presentazione da parte del Consiglio della propria posizione sul progetto di bilancio generale - Esercizio 2011
Presidente. – L’ordine del giorno reca la presentazione da parte del Consiglio della propria posizione sul progetto di bilancio generale – Esercizio 2011. La presentazione si articola in una serie di dichiarazioni. Non è contemplata la procedura catch the eye.
Porgo le mie scuse ai colleghi che sono rimasti in attesa di questo punto per parecchio tempo. Alcuni interventi di questo pomeriggio si sono protratti a lungo.
Melchior Wathelet, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, è un onore per me essere presente in Parlamento. Quest’Assemblea incarna a tutti gli effetti la struttura europea e dunque non è senza un poco di emozione che mi accingo a prendere oggi la parola per trattare un argomento importante come la preparazione del progetto di bilancio per il 2011, tanto più che la procedura odierna è completamente nuova e attribuisce al Parlamento un ruolo chiaramente rafforzato. Ci apprestiamo a inaugurare questa procedura prevista dal trattato di Lisbona nell’ambito della preparazione del progetto di bilancio 2011. Alla luce di queste considerazioni è viepiù importante per me essere presente oggi e parlare dinanzi a questo consesso.
Vorrei rammentarvi che, nell’ambito di questa collaborazione e delle discussioni rese obbligatorie dalla nuova procedura del trattato di Lisbona, i primi contatti tra di noi sono stati soddisfacenti. Anche i primi dialoghi a tre si sono svolti senza troppe difficoltà e questo è di buon auspicio per l’avvenire.
Il Consiglio ha preso atto del rammarico del Parlamento per l’assenza di una discussione politica nella fase di elaborazione e stesura della posizione del Consiglio. Il lavoro si è effettivamente svolto all’interno della commissione per i bilanci, ma tengo a precisare che si è sviluppato in sintonia con gli orientamenti politici indicati con grande chiarezza dal Consiglio Ecofin del 16 marzo 2010 e il Consiglio ha adottato formalmente la propria posizione, tramite procedura scritta, lo scorso 12 agosto esclusivamente al fine di ottemperare al primo protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali. Questo non ha alcuna relazione con la portata politica della posizione del Consiglio. La procedura per il bilancio 2011 con le sue nuove regole è una novità per noi tutti e un’occasione di apprendimento anche per il futuro.
Ovviamente il progetto di bilancio predisposto dal Consiglio risponde ad alcuni principi, quali la necessità di rispettare le prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, garantire una buona gestione finanziaria e, altro principio importante, assicurare margini adeguati al fine di estrapolare e rendere credibili e reali le varie posizioni politiche dell’Unione europea.
L’elaborazione di questo progetto di bilancio si colloca entro la politica di rigore finanziario che si è resa necessaria in tutti i paesi dell’Unione europea. Il 2009 è stato un anno difficile e la medesima prudenza dovrà essere applicata nella preparazione del bilancio 2011.
Consentitemi di passare in rassegna con maggiore dettaglio le diverse linee guida del bilancio 2011 e di soffermarmi su alcune rubriche che mi paiono particolarmente degne di nota nella discussione odierna.
Il nostro progetto di bilancio prevede stanziamenti d’impegno per 142 milioni di euro, ovvero 788 milioni di euro in meno rispetto alla proposta della Commissione. Sul fronte degli stanziamenti d’impegno, il Consiglio ha effettuato una correzione pari a 3,6 miliardi di euro rispetto a quanto proposto dalla Commissione, con una riduzione del 2,8 per cento.
Con questa correzione il Consiglio ha tenuto conto sia delle indicazioni formulate dalla Commissione in relazione ai pagamenti dei programmi 2007 e 2013 della politica di coesione, sia delle informazioni più aggiornate sull’avvio e sulla velocità di crociera prevista per i grandi progetti. Si è osservato infatti che, per alcuni progetti, si sono verificati ritardi nell’esecuzione.
Permettetemi inoltre di sottolineare che, dopo la riduzione operata dal Consiglio, il totale degli stanziamenti di pagamento è comunque aumentato di un sostanziale 2,91 per cento rispetto al 2010, superiore di quasi un punto percentuale alla crescita zero o all’inflazione programmata nel Quadro finanziario pluriennale.
Un’attenzione particolare merita il metodo utilizzato dal Consiglio, in perfetta sintonia con le più recenti stime di bilancio; il totale degli stanziamenti d’impegno e di pagamento è cresciuto sensibilmente, sia in termini assoluti che percentuali.
Non passerò in rassegna ogni singola rubrica del progetto di bilancio, ma mi limiterò a dire, in riferimento alla rubrica 1A, che sappiamo quanta importanza questo Parlamento ascrive alla politica per la gioventù. Tale rilevanza è stata sottolineata in tutti i documenti del Parlamento. Pur ponendoci leggermente al di sotto del livello proposto dalla Commissione, questi progetti di bilancio si presentano senz’altro in crescita rispetto al 2010.
Gli importi stabiliti in questo progetto di bilancio per la rubrica 1B sono stati determinati in base al loro stato attuale di esecuzione, tenendo scrupolosamente conto delle modalità di esecuzione attuali.
Si rammenti altresì, con riferimento alla rubrica n. 4, che il Consiglio è attento a salvaguardare la capacità di reazione dell’Unione europea di fronte alle criticità politiche, economiche e sociali - in particolare sul piano internazionale - e ci rendiamo perfettamente conto che, nel corso della procedura di bilancio attuale, potrebbero sempre emergere nuove esigenze finanziarie.
Nell’ambito della rubrica n. 5 è opportuno fare presente che non abbiamo ovviamente modificato le richieste del Parlamento relative al suo bilancio amministrativo. Tuttavia riteniamo importante che tutte le istituzioni si impegnino per rimanere entro il quadro finanziario e rispettare la nostra tabella di marcia attuale.
Sono convinto dell’importanza di rendervi partecipi di questa presentazione e della presenza del Consiglio qui oggi per illustrarvi la logica secondo cui abbiamo redatto il progetto di bilancio. Mi rendo conto che la percezione del Parlamento europeo può non collimare con la posizione assunta dal Consiglio, ma confido che le trattative con il Parlamento saranno costruttive e fruttuose. Ringrazio la Commissione per il suo sostegno durante una procedura che si preannuncia carica di difficoltà.
Per completezza, non posso concludere il mio intervento senza accennare alla revisione del bilancio che la Commissione pubblicherà alla fine del mese. Le priorità per l’esercizio 2011, e in particolare la strategia 2020, saranno di certo le priorità dei prossimi anni. In quest’ottica, il Consiglio e il Parlamento devono avviare da subito una riflessione approfondita sull’architettura futura del bilancio europeo e sulle sue modalità di finanziamento. Vi assicuro che la Presidenza belga farà in modo che il Consiglio accordi un’importanza particolare alla revisione del bilancio.
Ritornando al bilancio 2011, vi garantisco che la Presidenza belga farà tutto il possibile per appianare la strada all’approvazione di questo progetto di bilancio, che sarà il primo a essere negoziato secondo le disposizioni del trattato di Lisbona. È mio sincero auspicio che riusciremo a dimostrare il successo di questa nuova procedura. Il Consiglio si adopererà affinché il bilancio vada a beneficiare il maggiore numero possibile di cittadini europei, che sono anche i contribuenti da cui dipende il finanziamento del nostro bilancio.
Janusz Lewandowski, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, con la lettura del Consiglio si entra nella fase decisiva della procedura annuale, ma diversamente dal consueto questa è la prima volta che viene articolata ai sensi del trattato di Lisbona e ora stiamo entrando nel vivo dell’approvazione del bilancio.
In occasione dello scorso dialogo a tre non sono stati compiuti progressi significativi, ma almeno abbiamo concordato date e modalità di funzionamento del comitato di conciliazione nel 2010. Stabilito il calendario e conclusa la lettura del Consiglio, il Parlamento dovrà esprimere la propria posizione entro il 20 ottobre e la Commissione continuerà a seguire con attenzione pareri e criticità che saranno manifestate da entrambe le parti dell’autorità di bilancio.
Oltre al progetto di bilancio, senz’altro importante, è in attesa di approvazione anche tutta una serie di adeguamenti al trattato di Lisbona. Il raggiungimento di un consenso richiede un’effettiva disponibilità da entrambe le parti, poiché questa volta i temi su cui trovare un accordo negoziale sono difficili e la conciliazione di novembre riguarderà più aspetti.
In sintesi, come già annunciato dal signor Ministro, i pagamenti sono stati ridotti di 3,6 miliardi di euro. Nel presentare il progetto di bilancio, la Commissione ha tenuto pienamente conto delle restrizioni e delle misure di rigore messe in atto dagli Stati membri, nonché delle nostre responsabilità. Abbiamo scelto di formulare una proposta finanziaria di 4 miliardi di euro inferiore rispetto al massimale delle prospettive finanziarie e abbiamo concentrato tutti gli aumenti nella rubrica n.1. Questa scelta dovrebbe incentivare la crescita e l’occupazione e si declina in mini-pacchetti anticrisi settoriali o territoriali.
Per affrontare responsabilmente i nostri compiti, abbiamo concentrato il 96 per cento degli aumenti nella rubrica n.1. In genere le spese relative alle politiche di coesione vanno a regime verso la metà delle prospettive finanziarie, dopo una partenza rallentata.
Per quanto concerne gli impegni, siamo d’accordo con il Consiglio che non bisogna tagliare solo le spese d’esercizio ma anche i programmi di pre-adesione; questo potrebbe essere un segnale per i paesi candidati e potrebbe condurre alla riapertura del processo di programmazione e alla revisione della distribuzione delle risorse tra i vari paesi.
Permettetemi di fare un breve commento sull’aspetto amministrativo, a costo di apparire drastico e di perdere probabilmente un poco di popolarità tra i miei colleghi, È stato deciso di tagliare anche le cosiddette linee di supporto amministrativo e la vittima illustre in questo caso sarà la rubrica n. 4, relativa alla gestione dei programmi e agli interventi di urgenza in caso di catastrofe che stanno diventando una vera sfida per l’Unione europea.
L’Unione europea è stata la prima a reagire con prontezza alle alluvioni in Pakistan. La scorsa settimana ho avviato la procedura per gli aiuti umanitari e le riserve destinate agli aiuti di emergenza, ma occorre un supporto amministrativo. In sintesi questa è la situazione delle linee per la gestione amministrativa dei programmi operativi.
I tagli hanno riguardato anche gli aumenti alle agenzie esecutive per la ricerca di recente istituzione. Le agenzie esecutive per la ricerca gestiscono il settimo programma quadro che è aumentato di 1 miliardo di euro nel 2010 e aumenterà del medesimo importo anche nel 2011.
In conclusione, incoraggerei entrambe le istituzioni competenti per il bilancio a tenere debito conto, durante i negoziati per l’accordo multidimensionale definitivo, delle considerazioni che ho formulato piuttosto che concentrarsi unicamente sugli importi per il 2011.
Come di consueto, la Commissione è disposta ad assumere un ruolo di intermediazione nel tentativo sincero di collaborare al raggiungimento di un risultato positivo per il 2011.
Sidonia Elżbieta Jędrzejewska, relatore. – (PL) Onorevoli deputati, il progetto di bilancio per il 2011 è il primo a essere varato nella cornice del trattato di Lisbona, come giustamente rimarcato dagli oratori precedenti, ma è anche il primo bilancio a essere utilizzato per dare espressione alle nuove idee politiche introdotte con Lisbona. Questo è ben il quinto progetto di bilancio preparato nell’ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2007-2013 e dunque dovremmo ormai conoscere alla perfezione i suoi punti di forza e di debolezza.
Apprezzo gli sforzi profusi dalla Presidenza belga durante la preparazione del progetto di bilancio in vista della lettura in Consiglio, ma sono piuttosto preoccupata dal voto contrario espresso da ben sette Stati membri alla lettura in Consiglio. Talvolta ho la spiacevole e incoercibile sensazione che i ministri delle Finanze di alcuni Stati membri, nel vedere la voce “Contributo al bilancio dell’Unione europea” tra i capitoli di spesa dei rispettivi bilanci nazionali, cerchino in tutte le maniere di ridurre o addirittura eliminare tale voce, senza preoccuparsi di riflettere su come viene utilizzato il contributo e a cosa serva. In genere non sono neppure disposti a riflettere o a discutere sugli effetti di una decurtazione del contributo. Mi rammarico che una simile discussione non abbia avuto luogo, mentre sarebbe stata opportuna, a mio giudizio, quando il Consiglio si è riunito per votare la proposta. Mi pare anche che le dichiarazioni esplicative contenute nella proposta del Consiglio non siano sufficientemente particolareggiate. Perché i tagli riguardano determinate linee di bilancio e non altre? Perché è stato deciso di tagliare le spese per quegli importi e non di più o di meno? Mi auguro che nella fase successiva del nostro lavoro saremo in grado di essere più precisi e chiarire tutti i punti oscuri. È nostro obbligo garantire che il processo successivo di definizione del bilancio previsionale per il 2011 sia dettagliato e preciso; passeremo in rassegna scrupolosamente ogni singola linea del bilancio, riflettendo con attenzione, oltre che sulle percentuali, anche su ciò che è importante, dove vogliamo spendere e cosa siamo invece disposti a sacrificare in un’ottica di risparmio.
In questo contesto vorrei sottolineare la priorità del Parlamento europeo, peraltro già nota a tutti, che non è comunque l’unica: i giovani, la mobilità e l’istruzione. È difficile aprirsi al dialogo quando il Consiglio propone di togliere 25 milioni di euro alla principale linea di bilancio per questa priorità, ossia l’apprendimento permanente. Mi auguro che torneremo a un dialogo impegnato durante la procedura di conciliazione, giacché avevamo espresso con grande chiarezza le nostre priorità e la proposta di questi tagli è una dimostrazione eloquente di quanto siano state ascoltate. Nel Parlamento europeo ci stiamo preparando alla lettura. I lavori sono a uno stadio molto avanzato e auspicabilmente la nostra lettura sarà accettata dalla commissione per i bilanci entro la fine del mese; in occasione della plenaria all’inizio di ottobre mostreremo quindi come si possa adottare un bilancio valido e costruttivo in sintonia con le disposizioni del trattato di Lisbona. Conto sulla buona collaborazione con la Presidenza belga e la Commissione.
Helga Trüpel, relatore. – (DE) Signor Presidente, Presidente in carica Wathelet, Commissario Lewandowski, onorevoli colleghi, mi rendo perfettamente conto – alla pari probabilmente di tutti i cittadini europei e spero anche dei politici – che ci troviamo in un momento di austerità e non possiamo sfuggire alle politiche di contenimento del debito messe in atto dagli Stati membri.
Ritengo imperativo lottare per un equilibrio nella spesa pubblica. È una questione di giustizia intergenerazionale e di mantenere una situazione politica gestibile anche per gli anni e i decenni a venire. L’alternativa che si prospetta è quella di dover destinare tutte le nostre risorse al pagamento degli interessi e questo equivarrebbe a un suicidio politico.
Com’è naturale, l’Unione europea non può prescindere dalla situazione degli Stati membri. Vorrei portarvi un esempio come argomento su cui riflettere a dimostrazione delle ragioni per cui neanche noi siamo tutti nella medesima condizione: l’Unione europea non ha contratto alcun debito perché il diritto comunitario non lo consente. Per volere degli Stati membri, l’Unione europea ha assunto con il trattato di Lisbona nuovi compiti che è ora chiamata a realizzare in ambito energetico, di politica estera e altro ancora. Ovviamente dobbiamo essere messi in grado di realizzare questi nuovi compiti che ci sono stati conferiti con il trattato.
In qualità di relatrice per il bilancio del Parlamento e delle altre istituzioni ritengo che non sia stato trovato ancora un equilibrio adeguato tra queste nuove competenze, una politica di bilancio responsabile e le necessarie misure di risparmio. Il Consiglio ha respinto qualsiasi richiesta relativa a nuove posizioni amministrative che non riguardasse il Consiglio europeo e il Parlamento, soprattutto quelle provenienti da istituzioni minori, l’Autorità per la protezione dei dati, la Corte dei conti e la Corte di giustizia. Questa mossa è stata a mio giudizio scorretta e iniqua. Proprio queste istituzioni minori, come l’Autorità per la protezione dei dati, devono essere messe in grado di svolgere il loro lavoro come noi stessi auspichiamo. Nel caso della Corte dei conti, è indispensabile che i suoi membri possano viaggiare per svolgere le verifiche se vogliamo che questa istituzione sia un vero organo di controllo. Allo scopo, queste istituzioni devono avere più personale. Un bilancio equilibrato è politicamente importante, oltre a lanciare un messaggio forte agli Stati membri e ai nostri cittadini.
Un’altra questione poco convincente riguarda i costi per l’allargamento e i tagli proposti dal Consiglio. Questa decisione non è stata accompagnata da uno spostamento delle date per l’adesione. Vorrei sapere come pensiate che possa funzionare.
Un altro problema concerne l’aumento degli stipendi dell’1,85 per cento, che in effetti non è ancora confortato da un pronunciamento del tribunale. Una pianificazione coerente del bilancio ci impone di tenere per lo meno in considerazione questa eventualità. In una prospettiva ecologica esistono senz’altro altre possibilità di risparmio, per esempio in relazione all’enorme progetto ITER per lo sviluppo del reattore a fusione nucleare. Forse dovremmo avere il coraggio di mettere in discussione questo genere di spese.
Jutta Haug, relatore per parere della commissione per i bilanci. – (DE) Signor Presidente, Presidente in carica Wathelet, Commissario, onorevoli colleghi, le nostre relatrici hanno già espresso un giudizio in merito alla posizione del Consiglio e adesso tocca a me dare voce al parere della commissione per i bilanci. A titolo introduttivo desidero precisare che la Presidenza belga sta facendo il suo lavoro al meglio delle possibilità offerte dalla situazione, ovvero entro i limiti che le vengono imposti dal Consiglio nel suo complesso. Purtroppo dobbiamo constatare che il risultato non è positivo. Come di consueto – non mi ricordo infatti di alcun caso contrario – il Consiglio ha stralciato e limato il progetto della Commissione sia a livello di impegni che di pagamenti. E come di consueto, i tagli sono stati fatti ovunque e a casaccio, senza alcuna considerazione di opportunità o ragionevolezza. Il risultato è una riduzione di 780 milioni di euro negli stanziamenti d’impegno e di 3,6 miliardi di euro nei pagamenti.
A un’analisi più attenta ci accorgiamo che a farne le spese sono di nuovo le agenzie decentrate, ovvero organi che abbiamo istituito insieme per forza di legge. Queste agenzie sono nate per volontà congiunta di Parlamento e Consiglio, altrimenti non esisterebbero. Ma se non mettiamo a loro disposizione il denaro necessario a svolgere il lavoro previsto dal loro mandato, allora faremmo meglio a chiuderle. Intanto in questa situazione il denaro speso per queste agenzie è buttato via.
Il medesimo discorso vale per le agenzie esecutive, come ha accennato il signor Commissario. Se dissanguiamo queste agenzie esecutive, che per legge sono incaricate di realizzare i programmi pluriennali, in sostanza decretiamo la morte dei programmi medesimi. Ma è proprio questo che vogliamo?
Dall’alto del loro pulpito, alcuni membri del Consiglio tengono sermoni sugli sforzi che l’Europa dovrebbe compiere per essere o diventare più competitiva. Ma nella procedura di approvazione del bilancio si concentrano poi i tagli proprio nella parte del bilancio che meglio può promuovere la crescita e la competitività, ossia la categoria Ia.
Lo stesso accade alla politica strutturale. Viene tolto un miliardo di euro proprio adesso che le regioni hanno avanzato le richieste di finanziamento. Non vi è alcuna logica in tutto questo, né tanto meno lungimiranza.
Vorremmo che i nostri governanti affrontassero la procedura di bilancio concentrandosi sui contenuti e tenendo a mente l’importanza dell’Europa e del suo valore aggiunto per tutti i cittadini. Solo a quel punto troverete in noi un interlocutore collaborativo.
Melchior Wathelet, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, vorrei solo rispondere ad alcuni dei quesiti che sono stati sollevati.
Seppure non sia stato possibile sinora discutere su tutte le proposte del Consiglio relative alle diverse linee di bilancio, presumo che tale discussione avrà luogo in seguito. Sono convinto della necessità di una simile discussione che dovrà vertere anche sulle priorità da definire nel bilancio 2011. In effetti non è stato facile trovare un accordo in seno al Consiglio. Basti precisare che a livello di Consiglio, questo bilancio è stato oggetto di una votazione dall’esito niente affatto scontato. Queste criticità sono collegate anche alla situazione finanziaria dei diversi paesi e al difficile contesto economico.
Ciononostante vorrei ricordarvi che, malgrado i tempi duri e le difficoltà riscontrate da tutti in patria, il bilancio europeo per il 2011 è in crescita rispetto all’esercizio precedente, con un incremento del 2,91 per cento. Certo, c’è chi avrebbe voluto di più, ma si tratta in ogni caso di un aumento significativo rispetto al 2010.
L’onorevole Haug ha sollevato la questione della rubrica 1B, la quale, ci tengo a precisare, ha registrato un aumento del 14 per cento rispetto all’esercizio attuale. È inesatto affermare che il Consiglio non tiene conto della specificità di questa rubrica, visto che è stato deciso di riconoscerle un aumento del 14 per cento rispetto al 2010. Credo anzi vi sia stata una presa di coscienza da parte del Consiglio che forse non è stata illustrata o sottolineata a sufficienza.
Desidero precisare alla relatrice per il bilancio del 2011 che nel mio precedente intervento ho voluto riconoscere il lavoro svolto dal Parlamento e lei ha giustamente citato la rubrica 1A del bilancio, cui il Parlamento ha voluto conferire la priorità. Come ho precisato poc’anzi, il Consiglio è stato attento e ha voluto dimostrare, nell’ambito del proprio lavoro, di essere aperto a una discussione sulla politica per la gioventù. Esiste un’apertura al dialogo in merito proprio perché il Parlamento ha chiaramente identificato questa politica come prioritaria.
In relazione alla rubrica n. 5 e all’aspetto istituzionale desidero ricordarvi che tutte le istituzioni sono chiamate a compiere tagli, ma è anche vero che il progetto di bilancio proposto dal Consiglio non prevede alcun taglio al bilancio del Parlamento. Nondimeno ritengo fondamentale che ogni istituzione realizzi dei risparmi e che noi tutti adottiamo un comportamento esemplare in questo anno difficile dal punto di vista finanziario.
Da ultimo posso assicurarvi che ci saranno senz’altro altre occasioni per un confronto e un dialogo proficuo nelle settimane a venire. Spero riusciremo a raggiungere un accordo sul bilancio 2011 che, ripeto, non sarà un bilancio facile in ragione della nuova procedura da seguire e delle nuove politiche cui dovremo dare esecuzione, come lei stessa ha sottolineato, in un contesto che ci obbliga a tenere conto delle difficoltà finanziarie e di bilancio dei nostri Stati membri, già impegnati a conseguire i loro obiettivi di bilancio nazionali.
Consapevoli di queste difficoltà, sfide e costrizioni, mi auguro che riusciremo a concordare un bilancio 2011 accettabile per tutti e che sapremo dimostrare la validità di questa nuova procedura prevista dal trattato di Lisbona mediante l’approvazione del progetto di bilancio per l’esercizio 2011.
Presidente. – Dichiaro concluso questo punto all’ordine del giorno.
15. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B7-0454/2010).
Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione. Porgo in anticipo le mie scuse per l’ennesimo ritardo, anche perché saremo costretti a terminare in ogni caso alle 20.30. Intendo procedere con le interrogazioni prioritarie, a partire da quelle degli onorevoli Paleckis, Aylward e McGuinness, cui seguiranno le domande degli onorevoli Andor, Piebalgs e Hedegaard. Vi chiedo perdono, ma vi pregherei di presentare possibilmente una sola domanda ciascuno.
Prima parte
Gay Mitchell (PPE). – (EN) Signor Presidente, intervengo con una mozione d’ordine in relazione all’orario di inizio del Tempo delle interrogazioni, che era previsto per le sette. Devo intendere che non farò in tempo a presentare la mia interrogazione al Commissario per lo sviluppo?
Presidente. – Non è escluso che lei ci riesca. Eravamo in ritardo di un’ora quando ho assunto la presidenza un’ora fa, adesso il ritardo è solo di mezz’ora. Sto tentando di stringere i tempi e spero che riusciremo a includere la sua interrogazione. Ci tenevo solamente a precisare dire che non è inclusa tra quelle ritenute prioritarie dal signor Commissario.
Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 16 dell’onorevole Paleckis (H-0356/10)
Oggetto: Legislazione sullo stoccaggio e la gestione delle scorie radioattive
Benché 15 dei 27 Stati membri dell'Unione europea dispongano di centrali nucleari, attualmente i progetti intesi a costituire delle unità di stoccaggio delle scorie radioattive a lungo termine sono molto pochi. L'Unione europea, mentre riconosce che la scelta dell'approvvigionamento energetico compete agli Stati membri, sta elaborando il quadro giuridico più avanzato in materia di sicurezza nucleare, sicurezza e gestione delle scorie radioattive. Tale legislazione viene proposta nel quadro del trattato Euratom, a cui l'Unione europea si allinea per definire e disciplinare, a livello comunitario, le norme basilari di sicurezza.
È stato comunicato che la Commissione europea proporrà l'adozione di una legislazione europea in materia di gestione delle scorie radioattive nel secondo semestre 2010. Attualmente è in corso una consultazione pubblica su tale progetto legislativo.
A che punto sono ora tali consultazioni e quali ne sono i risultati? Quali esigenze ambientali specifiche intende garantire tale direttiva? Saranno definite esigenze specifiche diverse per i paesi che hanno già chiuso le proprie centrali nucleari e che hanno scelto modalità diverse di gestione delle scorie - costruire le proprie unità di stoccaggio o rimborsare i fornitori in linea con gli accordi in corso?
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Questa interrogazione era destinata al Commissario Oettinger e io risponderò in sua vece come segue.
La consultazione pubblica svolta attraverso il sito Internet “La vostra voce in Europa” è iniziata il 31 marzo e si è conclusa il 31 maggio 2010. Sono pervenute 510 risposte, alle quali si aggiungono i commenti scritti inviati alla consultazione pubblica sotto forma di e-mail, lettere o relazioni da parte di numerose parti interessate. In linea di massima la stragrande maggioranza dei cittadini europei è favorevole a una legislazione comunitaria vincolante da cui molti si attendono maggiore sicurezza, certezza legale, coinvolgimento pubblico e migliori decisioni a livello nazionale. La relazione sarà pubblicata a breve sul sito della Commissione.
La proposta legislativa avrà come base giuridica il capitolo 3 del trattato Euratom relativo alla tutela della salute e della sicurezza. Lo scopo è creare un quadro legislativo comunitario che obblighi gli Stati membri a garantire una gestione sicura e sostenibile dei combustibili esauriti e delle scorie radioattive per qualsiasi tipo di residuo e in qualsiasi fase, dalla produzione allo smaltimento, al fine di non lasciare eredità gravose alle generazioni future.
La valutazione tecnica deve essere ancora completata ed è prematuro indicare quali saranno i requisiti ambientali. Gli Stati membri continueranno a essere responsabili per la gestione del combustibile esaurito e delle loro scorie radioattive.
Justas Vincas Paleckis (S&D). – (LT) La ringrazio per questa risposta, che tuttavia è rimasta alquanto generica e poco puntuale; penso che l’Unione europea debba imporre standard ambientali più stringenti in questo ambito. Benché mi renda conto che il Commissario competente non è presente oggi, vorrei comunque chiedere alla Commissione come intende finanziare questa iniziativa e se saranno stanziate risorse adeguate a sostegno di decisioni favorevoli all’ambiente.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D). – (RO) Le scorie radioattive devono essere gestite e stoccate in condizioni di massima sicurezza.
In questo ambito la cooperazione tra autorità europee, nazionali, regionali e locali è fondamentale.
Vorrei sapere dalla Commissione quale ruolo sarà ascritto alle autorità locali in questo ambito.
Presidente. – Il Commissario De Gucht interviene in sostituzione del Commissario Oettinger. Può rispondere a queste domande complementari, se ne è in grado.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, tenterò quanto meno di non dire sciocchezze.
In relazione alla domanda complementare dell’onorevole Paleckis sulla copertura finanziaria, credo che questa sarà di competenza nazionale, poiché la questione rientra nell’ambito di responsabilità degli Stati membri, mentre l’Unione europea fornirà esclusivamente il quadro legislativo. Presumo che i finanziamenti necessari dovranno provenire dagli Stati membri, salvo decisioni di segno contrario sancite nella legislazione e assunte in accordo con l’autorità di bilancio.
Per quanto concerne le autorità locali, credo che le loro competenze dipenderanno dall’attribuzione dei poteri così com’è articolata nei singoli Stati membri. Laddove sono previste autorizzazioni rilasciate dalle autorità locali, allora queste saranno parzialmente coinvolte nel processo decisionale. Tuttavia gli Stati membri possono anche stabilire che le autorizzazioni in questo ambito, per esempio eventuali licenze di costruzione, dovranno essere rilasciate dall’autorità centrale. Resta da vedere come questi temi saranno affrontati nella legislazione che vi presenteremo a breve.
Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 17 dell’onorevole Aylward (H-0374/10)
Oggetto: PMI europee, commercio internazionale e lavoro minorile
Che cosa può fare la Commissione per assicurare che le PMI europee non siano coinvolte in pratiche di lavoro minorile, direttamente o indirettamente, al momento dell'acquisto di prodotti provenienti da paesi in via di sviluppo? Dispone di un meccanismo in atto per controllare il commercio e i prodotti europei che implicano il lavoro minorile nei paesi in via di sviluppo? Quali sono le disposizioni per affrontare tale questione?
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) La Commissione affronta con estrema serietà il problema del lavoro minorile. Lo scorso giugno, l’OIL ha denunciato la presenza nel mondo di 200 milioni di bambini lavoratori. Anche se per fortuna questa tendenza è in calo, ci sono ancora 200 milioni di bambini di troppo che invece di andare a scuola sono costretti a lavorare.
In ogni caso è importante rendersi conto che solamente il 5 per cento di questi bambini lavora in settori destinati all’esportazione. Secondo i dati dell’OIL, la maggioranza è impegnata nell’agricoltura di sussistenza o nei lavori domestici.
Tenuto conto di questo, l’Unione europea ha deciso di affrontare il lavoro minorile mediante un approccio molto vasto che affronta le sue cause prime, ovvero la povertà e l’impossibilità di accedere a un’istruzione di qualità.
Questa impostazione è stata illustrata nel documento di lavoro dei servizi della Commissione sulla lotta contro il lavoro minorile pubblicato lo scorso gennaio e approvato dal Consiglio il 14 giugno. La rinvio a entrambi i documenti per maggiori dettagli su questa impostazione e sui suoi futuri sviluppi.
Nel complesso queste iniziative ci avvicinano all’obiettivo internazionale di eradicazione delle peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016 e dell’eliminazione di tutte le forme di lavoro minorile.
