15. Libera circolazione dei lavoratori – restrizioni temporanee riguardanti i cittadini rumeni e bulgari nel mercato del lavoro dell'Unione europea (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale alla Commissione, presentata dagli onorevoli Plumb, Malinova Iotova, Berès, Hughes, Cercas, Pittella e Steinruck, a nome del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, sulla libera circolazione dei lavoratori – restrizioni temporanee riguardanti i cittadini rumeni e bulgari nel mercato del lavoro dell’Unione europea (O-0096/2010 - B7-0455/2010).
Rovana Plumb (S&D). – (RO) Durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione, il Presidente della Commissione, Barroso, ha sottolineato come sia prioritario accrescere il livello di occupazione in tutta Europa.
Inoltre, tutti noi abbiamo preso un impegno: la realizzazione degli obiettivi previsti dalla strategia dell’Unione europea per i prossimi dieci anni per dell’incremento del livello di occupazione e della riduzione della povertà. Oggi, il Parlamento ha adottato in plenaria gli orientamenti sull’occupazione e abbiamo chiesto al Consiglio di tenerne conto.
Se davvero vogliamo raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti, se davvero vogliamo che l’Europa sia d’esempio in termini di competitività e se davvero vogliamo un’Europa giusta che garantisca il benessere dei suoi cittadini, dobbiamo rispettare il diritto di libera circolazione dei lavoratori.
La libera circolazione dei lavoratori è una delle libertà fondamentali dell’Unione europea. Un mercato interno solido può essere realizzato solo aprendo completamente il mercato del lavoro.
Secondo la comunicazione della Commissione del novembre 2008, i flussi di mobilità hanno avuto un importante impatto positivo sulla crescita economica nell’Unione europea. L’afflusso di manodopera da Romania e Bulgaria è stato propizio per le economie degli Stati membri ospiti, senza per questo pesare in misura significativa sulle retribuzioni e sui posti di lavoro dei cittadini locali.
La crisi economica non può più essere usata come giustificazione per applicare e mantenere queste restrizioni sul mercato del lavoro, il cui prolungamento scoraggia i lavoratori rumeni e bulgari dal cercare un’occupazione redditizia nei rispettivi Stati membri. Ne consegue che i lavoratori sono spesso indotti ad aggirare le disposizioni legali che prevedono l’obbligo di permesso di lavoro, andando così ad accrescere l’incidenza del lavoro illegale. La conseguenza diretta del lavoro nero è l’impossibilità di accedere ai diritti derivanti dal sistema europeo per il coordinamento dei programmi di previdenza sociale.
Romania e Bulgaria ritengono che, nell’attuale clima economico europeo, l’eliminazione delle barriere che ostacolano la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione europea possa contribuire a potenziare la capacità dell’UE di rispondere alle nuove sfide.
Signor Commissario, vorrei porle la seguente domanda, perché voglio che la Commissione europea sia nostra alleata e garantisca piena assistenza istituzionale: quali misure adotterà per incoraggiare gli Stati membri che applicano ancora le restrizioni a optare per la piena apertura dei loro mercati del lavoro?
John Dalli, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la libera circolazione dei lavoratori è un principio fondamentale dell’Unione europea. Insieme alla libera circolazione di beni, servizi e capitali, costituisce un pilastro del mercato unico e ha contribuito al successo dell’integrazione europea.
Come ben sapete, per i sette anni successivi all’adesione di Romania e Bulgaria, i lavoratori di questi paesi non possono beneficiare appieno della libera circolazione. In ragione degli accordi transitori in vigore e delle disposizioni dei trattati di adesione, gli altri Stati membri possono rinviare l’applicazione del diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione ai lavoratori bulgari e rumeni per un periodo massimo di sette anni.
Quando Bulgaria e Romania hanno aderito all’Unione europea nel 2007, già dieci dei 25 Stati membri avevano deciso di aprire il proprio mercato del lavoro ai lavoratori di questi paesi; oggi il numero è salito a 15, mentre solo dieci Stati membri continuano ad applicare le restrizioni. Vale la pena segnalare che, tra questi dieci Stati membri, molti applicano condizioni o procedure meno severe rispetto a quelle in vigore prima dell’adesione di Bulgaria e Romania all’Unione europea.
È importante ricordare che la decisione di applicare o meno gli accordi transitori e limitare l’accesso al mercato del lavoro spetta unicamente allo Stato membro in questione che se ne assume piena responsabilità. La Commissione non ha formalmente alcun ruolo per quanto riguarda l’eliminazione delle restrizioni.
La Commissione è comunque in linea di principio a favore dell’applicazione senza limitazioni del principio di libera circolazione dei lavoratori. Si è inoltre sempre impegnata ad assicurare che gli Stati membri che applicano restrizioni lo facciano nel pieno rispetto delle condizioni previste dal trattato di adesione.
La Commissione ha altresì ripetutamente sottolineato che gli accordi transitori sono per definizione temporanei e che gli Stati membri devono progressivamente aprire i loro mercati del lavoro, anziché posticipare l’applicazione della libera circolazione dei lavoratori fino al termine del periodo di sette anni.
Le relazioni della Commissione del 2006 e del 2008 sul funzionamento degli accordi transitori mostrano che la mobilità dei lavoratori, dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, ha avuto un impatto positivo sull’economia e ha contribuito a soddisfare la domanda di manodopera. Tali conclusioni rimangono valide anche nel contesto dell’attuale crisi economica. La Commissione continuerà a incoraggiare gli Stati membri a riesaminare la propria posizione sull’accesso al mercato del lavoro, con riferimento anche alle conclusioni delle relazioni.
Non esistono informazioni dettagliate sul numero o sulla condizione sociale dei lavoratori irregolari provenienti dagli Stati membri di più recente adesione. Questa mancanza di dati è dovuta proprio alla loro presenza “occulta” negli Stati membri in questione.
