Indice 
 Precedente 
 Seguente 
 Testo integrale 
Procedura : 2010/2751(RSP)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo del documento : O-0076/2010

Testi presentati :

O-0076/2010 (B7-0320/2010)

Discussioni :

PV 08/09/2010 - 11
CRE 08/09/2010 - 11

Votazioni :

Testi approvati :


Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 8 settembre 2010 - Strasburgo Edizione GU

11. Esportazione di armi (discussione)
Video degli interventi
Processo verbale
MPphoto
 

  Presidente. – L'ordine del giorno reca la discussione sull'interrogazione orale al Consiglio sull'esportazione di armi, di Arturs Krišjānis Kariņš, Tunne Kelam, Vytautas Landsbergis, Gunnar Hökmark, Bendt Bendtsen, Jacek Saryusz-Wolski, Ville Itälä, Sandra Kalniete, Inese Vaidere, Michael Gahler, José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, Laima Liucija Andrikienė, a nome del gruppo PPE (O-0076/2010 - B7-0320/2010).

 
  
MPphoto
 

  Arturs Krišjānis Kariņš , autore.(LV) Signor Presidente, Ministro, oggi vorrei parlare dell’oggetto al centro dell’interrogazione che lei ha ricevuto, ovvero una portaelicotteri lunga 200 metri, equipaggiata con un ospedale militare e in grado di trasportare contemporaneamente 16 elicotteri pesanti, 40 carri armati, personale di servizio fino a 900 unità e veicoli da sbarco. La Francia è intenzionata a vendere quattro di queste aggressive navi da guerra alla Russia senza consultarsi con gli altri Stati membri dell’Unione Europea. Vorrei ricordarle che 18 mesi fa la Russia ha attaccato un paese confinante, la Georgia, e che non ha ancora rispettato le condizioni della tregua raggiunta grazie al negoziato del Presidente francese. Lo scorso autunno, inoltre, la Russia ha condotto esercitazioni militari sul confine estone simulando un’invasione dei paesi baltici. Permettetemi di porre a tutti voi una domanda: cos’è l’Unione Europea e a cosa serve? La scorsa primavera, quando la Grecia fu colpita duramente dalla crisi finanziaria, l’Europa si trovò a dover decidere se soccorrerla o lasciare che affondasse. La decisione di prestare soccorso alla Grecia rappresentò una dimostrazione di solidarietà da parte dei paesi europei, motivata dalla comune consapevolezza che, se la situazione finanziaria greca fosse peggiorata, sarebbe accaduto lo stesso in altri Stati membri dell’UE. Anche per quanto riguarda la sfera di sicurezza esterna abbiamo siglato accordi di solidarietà, per cui essa non dovrebbe fare eccezione. Numerosi Stati membri dell’UE si interrogano seriamente sulle finalità e sull’area di impiego di navi da guerra così aggressive da parte della Russia. La creazione di nuovi posti di lavoro in Francia è importante, ma non può andare a scapito della sicurezza degli Stati membri. Onorevoli colleghi, vi invito a non autorizzare la vendita di armi di alcun tipo a paesi terzi prima che la questione sia affrontata in sede di Consiglio e che vi sia la certezza che tale transazione risulti in un rafforzamento, e non in un indebolimento, della sicurezza nell’Unione europea. Grazie per la vostra attenzione.

 
  
MPphoto
 

  Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio.(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono lieto dell’opportunità di concentrarci questo pomeriggio sul controllo delle esportazioni di armamenti.

Vista l’impossibilità da parte della baronessa Ashton di presenziare alla sessione in corso e vista la sua richiesta alla Presidenza di sostituirla durante la discussione, cercherò di rispondere io ad alcune delle interrogazioni ricevute su questo argomento.

Come sapete, l’Unione europea ha assunto da alcuni anni un ruolo da protagonista nel controllo delle esportazioni di armi a livello regionale e internazionale e persegue un obiettivo chiaro: impedire l’esportazione di tecnologie militari che potrebbero essere utilizzate per scopi deprecabili, come la repressione interna o l’aggressione internazionale.

Oltre dieci anni fa il Consiglio adottò un codice di condotta dell'Unione europea per le esportazioni di armi, fissando una serie di criteri relativi alle armi convenzionali. Il codice fu sostituito nel 2008 da una posizione comune che introdusse alcuni nuovi elementi, rendendo il sistema di controllo delle esportazioni di armi dell’Unione europea il più severo al mondo. L’obiettivo delle disposizioni giuridicamente vincolanti della posizione comune è di garantire che l’esportazione di armi da parte degli Stati membri avvenga in maniera responsabile e trasparente.

Lo scopo della posizione comune è di coordinare efficacemente le politiche nazionali sul controllo dell’esportazione di armi utilizzando in particolare un meccanismo di consultazione e di notifica di rifiuto, secondo il quale uno Stato membro in procinto di rilasciare un’autorizzazione all’esportazione per una transazione fondamentalmente identica a una transazione precedentemente rifiutata da un altro Stato membro è tenuto a consultarsi con quest’ultimo e a comunicare agli altri Stati membri la propria decisione finale. In altre parole, uno Stato membro che rilascia l’autorizzazione per una transazione rifiutata da un altro Stato membro è tenuto a fornire una spiegazione dettagliata della propria decisione a tutti gli altri Stati membri.

La risposta alle interrogazioni sulle consultazioni è quindi chiara: la posizione comune prevede consultazioni sistematiche solo nel caso in cui l’autorizzazione sia stata rifiutata in precedenza per una transazione identica.

In generale vi è uno scambio di informazioni regolare e frequente sul controllo degli armamenti e in particolare sulle cosiddette destinazioni “sensibili” tra le delegazioni degli Stati membri all’interno delle strutture competenti del Consiglio. Gli Stati membri spesso richiedono l’opinione di altri membri del Consiglio in caso di timore o dubbio a proposito delle destinazioni di esportazione. Questo scambio regolare di informazioni rappresenta un pilastro centrale della politica europea di controllo dell’esportazione di armi.

A titolo informativo, nel corso del 2009 le consultazioni tra gli Stati membri hanno riguardato in totale 14 destinazioni del Terzo mondo. Alle consultazioni è seguita la comunicazione da parte degli Stati membri delle motivazioni che li hanno portati a rilasciare o rifiutare le autorizzazioni all’esportazione in tali paesi.

Queste, signor Presidente, sono le modalità con le quali operiamo interattivamente con gli Stati membri a livello di informazione e controllo sul processo di autorizzazione dell’esportazione di armi.

Sarò lieto di rispondere ad ogni punto sollevato durante la discussione di questo pomeriggio.

 
  
MPphoto
 

  Roberto Gualtieri, a nome del gruppo S&D. –Signor Presidente, onorevoli colleghi, il rafforzamento della base industriale e tecnologica della difesa europea è una dimensione essenziale della costruzione di una difesa comune.