Numerose imprese, tra cui anche PMI, dell’Unione europea hanno aderito a programmi di responsabilità sociale in cui si impegnano a garantire che non venga fatto ricorso al lavoro minorile o forzato nella loro filiera. La Commissione sta valutando come integrare al meglio le questioni attinenti ai diritti umani nella politica comunitaria in tema di responsabilità sociale delle imprese.
Le PMI possono inoltre avvalersi di diversi sistemi privati di certificazione della sostenibilità disponibili all’interno dell’Unione europea che, in alcuni casi e a seconda dei criteri utilizzati, possono anche prevedere il divieto di ricorrere al lavoro minorile o forzato nella produzione dei beni e dei servizi certificati.
Liam Aylward (ALDE). – (EN) Signor Commissario, i difensori dei diritti dell’infanzia e le ONG stanno chiedendo da tempo che la questione del lavoro minorile sia fatta confluire in tutte le politiche per lo sviluppo anziché essere trattata separatamente come sta accadendo oggi. Quali sono i progressi compiuti dalla Commissione a questo riguardo? La Commissione dispone di una politica specifica per l’inserimento o il reinserimento dei bambini lavoratori nel sistema scolastico?
Paul Rübig (PPE). (DE) Signor Presidente, signor Commissario, potrebbe portare al tavolo negoziale dell’OMC la proposta di introdurre nel commercio internazionale e in particolare presso le piccole e medie imprese un marchio di qualità rilasciato da un’organizzazione riconosciuta e registrata che garantisca ai consumatori europei che la produzione non ha visto il ricorso al lavoro minorile? A mio giudizio questa sarebbe una misura volontaria di effetto immediato.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) In risposta alla domanda complementare dell’onorevole Aylward posso aggiungere che le otto principali convenzioni dell’OIL in cui sono sanciti i diritti fondamentali dei lavoratori costituiscono parte integrante della politica commerciale dell’Unione europea, nell’ambito sia del regime SPG+ sia degli accordi bilaterali e regionali.
Tra queste convenzioni figurano anche la n. 138 relativa all’età minima lavorativa e la n. 182 sulle forme peggiori di lavoro minorile. Gli accordi siglati di recente prevedono un sistema di supervisione sull’attuazione, il monitoraggio da parte di organismi intergovernativi e parti sociali, un dialogo e, all’occorrenza, un esame indipendente seguito da relazioni e dalla formulazione di raccomandazioni pubbliche.
La nostra politica è stata di non revocare i regimi preferenziali. Possiamo sempre farlo e intervenire in tal senso, ma, poiché solo una percentuale minima di bambini lavora per aziende che vendono all’estero, crediamo sia più opportuna un’azione preventiva. Abbiamo ad esempio istituito numerosi programmi con paesi come l’India, tramite i quali ci occupiamo dei bambini e garantiamo loro un’istruzione.
In relazione alla domanda complementare sulle PMI, convengo che anche le iniziative volontarie possono fare molto. Come ho indicato nella mia risposta iniziale, abbiamo constatato che numerose PMI aderiscono volentieri a programmi volti a impedire l’utilizzo del lavoro minorile in tutta la filiera e onorano effettivamente questo impegno.
Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 18 dell’onorevole McGuinness (H-0376/10)
Oggetto: Eventuale impatto di un coordinamento rafforzato delle politiche economiche
Può la Commissione fornire informazioni e chiarimenti sulle eventuali implicazioni delle misure correttive, vale a dire sanzioni, delineate nella comunicazione "Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita e l'occupazione – Gli strumenti per rafforzare la governance economica dell'UE" (COM(2010)0367)?
Se gli Stati membri non rispettassero i parametri previsti dal patto di stabilità e di crescita, i pagamenti dell'UE ai governi nazionali potrebbero essere sospesi. Come può la Commissione garantire che tale provvedimento non incida negativamente sui cittadini, ad esempio gli agricoltori, qualora siano imposte simili sanzioni?
Come può la Commissione assicurare che i governi nazionali saranno in grado di onorare gli impegni assunti nei confronti degli agricoltori e degli altri beneficiari del sostegno dell'UE, specialmente in un periodo in cui le finanze di numerosi Stati membri sono sottoposte a notevole pressione nell'attuale clima economico?
Nell'eventualità che gli Stati membri non siano in grado di soddisfare questa esigenza, può dire la Commissione come intenderebbe procedere?
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la comunicazione dello scorso 30 giugno relativa al rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita e l’occupazione rappresenta il seguito della precedente comunicazione del 12 maggio in cui vengono presentati gli strumenti concreti per un coordinamento rafforzato delle politiche economiche.
Da parte nostra è stato proposto un sistema di vigilanza più efficace con un controllo fiscale più rigoroso, una sorveglianza più attenta sugli squilibri macroeconomici e un coordinamento ex-ante più intenso delle politiche economiche nel “semestre europeo”. Le nostre proposte sono state accolte favorevolmente dal Consiglio, dalla task force guidata da Van Rompuy e dal Parlamento, nonché dai media. Nelle sue conclusioni, il Consiglio europeo del 17 giugno ha avallato formalmente i nostri suggerimenti e ci ha incoraggiato a proseguire il lavoro affinché in Europa si concretizzi a breve una migliore governance economica.
La Commissione approverà le proposte legislative formali necessarie nel corso di questo mese. Contiamo sul sostegno del Consiglio e del Parlamento europeo affinché la legislazione pertinente sia approvata e le proposte siano messe in pratica il prima possibile. Nell’ambito di questo pacchetto legislativo sarà proposta una serie di nuove sanzioni e incentivi al fine di garantire il rispetto del Patto di stabilità e crescita. I meccanismi rafforzati sui controlli fiscali sono un elemento cardine delle nostre proposte, sono fondamentali per conferire credibilità al nostro quadro fiscale e costituiscono un importante argomento di discussione in seno alla task force.
Come indicato nella comunicazione del 30 giugno, proporremo inizialmente un nuovo sistema di sanzioni per i 16 Stati membri dell’eurozona sulla base dell’articolo 136 del TFUE, applicabile sia a scopo preventivo e correttivo nel Patto di stabilità e crescita, sia con finalità correttive nel controllo sugli squilibri macroeconomici. Questo riflette la maggiore interdipendenza e i vincoli più stringenti in essere all’interno dell’unione monetaria. Le sanzioni saranno complementari a quelle già previste dal Patto di stabilità e crescita, ma interverranno in una fase anteriore della procedura per gli eccessi di disavanzo e con un automatismo migliore.
In una fase successiva intendiamo migliorare la conformità di tutti e 27 gli Stati membri, introducendo la possibilità di una sospensione e cancellazione degli stanziamenti presenti e futuri dal bilancio UE. Questa misura interesserebbe la spesa relativa alla politica di coesione, alla Politica agricola comune e al Fondo per la pesca. Si intende dunque utilizzare il bilancio UE quale leva complementare per incentivare l’ottemperanza alle condizioni fissate nel Patto di stabilità e di crescita.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signor Commissario, la ringrazio per questa risposta piuttosto generica. Ho già avuto modo di leggere tutte queste informazioni nella comunicazione.
Anche i cittadini hanno letto di queste nuove sanzioni. La mia domanda era più specifica: come riuscirete a punire gli Stati membri e i rispettivi governi senza penalizzare per questo i cittadini? Questo era il nocciolo del mio quesito. Nel caso in cui decidiate di bloccare gli stanziamenti dal bilancio UE destinati agli Stati membri, alla PAC o alla politica di coesione, vorrei sapere chi ci rimetterà. È su questo aspetto che vorrei un chiarimento adesso in quest’Aula.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signor Commissario, concordo con lei sulla necessità di regole comuni quando si aderisce alla moneta unica, ma il Patto di stabilità e crescita è stato istituito in un contesto assai diverso da quello attuale. Oggi ci troviamo prossimi a un collasso mondiale e alcuni paesi si stanno riprendendo meglio di altri, come il mio, che stanno ancora lottando per risalire la china.
Nel caso in questione vedo solo bastoni e nessuna carota. Lei ha fatto riferimento a nuovi strumenti sanzionatori, ma come ha detto l’onorevole McGuinness, queste sanzioni si ripercuoteranno sulla cittadinanza. Non mi sembra il modus operandi migliore che la Commissione possa adottare ora che alcuni paesi sono ancora a rischio di un tracollo economico.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) La questione è senz’altro importante ma anche alquanto tecnica. Nell’ambito dei programmi pluriennali, la sospensione degli stanziamenti d’impegno non avrebbe un effetto immediato, giacché i pagamenti possono avvenire sulla scorta dei relativi stanziamenti d’impegno solitamente entro un periodo di due anni. Questo significa che i progetti in corso dei programmi pluriennali non ne risentiranno e che gli Stati membri dispongono di tempo sufficiente per l’adozione di misure correttive in sintonia con le raccomandazioni emanate dal Consiglio durante la procedura per i disavanzi eccessivi.
La dotazione viene re-iscritta a bilancio non appena lo Stato membro si adegua alle raccomandazioni del Consiglio. Lo stanziamento viene perso in modo definitivo solo nel caso in cui lo Stato membro non ottemperi alle raccomandazioni del Consiglio. La comunicazione del 30 giugno prevede inoltre che i nuovi meccanismi sanzionatori non si applichino nei casi in cui una riduzione nei finanziamenti UE causerebbe un calo del reddito per gli agricoltori e i pescatori. Le proposte concrete in merito alle categorie di spesa ammissibili e ai meccanismi sanzionatori assicureranno il rispetto di queste condizioni.
Seconda parte
Presidente. – Come ho spiegato prima, questa sera dobbiamo lavorare con tempi assai ristretti e sto cercando di lasciare spazio a più interrogazioni possibile. Vi prego pertanto di essere sintetici.
Annuncio l’interrogazione n. 19 dell’onorevole Vilija Blinkevičiūtė (H-0360/10)
Oggetto: Attuazione di riforme delle pensioni nel quadro della strategia Europa 2020
Nella strategia Europa 2020 adottata dal Consiglio europeo si afferma che attuando riforme a lungo termine, tra cui riforme dei sistemi pensionistici, ci si può attendere una crescita economica a lungo termine e la promozione dell’occupazione in tutta l’Unione europea.
Di quali strumenti intende la Commissione avvalersi per monitorare le riforme delle pensioni nonché per analizzare e divulgare i risultati conseguiti? Come intende valutare l’adeguatezza e la sostenibilità dei sistemi pensionistici e di protezione sociale? In che modo ci si adopererà per evitare conseguenze negative e per garantire che le riforme non siano portate a termine esclusivamente a spese dei cittadini dell’UE, in particolare gli anziani e i più vulnerabili socialmente? Dispone la Commissione di sufficiente potere in questo settore?
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Nell’ultimo decennio, nei sistemi pensionistici della maggior parte degli Stati membri, sono state introdotte riforme radicali che devono ancora essere completate.
La Commissione sostiene, osserva e valuta l’impatto e l’attuazione di queste riforme nazionali tramite il metodo aperto del coordinamento affinché i sistemi pensionistici messi a punto siano adeguati, sostenibili, moderni e trasparenti.
Tra le iniziative di monitoraggio e valutazione dei sistemi pensionistici nell’Unione europea figura anche il riesame congiunto delle pensioni a cura del Comitato di politica economica e del Comitato per la protezione sociale.
Il riesame congiunto delle pensioni fa il punto sulle riforme pensionistiche degli ultimi dieci anni e valuta i progressi compiuti, tenuto conto delle battute d’arresto causate dalla crisi e dalle difficoltà associate all’erogazione delle pensioni in una situazione di minore occupazione, minore crescita, maggiore invecchiamento e gettito fiscale drasticamente ridotto.
Il Consiglio ha approvato una relazione provvisoria a giugno e la relazione definitiva contenente i profili per paese dovrebbe essere adottata alla fine dell’anno.
La Commissione sta lavorando a stretto contatto con gli Stati membri su diversi aspetti collegati al sistema delle pensioni e alla riforma pensionistica. Le relazioni congiunte annuali e le valutazioni inter pares, per esempio, offrono suggerimenti e raccomandazioni rispondenti alla situazione specifica dei singoli Stati membri.
Al fine di misurare i progressi compiuti verso un sistema pensionistico adeguato e sostenibile, in seno al Comitato per la protezione sociale, gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, hanno elaborato una serie di indicatori che saranno utilizzati nella strategia Europa 2020 come strumento di misurazione per valutare l’adeguatezza e la sostenibilità dei sistemi pensionistici e di protezione sociale degli Stati membri.
La riforma delle pensioni deve basarsi su soluzioni atte a garantire l’adeguatezza e la sostenibilità delle pensioni che non penalizzino le persone più anziane e socialmente più vulnerabili.
Negli orientamenti politici presentati lo scorso settembre, il Presidente Barroso ha affermato la necessità di fare in modo che le pensioni garantiscano il massimo sostegno ai pensionati attuali e futuri, comprese le categorie vulnerabili.
Garantire pensioni adeguate significa fare in modo che gli anziani non siano esposti al rischio di povertà e che possano mantenere in misura ragionevole il medesimo tenore di vita anche dopo il pensionamento.
In considerazione delle pressioni attuali sui sistemi pensionistici e delle difficoltà insite nelle alternative prospettate – quali un maggiore carico fiscale sui contributi previdenziali o un impoverimento dei pensionati – gli Stati membri devono contemplare la possibilità di un aumento del lavoro e dell’orario lavorativo al fine di garantire pensioni adeguate e sostenibili.
La Commissione ha sempre ribadito che la riforma delle pensioni è indispensabile, ma di per sé non è sufficiente. I lavoratori devono avere la possibilità e la capacità di lavorare di più e più a lungo al fine di maturare una pensione adeguata.
A tal fine occorre fare in modo che i lavoratori più anziani non vengano discriminati sul mercato del lavoro. È necessario offrire loro opportunità d’impiego, corsi di formazione e di aggiornamento durante l’intera carriera professionale, adeguando le condizioni di lavoro alle esigenze delle persone nelle varie fasi della vita e assicurando migliori condizioni di salute e di sicurezza sul posto di lavoro.
Occorre un dispiegamento di forze maggiore ed Europa 2020 offre la cornice giusta per questo impegno. Mi auguro che nei programmi nazionali di riforma gli Stati membri decidano di puntare in alto.
L’attuale quadro europeo per le pensioni che si estende dal coordinamento delle politiche alla regolamentazione dovrebbe essere aggiornato tenendo conto dei cambiamenti demografici, degli effetti della crisi e dei mutamenti nei sistemi pensionistici nazionali.
Con il Libro verde sulle pensioni pubblicato il 7 luglio, la Commissione ha aperto in Europa un dibattito su come e se perfezionare il quadro europeo per le pensioni al fine di garantire pensioni adeguate, sostenibili e sicure.
Il Libro verde non mette in dubbio la competenza primaria degli Stati membri nella definizione dei sistemi pensionistici nazionali, ma vuole contribuire alla discussione sul valore aggiunto che l’Unione europea può conferire alle pensioni.
Nel documento si valuta come l’Unione possa affiancare gli Stati membri nel loro impegno di aggiornamento delle politiche e adeguamento delle pensioni alle esigenze future. Viene inoltre presentata una disanima delle alternative percorribili per un quadro europeo delle pensioni più strutturato.
Il Libro verde è un’opportunità offerta alle parti interessate di esprimere la propria opinione e lascia dunque spazio non solo agli Stati membri, ma anche a datori di lavoro e sindacati che hanno un ruolo cardine in alcuni regimi pensionistici nonché, ovviamente, al Parlamento europeo. Riusciremo senz’altro a proporre misure fondate su un’evidenza solida che sapranno dimostrarsi efficaci e proporzionate, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D). – (LT) La ringrazio per questa risposta, anche se in realtà mi attendevo una spiegazione più particolareggiata. Quali misure specifiche adotterà la Commissione europea per favorire l’occupazione delle persone in età avanzata? Nel Libro verde la Commissione afferma che l’allungamento dell’età pensionabile dovrà subire un’inversione di tendenza in ragione dell’attuale situazione demografica negli Stati membri dell’Unione europea.
In assenza di provvedimenti specifici a sostegno dell’impiego dei lavoratori più anziani, l’allungamento dell’età pensionabile sarebbe dannoso perché condannerebbe gli anziani alla povertà.
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Uno dei seguiti dati a questo lavoro sulle pensioni è stata la proposta di dichiarare il 2012 l’Anno europeo per l’invecchiamento attivo. I preparativi sono già in corso e l’annuncio seguirà a breve.
Nel frattempo sono in corso di preparazione alcuni studi demografici. Vogliamo progettare questo Anno europeo per l’invecchiamento attivo a sostegno delle opportunità d’impiego per i lavoratori più anziani e come momento di riflessione sulla creazione di programmi di formazione permanente e sul mantenimento della salute, giacché questi sono fattori che influiscono sulle possibilità occupazionali in questa fascia di età.
Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 20 dell’onorevole Papanikolaou (H-0363/10)
Oggetto: Conseguenze delle nuove relazioni di lavoro per i giovani
I cambiamenti introdotti dal governo greco nelle relazioni di lavoro prevedono per i giovani fino a 21 anni di età la possibilità di essere assunti, quando entrano per la prima volta nel mercato del lavoro, all'80% del salario minimo e, per i giovani tra i 21 e i 25 anni, la percentuale è fissata all'85% del salario risultante, caso per caso, dalla convenzione collettiva di lavoro nazionale.
Può la Commissione rispondere ai seguenti quesiti:
Nel quadro dei negoziati relativi al meccanismo di sostegno a favore della Grecia e della stesura del rispettivo memorandum, ha chiesto ufficialmente o in modo informale al governo greco la riduzione dei diritti salariali dei lavoratori che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro?
Ritiene che tali pratiche da parte degli Stati membri siano compatibili con gli obiettivi strategici dell'Europa 2020 che mirano alla lotta contro la povertà e le disuguaglianze sociali?
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, il protocollo d’intesa sottoscritto dalle autorità greche con la Commissione, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale prevede l’adozione da parte del governo greco di una legislazione sui livelli salariali minimi per l’assunzione di soggetti a rischio, quali i giovani e i disoccupati di lunga durata. L’intenzione è di favorire l’occupazione dei gruppi più esposti al rischio di disoccupazione e dunque di esclusione sociale.
La corresponsione di retribuzioni inferiori al minimo salariale ai giovani è prassi comune in numerosi Stati membri, come per esempio il Belgio, la Repubblica ceca, la Francia, l’Irlanda, Malta, i Paesi bassi, la Slovacchia, il Portogallo e il Regno Unito. Sebbene il concetto del salario minimo sia stato introdotto al fine di ridurre la povertà dei lavoratori, livelli minimi salariali troppo elevati possono incrementare il costo del lavoro e rappresentare un ostacolo all’entrata dei giovani nel mondo del lavoro, diventando in ultima analisi un fattore che incentiva la disoccupazione.
L’elevatissimo tasso di disoccupazione tra i giovani greci dimostra quanto sia difficile per loro accedere al mondo del lavoro. I dati nazionali di questo aprile sulla disoccupazione tra i giovani tra i 15 e i 29 anni indicavano un tasso del 30,8 per cento rispetto a una media comunitaria del 19,8 per cento. Si prevede peraltro che i giovani disoccupati aumenteranno di numero quest’anno e il prossimo.
Anche i dati relativi ai disoccupati greci di lungo periodo sono superiori alla media, indice delle loro difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro. Alcuni provvedimenti sanciti nel protocollo d’intesa sono da intendersi come interventi di emergenza in una situazione critica. È prevista la fissazione di salari minimi nominali per un periodo di tre anni, destinati ai soggetti come i giovani e i disoccupati di lungo periodo che incontrano difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro.
La qualità del lavoro e condizioni d’impiego dignitose restano le massime priorità dell’Unione, come dimostrato dagli orientamenti integrati discussi questo pomeriggio che forniranno la cornice di riferimento alla strategia Europa 2020.
La Commissione chiede da tempo un pacchetto di provvedimenti volti a ridurre la frammentazione del mercato del lavoro, a garantire ai disoccupati e agli altri gruppi vulnerabili un sostegno adeguato, a promuovere un’occupazione sostenibile e la coesione sociale.
Tali provvedimenti ricevono un sostegno materiale dai fondi UE e in particolare dal Fondo sociale europeo. In Grecia, il FSE sovvenziona numerose iniziative per agevolare l’ingresso nel mercato del lavoro in particolare dei giovani, delle donne, dei disoccupati di lungo periodo e degli altri soggetti vulnerabili. Le iniziative sono variamente articolate e si declinano in servizi personalizzati per i disoccupati, esperienze lavorative per chi si affaccia sul mercato del lavoro per la prima volta, promozione dell’occupabilità o della riqualificazione, sostegno alla mobilità professionale e altro ancora.
Il protocollo d’intesa stabilisce altresì alcuni obiettivi al fine di incrementare la capacità d’impiego, da parte della Grecia, dei finanziamenti messi a disposizione dal Fondo strutturale e di coesione in progetti di crescita che richiedono investimenti elevati.
Georgios Papanikolaou (PPE). (EN) La ringrazio, signor Commissario, per questa risposta. Purtroppo non ho capito se le disposizioni del protocollo d’intesa sono state proposte dalla Commissione oppure se sono state un’idea del governo greco che è infine giunto a proporre un salario ridotto per i giovani lavoratori. Secondo quanto afferma il protocollo d’intesa sulla base di cifre che anche lei ha citato almeno in parte, si prevede che la disoccupazione continuerà a crescere in tutte le fasce sociali fino al 2012 e che il gruppo più colpito sarà quello dei giovani di età compresa tra 20 e 25 anni.
La mia domanda è la seguente: come possiamo pensare di avvicinarci ai nostri obiettivi strategici europei per il 2020 se ci stiamo discostando da essi?
Brian Crowley (ALDE). – (EN) Le nuove sfide che si pongono ai giovani in cerca di una formazione e di un impiego portano a nuove iniziative su misura per questo gruppo specifico. Nelle proposte avanzate dalla Commissione non vedo mai indicato l’uso di Internet e dei siti di social networking quali strumenti per incoraggiare i giovani a iscriversi a un corso o a manifestare le loro idee. La Commissione intende presentare nuove iniziative in questo ambito?
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Vorrei riallacciarmi al discorso tenuto questa mattina dal Presidente, in cui sono state presentate alcune nuove idee per promuovere l’acquisizione delle competenze e la mobilità all’interno dell’Unione europea, specialmente a vantaggio dei giovani.
In questo ambito sono stati messi in atto svariati programmi, mi basti menzionare la proposta “Gioventù in movimento” della prossima settimana che comprenderà, oltre alla mobilità, anche una serie di iniziative miste volte a migliorare le opportunità d’impiego dei giovani (non esclusivamente in Grecia, benché sono certo che anche i giovani greci ne trarranno un vantaggio).
Presidente. – Onorevole Crowley, la sua interrogazione riceverà una risposta completa per iscritto.
Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 22 decade.
Annuncio l’interrogazione n. 23 dell’onorevole Mitchell (H-0387/10)
Oggetto: Vertice sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio
Lo scopo principale del prossimo Vertice sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM), a New York, è di accelerare il processo di conseguimento di tutti gli OSM entro il 2015.
Quali sono gli intenti specifici della Commissione, in qualità di rappresentante dell’Unione europea al Vertice, e ritiene che le Nazioni Unite giungeranno a un accordo per ribadire gli impegni assunti nel 2000?
Inoltre, intende la Commissione assicurare alle Nazioni Unite che l’Unione europea resta determinata a destinare lo 0,7% del PIL all’aiuto pubblico allo sviluppo, fino al 2015?
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Restano appena cinque anni per realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio entro il termine convenuto del 2015 e la Commissione è persuasa che tali obiettivi siano tuttora conseguibili, a condizione che l’intera comunità internazionale dimostri una forte volontà politica, metta in atto le politiche necessarie e intraprenda provvedimenti concreti facendo tesoro di quanto appreso. Numerosi paesi in via di sviluppo hanno compiuto notevoli progressi verso il raggiungimento degli obiettivi e riusciranno a realizzarli, mentre altri si stanno confrontando con varie difficoltà.
La sessione plenaria di alto livello delle Nazioni Unite nel settembre 2010 rappresenta senz’altro una sfida, ma, oltre a confermare gli impegni assunti nel 2000, la Commissione aspira anche a un risultato concreto e pratico che prepari ai prossimi cinque anni e ci consenta di conseguire gli obiettivi per il 2015.
Per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio sono responsabili in prima istanza tutti i paesi coinvolti. Nell’ambito del sostegno internazionale tramite l’aiuto pubblico allo sviluppo, l’Unione europea si è posta alla guida come massimo donatore mondiale e rimane un modello esemplare per gli altri partner. Sulla base delle proposte avanzate dalla Commissione, gli Stati membri hanno concordato una serie di iniziative e politiche ambiziose ma concrete che dovranno essere realizzate tra oggi e il 2015. Queste vanno a formare la posizione comune europea in vista del vertice ONU e nel periodo successivo, confermando la forza dell’impegno con cui l’UE vuole sostenere il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio in tutto il mondo entro il 2015.
Nelle conclusioni del Consiglio europeo dello scorso giugno si ribadisce l’impegno dell’UE verso il conseguimento degli obiettivi fissati per gli aiuti allo sviluppo e gli Stati membri hanno accettato di effettuare una valutazione annuale dei progressi compiuti sulla base di una relazione redatta dal Consiglio. La Commissione provvederà inoltre a garantire un follow-up a queste iniziative. Al vertice ONU di settembre l’Unione europea potrà riaffermare con forza il proprio impegno verso gli obiettivi di sviluppo del Millennio, inclusa l’intenzione di destinare lo 0,7 per cento del PIL all’aiuto pubblico allo sviluppo entro il 2015.
Gay Mitchell (PPE). – (EN) Desidero ringraziare il Commissario per la sua risposta. In questi tempi di austerità, il signor Commissario conviene con me sulla necessità di comunicare al pubblico i risultati ottenuti tramite gli aiuti allo sviluppo per garantire un sostegno duraturo a questa iniziativa?
Conviene con me che i contributi sono destinati a ridursi con la contrazione del PIL, ma che la percentuale di PIL destinata agli aiuti non deve essere comunque diminuita affinché i paesi in via di sviluppo non siano doppiamente penalizzati?
Il signor Commissario intende menzionare questo problema a New York?
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Gli aiuti pubblici sono senz’altro estremamente importanti, alla pari di uno sforzo di comunicazione e dell’obbligo di rendiconto in materia di aiuti allo sviluppo. La Commissione è impegnata in diversi progetti, come le Giornate europee per lo sviluppo che ho appena menzionato, tramite i quali cerchiamo di comunicare i risultati ottenuti. Ci impegneremo al massimo su questo fronte.
Per quanto concerne il PIL e la sua contrazione, l’afflusso di denaro sarà sicuramente inferiore, almeno in alcuni paesi. Attualmente ci attestiamo attorno allo 0,4 per cento del PIL e dobbiamo lavorare ancora molto per raggiungere lo 0,7 per cento. La Commissione ribadirà che non dobbiamo ridurre gli importi in termini assoluti o relativi, poiché ci collochiamo già a un livello inferiore rispetto a quanto ci eravamo ripromessi. La nostra credibilità dipende dal nostro impegno e dai risultati ottenuti rispetto agli obiettivi di sviluppo del Millennio e agli aiuti pubblici allo sviluppo.
Presidente. – L’onorevole Gallagher è arrivato. Signor Commissario, avrebbe piacere di rispondere all’interrogazione n. 22 sul prossimo vertice UE-Africa?
Annuncio l’interrogazione n. 22 dell’onorevole Gallagher (H-0385/10)
Oggetto: Prossimo vertice UE-Africa
Può la Commissione rilasciare una dichiarazione in cui illustra le questioni politiche chiave che saranno discusse al prossimo vertice UE-Africa? Può inoltre indicare quali sono i risultati che si attende da tale vertice politico?
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Le questioni politiche da discutere al prossimo vertice UE-Africa vengono preparate in stretta collaborazione con le altre istituzioni europee, in sintonia con il nuovo assetto istituzionale previsto dal trattato di Lisbona. La Commissione, promotrice insieme ad altri della strategia congiunta UE-Africa, avrà un ruolo di primo piano nella definizione dell’ordine del giorno per tale vertice.
La Commissione auspica che il terzo vertice UE-Africa organizzato in Libia per la fine di novembre possa definire in termini più concreti la portata e l’ambizione della cooperazione tecnica e politica dei prossimi anni tra l’Unione europea e l’Africa. Più precisamente, nel corso del vertice si dovrebbe trovare un accordo sul merito e sui metodi di lavoro della nuova strategia congiunta UE-Africa e del piano d’azione per il periodo 2011-2013.
È importante ricordare che il vertice di Lisbona del 2007 verteva essenzialmente sul miglioramento dei rapporti UE-Africa e sulla creazione di un partenariato alla pari. Il vertice del 2010 dovrebbe avere un indirizzo molto più attivo e orientato verso risultati concreti.
Entrando nel dettaglio dei temi da affrontare, la Commissione vorrebbe che al vertice fossero trattati i seguenti punti:
– il tema trasversale della crescita, della creazione di posti di lavoro e degli investimenti, argomento cruciale tanto per l’Unione europea quanto per l’Africa. Questo punto consentirà ai politici di discutere come promuovere la crescita economica tramite l’efficienza energetica, lo sviluppo del settore privato, il commercio, l’agricoltura e la sicurezza alimentare;
– la protezione ambientale e in particolare il cambiamento climatico e la tutela della biodiversità;
– la pace e la sicurezza, temi importanti che comprendono anche la capacità di gestire le situazioni di crisi, la lotta contro il terrorismo, la pirateria e il crimine transnazionale, i legami con la governance e i diritti umani.
Al vertice sono attesi numerosi leader politici dai due continenti e secondo la Commissione questa sarà un’occasione per convergere verso risultati concreti e lanciare un messaggio a tutte le parti interessate africane ed europee, ai media e ai cittadini. Ai margini del vertice, i capi di Stato e di governo avranno l’opportunità di scambiare opinioni con i rappresentanti dei due parlamenti, il settore privato e la società civile.
La Commissione intende coinvolgere anche altri rappresentanti della parte africana, università, ricercatori, organizzazioni giovanili e autorità locali. Come nei vertici precedenti, questi eventi collaterali culmineranno nell’approvazione di dichiarazioni politiche e/o dichiarazioni congiunte da parte dei capi di Stato e di governo.
Pat the Cope Gallagher (ALDE). – (EN) La ringrazio, signor Commissario, per aver risposto alla mia domanda.
Questo vertice è molto importante ed è un piacere conoscere i temi all’ordine del giorno (siano questi la crescita, l’occupazione, gli investimenti, l’energia, l’ambiente o la pace e la sicurezza), ma è altrettanto importante, come lei stesso ha precisato, che si giunga a risultati concreti.
Colgo l’occasione per chiederle, signor Commissario, di intercedere presso gli Stati membri affinché si rendano conto dell’importanza degli aiuti allo sviluppo internazionali e comprendano la necessità di non ridurre il flusso di aiuti, come si sarebbe altrimenti tentati di fare in questo momento di recessione.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) È mio compito incoraggiare gli Stati membri a erogare gli aiuti allo sviluppo e non mancherò certo a questo mio dovere.