Nelle relazioni del 2006 e del 2008, la Commissione ha sottolineato che le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori non necessariamente conducono a una maggiore protezione del mercato del lavoro nazionale, ma possono invece ritardare gli adeguamenti del mercato del lavoro. Gli accordi transitori possono anzi aggravare l’incidenza del lavoro non dichiarato; è stato dimostrato che l’allargamento ha favorito l’affioramento di parte dell’economia sommersa, costituita da lavoratori precedentemente non dichiarati provenienti dai nuovi Stati membri.
È ampiamente dimostrato che cittadini provenienti dai nuovi Stati membri hanno lavorato in nero proprio in ragione delle restrizioni dell’accesso al mercato del lavoro applicate nei “vecchi” Stati membri. Questo dato è perfettamente in linea con la constatazione che i flussi di mobilità sono principalmente influenzati da fattori legati alle condizioni della domanda e dell’offerta e che le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori rallentano gli adeguamenti del mercato del lavoro.
La Commissione non intende elaborare uno studio specifico sulle condizioni di vita e di lavoro della manodopera irregolare proveniente da Bulgaria e Romania e sul suo impatto sui mercati del lavoro nazionali, in particolare in ragione della mancanza di informazioni e delle difficoltà che pone la raccolta di dati di questo tipo. Il problema dei “lavoratori irregolari” sarà in ogni caso affrontato, nella misura del possibile, in tutte le analisi future della Commissione sul funzionamento degli accordi transitori per Bulgaria e Romania, qualora uno dei due paesi lo richieda, come previsto proprio da questi accordi. Inoltre, la Commissione continuerà a promuovere attività specifiche tese a combattere il lavoro sommerso, in collaborazione con gli Stati membri.
La Commissione si rende conto che le restrizioni applicate ai lavoratori bulgari e rumeni possano essere lette come una forma di discriminazione.
Vorrei ricordare che accordi transitori nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori sono stati applicati anche in occasione della maggior parte degli allargamenti precedenti; questi accordi, peraltro, non valgono per la manodopera solo di Bulgaria e Romania, ma anche di otto dei dieci Stati membri che hanno aderito all’Unione europea nel 2004.
Gli attuali accordi transitori offrono maggiore flessibilità agli Stati membri, che hanno la facoltà di decidere in quale momento iniziare ad applicare il diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione dei lavoratori, all’interno del previsto periodo di sette anni, sulla base della situazione del loro mercato del lavoro. Gli accordi transitori precedenti si limitavano invece a rinviare l’introduzione del diritto dell’Unione europea in materia per un certo numero di anni.
La discriminazione percepita dai cittadini bulgari e rumeni che non possono lavorare liberamente nei dieci Stati membri che ancora applicano le restrizioni non si configura tuttavia come una discriminazione nel senso giuridico del termine. L’articolo 18 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea vieta ogni discriminazione in base alla nazionalità, ma sempre in conformità alle disposizioni specifiche contenute in altri trattati dell’Unione europea, tra le quali vi sono gli accordi transitori previsti dal trattato di adesione.
La temporanea restrizione dell’accesso al mercato del lavoro per i lavoratori bulgari e rumeni sulla base degli accordi transitori non è pertanto contraria al diritto dell’Unione europea.
Thomas Mann, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, conformemente alla regola 2+3+2, Germania e Austria stanno utilizzando tutto il periodo transitorio di sette anni per applicare la piena libertà di circolazione per i lavoratori provenienti dagli Stati membri che hanno aderito all’Unione europea nel 2004. Nel caso di Bulgaria e Romania, la Germania sta anche utilizzando tutto il periodo consentito nella seconda fase, dal 2009 al 2011.
Il Commissario Dalli ha ricordato che dieci Stati membri sono ancora soggetti a queste restrizioni, del tutto giustificate, in quanto hanno avuto esperienze diverse. Queste restrizioni non sono mai discriminatorie – lei ha fatto giustamente riferimento all’articolo 18 – e hanno limiti temporali specifici. L’opportunità di adattarsi progressivamente al cambiamento è una scelta politica importante e fondamentale. Sappiamo per esperienza che concedendo troppo presto il diritto di libera circolazione ai lavoratori si espone il mercato del lavoro a gravi rischi. È un problema che coinvolge numerosi gruppi, quali ad esempio i disoccupati di lunga durata e i lavoratori scarsamente qualificati, e nel mio paese, le regioni della Germania orientale. Dobbiamo continuare a disciplinare l’accesso all’occupazione nell’Unione europea, in ragione delle diverse esperienze maturate nelle varie regioni, anche se sicuramente in un prossimo futuro le cose cambieranno. Per ora però non siamo ancora pronti ad affrontare questi cambiamenti.
Riteniamo che sia assolutamente sbagliato chiedere alla Commissione di condurre uno studio sulla cosiddetta influenza positiva della manodopera illegale proveniente da Bulgaria e Romania. Se i lavoratori illegali violano la legge, tali violazioni, per quanto positive, non possono essere minimizzate dalle statistiche. Rimango a favore di controlli severi che ci permettano di combattere il lavoro sommerso; lo dobbiamo ai lavoratori regolari.
Dobbiamo affrontare insieme un’altra sfida, ovvero l’analisi approfondita della questione della piena libertà di circolazione a partire dal 2012, che può comportare sia opportunità che rischi. Solo distinguendo chiaramente questi due aspetti, solo analizzando i fatti concreti attraverso una discussione circostanziata ed esauriente, potremo evitare la politica da salotto, prevenire l’esclusione e finalmente collaborare senza andare gli uni contro gli altri. Questa è la posizione del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano).
Già nel dicembre 2009, avevo chiesto alla Commissione se disponesse di informazioni utili sugli effetti della piena libertà di circolazione dei lavoratori. Mi era stato risposto che questa ha un impatto positivo sull’economia e nessun effetto collaterale negativo sul mercato del lavoro. Mi dispiace, Commissario Dalli, ma non basta. Lei non era in carica all’epoca, ma questo rende ancora più urgente che il suo servizio comprenda i timori della gente e fornisca informazioni esaurienti per portare avanti la discussione sul cambiamento e sulla necessità di argomentare il tema nei vecchi e nuovi Stati membri.