Esso ha bisogno però di regole comuni e di un approccio coordinato per rafforzare lo sviluppo e la competitività dell'industria europea della difesa e, al tempo stesso, per rendere questo sviluppo coerente con i principi e gli impegni internazionali dell'Europa. Per questo, insieme alla direttiva sul mercato interno della difesa, la posizione comune del dicembre 2008, che definisce procedure e criteri delle esportazioni militari verso paesi terzi, costituisce un importante passo avanti.

Com'è noto, tra queste procedure non c'è un meccanismo generalizzato di consultazione. Tuttavia, nella posizione comune c'è un opportuno riferimento alla necessità di rafforzare la cooperazione e la convergenza in questo campo nel quadro della PESC. In attesa che gli auspicabili progressi su questo fronte e su quello della creazione di una difesa comune rendano possibile l'adozione di meccanismi ancora più vincolanti, sarebbe opportuno che la cooperazione e convergenza prevista dall'articolo 7 non rimanga solo sulla carta e che la relazione annuale sulle esportazioni militari venga resa nota al Parlamento.

Naturalmente, l'interrogazione presentata dai colleghi popolari sembra implicitamente – ora poi è stato esplicitato – non limitarsi a questioni di carattere generale. Premesso che sarebbe stato meglio chiamare le cose con il proprio nome fin dall'inizio, non ci sembra che la vendita di navi francesi alla Russia sia in contraddizione con la posizione comune del 2008. Al contrario, tale esportazione può rafforzare e rendere più vincolante il legame e la cooperazione euro-russa nel settore della sicurezza, che dovrebbe però uscire dall'ambito bilaterale ed essere affrontato, discusso e condotto fino in fondo in una dimensione europea.

 
  
MPphoto
 

  Elmar Brok, a nome del gruppo PPE.(DE) Signor Presidente, vorrei esprimere alcuni commenti sulla vecchia questione della competenza europea. Nel corso delle conferenze costituzionali e di governo non siamo stati in grado di includere il commercio di armi nella sfera di competenza generale dell’Europa. Ritengo perciò opportuno perseverare nel perseguimento di questo obiettivo, in modo che il codice di condotta e le regole introdotte dal Consiglio nel 2008 divengano maggiormente vincolanti. È questa la direzione verso la quale deve procedere il Parlamento europeo.

In secondo luogo, mi sembra chiaro che in questo contesto non sia ammissibile un’assenza di contatti tra gli Stati membri tale da giustificare la sensazione che l’esportazione di armi a paesi terzi avvenga a spese dei singoli Stati e a scapito della loro sicurezza. È pressoché irrilevante se questa sensazione sia giustificata o meno e per questo ritengo necessario trovare soluzioni più efficaci a livello europeo.

In terzo luogo, credo sia necessaria, tra le altre cose, una maggiore collaborazione a livello europeo sul fronte della politica industriale attraverso l’Agenzia europea per la difesa, ad esempio su esportazioni, ricerca, pianificazione, produzione e appalti. L’indipendenza di un paese è legata infatti all’esistenza o all’assenza di una propria industria bellica. I paesi che ne sono privi sono costretti ad acquistare gli equipaggiamenti militari da paesi terzi e la loro sicurezza dipende quindi da altri Stati. Ad essere in gioco non sono solo i fattori economici, che comunque hanno una certa rilevanza, ma la nostra libertà.

Solo contestualizzando l’intera questione riusciremo creare un maggiore senso comunitario e a evitare incomprensioni negli Stati membri come quella sorta, comprensibilmente, nei paesi baltici.

 
  
MPphoto
 

  Johannes Cornelis van Baalen, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, per un paese la facoltà di potersi difendere è legittima, così come è legittimo che altri paesi possano difendersi; l’esportazione di armi non può quindi essere bandita. Questa è la posizione del gruppo ALDE.

Non è però ammissibile l’esportazione di armi in regioni segnate da tensioni o dove è in corso una guerra. È dunque necessario porsi dei limiti. Finché non sarà istituito un regime giuridicamente vincolante sull’esportazione di armi non esisterà la parità di condizioni per i 27 paesi dell’Unione europea ed essi continueranno a farsi concorrenza, a competere per le commesse e a non consultarsi reciprocamente.

Ritengo quindi che l’unica soluzione sia l’istituzione di un regime comune vincolante e a questo proposito concordo con le parole dell’onorevole Brok.

 
  
MPphoto
 

  Indrek Tarand, a nome del gruppo Verts/ALE.(EN) Signor Presidente, si tratta di una questione importante e vorrei ringraziare gli onorevoli colleghi per la comprensione mostrata nei confronti dei timori suscitati nella mia regione dalla decisione francese sulle piattaforme Mistral.

Come già affermato dal nostro collega liberale, il codice di condotta dell'Unione europea, testo giuridicamente vincolante a partire dal 2008, rappresenta un buon passo in avanti, ma non è in sé sufficiente. È necessario fare progressi sul fronte del commercio di armi a livello globale perché l’Unione europea ha una grande responsabilità in questo ambito. Essa è infatti responsabile di un terzo del volume globale del commercio di armi.

Se asseriamo che la Russia sia un partner strategico e che sia opportuno collaborare con essa in campo militare, ritengo che si tratti di una semplice questione di logica. Per quale motivo un paese amico ha bisogno di un sistema di armamenti d’assalto? Per contribuire alla creazione di una sorta di buon governo in Afghanistan? No, Mosca non ha intenzione di prendere parte a questa operazione. Per proteggere i diritti dell’uomo e delle minoranze in Kirghizistan? Neppure, e comunque in entrambi i casi le portaelicotteri Mistral sarebbero inutili in quanto incapaci di raggiungere paesi privi di sbocchi sul mare. Queste navi invece influirebbero negativamente sulla situazione del Mar Nero e sugli otto Stati membri dell’Unione europea che si affacciano sul Mar Baltico, portando ad una diminuzione del livello di sicurezza per Stati come Polonia, Germania, Estonia, Lettonia e Lituania.

Concordo con l’onorevole Gualtieri sulla validità di una collaborazione con un partner strategico come la Russia, ma credetemi, vi sono anche altre forme di collaborazione rispetto alla condivisione di sistemi di armamenti ad alta tecnologia. Si considerino ad esempio le automobili, altro settore nel quale l’industria russa si trova in difficoltà, oppure la collaborazione tra i corpi di vigili del fuoco. Questa estate si sono viste le difficoltà delle unità russe nel far fronte all’incendio di un’area dalle dimensioni equivalenti a quelle del Belgio.

Ceterum censeo. La vendita delle Mistral deve essere bloccata.