Ritengo che possiamo essere fieri dei nostri risultati. Ricordiamo che siamo i maggiori donatori al mondo e senza i nostri aiuti vigerebbe una situazione d’instabilità e di povertà assai peggiore. Questo dimostra che il nostro sostegno e i nostri aiuti allo sviluppo contano, come ha dichiarato oggi il Presidente del Mali dinanzi a quest’Aula.
Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 26 dell’onorevole Ticau (H-0354/10)
Oggetto: Misure di lotta contro la siccità e la desertificazione
I cambiamenti climatici hanno effetti drammatici sugli Stati membri, molti dei quali si trovano sempre più spesso colpiti da lunghi periodi di canicola e di siccità e dalla desertificazione di vaste aree. Tali fenomeni incidono gravemente sia sull'agricoltura sia sullo sviluppo economico delle regioni in questione. È pertanto un'esigenza dell'Unione Europea che gli Stati membri della sua parte meridionale e orientale sviluppino sistemi di irrigazione estensiva nonché programmi di rimboschimento per combattere efficacemente contro la desertificazione e la siccità.
Può la Commissione indicare quali misure di adattamento ai cambiamenti climatici prevede di adottare per assistere gli Stati membri del Sud e dell'Est dell'Unione europea nella lotta contro la siccità e la desertificazione? Può essa inoltre specificare la rispettiva fonte di finanziamento per ciascuna delle misure previste?
Connie Hedegaard, membro della Commissione. – (EN) Nel 2006 e all’inizio del 2007 la Commissione ha condotto una valutazione approfondita in merito alla scarsità d’acqua e agli episodi di siccità nell’Unione europea. Sulla base di questa valutazione, la Commissione presentò una prima serie di opzioni strategiche mirate a incrementare l’efficienza idrica e il risparmio d’acqua nella sua comunicazione “Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell'Unione europea” pubblicata nel luglio 2007.
Per affrontare la scarsità d’acqua e i problemi di siccità furono proposte sette opzioni strategiche: fissare il giusto prezzo dell’acqua; ripartire in modo più efficace l’acqua e i fondi destinati al settore idrico; migliorare la gestione del rischio siccità; considerare la costruzione di ulteriori infrastrutture per l’approvvigionamento idrico; promuovere le tecnologie e le pratiche che consentono un uso efficiente dell’acqua; favorire lo sviluppo di una cultura del risparmio idrico in Europa e migliorare le conoscenze e la raccolta di dati. Queste erano le sette proposte.
Sulla base dei dati forniti dagli Stati membri e da studi propri, la Commissione redige annualmente una relazione di controllo in cui viene valutato il grado di attuazione di queste opzioni strategiche all’interno dell’Unione europea. La Commissione sta mettendo in pratica anche il Libro bianco “L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro di azione europeo”. Un’altra comunicazione sull’inclusione delle misure di adattamento e di mitigazione nelle principali politiche europee è prevista per l’anno venturo.
Entro il 2012, la Commissione intende inoltre lanciare un piano d’azione per le acque europee collegato a una verifica dello stato di attuazione della direttiva quadro sulle acque, un riesame della strategia per la scarsità d’acqua e la siccità, nonché una verifica della vulnerabilità delle risorse idriche ai cambiamenti climatici.
In vista dell’elaborazione del piano d’azione, la Commissione ha svolto diverse attività, tra cui un progetto pilota sullo sviluppo di misure preventive volte ad arrestare la desertificazione in Europa e uno studio integrato di valutazione sulla vulnerabilità delle risorse idriche europee ai cambiamenti climatici e sulle possibili misure di adattamento.
La siccità e la desertificazione sono oggetto di provvedimenti articolati nei diversi ambiti settoriali, come lo sviluppo rurale previsto dalla politica agricola comune, o sanciti nella politica di coesione.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D). – (RO) La lotta contro i cambiamenti climatici è una priorità per l’Unione europea. Gli effetti di questi mutamenti diventano più evidenti di giorno in giorno. Vorrei dunque sapere cosa intende fare la Commissione per garantire che questa priorità trovi un riscontro nel bilancio dell’Unione europea. Come intendete utilizzare la revisione intermedia e il prossimo quadro finanziario pluriennale per conseguire questi obiettivi?
Connie Hedegaard, membro della Commissione. – (EN) Una proposta che ho già menzionato in occasione della mia audizione di gennaio è cercare di introdurre un sistema di verifica dell’effetto climatico nei progetti del prossimo quadro finanziario. In sostanza quando l’Unione europea cofinanzia un progetto, poniamo ad esempio un progetto infrastrutturale relativo a una grande opera di qualsiasi tipo, sarebbe utile prendere in considerazione nella fase costruttiva quanto abbiamo appreso in materia di innalzamento delle acque e di effetti del cambiamento climatico.
È prioritario per noi riuscire a salvaguardare i nostri finanziamenti dagli effetti negativi del clima e a tal fine l’Unione europea deve riconoscere un sostegno economico esclusivamente ai progetti in cui viene tenuto conto di tutti i requisiti di adattamento che sappiamo essere necessari nell’area in cui il progetto viene realizzato. Questo era solo un caso esemplificativo.
Presidente. – Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio congiuntamente:
l’interrogazione n. 27 dell’onorevole Florenz (H-0364/10)
Oggetto: Preparazione della Conferenza delle parti della convenzione quadro sui cambiamenti climatici (COP 16)
Dal 29 novembre al 10 dicembre 2010 si terrà in Messico la prossima Conferenza delle parti della convenzione quadro sui cambiamenti climatici.
Come valuta la Commissione le possibilità di arrivare a un accordo globale sul clima?
Quali sono gli obiettivi della Commissione, in particolare per quanto concerne aspetti come i finanziamenti, il disboscamento, l'ulteriore sviluppo del sistema di scambio delle quote di emissione e l'adattamento ai cambiamenti climatici?
Quali iniziative concrete ha intrapreso la Commissione per prepararsi all'evento, in particolare nell'ambito del confronto con interlocutori chiave come gli Stati Uniti e la Cina?
In che modo intende garantire un adeguato coinvolgimento dei rappresentanti del Parlamento europeo?
e l’interrogazione n. 28 dell’onorevole Andres Perello Rodriguez (H-0371/10)
Oggetto: Contributo dell'UE al successo del Vertice di Cancún
L'ex Segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Yvo de Boer, ha dichiarato a Bonn che era "altamente improbabile" che dal prossimo Vertice di Cancún emergesse un accordo vincolante volto a disciplinare le emissioni di gas a effetto serra a partire dal 2012, quando scadrà il Protocollo di Kyoto. Altri responsabili politici altresì presenti a Bonn, come il Viceministro messicano dell'ambiente Fernando Tudela, hanno avvertito che il processo negoziale avrebbe dovuto essere modernizzato e rivitalizzato se si voleva ottenere un successo a Cancún.
Ritiene la Commissione che l'UE sia ancora in tempo per far sì che il Vertice di Cancún non rappresenti soltanto un passaggio intermedio, ma sfoci in un autentico accordo vincolante? Come può l'UE contribuire a rendere i negoziati in corso più agili, pratici ed efficienti, al fine di concordare un testo di compromesso il più definitivo possibile in vista della COP 16?
Connie Hedegaard, membro della Commissione. – (EN) Tenterò di rispondere a queste due domande contemporaneamente, giacché vertono entrambe sulla strategia per Cancún. I presenti sanno bene che l’Unione europea aspira al conseguimento di un accordo completo e vincolante sui cambiamenti climatici in grado di mantenere l’aumento della temperatura sotto i 2 gradi centigradi.
Tale accordo deve essere messo a punto il prima possibile; questa è stata la nostra strategia fino a Copenaghen e lo è a tutt’oggi. L’Unione europea sarebbe disposta ad approvare tale accordo in occasione del vertice di Cancún il prossimo novembre/dicembre, ma dobbiamo ancora una volta prendere atto che gli altri non saranno probabilmente disposti a fare altrettanto, stando a quanto è emerso nella riunione ministeriale cui ho partecipato la scorsa settimana. Occorre una punta di realismo e posso dire senza esagerare che l’impostazione graduale consigliata dalla Commissione lo scorso marzo ha riscosso un ampio consenso a livello internazionale. Alla luce di questo modo di procedere è importante interrogarsi su quali saranno le implicazioni per il vertice di Cancún e cosa potrà essere concordato in quella sede.
La Commissione crede che dovremmo tentare di risolvere le questioni strutturali fondamentali e intraprendere azioni concrete sostenute da decisioni formali. Cancún potrebbe consentire un progresso su alcuni aspetti. Innanzi tutto dobbiamo trarre il massimo dalle novità effettivamente concordate a Copenaghen, riportandolo nelle trattative formali e nelle decisioni adottate a Cancún.
Parimenti importante è migliorare in maniera significativa sul fronte della misurazione, rendicontazione e verifica delle riduzioni nelle emissioni, nonché su quello degli aiuti finanziari. Anche questo aspetto è fondamentale.
Il vertice di Cancún dovrebbe dare risultati anche per quanto concerne il disboscamento, ovvero bisogna stabilire formalmente la riduzione delle emissioni provocate dal disboscamento e dai meccanismi di degrado delle foreste così come previsto dall’accordo di Copenaghen. A Copenaghen ce l’avevamo quasi fatta. Dobbiamo avere il coraggio di una decisione ambiziosa per le foreste.
Il medesimo discorso vale per l’accordo su un quadro d’intervento a favore dell’adattamento e della cooperazione tecnologica. Stiamo perseguendo una strategia che includa anche questo capitolo nelle decisioni di Cancún.
Occorrono progressi tangibili anche nell’architettura finanziaria. È superfluo dire, in relazione al finanziamento rapido, che Cancún sarà la sede decisiva per capire se il resto del mondo si rende conto che i paesi sviluppati stanno tenendo fede agli impegni finanziari assunti a Copenaghen in materia di finanziamenti rapidi.
A questo punto dovremmo cominciare a discutere di un’architettura finanziaria di più ampio respiro che contempli anche la costituzione di un fondo verde per il clima. Tra le decisioni adottate vorremmo vedere anche qualcosa sui nuovi meccanismi del mercato delle emissioni che consenta di sviluppare ulteriormente questo mercato mondiale tramite un aggiornamento del meccanismo per lo sviluppo pulito.
Nel nostro elenco dei desiderata figura anche un progresso sul fronte delle emissioni del trasporto aereo e marittimo.
Vogliamo inoltre tentare di fissare in modo definitivo gli impegni di riduzione assunti sinora per discutere in un secondo tempo del loro ulteriore incremento. Forte di questi risultati, Cancún fornirebbe un fondamento solido a un quadro d’intervento internazionale e noi potremo dimostrare che, se riusciamo a raggiungere un accordo di massima, l’anno prossimo sarà più facile concordare anche la forma giuridica futura.
È chiaro che il risultato di Cancún deve essere equilibrato. Per equilibrato intendo dire che il Protocollo di Kyoto così com’è strutturato oggi non è in grado di conseguire l’obiettivo di restare sotto la soglia dei 2 gradi centigradi.
La posizione dell’Unione europea in merito a un secondo periodo d’impegno per il Protocollo di Kyoto è chiara. Siamo disposti a impegnarci per un secondo periodo, ma tutti devono capire che questo da solo non servirà un granché. Dobbiamo subordinarvi altre condizioni o altrimenti diventerà difficile per noi fare pressione sugli altri affinché si assumano ulteriori impegni. I paesi sviluppati che non aderiscono al Protocollo di Kyoto, come gli Stati Uniti, devono essere indotti ad assumersi impegni analoghi e anche le maggiori economie emergenti, come la Cina, devono intraprendere nuove azioni.
Acconsentiremo a un secondo periodo d’impegno solo se saranno realizzate anche altre condizioni, quali l’integrità ambientale. Il Protocollo di Kyoto contiene alcuni punti deboli che ne minano l’integrità ambientale. Occorre ovviare a queste debolezze e mi riferisco in particolare ai metodi di conteggio della copertura boschiva dei paesi sviluppati e allo sfruttamento di monte-emissioni eccedenti, i cosiddetti AAU o hot air. Altrimenti, non riusciremo mai a restare sotto la soglia dei 2°C.
Dobbiamo infine perfezionare le regole. L’attuale Protocollo di Kyoto, per esempio, non consente all’Unione europea di rendicontare la copertura del settore aereo e ci proibisce di introdurre nuovi meccanismi settoriali. Occorre peraltro ammodernare il CDM. Nel prossimo accordo questo genere di ostacoli dovrà essere rimosso e dobbiamo assicurarci che questo venga compreso e realizzato quale condizione per la nostra adesione a un secondo periodo d’impegno.
Allo stato attuale, i negoziati sono fortemente squilibrati. Mentre i negoziati sulla prosecuzione di Kyoto sono a uno stadio avanzato, non altrettanto si può dire dei negoziati su nuove iniziative da parte degli USA e delle economie emergenti. È urgente compiere progressi concreti anche in tali negoziati se vogliamo realmente migliorare e fare in modo che Cancún sia coronata dal successo.
Un modo importante in cui l’Unione europea può contribuire al successo di Cancún è continuando a dare il buon esempio. Siamo il numero uno al mondo per le iniziative sul clima. Di questo passo riusciremo a realizzare i nostri obiettivi di Kyoto. Abbiamo conferito forza di legge alla nostra promessa di riduzione delle emissioni del 20 per cento e siamo disposti a puntare anche al 30 per cento in presenza di condizioni favorevoli. In sostanza, stiamo producendo risultati concreti. Siamo presenti anche nei finanziamenti rapidi e, anche in questo caso, non siamo noi a causare ritardi.
Non da ultimo, in risposta alle vostre domande, posso dirvi che stiamo prendendo attivamente contatto con numerosi paesi e stiamo collaborando con i servizi diplomatici degli Stati membri al fine di realizzare una rete diplomatica verde europea nella fase preparatoria a Cancún per sensibilizzare i leader politici di una rosa selezionata di paesi nei confronti della nostra proposta.
Nel contempo, abbiamo intensificato i contatti sulle questioni climatiche che intratteniamo normalmente tramite la rete delle delegazioni UE. È superfluo precisare che saremmo molto lieti di collaborare con il Parlamento in queste attività di sensibilizzazione. Oggi ho avuto una discussione proficua con la vostra Conferenza dei Presidenti di delegazione proprio su questo tema. Credo che il Parlamento abbia ottime possibilità di prendere contatto con diversi parlamentari. Se cooperiamo e manteniamo uno scambio continuo sugli input che riceviamo, riusciremo nel complesso a rafforzare la nostra posizione.
Karl-Heinz Florenz (PPE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, la ringrazio per questa risposta diplomatica. Stiamo effettivamente preparando la risoluzione per Cancún e, se vogliamo concludere prima o dopo accordi importanti, dobbiamo anche specificare esattamente cosa vogliamo. Lei ha affermato che la nostra offerta era del 20 per cento, ma che, se le cifre ci daranno ragione, vorrà proporre il 30 per cento. Ma, in che senso le cifre dovrebbero darci ragione? Potrebbe chiarire meglio questa affermazione e precisare se rispecchia la volontà di tutta la Commissione?
Andres Perello Rodriguez (S&D). – (ES) Signor Presidente, se l’ulteriore spiegazione della signora Commissario è che noi saremo gli apripista tanto attesi dal resto del mondo, che saremo noi a incitare gli altri senza attendere di venire a nostra volta incitati e che saremo in prima linea, allora sostengo questa posizione. Inoltre, se la signora Commissario riuscirà a fare in modo che la nostra posizione venga espressa con una sola voce anziché con 27 voci diverse, come avrebbe dovuto accadere anche a Copenaghen, sarebbe davvero perfetto.
Sottoscrivo la richiesta di chiarimenti formulata dall’onorevole Florenz giacché condivido i suoi medesimi interrogativi.
Connie Hedegaard, membro della Commissione. – (EN) Onorevole Florenz, avevo detto “in presenza di condizioni favorevoli”. Credo che in questo momento gli Stati membri e l’Unione europea debbano riflettere sulla comunicazione molto particolareggiata che abbiamo pubblicato a maggio. Certo, sono rimasta gradevolmente sorpresa quando alla metà di giugno i ministri dell’Ambiente di Francia, Germania e Regno Uniti si sono espressi con tanta chiarezza e spero che gli altri Stati membri ne seguano l’esempio.
Con le loro argomentazioni hanno dimostrato che a essere in gioco non sono solo i negoziati internazionali, ma anche qualcosa che può realmente servire gli interessi europei. Questo è il tema di cui continueremo a discutere, anche con i belgi nel corso della loro Presidenza, e ovviamente anche il tipo di messaggio che arriverà dal Parlamento europeo sarà assai importante. La vostra influenza in questo ambito è significativa.
Non posso che fare mio quanto affermato dall’onorevole Rodriguez in merito alla necessità di parlare con una sola voce. Come ho già avuto occasione di precisare, questo non significa che esiste una sola voce in grado di diventare la voce europea. Ma è fondamentale per gli altri protagonisti mondiali avere una minima certezza che, quando i rappresentanti europei affermano qualcosa, il messaggio coincide grosso modo con il nostro e con la linea d’azione che caldeggiamo.
Questo punto è cruciale e ci stiamo lavorando insieme alla Presidenza belga, anche per quanto concerne il nostro modo di formulare i mandati, perché non possiamo far sapere ogni volta al mondo dove si collocano i nostri limiti negoziali. A tal fine occorrono mandati più flessibili e una fiducia reciproca e solo allora avremo un maggiore potere negoziale. Anche questo aspetto è cruciale, a mio avviso, per i risultati che vogliamo ottenere a Cancún.
Presidente. – Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno potuto essere esaminate riceveranno risposta per iscritto (vedasi Allegato).
Con questo si chiude il Tempo delle interrogazioni.
(La seduta, sospesa alle 20.30, riprende alle 21.00)
PRESIDENZA DELL'ON. ANGELILLI Vicepresidente
16. Libertà di espressione e libertà di stampa nell'Unione europea (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione su libertà di espressione e libertà di stampa nell’Unione europea.
Neelie Kroes, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signora Presidente, la libertà di espressione e il pluralismo dei media rappresentano uno dei fondamenti essenziali delle società democratiche, sanciti nell’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Inoltre, l’articolo 2 del trattato sull’Unione europea definisce i valori comuni condivisi dagli Stati membri e considera il pluralismo un ulteriore elemento utile nel valutare l’applicazione di tali valori.
Il rispetto del pluralismo dei media, la tutela delle fonti giornalistiche, la libertà di criticare le autorità pubbliche e private, l’indipendenza dei media e delle autorità di regolamentazione sono fattori fondamentali per il pieno esercizio della libertà di espressione, e la Commissione si impegna totalmente nella difesa dei diritti fondamentali.
Permettetemi di rievocare le misure già esistenti, in particolare la direttiva sui servizi di media audiovisivi. Essa sottolinea l’importanza di promuovere il pluralismo dei media nell’applicare le disposizioni contenute in sei considerando. Il pluralismo, inoltre, è rafforzato da tre elementi importanti della direttiva.
Primo: la promozione di produzioni televisive indipendenti. Secondo: il diritto di accesso da parte di giornalisti e notiziari a brevi estratti in tutta l’Unione europea per dare brevi notizie di cronaca. Terzo: il riferimento alla necessità di avere media indipendenti a livello nazionale, riferimento che potrebbe essere adottato solo con il forte sostegno del Parlamento europeo.
Il periodo di recepimento è appena giunto al termine, e la Commissione sta ora prendendo visione delle misure di attuazione già notificate dagli Stati membri. Solo in seguito a questa analisi la Commissione potrà valutare la compatibilità delle leggi con la normativa e i diritti fondamentali dell’Unione europea, e dire se eventuali critiche alla normativa nazionale trovano o non trovano giustificazione.
La Commissione ha già avviato una procedura di infrazione contro 12 Stati membri che non sono riusciti a rispettare il termine di recepimento. Ulteriori dettagli saranno forniti nella prima relazione di applicazione che sarà pubblicata entro il 19 dicembre 2011. Ad ogni modo, se nel frattempo si scoprissero altre infrazioni, la Commissione non esiterà ad adottare le misure necessarie, tra cui il ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Nessun giardiniere estirpa le migliori pianticelle solo per controllarne le radici. La Commissione non intende proporre la revisione di una direttiva recentemente modificata di cui bisogna ancora valutare gli effetti reali.
Oltre a questo, la politica dello spettro è un chiaro esempio del modo in cui agisce l’Unione europea nella propria sfera di competenza per potenziare la concorrenza sulle risorse da cui dipendono le emittenti, rafforzando così il pluralismo mediatico. La Commissione, come sapete, sta per approvare un importante programma sulla politica dello spettro radio per migliorare l’equa distribuzione dello spettro in Europa e consentire lo sviluppo di nuove forme di media a vantaggio del pluralismo.
Più in generale, andando oltre il caso specifico degli audiovisivi, occorre affrontare numerose questioni prima di adottare nuove azioni decisive nel settore. Ad esempio, la nuova normativa europea rappresenta una risposta concreta agli interrogativi sollevati da alcune proposte nazionali? Con le competenze dell’Unione europea è possibile individuare i problemi da affrontare nel mercato interno? Il Parlamento acconsente all’adozione di una strategia concreta, che vada al di là delle specificità dei singoli casi nazionali?
Detto questo, sapete che la Commissione ha predisposto uno studio per sviluppare una serie di indicatori obiettivi atti a valutare il pluralismo dei media, non solo degli audiovisivi ma anche della stampa scritta. Lo studio è stato pubblicato sul nostro sito web.
Il dubbio è cosa fare ora con lo studio e, in tal senso, vi posso dire che aspettavo di discutere la questione dettagliatamente con voi. I pareri oggi espressi in Assemblea saranno un contributo fondamentale alle riflessioni, e farò in modo che il collegio dei Commissari ne sia pienamente informato e pronto a discuterli.
Per quanto attiene ai diritti fondamentali, come sapete la Commissione non dispone di poteri generali per intervenire in caso di violazione. Essa, tuttavia, potrebbe esprimersi sul rispetto della libertà di espressione e del pluralismo dei media in casi specifici ove sussiste un legame con la normativa europea. In questo momento, fatta salva la possibilità di effettuare un’analisi a livello giuridico, non è possibile stabilire nessun legame sistemico con le situazioni di certi Stati membri che, da quanto apprendo, preoccupano alcuni onorevoli deputati.
È poi sorto il dubbio se l’articolo 7 del trattato sull’Unione europea debba essere applicato ai vari Stati membri in questione. Come spiegato nella comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 15 ottobre 2003, l’articolo 7 contempla situazioni che costituiscono una violazione grave e persistente dei valori sanciti dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea o danno luogo a un evidente rischio di grave violazione dello stesso. La Commissione ritiene che la situazione mediatica nei vari Stati membri non soddisfi le condizioni necessarie per dare il via alla procedura prevista dall’Articolo 7.
Gli Stati membri hanno tradizioni costituzionali che tutelano i diritti fondamentali, motivo per cui l’Europa non può sostituirsi a loro nel garantirne il rispetto. Ad ogni modo, la Commissione non si asterrà dall’esaminare le decisioni nazionali che violano le normative e i valori comuni dell’Unione europea, ed eserciterà appieno le competenze e il ruolo di custode dei trattati che le spettano.
Manfred Weber, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, parlare di libertà di espressione nell’Unione europea significa affrontare un tema di ampia portata. Ringrazio la Commissione per l’approccio di ampio respiro adottato in materia.
Questa discussione verte sui principi. Riguardo al mio paese, la Germania, posso dire che un partito politico che detiene potere politico, ovvero i socialdemocratici, possiede quotidiani e casi editrici: in altre parole, controlla grandi quotidiani. Noi cittadini continuiamo a chiederci se è un bene che i partiti detengano quote nei media o se, forse, le due cose dovrebbero essere separate. Vi sono quindi molti aspetti da discutere al riguardo.
Vorrei però cogliere questa occasione per parlare invece di principi. I media sono parte integrante del fondamento della nostra democrazia. Danno ai cittadini informazioni basate sui fatti e studiano attentamente chi è al potere. Ovviamente questa funzione mediatica implica anche la grande responsabilità di usare questo potere in maniera sensata. È quindi importante tutelare la vita privata delle persone e fondamentale che le notizie non siano date allo scopo di destare scalpore, bensì di fornire informazioni attendibili. In questo senso i media sono parte integrante del fondamento della nostra democrazia civile.
L’indipendenza è l’elemento più importante. Gli editori devono garantire indipendenza ai propri giornalisti. Nelle nostre strutture nazionali – noi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) lo consideriamo positivo, perché i media fanno anche parte della nostra cultura – bisogna garantire l’indipendenza dal potere politico, e chi paga per fare pubblicità non deve influenzare il lavoro della redazione.
Guardando il giornalismo moderno, probabilmente una delle maggiori sfide del giornalismo indipendente è Internet, ovvero la possibilità di accedere gratuitamente a informazioni su Internet senza sapere se sono corrette. Questa è la sfida più grande. Per continuare ad avere un giornalismo di alta qualità, che bisogna garantire anche nell’era di Internet, dobbiamo tutelare il diritto d’autore dei giornalisti che fanno un lavoro di alta qualità. Questa è la sfida principale del futuro.
Monika Flašíková Beňová, a nome del gruppo S&D. – (SK) In base alla classificazione dell’organizzazione Freedom House, parlando di libertà di stampa alcuni Stati membri quali Italia, Bulgaria e Romania sono liberi solo in parte.
Bisogna dire che, ad oggi, l’Unione in quanto tale ha fatto poco in questo settore. Meno di un anno fa, ad esempio, il Parlamento europeo ha respinto una risoluzione sull’insufficiente libertà di stampa in Italia, considerandola una questione di carattere nazionale. Ci si chiede, tuttavia, come la libertà di espressione possa essere un tema di natura nazionale quando, secondo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutti hanno diritto alla libertà di espressione e occorre rispettare la libertà e la pluralità dei media.
La Carta è un elemento giuridicamente vincolante del trattato di Lisbona: pertanto, sono convinta che l’Unione debba intervenire contro gli attacchi nazionali alla libertà di espressione e di stampa, che si tratti di tentativi per limitare la libertà con la scusa della lotta al terrorismo, o di proteggere i giornalisti e l’anonimità delle fonti. Sarà necessario garantire un certo livello di armonizzazione legislativa nel settore se vogliamo che l’Unione promuova con efficacia la libertà di espressione e di stampa.
In questo momento la situazione in Romania è allarmante, poiché il gabinetto di sicurezza guidato dal Presidente rumeno ha adottato un documento programmatico politico contenente una strategia nazionale che definisce i media come una delle potenziali minacce alla sicurezza del paese. È importante sottolineare che la situazione nel paese è in aperto contrasto con il trattato, i criteri di Copenaghen e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Al giorno d’oggi è inaccettabile che il potere esecutivo dello Stato ingerisca in questo modo con la libertà di espressione e la libertà di stampa. Dobbiamo fermamente opporci alla posizione rumena, ed esortare i rappresentanti di governo a modificare la normativa nazionale armonizzandola con i documenti giuridici fondamentali e di principio su cui si fonda l’Unione.
Desidero infine dare un esempio come ispirazione. Solo di recente l’Islanda ha approvato una legge molto progressista sulla tutela delle fonti giornalistiche e sul sostegno ai giornalisti investigativi. Non capisco perché l’Unione europea debba rimandare l’adozione di simili iniziative.
Sonia Alfano, a nome del gruppo ALDE. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, tutti purtroppo conoscono la situazione dell'informazione in Italia: siamo classificati come paese parzialmente libero dalla Freedom House e al settantunesimo posto con le Isole Tonga, e poco prima di Timor Est. La "legge bavaglio" rappresenta solo l'ultimo tassello di un quadro d'insieme in cui le difese democratiche del paese risultano fortemente indebolite, specie a causa della mancanza di un'informazione libera.
Come ci segnala l'OSCE nel suo recentissimo rapporto, la questione dello sgretolamento democratico e dei diritti acquisiti d'informazione e libera espressione sta purtroppo contagiando l'Europa. Basti pensare alla Francia, con la nomina governativa del massimo dirigente del servizio pubblico televisivo, ovvero a Ungheria, Estonia e Romania che, con severi interventi legislativi volti a limitare la libertà d'espressione, stanno ponendo l'informazione nell'impossibilità di svolgere il ruolo democratico immancabile di cane da guardia dei governi.
Per questa ragione ritengo sia dovere della Commissione assumere un forte e costante impegno nella difesa della libertà dei media e dell'informazione, in linea con quanto previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Chiedo quindi alla Commissione quali sono gli interventi che intende adottare per favorire un reale pluralismo dei media nei paesi dell'Unione europea, e in particolare quando licenzierà la comunicazione promessa per il 2010 sugli indicatori del pluralismo nei media e la conseguente proposta legislativa.
Non vorrei che, come sull'espulsione dei rom in Francia, la Commissione sia tentata di rinunciare a difendere la libertà e la democrazia in Europa per coprire l'operato dei governi degli Stati membri, sempre più preoccupati di nascondere le loro malefatte alla stampa e all'opinione pubblica.
Spero che lei, come la Commissaria Reding, vogliate rassicurarmi su questo punto.
Judith Sargentini, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signora Presidente, l’Assemblea discute periodicamente la libertà di stampa in Europa e nei paesi terzi e, come voi, ricordo un acceso dibattito nell’autunno 2009 sulla libertà di stampa in Italia e in altri paesi. Era legittimo che noi europei puntassimo il dito contro l’Italia e il Presidente del consiglio Berlusconi, o si trattava di un problema nazionale in cui il resto d’Europa non avrebbe dovuto interferire? A luglio il rappresentante dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) per la libertà di stampa ha pubblicato la relazione, e ha osato puntare il dito. L’OSCE ha fatto il giro dell’Europa e ha attirato la nostra attenzione su alcuni paesi: l’omicidio di un autore di blog, Socrates Giolias, in Grecia, l’omicidio di un giornalista, Grigorijs Nemcovs, in Lettonia, la nuova legge sui media in Ungheria che compromette l’autonomia dei canali televisivi pubblici e riduce il numero dei media, e il controllo delle emittenti pubbliche in Francia da parte del Presidente Sarkozy. Ho appena sentito delle cose sulla Romania e poi, ovviamente, ci sono gli ultimi sviluppi in Italia dove una legge proibisce ai giornalisti investigativi di riprodurre le intercettazioni telefoniche.
Anche Turchia, Serbia, Albania e Bosnia Erzegovina – paesi con la prospettiva di aderire all’Unione europea – sono oggetto di richiamo da parte dell’OSCE, e a giusto titolo. Con questi però rimangono le maniere forti: l’adesione all’Unione europea. La libertà di stampa è uno dei criteri di Copenaghen. Per i paesi di adesione viene quindi usato un metodo di valutazione comparata, mentre è allarmante vedere che il Consiglio europeo non applica a sé gli stessi parametri di riferimento. Se dipendesse dal gruppo Verde/Alleanza libera europea, l’Italia di fatto perderebbe il diritto di voto al Consiglio fino a quando continua con la repressione dei giornalisti e tutto rimane nelle mani di unico imprenditore e Presidente del consiglio.