Ivailo Kalfin, a nome del gruppo S&D. – (BG) Signor Commissario, vorrei cogliere l’occasione per esortare i governi degli Stati membri che ancora applicano restrizioni al mercato del lavoro per i cittadini bulgari e rumeni ad abolirle al più presto. Le ragioni del mio appello non sono legate unicamente ai principi dell’Unione europea, uno dei quali è la libera circolazione delle persone.
Sul piano economico, l’apertura del mercato del lavoro assicura un maggiore valore aggiunto, in primo luogo a seguito della più ampia offerta di manodopera specializzata in settori in cui tale forza lavoro è carente sul mercato nazionale. Un chiaro esempio sono i medici e gli operatori sanitari bulgari che lavorano in zone in cui gli Stati membri non dispongono di manodopera propria. È un fenomeno che crea problemi nelle regioni più periferiche della Bulgaria, ma al contempo li risolve in Regno Unito e Francia, per citare alcuni esempi, oltre a presentare vantaggi per i contribuenti: meno costi e servizi pubblici migliori. Nel settore economico, i lavoratori dei nuovi Stati membri sono in genere o specialisti altamente qualificati, che farebbero gola a qualsiasi economia, o lavoratori che vanno a compensare i vuoti del mercato del lavoro, incrementando la competitività ed evitando che le imprese delocalizzino all’esterno dell’Unione europea.
L’idea che i cittadini dei nuovi Stati membri dell’Unione europea portano via il posto di lavoro a cittadini locali scarsamente retribuiti è assolutamente infondata e populistica. Un cittadino bulgaro che va a lavorare in un altro paese ha bisogno di denaro per l’alloggio, per mantenere la famiglia e per mandare i figli a scuola; cerca anche di risparmiare pensando in prospettiva di tornare un giorno a casa. A tutto ciò si aggiunge il problema della barriera linguistica. Tutte le leggende in merito ai compensi infimi a cui questo cittadino accetterebbe di lavorare sono un mito metropolitano ad uso e consumo interno, come confermato dai dati della Commissione europea secondo cui la quota di lavoratori immigrati provenienti dai nuovi Stati membri è passata dallo 0,2 per cento allo 0,5 per cento della popolazione dei vecchi Stati membri a seguito dell’allargamento dell’Unione europea. È evidente che non vi è alcuna ondata migratoria. Al contrario, il problema è che il numero dei lavoratori immigrati provenienti dagli Stati membri è nettamente inferiore a quello degli immigrati provenienti da paesi terzi.
Le restrizioni del mercato del lavoro non possono essere giustificate con argomentazioni obiettive. La parità di accesso ai mercati determina una maggiore trasparenza, produce vantaggi economici e ha un impatto positivo sui sistemi sociali degli Stati membri. Signor Commissario, ci aspettiamo che la Commissione monitori da vicino l’evoluzione della situazione e informi gli Stati membri in merito ai vantaggi dell’apertura del mercato.
Adina-Ioana Vălean, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, sono abbastanza soddisfatta che il Presidente Barroso martedì abbia annunciato tra le sue priorità il rafforzamento del mercato unico. Ventiquattro anni dopo l’Atto unico europeo e diciotto anni dopo la data prevista per la sua piena attuazione, il mercato unico non è ancora una realtà a tutti gli effetti. Per citare il Presidente Barroso: “Soltanto l’8 per cento dei 20 milioni di PMI europee esercita un’attività commerciale oltre confine”.
Il rapporto Monti individua 150 barriere che impediscono la libera circolazione delle persone, dei beni e dei servizi all’interno dell’Unione europea. Questo cosiddetto “mercato unico” mi sembra che assomigli più a pezzo di groviera!
Ora il Presidente Barroso ci propone un atto per il mercato unico e chiede il rilancio dell’idea europea di Delors. Vorrei ripassare rapidamente la storia europea: se vogliamo creare un mercato unico effettivamente basato sul principio della libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi; se vogliamo evitare che si sviluppino forme di nazionalismo economico in risposta alla crisi economica; se vogliamo essere l’economia più competitiva, migliorare la competitività e creare più crescita e posti di lavoro, allora la nostra priorità fondamentale deve essere l’abolizione di queste ingiustificabili barriere alla libera circolazione dei lavoratori imposte a Romania, Bulgaria e ai dieci nuovi Stati membri, che si basano su paure irrazionali dimostratesi del tutto infondate.
La Commissione deve essere estremamente rigorosa con gli Stati membri che decidono di mantenere le restrizioni transitorie che dovranno in ogni caso giustificare sulla base di dati economici solidi. La presunta vulnerabilità o le ipotetiche gravi perturbazioni sui mercati del lavoro nazionali dovranno essere dimostrate sulla base di cifre concrete, supportate da statistiche e fatti.
Se il Presidente Barroso vuole rilanciare il mercato unico, allora è giunto il momento di fare seguire le azioni alle parole. È giunto il momento di abbattere questi muri vergognosi fatti di nazionalismo e protezionismo economico.
Rui Tavares, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Questa settimana qui al Parlamento abbiamo assistito a molte discussioni sulla libertà di circolazione, in particolare per i cittadini provenienti da Romania e Bulgaria; non si è parlato solo di lavoratori, ma ieri anche della minoranza rom o gitana. Spesso ci perdiamo nei dettagli tecnici di questa problematica, dimenticando che la legge dovrebbe costituire solo un quadro generale entro il quale si situa lo spirito dell’Unione europea, fondato sulla libertà di circolazione.
La legge costituisce il limite minimo della libertà di circolazione. Attualmente, i governi di vari Stati membri si servono della legge per contrastare lo spirito costituzionale dell’Unione europea. Anche noi qui ci siamo impantanati nell’analisi giuridica, dimenticando che siamo un parlamento e non uno studio di consulenza legale.