 
  
MPphoto
 

  Geoffrey Van Orden, a nome del gruppo ECR.(EN) Signor Presidente, il mio gruppo attribuisce grande importanza al diritto delle nazioni sovrane di decidere, nel rispetto dei criteri della posizione comune dell’Unione europea, in merito al rilascio delle autorizzazioni all’esportazione di armi. Non si tratta chiaramente di un ambito che rientra nella sfera decisionale dell’Unione europea, né deve diventarlo. Naturalmente la posizione comune incoraggia gli Stati membri esportatori a tenere conto, inter alia, della preservazione di pace,nonché della sicurezza e della stabilità a livello regionale.

Nel caso al centro della discussione odierna, è necessario rendersi conto della sensibilità della situazione nelle regioni del Mar Baltico e del Mar Nero. Per quanto riguarda quest’ultimo, va ricordato il recente conflitto in Georgia e il fatto che, dei sei paesi affacciati esso sul Mar Nero, tre sono membri della NATO (Bulgaria, Turchia e Romania) e altri due sono paesi partner e candidati (Georgia e Ucraina). Riteniamo quindi di dover opinare sulla liceità di vendere navi d’assalto anfibio al sesto paese che si affaccia sul Mar Nero, la Russia.

Vi sono comunque meccanismi consolidati deputati al regolamento delle questioni relative all’esportazione di armi. Nel contesto dell’Unione europea esiste il gruppo di lavoro del Consiglio, denominato COARM, che si riunisce formalmente circa ogni sei settimane a Bruxelles. Trattandosi di un gruppo intergovernativo rappresenta la sede appropriata per discutere dell’esportazione di armi, al contrario della seduta plenaria del Parlamento di Strasburgo. Lasciamo quindi che COARM proceda col proprio lavoro.

 
  
MPphoto
 

  Sabine Lösing, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, nel 2000 l’Unione europea delineò chiaramente all’interno della strategia di Lisbona l’obiettivo di diventare la principale potenza economica al mondo entro il 2010. Abbiamo mancato l’obiettivo su molti fronti, ma non per quanto riguarda le esportazioni di armi.

Tra il 2005 e il 2009 gli Stati membri dell’UE hanno superato gli Stati Uniti divenendo i primi esportatori di armi al mondo, primato che ritengo estremamente discutibile. Ovviamente il codice di condotta dell'Unione europea per le esportazioni di armi, pur prevedendo una pratica restrittiva di rilascio delle autorizzazioni all’esportazione, non è mai stato giuridicamente vincolante e si è rivelato un insieme di parole vuote. Di conseguenza ho accolto con molto favore la conversione del codice di condotta dell'Unione europea per le esportazioni di armi in una posizione comune nel dicembre del 2008.

Non esiste però alcun sistema di sanzione efficace. Ad esempio, nonostante la Germania abbia riconosciuto il codice di condotta come giuridicamente vincolante ben prima del 2008, ora è il terzo paese esportatore di armi al mondo e rifornisce regioni critiche come l’Arabia Saudita e il Pakistan. Oltre a ciò, le relazioni sull’esportazione di armi presentate dagli Stati membri al Consiglio mancano di uniformità e spesso di trasparenza. È necessaria un’urgente standardizzazione in questo ambito, in modo da permettere la rintracciabilità di tutte le esportazioni di armi di una certa rilevanza e la possibilità di sottoporle ad una valutazione critica. Sfortunatamente non si è registrato alcuno sforzo in tal senso. Ad ogni modo dubito che qualsiasi sistema possa rendere l’esportazione di armi un’attività eticamente corretta. L’unica certezza è che l’Unione europea è molto lontana da questo obiettivo.

(L'oratore accetta di rispondere a un'interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell'articolo 148, paragrafo 8)

 
  
MPphoto
 

  Geoffrey Van Orden (ECR).(EN) (inizio dell’intervento non udibile)... la Commissione perché l’onorevole Lösing si è lasciata trarre in inganno da una credenza già menzionata più volte in questa sede e in altre sedi comunitarie in riferimento all’esportazione di armi dell’UE.

L’Unione europea non esporta armi in alcun luogo, non ha né una propria industria della difesa, né forze armate proprie perché entrambe appartengono agli Stati membri dell’Unione europea. Di conseguenza dovremmo evitare di fare ricorso a termini come “le esportazioni di armi dell’UE”, perché in quanto tali non esistono.

 
  
MPphoto
 

  Sabine Lösing (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, ho fatto riferimento ai paesi dell’Unione europea.

 
  
MPphoto
 

  David Campbell Bannerman, a nome del gruppo EFD. (EN) Signor Presidente, l’interesse dell’Unione europea per l’esportazione di armi è da ricondurre chiaramente al crescente fenomeno di militarizzazione dell’era post-Lisbona.

Lo stesso Tony Blair ha confidato ai giornalisti alcuni giorni fa il desiderio che l’Unione europea sviluppi un “carattere militare”. Fondamentalmente si tratterà di stabilire chi fornirà gli armamenti all’UE e a chi essa li venderà.

Si parla già di fare in modo che gli equipaggiamenti prodotti per l’Unione europea non siano interoperabili con gli equivalenti statunitensi. Il folle concetto che il Regno Unito debba condividere una portaerei con la Francia, negherebbe immediatamente ai britannici l’accesso alla tecnologia statunitense degli armamenti “invisibili” denominata stealth.

Avrebbe anche l’effetto di chiudere il mercato britannico alle esportazioni statunitensi e viceversa, con una conseguente perdita di posti di lavoro su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Il valore delle esportazioni di armi per l’economia del Regno Unito è di 7 miliardi di sterline l’anno ed equivale ai contributi netti versati annualmente dal mio paese all’Unione europea. Dobbiamo opporci a qualsiasi azione di questo tipo.

 
  
MPphoto
 

  Andrew Henry William Brons (NI).(EN) Signor Presidente, la questione delle esportazioni rappresenta un dilemma per tutti i paesi produttori di armi. I costi fissi sono ovviamente e inevitabilmente alti e ciò rende antieconomico per la maggior parte di tali paesi, se non per tutti, di limitare la produzione in modo da soddisfare il solo fabbisogno interno. Alcuni paesi sarebbero tentati di adottare semplicemente una politica di esportazione verso tutti i paesi, tranne quelli che potrebbero rappresentare un pericolo per sé o per i propri interessi. Il risultato sarebbe una massimizzazione degli interessi dei paesi produttori, ma si tratterebbe di una politica amorale, se non completamente immorale.

I criteri decisionali espressi nell’interrogazione iniziale sull’opportunità o meno di esportare armi sono vari e distinti tra loro. La scelta dei criteri da adottare può inoltre variare a seconda delle diverse tipologie di armamenti. Ai paesi con un basso livello di rispetto dei diritti umani, come l’Iran e come metà dei paesi dell’UE, che incarcerano i dissidenti politici e chi ha opinioni diverse, si dovrebbe proibire l’acquisto di armi leggere, sistemi di sorveglianza e strumenti di coercizione, e consentire invece l’acquisto di armamenti di difesa da attacco esterno.