Per tornare però al tema della concentrazione dei media, è risaputo che in Italia i mezzi di comunicazione pubblici e commerciali sono nelle mani della stessa persona, ma non dimentichiamoci di persone come Axel Springer, Bertelsmann, Rupert Murdoch e, nei Paesi Bassi e in Belgio, Christian van Thillo, che possiedono moltissimi quotidiani. La stampa libera è fondamentale per la nostra democrazia, e spetta alla Commissione europea presentarci una proposta per lottare contro la concentrazione dei mezzi di comunicazione, soprattutto perché dobbiamo prendere seriamente le considerazioni dell’OSCE.
Zbigniew Ziobro, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signora Presidente, non vi può essere società libera e democratica senza libertà e pluralismo dei media, che garantiscono ai cittadini informazioni attendibili e diversi pareri e punti di vista. I mezzi di comunicazione stanno alla democrazia come il flusso sanguigno sta al corpo umano. Credo che questa metafora, presa dal mondo della medicina, trovi qui chiara applicazione. Se il sistema circolatorio si blocca o il flusso sanguigno trova ostacoli, è inevitabile che il corpo si indebolisca e inizi ad ammalarsi. Lo stesso dicasi per il rapporto tra pluralismo dei media e democrazia. Se un flusso di informazioni attendibili si blocca o incontra ostacoli, la democrazia inizia ad avere problemi. Può sembrare ovvio ma forse, nonostante le apparenze, non lo è, dal momento che al problema non prestiamo la dovuta attenzione, e lo si vede anche negli Stati membri.
È giunta veramente l’ora che le istituzioni europee dedichino molto più tempo a questo problema fondamentale, e sottolineo quanto affermato dal Commissario: “questo problema fondamentale”. Dovremmo chiederci se stiamo facendo abbastanza, se le istituzioni europee stanno facendo abbastanza per garantire che la maggioranza dei mezzi di comunicazione non si concentri nelle mani di pochi. È altresì importante che nessun soggetto controlli allo stesso tempo i diversi mezzi di comunicazione operanti in vari settori quali televisione, giornali, Internet e radio. Penso che l’Unione europea debba fare molto di più per introdurre regolamenti che assicurino la deconcentrazione nell’intero mercato mediatico, non solo nella televisione. Bisogna sottolineare che i confini della libertà di parola nei mezzi di comunicazione commerciali sono spesso imposti dagli interessi di chi li possiede e vi fa pubblicità. Altro pericolo è che i proprietari dei media simpatizzanti di alcuni gruppi politici favoriscano il loro punto di vista.
In Polonia il problema è che i mezzi di comunicazione sono a sistema chiuso, come definito da alcuni commentatori. Tutti i maggiori mass media si esprimono nello stesso modo. I giornalisti che escono da questi schemi, che presentano un punto di vista diverso, sono oggetto di recensioni critiche, talvolta di campagne diffamatorie e chiari tentativi di discredito. C’è quindi un problema e un grande squilibrio nella diffusione di informazioni e pareri, e la circolazione delle informazioni è un fondamento della società democratica. Posso citare l’esempio di giornalisti quali Tomasz Sakiewicz, Jan Pospieszalski, Ewa Stankiewicz e Janina Jankowska, perché di recente, nel mio paese, sono stati oggetto di molestie, benché molestia sia una parola forte. Queste persone hanno dei trascorsi nella lotta a favore di una Polonia libera e indipendente, di una società libera e democratica, e di mezzi di comunicazione liberi e democratici. Ora, in Europa, dobbiamo ricordarcene e fare il possibile per assicurare un vero e proprio pluralismo nel mercato dei media.
Takis Hadjigeorgiou, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signora Presidente, vengo dal mondo del giornalismo e credo di sapere molto bene che livello di libertà di parola abbiamo oggi in Europa. Personalmente credo vi sia libertà di parola, ma che sia appannaggio dei proprietari dei media, di stazioni radiofoniche e televisive. Per certi versi è anche appannaggio di chi ha un reddito o un posto di lavoro sicuro. Di conseguenza la libertà di parola non esiste più per molte migliaia o, forse, molti milioni di persone.
Vorrei dire alla Commissione che c’è un modo per aumentare il potere del giornalismo. Un giornalista può avere un lavoro se nell’articolo è in disaccordo con il proprietario? Può fare ricorso a un’agenzia ed esercitare il diritto di libertà di parola, anche se quanto dice è in conflitto con le posizioni del proprietario? Può l’Unione europea istituire un’agenzia cui un giornalista possa fare ricorso, sapendo che il giorno dopo avrà un posto di lavoro? Ovviamente la libertà di parola non deve dipendere dal “coraggio” di un giornalista, perché esistono giornalisti coraggiosi cui va il mio plauso. Sono combattenti. Ma dobbiamo adoperarci affinché tutti i giornalisti abbiano questa libertà.
Vorrei concludere con un riferimento a Internet, che si spinge all’altro estremo. In questo ambito la libertà di parola spesso rasenta la totale mancanza di responsabilità. Come è possibile controllare chi dice cosa, chi insulta chi, chi minaccia chi in rete, senza alcuna forma di controllo sulla “libertà” di Internet?
Jaroslav Paška, a nome del gruppo EFD. – (SK) Vorrei fare una premessa: nel mondo moderno non è più possibile stabilire uno stretto legame tra libertà di espressione e stampa o libertà dei media. La libertà dei mezzi di comunicazione è più legata al rispetto dei diritti dei proprietari, che decidono i contenuti e la natura dei mezzi di comunicazione e di conseguenza ne nominano lo staff, dal capo redattore al grafico. Offrono i contenuti che pensano interesseranno il lettore e li producono a propria discrezione. In molti casi, quindi, i mezzi di comunicazione moderni sono giunti ad assomigliare a una sorta di gruppo di interesse che, in maniera intenzionale e consapevole, tenta di formare l’opinione pubblica.
Ovviamente non ci si può aspettare che i media cosiddetti liberi soddisfino automaticamente il diritto a un’informazione obiettiva del cittadino che riceve informazioni mirate, sia esso lettore, ascoltatore o spettatore. Quando si tratta di applicare con coerenza la libertà di espressione e di pubblicare idee non soggette a restrizioni, è quindi più importante allargare il concetto di libertà alla trasmissione di informazioni non manipolate, poiché questo contribuisce a eliminare la selezione e l’alterazione volontaria di informazioni da parte dei media del libero mercato.
A mio avviso non dovremmo più preoccuparci troppo dell’abuso dei media da parte delle autorità di governo nell’Unione europea di oggi. Vedo invece un maggior rischio di potenziale abuso delle informazioni mediatiche nell’eccessiva concentrazione dei media nelle mani di potenti gruppi di interesse, e nella loro manipolazione mediatica dell’opinione pubblica. Non ho grandi illusioni sulla libertà dei giornalisti. C’è un proverbio che vale per gran parte della categoria: chi paga i suonatori sceglie la musica.
Daniël van der Stoep (NI). – (NL) Signora Presidente, signora Commissario, la libertà di espressione subisce forti pressioni in Europa e nei Paesi Bassi. L’elite multiculturale esercita pressioni tali che chi, a giusto titolo, denuncia la minaccia di religioni e ideologie viene perseguitato. La critica a religioni e ideologie è sempre legittima. Chi sceglie di credere in qualcosa lo fa di sua spontanea volontà e non deve recare disturbo ad altri. Le persone non nascono con una fede o ideologia, ma l’abbracciano perché per loro è verità. Eppure è la loro verità, che devono tenere per sé senza infastidire gli altri. Non appena questa verità assurge a verità universale e, cosa ancor più grave, cerca di modificare il diritto costituzionale, il diritto penale, il diritto civile e così via diventa molto pericolosa.
Le critiche a un’ideologia o fede della persona non devono in alcun modo essere oggetto di persecuzione. Le decisioni e le esperienze del singolo non possono essere al di sopra della legge. Ognuno ha il diritto di provocare dolore od offesa; non è sempre bello essere dall’altra parte, ma questo sta alla base della libertà di espressione, perché carezze e parole di elogio non hanno bisogno di tutela. Causare dolore o sofferenza è possibile e legittimo. Talvolta la verità fa male.
In fondo, la libertà di espressione è nata per proteggere i cittadini dall’oppressione del dominatore tirannico. Essa rappresenta uno strumento di critica e adeguamento del potere dominante. Per il normale cittadino è un’opportunità di far conoscere il proprio pensiero a un’elite sociale che cerca di imporgli standard e valori.
Nei Paesi Bassi politici, vignettisti e opinionisti vengono arrestati, interrogati o accusati proprio perché hanno esercitato questo diritto, il diritto a esprimere la propria opinione. L’esempio più notevole è l’assurdo processo politico ai danni del leader del mio partito, Geert Wilders. Viene processato perché noi del Partij voor de Vrijheid (PVV) facciamo giustamente notare i pericoli dell’ideologia politica islamica. L’Islam ha più responsabilità di qualsiasi altro movimento o ideologia nell’attuale perdita della libertà di espressione, perché minaccia e intimidisce chiunque rivolga critiche alla sua natura socialmente distruttiva.
La battaglia per la libertà di espressione è ben lungi dall’essere terminata. Vi sono ancora molte tracce di dominatori tirannici in Europa. Il PVV vorrebbe vedere una sorta di “primo emendamento” in Europa. Cosa pensa la Commissione al riguardo? Vorrei sentire una risposta dal Commissario Kroes.
Simon Busuttil (PPE). – (MT) Credo che la libertà di espressione e la tutela dei mezzi di comunicazione nei paesi dell’Unione europea sia tutt’altro che perfetta, e se ognuno di noi guardasse il proprio paese sicuramente troverebbe qualcosa da obiettare. Non c’è niente di male in questo. Ma affermare che esiste un’evidente violazione della libertà di espressione nei paesi europei significa, a mio avviso, esagerare un po’. Voglio ricordare la discussione in Aula dello scorso ottobre su una risoluzione che non è stata approvata dal Parlamento. In quell’occasione la risoluzione voleva condannare il governo italiano. Credo che il messaggio lanciato dall’Assemblea bocciando la risoluzione fosse chiaro: l’unico luogo deputato a questi dibattiti è il parlamento nazionale, e questi temi non devono essere portati dinanzi al Parlamento europeo. È semplice: questo è stato il messaggio trasmesso dall’Aula lo scorso ottobre, e pertanto penso che immischiarsi negli affari che esulano dalle nostre competenze non farà che diminuire, invece che rafforzare, il rispetto che nutrono in noi cittadini ed elettori. Apprezzo molto la chiarezza con cui oggi si è espressa la Commissione, dicendo che non vi sono assolutamente prove che suggeriscano casi di violazione della libertà di espressione dei media in un paese europeo, e credo che questo sia sufficiente a porre fine alla discussione.
Kinga Göncz (S&D). – (HU) Molte grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghi, provate a immaginare: il sistema elettorale dell’Assemblea consente di adottare una maggioranza di due terzi a maggioranza semplice dei voti; il gruppo più grande, ovvero il capogruppo, nomina il Presidente del Parlamento europeo e successivamente il gruppo elegge il candidato con una buona maggioranza. Il capogruppo nomina ed elegge i Commissari europei, il Presidente della Commissione, il Presidente della Corte dei conti, e i membri e il Presidente della Corte di giustizia. L’amministrazione comunitaria ha quindi sostituito i vertici senza motivo. Il capogruppo prende decisioni che impediscono ai partiti minori di vincere un’elezione e nemmeno di candidarsi. Poi il capogruppo, che proclama cambiamenti rivoluzionari, nomina un dirigente fedele responsabile del servizio stampa del Parlamento europeo, che fa in modo di scegliere una persona fidata a capo di ciascun dipartimento. In questo modo l’opinione pubblica potrà solo ascoltare notizie favorevoli e positive sulle attività del gruppo e del capogruppo.
Ciò ovviamente non potrebbe succedere in questo Parlamento. La democrazia europea si basa su un sistema di equilibrio dei poteri dove i media fungono da “cani da guardia”. Persino l’esistenza di una maggioranza a due terzi in Parlamento non può giustificare l’eliminazione di questo sistema o la limitazione della libertà di stampa e della libertà di espressione. Questo però è quanto succede da tre mesi in Ungheria. Da quando il sistema di equilibrio democratico dei poteri è praticamente scomparso nel paese, il cane da guardia è stato avvelenato e il veleno inizia a dare i primi risultati; solo le istituzioni europee possono dare una risposta. È quanto ci aspettiamo. Il rappresentante dell’OSCE per la libertà di stampa ha già espresso forti timori al riguardo.
Sophia in 't Veld (ALDE). – (EN) Signora Presidente, la ringrazio, signora Commissario, della premessa fatta. So che è impegnata in prima persona nella libertà e nella democrazia, e quindi sono sicura che la libertà di stampa sia con lei in buone mani.
Comunque, lei afferma che la Commissione europea non dispone di poteri generali per tutelare la libertà di stampa, ma io ribatto che questa è un’interpretazione piuttosto limitata dei vostri poteri perché, in prima analisi, la tutela della democrazia, della libertà e delle libertà civili è sancita dai trattati, e voi siete il custode dei trattati.
In secondo luogo, se noi come Unione europea chiediamo agli Stati membri candidati di soddisfare determinati standard possiamo presumere che la Commissione protegga gli stessi standard anche nell’Unione europea.
Altro punto è che la proprietà dei mezzi di comunicazione è sempre più una questione transfrontaliera: potremmo persino immaginare società non europee a capo di mezzi di comunicazione europei. Continuereste a dire che la questione non ci riguarda se, ad esempio, proprietari cinesi o russi si intromettessero nei media europei? Non credo.
Un’altra questione aperta è se fare il nome dei colpevoli, se puntare il dito contro i singoli Stati membri. Sì, credo dovremmo farlo. Può essere spiacevole, e certo non vorrei che il mio Stato membro fosse criticato, ma se non siamo più in grado di fare autocritica come possiamo proteggere i diritti fondamentali? Voglio ricordare allo stimato collega, onorevole Busuttil, che in un precedente mandato questo Parlamento ha adottato una risoluzione sul governo Berlusconi e sulla libertà dei media che si spingeva ben oltre quella respinta lo scorso anno. C’è quindi un precedente.
L’Assemblea ha ripetutamente invocato una normativa – una normativa specifica – che fornisse alla Commissione europea gli strumenti per intervenire e tutelare la libertà in tutta l’Unione europea.
Marek Józef Gróbarczyk (ECR). – (PL) Mi rallegro che la libertà di espressione sia oggetto della discussione odierna, perché a giugno di quest’anno ho istituito, insieme ad altri deputati del Parlamento europeo, un gruppo di riflessione in materia. I giornalisti che abbiamo invitato a Strasburgo hanno parlato di forme di ostracismo usate contro i rappresentanti dei media. I partecipanti all’incontro hanno spiegato come la libertà di espressione sia limitata da ingenti multe comminate da tribunali per avere sollevato questioni storiche scomode o avere difeso i valori tradizionali, impedendo la distribuzione di film su argomenti scomodi come le cause del disastro aereo di Smolensk, e con soprusi come le continue indagini sulle emittenti cattoliche che non simpatizzano con chi è al potere. Vorrei però citare un clamoroso caso di intimidazione di un giornalista investigativo in Polonia, che è crollato in seguito a false accuse rivoltegli. Ha cercato di togliersi la vita per disperazione. Nella lettera d’addio indirizzata ai figli, ha detto loro di non credere alle affermazioni diffamatorie scritte sul suo conto. Questo è solo uno dei numerosi esempi di cui abbiamo parlato all’incontro di giugno. La prossima riunione del gruppo di riflessione sulla tutela della libertà di espressione si terrà il 22 settembre durante la tornata di Strasburgo.
Rui Tavares (GUE/NGL). – (PT) Onorevoli colleghi, signora Commissario, la libertà di stampa e di espressione non sono una medaglia vinta qualche anno fa da esporre in vetrina: sono qualcosa da conquistare e per cui combattere giorno dopo giorno, e in Europa spesso ce lo dimentichiamo.
In questo momento in Europa la libertà di stampa è minacciata: è minacciata dalla crisi, dalla concentrazione dei media, e dall’opportunismo di alcuni leader politici. In Italia, qualunque giornalista pubblichi intercettazioni telefoniche può essere condannato a una multa fino a 10 000 euro. Il signor Berlusconi, che controlla cinque dei sei canali televisivi, vuole introdurre una legge che obblighi i siti web a chiedere l’autorizzazione del governo per riprodurre reportage video e audio, allargando così il suo controllo ai nuovi mezzi di comunicazione. In Ungheria si sta cercando di creare un’autorità sui media controllata dal Primo ministro. In Romania il consiglio superiore di difesa nazionale, l’organo militare, chiede al parlamento locale di prestare attenzione al fenomeno delle campagne diffamatorie organizzate dai media, e così via.
Al tempo stesso non si tratta solo di un problema di Stati: è anche un problema di imprese. Cresce la concentrazione dei media, così come l’ingerenza dei proprietari dei mezzi di comunicazione. Signora Commissario, lei ha affermato che gli Stati membri hanno tradizioni costituzionali che tutelano i diritti fondamentali. Però anche noi in Europa stiamo costruendo la nostra tradizione costituzionale e dobbiamo – per motivi che in realtà l’onorevole in ’t Veld ha già citato – ampliare la difesa della libertà dei media su scala europea.
Ho qualche suggerimento. Dobbiamo creare i mezzi per sostenere i giornalisti indipendenti e liberi professionisti: giornalisti che in questo momento sono impoveriti e sono facile preda di pressioni da parte di Stato e imprese. Dobbiamo allargare la normativa anticoncentrazione e, probabilmente, anche creare un fondo a sostegno della stampa che garantisca indipendenza e qualità, fino a quando non si troverà un nuovo modello di impresa basato su Internet in questa fase di transizione.
John Bufton (EFD). – (EN) Signora Presidente, la nostra difficoltà con la libertà di stampa è prevalentemente di natura finanziaria. Quando si ha il sospetto che la stampa è controllata, spesso è dovuto a chi possiede e finanzia i mezzi di comunicazione. L’era digitale ha portato a una rapida caduta dei guadagni e gettato molte imprese nel caos finanziario, ma come può un organo politico finanziare l’industria senza oltrepassare la linea dell’imparzialità?
Una lettera trapelata indirizzata al Presidente Barroso dal nuovo Commissario per le comunicazioni, Viviane Reding, ha rivelato che per lanciare la sua immagine il Presidente avrà a disposizione un fotografo e un produttore televisivo 24 ore su 24. Non solo: i giornalisti saranno pagati per seguire il Presidente della Commissione nelle missioni all’estero. Saranno persino assunte otto persone per controllare le critiche espresse sulla blogosfera e arginare eventuali pareri scomodi.
Nel 2009 sono stati spesi più di 8 milioni di euro per l’intrattenimento e la formazione di giornalisti, tra cui 350 000 euro per la coercizione di giornalisti irlandesi durante il referendum usando i famosi seminari del trattato di Lisbona. 700 000 euro sono stati spesi per concorsi giornalistici e almeno 7 000 euro per ricevimenti.
Esiste chiaramente una linea molto sottile tra il finanziamento e la corruzione dell’industria dell’informazione. La cosa inaccettabile è che la Commissione attacchi la stampa pubblica quando essa stessa spreca i soldi dei contribuenti per manipolare i media, convincendoli a propinarci una serie di bugie.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, forse posso spiegare il mio punto di vista usando esempi prettamente personali. Ho esperienza dei mezzi di comunicazione da due punti di vista: il primo da giornalista professionista in qualità di corrispondente estero della rivista der Spiegel, il secondo da eurodeputato non iscritto. In queste funzioni ho vissuto due mondi completamente diversi: uno visto dal di fuori era abbastanza indipendente mentre l’altro, ora che sono in politica, lo vivo con grande stupore.
Posso dimostrarvi che il giornalismo politico dei mezzi di comunicazione pubblici in Germania è perlopiù controllato da poche persone. Per le stesse idee che all’inizio mi è stato permesso sostenere, mi è stato chiesto di andarmene dall’Austrian Broadcasting Corporation (ORF) in seguito a pressioni politiche esercitate, ad esempio, su Reinhold Beckmann o Elmar Oberhauser. Quando si parla di libertà di espressione, il problema da affrontare è molto più grande di quanto si pensi. Vi chiedo inoltre di considerare i presunti mezzi di comunicazione pubblici indipendenti che, quando si tratta di questioni politiche, sono controllati in modo del tutto unilaterale dai due principali partiti.
Marco Scurria (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho molto apprezzato l'approccio del Commissario in merito a questa discussione, sia perché ha dichiarato che, fondamentalmente, non vi sono autentiche violazioni in Europa, sia perché ha rassicurato circa il ruolo della Commissione quale guardiana dei trattati, dunque anche della libertà di stampa e di espressione in Europa.
Effettivamente alcuni pericoli sussistono. Il Commissario ha ricordato che quasi la metà dei paesi appartenenti alla nostra Unione sono sottoposti a infrazione per vedere se la libertà di stampa e di espressione è realmente garantita in questi paesi. Ha anche evidenziato la prevenzione che occorre attuare su questi temi, sottolineando però che non si tratta di un problema di uno Stato o di singoli Stati, non è ovviamente un problema italiano – a questo proposito ci siamo già espressi in questo Parlamento qualche mese fa con un voto democratico – non è neppure un problema di parte politica, perché abbiamo appena sentito che in Germania è il gruppo socialista a detenere alcuni mezzi di comunicazione.
È un problema più generale quello che dobbiamo affrontare in quest'Aula. Domani voteremo una relazione su come creare una sfera pubblica in Europa per quanto riguarda il giornalismo e i nuovi media. In questa relazione sono contenute alcune indicazioni sulle quali il nostro Parlamento sta cominciando a pronunciarsi.
Dobbiamo parlare di come coniugare verità e libertà nei nuovi media, ma anche nei media più tradizionali, perché se è un diritto raccontare tutto è anche un dovere dire la verità quando si scrive o ci si esprime su un mezzo di comunicazione. Inoltre, dobbiamo capire come coniugare l'informazione con il diritto alla privacy dei cittadini, di tutti i cittadini.
Questi sono i temi che dobbiamo affrontare e in merito ai quali questo Parlamento si deve misurare, e non su ideologie o alcune questioni che parlano di cose che non esistono in nessun paese europeo.
Victor Boştinaru (S&D). – (RO) Terrò il mio intervento in rumeno sperando che questo faccia arrivare il mio messaggio il più chiaramente possibile anche a Bucarest, sia al Presidente del paese che al governo di destra.
Sono molto sconcertato dal fatto che, dopo il discorso tenuto questa mattina dal Presidente della Commissione europea Barroso sullo stato dell’Unione e i progetti europei, si stia ora discutendo della situazione dei media nell’UE e in particolare in alcuni Stati: Bulgaria, Ungheria, Romania e Italia. È vero, in Italia c’è incompatibilità tra il Presidente del consiglio e il suo essere proprietario di un impero mediatico che detiene il monopolio nel paese.
Signora Commissario, poiché lei è custode dei trattati le leggerò una frase tratta da un documento: “Le campagne di stampa volute per denigrare le istituzioni statali con la diffusione di false informazioni sulle loro attività costituiscono un fattore di vulnerabilità per lo Stato rumeno.”
Questa frase non fa parte di una politica hitleriana o stalinista, bensì compare in un testo che diventerà legge se sarà approvato dal parlamento rumeno, redatto con il titolo “strategia nazionale di sicurezza rumena” per ordine del Presidente Băsescu. Mi riferisco nello specifico all’articolo 6, paragrafo 2, punto 10 intitolato “fattori di vulnerabilità”.
Questo documento, che verte sulle sfide della sicurezza nazionale, in realtà ritiene che la libertà di stampa e la libertà di opinione, diritti fondamentali in ogni altro Stato membro dell’Unione europea, di fatto rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. La formulazione di questo articolo lascia spazio ad arbitrarietà e abusi, e discredita questa attività.
Per concludere desidero informarla, signora Commissario, che sono già state presentate due petizioni al Parlamento europeo, e che il più grande sindacato dei giornalisti rumeni, MediaSind, ha presentato una petizione. Come me, lei sa che la decisione presa dalla Corte di giustizia nel 1978 nel caso Handyside rientra nella Carta dei diritti fondamentali che, di fatto, fa parte del corpus dei trattati europei.
Renate Weber (ALDE). – (RO) I regimi che sfidano le regole della democrazia da sempre considerano la libertà di stampa e di espressione un nemico peggiore dell’opposizione politica, e tentano di imbavagliarla in qualsiasi modo.
Le ultime tendenze osservate in Europa sono preoccupanti. Nel mio paese, la Romania, la stampa non è più vista come organo di controllo delle azioni di governo e della società, bensì come fattore di vulnerabilità. Un Presidente e un governo che disprezzano le critiche hanno deciso che la stampa e le campagne che possono portare alla perdita di credibilità delle istituzioni pubbliche rappresentano un elemento di vulnerabilità per la sicurezza nazionale.
Quindi, se qualche giornalista dovesse rivelare che al ministero dello sport o del turismo, ad esempio, il ministro ha abusato di fondi pubblici spendendoli in maniera irresponsabile o persino criminale, ciò potrebbe minare la credibilità del ministero e, per estensione, il governo e la sicurezza nazionale del paese.
Per evitare qualsiasi accusa la stampa non dovrebbe mai più criticare un’istituzione pubblica, bensì stare in silenzio. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo conta ancora qualcosa? La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea conta ancora qualcosa? Ovviamente contano ancora, ed è giunta l’ora di porre fine a queste pratiche intimidatorie nei confronti della stampa. Infatti, la Commissione europea deve comportarsi da giusto custode dei diritti e dei principi su cui si fonda l’Unione europea.
Jacek Olgierd Kurski (ECR). – (PL) Vorrei parlare delle pressioni che le imprese mediatiche esercitano sulla libertà di espressione. Un mese fa, una causa legale fomentata da un potente mezzo di comunicazione ha portato alla prima vendita all’asta nella Polonia libera, forse persino nell’Unione europea, dei beni di un politico per via delle sue opinioni. Quel politico sono io, Jacek Kurski, deputato al Parlamento europeo. Per avere rilasciato una dichiarazione che non è piaciuta alla società Agora, un ufficiale giudiziario ha venduto all’asta beni di mia proprietà per un ammontare di 24 000 euro, l’equivalente dello stipendio annuo di un deputato al parlamento polacco, carica che ho ricoperto quattro anni fa. È opinione diffusa che le mie parole siano rimaste entro i normali limiti della critica e del dibattito politico, il cui unico giudice dovrebbe essere l’opinione pubblica e non un tribunale. Ho presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo, ma l’Agora ha già querelato decine di personalità polacche per avere espresso critiche nei suoi confronti. La natura particolarmente scandalosa di queste violazioni dei diritti civili deriva dal fatto che l’Agora era prima una parte in causa per poi diventare una “supercorte”, essendole concesso il diritto di stampare nel suo giornale dichiarazioni che possono rovinare chiunque se solo lo voglia. La confisca e la vendita all’asta di beni sono la norma in Bielorussia, ed erano usate sotto il regime comunista in Polonia. Credo che la Commissione debba tenere conto di questo nella posizione adottata in materia. Non vogliamo vivere in un’Europa in cui vengono confiscati i beni per avere detto quello che si pensa.
Vladimír Remek (GUE/NGL). – (CS) Prima di tutto, plaudo al fatto che si tenga questa discussione. Vista la situazione presente in molti paesi dell’Unione europea, ci può essere libertà di espressione e libertà di stampa ma, in realtà, vi sono molti limiti. Questo perché nel settore il potere tende a farsi sentire.
Nella Repubblica ceca abbiamo la cosiddetta legge bavaglio, che impedisce di pubblicare informazioni sgradite ai politici e minaccia i giornalisti di punizioni severe, compreso il carcere. Nessun altro paese europeo dispone di una simile misura giuridica pseudo democratica, anche se alcuni condividono le stesse tendenze. La libertà di espressione è inoltre fortemente influenzata dalla situazione finanziaria di chi lavora nei media. Chiunque abbia soldi ha potere e influenza anche i mezzi di comunicazione. Le opinioni dei miserabili sono spesso ignorate di proposito. Non sono un idealista, e un dibattito non metterà le cose a posto, ma più parleremo di questo argomento più ci avvicineremo a una vera e propria democrazia.
Mario Borghezio (EFD). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, signora Commissario sono ben lieto che lei sia custode dei trattati.
La Commissione in realtà custodisce molto bene anche i segreti della Commissione stessa, tant'è che è molto difficile, ad esempio per noi parlamentari essere informati diffusamente, e soprattutto in profondità, su quello che avviene nelle segrete stanze delle vostre riunioni di Commissari che non sono stati eletti dai nostri popoli e che quindi, a maggior ragione, dovrebbero sentire molto più fortemente l'imperativo della comunicazione e della trasparenza.
Per esempio, io aspetto ancora una risposta – che non sia ironica, come quella che mi è stata data – alla mia interrogazione per poter appunto far circolare la verità sui giornali. Il Presidente Barroso è stato, è membro, frequenta il Bilderberg Club o no? Una risposta come quella che mi è stata data e che ho divulgato nei miei comunicati alla stampa e cioè "Borghezio, lei è più informato di noi sul gruppo Bilderberg" è un po' strana e quindi vorrei avere notizie su questi argomenti.
La stampa internazionale, per esempio, quali informazioni ha dato sui retroscena della crisi finanziaria? È stata citata la strategia di Lisbona, molto interessante; la vera proprietà dei grandi gruppi finanziari cui appartengono grandi giornali e grandi mass media, ma sono tutte scatole cinesi, magari hanno sede nei paradisi finanziari.
Io credo che lei farebbe molto bene a farsi promotrice di un'iniziativa volta a divulgare veramente questi retroscena della politica, della finanza, dell'economia – argomenti che interessano molto, sono d'interesse diffuso dei cittadini che hanno diritto a un'informazione completa. Noto, e sottolineo, il silenzio della sinistra sul Bilderberg Club e sulla trilaterale.
Nicole Sinclaire (NI). – (EN) Signora Presidente, cercherò di rispettare il tempo di parola. Mi rallegro che la Commissione riconosca il ruolo importante della stampa libera nel mantenimento dell’integrità democratica. Ciononostante, troppo spesso l’elite politica adotta un atteggiamento in cui le parole hanno il significato che si vuol loro dare. È così in questo caso.
Oggi in Assemblea un articolo della relazione Løkkegaard ha chiesto che la corrispondenza della stampa accreditata di Bruxelles fosse organizzata in maniera tale da trattare le notizie europee con un approccio più educativo. I giornalisti sono tenuti a informare, non a educare. Essi attribuiscono la massima importanza alla loro indipendenza, sopra ogni altra cosa. Se non sono indipendenti, non possono considerarsi liberi.
La Commissione già esercita un controllo eccessivo sui mezzi di comunicazione di Bruxelles attraverso gli incentivi finanziari e la coercizione. Qui si parla di Europarl TV come se avesse un certo valore giornalistico, che però non ha. I suoi contenuti non sono altro che comunicati stampa su pellicola. Ecco perché nessuno la guarda.