Dobbiamo essere i portatori di un progetto per l’Europa e dobbiamo sottolineare con maggiore vigore che la libertà di circolazione costituisce l’obiettivo dell’Unione europea. Ritengo inoltre che la Commissione non sia all’altezza di questo ideale. Il ruolo della Commissione recentemente è cambiato. Il Commissario ci dice che gli Stati membri hanno il diritto di imporre restrizioni, rispetto alle quali la Commissione non può fare nulla. E invece sì che può! La Commissione è custode dei trattati e dovrebbe sostenere con maggiore energia e convinzione la libertà di circolazione. Sappiamo che grandi entità regionali come gli Stati Uniti o il Brasile, o i nostri concorrenti che, come questi due paesi, godono al loro interno di libertà di circolazione, reagiscono molto meglio alle crisi, perché i loro cittadini possono cercare impiego dove il lavoro c’è. Noi in Europa sin dall’inizio abbiamo avuto difficoltà a reagire rapidamente alla crisi.
Perseguendo unicamente gli interessi nazionali e privati, gli Stati membri dimenticano l’interesse pubblico. Quando si comportano in questo modo con il mercato dei capitali, la Commissione non esita a farsi sentire; ma perché non interviene anche quando lo stesso accade con la libertà dei lavoratori?
Gerard Batten, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, l’interrogazione si apre sostenendo che la libera circolazione dei lavoratori è propizia all’economia degli Stati membri e non ha importanti effetti collaterali negativi sui loro mercati del lavoro.
Il professor George Borjas, economista statunitense, non è d’accordo e sostiene invece che l’immigrazione non produce alcun vantaggio se non esercita un effetto deprimente sui salari nazionali. Nel 2003, uno studio pubblicato dal governo dei Paesi Bassi sosteneva un aumento del PIL, che si sarebbe però concentrato soprattutto nelle mani degli immigrati sotto forma di salari. Lo studio affermava inoltre che il guadagno complessivo netto in termini di reddito per i residenti sarebbe stato probabilmente modesto o addirittura negativo. In una relazione della commissione per gli affari economici della Camera dei Lord nel 2008 si leggeva che, benché teoricamente possibile, non si disponeva di alcuna prova empirica a sostegno del fatto che l’immigrazione netta determini significativi vantaggi dinamici per la popolazione residente del Regno Unito.
L’immigrazione incontrollata e illimitata nel Regno Unito ha avuto un effetto deprimente sui salari dei lavoratori residenti, mentre il costo della vita è aumento in della maggiore richiesta di alloggi. Le persone che si trovano al livello più basso della scala economica ne hanno pagato direttamente le conseguenze.
L’immigrazione massiccia di manodopera a basso costo può probabilmente essere propizia a un’economia in fase di espansione e sviluppo in un paese con ricche riserve naturali non ancora sfruttate, come l’America del XIX secolo, ma avrà l’effetto contrario su un’economia post-industriale sviluppata come il Regno Unito; ed è proprio ciò che è avvenuto.
I governi dovrebbero tutelare innanzi tutto gli interessi dei propri cittadini e in secondo luogo aiutare gli altri paesi a sviluppare le proprie economie attraverso politiche commerciali internazionali ragionevoli, proprio come faceva il Regno Unito prima di aderire all’Unione europea. Ecco perché l’unica politica ragionevole per il Regno Unito è quella sostenuta dall’UKIP (partito per l’indipendenza del Regno Unito) che è favorevole all’uscita dall’Unione europea.
Traian Ungureanu (PPE). – (EN) Signor Presidente, l’attuale crisi economica richiede azioni determinate tese a portare concretamente a compimento il mercato unico. Se non siamo pronti ad aprire i nostri mercati, compreso il mercato del lavoro, a tutti i cittadini europei, il prezzo da pagare sarà superiore ai vantaggi. Alcuni recenti studi condotti dalla Commissione europea hanno dimostrato che l’apertura dei nostri mercati del lavoro sarà benefica e che i timori relativi alla perdita di posti di lavoro a causa dell’immigrazione di manodopera sono del tutto infondati.
Queste forme di allarmismo si sono sempre rivelate un errore. Nel 2006, gli esperti britannici avevano stimato che 300 000 rumeni avrebbero invaso il Regno Unito in cerca di lavoro. Li stanno ancora cercando. Non è accaduto nulla di simile. La verità è che non ci sono motivi ragionevoli per mantenere le barriere nei confronti dei lavoratori rumeni e bulgari L’esperienza del passato dimostra che i lavoratori provenienti dagli Stati membri dell’Europa orientale vanno a colmare dei vuoti sul mercato del lavoro e vanno ad occupare posti di lavoro che i lavoratori locali non vogliono o non sono in grado di occupare completamente.
Inoltre, è escluso che rumeni e bulgari verranno in Europa occidentale con l’obiettivo di beneficiare del suo generoso sistema previdenziale. In Romania e in Bulgaria si registra un elevato tasso di iscrizione agli istituti di istruzione secondaria e superiore ed entrambi questi paesi dispongono di una forza lavoro altamente specializzata e dinamica. Se l’Unione europea vuole fare pieno uso delle proprie risorse in questi periodi di crisi, tra gli Stati membri dovrebbero regnare fiducia politica e apertura economica. Potrei citare le parole pronunciate dal Presidente Barroso due giorni fa qui in Aula: “Se non remiamo insieme, ognuno di noi affonderà da solo”, ovvero se non lavoriamo insieme, ognuno di noi sarà disoccupato da solo.
Evgeni Kirilov (S&D). – (EN) Signor Presidente, la relazione della Commissione indica chiaramente che sono la domanda e l’offerta di manodopera e non eventuali restrizioni sul mercato del lavoro a determinare il volume e la direzione dei flussi di manodopera. Inoltre, afferma che in futuro saranno altamente improbabili consistenti flussi migratori provenienti da Bulgaria e Romania diretti verso i paesi dell’Unione europea.
Queste restrizioni favoriscono il diffondersi di cattive pratiche dovute alla vulnerabilità dei lavoratori illegali che sono facilmente sfruttabili. Come ha affermato il Commissario De Gucht, questi flussi, anche se diventassero ufficiali, non si modificherebbero; in tal caso però gli immigrati pagherebbero i contributi sociali e le imposte.
I flussi migratori provenienti da Bulgaria e Romania a cui abbiamo assistito dopo l’allargamento sono stati abbondantemente superati in numero dalla recente immigrazione di cittadini extracomunitari. Ovviamente, la non discriminazione e la libertà di circolazione sono diritti fondamentali per ogni lavoratore dell’Unione europea ed è deplorevole che alcuni Stati membri, come rilevato nella relazione, abbiano deciso di non rispettare questi principi fondamentali.