A paesi dallo spiccato carattere offensivo ma rispettosi dei diritti dei propri cittadini si dovrebbe permettere l’acquisto di armi leggere e strumenti di coercizione, ma non di armi di distruzione di massa. In particolare si dovrebbe negare l’acquisto di qualsiasi tecnologia applicabile alle armi di distruzione di massa agli Stati Uniti, indubbiamente il paese più aggressivo al mondo in quanto responsabile di innumerevoli guerre illegali, violente e destabilizzanti.

Per quanto si deplori invece il livello di rispetto dei diritti umani dell’Iran (atteggiamento al quale certamente mi associo) va riconosciuto che questo paese non si è reso responsabile di azioni offensive nei confronti dei paesi confinanti. Ad esempio non fu l’Iran a iniziare le ostilità nel conflitto contro l’Iraq. Ora questo paese però potrebbe divenire oggetto di un’aggressione e di un attacco pianificato da parte degli Stati Uniti o di Israele. Può non essere opportuno che l’Iran disponga di armi che gli consentano di lanciare un attacco – questo è certo – ma gli si potrebbe concedere l’utilizzo di uno scudo nucleare a scopi difensivi.

 
  
MPphoto
 

  Charles Tannock (ECR).(EN) Signor Presidente, di norma non intervengo, men che meno in una discussione con un europarlamentare iscritto al British National Party, però arrivare ad accusare gli Stati membri di incarcerare i propri cittadini per le proprie idee politiche od opinioni mi sembra troppo! In generale potrò anche essere critico nei confronti dell’Unione europea, ma non sono a conoscenza di alcuno Stato membro che ricorra alla carcerazione per motivi politici. Se così fosse, come si spiegherebbe la presenza dell’onorevole Brons in quest’Aula, per Giove?

(Interruzioni: “L’Ungheria”.)

Questa è una sciocchezza! È in grado di elencare i paesi che mettono in carcere individui a causa delle loro opinioni politiche?

(Interruzioni da parte di alcuni deputati, tra cui l’onorevole Brons, al quale viene concessa la parola)

 
  
MPphoto
 

  Andrew Henry William Brons (NI).(EN) Signor Presidente, ho detto che in Ungheria il regime precedente mise in carcere numerosi individui per dissenso politico. In molti altri paesi dell’Unione europea invece si ricorre alla carcerazione per gli accademici che sostengono teorie ritenute eretiche. Per quanto sbagliate possano essere tali teorie, non è giustificabile il ricorso al carcere se in esse non si può ravvisare un incitamento alla violenza.

 
  
MPphoto
 

  Michael Gahler (PPE).(DE) Signor Presidente, non intendo concedere all’oratore precedente l’onore di fare riferimento al suo intervento; egli ha però affermato una cosa corretta all’inizio, ovvero che la produzione di armi leggere per le industrie di molti Stati è molto onerosa. Naturalmente le conclusioni che traggo sono diametralmente opposte alle sue; dico cioè che all’interno dell’Unione europea dovremmo essere in grado di produrre gli equipaggiamenti militari necessari a costi minori grazie all’Agenzia europea per la difesa e a programmi di approvvigionamento comuni.

Vorrei però innanzi tutto ringraziare il Presidente in carica del Consiglio per la sua dichiarazione. Ritengo che la possibilità di affermare in questa sede che l’Unione europea ha i criteri giuridicamente vincolanti più moderni al mondo per l’esportazione di armi sia estremamente importante dal punto di vista politico e un motivo d’orgoglio per l’Unione europea.

A questo proposito avrei una domanda per il Presidente in carica del Consiglio. Secondo la casistica da lei illustrata, la consultazione ovviamente ha luogo solo quando uno Stato intende autorizzare una richiesta di esportazione identica a quella rifiutata da un altro stato. Ebbene, la discussione su questo tema è stata ristretta al gruppo di lavoro del Consiglio oppure, e questa è la mia seconda domanda, è già avvenuta a livello politico in sede di Consiglio dei ministri? In questo contesto mi sembra un’informazione rilevante.

 
  
MPphoto
 

  Justas Vincas Paleckis (S&D).(LT) Come già citato da alcuni onorevoli colleghi, l’interrogazione posta dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) è di carattere piuttosto enigmatico e non spiega chiaramente come e perché sia sorto il problema. Sarebbe stata di aiuto una maggiore chiarezza nel sollevare la questione. D’altra parte dobbiamo riconoscere che alcuni paesi dell’Europa centrale e orientale sono particolarmente sensibili e si sentono meno sicuri rispetto ai vecchi Stati membri dell’Unione europea. La posizione comune del Consiglio dell’8 dicembre 2008 ha tracciato alcune linee guida in tema di esportazione di armi. L’opinione degli esperti a proposito della Francia, il paese al centro della discussione di oggi, è che non abbia oltrepassato i limiti posti dalle linee guida; questo però non significa che la progressiva messa in pratica della politica di sicurezza e di difesa impedisca il miglioramento e la revisione di tali linee guida e regole. Concordo pienamente con l’opinione dell’onorevole collega Brok a proposito della necessità di una maggiore collaborazione nell’area degli armamenti. Per quanto riguarda l’esportazione di armi, dobbiamo assicurarci che la fiducia prevalga sul sospetto, che a volte è fondato, ma altre è alimentato senza ragione. Il sospetto aizza pericolosamente Stati membri europei grandi e piccoli, vecchi e nuovi, gli uni contro gli altri. Abbiamo bisogno di maggior fiducia e solidarietà, perché esse non si materializzeranno da sole. Dobbiamo parlarci di più, promuovere consultazioni costruttive, evitare accuse veementi e parallelismi artificiosi con l’inizio o la metà del XX secolo, quando il mito del potere assoluto dominava l’Europa. Dobbiamo migliorare il meccanismo di consultazione all’interno dell’Unione europea per ottenere risultati concreti. Quando ciò avverrà, anche questa discussione si rivelerà utile.

 
  
MPphoto
 

  Ryszard Czarnecki (ECR).(PL) Collaborazione e fiducia sono belle parole, ma ho l’impressione che in verità si decida la politica di esportazione al di fuori dell’Unione europea in base a faits accomplis da parte dei francesi. Gli Stati membri più grandi e più ricchi fanno ciò che vogliono, senza badare agli standard e alle regole dei quali oggi si fa un gran parlare. Risale a pochi giorni fa la notizia della vendita delle portaelicotteri d’assalto Mistral alla Russia da parte della Francia. La mancata conclusione della transazione è da attribuire solo al fatto che la Russia ha dato inizio a speciali procedure d’appalto, ma sappiamo che la consegna avverrà in ogni caso. Intanto un ammiraglio russo ha commentato di recente l’aggressione russa alla Georgia dicendo che, se fossero stati in possesso delle portaelicotteri d’assalto Mistral, la guerra sarebbe durata due ore e non quattro o cinque giorni. È lecita la vendita di armi da parte degli Stati membri dell’UE, quando è noto che i paesi acquirenti le utilizzeranno non per scopi difensivi, bensì offensivi? Alla Georgia non è stato consentito per anni l’acquisto di armi di difesa da Stati membri dell’UE a causa di un embargo speciale in vigore per questo tipo di armamenti. Un simile utilizzo di due pesi e due misure andrebbe evitato.

 
  
MPphoto
 

  Nikolaos Chountis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, la lettura della posizione comune e dei criteri da soddisfare per i paesi esportatori di armi mi ha fatto pensare a Israele, uno Stato che non rispetta le leggi internazionali, calpesta i diritti dell’uomo ed è responsabile dell’invasione di Gaza. A questo punto vorrei far notare a quanti hanno posto l’interrogazione che, nonostante i recenti eventi, a nessuno è venuto in mente di richiedere l’inserimento di una clausola di divieto all’esportazione di equipaggiamenti militari e armi in Israele, paese che non soddisfa i criteri della posizione comune e al quale si dovrebbero imporre una serie di altre sanzioni ivi elencate.

Il primo oratore ha parlato di solidarietà politica in Europa facendo riferimento all’esempio della Grecia. Vorrei ricordare che il criterio 8 della posizione comune afferma che l’intenzione di uno Stato membro dell’Unione europea di esportare armi in un altro Stato membro è vincolata a una valutazione della capacità economica di quest’ultimo. In questo caso però Francia e Germania stanno esercitando pressioni sulla Grecia affinché acquisti le loro armi e al fine di consolidare il proprio supporto politico. Tutto questo avviene mentre la Grecia non solo è in difficoltà finanziarie estremamente gravi, ma è oggetto di numerosi controlli e sta operando tagli su pensioni e stipendi.

Si tratta di posizioni ipocrite, sintomo di una filosofia per la quale sono i profitti delle industrie di armi ad avere la priorità e non il principio di pace, che l’Unione europea invece dovrebbe adottare al posto delle armi nella risoluzione delle differenze.

 
  
MPphoto
 

  Jaroslav Paška (EFD). (SK) Importanti produttori di armi da difesa hanno i propri quartieri generali e sedi operative in molti paesi dell’Unione europea e un numero cospicuo di altri Stati nel resto del mondo nutre un forte interesse per gli specifici prodotti di queste aziende. Il loro commercio però differisce da quello di altri beni, perché nella valutazione degli enti commerciali e delle specifiche situazioni entrano in gioco restrizioni legate alla politica estera e di sicurezza.

L’esercizio dell’attività in questione è subordinato al rilascio da parte di uno Stato del permesso di trattare materiale militare o di un’autorizzazione per l’importazione, l’esportazione o il trasporto intra-comunitario di materiale militare. L’attuazione dell’intero processo avviene secondo regole molto precise ed è soggetto a rigorosi controlli da parte dei singoli Stati, che a loro volta sono obbligati a operare in armonia con la propria politica estera. Considerando la specificità e l’unicità di ogni effettiva transazione, ritengo sia necessario che lo svolgimento di questa attività avvenga caso per caso a livello di Consiglio, e soprattutto con una particolare attenzione alla valutazione generale delle possibili conseguenze specifiche a livello di politica estera.

 
  
MPphoto
 

  Arnaud Danjean (PPE).(FR) Signor Presidente, tre brevi considerazioni sull’argomento. In primo luogo, poiché la questione di fondo è la posizione della Francia riguardo la vendita di Mistral, vorrei ricordare che non si è raggiunto ancora alcun accordo definitivo, che si tratta di una nave, che verrebbe venduta priva di armamenti (punto che in realtà rientra tra le questioni principali al centro delle trattative con la Russia) e che i negoziati tra Russia e Francia non riguardano solo l’acquisto di questo tipo di equipaggiamento. Permettetemi quindi di mettere le cose nella giusta prospettiva. Comprendo che questo tasto susciti una sentita reazione in alcuni paesi, ma le emozioni e i fatti sono due cose ben distinte.

In secondo luogo, come lei ha affermato, signor Ministro, abbiamo un codice di condotta europeo per l’esportazione di armi che è divenuto posizione comune sotto la Presidenza francese nel 2008 ed è uno dei più severi al mondo. Sotto questo aspetto siamo più che esemplari e oltre al codice di condotta, come ha ricordato un onorevole collega, vi è anche un gruppo legato alla Politica estera e di sicurezza comune (PESC) che si incontra regolarmente per discutere non solo dell’attuazione del codice, ma anche delle politiche nazionali degli Stati membri sull’esportazione di armi. Non mancano quindi le sedi per affrontare adeguatamente la questione delle Mistral.

Infine, permettetemi di aggiungere che, se si parla di solidarietà europea sull’esportazione di armi, di necessità di una strategia comune e di una politica di difesa, allora lo sguardo va rivolto all’intero ciclo del commercio di armi e di equipaggiamenti di difesa, includendo anche le importazioni e ovviamente l’industria della difesa. Da questo punto di vista, credo che per molti paesi europei il percorso per garantire il mantenimento di tecnologie, posti di lavoro, know-how e una reale capacità strategica di impiego militare sia estremamente lungo.

 
  
MPphoto
 

  Zoran Thaler (S&D).(SL) L’esportazione di moderne navi da guerra francesi in Russia ha una dimensione europea e politica, oltre all’esistenza, o assenza, di una dimensione di solidarietà, perché riguarda sia gli Stati membri della regione baltica, sia i nostri partner nel partenariato orientale, ovvero Georgia, Azerbaigian, Ucraina eccetera.

Sappiamo dell’intervento francese nel conflitto russo-georgiano e della conseguente sottoscrizione di determinati obblighi internazionali da parte della Russia. Ci chiediamo però se la Russia abbia poi rispettato tali obblighi. Ha permesso, ad esempio, l’ingresso nell’Ossezia del sud e in Abkhazia agli osservatori dell’Unione europea? Sono spiacente, ma questo non è ancora avvenuto.

Sappiamo quanto netta sia la posizione comune del Consiglio del 2008: il paese importatore è tenuto a osservare i propri impegni internazionali, rispettare i diritti dell’uomo, mantenere pace, sicurezza e stabilità nella propria regione. E la Russia lo sta facendo?

Un’ultima domanda: in cambio di questa discutibile vendita di navi d’assalto, ritenete che la Francia, o meglio, il Presidente Sarkozy, sia in grado di ottenere da parte della Russia la promessa di cominciare a rispettare veramente i propri impegni internazionali?

 
  
MPphoto
 

  Charles Tannock (ECR).(EN) Signor Presidente, l’industria di armi convenzionali contribuisce in maniera notevole alla economia di molti Stati membri, inclusa quella del mio paese, il Regno Unito. In un mondo instabile e pericoloso, gli Stati membri devono poter difendere sé stessi, i propri interessi e i propri alleati nel mondo.

Negli ultimi anni però l’Unione europea ha fatto registrare un notevole impegno e progressi in sede di Consiglio, con consenso unanime tra i governi, al fine di limitare la produzione e la distribuzione di determinate armi e addirittura per vietare la vendita di armi ad alcuni regimi repressivi. Possiamo essere giustamente fieri di patrocinare la Convenzione di Ottawa, che vieta le mine antiuomo a livello globale. Siamo fiduciosi che l’adozione della Convenzione sulle munizioni a grappolo, entrata in vigore lo scorso mese, costituirà un ulteriore passo verso l’eliminazione di queste terribili armi, sebbene sia ben consapevole della mancanza della ratifica da parte di almeno sei Stati membri.

Nei paesi confinanti con l’UE stiamo lavorando alacremente sotto la guida della Middle Powers Initiative (MPI) per il monitoraggio della produzione di armi e la distruzione degli arsenali di armi nucleari. Un tale impegno deve continuare e se possibile intensificarsi.

Dobbiamo rimanere sempre vigili, visti i tentativi da parte dei terroristi di procurarsi armi attraverso paesi dove i controlli su detenzione ed esportazione di armi avvengono in maniera molto meno rigorosa.

Infine è opportuno che l’Unione europea mantenga il divieto di esportazione nei confronti della Cina per due motivi: innanzi tutto per il deplorevole livello di rispetto dei diritti dell’uomo da parte del regime nei confronti dei propri cittadini; in secondo luogo per dare una dimostrazione di sostegno a Taiwan, che data la prossimità alla Cina è il nostro alleato democratico potenzialmente più in pericolo.

 
  
MPphoto
 

  Inese Vaidere (PPE).(LV) Onorevoli colleghi, le armi e gli equipaggiamenti militari non sono semplici beni commerciali, ma un settore specifico che si riflette direttamente sulla sicurezza nazionale. L’esportazione di armi e di equipaggiamenti militari in paesi terzi, specialmente in democrazie di dubbia reputazione, dove si registrano violazioni dei diritti dell’uomo e rapporti con paesi vicini agli ambienti terroristici, costituisce una seria minaccia non solo per l’Unione europea, ma anche per paesi terzi. Proprio per questo motivo l’esportazione di armi deve essere vista come una componente importante della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. Si può parlare di politica di difesa comune, come ha fatto ieri il Presidente Barroso, se ogni paese ha facoltà di portare avanti i propri commerci autonomamente? La decisione della Francia di vendere una nave da guerra Mistral rappresenta un trasferimento diretto di tecnologia militare a un paese terzo che non è legato all’Europa da un’alleanza militare. Dobbiamo ammettere che un trasferimento di tecnologia in sé non ha necessariamente come conseguenza una maggiore amicizia da parte del paese in questione nei confronti dell’Unione europea, né ora né in futuro, come invece affermato dal ministro francese degli Affari europei Lelouch e da alcuni onorevoli colleghi nel corso della discussione odierna. Il successo di qualsiasi strategia dell’Unione europea dipende dall’adesione a principi adottati da tutti e questo vale in egual misura per la solidarietà tra i paesi dell’UE e per il riconoscimento degli interessi comuni nel corso del processo decisionale. Sia il trattato sull’Unione europea, sia la posizione comune del Consiglio, che definisce le regole comuni sul controllo delle esportazioni di tecnologia ed equipaggiamenti militari, sottolineano l’importanza della solidarietà. Gli interessi economici a breve termine dei singoli non possono ostacolare le priorità e gli obiettivi comuni dell’Unione europea. Le decisioni che hanno un impatto sulla politica estera e di sicurezza dell’Unione europea devono essere prese tramite la consultazione di tutti gli Stati membri, coadiuvati da un adeguato meccanismo giuridicamente vincolante e creato al fine di permettere l’analisi di tutte le possibili conseguenze secondo criteri stabiliti collegialmente. Grazie.

 
  
MPphoto
 

  Marietta Giannakou (PPE).(EL) Signor Presidente, l’interrogazione posta oggi al Consiglio offre l’opportunità di sollevare un’altra importante questione, sostenuta da molti di noi nel corso della Convenzione europea e nel quadro della conferenza intergovernativa, ovvero: difesa e sicurezza in Europa e la creazione di due agenzie, una deputata alla produzione di armi e l’altra per la difesa comune.

Non dimentichiamo che negli Stati Uniti vi è un’unica linea di produzione di carri armati, mentre in Europa ve ne sono 16; otterremmo di conseguenza economie di scala. Tenendo a mente la posizione comune del Consiglio sul controllo delle esportazioni di armi del 2008 dobbiamo ammettere, Presidente Chastel, che non vi è un controllo reale, e non mi riferisco alla Francia ma a tutti i paesi in Europa. Allo stesso modo nessuno controlla realmente se i paesi nei quali esportiamo esportino a loro volta armi a paesi terzi, agendo in altre parole da intermediari tra noi e paesi che non riforniremmo mai.

Ho l’impressione che il gruppo formato nel quadro della PESC non sia in grado di controllare l’esatta destinazione delle armi esportate dagli Stati membri. Un’efficace attuazione della posizione comune e delle sue restrizioni costituirebbe un passo in avanti, ma si può ottenere un vero successo nel controllo delle esportazioni di armi solo attraverso la creazione di un’agenzia di difesa comune e di un’agenzia di produzione di armi, che permetterebbero di ridurre i costi, dando sostegno al contempo ai nostri principi e valori, sulla base dei quali impostare produzione ed esportazione.

 
  
MPphoto
 

  Alf Svensson (PPE).(SV) Signor Presidente, ieri nel suo intervento il Presidente della Commissione ha enfatizzato l’importanza di una politica estera comune e di sicurezza per l’Unione europea. Si tratta di un appello già sentito molte volte. Il Presidente Barroso si è espresso inoltre in tema di difesa comune. A mio avviso una politica coerente deve includere l’industria della difesa e l’esportazione di armi. È un dato di fatto che il trattato sull’Unione europea includa, come già citato, il principio di solidarietà e l’obbligo per gli Stati membri di consultarsi a vicenda all’interno del Consiglio su qualsiasi questione inerente alle politiche estera e di sicurezza. È possibile essere più chiari?

La posizione comune del Consiglio dell’8 dicembre 2008 stabilisce le regole comuni per il controllo delle tecnologie e degli equipaggiamenti militari. Dove sono finite queste posizioni comuni? Non sono arrivate fino in Francia? Forse non sono arrivate neppure fino a noi? Gli Stati membri di Lituania, Estonia e Polonia assieme alla Georgia sostengono che la vendita di navi da guerra Mistral alla Russia abbia diminuito il loro livello di sicurezza. L’ammiraglio Vladimir Vysotsky, comandante in capo della marina militare russa, ha affermato che, se la sua flotta di stanza nel Mar Nero avesse avuto una nave Mistral durante il conflitto con la Georgia, le operazioni sarebbero durate 40 minuti invece che 26 ore.

Non dobbiamo permettere agli Stati membri più grandi di prendersi delle libertà. È risaputo che questi paesi ambiscono al monopolio dell’esportazione di armi, cosa ovviamente inaccettabile. Il paese che detiene la Presidenza, il Belgio, dovrebbe dare avvio al dibattito all’interno dell’Unione europea al fine di ottenere disposizioni comuni chiare sull’esportazione di armi.

 
  
MPphoto
 

  Tunne Kelam (PPE).(EN) Signor Presidente, la discussione si incentra sulla contrapposizione tra bilateralismo da una parte, politiche comuni e solidarietà dall’altra. Tra i cittadini di numerosi Stati membri si è diffusa una seria preoccupazione dovuta all’imminente esportazione di moderne tecnologie militari a paesi terzi.

Appena un anno fa la Russia conduceva manovre militari nell’Europa nord orientale simulando un’invasione dei paesi baltici. Ricordiamo inoltre le famose parole del comandante in capo della marina militare russa, secondo il quale sarebbero bastate 3 ore invece che 3 giorni per portare a termine le operazioni dell’agosto 2008, se avesse avuto a disposizione le portaelicotteri Mistral.

Le dichiarazioni del Segretario di Stato Chastel hanno fornito una risposta soddisfacente e molto positiva ai nostri timori, e lo stesso vale per la dichiarazione dell’onorevole collega Danjean di contrarietà alla vendita di tecnologie militari. I russi però hanno insistito molto per poter acquistare esattamente quel tipo di tecnologia militare e insisteranno ancora.

Rimane un’ultima domanda senza risposta: perché non affrontiamo i casi di possibile vendita di tecnologie militari da parte di uno Stato membro a paesi terzi nel corso delle consultazioni e delle discussioni normali in Consiglio? Questo è appunto il nostro messaggio per il Consiglio europeo: riteniamo necessario che la discussione sull’esportazione di equipaggiamenti militari a paesi terzi divenga una routine in seno al Consiglio.

 
  
MPphoto
 

  Krzysztof Lisek (PPE).(PL) Signor Presidente, produzione ed esportazione di armi e tecnologie militari sono state oggetto di molte discussioni e continueranno sempre a rappresentare un tema ostico a causa della loro natura controversa. I sospetti su chi fomenta conflitti e causa destabilizzazione in determinate regioni vi sono sempre stati e hanno ancora motivo di sussistere. Come già citato da oratori precedenti, anche il controllo dell’esportazione di armamenti non è compito facile. D’altro canto però l’industria degli armamenti costituisce un settore importante per le economie di numerosi Stati membri. Tra i paesi esportatori si contano Francia, Regno Unito, Germania, Polonia, Repubblica ceca e molti altri Stati membri, oltre a Stati Uniti e Russia al di fuori dell’Unione europea. Siamo lontani quindi da una situazione in cui produzione ed esportazione di armi possano divenire oggetto della politica dell’UE. Attualmente gli Stati membri mantengono un alto grado di autonomia in questo campo, ma non sono tenuti ad armonizzare le proprie leggi con la posizione comune del Consiglio del 2008.

Un breve commento sul tema Mistral: invito gli onorevoli colleghi francesi a comprendere la preoccupazione dei paesi baltici e della Polonia. Secondo alcuni generali russi le navi potrebbero venire destinate al Mar Baltico, sul quale si affacciano solo Stati membri dell’Unione europea, oltre alla Russia.

 
  
MPphoto
 

  Andrzej Grzyb (PPE).(PL) Signor Presidente, l’interrogazione dell’onorevole Kariņš è chiaramente giustificata e, sebbene sia stata reiterata durante l’incontro della commissione per gli affari esteri, nessun collega ha ottenuto risposte soddisfacenti. A questo proposito è necessario che il Consiglio agisca in maniera precisa, soprattutto perché sia l’onorevole Kelam sia l’onorevole Czarnecki hanno fornito un contesto più volte citato in questa sede, ovvero la alla considerazione che i comandanti militari russi hanno di questo tipo di armamento e in particolare il fatto che le navi d’assalto Mistral rappresentano un arma offensiva. È opportuno non concentrarsi unicamente sulla conclusione della vendita, ma interrogarsi anche sulle conseguenze che tale vendita comporterebbe. Ci rendiamo tutti conto che è in vigore la direttiva del 2008 , ma a volte dobbiamo anche accettare il fatto che non sia sufficiente la sola esistenza delle disposizioni di una direttiva e di altri regolamenti. La necessità di prendere una decisione è dimostrata dal caso del controllo sul conflitto in Georgia, questione di interesse da parte dell’Unione europea ma ancora irrisolta.

 
  
MPphoto
 

  Kyriakos Mavronikolas (S&D).(EL) Signor Presidente, l’Unione europea sta oggi costruendo veramente una politica estera comune e una politica di difesa, e senza dubbio vi è la necessità di determinati protocolli per regolamentare la condotta delle industrie di armi nei confronti di paesi terzi. Il tema di questa discussione però fa nascere in me un dubbio che desidero presentarvi oggi in seduta plenaria.

Come è possibile giustificare il fatto che per le industrie degli armamenti, in particolare nel Regno Unito, esista un embargo nei confronti di uno Stato membro dell’Unione europea come la Repubblica di Cipro e delle sue forze armate, quando allo stesso tempo si permette alla Turchia di ammodernare, dislocare e trasportare equipaggiamenti, militari e non, all’interno del territorio occupato di Cipro?

 
  
MPphoto
 

  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE).(ES) Signor Presidente, sono stato relatore per questo Parlamento per molti anni, nel corso dei quali quest’Aula ha richiesto praticamente all’unanimità la trasformazione del Codice di condotta del 1998 in una posizione comune vincolante, adottata nel 2008; questo venne allora considerato come un ulteriore ma non definitivo progresso, un passo necessario ma non sufficiente, come è risultato evidente dalla discussione odierna.

Vorrei anche ricordare a quest’Aula che tutti gli Stati membri dell’Unione europea stanno supportando il trattato internazionale sul controllo delle esportazioni di armi nelle Nazioni Unite; proprio questo è l’argomento centrale.

Esportare armi non è come esportare frigoriferi; ha conseguenze molto serie perché le armi uccidono, distruggono e impoveriscono le società. L’Unione europea contribuisce a questo mercato nel momento in cui esporta armi in Israele, in Colombia, in Afghanistan. Dovremmo agire tenendo presente questo senso di responsabilità.

Ritengo quindi necessario ricordare a quest’Aula che, quando si tratta questo argomento, non è solamente una questione di mercato interno, di commercio o di sicurezza, ma bisogna piuttosto considerare la responsabilità internazionale e temo che non è ciò che stiamo facendo.

 
  
MPphoto
 

  Laima Liucija Andrikienė (PPE).(EN) Signor Presidente, il trattato di Lisbona ha portato a maggiori coordinamento e solidarietà in molti ambiti, inclusa la politica estera e di sicurezza. Il trattato contiene inoltre una clausola di reciproca assistenza in caso di aggressione militare a uno Stato membro.

Alla luce di questo, i piani della Francia di vendere quattro navi da guerra alla Russia e di svelarle così tecnologie segrete di costruzione navale divengono alquanto allarmanti. Inoltre le navi da guerra Mistral sono di natura chiaramente offensiva, e sottolineo offensiva, non difensiva.

Di conseguenza, prima di occuparci delle disposizioni di solidarietà previste dal trattato di Lisbona dobbiamo impedire un abbassamento del livello di sicurezza degli altri Stati membri o dei paesi confinanti.

Invito quindi il Consiglio a fare quanto rientra nei suoi poteri per dare inizio ad ampie discussioni all’interno dell’Unione europea sulla necessità di sviluppare una definizione comune e un approccio aggiornato nei confronti della vendita di armi a paesi terzi.

 
  
MPphoto
 

  Janusz Władysław Zemke (S&D).(PL) Signor Presidente, vorrei rivolgere l’attenzione al fatto che l’esportazione di armi è sempre legata alla politica di sicurezza dell’Unione europea. L’esportazione di armi non rappresenta una sfera autonoma o isolata; si tratta di questioni che non riguardano mai solo la sfera militare o quella economica, perché dietro all’esportazione si cela il profitto delle aziende coinvolte e anch’esso ha sempre a che fare con la politica di sicurezza. Sostengo quindi quanti propongono di discutere in sede di Consiglio il tema della politica europea su esportazione e collaborazione militare. L’esportazione di navi d’assalto Mistral a Mosca suscita in noi numerosi dubbi e commenti, ma, osservando la questione dal punto di vista della realizzazione di un sistema di difesa antimissile europea, ad esempio, un coinvolgimento della Russia potrebbe rivelarsi vantaggioso a mio avviso. In altre parole, e in breve, queste questioni non sono così ovvie come sembrano.

 
  
MPphoto
 

  Katarína Neveďalová (S&D). (SK) Non sono assolutamente un’esperta di armamenti o cose simili, ma vi parlo in veste di pacifista e vorrei considerare la questione dal punto di vista di un normale cittadino dell’Unione Europea. Tenendo presente che al momento la produzione di armi nell’Unione europea non conosce sosta, e che al mondo sono in corso circa 30 guerre e innumerevoli altri conflitti regionali o locali, è necessario rendersi conto che tale produzione è votata direttamente a seminare morte e distruzione.

Non preferiremmo forse che i singoli Stati investissero il proprio budget annuale destinato all’armamento o all’equipaggiamento dei propri eserciti, ovvero i soldi dei contribuenti, nella formazione invece? Questa soluzione si rivelerebbe molto più utile in un periodo di crisi economica come questo. Gradirei anche sapere da alcuni di voi quanti Stati membri hanno ridotto il proprio budget per la difesa in questo periodo di crisi economica e in che misura. Sarebbe opportuno che pensassimo all’esempio che stiamo dando alle generazioni più giovani, quando ad esempio eleviamo a sport olimpico una forma di distruzione come le discipline di tiro.

 
  
MPphoto
 

  Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio.(FR) Signor Presidente, è stata una discussione molto interessante e vorrei ritornare in maggiore dettaglio su due concetti.

Innanzi tutto vorrei riformulare il concetto di responsabilità. L’articolo 4, paragrafo 2, della posizione comune stabilisce che la decisione di autorizzare o negare il trasferimento di qualsiasi tecnologia o equipaggiamento militare resta di competenza di ogni Stato membro. Di conseguenza tale responsabilità spetta in primo luogo e chiaramente alle nazioni. La posizione comune non priva gli Stati membri di questa responsabilità, ma presenta un’ampia serie di disposizioni al fine di ottenere un coordinamento efficace e un reciproco scambio di informazioni.

Il secondo approfondimento riguarda il concetto di trasparenza. La posizione comune stabilisce che gli Stati membri presentino una relazione annuale sulle proprie esportazioni di armi, sulla base della quale sarà pubblicata annualmente una relazione globale europea contenente informazioni sul valore economico delle autorizzazioni rilasciate, suddiviso in base alla destinazione, alla categoria di equipaggiamento militare, al numero di autorizzazioni rifiutate e alle relative consultazioni tra gli Stati membri.

Oltre alla relazione annuale dell’Unione europea, la posizione comune richiede agli Stati membri la pubblicazione di relazioni nazionali sull’esportazione di tecnologie ed equipaggiamenti militari. L’obiettivo di trasparenza espresso dalla posizione comune si realizza quindi sia a livello di Unione europea, sia a livello nazionale, nonostante io concordi che spetti all’UE dare l’esempio.

Vorrei aggiungere che, come affermato da vari colleghi, la posizione comune rappresenta un progresso considerevole rispetto al codice di condotta. La sua adozione risale al dicembre 2008, meno di due anni fa; è quindi ragionevole attendere che le nuove disposizioni introdotte dalla posizione comune abbiano effetto prima di intraprendere la revisione di un nuovo sistema anche se, dopo aver ascoltato e compreso le vostre parole, saremmo tentati di rendere il sistema attuale più restrittivo oppure di collegarlo a un sistema di sanzioni.

Infine vorrei chiarire un aspetto molto specifico e rassicurarvi sul fatto che la posizione comune è stata discussa in diverse occasioni a livello politico, in particolare in sede di Consiglio e specialmente nel contesto dell’embargo sulle armi per la Cina.

 
  
MPphoto
 

  Frédérique Ries (ALDE).(FR) Signor Presidente, non voglio richiamare alcun articolo del regolamento, ma desidero semplicemente comunicarle una notizia molto importante: il ministro degli Affari esteri iraniano ha appena annunciato la sospensione della condanna a morte per lapidazione di Mohammadi-Ashtiani.

In questo Parlamento ci siamo battuti tutti e le forze democratiche mondiali stanno continuando la battaglia per ottenere molto di più della sospensione o dell’annullamento della sentenza. Questo è solo un inizio e continueremo a batterci. Scusate ma era una notizia da condividere.

 
  
MPphoto
 

  Presidente. – Grazie onorevole Ries. Sono esattamente le cose che ho detto in apertura della sessione, quando ho annunciato questa notizia, mi fa piacere che siano state ribadite da lei, noi continuiamo questa battaglia per la revisione del processo e in generale per affermare i diritti umani in tutto il mondo.

 
Note legali - Informativa sulla privacy