La relazione Løkkegaard in realtà oggi è stata approvata dal Parlamento, chiedendo di integrare gli studi europei nei programmi scolastici. Qualunque giornalista vi direbbe che non c’è spazio per la propaganda nei media liberi e indipendenti. L’ONG Reporter senza frontiere ha già individuato Italia, Bulgaria e Slovacchia come paesi con forti problemi di libertà di stampa. Anche Francia e Spagna non sono riuscite a soddisfare gli standard che i liberi cittadini hanno il diritto di reclamare. Nel Regno Unito abbiamo già una stampa che può ritenersi libera, anche se spesso ricorre alla frase “a quanto si presume”. Come abbiamo visto oggi in Aula, l’Unione europea sembra dirigersi nella direzione opposta.
Monica Luisa Macovei (PPE). – (RO) Condivido il parere di chi sostiene la libertà di espressione e la libertà di stampa. Senza libertà di espressione non esiste democrazia. A tale riguardo vi ricordo anche la sacra regola che da sempre pone le basi della stampa, anche in democrazia: le opinioni sono libere, i fatti realmente accaduti sono sacri.
Nel caso della Romania sono felice di dirvi che gli insulti e le calunnie non sono più considerati reato dal 2006, essendo stati eliminati dal codice penale da un governo di destra. Ciò significa che a nessun giornalista viene comminata una sanzione penale, neppure nello spiacevole caso in cui si diffondono informazioni false in cattiva fede. In effetti credo sia la situazione ottimale perché i giornalisti non dovrebbero vivere nel timore di sanzioni penali. Ora abbiamo solo procedimenti civili in Romania.
La stampa privata esercita pienamente la libertà di criticare e sfidare chi è al potere, ovviamente, perché chiunque sia al potere è sempre oggetto di critiche. È più che naturale.
Anche la Romania ha un certo numero di associazioni stampa appartenenti a politici e finanziate da politici e/o imprenditori. Come abbiamo sentito questa sera, la situazione è la stessa in molti altri paesi dell’Unione europea.
La cosa più importante è che l’associazionismo e il finanziamento siano trasparenti. Dobbiamo inoltre garantire l’indipendenza di pensiero dei giornalisti che lavorano per queste associazioni se vogliamo avere una stampa libera.
Ivailo Kalfin (S&D). – (BG) Signora Presidente, signora Commissario, la libertà dei mezzi di comunicazione costituisce parte integrante dei diritti dell’uomo e non può prescindere da un normale contesto democratico. In Bulgaria, come altrove, i media operano sotto forti pressioni di mercato. Le vendite sono in calo, la pubblicità si riduce e i nuovi media segnano il confine tra giornalismo professionista e mezzi di comunicazione sociale sempre più confusi. Altri giornalisti hanno sempre meno opportunità di praticare e svolgere la professione con tranquillità. I media tradizionali scompaiono con il loro pubblico. Oggi, ad esempio, è stato annunciato che uno dei buoni quotidiani bulgari, Klasa, non verrà più stampato. In questi casi i media dipendono sempre più non dai lettori bensì dai benefattori, sia pubblici che privati, che in cambio della propria tranquillità mediatica sono tentati di comprare la libertà dei media.
Purtroppo gran parte degli editori bulgari ha interessi principalmente in altri settori, creando il presupposto per pressioni e abusi sulla politica editoriale in cambio di concessioni e un trattamento di favore da parte del governo. Da parte sua, il governo sistematicamente mostra indifferenza per i principi alla base dell’indipendenza istituzionale, compresi quelli che regolamentano i media. Siamo arrivati al punto in cui il governo cerca intenzionalmente il perdono per iscritto dai media dopo avere chiesto se hanno subito pressioni. Questa, di per sé, è una forma di pressione.
I problemi non riguardano solo la Bulgaria, ma anche altri paesi. Non direi che tutti i mezzi di comunicazione sono fatti della stessa pasta e non mi sognerei lontanamente di criticare i bravi giornalisti spesso costretti a lavorare senza contratto a tempo indeterminato o, in generale, a valutare se cambiare mestiere. Il problema è di natura strutturale. Fondamentalmente è legato all’autocensura, che spesso viene applicata. A tutto ciò dobbiamo aggiungere la concentrazione della distribuzione mediatica, sia essa stampata o digitale.
La precedente compagine alla Commissione europea ha di recente previsto misure per il mantenimento e il controllo del pluralismo dei media. Ne abbiamo particolarmente bisogno in questo momento. Populismo e aggressività sono molto allettanti, ma non hanno mai portato a soluzioni concrete. Mi aspetto che la Commissione europea assuma sin da ora un ruolo attivo e proponga una soluzione. So che si tratta di un tema delicato che spesso esula da valutazioni formali, anche se esistono indicatori per effettuarle. Nonostante questo, il Parlamento europeo deve imporre aspettative e criteri degni di nota. L’importanza di garantire, preservare e sviluppare la democrazia in Europa è altrettanto degna di nota.
Luigi de Magistris (ALDE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, nella costruzione di un'Europa dei diritti un posto centrale spetta alla libertà d'informazione, al pluralismo dell'informazione, all'indipendenza dell'informazione.
Si è accorta la signora Commissario che c'è un paese dell'Unione europea – tra l'altro fondatore con il trattato di Roma dell'Unione europea – dove non c'è il pluralismo dell'informazione, dove un presidente del Consiglio controlla direttamente o indirettamente televisione pubblica e privata e carta stampata? Quale competizione elettorale democratica ci può essere in un paese dove un presidente del Consiglio – una parte politica – controlla i mezzi di comunicazione? Quale democrazia ci può essere in un paese dove si vuole approvare a giorni una legge che non consente ai giornalisti di pubblicare fatti di cronaca giudiziaria? Altro che Watergate, altro che stampa guardiana del regime! Barboncino da salotto!
Che paese democratico è quello in cui Internet si vuole mettere sotto controllo? Che paese democratico è quello dove chi si mette di traverso al pensiero unico viene messo nell'angolo e non è garantita la libera manifestazione del pensiero e il dissenso?
Non stiamo descrivendo il Sudan di Bokassa né la Romania di Ceausescu: è l'Italia di Berlusconi, dove purtroppo questo accade anche perché la Commissione europea non ha il coraggio di far sentire una posizione autonoma e libera rispetto agli Stati membri.
Marek Henryk Migalski (ECR). – (PL) Signora Presidente, signora Commissario, è penoso ascoltare tutte le violazioni della libertà di espressione che avvengono in Europa. Non so se ne abbiate coscienza, ma anche voi state approvando una legge che limita tale libertà. La relazione Løkkegaard, che credo sia stata adottata da tutti i gruppi politici in Aula con l’apprezzabile eccezione del mio gruppo, contiene disposizioni bizzarre che limitano la libertà di parola e di stampa. Vi raccomando di leggere i paragrafi 14, 20, 23 e 39 e, in particolare, i paragrafi 8 e 31. Il paragrafo 8 recita che è compito di un organo europeo controllare i mezzi di comunicazione pubblici in Europa, e il paragrafo 31 che questi mezzi di comunicazione devono fornire informazioni sul nostro operato. Dovremmo attirare l’attenzione dei media e dei cittadini lavorando strenuamente, non costringendo qualcuno a diffondere informazioni. I media non sono obbligati a fornire informazioni sulla NATO o sull’ONU e, per lo stesso motivo, non sono tenuti a raccontare a nessuno dell’operato del Parlamento.
Ivo Belet (PPE). – (NL) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, inizierò col dire che la necessità di una discussione in Aula su valori fondamentali quali libertà di stampa e libertà di opinione è indubbiamente più sentita che mai. Propongo – spero che saremo d’accordo – che la discussione si svolga sulla base di criteri obiettivi e analisi obiettive.
Signora Commissario, lei stessa ha proposto uno strumento dotato di indicatori obiettivi – il Media Pluralism Monitor (MPM) – sviluppato dalla Commissione europea. L’idea è che la Commissione europea, e non solo, applichi questo strumento, e in effetti ci aspettiamo lo facciate.
Il secondo strumento sono le raccomandazioni del Consiglio d’Europa. Esse vertono sugli standard della libertà di stampa, la gestione indipendente delle emittenti pubbliche e la stabilità dei finanziamenti. Tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea hanno sottoscritto questi standard, ed è quindi una buona idea ricordare loro la necessità di onorare gli impegni in materia.
È altresì nostra responsabilità come Parlamento europeo attirare l’attenzione su questo tema. A breve lo faremo, tra l’altro, con una nuova risoluzione sul futuro delle emittenti pubbliche nell’era digitale, che sarà presentata all’Assemblea il prossimo mese o quello successivo. Chiederemo espressamente alla Commissione e agli Stati membri di analizzarla nel dettaglio.
Infine non possiamo accettare che la libertà di stampa sia minacciata in Europa, motivo per cui invochiamo una sorveglianza, sorveglianza da parte di questa Assemblea. Per questo credo sia una buona idea che Commissione e Parlamento lo ricordino agli Stati membri a tempo debito e nella maniera adeguata.
David-Maria Sassoli (S&D). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo per la seconda volta in questa legislatura e in questo Parlamento a parlare del problema della libertà di stampa. È la dimostrazione, signora Commissario, che questa è una problematica fortemente sentita, è un grande problema delle opinioni pubbliche europee.
Rammento che questo Parlamento si era pronunciato nel maggio 2004 con una risoluzione in cui si chiedeva alla Commissione di agire per la tutela del pluralismo dei mezzi d'informazione e della libertà di stampa, ma in tutti questi anni la voce della Commissione non l'abbiamo sentita. Come lei sa, il problema si va ora allargando. Le questioni che riguardano Italia, Romania e Ungheria sono diverse fra loro, ma interessano il medesimo campo.
In Italia continua a esservi, come lei ben sa, un pesante conflitto di interessi aggravato dall'occupazione del governo del servizio pubblico radiotelevisivo; in Romania addirittura si considera la stampa una minaccia per la nazione; in Ungheria il governo vuole fare gli esami al giornalismo. Il condizionamento dei media da parte dei governi naturalmente non può trovare complici le istituzioni europee. La libertà d'informazione non è un bene materiale, valutabile solo secondo criteri di mercato, ma si tratta del diritto dei cittadini a formarsi le proprie opinioni sulla politica, sulla qualità dei governi, sulla vita pubblica.
Per le istituzioni europee non possono esservi più pretesti, la Commissione deve intervenire con decisione per rafforzare standard comuni europei. Il vostro intervento, signora Commissario, potrebbe dare ai cittadini europei la certezza che l'Europa è uno spazio di diritti e di libertà.
Cecilia Wikström (ALDE). – (SV) Signora Presidente, a quest’ora tarda ricordiamoci che la libertà di espressione affonda le sue origini nell’Europa del passato. Nel mio paese, la Svezia, è difesa dal 1766 quando divenne legge svedese, e ora è sancita dalla costituzione. Ciò, tuttavia, non ha impedito a giornalisti e scrittori di essere vittima di episodi terribili quali attentati, bombe incendiarie e minacce. Questo non accade solo in Svezia: lo stesso genere di violenza colpisce altri paesi europei.
Se vogliamo che l’Europa continui a essere un modello di libertà di stampa e libertà di espressione non possiamo accettare che tre paesi dell’Unione europea, ovvero Italia, Bulgaria e Romania, abbiano libertà di espressione limitata come denunciato dall’ultima relazione della Freedom House. Si dice che anche la Grecia abbia problemi. Chi non ricorda chiaramente le pagine bianche dei quotidiani che abbiamo visto tempo fa in Italia dopo le pressioni esercitate su giornalisti e direttori?
Dobbiamo difendere la libertà di parola. Non dobbiamo mai dimenticare che la libertà delle arti e la libertà di espressione hanno visto la luce nelle giovani democrazie europee. In ogni democrazia i cittadini sono liberi di criticare e di farsi un’opinione su articoli e libri, e non bisogna mai accettare una situazione in cui le persone vengono zittite dalla paura. La libertà di espressione è la struttura portante dell’Unione che tutti noi abbiamo il compito di servire e di cui dobbiamo sostenere e difendere gli ideali, soprattutto quando vengono minacciati.
Georgios Papanikolaou (PPE). – (EL) Signora Commissario, onorevoli colleghi, la necessità di proteggere i diritti della libertà di espressione e della libertà di stampa è estremamente importante e ha assunto nuove caratteristiche, soprattutto nell’epoca attuale, per due principali motivi.
In primo luogo il progresso tecnologico, come abbiamo già sentito, ha creato nuovi mezzi di comunicazione. Ora abbiamo Internet, abbiamo i blog, abbiamo i social network, abbiamo la radio via Internet e la televisione via Internet. Sono nuovi mezzi di comunicazione che hanno riscosso molto successo. A questo punto vorrei ricordare che un giornalista e blogger è stato ucciso in Grecia circa due mesi e mezzo fa.
Anche se questi nuovi media fanno molto colpo, il contesto in cui operano non è ancora stato regolamentato in maniera uniforme, né a livello legislativo né in termini di codice deontologico. Spesso la stessa Commissione risponde che dipendiamo tutti dalla loro autoregolamentazione. È sempre più evidente che spesso, a causa della libertà concessa a questi mezzi di comunicazione e viste soprattutto le condizioni di anonimato, ci troviamo di fronte ad abusi e in sostanza a informazioni ingannevoli per il pubblico.
Il secondo motivo è che, al giorno d’oggi, l’editoria e i programmi radiotelevisivi sono concentrati nelle mani di pochi e potenti giganti dell’industria, il che in definitiva induce imprenditori, politici e spesso interi governi a doversi adeguare ai loro desideri. Infine è evidente che spesso, in nome della libertà di espressione, finiamo per imbavagliare il mondo politico e i giornalisti, che obiettivamente non sono in grado di lavorare e di informare il pubblico.
Per concludere, sappiamo che i nostri poteri a livello europeo sono limitati. Ovviamente anche noi, per quanto possibile, siamo in grado di esercitare pressioni spalleggiati dall’ampio consenso di tutte le agenzie interessate, in un contesto che fornirà soluzioni immediate agli Stati membri dell’Unione europea che stanno uscendo dalla peggiore crisi degli ultimi ottanta anni.
Andres Perello Rodriguez (S&D). – (ES) Signora Presidente, è vero che questo è un dibattito globale e che sarebbe esagerato dire che non esiste libertà di espressione nell’Unione europea, ma è anche vero che vi sono casi di limitazione al diritto di informazione e al diritto alla libertà di espressione che dobbiamo condannare.
Sostengo e concordo con chi afferma che dobbiamo concentrarci sugli Stati membri che violano la libertà di espressione e la libertà di stampa. Se dobbiamo parlare di Italia, Ungheria e Bulgaria dobbiamo farlo, ma se dobbiamo parlare dello scandaloso caso della Romania dobbiamo fare altrettanto. Forse possiamo dire che non esistono prove giudiziarie, ma che vi sono informazioni sufficienti per reagire a questi casi scandalosi, perché questo non è un tribunale ma un parlamento politico.
Voglio inoltre segnalare che vi sono paesi democratici con emittenti televisive pubbliche che sono riuscite a conquistare la maggioranza degli spettatori grazie al pluralismo, come è il caso della Spagna, ma che convivono con canali pubblici delle comunità autonome – come Madrid e Valencia, che insieme hanno un territorio e una popolazione maggiore rispetto ad alcuni Stati membri – usurpati dai rispettivi governi regionali e oggetto di forte manipolazione. La manipolazione è stata denunciata da associazioni, partiti e sindacati, e prevede oscuramenti e disattivazioni da parte dei comitati di impresa con la minaccia di mobbing. Essi sono stati capaci, come Canal Nou, di censurare il più grande scandalo di corruzione in Spagna – il caso Gürtel – perché riguarda il governo che controlla l’emittente, mentre i canali televisivi pubblici aprivano lo stesso giorno con la notizia in primo piano, e violano scandalosamente i diritti di giornalisti e spettatori.
Questo accade nell’Unione europea – nella comunità valenciana e nella comunità di Madrid – e accade a Telemadrid e a Canal Nou (Canal 9 in spagnolo).
Vi sono quindi due canali televisivi – e prometto di fornirvi delle prove al riguardo – che agiscono ai margini del trattato di Lisbona ed eludono la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea perché violano costantemente l’articolo 11, e vi chiedo di tenerlo in considerazione.
Alzo la voce in segno di condanna, e domando al Commissario e alla Commissione di chiedere informazioni, perché uno Stato membro democratico e un’Unione democratica non possono appoggiare questi cattivi esempi.
Lena Kolarska-Bobińska (PPE). – (EN) Signora Presidente, è di fondamentale importanza che i nostri elettori siano ben informati sui fatti di attualità. L’informazione promuove l’interesse dei cittadini per le questioni pubbliche e ne incoraggia la partecipazione. Noi, in qualità di politici, abbiamo bisogno di condizioni paritarie se vogliamo che i nostri messaggi siano ascoltati in maniera imparziale dall’opinione pubblica. Purtroppo, oggi come oggi i mezzi di comunicazione commerciali si limitano sempre più a intrattenere l’elettorato riservando poco spazio all’attualità. Spetta quindi ai mezzi di comunicazione pubblica adoperarsi sempre di più nel campo dell’informazione e dell’istruzione.
Alcuni partiti e politici continuano pericolosamente a cercare di esercitare un controllo sui mezzi di comunicazione pubblici. Lo si vede in molti Stati membri come Italia, Ungheria, Romania e Francia per citarne solo alcuni. Dobbiamo opporci a questa tendenza. Dal 1989 il Consiglio d’Europa, già ricordato nella discussione, ha svolto un ottimo lavoro nel definire gli standard dei media pubblici liberi e imparziali in Europa. Questi standard del Consiglio d’Europa devono essere applicati in tutti gli Stati membri, sia nell’ex Europa orientale comunista che nell’Europa occidentale.
In qualità di Parlamento dobbiamo lavorare in più stretta collaborazione su questo tema con i nostri vicini di Strasburgo. I governi degli Stati membri sono responsabili nel garantire il mantenimento dell’indipendenza dei mezzi di comunicazione pubblici e la loro capacità di fornire informazioni obiettive; da parte nostra, Parlamento europeo, dobbiamo continuare a controllare il modo in cui riescono ad assolvere a questa funzione pubblica.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D). – (HU) Signora Commissario, è estremamente preoccupante che, come constatato questa sera, gli Stati membri europei più citati per la violazione della libertà di opinione e di stampa, uno dei valori fondamentali dell’Unione europea, siano Romania, Italia, Bulgaria e purtroppo il mio paese, l’Ungheria. Signora Commissario, la Commissione non potrà astenersi dal controllare che gli Stati membri rispettino questo diritto fondamentale europeo. La Commissione deve garantire il rispetto di questo diritto, deve controllare la situazione per impedire la creazione di monopoli di proprietà negli Stati membri, come in Italia con l’impero mediatico di Berlusconi, esempio ora seguito dall’Ungheria con l’acquisizione di RTL Klub, e non si deve permettere la nomina di quadri a capo dei mezzi di comunicazione pubblici. La Commissione deve denunciare questi casi e tenerli sotto controllo.
Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio la signora Commissario per l'equilibrio della relazione da lei svolta.
Aspettiamo con grande interesse la definizione degli indicatori obiettivi per valutare il pluralismo degli organi d'informazione, dei media. Lo aspettiamo sia come membri di questo Parlamento sia come italiani, ben consapevoli di quanto sia garantito in Italia il pluralismo, la libertà e l'indipendenza degli organi d'informazione. Ben vengano quindi degli indicatori che convincano di questo anche la sinistra italiana che ciclicamente, ogni quattro-cinque mesi, ci propone lo stesso dibattito ottenendone sempre un voto che non mi sembra tanto favorevole alle loro tesi.
In Italia la maggioranza dei giornali è di sinistra, attacca continuamente il governo, fa propaganda per la parte avversa. In Italia la sinistra per trent'anni ha occupato e lottizzato militarmente le poltrone del servizio pubblico della TV di Stato pagata con i soldi dei cittadini, che è un dopolavoro dei partiti del centrosinistra. In Italia sul servizio pubblico quotidianamente, settimanalmente, ci sono trasmissioni che diffamano il governo e il premier. Se però, per sbaglio, una volta tanto, qualche esponente politico di centrodestra dovesse querelare i giornali si grida all'attentato alla libertà di informazione.
In Italia si fa anche un'altra cosa: si pubblicano regolarmente tutte le intercettazioni telefoniche svolte durante inchieste giudiziarie, anche quelle che non c'entrano affatto con l'inchiesta, diffondendo notizie e violando la privacy dei cittadini, tanto che qualche anno fa i signori della sinistra gridavano contro questa pratica. Massimo D'Alema, giugno 2007: "Lo spettacolo degli avvocati che ricopiano frasi e poi vanno dai giornalisti è indecente, è un suk arabo". Di Pietro, marzo 2007: "L'uso delle intercettazioni va regolamentato prevedendo sanzioni per salvaguardare la privacy". Veltroni, febbraio 2008: "Il PD sostiene il divieto assoluto di pubblicare le intercettazioni fino al termine dell'udienza preliminare".
Se oggi il governo italiano però si permette di proporre al parlamento una norma che regoli anche il diritto alla privacy e preveda sanzioni per chi viola la norma in materia di pubblicazione delle intercettazioni, si scatena tutta la stampa di sinistra gridando allo scandalo e con una forte eco in Europa, fatta dai soliti ultrà.
Ci sono giornali di sinistra che sono usciti così, hanno rinunciato alla prima pagina per gridare contro la legge bavaglio. Solo alla prima e alla seconda, però, perché poi nell'ultima la pubblicità l'hanno pubblicata regolarmente. Allora a questa sinistra a corrente alternata, che ogni sei mesi viene a dire qui che non c'è libertà d'informazione, consigliamo di mettersi l'anima in pace e di cambiare argomento, trovandone di più seri.
Ildikó Gáll-Pelcz (PPE). – (HU) Signora Presidente, signora Commissario, grazie di avermi dato la parola. Sono grata che la Commissione consideri il tema della libertà di parola e della conseguente libertà di stampa, diritti umani fondamentali, un aspetto così importante da trattare in maniera equilibrata. Questa sera ho sentito storie confuse, allusioni velate e, purtroppo, accuse.
Signora Commissario, mi consenta di darle informazioni attendibili sulla nuova legge ungherese inerente ai mezzi di comunicazione. Tutti i partiti politici hanno convenuto che la legge del 1996 fosse oltremodo datata. Il nuovo governo ha presentato al parlamento ungherese la bozza del pacchetto di legge sui media per creare una struttura chiara e gettare basi finanziarie trasparenti sulla regolamentazione dei media. Come vuole arrivarci il governo? Ad esempio, evitando l’inutile spesa dei fondi statali. Risolvendo questioni strutturali. Rendendo trasparente il sistema dei mezzi di comunicazione. In che modo? Riducendo a un quinto il numero dei membri nominati dal partito. Obbligando l’autorità nazionale per i media e le telecomunicazioni a rispondere al parlamento. Dichiarando la libertà di stampa e proteggendo l’indipendenza dei giornalisti. Addirittura garantendo la riservatezza delle fonti usate dai giornalisti investigativi, tutelando al contempo i diritti costituzionali fondamentali.
Signora Commissario, questo però potrebbe ledere gli interessi del passato governo. Alcuni potrebbero persino dar vita a voci maliziose. La verità è che la presentazione della legge è stata preceduta da un lungo processo. La legge poi non è neppure definitiva, poiché il dibattito parlamentare inizierà solo la prossima settimana. La Commissione europea ha una grande responsabilità. La questione deve anche essere trattata con serietà e, come ricordato, è indispensabile una valutazione uniforme, trasparente e attendibile. Racconti e allusioni confusi sono pericolosi e hanno un effetto deleterio sugli Stati nazione.
Mariya Nedelcheva (PPE). – (FR) Signora Presidente, le virtù della libertà di espressione sancita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali non hanno più bisogno di essere dimostrate.
Il diritto e l’accesso all’informazione, associati alla pluralità delle fonti, sono al cuore del processo democratico. Ciò permette ai cittadini di formarsi liberamente un’opinione e ai mezzi di comunicazione di svolgere il proprio ruolo di partner nel dialogo tra i cittadini e chi siede al potere.
Ciò che caratterizza i media, quindi, è la loro neutralità, obiettività e precisione. Eppure fino a poco tempo fa nel mio paese, la Bulgaria, i media e la stampa servivano gli scopi di un regime ideologico che abbiamo tutti condannato nel 1989. A vent’anni di distanza ne vediamo il retaggio, sono stati fatti progressi ed è importante che vi siano moniti per rimanere vigili e non distogliere l’attenzione dalle cose essenziali.
Ora mi soffermerò su tre punti. Primo, garantire la libertà di espressione e dei mezzi di comunicazione. Si tratta comunque di un processo a doppio senso. La libertà non deve nuocere alla libertà altrui. Costruire e lavorare con fiducia e rispetto reciproco mi sembra un aspetto importante dei rapporti tra i media e i cittadini.
Secondo, in qualità di “quarto potere” i media assicurano il controllo democratico. Tale controllo, tuttavia, deve essere associato alla verifica delle fonti e alla trasparenza, che eviteranno la strumentalizzazione dei media per scopi aziendali, commerciali, economici o politici. L’affidabilità delle fonti, la trasparenza sui guadagni di chi possiede i mezzi di comunicazione e la diffusione obiettiva delle informazioni non possono che stimolare il progresso delle nostre società.
Infine dobbiamo ricordare il ruolo dei giornalisti. Il rispetto dell’etica professionale, dell’indipendenza e il rispetto delle libertà fondamentali sono preziosi indicatori per qualsiasi giornalista che si consideri un professionista. Prevenire l’uniformazione e lottare contro la sovrainformazione, che spesso ha spiacevoli conseguenze, sono gli obiettivi che i moderni mezzi di comunicazione devono perseguire.
Infine, la libertà esclude la sottomissione. Per tale motivo la sottomissione alle leggi sui dati d’ascolto, ai grandi monopoli, la depoliticizzazione di temi importanti e l’eccessiva politicizzazione di temi sociali sono contrari al ruolo dei media in qualità di vettori dell’informazione libera e scevra da qualsiasi interesse che non sia l’interesse comune.
Iosif Matula (PPE). – (RO) È universalmente riconosciuto che la libertà di stampa è uno dei diritti fondamentali garantiti ai cittadini da una società democratica. La libertà di espressione è stata anche inclusa tra i criteri democratici che tutti gli Stati membri o futuri membri dell’Unione europea devono adottare, soprattutto per assicurare il rispetto della libertà di stampa.
Come ho affermato anche in altre occasioni, sostengo in maniera incondizionata la libertà di stampa assoluta. Questa libertà, tuttavia, è associata alla massima responsabilità delle redazioni di offrire al pubblico informazioni corrette. Poiché oggi discutiamo anche dei paesi dell’Europa orientale, posso farvi una panoramica della situazione in Romania.
I grandi gruppi editoriali appartengono all’opposizione o agli imprenditori che sostengono l’opposizione. L’esempio più evidente è la recente campagna elettorale presidenziale dove il candidato in lista, Traian Băsescu, è stato attaccato da gran parte della stampa.
Si va avanti così, giorno dopo giorno. Questa situazione è accettabile solo se viene rispettata la verità poiché le campagne premeditate, il ricatto mediatico, la diffamazione dell’immagine ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Ioan Enciu (S&D). – (RO) In Romania la stampa, il quarto potere di qualsiasi Stato democratico, è in preda a una crisi. Ha raggiunto un record quasi imbattibile: ad oggi nella stampa rumena sono stati licenziati circa 6 000 giornalisti, e molti giornali hanno chiuso.
Come è successo? È il risultato di azioni intimidatorie perpetrate da chi siede al potere, come campagne stampa dichiarate una minaccia per la sicurezza nazionale, e dell’intervento del governo rumeno che ha aumentato l’imposizione fiscale di chi lavora nei mezzi di comunicazione ed è mal retribuito. C’è poi un altro aspetto evidenziato anche dal segretario generale della Federazione internazionale dei giornalisti, Aidan White, cito: “il giornalismo rumeno è assediato dai mali economici del paese e dall’avidità dei datori di lavoro.”
Il futuro di questa professione è in serio pericolo. I datori di lavoro e le autorità devono prendere misure immediate per salvare il giornalismo professionista. Solo interventi a livello europeo possono ancora salvare la stampa in Romania.
Chris Davies (ALDE). – (EN) Signora Presidente, ho notato una curiosa mancanza di entusiasmo nelle riflessioni introduttive del Commissario. Ovviamente la Commissione è custode del trattato e di tutti i suoi principi, ma francamente si faceva fatica a capirlo dalle sue parole.
Nella discussione abbiamo sentito esempi di cattive pratiche presenti in tutta Europa. Nel mio paese, il Regno Unito, abbiamo un eccessivo controllo mediatico da parte di News International, di proprietà di Rupert Murdoch. Se un politico vuole il potere cerca di non smuovere troppo le acque dandole contro.
Per quanto riguarda l’Italia, se un Primo ministro possiede gran parte dei mezzi di comunicazione e non si tratta di abuso dei principi del trattato, allora di cosa si tratta?
Come possiamo condannare le cattive pratiche altrui se non garantiamo la migliore applicazione possibile delle nostre?
Ovviamente vi sono limiti ai poteri della Commissione, alla sua competenza giuridica. Signora Commissario, lei però non è una burocrate, è una leader: lei ha voce in capitolo, e questo è il momento giusto per alzare la voce e mettere in difficoltà le persone, imporre il cambiamento, agire per la libertà.
Anna Záborská (PPE). – (SK) Due piccole parole miracolose si sono fatte strada nella nostra società. L’espressione politically correct è strettamente legata alla libertà di espressione. Indica un certo tipo di autoregolamentazione nell’esprimere le opinioni. Si applica non solo ai giornalisti ma anche a politici, artisti e persino normali cittadini.
Nella nostra società politically correct non significa rispettare l’opinione altrui, bensì condividere l’opinione della maggioranza. È un grande pericolo per la nostra cultura e democrazia.
Un altro commento: personalmente credo nel rispetto della libertà di espressione, ma libertà di espressione non significa far circolare informazioni sbagliate, bugie e affermazioni diffamatorie, come spesso succede. Ho esperienze personali al riguardo. I cittadini hanno diritto non solo all’informazione, ma a un’informazione vera.
Margrete Auken (Verts/ALE). – (DA) Signora Presidente, continuerò con le critiche alla Commissione. Oggi in Aula abbiamo sentito una serie di esempi di come potere e legislazione siano stati usati contro le fazioni della stampa critiche di chi siede al potere. Questo tema deve suscitare l’interesse della Commissione. Sono membro della commissione per le petizioni, dove in realtà abbiamo sentito la Commissione affermare di non essere responsabile delle violazioni dei diritti fondamentali negli Stati membri: la cosa non riguardava la Commissione. Ciò è stato fortemente criticato dalla commissione e quando le risoluzioni sono state approvate in Parlamento.