Vorrei sottolineare un aspetto molto importante: tollerando l’esistenza di cittadini dell’Unione di seconda classe si rimette in discussione l’integrità dell’Unione nel suo insieme.
Antonyia Parvanova (ALDE). – (BG) Signor Commissario, onorevoli colleghi, se parliamo di un’Unione europea unica e di un mercato europeo unico, non possiamo accettare restrizioni artificialmente imposte a cittadini europei che esercitano il diritto di lavorare in altri Stati membri senza essere discriminati in base alla loro cittadinanza; in questo caso si tratterebbe di una grave violazione dei diritti dei cittadini bulgari e rumeni sul mercato del lavoro. Nello spirito della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dobbiamo evitare che si crei una categoria separata, come ricordato anche dall’onorevole Kirilov, in quanto non vogliamo essere cittadini di seconda classe nell’Unione europea. Per questo, dobbiamo abolire le restrizioni temporanee alla libera circolazione dei lavoratori bulgari e rumeni.
Proprio in riferimento a questo aspetto, chiedo alla Commissione di proporre misure concrete tese a compiere progressi significativi verso la garanzia di un più ampio accesso ai mercati del lavoro degli Stati membri per i lavoratori regolari provenienti da Bulgaria e Romania, senza che questo comporti alcuna violazione delle disposizioni del diritto del lavoro vigente negli Stati membri in questione.
I recenti eventi in Europa legati alla migrazione da entrambi i nostri paesi di cittadini appartenenti alla minoranza rom, che si avvalgono della libertà di circolazione in cerca di un futuro migliore, sono un chiaro indice del fatto che è giunto il momento che la Commissione agisca. Ricordando il comprovato effetto positivo della mobilità a seguito dell’allargamento dell’Unione europea e affinché il mercato interno funzioni in modo più efficace, chiedo alla Commissione di proporre un pacchetto di misure credibili tese a incoraggiare gli Stati membri a modificare la loro politica del mercato del lavoro e a evitare che i governi nazionali prolunghino le attuali restrizioni imposte ai cittadini bulgari e rumeni.
Vorrei concludere sottolineando che occorre eliminare qualsiasi motivo di discriminazione sul mercato del lavoro per consentire alla principale forza motrice dell’integrazione europea, i suoi cittadini, di continuare a funzionare.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, la Francia purtroppo è uno dei dieci Stati membri che hanno imposto restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori rumeni e bulgari. Se le informazioni di cui dispongo sono corrette, la Francia ha esplicitamente chiesto che le misure introdotte contestualmente all’adesione dei primi otto paesi dell’Europa orientale fossero applicate anche a Romania e Bulgaria. È opportuno ricordare che il governo francese dell’epoca non era molto diverso dal governo attualmente al potere ed era particolarmente diffidente nei confronti dei cittadini di questi due paesi. All’epoca erano state promulgate moltissime leggi tese a bloccarne l’ingresso perché, per le autorità francesi, dietro ai rumeni e ai bulgari ci sono i rom.
Come lei ci ha ricordato, signor Commissario, la libertà di circolazione è un principio fondamentale dell’Unione europea. In quest’Aula parliamo spesso dei nostri valori comuni e del nostro impegno nei confronti dei diritti dell’uomo. Ma allora, signor Commissario, perché gli uomini, e le donne naturalmente, sono trattati peggio dei capitali e dei beni?
Ci dice che la mobilità dei lavoratori ha effetti positivi per l’economia, anche nell’attuale scenario economico. Ma allora, signor Commissario, perché la Commissione non dedica all’opera necessaria a convincere gli Stati che queste restrizioni devono essere eliminate le stesse energie che dedica ad altri ambiti economici?
Infine, signor Commissario, lei ci dice che non sono gli Stati a discriminare questi lavoratori. In quanto cittadina francese, su questo punto non posso proprio essere d’accordo con lei.
Iliana Ivanova (PPE). – (BG) Onorevoli colleghi, il Parlamento europeo nel proprio lavoro ha sempre sottolineato il suo ruolo di difensore degli interessi dei cittadini europei. Credo che la maggior parte di noi converrà che la discriminazione, di qualsiasi natura e per qualsiasi motivo, non può trovare posto nell’Unione europea che vogliamo e in cui vogliamo che crescano i nostri figli. Le restrizioni nei confronti dei lavoratori bulgari e rumeni, anche se giuridicamente suffragate dai trattati di adesione di entrambi i paesi, sono fondamentalmente discriminatorie sulla base della nazionalità. Non possiamo parlare di trattamento ingiusto dei rom mentre, allo stesso tempo, facciamo finta di non vedere la diversità di trattamento riservato ai lavoratori provenienti da due Stati membri a pieno titolo.
Condivido quanto affermato da alcuni colleghi. La ricerca condotta e le raccomandazioni espresse dall’Unione europea dimostrano senza ombra di dubbio che l’allargamento dei mercati del lavoro ha avuto un effetto positivo ed è propizio allo sviluppo del mercato interno europeo nel suo insieme. Resta comunque il fatto che dieci Stati membri continueranno ad applicare restrizioni in termini di accesso al proprio mercato del lavoro fino al 2013.
Onorevoli colleghi, l’Europa è a un bivio e dobbiamo decidere ora quale direzione prendere, dobbiamo decidere se vogliamo più o meno integrazione. A mio avviso, vi è indubbiamente una sola direzione possibile: un’Europa forte e unita. Questa strada impone a noi tutti di dimostrare la nostra volontà di rispettare i valori fondamentali europei, tra i quali la libera circolazione delle persone e dei lavoratori. Spero sinceramente che nell’elaborazione delle politiche nazionali non prevalga il protezionismo, perché saremo molto più forti a livello globale solo se saremo uniti e non divisi. Esorto la Commissione europea, naturalmente con il sostegno del Parlamento europeo, a collaborare in modo più attivo e determinato con i paesi che ancora impongono le restrizioni, affinché queste possano presto essere abolite. In questo modo potremo anche aiutare l’economia europea a superare più rapidamente la recessione e potremo guardare negli occhi i nostri cittadini con la coscienza pulita sostenendo che nell’Unione europea del XXI secolo non esiste discriminazione.