Mi limito a far presente al Commissario che i criteri di Copenaghen non sono riservati ai paesi che intendono aderire all’Unione europea. Questo è quanto ci è anche stato detto da un membro della Commissione nella commissione per le petizioni. I criteri di Copenaghen sono applicabili a tutti, anche agli Stati membri. Chiediamo alla Commissione che in futuro faccia più attenzione e usi più determinazione in queste situazioni.
Salvatore Iacolino (PPE). - Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, non v'è dubbio che il dibattito di oggi rappresenta una riproposizione, peraltro sbiadita, di quanto già verificatosi nell'ottobre 2009.
Libertà di stampa: sotto una maschera, che è la relazione nella quale si indica la possibilità di creare una sfera pubblica in Europa, si continua in buona sostanza a parlare e straparlare di ciò che accade in Italia.
Il Commissario ha affermato con grande chiarezza e nettezza che non vi sono violazioni da parte di Stati membri sulla libertà di stampa. Ha pure affermato che indicatori concreti e oggettivi misureranno le eventuali performance sotto questo segno, ma quello che va tenuto maggiormente in debito conto è che la relazione, nel suo unico aspetto positivo, coinvolge concretamente e apertamente i media locali.
Se vogliamo trovare un fatto positivo in questa relazione, probabilmente è questo. Per il resto, sono sterili chiacchiere, dibattiti che non servono a molto in una realtà che ha bisogno in Parlamento di un altro tipo di risposte.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signora Presidente, più una società è matura più ha libertà di espressione e di stampa, ma l’ideale utopico di libertà totale non si realizzerà mai fintanto che la natura umana rimane allo stato attuale.
In primo luogo, i governi cercheranno di controllare i messaggi lanciati dai media fino a quando riusciranno a farlo. Questa sera in Aula sono stati dati molti esempi al riguardo, e le cose non cambieranno in futuro.
In secondo luogo, i proprietari dei media e i singoli redattori non faranno che riflettere il proprio pensiero nei servizi pubblicati, e i singoli giornalisti non avranno scelta: conformarsi o trovarsi senza lavoro.
Poi c’è l’altra faccia della medaglia, dove giornalisti senza scrupoli operano secondo il principio per cui una buona storia non può essere sacrificata alla verità.
È un problema che riguarda molti aspetti, un problema che non cesserà mai di esistere. È una battaglia che bisogna combattere costantemente, una battaglia che bisogna combattere per sempre o non si vincerà mai.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). – (ES) Signora Presidente, voglio ricordare e pronunciarmi apertamente contro gli abusi subiti dal quotidiano Egunkaria nei Paesi Baschi. Nel 2003, in aperta violazione delle leggi e della costituzione spagnola, si è chiuso illegalmente un giornale perseguitando una minoranza linguistica e culturale e confondendo la lingua basca con il terrorismo, un concetto respinto dalla maggioranza dei baschi. Professionisti e lettori sono stati privati dei diritti più elementari. Sette anni dopo tutto ciò è stato riconosciuto da una sentenza giudiziaria.
Durante questo periodo e in seguito alla sentenza, la Commissione e l’Europa non hanno fatto altro che rimanere in silenzio. Questo comportamento favorisce il ripetersi di atti arbitrari. Per questo, signora Commissario, il suo intervento deve essere più attivo e coraggioso affinché l’Europa sia credibile nel ruolo di custode dei trattati.
Il trattato e le leggi vengono sistematicamente violati in Europa, come abbiamo visto oggi. Per questo le chiedo di essere più propositiva.
Hella Ranner (PPE). – (DE) Signora Presidente, tutti gli interventi odierni hanno dimostrato che la libertà di stampa e la libertà di espressione sono fondamentali nella nostra società in Europa così come, ne sono convinta, lo sono anche altrove.
Ciononostante, credo vi sia un obbligo che si oppone a queste libertà, ovvero l’obbligo di proteggere anche i diritti degli individui su cui si scrive. I mezzi di comunicazione odierni hanno un incredibile potere, soprattutto grazie alle moderne tecnologie. È nostro dovere considerare anche chi è oggetto di servizi mediatici.
È una sfida e un equilibrio complicato da trovare, ma una sfida che dobbiamo affrontare garantendo la giusta certezza giuridica, che può essere assicurata dal Parlamento europeo e dalle istituzioni europee e successivamente trasmessa agli Stati membri.
Oreste Rossi (EFD). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, esprimere le proprie idee e le proprie opinioni senza ledere i diritti e la dignità altrui è una delle libertà fondanti delle democrazie.
Purtroppo però non sempre gli organi d'informazione cosiddetti liberi trattano allo stesso modo partiti e uomini politici. Ne sappiamo qualcosa noi, cari colleghi, che di quanto facciamo in questo Parlamento ben poco appare sugli organi d'informazione.
In Italia, nonostante le accuse di una sinistra illiberale e chiusa, la libertà di stampa è garantita da un'incredibile pluralità di mezzi d'informazione locali e nazionali. Chi dice che il presidente del Consiglio gestisce a suo piacimento i mezzi d'informazione di proprietà della sua famiglia mente sapendo di mentire. E mi stupisce che colleghi parlamentari esperti di diritto accusino il governo italiano di violare il trattato di Roma, e magari anche quello di Lisbona, e non usino lo strumento principe contro tali violazioni che è il ricorso agli organi giurisdizionali dell'Unione.
Credo che l'Unione europea dovrebbe costituire un comitato etico indipendente per verificare in tutti i 27 Stati membri il livello di libertà di stampa, chiudendo così una volta per tutte le bocche di coloro che vendono realtà inesistenti.
Neelie Kroes, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signora Presidente, ho ricevuto molte critiche nella mia lunga vita, ma mai e poi mai per mancanza di entusiasmo, e quindi questa è la prima volta.
Sono comunque grata per tutti i vostri interventi: so che, da questo punto di vista, ho battuto il Presidente con il suo discorso sullo stato dell’Unione di questa mattina. Vi sono stati moltissimi contributi questa sera, e nuovamente vi ringrazio.
Ho ascoltato i vostri interventi. È proprio questa la libertà di espressione, e sono lieta di trovarmi in un Parlamento che non solo sostiene la libertà di espressione al suo esterno, ma la difende anche al suo interno.
Detto questo, in effetti abbiamo molto in comune. Siamo entrambi custodi del trattato, non solo la Commissione, e quindi è giusto discutere in questa sede ed essere molto onesti nel capire cosa è veramente in gioco.
Eppure, con i tanti deputati che questa sera hanno preso la parola, non ho potuto fare a meno di chiedermi chi fossero gran parte dei vostri paesi, quelli che dite di conoscere meglio. In effetti, una delle cose che mi hanno colpito è che molti deputati appartengono a giovani democrazie, e credo che questo sia un monito.
Avete lottato per la libertà di espressione e per il pluralismo dei media, e dobbiamo tutti ricordarci di un insegnamento: che una cosa simile non si dà per scontata ma bisogna difenderla, e se questo non è entusiasmo mi piacerebbe bere qualcosa insieme dopo la sessione e scoprire cos’è per voi l’entusiasmo.
Detto questo vorrei anche sottolineare che quanto affermato dall’onorevole in ’t Veld è tutto vero. Sono veramente un libro aperto in materia e sono fiera di esserlo. Ciò non significa che è sempre possibile fare le cose esattamente come vogliamo, perché in realtà stiamo scoprendo cosa è meglio per l’Europa e qual è la miglior strada da prendere.
Per concludere la discussione di questa sera la Commissione desidera ricordare che il nuovo articolo 2 del trattato sull’Unione europea elenca nella prima frase i valori su cui è fondata l’Unione, che gli Stati membri devono rispettare e promuovere. Essi sono il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.
L’Unione europea e gli Stati membri sono tenuti al rispetto di questi valori. Sono assolutamente convinta che nessuno presente in plenaria sia contrario a questi principi, altrimenti non sareste deputati al Parlamento europeo, e l’elenco contenuto nella prima frase dell’articolo non solo è dichiaratorio, ma presume anche due elementi concreti.
Innanzi tutto, il rispetto di questi valori e l’impegno a promuoverli insieme a livello comunitario sono due condizioni di adesione all’Unione europea, come previsto dall’articolo 49 del trattato sull’Unione europea. Proprio come ricordato da qualcuno, quando valutiamo se un potenziale Stato membro è in grado di aderire la questione riguarda anche chi ha già aderito.
In secondo luogo, la violazione di questi valori può far scattare la procedura di allarme e sanzionatoria prevista dall’articolo 7.
La natura operativa dell’elenco dei valori spiega la sua brevità, essendo stati inclusi solo i valori fondamentali più importanti dal preciso contenuto giuridico. Al contrario, nella seconda frase l’articolo 2 spiega le caratteristiche del modello europeo: pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e parità tra donne e uomini. Queste caratteristiche contribuiscono all’applicazione e all’interpretazione di questi valori.
Sarebbe difficile se, in questo momento, i valori sanciti dall’articolo 2 fossero in pericolo imminente a causa degli eventi oggi evocati. Non credo che queste situazioni abbiano una dimensione transfrontaliera tale da giustificare un nostro intervento.
La Commissione e in particolare la sottoscritta, in qualità di Vicepresidente responsabile dell’agenda digitale dei media, rimarrà vigile e difenderà la libertà di stampa, il pluralismo dei media, il diritto dei giornalisti di proteggere la riservatezza delle fonti e la possibilità per i mezzi di comunicazione di indagare sulla corruzione e gli abusi di potere.
Credo che il giornalismo investigativo e di qualità, la stampa e gli organi di informazione siano un aspetto importante della democrazia e della cultura politica europea.
Infine permettetemi di dire che attendo con ansia il documento del vostro relatore, citato dall’onorevole Belet. Sono perfettamente a conoscenza degli sviluppi di questa relazione, che accolgo con molto favore e di cui auspico i risultati.
Per concludere vi garantisco che ho ascoltato tutti con molta attenzione e che, mentre rifletterò con i colleghi su cosa fare, sarò pronta a continuare la discussione con voi. Sarò quindi ben lieta di tornare e di continuare il dibattito.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Con questo si conclude il punto.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Carlo Casini (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la libertà dei mezzi di comunicazione è fuori discussione, e nessuno in un regime democratico può contestare la necessità che essi siano indipendenti e pluralistici.
Ma nella società dell'informazione, qual è la nostra, diviene sempre più evidente che indipendenza non vuol dire assenza di qualsiasi regola, e che il pluralismo non è un valore sufficiente. Nella società dell'informazione il potere mediatico è davvero un potere pubblico, che Montesquieu, se fosse vissuto oggi, avrebbe cercato di collocare in equilibrio insieme agli altri poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario. Anche questi tre tradizionali poteri devono essere indipendenti, ma tra di loro si stabilisce un reciproco limite. Non mi risulta che questo problema sia stato approfondito.
Io mi limito a due sole considerazioni. Il diritto di libertà dei giornalisti è un diritto umano almeno al pari dei diritti alla dignità e alla riservatezza di ogni cittadino. Esiste dunque un dovere di regole equilibratici. Il potere giudiziario deve essere trasparente, ma vi sono indagini che nella fase iniziale, per scoprire la verità, devono essere assolutamente segrete nell'interesse della giustizia e quindi, ultimamente, dei cittadini. Mi pare che questi due aspetti siano sempre trascurati nei nostri dibattiti. Con questo intervento ho inteso lasciarvi una traccia.
Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Credo non vi sia un solo deputato al Parlamento europeo che metta in dubbio la necessità della libertà di espressione e della stampa libera. In definitiva si tratta di un diritto fondamentale, codificato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 11). Aggiungo che dallo scorso anno esiste una Carta europea per la libertà di stampa, non ufficiale e che vede il consenso della Commissione, in cui i giornalisti chiedono ai governi dei paesi europei di rispettare i principi che tutelano loro e il loro lavoro, dal divieto di censura alla protezione personale dei giornalisti. A mio avviso, però, questo è solo un aspetto del problema. L’altro aspetto riguarda il brutale potere dei media in continua ascesa, l’enorme presa in giro delle basilari norme etiche da parte dei giornalisti, la loro mancanza di responsabilità nella libertà di parola e pseudo indipendenza, influenzata dagli interessi finanziari e politici dei baroni dei media. Di fatto l’intera stampa della Repubblica ceca, sia essa regionale o centrale, è nelle mani di società straniere che ingeriscono senza alcuno scrupolo nella politica del paese attraverso i mezzi di comunicazione. Questo forse desta l’interesse delle persone competenti in materia nell’Unione europea? Ne dubito. Continueremo semplicemente a inventare slogan e frasi di fantasia mentre la realtà segue il suo corso.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Nell’insieme si è detto e scritto troppo sulla libertà di espressione e la libertà di stampa. La maggioranza dei deputati sostiene i valori democratici e l’opportunità universale di esprimere un’opinione sui problemi e chi li causa. Vi sono però occasioni in cui giornalisti a caccia di volgari scoop dimenticano l’etica professionale. Poi vi sono casi in cui, per avere uno stipendio, i giornalisti sono pronti a diffamare e a ingerire senza vergogna nella vita personale altrui. Bisogna parlare non solo della coercizione della stampa, ma anche della responsabilità del singolo in caso di calunnia e diffamazione. C’è un proverbio russo che dice: “l’unica cosa peggiore della morte è la perdita della reputazione”. Questo rimane per molti il principio fondamentale. Per questo credo che il concetto di giornalista debba essere associato ai seguenti aspetti: 1) il nome di giornalista deve essere riservato a chi non ha infangato questa onorevole professione usando materiali mendaci pagati da terzi; 2) è importante dare una definizione di chi è coinvolto in campagne stampa negative; 3) occorre sottolineare che la libertà di espressione non prevede la libertà di diffamazione e di calunnia; 4) i giornalisti devono essere degni della nobile professione di “membri del quarto potere”. In caso contrario, tutte le risoluzioni e le relazioni sulla libertà di stampa sono una mera farsa.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Nell’Unione europea è normale che si parli molto di libertà. Purtroppo però la realtà è ben diversa. La libertà di espressione, e la libertà di stampa in particolare, sono minacciate e presto esisteranno solo su carta.
In Germania, ad esempio, le dichiarazioni del consigliere tedesco della Bundesbank, Thilo Sarrazin, sulla mancata integrazione degli immigranti musulmani hanno portato a una campagna condotta dai custodi della virtù politicamente corretti, anche se gran parte di quanto affermato da Sarrazin è vero ed è confermato dalle statistiche e da quanto si vede ogni giorno. La gente sta addirittura chiedendo di sollevare dall’incarico il socialdemocratico. Quindi, chiunque esprime opinione sgradita si vedrà distruggere l’esistenza civile, un comportamento che in realtà siamo abituati a vedere nelle dittature.
Vi sono poi altre pericolose minacce alla libertà di espressione e alla libertà di stampa nell’Unione europea, che fanno capo alla cosiddetta agenzia per i diritti fondamentali: bisogna dare solo notizie positive sugli immigrati e tacere il più possibile problemi come l’abuso della procedura di asilo o i crimini commessi da persone provenienti da paesi terzi, perché sono in contraddizione con l’idillio multiculturale tanto declamato. Se, come in Svezia, un’emittente televisiva privata rifiuta di mandare in onda uno spot pubblicitario per un partito democratico di destra in periodo elettorale a causa di presunte convinzioni antimusulmane, non si tratta solo di un caso di autocensura ma anche di manipolazione elettorale.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Una stampa libera, pluralista e indipendente è un elemento chiave di una società democratica. Nel 2010 i mezzi di comunicazione rumeni sono soggetti ai limiti imposti da un contesto economico sfavorevole, in un paese in cui atteggiamenti ostili nei confronti dei giornalisti e la confusione alimentata di proposito sono diventate politiche di governo. A causa dell’attuale crisi economica sono stati licenziati più di 4 000 operatori dei media, chiusi decine di giornali e sono crollati i guadagni provenienti dalla pubblicità. Tutti questi fattori hanno esposto i mezzi di comunicazione a pressioni politiche ed economiche. Il pregiudizio e la mancanza di imparzialità hanno compromesso la fiducia nella stampa dell’opinione pubblica. Dal momento che in Europa tutte le normative sui media che prevedono il rispetto del diritto alla libertà di espressione e all’informazione non sono applicate in maniera adeguata, esorto gli Stati membri e la Commissione a tenere sotto stretto controllo questo aspetto.
Emil Stoyanov (PPE), per iscritto. – (BG) Desidero ringraziare il relatore per il buon lavoro svolto sul presente documento che tratta di temi estremamente importanti legati all’operato delle istituzioni europee e ai media. I rapporti tra Parlamento europeo e mezzi di comunicazione sono da sempre molto complicati ed è di vitale importanza trovare un equilibrio di modo che entrambe le parti possano svolgere con efficacia il proprio lavoro. Desidero ringraziare l’onorevole Løkkegaard e i suoi colleghi della commissione per la cultura e l’istruzione per avere accettato le mie due proposte riguardanti la procedura di accreditamento per i giornalisti a Bruxelles (paragrafo 24), e la mia seconda proposta sull’importanza delle emittenti radiofoniche e televisive private che, insieme a quelle pubbliche, costituiscono una risorsa fondamentale per fornire notizie sull’Unione europea e possono contribuire allo sviluppo del flusso d’informazioni in Europa (paragrafo 26), rendendole più accessibili ai cittadini. Credo che le istituzioni europee debbano adoperarsi per agevolare l’accreditamento dei giornalisti a Bruxelles e contribuire a una migliore collaborazione tra emittenti radiofoniche e televisive pubbliche e private. Questo ci permetterà di sensibilizzare maggiormente i cittadini europei sull’operato e le politiche delle istituzioni europee. Grazie della vostra attenzione.
17. Discriminazione nei confronti delle coppie dello stesso sesso coniugate o in unione civile (discussione)
Presidente. − L'ordine del giorno reca la discussione su:
- l'interrogazione orale alla Commissione sulla discriminazione delle coppie dello stesso sesso coniugate o in unione civile, di Cornelis de Jong, Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL, di Marije Cornelissen, Raül Romeva i Rueda, Ulrike Lunacek, a nome del gruppo Verts/ALE, e di Michael Cashman, Britta Thomsen, Sophia in 't Veld, Sirpa Pietikäinen (O-0081/2010 - B7-0451/2010),
- l'interrogazione orale alla Commissione sul riconoscimento reciproco dei matrimoni e dei patti civili di solidarietà contratti da coppie dello stesso sesso di Claude Moraes, Michael Cashman, Monika Flašíková Beňová, a nome del gruppo S&D (O-0117/2010 - B7-0459/2010),
- l'interrogazione orale alla Commissione sulla discriminazione contro le coppie dello stesso genere, libertà di circolazione, diritti degli LGBT, Roadmap UE, di Sophia in 't Veld, Renate Weber, Niccolò Rinaldi, Sarah Ludford, Sonia Alfano, Cecilia Wikström, Alexander Alvaro, Gianni Vattimo, a nome del gruppo ALDE (O-0118/2010 - B7-0460/2010).
Cornelis de Jong, autore. – (NL) Signora Presidente, signora Commissario, il mio compagno ed io conviviamo da oltre 21 anni. Recentemente ci siamo avvalsi della possibilità offerta nei Paesi Bassi di registrare ufficialmente la nostra unione, il che significa che nel mio paese godiamo di esattamente gli stessi diritti accordati a coppie eterosessuali sposate. Per la cronaca, avremmo anche potuto scegliere di sposarci, dal momento che nei Paesi Bassi il matrimonio è un’opzione concessa alle coppie dello stesso sesso.
Immaginiamo che io decida di trasferirmi per lavoro in Polonia e che il mio compagno venga con me. In questo caso, non saremmo più considerati come una coppia, poiché la Polonia deve ancora riconoscere le unioni dello stesso sesso. In altri termini, esercitare il diritto comunitario alla libera circolazione implicherebbe per noi la perdita di diversi diritti fondamentali, ad esempio per quanto riguarda la previdenza sociale e la pensione. Quindi, mentre le coppie eterosessuali possono semplicemente mantenere il loro status, lo stesso non è possibile per le coppie omosessuali. Il diritto alla libera circolazione viene, pertanto, limitato. Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica non sta chiedendo alla Commissione di presentare proposte al fine di armonizzare il diritto di famiglia in questo settore. Si tratta, infatti, di una questione che rimane di competenza degli Stati membri. Chiediamo invece alla Commissione di presentare proposte che garantiscano che i diritti di cui godono i lavoratori dipendenti e autonomi per quanto riguarda la libera circolazione siano uguali per tutti.
Al momento, la Commissione sembra essere esitante, per non dire altro, quando si tratta di sviluppare proposte analoghe. Proprio per questo motivo io e i miei colleghi abbiamo richiesto la discussione di questa sera. Spero sinceramente che il Commissario possa garantirci un’azione rapida in questo senso e che, nel settore della previdenza sociale e delle pensioni, ad esempio, le coppie che spostano la propria residenza in un altro Stato membro godano degli stessi diritti, a prescindere che si tratti di coppie omosessuali o eterosessuali.
Marije Cornelissen, autore. – (NL) Signora Presidente, la libera circolazione dei cittadini europei è un valore fondamentale dell’Unione europea. È inaccettabile che un’elevata percentuale di persone ne sia esclusa: mi riferisco ai cittadini in un matrimonio o unione omosessuale, la cui relazione non è riconosciuta in numerosi Stati membri dell’UE. Non si tratta di un problema tecnico dalla portata limitata, ma di una problematica che tocca tutti gli aspetti più importanti della vita di un essere umano. Se per lavoro mi trasferisco in un altro paese, posso portare con me la mia partner e i miei bambini piccoli? In caso di mia morte improvvisa, la mia compagna ha diritto a una pensione o sussidio? Le implicazioni sono di portata ancora maggiore.
Commissario Reding, immagini di essere felicemente sposata con una donna da diversi anni. Vi trasferite insieme in Italia o in Grecia, dove lei trova il lavoro della sua vita. Tutto va splendidamente per alcuni anni, ma poi ecco che sopraggiunge il disastro. La sua compagna rimane coinvolta in un incidente stradale e finisce in terapia intensiva. Potrebbe darsi che lei non abbia la facoltà di prendere alcuna decisione sulla sua compagna di vita, che non possa nemmeno starle vicino e tenerle la mano, poiché, per quanto riguarda l’Italia, lei non è nessuno e non ha niente a che spartire con la sua partner.
Signora Presidente, mi compiaccio nel notare che sempre più paesi permettono alle coppie dello stesso sesso di sposarsi o di stringere unioni civili, che decine di migliaia di persone si sono già avvalse di questa possibilità e che i dati mostrano una tendenza in aumento. Purtroppo, però, alcuni Stati membri sono sempre più in ritardo. Mi sembra deplorevole, eppure il Parlamento europeo non può obbligarli a rimediare; possiamo però promuovere il riconoscimento, affinché tutti i cittadini europei possano godere appieno del loro diritto alla libera circolazione.
Desidererei che il Commissario Reding ci comunicasse come intende cooperare con noi per realizzare quest’aspirazione.
Michael Cashman, autore. – (EN) Signora Presidente, l’operato del Commissario Reding per quanto riguarda la non discriminazione è esemplare e le due testimonianze che ha ascoltato oggi sono estremamente interessanti.
Come l’onorevole de Jong, anch’io sono omosessuale e ho seguito la strada dell’unione civile: da 27 anni sono impegnato in una relazione che lo Stato riconosce solamente da 5 anni.
Come è stato affermato poco fa, se avessi un incidente quando mi trovo in vacanza in Italia, al mio compagno non verrebbe nemmeno concesso il diritto fondamentale di decidere se io debba essere attaccato a un respiratore artificiale o no.
Sono questi gli elementi basilari, tanto privati e personali, che ci vengono negati solamente sulla base del pregiudizio. Alcuni affermano che il riconoscimento reciproco e il rispetto per le leggi e i diritti civili acquisiti in un altro paese, e riconosciuti e applicati in uno Stato membro, indeboliscono la competenza nazionale in materia di matrimonio.
È un’assurdità. Temo che si tratti di argomentazioni avanzate da chi vuole trovare ogni scusa possibile per evitare di raggiungere l’uguaglianza.
Sono 5 gli Stati membri che riconoscono il matrimonio omosessuale, 12 quelli che riconoscono le unioni civili; 10 dei 27 Stati membri, invece, si situano al di fuori di questo lucente anello di tolleranza, uguaglianza e comprensione.
Signora Commissario, è suo compito – e so che si tratta di un compito cui lei adempierà – spingerli dentro quest’anello di tolleranza e comprensione. In questo modo avremmo veramente un’area di libertà, sicurezza e giustizia, non soltanto per alcuni, ma per tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale, dal sesso o dall’identità di genere.
In politica è molto semplice seguire l’opinione pubblica; la cosa più difficile e ardua è invece guidarla e sopraffare i pregiudizi. Se quest’Aula e se lei, signora Commissario, agirete in modo adeguato, allora potremo veramente cambiare l’Unione e cambiare in meglio la vita dei cittadini, non solo per noi, ma anche per le generazioni future.
Il messaggio della sua audizione è inequivocabile. Lei ha affermato la sua convinzione che i diritti acquisiti in un paese debbano essere rispettati anche negli altri. Ho la citazione qui davanti agli occhi, ma so che non è necessario che io gliela ricordi, poiché lei è una donna di principio che si opporrà alla persecuzione e alla discriminazione.
Sophia in 't Veld, autore. – (EN) Signora Presidente, signora Commissario, proprio alcuni giorni fa guardavo un documentario sul canale BBC World circa alcuni paesi nel Caucaso in cui vige l’usanza che gli uomini cavalchino per la regione e si approprino con la forza di una moglie. Quando il loro sguardo incontra una bella ragazza, essi la rapiscono, la portano nella loro casa, la stuprano e poi questa viene considerata loro moglie. Ovviamente le famiglie delle ragazze protestano vigorosamente, perché ritengono che non spetti agli uomini scegliere la propria moglie, ma che sia invece prerogativa del padre decidere a chi concedere la propria figlia.
Il documentario era straziante. Era sconvolgente, e perché? Perché noi riteniamo che la scelta di un partner, la scelta di un marito o di una moglie sia la scelta più personale e intima che si possa fare nella vita. Non spetta all’uomo, né al padre, né al fratello e tantomeno allo Stato determinare chi sarà o meno il compagno di una vita.
La storia ci ha mostrato – e continua a farlo – paesi in cui lo Stato vieta i matrimoni tra bianchi e neri. Nel mio paese, non molto tempo fa – si tratta di una questione che i miei nonni si sono trovati ad affrontare – i cattolici non potevano sposare i protestanti, anche se si amavano. Vi sono ancora musulmani conservatori che credono che le loro figlie non debbano sposare uomini non musulmani. I casi analoghi sono molto numerosi e decisamente sconvolgenti. Eppure, nell’Unione europea troviamo ancora paesi che vietano il matrimonio tra adulti consenzienti dello stesso sesso.
So che per alcuni è sconvolgente che persone dello stesso sesso possano amarsi, ma questo non è del tutto pertinente. La cosa importante in questo contesto è che ogni cittadino dell’Unione europea goda degli stessi diritti. Non spetta all’Unione europea o ai governi degli Stati membri giudicare una relazione personale.
L’Unione europea non ha competenze in materia di diritto di famiglia, ma, come ha sottolineato poc’anzi l’onorevole Cashman, sono già cinque i paesi che consentono il matrimonio omosessuale; vi sono poi alcuni altri paesi che prevedono qualche forma di unione riconosciuta. Il minimo che dovremmo fare nell’Unione europea è applicare il principio del riconoscimento reciproco. Lo facciamo per la marmellata, il vino e la birra: perché quindi non per il matrimonio e le relazioni?
Vorrei chiedere alla Commissione di prendere un’iniziativa volta a garantire il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri che già consentono il matrimonio o qualche tipo di unione registrata e di fornirci una tabella di marcia relativa al come potremmo arrivare a una situazione in cui queste relazioni siano riconosciute dappertutto.
Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signora Presidente, è chiaro che il diritto alla libera circolazione e residenza dei cittadini europei e dei loro familiari è uno dei capisaldi dell’Unione europea. Non si tratta soltanto di un diritto fondamentale, ma anche di un diritto personale.
L’articolo 21 del trattato è estremamente chiaro è sancisce tale diritto. Il divieto alla discriminazione, inclusa la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, è un principio cardine dell’Unione europea, un principio riconosciuto in un altro articolo 21, questa volta della Carta dei diritti fondamentali.
La direttiva ha introdotto considerevoli miglioramenti per le coppie omosessuali. Vorrei ringraziare il Parlamento per essersi impegnato in maniera particolare per questa normativa. Per la prima volta la legislazione europea sancisce il diritto sia di coppie eterosessuali sia di coppie omosessuali di spostarsi e risiedere liberamente all’interno dell’Unione europea.
Detto questo, è ovvio che, se è possibile spostarsi liberamente e risiedere liberamente nell’UE, allora è necessario che nel secondo luogo di residenza si disponga degli stessi diritti che si godono nel luogo di origine. Spetta agli Stati membri, com’è stato detto, decidere se prevedere o meno unioni registrate o un ordinamento giuridico, ma la tendenza che gradualmente registriamo vede sempre più Stati membri che si muovono nella direzione del riconoscimento o dell’ammissione dei matrimoni omosessuali.
In quest’ambito, la direttiva è molto moderna, poiché non distingue tra coppie omosessuali ed eterosessuali, ma rimane in realtà neutrale. Permette che tali situazioni abbiano luogo e permette alle coppie di esprimersi e godere di questo diritto. In questo senso non è necessario emendarla.
Come poi la direttiva sia applicata in termini pratici è un’altra questione. Il problema non sta nella direttiva in sé, ma piuttosto nella sua interpretazione. Per la Commissione è chiaro che la direttiva va applicata nel pieno rispetto del principio del divieto alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
La Commissione deve garantire la corretta applicazione del diritto comunitario, il che significa che deve monitorare se, nell’applicazione della direttiva, gli Stati membri rispettano i diritti fondamentali, incluso il divieto alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale, ovvero il famoso articolo 21 della Carta.
La Commissione attribuisce grande importanza alla rimozione di ogni ostacolo che limita il diritto alla libera circolazione e residenza, e continuerà a lavorare con gli Stati membri per garantire una corretta applicazione della direttiva.
Saprete che la Commissione ha adottato una serie di orientamenti sul migliore recepimento della direttiva. Gli orientamenti risalgono al luglio 2009 e ora stiamo analizzando il modo in cui gli Stati membri li stanno applicando in termini pratici.
La Commissione accoglie con favore la relazione sull’omofobia e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale pubblicata dall’Agenzia per i diritti fondamentali. Tale relazione, elaborata su richiesta del Parlamento, fornisce ampi e importanti dati sui diritti umani di omosessuali, lesbiche, bisessuali, transessuali e transgender.
Si tratta di dati necessari ed io stessa ho chiesto all’Agenzia di approfondire le ricerche in quest’ambito (come ho dichiarato pubblicamente durante la Giornata internazionale contro l’omofobia, il 18 maggio) perché abbiamo l’esigenza di sapere qual è la situazione concreta negli Stati membri. L’imminente relazione annuale sull’applicazione della Carta, attesa per novembre, affronterà i temi della discriminazione e dell’omofobia. Potete contare sulla mia determinazione ad agire nell’ambito dei poteri che il trattato conferisce alla Commissione.