Iliana Malinova Iotova (S&D). – (BG) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la Bulgaria e la Romania hanno smentito le preoccupazioni degli europei che temevano un massiccio afflusso di lavoratori in grado di costituire una minaccia per i loro mercati del lavoro. Le statistiche della Commissione europea hanno illustrato che meno dell’1 per cento dei cittadini bulgari cerca lavoro nei vecchi Stati membri. Una tendenza che non si è modificata nemmeno nel contesto di una grave crisi finanziaria ed economica e alla luce dei nuovi timori di una crescita vertiginosa della disoccupazione. È ovvio che i lavoratori tendano a migrare verso i paesi in cui c’è domanda di manodopera, ma i dati dimostrano che la disoccupazione in alcuni di questi dieci paesi è più elevata che in Bulgaria e Romania.
Il mantenimento delle restrizioni favorisce l’economia sommersa e il lavoro non dichiarato. Non so se siate a conoscenza del fatto che solo nei Paesi Bassi, la percentuale di rumeni che lavorano in nero è aumentata dell’8 per cento. Il fenomeno è tollerato dai datori di lavoro e dagli olandesi perché riduce i loro costi. Senza parlare poi dei lavoratori stagionali che non hanno né contratti di lavoro né diritti sociali. Le restrizioni non risolveranno il problema della disoccupazione in Europa.
Sono certa, signor Commissario, che la Commissione disponga dei meccanismi necessari per esercitare pressione su questi dieci paesi affinché ripensino alle restrizioni applicate ai lavoratori bulgari e rumeni. Lei ha fatto giustamente riferimento ai trattati, ma non dobbiamo dimenticare che i trattati sono stati firmati in determinate circostanze Ora viviamo in una situazione diversa, siamo in una fase di recessione. È giunto il momento di avviare una nuova discussione in materia anche in seno al Consiglio, e spetta a lei farlo. Ci aspettiamo non solo che siate nostri alleati, ma anche che proponiate azioni concrete. La Commissione è il custode dei trattati dell’Unione europea e non deve accettare che si applichino due pesi e due misure per Bulgaria e Romania e per il resto dell’Unione, a prescindere dai diversi orientamenti che ovviamente esistono e che sono stati esposti anche qui in Aula.
Renate Weber (ALDE). – (EN) Signor Presidente, confesso che mi sentirei più a mio agio parlando la mia lingua, ma mentre ascoltavo la risposta del Commissario, ho deciso di lasciare da parte gli appunti che avevo preparato e di intervenire in inglese. In primo luogo perché preferirei che il Commissario ci ascoltasse direttamente, senza il tramite degli interpreti; e in secondo luogo, perché altrimenti, durante questa discussione a tarda ora in Aula, sentiremmo parlare rumeno e bulgaro per la maggior parte del tempo.
Signor Commissario, lei ha detto che numerosi studi hanno dimostrato che, dopo l’adesione dei paesi dell’Europa orientale e centrale, non sono emersi problemi nei paesi in cui i lavoratori sono stati accettati, ma che è anzi avvenuto proprio il contrario: l’impatto è stato positivo e il PIL è aumentato. L’afflusso dei lavoratori provenienti da questi paesi non viene quindi visto come una minaccia. Il fatto che lei abbia citato anche altri paesi oltre a Romania e Bulgaria non ci tranquillizza affatto, anzi, sortisce l’effetto contrario: mostra che il numero dei cittadini europei discriminati è molto più elevato.
Devo confessare che mi ha sorpresa sentirle dichiarare che gli unici responsabili di questa situazione sono gli Stati membri. Se non possiamo parlare di un mercato unico senza includervi il mercato del lavoro, e se conveniamo tutti che si tratta di un diritto fondamentale, allora come può essere unicamente responsabilità degli Stati membri? La verifica del rispetto dei diritti fondamentali rientra nella sfera di competenza dell’Unione europea, ma in questo caso non trova quindi applicazione il principio di sussidiarietà.
Sinceramente credo che la Commissione dovrebbe fare molto di più per convincere gli Stati membri ad abolire queste restrizioni, che screditano l’Unione europea.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D). – (RO) La libera circolazione delle persone è uno dei principi fondamentali dell’Unione europea. La realizzazione del mercato unico si basa sulla libera circolazione dei lavoratori e la mobilità della manodopera è un presupposto fondamentale per ridurre la disoccupazione nell’Unione europea.
La crisi economica non può essere usata come pretesto per continuare ad imporre le misure temporanee che limitano la libera circolazione dei lavoratori rumeni e bulgari. Vorrei sottolineare il fatto che gli Stati membri devono privilegiare i cittadini dell’Unione europea rispetto ai cittadini extracomunitari.
Gli attuali ostacoli che impediscono la libera circolazione dei lavoratori rumeni e bulgari possono favorire lavoro sommerso e dumping sociale, mentre l’abolizione di queste barriere tutelerà nella stessa misura i lavoratori immigrati e locali.
Nei paesi in cui si applicano queste barriere, le aziende stesse hanno richiesto la completa apertura del mercato del lavoro, a indicare che gli imprenditori e i sindacati si sono resi conto che l’abolizione delle restrizioni significa parità di retribuzione per lavoro e competenze di pari valore. Significa soprattutto che ogni lavoratore non solo pagherà tasse e gli oneri sociali, ma contribuirà anche al sistema previdenziale e sanitario.
L’Unione europea si basa principalmente sui suoi 500 milioni di cittadini sul rispetto dei loro diritti. Esorto la Commissione e gli Stati membri a dare prova della volontà politica necessaria per eliminare le restrizioni che impediscono la libera circolazione dei lavoratori.
Cătălin Sorin Ivan (S&D). – (RO) Questa sera stiamo discutendo di un problema, una soluzione e un atteggiamento della Commissione che fatico a comprendere.
La scarsità di manodopera in Europa occidentale e l’invecchiamento della popolazione sono, in un certo qual modo, compensate dalla manodopera proveniente dall’Europea orientale. Si tratta di cittadini europei che affrontano viaggi di migliaia di chilometri per venire a lavorare, anche se solo per periodi brevi, nei paesi occidentali.
Ci sono lavori che spagnoli, italiani o francesi non vogliono fare e che vengono invece svolti da questi lavoratori. In pratica, i problemi dell’Europa occidentale sono risolti dalla manodopera proveniente dai paesi dell’Europa orientale. È tuttavia difficile comprendere l’atteggiamento della Commissione, perché queste problematiche devono essere disciplinate e i diritti di questi lavori rispettati.
Al momento, nessuno ha ben chiara la situazione, per esempio per quanto riguarda i contributi sociali versati da cittadini che, dopo aver lavorato in Spagna o in Italia, ritornano nel loro paese d’origine.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Come già ricordato in Aula, quasi quattro anni dopo l’adesione all’Unione europea, constatiamo ancora questa divisione che mette nuovamente in discussione non solo il progetto di integrazione, ma anche la realtà presentata nella raccomandazione della Commissione europea che, solo due anni fa, sottolineava l’impatto positivo della mobilità del mercato del lavoro nella scia dell’adesione di Romania e Bulgaria.
La libera circolazione dei lavoratori è un principio fondamentale e l’attuale situazione non fa che confermare quanto sia assurda la restrizione che riguarda rumeni e bulgari. L’economia europea risente delle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione e della scarsità di manodopera in certi settori, rendendo pertanto necessaria la migrazione dei lavoratori.
Questa settimana abbiamo anche discusso del problema dei rom in Francia, crisi che sarebbe stato possibile evitare se questi cittadini europei avessero potuto trovare un posto di lavoro senza essere tenuti ai margini della società, anche a causa dei divieti di assunzione. Purtroppo, anziché affrontare le cause dei problemi, alcuni pensano di poterli risolvere mettendo in atto misure poliziesche. Tutto questo è indice di mancanza di realismo, purtroppo condito dall’uso ipocrita di due pesi e due misure.
Anche prostituzione, accattonaggio e criminalità sono conseguenze della povertà esacerbata dall’assenza di opportunità di lavoro. L’unica soluzione possibile è un trattamento giusto e non discriminatorio per tutti i cittadini dell’Unione europea.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Molte relazioni e statistiche dimostrano che la libera circolazione dei lavoratori è favorevole all’economia e non produce significativi effetti collaterali negativi sui mercati del lavoro. Personalmente credo che la più ampia libertà di circolazione, compresa la possibilità di lavorare in un altro Stato membro – valida per tutti i cittadini all’interno dell’Unione – sia un presupposto fondamentale per il funzionamento ottimale ed omogeneo del mercato unico.
Con riferimento al principio di uguaglianza di tutti i cittadini dell’Unione europea, sono favorevole all’apertura dei mercati del lavoro ai cittadini di tutti gli Stati membri, e pertanto anche di Romania e Bulgaria; chiedo quindi alla Commissione di non consentire il prolungamento, del tutto inutile, delle misure esistenti riguardanti questi lavoratori. Un’azione di questo tipo non sarebbe, a mio avviso, conforme con lo spirito e gli obiettivi del trattato sull’Unione europea e sul suo funzionamento e nemmeno con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che è giuridicamente vincolante e sancisce con grande chiarezza all’articolo 45 che ogni cittadino dell’Unione europea ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Spero sinceramente che le restrizioni che impediscono ai lavoratori rumeni e bulgari l’accesso al mercato del lavoro europeo non siano mantenute anche dopo il 2011.
Non dovremmo permettere che timori privi di qualsiasi giustificazione economica e sociale siano sfruttati politicamente. Limitando la libera circolazione dei lavoratori.
La migrazione di lavoratori dai nuovi Stati membri ha alimentato la crescita economica nell’Unione europea e ha avuto un impatto limitato sulle retribuzioni e sulla disoccupazione sui mercati deregolamentati. Inoltre, durante la crisi, i lavoratori immigrati sono stati colpiti ancora più duramente dei cittadini dei paesi ospiti, in quanto sono stati i primi ad essere licenziati.
Infine, nel contesto delle discussioni sul problema dei rom in Francia, credo sia necessario condurre un’analisi sul livello di integrazione dei lavoratori immigrati provenienti dai nuovi Stati membri. Occorre monitorare il loro adattamento alle normative locali, laddove l’accesso al mercato del lavoro è stato deregolamentato.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D). – (RO) È imperativo che le politiche dell’Unione europea in materia di libera circolazione dei lavoratori riconoscano i diritti sociali fondamentali dei cittadini dell’UE e degli Stati di recente adesione, nei loro paesi d’origine e nei paesi ospiti.
L’Unione europea deve adottare immediatamente un quadro normativo comune in grado di regolamentare l’accesso dei lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri al mercato del lavoro.
Fino a quando le politiche sociali non offriranno alcuna garanzia in questi ambiti, per molti cittadini e lavoratori in tutta l’Unione europea sarà difficile accettare una qualsiasi proposta legislativa tesa a promuovere canali legali a favore della libera circolazione dei lavoratori in Europa.
La Commissione deve attuare in modo uniforme i diritti e gli obblighi derivanti dallo status di cittadino dell’Unione europea, sia per i vecchi sia per i nuovi Stati membri. Mi riferisco in questo caso al diritto alla libertà di circolazione dei lavoratori rumeni e bulgari.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Le recenti espulsioni in massa di cittadini rumeni e bulgari da parte del governo francese illustrano le gravi conseguenze delle restrizioni temporanee, che colpiscono i cittadini dei nuovi Stati membri all’interno dell’Unione europea. Oltre alla gravità degli atti di razzismo e xenofobia perpetrati dallo Stato – azioni inaccettabili ai danni di cittadini rom o gitani – i governi di Francia e di altri Stati membri dell’Unione europea stanno anche cercando di nascondere con queste misure il fallimento delle politiche neoliberiste che lasciano dietro di sé disoccupazione e povertà.