Sono certa che voi comprendiate come il tutto rappresenti per alcuni Stati membri una questione politica e sociale estremamente delicata, poiché in Europa vi sono diversi punti di vista. Ciononostante, il fatto che sempre più Stati membri stiano riconoscendo o ammettendo i matrimoni a prescindere dall’orientamento sessuale della coppia, è un segnale molto positivo.
È necessario progredire passo dopo passo. Dobbiamo, principalmente sulla base dei nostri orientamenti, far sì che gli Stati membri accettino queste regole. Per molti si tratta di qualcosa di totalmente nuovo e inusuale, per alcuni addirittura sconvolgente. Dobbiamo procedere con cautela, poiché vogliamo evitare – e credo che chi ha parlato qui della propria esperienza, dal profondo del cuore, lo possa comprendere – di essere troppo duri.
Con questo non mi riferisco ai valori fondamentali, che non sono messi in discussione, ma dobbiamo spingere gli Stati membri che oppongono resistenza ad accettare passo dopo passo la regola generale. Quello che vogliamo evitare è che gruppi di cittadini inizino a opporsi ai matrimoni omosessuali, al riconoscimento dei diritti e alla non discriminazione.
Analizziamo la relazione e i dettagli che contiene sull’applicazione delle norme nei diversi Stati membri e nelle diverse regioni degli Stati membri. Voglio che non vi siano dubbi circa i principi fondamentali, circa il diritto alla libera circolazione, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’appartenenza etnica. Sono questi i principi che applicheremo passo dopo passo. Torneremo più avanti su questo punto.
Alcuni deputati hanno condiviso con noi esperienze e osservazioni molto personali, pertanto vorrei ringraziarli. È molto importante per me comprendere la sensibilità della problematica, che non si limita a essere una questione di principio, ma riguarda la vita personale di numerosi esseri umani. Desidero porgervi i miei ringraziamenti. Sono certa che insieme riusciremo a modificare la situazione nei prossimi mesi e anni.
Salvatore Iacolino, a nome del gruppo PPE. – Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, ho ascoltato con attenzione coloro i quali sono intervenuti con riferimento a un tema, a una questione che ha sicuramente una sua peculiarità e una sua specificità.
Contrariamente a quanto è accaduto poco fa, quando ci siamo soffermati lungamente su un tema troppo dibattuto e di poca concretezza – quello sulla libertà di espressione in Europa – questo è un tema assolutamente attuale e concreto.
Ricordo che qualche tempo fa, in sede di approvazione della risoluzione sul programma di Stoccolma, un emendamento con caratteristiche sostanzialmente analoghe al contenuto dell'interrogazione di cui odiernamente parliamo non è stato approvato in sede di commissione. Probabilmente perché, proprio con riferimento testuale alle parole contenute in quella risoluzione – e cioè che va rispettata l'identità e la sensibilità nazionale di ciascuno Stato membro – la consapevolezza della commissione era quella che probabilmente ha informato di recente anche la Corte di giustizia europea, la quale ha affermato, con riferimento a un caso specifico, che negare le nozze alle coppie dello stesso sesso non è una violazione di un diritto.
Personalmente sono dell'avviso che vadano garantite alcune posizioni fondamentali, perché ciò che attiene alla sfera intima e personale di una persona va infatti rispettato, ma nel contempo non posso non tenere in debito conto le parole poc'anzi riferite dal Commissario Reding, e cioè che occorre un passaggio graduale, fatto di piccoli passi concreti verso un riconoscimento che nel tempo potrà essere realizzato.
Molti progressi sono stati compiuti, ma non si può non tenere conto di un concetto di famiglia che per noi è quello di una famiglia naturale, con un uomo e una donna e la procreazione dei figli, rispetto a un altro modello che noi teniamo in debito conto, ma che non è quello al quale fa riferimento ancora oggi in prevalenza la Comunità europea.
Monika Flašíková Beňová, a nome del gruppo S&D. – (SK) Ho ascoltato molto attentamente il suo intervento e vorrei farle i complimenti per la sensibile scelta delle parole e dire, forse soltanto per chiarire le idee all’onorevole Iacolino, che non si sta parlando del desiderio del Parlamento europeo di introdurre o imporre agli Stati nazionali l’introduzione delle unioni registrate. L’argomento è del tutto differente: stiamo parlando di tolleranza e del fatto che la maggior parte degli Stati membri non riconosce un matrimonio o un’unione registrata che sono stati stipulati legalmente – e lo sottolineo, legalmente – tra cittadini dello stesso sesso. Eppure, questo sembra equivalere a una violazione della direttiva sul diritto alla libera circolazione.
Di primo acchito, si tratta di un problema tecnico-giuridico, poiché la direttiva definisce come familiare di un cittadino dell’Unione europea il coniuge o il partner con cui il cittadino ha stretto un’unione registrata.
Il primo problema è che la libera circolazione dei partner registrati è determinata sulla base dell’equiparazione, nella legislazione dello Stato ospitante, tra unione registrata e matrimonio. Se tale equiparazione non è prevista, la direttiva non viene applicata nella sua interezza e i diritti fondamentali della coppia sono quindi limitati.
Il secondo problema è la mancanza di coerenza circa l’inclusione o meno di persone dello stesso sesso nel termine “coniuge” o “partner”. Nonostante gli sforzi del Parlamento europeo, la Commissione non ha risolto questa incertezza nella direttiva. Qui arriviamo all’essenza della questione: quello che sembra essere un problema di natura giuridica e amministrativa è in realtà, come lei stessa ha affermato, una questione di volontà politica.
Vorrei credere che la Commissione interpreterà correttamente il chiaro segnale della maggioranza dei gruppi politici, perché abbiamo già perso, o meglio la Commissione si è lasciata sfuggire, un’opportunità con il piano d’azione per l’applicazione del programma di Stoccolma. Spero, tuttavia, che essa colga la prima possibilità che si dovesse presentare per introdurre le misure necessarie a eliminare tutte le potenziali incertezze che al momento sono causa di discriminazione e non permettono di rispettare lo spirito della legislazione europea in materia di diritti umani.
Sarah Ludford, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, questa discussione presenta alcuni tratti della precedente discussione odierna sull’espulsione dei rom dalla Francia, e, in precedenza, dall’Italia. I trattati e gli strumenti giuridici dell’UE sanciscono principi splendidi (non discriminazione, uguaglianza, diritti delle minoranze, dignità umana, diritto alla vita familiare, diritto alla libera circolazione), ma la loro applicazione negli Stati membri lascia molto a desiderare e non tiene fede a questi valori e impegni. Il problema è che la Commissione, che è supervisore e custode dei trattati, troppo spesso mostra esitazione nel perseguire gli Stati membri anche per violazioni relativamente serie o molto gravi.
Ho il privilegio di rappresentare Londra, una delle regioni più progressiste d’Europa, direi, per quanto riguarda i diritti degli omosessuali. Non sto affermando che la mia città, o addirittura il mio paese, sia privo di pregiudizi omofobi o discriminazione (ancora mancano i matrimoni omosessuali), ma abbiamo già registrato molti progressi. Ciononostante, quando i miei elettori in unioni registrate viaggiano o si trasferiscono in un altro Stato membro, perdono i loro diritti e il loro status giuridico, come è stato sottolineato da altri onorevoli colleghi: svaniscono l’eredità, le tasse, le prestazioni sociali e persino il diritto di essere trattato come un partner.
Eppure, l’intero programma in un settore di cui mi occupo spesso, vale a dire la giustizia penale europea, è incentrato sul principio del riconoscimento reciproco transfrontaliero, ovvero riconoscere e applicare le decisioni giuridiche prese in altri Stati membri. Perché quindi non includere le decisioni giuridiche sulle unioni o i matrimoni, che sono ancora più precise del settore delle marmellate e delle altre cose di cui ci ha parlato la mia amica Sophie?
Non sono quindi d’accordo con la Vicepresidente Reding, con rispetto parlando, quando afferma che non è necessario emendare la direttiva sulla libertà di circolazione. La direttiva va, invece, emendata per eliminare la semi-discrezionalità che gli Stati membri hanno di discriminare contro coppie composte da partner o coniugi dello stesso sesso che si trasferiscono da un altro Stato membro. Mi sembra sia necessario un intervento urgente della Commissione. Disponiamo in una certa misura di una massa critica, anche se si accetta l’argomentazione che è necessario attendere il cambiamento sociale. Esiste una massa critica di Stati membri che riconoscono giuridicamente le coppie dello stesso sesso.
È giunta l’ora di introdurre la parità di trattamento nei confronti dei partner dello stesso sesso che si trasferiscono in un altro paese europeo. In realtà, una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo suggerisce che potrebbe non passare troppo tempo prima che questa – la Corte del Consiglio d’Europa – insista sulla concessione del matrimonio anche a coppie omosessuali. Sarebbe estremamente ironico se l’Unione europea avesse fallito nella propria azione e se ci ritrovassimo messi in secondo piano dal Consiglio d’Europa, dal momento che noi stessi ci autodefiniamo lo standard di riferimento rispetto al Consiglio d’Europa.
Ulrike Lunacek, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, ho piena fiducia in ogni parola pronunciata dal Commissario e ritengo che lei creda personalmente nell’applicazione del diritto alla libera circolazione di ogni cittadino europeo, gay, lesbica, eterosessuale o quant’altro, sposato o in un’unione registrata.
Il mio problema, condiviso da tutti gli onorevoli colleghi che sono intervenuti, o per lo meno dalla maggioranza, ha a che fare con la sua affermazione circa la necessità di procedere gradualmente, e che dobbiamo far sì che gli Stati membri comprendano, dobbiamo convincerli e contrastare il pregiudizio. So che è senz’altro così, ma ritengo anche che in tutti gli Stati membri i cittadini siano molto più progrediti rispetto ai loro governi.
Vorrei parlarvi dell’EuroPride di Varsavia di quest’anno, a cui ho partecipato. Ho marciato con circa 20 000 persone (lesbiche, gay, eterosessuali, bisessuali, trans gender)) per le strade principali di Varsavia, con i manifestanti estremisti che venivano allontanati dalla polizia e spinti ai margini, posizione a loro adatta, e con molti cittadini eterosessuali (come donne con i loro cani che osservavano dagli edifici circostanti) che ci salutavano e dicevano che noi, gay e lesbiche, siamo al centro della società, siamo nella norma. Quei diritti uguali nella Carta dei diritti fondamentali che lei ha giustamente citato valgono per tutti noi.
Come hanno affermato l’onorevole Ludford e tanti altri, è necessario che la Commissione insista e non aspetti che lentamente gli Stati membri facciano forse un giorno quanto devono per i propri cittadini, per ognuno di noi.
Vorrei parlarvi del mio esempio personale. Per 17 anni nel mio paese non ho potuto stringere un’unione registrata con la mia partner, ma ora da un paio di mesi ciò è consentito. Se mi trasferissi in un altro paese come l’Italia o la Grecia, non vorrei dover attendere di nuovo per ottenere tale riconoscimento e, in caso di situazioni difficili, poter dire che siamo compagne, siamo un tutt’uno e vogliamo prenderci cura l’una dell’altra. La invito, quindi, ad agire con insistenza; sono molti i membri di questo Parlamento che vogliono insistere con lei.
Konrad Szymański, a nome del gruppo ECR. – (PL) Gli Stati membri applicano la direttiva che è stata spesso citata in questa sede in conformità con i principi del loro diritto di famiglia. È difficile pensare che la situazione possa essere differente, altrimenti, minerebbero la loro sovranità in materia di diritto di famiglia, sovranità che è sancita dai trattati. Credo che la Commissione possa confermarlo. Gli Stati membri che non consentono le unioni omosessuali non possono riconoscere le unioni registrate in un altro Stato membro, e non c’è niente di strano in questo. Sarebbe come chiedere, in quest’Aula, che la legge polacca o irlandese in materia d’aborto sia applicata ai cittadini polacchi quando si trovano in Svezia o Gran Bretagna. Non riteniamo, credo, che ci sia reciprocità in simili questioni e immagino che nessuno qui desideri reciprocità. Inoltre, il riferimento al sistema europeo a tutela dei diritti umani è un’argomentazione eccezionalmente inappropriata. Sulla base della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, la mancanza di riconoscimento giuridico di un’unione omosessuale, e ancor di più di un matrimonio omosessuale, non costituisce discriminazione. Per queste ragioni, tutta questa discussione è, ancora una volta, un’assoluta perdita di tempo.
Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL. – (SV) Signora Presidente, vorrei dire all’onorevole Szymański che si tratta proprio di una questione di discriminazione. Il Commissario Reding ha sottolineato i capisaldi dell’Unione europea, ovvero la libera circolazione e i diritti fondamentali. Per quanto riguarda il Parlamento, sono certa che la maggioranza sostenga ogni azione volta a contrastare la discriminazione. Vale la pena sostenere ogni attività di questo tipo.
Non è forse giunto il momento che la Commissione agisca per porre fine alla discriminazione contro cittadini in matrimonio omosessuale o unione civile? La domanda è pertinente, perché nel programma di Stoccolma si sottolinea che la libera circolazione va applicata a tutti i cittadini. Ogni forma di discriminazione va evitata, inclusa – vi faccio notare – anche la discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
Fin qui tutto bene, ma nel Piano d’azione della Commissione per il programma di Stoccolma non si trovano misure atte a garantire la parità dei diritti per le persone in matrimonio omosessuale. I cittadini che hanno stipulato un matrimonio omosessuale nei paesi che lo concedono non possono attendere oltre. Devono godere dello stesso diritto di spostarsi in altri Stati membri senza essere oggetto di discriminazione per quanto riguarda numerosi diritti civili.
Noi qui al Parlamento, come anche i nostri cittadini, vogliamo una risposta dalla Commissione, e spero si tratti di una risposta che implichi l’introduzione di un’azione a favore della parità di diritti per tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale.
Oreste Rossi, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, l'Europa non può sostituirsi al popolo sovrano e imporre in casa d'altri ciò che le può piacere o meno, perché l'Europa ha un motto, se non lo sa: "Uniti nella diversità", cioè ognuno è padrone in casa propria.
Le interrogazioni parlamentari oggi in discussione sono molto simili e mirano a far sì che la Commissione imponga agli Stati membri l'obbligo di riconoscere i matrimoni tra coppie dello stesso sesso e ad evitare ogni forma di discriminazione in materia di affidamento. Il gruppo della Lega Nord non può accettare che l'Unione europea si sostituisca ai diritti dei popoli di tutelare le proprie culture, tradizioni e radici.
Il matrimonio tradizionale, quello cioè tra un uomo e una donna che danno origine magari a dei figli, è l'unico che può e deve essere riconosciuto. Ogni altra forma di unione fra persone dello stesso sesso può esistere, ma di certo non può e non deve essere considerato matrimonio.
Ancora di più ci spaventa la richiesta degli interroganti di concedere l'affido di bambini a coppie dello stesso sesso. Che educazione potrebbero ricevere? Nessuno vuole vietare a coppie omosessuali di aiutare, ad esempio con l'adozione a distanza, bambini orfani o poveri, ma un conto è contribuire alla loro crescita nelle famiglie d'origine o nel loro paese, un altro è quello di chiederne l'affidamento.
(L'oratore accetta di rispondere a un'interrogazione "cartellino blu", articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signora Presidente, onorevole collega, potrebbe spiegarmi in che modo il fatto che una coppia costituita da due uomini o due donne goda degli stessi diritti di una coppia composta da un uomo e una donna danneggia quest’ultima? In che modo il fatto che le coppie omosessuali godano di diritti danneggia le coppie eterosessuali? Dov’è la minaccia? Dov’è il pericolo?
Oreste Rossi, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, non è un pericolo, è una cosa che per quanto ci riguarda, nella maggioranza del popolo italiano – e parlo per l'Italia – non è accettabile: è diverso. Poi, che la coppia possa esistere, vivere tranquillamente la propria vita, e non pretendere qualcosa di più, al pari della coppia uomo-donna – che possibilmente abbia poi anche dei figli visto che l'Europa continua a invecchiare – bene, è un altro conto.
L'ho detto prima: noi riteniamo che la coppia che ha diritto al matrimonio formale, ufficiale sia quella formata da un uomo e una donna perché può procreare, e l'obiettivo finale di un'Europa che invecchia è quello di fare figli.
Crescenzio Rivellini (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la discussione odierna è alla base della Comunità europea: l'unione di varie comunità, di varie sensibilità, di diverse opinioni. Il poter mettere insieme queste diverse sensibilità è alla base dell'Europa, del Parlamento europeo, e quindi questa discussione, seppur difficile, è una discussione da affrontare.
Mi ha particolarmente interessato una frase del Commissario Reding, quando ha detto che bisogna procedere con cautela per evitare sommosse popolari.
È giusto dare i diritti a tutti i cittadini europei, poter combattere qualsiasi discriminazione e difendere la libertà, ma la libertà è di tutti, anche di quelle comunità che storicamente, da millenni, concepiscono la società basata sulla famiglia, sulla tradizionale famiglia uomo-donna. Quindi deve esservi anche la libertà di esprimere il parere che la famiglia è un'unione fra un uomo e una donna.
È ovvio che tutti possono contrarre unioni diverse, ma non si può equiparare una famiglia composta da un uomo e da una donna, che assicura la continuazione della specie ad altre unioni, seppure rispettabilissime.
Naturalmente il dibattito va proseguito, perché in un'Europa, che deve essere unita rispettando tutte le sensibilità, anche discussioni così difficili, complicate e accese devono cercare la soluzione, ma nel rispetto di tutte le comunità. Perché non dobbiamo assolutamente permette – e quindi mi appello al Commissario Reding – che quella frase, "le sommosse popolari", possa minare l'unità dell'Europa.
Emine Bozkurt (S&D). – (NL) Signora Presidente, le unioni civili e i matrimoni tra compagni dello stesso sesso non sono giuridicamente riconosciuti in diversi Stati membri, il che causa una discriminazione molteplice, che non si limita alle questioni familiari, come la custodia e il diritto all’eredità, ma riguarda anche aspetti fiscali e diritti sociali, come se questi matrimoni e unioni fossero meno genuini o meno importanti. Il Piano d’azione presentato nella strategia di Stoccolma non contiene alcuna proposta volta a risolvere la situazione, non vengono presentate nuove iniziative specifiche per i diritti LGBT. Ciononostante, lei ha appena pronunciato parole molto positive, affermando che intende agire, e mi compiaccio per questo. Ha parlato di passi specifici – o meglio, piccoli passi specifici – e della necessità di procedere con estrema cautela quando si cerca di convincere alcuni Stati membri che hanno problemi in quest’ambito.
La mia prima domanda è se il tutto avrà luogo prima della fine del suo mandato. La mia seconda domanda è se questa strana situazione riguarda anche altre cause di discriminazione, ad esempio l’appartenenza etnica, la disabilità o l’età. Ritengo che in tutti questi casi sia necessario coraggio, perché sono ugualmente importanti, e ogni discriminazione, su qualunque base essa si poggi, deve essere sempre contrastata in maniera efficace.
Mi permetta di avanzare un suggerimento. Lei ha affermato di essere in attesa di una relazione dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali a novembre, che riguarda anche l’omofobia e la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. Le vorrei chiedere se in seguito a questa relazione, che dovrebbe fornire un quadro della situazione reale, lei presenterà una relazione al Parlamento circa la sua valutazione della situazione e i passi specifici, o preferibilmente i grandi progressi, che intende introdurre.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signora Presidente, ho la fortuna di venire da un paese che negli ultimi anni ha registrato considerevoli progressi per quanto riguarda i diritti degli omosessuali. Si pensava che la Spagna dovesse muoversi con maggiore lentezza e che la società non fosse ancora pronta a compiere i passi previsti, ma invece siamo andati avanti, e non è successo niente. Non è successo niente e, anzi, il livello generale di felicità è aumentato notevolmente, poiché i cittadini hanno perso la paura.
Garantire il diritto delle coppie omosessuali di sposarsi e pianificare la propria vita insieme non obbliga nessuno a farlo, se non lo desidera. Il fatto che si possa sposare un altro uomo non significa che sia necessario farlo, ma ne dà il diritto. Questo è quanto fornisce a tutti noi la libertà di poter essere chiaramente un’Unione europea che garantisce questi principi e diritti.
Io ho la fortuna di poterlo fare, come altri onorevoli colleghi. Ciononostante, vi sono paesi nell’Unione europea in cui questo non è possibile ed è una situazione inaccettabile nell’UE di oggi. Chiediamo alla Commissione europea di mostrare la stessa determinazione che è stata mostrata in Spagna quando è stato necessario e le chiediamo di promuovere questo progetto nell’Unione europea, dal momento che non è incluso nel Piano d’azione del programma di Stoccolma. Le chiediamo un piano specifico che garantisca che la discriminazione che vediamo e di cui parliamo non abbia mai più luogo.
Come mostrato in Spagna, tutto questo è possibile solo se si dispone di volontà politica. Se la Commissione avrà tale volontà politica, noi la sosterremo, ma in caso contrario la opporremo.
(L'oratore accetta di rispondere a un'interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu, ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Crescenzio Rivellini (PPE). – Signora Presidente, mi riferisco all'intervento del collega e chiedo: se in Spagna c'è stata questa possibilità di poter cambiare, e se il popolo spagnolo ha accettato questa modifica, perché non rispettare le sensibilità degli altri paesi che invece si vogliono muovere in maniera diversa? Perché andare a decidere nei paesi altrui, urtando la sensibilità storica di altre comunità?
L'Europa è un insieme di comunità e se una di esse non capisce i valori dell'altra non potrà mai diventare davvero un'Europa. Quindi, rispettando le scelte fatte in Spagna, perché non rispettare le scelte delle altre comunità?
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) La risposta è perché siamo e vogliamo essere cittadini europei. Dobbiamo essere in grado di spostarci liberamente nell’Unione europea godendo degli stessi diritti, poiché questo è quanto affermano i trattati, questo è il principio fondamentale. E il secondo elemento è altrettanto semplice: stiamo dicendo che non è necessario essere così timorosi, perché non stiamo erodendo le società che storicamente si compongono di coppie formate da un uomo e una donna. Non vi è motivo di preoccuparsi, la terra continua a girare e, inoltre, è molto più felice.
Joanna Senyszyn (S&D). – (PL) È inaccettabile che in Europa ci siano paesi in cui i diritti dei cittadini sposati o in un’unione variano sulla base del loro orientamento sessuale. In alcuni Stati membri, gli omosessuali non possono legalizzare le proprie unioni e le unioni registrate giuridicamente in altri paesi non vengono riconosciute. In Polonia, persino nel caso di una tragedia come la morte della persona più cara, un partner omosessuale è trattato come un cittadino di serie B. Come potremo porre fine a questo consenso alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale, se persino in quest’Aula talvolta ascoltiamo scandalose dichiarazioni omofobe? Chi le pronuncia chiaramente non è consapevole che l’omofobia è una malattia imbarazzante che dovrebbe essere curata. Smettiamola di suddividere i cittadini in categorie “migliori” e “peggiori”. Tutti noi meritiamo pari diritti di stipulare unioni giuridiche, adottare bambini, occuparci della nostra professione, avere un’istruzione adeguata e non dover nascondere le nostre preferenze sessuali, e abbiamo altresì diritto all’amore, all’orgoglio e alla felicità.
Anna Záborská (PPE). – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, questa discussione dimostra il modo in cui l’argomentazione per la non discriminazione fondata sul genere e sull’orientamento sessuale è strettamente collegata all’argomentazione a favore della libera circolazione dei lavoratori, con l’unico obiettivo di obbligare gli Stati membri ad apportare modifiche fondamentali alle loro tradizioni nazionali di diritto civile, che disciplina la definizione di famiglia.
I parlamenti nazionali rispettano il parere dei propri cittadini. Per l’80 per cento dei cittadini, la famiglia rappresenta principalmente un’unione stabile tra un uomo e una donna. Si tratta di un dato pubblicato da Eurostat, ma di cui nessuno parla. Se dicessimo apertamente che la maggioranza dei cittadini oggi sostiene ancora il modello familiare basato sul matrimonio tra un uomo e una donna, la discussione si configurerebbe in modo diverso.
(L'oratore accetta di rispondere a un'interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu, ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signora Presidente, vorrei chiedere all’onorevole Záborská se riconosce che non stiamo parlando di forzare gli Stati membri a modificare le loro leggi in materia di matrimonio, ma di obbligarli a riconoscere il prodotto delle leggi di altri paesi sulle unioni e il matrimonio. C’è una differenza fondamentale.
Si tratta dell’applicazione del principio di riconoscimento reciproco. Chiederei ad altri onorevoli colleghi che hanno espresso opinioni analoghe di riconoscere che in diversi settori della vita e competenza comunitaria disponiamo di un principio di riconoscimento reciproco ben sviluppato.
È questo l’approccio che dobbiamo assumere nel settore della non discriminazione e della libera circolazione. Non si tratta di obbligare gli Stati membri a modificare le loro leggi in materia di matrimonio, ma semplicemente di riconoscere le leggi degli altri Stati.
Anna Záborská (PPE). – (FR) Signora Presidente, rispondo con piacere.
Forse non si tratta di modificare il codice di famiglia o il diritto di famiglia negli Stati membri, ma di emendare il codice civile. È questo che deve essere modificato negli Stati membri. Alcune modifiche sono introdotte da leggi importanti, altre da regolamenti del governo. Ciononostante, il governo e il parlamento devono rispettare il parere dei cittadini, anche quando adottano atti legislativi che non hanno un collegamento diretto con il diritto di famiglia.
Nicole Sinclaire (NI). – (EN) Signora Presidente, non pensavo di prendere la parola questo pomeriggio. Non avevo intenzione di intervenire e non ho un discorso preparato, ma vorrei fare un breve commento.
In qualità di persona apertamente omosessuale, ritengo che ognuno debba godere del diritto di amare chi desidera e vivere la vita che desidera, con chiunque desideri. Questa sera mi è stato confermato di aver preso la decisione giusta quando ho deciso di abbandonare il gruppo EFD e le loro opinioni fasciste (basti pensare al punto di vista da XIX secolo del loro gruppo italiano). Vorrei ricordare a quest’Aula che il sindaco di Treviso ha affermato che gli omosessuali dovrebbero essere oggetto di pulizia etnica e cacciati dalla loro città.
In qualità di persona apertamente omosessuale e di politica apertamente omosessuale, talvolta mi sono ritrovata ad avere timori a condurre campagne a favore di ciò in cui credo, vale a dire la parità di diritti per gli omosessuali, perché non desidero diventare uno stereotipo. Ma voglio comunque condurre campagne a favore di ciò in cui credo. Si tratta senza dubbio di una discriminazione che riguarda ancora i nostri Stati membri.
Ovviamente, se i cittadini aderiscono all’Unione europea (si sono tenuti numerosi referendum in cui i cittadini hanno aderito all’Unione europea) hanno anche accesso a questi diritti. Tutti sanno che io sono una grande sostenitrice degli Stati membri, ma, qui la questione va al di là dei singoli Stati membri, come ha affermato l’onorevole in ’t Veld. Si tratta di una questione che riguarda i diritti umani fondamentali. Ritengo che, se si permette a un paese di aderire all’Unione europea (per quanto io mi opponga), esso deve anche avere accesso ai suoi diritti. Dunque, quando applicherete questi diritti? Siamo uguali o no?
Sophia in 't Veld (ALDE). – (EN) Signora Presidente, vorrei brevemente rivolgere una domanda all’onorevole collega italiano (mi scuso, ma non mi ricordo il suo nome) che ha chiesto che gli altri Stati membri accettino le sensibilità del suo paese.
La discussione non riguarda l’accettare le sensibilità degli altri paesi, ma le leggi degli altri paesi. Vorrei quindi chiedere all’onorevole collega se è disposto ad accettare le leggi degli altri Stati membri dell’Unione europea?
Crescenzio Rivellini (PPE). – Ma basta rispondere con la decisione del 2008 della Corte di giustizia, che va perfettamente contro a quello che lei ha affermato e ha dato ai paesi membri la possibilità, in questi ambiti, di poter legiferare e di non poter in qualche modo rispettare i dibattiti come questo.
Quindi io mi attengo alla delibera del 2008 della Corte di giustizia.
Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signora Presidente, per me la questione è semplice, dal momento che la legge è estremamente chiara. Riguarda la non discriminazione, il diritto alla libera circolazione e il riconoscimento reciproco.
Vorrei ribadirlo. Se si ha contratto un’unione omosessuale giuridicamente riconosciuta o un matrimonio nel paese A, si ha il diritto (e si tratta di un diritto fondamentale) di trasferire il proprio status e quello del proprio partner al paese B, altrimenti si configura una violazione del diritto comunitario, non vi sono discussioni in merito. È un punto del tutto chiaro e non dobbiamo esitare.
Questa è la legge oggi e potete contare sulla mia assistenza per quanto concerne la sua applicazione. Ma, un attimo, questa è la legge; la realtà sur le terrain, in termini concreti, potrebbe essere diversa e dobbiamo cambiarla. Proprio per questo ho affermato che teniamo riunioni bilaterali a livello tecnico con gli Stati membri, per vedere come modificare l’applicazione di una normativa che in termini giuridici è estremamente chiara. Permettetemi di esprimere il mio disaccordo con la Baronessa Ludford. Normalmente le nostre analisi sono vicine, ma in questo caso divergono.
La direttiva sulla libera circolazione non fornisce agli Stati membri la discrezionalità di discriminare, nessuna direttiva europea lo fa. Non dobbiamo permettere che si sviluppino falsi miti che affermano che in effetti è possibile discriminare. Dobbiamo essere estremamente fermi per quanto riguarda i principi. Credo che su questo punto vi sia pieno consenso, o mi sbaglio?
Pertanto, per me non vi può essere alcuna discussione circa il nostro sistema giuridico e la sua interpretazione. Cercheremo di avere un’applicazione uniforme dappertutto, conformemente a quanto è sancito; su questo punto sono dalla vostra parte.
È stata posta una domanda: fra quanto tempo avrà luogo tutto questo? Ora! Non fra cinque o dieci anni. Non so molto di un cambiamento di mentalità nei diversi Stati membri, ma posso soltanto parlarvi della mia esperienza come politica in così tanti decenni. A volte, i governi sono più cauti rispetto alle loro popolazioni, come è stato affermato in quest’Aula sulla base di esperienze personali. A volte, la popolazione reagisce in maniera molto naturale e rilassata, mentre il governo ritiene che ci sia un problema di grandi dimensioni.
La mia intenzione è spingere i governi a comprendere questo punto. Se non ci sarà comprensione, allora sarà necessario applicare misure più rigorose.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. – Nessuno nega che la non discriminazione sia un valore fondamentale. E nessuno nega che la scelta del proprio partner rientri nella sfera delle libertà personali, ma qui l'Europa vuole inserirsi in un ambito che non le compete. Per noi, come sancisce la Costituzione italiana, la famiglia è basata sul matrimonio tra un uomo e una donna. E in questo senso si sviluppa la nostra legislazione che risponde alla cultura, alle tradizioni, alla sensibilità del popolo italiano. E dobbiamo ricordare che in base al principio di sussidiarietà –rafforzato dal Trattato di Lisbona- l'Unione europea non può intervenire in ambiti di competenza degli Stati nazionali, quali il diritto di famiglia. Lo stesso articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea stabilisce infatti che "il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio". La materia è quindi competenza dei singoli Stati. Ogni popolo ha il diritto di tutelare l’identità nazionale e le proprie convinzioni nel rispetto di tutti gli altri popoli della comunità internazionale. Come stabilito da quell’Unita nella Diversità che rappresenta il fondamento dell’Unione Europea.
Debora Serracchiani (S&D), per iscritto. – Nell'Unione europea il quadro relativo alla legislazione sulle coppie dello stesso sesso è molto variegato ed esistono profonde differenze tra i vari Stati membri. Quasi ogni giorno si verificano episodi di discriminazione contro le coppie dello stesso sesso. Da qui la necessità di far rispettare le direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE sulla lotta alla discriminazione basata su religione, disabilità ed orientamento sessuale. L'Unione europea deve compiere maggiori sforzi per garantire alle coppie dello stesso sesso gli stessi diritti riconosciuti alle coppie eterosessuali quando si trasferiscono in un altro Stato membro dell'Unione Europea per studiare o lavorare in virtù della direttiva relativa alla libera circolazione dei cittadini europei.
18. Assistenza a lungo termine per le persone anziane (discussione)
Presidente. − L'ordine del giorno reca la discussione sull'interrogazione orale alla Commissione sull'assistenza a lungo termine per le persone anziane, di Elizabeth Lynne, Pervenche Berès, a nome della commissione per l'occupazione e gli affari sociali (O-0102/2010 - B7-0457/2010).
Elizabeth Lynne, autore. – (EN) Signora Presidente, la ragione per inserire questa interrogazione orale e la relativa risoluzione all’ordine del giorno è per tentare di raggiungere un codice di condotta di portata europea per l’assistenza a lungo termine per le persone anziane. Non sto parlando di una normativa, bensì di uno scambio di miglior prassi tra gli Stati membri.
Per troppo tempo il trattamento riservato alle persone anziane è stato inadeguato in molti settori. Dobbiamo innanzi tutto sapere è di quali dati è in possesso la Commissione riguardo alla prestazione di questo tipo di assistenza negli Stati membri. La Commissione crede di poter avere un ruolo nella diffusione delle migliori prassi?
Un’area fondamentale della quale mi occupo da parecchi anni è quella degli abusi sugli anziani, che possono assumere molte forme (fisica, mentale, emotiva e finanziaria). Prendete per esempio una donna di 93 anni che è stata per una settimana, una sola settimana, in una casa di cura per un ricovero di sollievo ed è tornata a casa completamente disidratata; ovviamente non era stato fatto nessuno sforzo per aiutarla a bere.
Questo non è un caso isolato. I casi di disidratazione e denutrizione sono molti, e sarebbe utile avere dati e cifre. La Commissione dispone di dati relativi al numero di morti attribuibili a disidratazione o denutrizione?
Altrettanto preoccupante, ovviamente, è l’uso sempre più frequente dell’ordine di non rianimare. Deve essere il medico curante, di concerto con il paziente, a decidere di inserire questa richiesta nella cartella clinica. Sono a conoscenza di casi in cui la decisione di rianimare o meno un paziente viene presa dalla casa di cura, o in cui viene imposto ai parenti di firmare il documento; si tratta di una prevaricazione del diritto di scelta dell’individuo.
Cosa sta facendo la Commissione riguardo l’uso del cosiddetto ordine di non rianimare? Non sto parlando di testamento, sto parlando dell’ordine di non rianimare. La Commissione conviene che questa pratica viola il diritto alla vita stabilito nell’articolo 2 della Carta dei diritti fondamentali?
Sono lieta che l’Organizzazione mondiale della sanità abbia adottato una definizione ampia di abusi sugli anziani. A livello di Unione europea dobbiamo ora chiarire l’entità di questi abusi. Mi auguro che la Commissione prepari un Libro verde in merito agli abusi sugli anziani, al quel ha accennato anche lo stesso Commissario.
Anche l’eccessiva prescrizione di medicine, soprattutto farmaci anti-psicotici, è un abuso, poiché molto spesso i farmaci sono usati a beneficio del personale e non del paziente ospite della casa di risposo. Inoltre, di contro, a volte agli anziani vengano negate le cure mediche solo in base all’età. Questa è un’altra ragione per cui credo che sia necessario fare pressione sul Consiglio per una decisione sulla direttiva per il pari trattamento, volta ad eliminare la discriminazione nell’accesso a beni e servizi, tra i quali è inclusa anche l’assistenza sanitaria.
Ogni Stato membro deve impegnarsi per garantire agli anziani l’assistenza a domicilio, qualora lo desiderino, e per disciplinare i requisiti di qualifica per le persone che prestano tale assistenza, attraverso adeguati percorsi di formazione.
Molti Stati membri hanno operato dei tagli nella medicina geriatrica specialistica ed è necessario conoscerne le reali conseguenze sugli anziani. Non dobbiamo inoltre dimenticare il sostegno e il riconoscimento che spetta agli operatori non professionali; molto spesso sono loro a occuparsi dei propri parenti, giorno dopo giorno, con un’assistenza minima.
Per molti anni il settore dell’assistenza a lungo termine agli anziani è stato ignorato. Con questa interrogazione orale e con la relativa risoluzione, spero che potremo insieme cominciare a dare alla questione l’attenzione che merita. Molto spesso è difficile per gli anziani che hanno bisogno di assistenza a lungo termine far sentire la loro voce. Spetta a noi, lavorando con loro, fare in modo che le loro voci siano ascoltate e non dimenticate.
László Andor, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, in vista dell’invecchiamento della società europea nei prossimi decenni, dobbiamo trovare il modo per assicurare alle persone anziane l’assistenza di qualità di cui hanno bisogno.
È questo il traguardo che si sono posti gli Stati membri negli obiettivi concordati a livello di Unione europea in materia di cure sanitarie e assistenza a lungo termine. Inoltre, le conclusioni del Consiglio del 30 novembre 2009 hanno sollecitato la Commissione a sviluppare un piano d’azione per ulteriori attività nel 2011, che promuova la dignità, la salute e la qualità di vita per le persone anziane. Sono lieto che le prossime Presidenze, comprese quella ungherese e polacca, intendano portare avanti questo impegno.
La Commissione ha già intrapreso una serie di iniziative per accelerare il lavoro sulla qualità dei servizi di assistenza a lungo termine, aumentare la conoscenza in questo settore e promuovere il dibattito a livello di Unione europea. Da tempo essa sostiene il lavoro sulla prestazione di assistenza a lungo termine come parte del metodo aperto di coordinamento nell’area della protezione sociale.
La Relazione congiunta sulla protezione sociale e l’inserimento sociale 2009 ha confermato l’importanza di affrontare il problema della carenza di forza lavoro nel settore dell’assistenza a lungo termine. Uno dei nostri principali obiettivi è identificare e divulgare le migliori prassi e la Commissione può fungere da catalizzatore del cambiamento e sostenere gli sforzi nazionali.
È al momento in preparazione un documento di lavoro del personale della Commissione sull’assistenza a lungo termine collegato alla promozione di un invecchiamento attivo, sano e dignitoso ed è prevista una comunicazione della Commissione nel 2011.
Ieri la Commissione ha adottato la proposta di proclamare il 2012 Anno europeo dell’invecchiamento attivo, che servirà da quadro per sensibilizzare, identificare e divulgare le buone prassi e, più importante, incoraggiare politici e attori a tutti i livelli a favorire l’invecchiamento attivo.
Lo scopo è invitare queste figure a impegnarsi in azioni e obiettivi specifici per il 2011, l’anno di preparazione, affinché sia possibile presentare risultati tangibili durante l’Anno europeo del 2012.
Vorrei ora parlare più concretamente delle persone. Avete giustamente fatto notare che, nella maggior parte degli Stati membri, il grosso del sostegno e dell’assistenza alle persone a carico è fornito dalla famiglia e dagli amici, e questa situazione rimarrà invariata ancora per i prossimi decenni. Ovunque è molto più probabile che siano le donne e non gli uomini a farsi carico dell’assistenza. Un riconoscimento inadeguato del ruolo di operatori non professionali e un sostegno insufficiente al loro contributo potrebbe portare al rischio di emarginazione sociale.
Per porre rimedio a questa situazione, molti Stati membri, insieme alle istituzioni europee, dovrebbero considerare una serie di azioni per valutare e certificare le qualifiche assistenziali, comprese quelle acquisite attraverso l’assistenza ai parenti a carico non autosufficienti e nella gestione famigliare, attività svolte prevalentemente da donne.
Il progresso dipenderà dall’impegno reale di numerosi attori. La Commissione favorisce con entusiasmo il lavoro in materia di assistenza portato avanti dai gruppi di interesse sull’invecchiamento e l’assistenza del Parlamento e dalle organizzazioni della società civile, quali AGE ed Eurocarers.
La Commissione non ha in progetto di istituire un Osservatorio sull’invecchiamento attivo, ma il reciproco apprendimento (che comprende anche questa tematica) è uno degli scopi dell’Anno europeo dell’invecchiamento attivo, per il quale verrà istituito un apposito sito web.
Voglio menzionare anche il contributo del programma Grundtvig per l’istruzione degli adulti, del programma di sanità pubblica e dell’Anno europeo del volontariato 2011.
Onorevole Lynne, lei ha giustamente sottolineato l’importanza delle questioni etiche come quelle inerenti all’ordine di non rianimare. Anche se la Commissione riconosce l’importanza della questione – ed io condivido in pieno la sostanza morale della sua domanda – a volte dobbiamo esprimerci in termini legalistici, e, in questo caso, dobbiamo affermare l’argomento è di competenza esclusiva degli Stati membri, con la quale non abbiamo modo di interferire, ai sensi della Carta dei diritti fondamentali.
La Commissione ha avviato una serie di iniziative di sensibilizzazione (compresa la grande conferenza tenuta il 17 marzo 2008) sulla questione degli abusi sugli anziani e per promuovere il dibattito a livello europeo sulle modalità di prevenzione.
Nel 2009 la Commissione ha dato corso a un progetto pilota che ha portato alla scelta di due progetti: un primo esamina le possibilità di controllare gli abusi sugli anziani attraverso la sanità pubblica e i sistemi di assistenza a lungo termine; il secondo cerca di mappare gli attuali approcci e programmi quadro delle politiche europee. Entrambi i progetti sono stati avviati nel 2009 e i risultati saranno presentati nell’autunno del prossimo anno.
La Commissione continua anche a cofinanziare una serie di azioni nell’ambito del programma Daphne e del programma di sanità pubblica.
La Commissione sostiene attivamente il lavoro del Comitato di protezione sociale svolge su un quadro volontario qualitativo per i servizi sociali, che dovrà essere sufficientemente flessibile da applicarsi in tutti gli Stati membri a livello nazionale, regionale e locale nonché a tutta una serie di servizi sociali.
Un settore primario nel quale si potrebbe applicare il quadro è la prestazione di assistenza a lungo termine, compito non facile nella vita di tutti i giorni. Purtroppo nella quotidianità le persone con grandi responsabilità di assistenza devono spesso, proprio per questo, abbandonare o ridurre le ore di lavoro retribuito. Questa situazione incide a sua volta sulle loro opportunità nel mercato del lavoro, sul reddito e sui loro futuri diritti pensionistici.
Il nostro impegno di lunga data con gli Stati membri per riconciliare vita famigliare e vita lavorativa ha sottolineato l’importanza di adeguare le condizioni lavorative delle persone che forniscono assistenza non professionale.
Altri incentivi per i cittadini a prestare assistenza non professionale possono essere collegati all’istituzione, da parte dei servizi sociali, di ricoveri di sollievo e di permessi per l’assistenza, garantendo diritti specifici nel quadro dei regimi della sicurezza sociale, quali il diritto alla pensione.
Come è stato suggerito, la povertà, l’accesso all’assistenza e la longevità possono essere questioni tra loro collegate. Abbiamo esaminato questi legami in una recente comunicazione sulle disuguaglianze sanitarie. I fatti confermano chiaramente che le differenze di reddito, di condizioni lavorative e di vita si riflettono sullo stato di salute medio a tutte le età.
Siamo però solo all’inizio in termini di politiche che spezzino o modifichino efficacemente i collegamenti tra gerarchia sociale e gerarchia dello stato di salute.
Richiediamo quindi maggiore consapevolezza e ricerca, nonché uno sviluppo più innovativo delle politiche. Dobbiamo promuovere un approccio di “salute in tutte le politiche”, che è una componente vitale di qualunque strategia di successo.
Csaba Sógor, a nome del gruppo PPE. – (HU) Il fenomeno dell’invecchiamento delle società europee è una sfida importante per ogni Stato membro. Alla luce del crescente numero di persone anziane, dobbiamo dare un’importanza sempre maggiore all’assistenza. Le tradizioni e la cultura dell’assistenza agli anziani sono diverse in ciascuna regione: negli Stati membri meridionali la convivenza di più generazioni risolve il problema all’interno della famiglia, mentre negli Stati settentrionali è più comune l’assistenza istituzionalizzata.
I costi di quest’ultima forma di assistenza, però, sono in crescita e la sostenibilità è messa sempre più a dura prova dalla situazione economica e dal crescente invecchiamento demografico. Nell’Europa centrale e orientale le organizzazioni non governative e le chiese sono spesso in grado di applicare con efficienza un certo tipo di procedure istituzionalizzate. Si tratta comunque di un fenomeno ancora raro e lo Stato non appoggia questa evoluzione nell’ambito del sistema di assistenza agli anziani.
Nel Regno Unito, il sistema di formazione istituito per gli immigrati ha risolto con successo il problema della disoccupazione di numerose donne disoccupate grazie all’inserimento nel settore dell’assistenza agli anziani. È ovvio che questa prassi può essere adottata con successo anche in altri Stati membri. Accolgo con favore la mozione per una risoluzione avanzata dalle onorevoli Berés e Lynne. Vorrei evidenziare la parte del testo che invita la Commissione a redigere un Libro verde basato sui modelli e sulle migliori prassi degli Stati membri, di modo che ogni paese possa attuare le misure più adeguate secondo i propri mezzi per escludere la possibilità di maltrattamenti e abusi sugli anziani.
Kinga Göncz, a nome del gruppo S&D. – (HU) L’aumento dell’aspettativa di vita in Europa non è solamente un buon risultato, ma è anche un’opportunità; possiamo certo andarne orgogliosi, ma rappresenta indubbiamente anche una sfida. È una sfida perché non sappiamo come assicurare un invecchiamento attivo in una società che invecchia; e non sappiamo nemmeno fino a che punto possiamo assicurare una partecipazione attiva nella società e un trattamento non discriminatorio per gli anziani. Siamo consapevoli che c’è ancora molto lavoro da fare in questo campo. Siamo in grado di aumentare il numero di anni trascorsi in buona salute? Fino a che punto possiamo fornire la sicurezza del reddito per gli anziani o l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita?
Forse l’Anno europeo per l’invecchiamento attivo contribuirà ad attirare un’attenzione maggiore su questo problema. È comunque inevitabile che arriverà il momento in cui gli anziani avranno bisogno di servizi sanitari e sociali e avranno meno potere di auto-rappresentanza, aumentando così la nostra responsabilità di assicurare loro l’accesso ai servizi di qualità. È particolarmente importante che servizi adeguati siano disponibili per i ceti meno abbienti, per gli anziani poveri e per quelli che necessitano di assistenza infermieristica continua, sia questa a domicilio o in istituti di cura. Vi sono poi alcuni ambiti specifici per i quali richiediamo l’assistenza della Commissione: in primo luogo abbiamo bisogno di alcuni dati fondamentali su quali sono i bisogni e su chi necessita di assistenza. Un’attenzione particolare va prestata alle persone più vulnerabili; abbiamo bisogno di meccanismi di controllo e l’individuazione delle migliori prassi rientra nelle norme minime.
Jean Lambert, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, vorrei ringraziare di cuore l’onorevole Lynne per l’opportunità che ci ha dato di discutere questo argomento stasera e concordo con la maggior parte delle affermazioni del Commissario; trovo le sue parole decisamente incoraggianti da diversi punti di vista..
Vi sarete resi conto, immagino, che parecchie delle nostre domande riguardano la vulnerabilità degli anziani e siamo fortemente convinti dell’importanza cruciale che riveste il fatto che le persone si sentano al sicuro con chi li assiste.
Pur comprendendo la vostra posizione riguardo al problema delle sfere di competenza degli Stati membri, il metodo di coordinamento aperto esiste per aiutare gli Stati membri a collaborare su una materia, pur non essendo di competenza dell’Unione europea, è comunque di importanza comune.
Ritengo che certe questioni, anche riguardo all’assistenza di base, all’alimentazione ecc., siano molto importanti in questo ambito. Mi chiedo anche quali altri passi possa intraprendere la Commissione per persuadere gli Stati membri del rapporto costo/benefici del sostegno agli operatori non professionali. Le cifre del Regno Unito testimoniano il risparmio di miliardi di euro che questa forma di assistenza rappresenta per la nostra economia, perché viene fornita da amici intimi o parenti anziché dallo Stato. Le cifre dimostrano anche che vale la pena investire, ad esempio, nelle indennità per una badante e in meccanismi di supporto per i badanti, piuttosto che avere persone sfinite, isolate e con problemi mentali, il tutto per aver prestato assistenza per ore senza un sostegno alle spalle.
Mi interessa anche la discussione in merito alle possibilità di migliorare le qualifiche degli assistenti; parte della questione, naturalmente, è legata al fatto che non solo si tratta di donne, ma spesso di donne immigrate ed è necessario un particolare tipo particolare. La nostra risoluzione parla però anche della necessità di contratti che stabiliscano almeno un reddito minimo, un salario minimo. Attendo i vostri commenti al riguardo.
Dimitar Stoyanov (NI). – (BG) Vi ringrazio. La mia bisnonna ha 69 anni, e io sono vissuto a lungo con lei. So quindi per esperienza personale che il miglior modo per assistere gli anziani è assicurarci che siano in grado di badare a se stessi il più possibile; tuttavia, anche chi ha una buona forma fisica e mentale si trova ad affrontare un arduo compito proprio alla luce dell’età. Il partito Attack ha sollevato la questione durante la precedente legislatura e lo farà anche in futuro.
La pensione media in Bulgaria è di 100 euro; cento euro al mese, onorevoli colleghi. I pensionati devono usare questi soldi per comprare le medicine, pagare i conti e, di solito come ultima cosa, comprare da mangiare. La ragione di questo stato di cose è l’enorme atto di rapina commesso nei confronti del mio paese dagli ultimi tre governi, che porta il nome di “privatizzazione di massa”. Questo abuso, peraltro, è stato portato a termine sotto l’occhio compiacente delle istituzioni europee e del Fondo monetario internazionale. Capitali di miliardi di euro sono stati rubati alla Bulgaria e non c’è quindi da stupirsi se il mio paese abbia le pensioni più basse nell’Unione europea. Questa tragica situazione deve servirvi da esempio quando vi chiedete come faremo ad assistere gli anziani.
Thomas Mann (PPE). – (DE) Signora Presidente, la Commissione ha appena dichiarato il 2012 l’Anno dell’invecchiamento attivo, ottemperando in questo modo a una richiesta della commissione per l’occupazione e gli affari sociali e alla relazione sull’equità intergenerazionale. Congratulazioni! Questo importante messaggio arriva proprio al momento giusto.
Il numero di persone al sopra degli 80 anni, ancora in buona salute fisica e mentale, è in aumento. Nel periodo tra il 2010 e il 2030 si prevede un aumento di almeno il 60 per cento. Nell’interrogazione presentata dalla nostra commissione, invitiamo la Commissione ad analizzare gli effetti positivi e negativi nel settore dell’assistenza agli anziani e a proporre delle conclusioni.
Sappiamo che sempre più famiglie non sono in grado di affrontare da soli l’assistenza ai loro parenti. I badanti sono scarsi. Non è però positivo che personale competente e specializzato venga sostituito da personale sotto pagato, con conoscenze di base ottenute in fretta. In molti casi, questa è l’unica assistenza possibile.
In qualità di relatore sulla sfida demografica e la solidarietà tra le generazioni, ho sollecitato gli Stati membri a istituire un sistema di controllo trasparente e sostenibile. La dignità di chi ha bisogno di assistenza deve essere tutelata. Abbiamo bisogno di un Codice di condotta europeo che stabilisca i requisiti e i risultati minimi dei servizi per la fornitura di assistenza a lungo termine. Indipendentemente dal reddito, dall’età, dalla condizione sociale o del rischio sanitario, la gente deve ricevere un’assistenza di buona qualità e a un prezzo contenuto.
Gli anziani non sono un peso. Le loro esperienze e le loro conquiste hanno plasmato la nostra società. Non dobbiamo lasciarli soli ad affrontare i loro problemi. Abbiamo tempo fino al 2012 per creare una serie di prerequisiti che permettano alla politica, ai media e all’opinione pubblica di impegnarsi intensamente nella questione dell’invecchiamento attivo. A questo proposito spetta alle parti direttamente interessate dire la loro. Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento a favore di una forma di assistenza sostenibile, costantemente incentrata sulle persone e non solo sui costi.
Sylvana Rapti (S&D). – (EL) Signora Presidente, quando in quest’Aula parliamo delle persone anziane forse ci dimentichiamo di mettere in conto che, a un certo punto, anche noi potremo trovarci nella loro stessa situazione e arrivare all’età di 80, 90 o anche 100 anni. Non abbiamo mai provato ad immaginare come vorremmo essere trattati allora? Gli anziani di oggi ci hanno messi al mondo, ci hanno dato la civiltà, costituiscono il nostro “bene personale”.
L’assistenza a lungo termine per gli anziani non ha solo una dimensione morale e sociale, ma ha anche un aspetto economico, perché l’assistenza di cui ha bisogno ogni persona anziana comporta una riduzione della produttività dei membri della loro famiglia che lavorano. Se però introduciamo un programma di assistenza, saremo in grado di creare anche dei posti di lavoro. Dobbiamo pensare a tutto questo, signor Commissario, e mettere gli Stati membri sulla strada giusta.
Per concludere, vorrei ringraziare gli interpreti e i traduttori che ci permettono di esprimere le nostre opinioni anche oltre la mezzanotte.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D). – (RO) Secondo recenti statistiche, nell’Unione europea il numero di persone di 65 anni o oltre aumenterà del 70 per cento entro il 2050, mentre il numero delle persone oltre gli 80 anni aumenterà del 170 per cento.
Questo significa che nel 2060 la percentuale di cittadini oltre i 65 anni nell’Unione europea a 27 raggiungerà il 30 per cento.
L’Unione europea deve trovare delle soluzioni per andare incontro alla sempre maggiore richiesta di assistenza sanitaria, per adattare i sistemi sanitari ai bisogni di una popolazione che invecchia e mantenere la loro operatività a fronte della crescente scarsità di manodopera.
La Commissione, gli Stati membri e in particolare le autorità locali devono trovare le modalità per adattare le abitazioni, i mezzi di trasporto pubblici e anche settori come il turismo, per andare incontro alle specifiche esigenze delle persone anziane.
Accolgo con favore l’adozione del Regolamento europeo sui diritti dei passeggeri, soprattutto quelli con mobilità ridotta, perché è in questa condizione che si trovano molte persone anziane che viaggiano in aereo, in treno o in nave.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Una delle attuali sfide per la società europea è l’evoluzione demografica, che sta mettendo sempre più sotto pressione i bilanci statali. Una via di uscita a mio parere è l’introduzione di politiche innovative e sostenibili sulla prestazione di un’adeguata assistenza a lungo termine in uno spirito di solidarietà intergenerazionale, l’eliminazione della discriminazione basata sull’età e una completa integrazione sociale anche in età avanzata.
A mio parere è importante che ai badanti che assistono le persone anziane vengano accordati benefici legalmente applicabili o, se del caso, una remunerazione finanziaria, in uno spirito di solidarietà e di apprezzamento per il loro impegno e spirito di sacrificio. Per questa ragione vorrei porre l’accento sulla condivisione delle migliori prassi e delle esperienze tra gli Stati membri in questo ambito.
Per concludere, vorrei aggiungere che, come medico, non condivido assolutamente i cosiddetti ordini di non rianimare sulla base dell’età avanzata. Considero un simile approccio una grossolana violazione del fondamentale diritto umano alla vita.
Anna Záborská (PPE). – (SK) Gli autori hanno posto 10 interrogazioni alla Commissione europea, ma la solidarietà tra generazioni è menzionata solo in una, la terzultima. Per una piena comprensione del problema, vorrei aggiungere alcune domande.
Qualche istante fa si parlava di come la Commissione europea possa influire sugli Stati membri. Perché la Commissione non suggerisce agli Stati membri di attribuire un valore all’assistenza fornita dai membri della famiglia agli anziani non autosufficienti? Perché, se un membro della famiglia assiste un anziano, quel familiare non riceve una retribuzione e non gli si fornisce una copertura sanitaria e di sicurezza sociale, mettendolo in grado di tornare al suo posto di lavoro quando il periodo di assistenza finisce, come avviene per le donne in congedo di maternità? Perché gli uomini e le donne che dimostrano solidarietà intergenerazionale nella nostra società sono discriminati?
Se cercassimo di eliminare questa discriminazione all’interno dell’Unione europea, avremmo un numero molto maggiore di cittadini più felici e soddisfatti.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signora Presidente, la discussione di questo argomento giunge in un momento molto opportuno, perché ci troviamo di fronte a un grosso problema. Vorrei ringraziare l’onorevole Lynne per aver evidenziato in particolare i problemi esistenti in questa cosiddetta società civile per quanto riguarda gli abusi sugli anziani. Anche la Commissione ha dato un contributo a tutto campo, delineando i traguardi, le sfide e le soluzioni.
In primo luogo, ritengo che dovremmo vedere questa discussione come un’opportunità per permettere alla gente di lavorare oltre l’attuale età lavorativa e di viaggiare e contribuire al turismo fuori stagione. Poi, naturalmente, dobbiamo affrontare la sfida di assistere le persone a casa il più a lungo possibile e, solo in seguito, un istituto di cura. Le disposizioni finanziarie, però, non sono ancora state calcolate e abbiamo ancora molto lavoro da fare se vogliamo raggiungere un’adeguata assistenza agli anziani nei prossimi anni.
László Andor, membro della Commissione – (EN) Signora Presidente, onorevoli deputati, vorrei iniziare ripetendo quanto è stato detto all’inizio della discussione riguardo alla diversità dell’Europa.
Abbiamo 27 Stati membri con condizioni sociali e materiali diverse e questa è la ragione principale per cui la Commissione lavora ora a un quadro di qualità e non a qualcosa di più forte in termini di normativa. Crediamo che questa sia la strada giusta da seguire e ne valuteremo la validità insieme al Parlamento, con il quale nell’ultimo periodo abbiamo discusso ripetutamente di questi argomenti.
Un punto chiave sul quale credo che si possano tirare delle conclusioni è il legame tra l’assistenza a lungo termine e il nostro programma per l’occupazione; l’assistenza a lungo termine potrebbe essere un’opportunità per la creazione di posti di lavoro, ma implica anche il difficile compito di includerla nel nostro programma delle qualifiche e di scoprire come migliorare nella formazione e nello sviluppo di un gruppo di professionisti dell’assistenza in grado di fornire prestazioni professionali in questo settore.
Formalizzare questi servizi rappresenta un problema ancora aperto, perché, come si è detto, molto del lavoro che viene svolto è informale, l’assistenza viene prestata da parenti e all’interno delle famiglie. Disciplinare la situazione, aumentare gli standard o richiedere determinate condizioni nel quadro delle famiglie e dei parenti è chiaramente un problema cruciale. Nel contempo, formalizzare questi servizi e questo lavoro graverebbe sui costi sollevando problemi fiscali, e potremmo facilmente trovarci in un vicolo cieco sotto altri punti di vista.
Non esiste dunque una facile risposta, ma vi sono effettivamente motivazioni inconfutabili per migliorare le condizioni di quanti hanno bisogno di questi servizi e dipendono dall’assistenza a lungo termine, nonché per riconoscere quanti prestano assistenza. Possiamo però certamente raccogliere e diffondere le migliori prassi, usando per esempio il metodo di coordinamento aperto.
A quest’ora tarda posso dire che, tra poche ore, incontrerò alcuni ministri del governo belga a Liegi per una conferenza sulle pensioni. Sarà un’ottima opportunità per trasmettere le parole del Parlamento sulla questione, collegandole al nostro lavoro sulle pensioni, perché questi argomenti sono chiaramente interconnessi in termini sia di previdenza sociale in generale sia di un reddito adeguato per gli anziani.
Abbiamo un piano a più lungo termine per proseguire il nostro lavoro sulle pensioni con un serio sforzo sulla demografia. Le prossime Presidenze, ungherese e polacca, sono ugualmente interessate all’argomento e stiamo esplorando il giusto quadro per ottenere risultati tangibili. A questo lavoro seguirà l’Anno europeo per l’invecchiamento attivo che non riguarda solo l’occupazione – e decisamente non solo l’allungamento dell’età pensionabile – ma anche un maggiore impegno nella tutela della salute e nel miglioramento dell’apprendimento e dell’insegnamento permanenti, delle opportunità e delle istituzioni al fine di innalzare la qualità della vita.
Si tratta fondamentalmente di un quadro che ci consentirà di portare avanti il nostro lavoro. Sarà un percorso pieno di sfide, ma con l’impegno etico che tutti condividiamo, potremo ottenere buoni risultati
Elizabeth Lynne, autore. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare quanto sono intervenuti e il Commissario, per le sue parole di questa sera. Sono state di grande utilità. Da questa discussione è emersa l’importanza di avere un codice di condotta, come da me richiesto nell’interrogazione orale e nella risoluzione, e al quale hanno fatto riferimento l’onorevole Mann e altri onorevoli colleghi.
Come già detto, non parliamo di una normativa. L’esempio della Bulgaria, di chi vive con 100 euro al mese e deve pagarsi l’assistenza a lungo termine, è solo una delle ragioni alla base della necessità di disporre di un codice di condotta, affinché gli Stati membri possano conformarsi a una serie di requisiti minimi.
Lo stesso vale per l’ordine di non rianimare. Non sto dicendo che tutti gli Stati membri devono applicare lo stesso genere di normativa, ma che dovremmo effettivamente disporre di una serie di parametri che permettano alla gente di raggiungere le migliori prassi. È proprio in questo ambito che la Commissione può fare molto per aiutarci a elencare le migliori prassi acquisite dai differenti Stati membri.
Ancora grazie, Commissario, e grazie anche agli interpreti che sono rimasti oltre le 24.00.
Presidente. − Comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione(1) conformemente all'articolo 110, paragrafo 2, del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 9 settembre 2010.
Anch'io mi associo ai ringraziamenti agli interpreti.