Si tratta quindi ora di capire se la Commissione europea, il Consiglio e i governi nazionali siano disposti ad adoperarsi per una politica tesa all’aumento dei posti di lavoro accompagnati da diritti e al progresso sociale, in grado di assicurare il benessere di tutti e la fine della discriminazione tra cittadini ugualmente europei. È questa la sfida che dobbiamo affrontare, signor Commissario.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, quello odierno è un tema molto interessante. La libertà di circolazione deve essere un diritto fondamentale per tutti gli europei, del quale molti lavoratori di tutta l’Unione hanno beneficiato e che ha portato vantaggio anche gli Stati membri.
Nel mio paese, negli anni della tigre celtica, abbiamo abbondantemente beneficiato dell’afflusso di manodopera proveniente in particolare dai paesi dell’est, che ha dato un grande contributo e ha favorito la nascita del mito della tigre celtica. Ora però il mito è morto e l’Irlanda è vista come un paese debole. Molti cittadini lasciano il paese e molti giovani, in particolare, non trovano lavoro.
In un’ottica a lungo termine, l’unica possibilità per garantire una vera libertà di circolazione dei lavoratori è stabilire livelli retributivi comuni in tutta l’Unione europea e prestazioni sociali comuni. È un obiettivo ancora molto lontano e, in particolare in quest’epoca di recessione, è quasi ridicolo parlarne, ma sarebbe alla fine dei conti l’unico modo per garantire la libertà a cui aspiriamo.
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, è vero che la libera circolazione dei lavoratori nell’Unione europea costituisce un indicatore significativo della perfezione interna dell’Unione europea. È anche vero che in un prossimo futuro, daremo per scontata la libera circolazione dei lavoratori.
Tuttavia, laddove esistono differenze consistenti tra i livelli reddituali e, in particolare, tra i sistemi normativi degli Stati membri, è necessario prevedere adeguati periodi transitori. Si tratta sostanzialmente di creare fiducia tra le persone e i periodi transitori, benché di durata limitata, sono uno strumento fondamentale per consentire alle persone un avvicinamento amichevole. Siamo favorevoli a questa soluzione, ma è comunque necessario affrontare una discussione circostanziata sull’opportunità di prolungarli.
John Dalli, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, per concludere, gli accordi transitori hanno proprio la funzione di aiutare gli Stati membri a evitare perturbazioni dei mercati del lavoro a seguito dell’adesione dei nuovi Stati membri, e non servono solamente a rinviare alla fine del periodo previsto l’applicazione del diritto di libera circolazione.
Come ha affermato l’onorevole Parvanova, il bene più prezioso che abbiamo sono i nostri cittadini e dobbiamo continuare ad insistere sulla libera circolazione per realizzare un efficace mercato unico del lavoro.
L’onorevole Kalfin ha citato, come esempio della libera circolazione dei lavoratori, gli assistenti sanitari. Devo però farvi notare che spesso gli Stati membri che ancora applicano le restrizioni, spesso ricercano assistenti sanitari nei nuovi Stati membri, i quali risultano a volte danneggiati da questo fenomeno. Sono pertanto d’accordo con l’onorevole Kalfin sul fatto che dobbiamo chiedere agli Stati membri di eliminare al più presto le restrizioni.
La Commissione non solo continuerà a verificare le modalità di applicazione di questi accordi transitori da parte degli Stati membri, ma porterà avanti la promozione di attività specifiche per combattere il lavoro non dichiarato, in collaborazione con gli Stati membri.
Continuerà soprattutto ad incoraggiare gli Stati membri a riesaminare le proprie decisioni sulla restrizione dell’accesso al mercato del lavoro per i lavoratori bulgari e rumeni alla luce della situazione dei mercati del lavoro nazionali.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Ioan Enciu (S&D), per iscritto. – (RO) La relazione della Commissione del novembre 2008 indica che i flussi migratori a seguito dell’allargamento dell’Unione europea del 2007 hanno avuto nel complesso un effetto positivo. Gli Stati membri che ancora applicano le restrizioni al mercato del lavoro dovrebbero riconsiderare la propria posizione. Sebbene, conformemente agli accordi transitori previsti dal trattato di adesione firmato da Romania e Bulgaria che limitano il diritto al lavoro, le restrizioni non si configurino come atti discriminatori, non è normale né morale che continuino ancora ad essere applicate nella sfera di libertà, sicurezza e giustizia così tanto tempo dopo l’adesione. È giunta l’ora che la Commissione si adoperi per convincere gli Stati membri che applicano le restrizioni ad abolirle. Come possiamo spiegare ai cittadini rumeni e bulgari dell’Unione europea che in quest’Aula noi, i loro rappresentanti eletti, possiamo offrire gli stessi diritti in materia di lavoro a tutti gli immigranti legali, ma non possiamo fare nulla per loro? La Commissione e gli Stati membri devono agire nello spirito dell’Unione europea e tradurre in pratica il principio della libera circolazione dei loro cittadini.
Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) La libera circolazione dei lavoratori è un eterno problema, oltretutto estremamente delicato, nell’Unione europea. Perché la Commissione dovrebbe pensare a misure tese ad aprire il mercato specificatamente per Bulgaria e Romania? Nell’attuale crisi economica, è decisamente meglio trovare scuse che “giustifichino” l’apertura del mercato del lavoro.
È noto che tutti i cittadini dei cosiddetti nuovi Stati membri dell’Unione europea sono considerati di seconda classe. Alla Commissione dovremmo piuttosto chiedere: che cosa intendete fare per affrontare questo problema? Del resto, tra i requisiti richiesti ai funzionari incaricati di occuparsi dell’aspetto tecnico del funzionamento delle istituzioni dell’Unione europea, figura ancora l’ottima conoscenza di due delle undici lingue dei 15 vecchi Stati membri. O forse questa regola è stata modificata? Onorevoli colleghi, se diamo un’occhiata ai nostri lasciapassare parlamentari, vi troviamo ancora – oltre sei anni dopo l’allargamento dell’Unione agli Stati dell’Europea centrale – solo le undici lingue dei 15 “vecchi” Stati membri. Non è forse anche questa una forma di discriminazione nei confronti dei nuovi Stati membri? Ed è forse conforme al trattato di Lisbona e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea?