Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulle conclusioni della riunione straordinaria del Consiglio Ecofin del 7 settembre 2010.
Didier Reynders, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signora Presidente, la riunione del Consiglio Ecofin appena svoltasi a Bruxelles ci ha permesso di progredire su due fronti grazie all’adozione del semestre europeo, nel quadro del consolidamento di bilancio e delle nuove procedure di sorveglianza dello stesso, e grazie al sostegno all’accordo raggiunto durante un trilogo tra la Commissione, il Parlamento europeo ed il Consiglio su tutti i testi di supervisione finanziaria.
Parallelamente, abbiamo avviato due dibattiti che proseguiranno alla fine del mese in occasione della riunione informale del Consiglio Ecofin e che speriamo di portare avanti nel corso dei prossimi sei mesi: uno sui fondi di risoluzione per il settore bancario, o prelievi a carico delle banche, e l’altro sulla tassa sulle operazioni finanziarie.
Vorrei commentare entrambi questi punti. In riferimento al semestre europeo, si tratta di un primo passo che permetterà di introdurre, a partire dal primo gennaio dell’anno prossimo, la nuova procedura di bilancio con la Commissione. In primavera, prima di proseguire con la suddetta procedura, richiederemo agli Stati membri di presentare alcuni dati di bilancio, i parametri utilizzati per redigere i bilanci e gli indirizzi di massima, senza una disamina dettagliata di ogni rubrica. Speriamo di potere aggiungere, tra le altre cose, ulteriori disposizioni e mi riferisco a quelle relative alle sanzioni. In ogni caso, la Presidenza sosterrà il processo volto ad imporre tali sanzioni, su iniziativa della Commissione e, laddove possibile, attribuiremo un ruolo specifico al Commissario per gli affari economici e monetari.
In merito alla supervisione, desideravo ringraziare ancora una volta i relatori e tutti i colleghi che si sono impegnati nel tentativo di raggiungere il consenso sui vari testi, nonché la Commissione, il Commissario Barnier e i suoi collaboratori e le Presidenze che ci hanno preceduto, ovvero quella spagnola e quella svedese. Adesso abbiamo a nostra disposizione dei testi che, a partire dal primo gennaio del prossimo anno, ci permetteranno di istituire nuove strutture di supervisione e sorveglianza nonché il comitato per il rischio sistemico. Questo processo ci consentirà di progredire alle giuste condizioni, grazie ad una nuova architettura per il sistema finanziario e per la sua supervisione.
Vorrei semplicemente evidenziare che, sebbene il processo vada avanti da tempo, non siamo ancora giunti alla fine; si tratta piuttosto dell’inizio di un nuova forma di organizzazione europea e, probabilmente, l’inizio di una lunga discussione che condurrà all’adozione di diversi testi, che il Commissario Barnier avrà modo di presentare nel corso delle prossime settimane. Cercheremo di rispettare una tabella di marcia rigida in merito.
Ho affrontato i due punti che sono stati oggetto delle decisioni formali prese dall’Ecofin. Come ho appena detto, si sono tenuti dibattiti anche su altre due questioni: il primo in merito ai fondi di risoluzione del settore bancario, o il prelievo a carico delle banche, ed il secondo – e le due questioni vanno mantenute ben separate – sulla tassa sulle operazioni finanziarie.
Ritengo che, per quanto riguarda il prelievo a carico delle banche ed i fondi di risoluzione del settore bancario, il dibatto svoltosi in occasione della riunione Ecofin abbia prodotto una serie di linee guida che permetteranno alla Commissione di avanzare proposte più dettagliate e specifiche. Sono convinto che, applicando lo stesso approccio proattivo utilizzato nel caso della supervisione finanziaria, dovremmo essere in grado di concludere questo dibattito nei prossimi mesi con la creazione di meccanismi che consentano un reale coordinamento all’interno dell’Europa. Alcuni paesi hanno già imposto un prelievo sul settore bancario, ma è essenziale procedere in modo coordinato. Riconosco che restano ancora dei temi da affrontare e ne discuteremo durante la riunione informale del Consiglio dei ministri delle Finanze che si terrà alla fine di questo mese.
Il dibattito relativo alla tassa sulle operazioni finanziarie è molto più acceso. Siamo ancora lontani da un consenso, il che è normale. Si è trattato di un primo dibattito approfondito, durante il quale è stato possibile porre domande specifiche sulle possibilità di attuazione di una tassa simile e sull’eventualità di farlo all’interno dell’Unione europea ovvero di confrontarsi con altri partner. Ritorneremo sulla questione alla fine del mese in preparazione delle riunioni del G20, poiché è essenziale, per la maggior parte dei partecipanti, che se ne discuta non solo con i nostri partner sull’altra sponda dell’Atlantico ma anche con i paesi emergenti.
Infine vorrei affermare la necessità di ulteriori impegni specifici in merito a questa tematica, per poi prendere delle scelte. Se un giorno verrà introdotta una tassa di questo tipo, come verranno utilizzati gli introiti? Alcuni potrebbero destinarli ai bilanci nazionali, altri impiegarli per finanziare misure atte a contrastare il cambiamento climatico, altri ancora – come ad esempio è già stato fatto in Belgio – utilizzarli per finanziare lo sviluppo.
Questo, signora Presidente, è quanto ritenevo necessario riferire in merito alla riunione del Consiglio che si è appena svolta a Bruxelles.
Michel Barnier, membro della Commissione. – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, vorrei fare seguito alle parole del Presidente Reynders e commentare il nostro approccio alla riunione del Consiglio Ecofin, parlando anche a nome dei miei colleghi, i Commissari Rehn e Šemeta, con i quali ho collaborato.
L’incontro si è focalizzato su quattro punti, come evidenziato dal ministro belga. Dal momento che il Parlamento ha svolto un importante ruolo in questo contesto, permettetemi di iniziare con un tema centrale, che considero fondante e al quale ho dedicato buona parte delle mie energie da febbraio, quando ci avete espresso la vostra fiducia: la supervisione.
La supervisione è infatti la pietra angolare, il quadro entro il quale, mattone su mattone, settimana dopo settimana, prodotto dopo prodotto, mercato dopo mercato o attore dopo attore, saremo in grado di trarre degli insegnamenti dalla crisi e realizzare norme intelligenti ed una supervisione efficace cosicché, alla fine del cammino – e non vi siamo ancora arrivati – nessun attore, nessun prodotto, nessun mercato e nessun territorio possa sfuggire ad una regolamentazione intelligente e ad una supervisione efficace.
Relativamente a questo tema, permettetemi di esprimere i miei più sentiti ringraziamenti – e sono certo che anche il Parlamento sarà a sua volta in grado di adottare i risultati prodotti dal trilogo nel giro di qualche settimana – ai vostri relatori, gli onorevoli García-Margallo y Marfil, Skinner, Sánchez Presedo, Goulard, Giegold, Tremosa i Balcells e Balz e alla Presidente della commissione, l’onorevole Bowles, che ha portato avanti questo dialogo a tre con grande determinazione. Vorrei aggiungere che il Presidente in carica belga, il ministro Reynders, si è impegnato molto in prima persona, svolgendo un ruolo proattivo e facendo affidamento non solo sul lavoro del suo gruppo, ma anche su quello svolto precedentemente dalle Presidenze spagnola e svedese.
Vorrei sottolineare altresì, onorevoli deputati, che lo spunto iniziale, alla base della proposta della Commissione, è stato il lavoro brillante svolto da Jacques de Larosière, volto a trarre i primi insegnamenti dalla crisi. Il risultato è che, il primo gennaio, avremo degli organismi europei. La Commissione lavorerà a fondo, come è suo dovere, alla preparazione della costituzione di queste tre autorità e del comitato europeo per il rischio sistemico. Ho parlato di radar e torri di controllo europei: sono necessari perché, come ben sappiamo, la metà delle banche nella metà degli Stati europei che voi rappresentate ha sede in altri paesi. Ci troviamo dinanzi a istituti finanziari di natura transnazionale e che, di conseguenza, comportano dimensioni e rischi sistemici.
Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare la Presidenza ed esprimere i miei più sentiti ringraziamenti al Parlamento e ai relatori per il lavoro cruciale svolto al fine di trasformare questa prima fase, così come definita dal Presidente Reynders, in un successo. Ora ha inizio la fase di costruzione.
Vi renderete conto che riempiremo questo quadro settimana dopo settimana. A partire dalla prossima settimana presenterò il regolamento sugli strumenti derivati e il regolamento sulla vendita allo scoperto e solo in un secondo momento quello sulle agenzie di rating del credito.
Vi sono altri due argomenti di discussione relativi al settore finanziario che si riferiscono alle idee sui contributi e la tassazione; uno è ad uno stadio più avanzato dell’altro e concordo con il Presidente in carica belga quando sostiene che non dovremmo confondere i due temi, dal momento che sono differenti, sebbene riguardino entrambi i finanziamenti dal settore finanziario.
Il primo tema riguarda i fondi di risoluzione. Si tratta di un dibattito già avviato in seno al Consiglio. Devo riconoscere, onorevoli deputati, che i dibattiti in seno al Consiglio sono estremamente utili, come ho potuto constatare io stesso ieri, poiché i giri di tavolo permettono di affrontare le questioni con maggiore chiarezza. Ho dato avvio a questo dibattito a Madrid, sotto la Presidenza spagnola, in occasione di una riunione informale del Consiglio, illustrando l’idea di un insieme di strumenti volti a prevenire le crisi nei settori bancario e finanziario sulla scorta di due concetti semplici. Il primo concetto è che prevenire è sempre meglio che curare – vale per l’ambiente così come per le crisi finanziarie – e in secondo luogo i contribuenti non dovrebbero più essere in prima linea, ma devono piuttosto essere le banche a pagare per le banche.
Sulla base di queste idee ho quindi presentato i contenuti di un pacchetto di strumenti che includeva i fondi di risoluzione. Al riguardo, desidero evidenziare l’importanza del lavoro svolto dall’onorevole Ferreira a nome del Parlamento. Ad ottobre diffonderò una comunicazione sulla base delle posizioni del Parlamento e dell’onorevole Ferreira e delle reazioni del Consiglio dei Ministri. E perché proprio a ottobre? Perché allora avremo già compiuto passi in avanti per quanto riguarda l’importante processo di Basilea, con l’obbligo di capitalizzazione qualitativa e quantitativa dei fondi propri.
Sappiamo tutti che, quando si parla di contributi dalle banche o di prelievi dalle banche, si devono mettere insieme tutti i pezzi e prestare attenzione a quella che ho definito la “calibratura” delle suddette misure, al fine di garantirne l’efficacia e che nessuno vi sfugga. Non rimarrà tutto come in passato, ma al contempo non dobbiamo penalizzare l’economia senza considerare l’effetto cumulativo di tutte queste misure.
Pertanto, in ottobre produrrò una comunicazione sulla prevenzione di crisi future e sulla responsabilità delle banche e del fondo di risoluzione, idee che sono in corso di sviluppo, ma che la Germania, e la Svezia prima di lei, ha appena messo in pratica. Tenteremo di costituire un sistema coordinato con un nucleo comune, che eviterà un coordinamento carente o casi di concorrenza e di doppia tassazione sugli istituti bancari.
Come dichiarato dal Presidente Reynders, il dibattito è appena cominciato. Quello sulla tassazione delle operazioni finanziare a livello internazionale è molto più complesso e ha avuto inizio in seno al G20. Non tutti erano entusiasti. Molti tra di noi la ritengono un’idea ragionevole e credono che le operazioni finanziarie dovrebbero, in modo contenuto e al contempo efficace, contribuire al finanziamento di una serie di grandi sfide internazionali, al fine di rendere il mondo un luogo più equo e dunque più stabile e sicuro. Il mondo in cui viviamo sarà più sicuro solo se più equo, ed oggi non è così.
Siamo consapevoli di tutte le sfide (quali l’ambiente, il cambiamento climatico e i beni alimentari) e delle crisi che, oltretutto, colpiscono più duramente i paesi più poveri. Molti di noi ritengono sia un’idea ragionevole, ma siamo a dir poco molto lontani dal raggiungere un consenso in seno al Consiglio dei Ministri. Dovremo continuare a lavorare in questa direzione. Il mio collega, il Commissario Šemeta, ha stilato una nota d’informazione iniziale e produrremo una nuova comunicazione specifica sulla tassazione del settore finanziario sulla base del lavoro svolto al Consiglio dei Ministri. Tale comunicazione è prevista per ottobre.
Non ripeterò quanto già detto dal Presidente Reynders relativamente al programma di convergenza e di stabilità, l’impegno profuso dalla Commissione ed il lavoro svolto dalla task force. Farò semplicemente riferimento all’idea – che trovo utile – di un semestre europeo, che metterà nella giusta prospettiva le analisi di bilancio di ognuno dei nostri paesi, rispettandone al contempo la sovranità, e fornirà una fotografia – un altro radar europeo – degli indirizzi generali per le politiche economiche dei vari paesi. Il Consiglio lavorerà inoltre sulla base dei documenti e delle relazioni della Commissione su questo tema.
A cena, il Presidente Reynders ha sollevato due punti su cui discutere che desidero illustrarvi in breve. Uno dei due, che riguarda tutti noi, è il funzionamento dell’IASB, il Comitato sulle norme contabili internazionali. Vorremo riformarne la governance e pervenire ad una maggiore trasparenza. Ho dichiarato alla Presidenza di essere pronto a presentare, in occasione della riunione informale del Consiglio che si terrà a settembre, una relazione che risulterà interessante per il Parlamento sulla regolamentazione transatlantica.
Non siamo soli al G20 e nemmeno tra gli americani e gli europei, ma è estremamente importante assicurarsi che esista un parallelismo tra le misure adottate dal Congresso statunitense, sotto l’autorità del Presidente Obama, e quelle prese dall’Europa in materia di supervisione e regolamentazione.
Al momento sto lavorando ad un quadro di valutazione per confrontare quanto viene fatto negli Stati Uniti e quanto stiamo facendo in Europa proprio per assicurare un tale parallelismo. Possiamo raggiungere gli stessi obiettivi senza utilizzare necessariamente gli stessi metodi o le stesse misure. Ritengo che questo strumento si rivelerà utile per i ministri e per i membri di questo Parlamento.
Corien Wortmann-Kool, a nome del gruppo PPE. – (NL) Signora Presidente, a nome del gruppo del Partito popolare europeo, vorrei dichiarare che siamo estremamente soddisfatti dell’accordo raggiunto in merito ad un sistema per la vigilanza bancaria europea. Si tratta di un’importante pietra miliare. Alcuni Stati membri avevano inizialmente puntato i piedi, ma i nostri relatori si sono mostrati risoluti e, grazie ad un Commissario convincente e alla linea ferma della Presidenza belga, siamo riusciti ad assicurare questo risultato. Un’altra conquista è stata l’introduzione del semestre europeo. Si tratta di due passi importanti per il rafforzamento della governance economica in Europa.
Nell’ambito del Consiglio Ecofin si sono anche discussi diversi tipi di prelievi a carico delle banche, poiché anch’esse devono contribuire a contenere l’impatto della crisi. Avete giustamente tentato di raggiungere questo obiettivo in seno al G20, ma con scarsi risultati. Ecco perché il gruppo del Partito popolare europeo approva la conclusione che, laddove non si riesca a farlo a livello internazionale, allora in Europa possiamo – no, dobbiamo – assumere un ruolo di guida, introducendo una tassa a carico delle banche o un prelievo sulle banche. Tuttavia, è necessario farlo in modo coordinato, poiché gli Stati membri stessi stanno già introducendo dei prelievi di questo tipo, il che costituisce una minaccia per il nostro mercato interno.
Pertanto, Commissario Barnier, la esorto a fare ricorso al suo diritto d’iniziativa per introdurre un prelievo coordinato sulle banche in tutta Europa, nel rispetto dei medesimi criteri in ogni paese. Relativamente a questo tema, così come nel caso della supervisione, lei potrà godere del sostegno di quest’Aula.
Per quanto riguarda la tassa sulle operazioni finanziarie, ebbene, si tratta di un tema molto interessante sul quale lavorare intensamente al fine di conferirgli una collocazione più prominente nell’agenda del G20. Tuttavia, vorrei ammonirla dalla scelta di lasciare che l’Europa agisca da sola. So che il mio collega, l’onorevole Schulz, vorrebbe introdurre una tassa di questo tipo in Europa, ma gli svantaggi supererebbero i benefici, dal momento che ci troviamo dinanzi ad un sistema globale. Una simile tassa porterebbe all’esclusione dell’Europa dalle operazioni. Dovremmo pertanto impegnarci a favore dell’introduzione di una tassa europea sulle banche che sia efficace, continuando ad operare nel contesto del G20.
Udo Bullmann, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signora Presidente, Presidente Reynders, Commissario, mi congratulo per i vostri successi in materia di supervisione. Il Parlamento si è impegnato a fondo sulla questione e anche voi avete fatto la vostra parte, ed è per questo che abbiamo ottenuto dei buoni risultati.
Dobbiamo sempre cercare nuovi compiti e, sfortunatamente, devo evidenziare che in altri ambiti i buoni risultati sono ancora lontani. Basti fare riferimento al regolamento sui gestori di fondi hedge per il quale non si vedono svolte all’orizzonte. A questo punto, vorrei fare appello ad entrambe le parti, Consiglio e Commissione, affinché esercitino pressione. Dopo tutto, senza il vostro impegno, i regolamenti non saranno molto utili. Sono necessari uguali diritti per tutti. I gestori al di fuori dell’Unione europea devono essere soggetti alle stesse condizioni dei loro omologhi europei. Se non sarà così, avremo messo l’Europa in una condizione di svantaggio.
Non intendiamo collocare un intero settore dietro le sbarre; tuttavia, se non faremo dei passi avanti significativi che impediscano alla pecora nera di depredare delle aziende ben funzionanti, non avremo norme valide. Desidero mettervi in guardia: non dovete pensare che otterrete una facile vittoria mettendo i deputati di quest’Aula gli uni contro gli altri. Se non sarete in grado di introdurre norme efficaci, l’intera Europa saprà chi è stato ad inginocchiarsi davanti alle lobby e tale consapevolezza conferirà a questi dibattiti un carattere diverso.
Un breve commento in merito alla tassa sulle operazioni finanziarie: la mia posizione al riguardo è diametralmente opposta a quella del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano). L’Europa attende delle risposte e voi dovrete fornirle. Non tornate dal G20 per dirci: “sfortunatamente non abbiamo ottenuto nulla, quindi ormai non c’è niente che possiamo fare”. Al contrario, dobbiamo agire all’interno dell’Europa ed è per questo motivo che è necessario pianificare ed introdurre alcune misure decisive insieme ai cittadini europei. Ricordate una cosa durante le negoziazioni al vertice del G20: abbiamo bisogno di una risposta da parte vostra, altrimenti dovrà esserci una risposta europea.
Sylvie Goulard, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signora Presidente, desidero ringraziare la Commissione e la Presidenza belga per averci aiutato a rimettere in riga la supervisione finanziaria dell’Unione europea.
Mi rendo conto che ci stiamo ringraziando gli uni con gli altri, ma desidero sottolineare che è stato un bene che il Parlamento abbia evidenziato, lo scorso dicembre, come, pur sostenendo di volere risolvere la crisi ricorrendo a soluzioni europee, gli Stati membri fossero impegnati ad introdurre reti di sicurezza di ogni tipo e ogni clausola di salvaguardia possibile ed immaginabile al fine di garantire che queste autorità europee non fossero di fatto in grado di operare senza accordi intergovernativi. Ritengo che sia stato fatto un ottimo lavoro insieme, ma è giusto lodare chi lo merita.
Nel mio ruolo di relatore per il comitato per il rischio sistemico, vorrei evidenziare in particolar modo un punto estremamente positivo. Il Commissario Barnier fa spesso riferimento ai radar e alle torri di controllo, ma ogni aeromobile ha anche un pilota, e nel nostro caso si tratta del Presidente della Banca centrale europea, che il Parlamento vorrebbe mantenesse questo ruolo.
Desidero ugualmente esprimere una certa insoddisfazione in riferimento alla supervisione diretta delle entità paneuropee e, soprattutto, chiedervi di proseguire nella lotta ingaggiata in questo settore. Nei testi settoriali dobbiamo continuare (e i quattro gruppi principali al Parlamento si sono impegnati a farlo) ad attribuire all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e all’Autorità bancaria europea (EBA) dei poteri su queste entità, sulle agenzie di rating. In teoria sta già accadendo e attendiamo che la Commissione prosegua il suo lavoro e lo estenda alle camere di compensazione e, infine, ai gruppi transfrontalieri. La sfida in questo ambito è semplice: possiamo scegliere un mercato interno soggetto alle norme ed alla supervisione europea oppure optare per un coordinamento allentato, ovvero dei cavilli – o chipotage, come diciamo sotto la Presidenza belga – tra gli Stati nazione.
Sven Giegold, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, innanzi tutto l’Europa sta vivendo un momento indubbiamente importante, poiché pare che si sia raggiunto un accordo sulla supervisione. Abbiamo ottenuto molto lavorando insieme su questo punto. Vorrei ringraziare la Presidenza belga, la Commissione, il Commissario Barnier e gli onorevoli deputati dei diversi gruppi. Abbiamo compiuto un enorme passo avanti, smentendo quanti avevano dichiarato che l’Europa non sarebbe riuscita a progredire ulteriormente. Al contrario, è necessario introdurre norme rigide per il mercato interno. Adesso siamo sulla strada giusta.
In secondo luogo, il Consiglio Ecofin ha già preso delle importanti decisioni relative alla sorveglianza dei bilanci degli Stati membri. Desidero ringraziare la Commissione per i progressi compiuti. Avete presentato numerose proposte e ora noi ci attendiamo che ne vengano avanzate altre in riferimento al coordinamento macroeconomico, il che è ancor più urgente in considerazione della crisi.
Desidero ora parlare della tassa sulle operazioni finanziarie. La Commissione, fino ad ora, ha lanciato un insieme di segnali contraddittori: da una parte, il Commissario Barnier ed il Presidente Barroso sono fortunatamente in favore dell’idea di una tassa sulle operazioni finanziarie; dall’altro lato, il Commissario Šemeta si oppone a questa proposta. Mi rivolgo a voi chiedendovi di gestire la questione in modo collegiale. Dovete parlare con un’unica voce. Non è accettabile che il Commissario Šemeta presenti una relazione contenente risultati che sono già stati confutati da tempo dagli esperti del settore.
Ad esempio, lo studio commissionato dal Parlamento europeo al Bruegel Institute conteneva informazioni interessanti e confuta alcune argomentazioni proposte dal Commissario Šemeta. Mi chiedo come mai non sia presente oggi. È già stato criticato più volte da quest’Aula in merito a questa questione e proprio oggi avrebbe dovuto presenziare alla discussione. Mi chiedo anche se dovrà rimanere alla fine delle lezioni (dopo tutto è stato deciso così: i suoi contributi saranno oggetto di revisione). Si giungerà così ad una proposta che verrà presentata dalla Commissione, un’iniziativa che intendono presentare o finiremo per avere l’ennesimo studio? Non basta! Così come non basta posporre la decisione del Consiglio alla prossima Presidenza francese del G20. Non è accettabile!
Tuttavia i paesi chiave che hanno respinto questa proposta – Regno Unito, Svezia e Spagna – si pongono delle domande. È risaputo che il Regno Unito e la Svezia non sarebbero favorevoli, ma la Spagna è un membro dell’Eurogruppo ed è governata dai socialdemocratici. Forse dovrebbero cercare di stabilire una maggiore coerenza tra l’ottima posizione adottata in quest’Aula e le posizioni adottate dal governo spagnolo nel Consiglio.
Infine, desidero maggiore chiarezza da parte del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) qui in quest’Aula in riferimento alla loro posizione. Lei ha appena espresso commenti estremamente critici sulla tassa sulle operazioni finanziarie, sebbene molti all’interno del gruppo siano in favore. Non credo che lei abbia parlato veramente a nome della maggioranza del suo gruppo. È necessaria un’azione concertata in questa situazione, altrimenti i nostri cittadini rimarranno scettici se introdurremo misure volte a ridurre i costi da una parte, ma dall’altra non avremo alcuna entrata derivante dai prelievi sui redditi da capitale in Europa.
Kay Swinburne, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con la Presidenza belga per le sua capacità di negoziazione e con il Commissario Barnier ed i suoi collaboratori per aver trovato delle soluzioni relativamente alla supervisione. Vorrei però anche dedicarmi alle questioni rimaste irrisolte ieri al Consiglio Ecofin e legate alle operazioni finanziarie.
Sembra che io dedichi buona parte del tempo che trascorro qui, al Parlamento, a richiedere di effettuare ricerche, scrivere valutazioni d’impatto e condurre studi. L’Ecofin di questa settimana è terminato e si è limitato a questo; anziché concentrarsi sui concetti puramente politici e legiferare in fretta, la riunione del Consiglio e i contributi del Commissario Šemeta si sono basati su dati e cifre. Un buon esempio di come mettere in pratica alcuni dei migliori principi normativi. Tuttavia, quando si legge in una dichiarazione indipendente che uno Stato membro finirebbe col riscuotere oltre il 70 per cento degli introiti generati da una tassa sulle operazioni finanziarie, sarebbe ridicolo sostenere che una tassa di questo tipo andrebbe attuata a livello europeo, o anche solo che andrebbe introdotta.
Questa tassa non significa denaro gratuito, come i mezzi di comunicazione tentano di farci credere. Non sarebbero le banche e gli intermediari finanziari a pagare per una tassa sulle operazioni finanziarie, bensì sarebbero i pensionati, che dipendono dai loro guadagni sul mercato, e le aziende a pagare per ogni operazione di copertura. È venuto il momento di riconoscere i limiti di una tassa così semplicistica e, se desideriamo realmente modificare il comportamento delle banche senza distruggere le nostre economie, di considerare una soluzione più complessa della tassa sulle operazioni finanziarie e sui prelievi sulle banche, come proposto invece dal FMI.
Anziché far deragliare il processo appellandoci all’introduzione di tasse impraticabili e indesiderate all’interno dell’Unione europea, alle quali si oppongono molti Stati membri e non solo il mio, dovremmo sfruttare questa opportunità per rafforzare le finanze deboli di alcuni Stati permettendo loro di utilizzare il denaro come ritengono più opportuno, ricostituendo le loro casse pubbliche, impoverite dai salvataggi delle banche e dalla gestione della crisi.
Miguel Portas, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Il consiglio Ecofin ha deciso di introdurre il semestre europeo al fine di garantire coerenza tra le politiche economiche europee e le politiche di bilancio nazionali. Vorrei porre la seguente domanda: si sono preoccupati della democrazia? Io sono in favore del coordinamento e approvo che vengano fissati degli obiettivi per il deficit, ma vorrei anche obiettivi analoghi per la creazione di posti di lavoro. Accetto gli emendamenti ai bilanci nazionali, anche se preferirei che le sanzioni non fossero stupide e non aggravassero il problema, quindi il mio è un atteggiamento di apertura.
Trovo invece totalmente inaccettabile che Bruxelles decida il modo in cui gli Stati membri devono tener fede ai loro impegni, poiché significa appropriarsi indebitamente delle prerogative fondamentali dei parlamenti nazionali. L’Ecofin non si limiterà ad un’approvazione preventiva, ma stabilirà gli orientamenti per la gestione di ogni singolo bilancio nazionale. Ho sentito il Presidente Reynerds dire: va bene, ma non entreremo nei dettagli. La ringrazio per tanta magnanimità, ma il problema essenziale è che gli orientamenti principali andranno applicati a 27 governi, e tra questi la Germania dirà sempre alla Grecia cosa deve fare, ma non accadrà mai il contrario.
Onorevoli deputati, i parlamentari nazionali non possono essere trattati al pari di spazi bianchi da compilare e non possono essere semplicemente privati della libertà di scegliere quando si parla dei bilanci, ovvero un punto cruciale nelle scelte politiche.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, desidero innanzi tutto farle i miei complimenti, perché è evidente come lei sia volenteroso. Il punto è: le è concesso esserlo? In riferimento al processo che lei sta perseguendo con tanta dedizione, la pregherei di chiarire la situazione con urgenza ai nostri cittadini, illustrando i motivi del fallimento nonostante tutta la buona volontà dimostrata e spiegando perché abbiamo ottenuto solo progressi limitati sui quattro punti centrali della questione.
È evidente la necessità di chiarezza sul perché la supervisione dei mercati finanziari negli Stati Uniti sia più rigida e più delicata in alcuni ambiti vitali a confronto con quella che state cercando di costituire adesso. Abbiamo anche bisogno di risposte chiare su come intendete gestire il problema del sistema dei conduit e sul margine di successo che possiamo attenderci. Quali sono le intenzioni della Commissione? Ci avete fornito molti dettagli, ma come volete evitare che si verifichi nuovamente un tracollo?
Vorrei anche porre una domanda in quanto rappresentante di un piccolo Stato membro. Cosa possiamo fare per contenere il problema delle banche troppo grandi per fallire? In Austria esiste una situazione in relazione ad una banca, la Hypo Group Alpe Adria, in virtù della quale, se prendessimo in considerazione i prestiti, l’onere del debito sullo Stato austriaco sarebbe tale da trascinare il mio paese nella stessa categoria della Grecia. La Commissione è pronta a lanciare un ammonimento sulla questione? Come si sta muovendo? Come vuole evitare che l’Austria diventi una nuova Grecia per l’Unione europea?
Jean-Paul Gauzès (PPE). – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, ovviamente desidero innanzi tutto aggiungermi a quanti si sono complimentati per gli ottimi risultati raggiunti in materia di supervisione.
Come ci ha ricordato l’onorevole Goulard, l’impegno del Parlamento non è stato vano e in dicembre è accaduta una cosa nuova e unica: è stata prodotta una dichiarazione dai quattro coordinatori dei principali gruppi, in cui si dice che l’Europa ha bisogno di svolgere un ruolo di maggior rilievo in termini di supervisione. Grazie al suo dinamismo, Presidente Reynders, è stata trovata una buona soluzione. È evidente che la Commissione ha lavorato duramente e accolgo con favore il programma dei servizi finanziari che ci è stato annunciato dal Commissario Barnier.
È un bene che ciò sia accaduto, che sia stato raggiunto questo accordo, poiché ne va della credibilità finanziaria dell’Unione europea, della sua credibilità finanziaria agli occhi dei cittadini che, da quando è scoppiata la crisi, ci chiedono “Cosa sta facendo l’UE? Quali risultati concreti avete raggiunto?”. Possiamo dire loro che stiamo pensando e lavorando alla questione, che stiamo organizzando dei triloghi e degli incontri, ma loro vogliono dei risultati.
Ne va anche della credibilità dell’Unione europea agli occhi dei nostri partner internazionali, specialmente gli Stati Uniti. Sono recentemente entrato in contatto con alcuni rappresentanti del settore finanziario statunitense e quello che li preoccupa in riferimento all’Unione europea, in ultima istanza, è l’impressione che vi sia una certa incertezza giuridica: cambiamo le norme, introduciamo clausole di revisione e clausole di temporaneità, non costruiamo nulla di solido. Ritengo che la legislazione debba essere definitiva, per quanto soggetta ad emendamenti. Non dobbiamo, soprattutto, dare l’impressione che emenderemo i testi tra due o tre anni.
Signora Presidente, Presidente Reynders, vorrei fare una richiesta a titolo personale: questo pomeriggio si terrà un trilogo molto importante con il Commissario Barnier ed i miei colleghi sulla regolamentazione dei fondi hedge. È essenziale trovare presto una soluzione. Sono consapevole dell’impegno profuso dalla Presidenza spagnola così come del suo impegno personale. È necessario raggiungere un accordo nelle prossime settimane in modo che, la prossima volta che dovrà riferire del lavoro dell’Ecofin, potrà dire “è stato raggiunto un accordo sulla regolamentazione dei fondi hedge”. Noi ci contiamo e so che lo stesso vale per lei. Dobbiamo ora compiere l’ultimo passo per pervenire alla giusta soluzione.
Anni Podimata (S&D). – (EL) Signora Presidente, Commissione, le decisioni prese ieri dal Consiglio Ecofin, ovviamente in congiunzione con l’accordo su un nuovo ed efficace sistema di supervisione finanziaria, sono dei passi fondamentali verso la nuova governance economica che immaginiamo. Tuttavia oggi affrontiamo una sfida notevole. Nessuno può o dovrebbe interrompere l’imposizione di una disciplina di bilancio più rigida o di una supervisione più rigorosa.
La sfida è definire un nuovo modello economico che risponda alle richieste dei cittadini europei per una piena occupazione ed una crescita equa. È quindi necessario pervenire ad un equilibrio tra la disciplina di bilancio e la salvaguardia delle risorse necessarie per garantire una crescita sostenibile e una piena occupazione, facendo ricorso ad investimenti pubblici e privati.
È necessario operare sugli equilibri macroeconomici e sul divario concorrenziale tra gli Stati membri, che condurrà inevitabilmente a delle diseguaglianze economiche e sociali. Abbiamo soprattutto bisogno di un modello per una distribuzione più equa dei costi della ripresa e per la giustizia fiscale e la tassazione delle operazioni finanziarie potrebbe fungere da catalizzatore.
L’Europa può e deve svolgere un ruolo da leader in questo ambito. Lo ha già fatto nel caso della lotta al cambiamento climatico, assumendo degli impegni unilaterali, e ora può e deve guidare l’impegno profuso al fine di promuovere delle norme analoghe a livello internazionale.
Jens Rohde (ALDE). – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare e sostenere la Commissione ed il Consiglio per il lavoro svolto al fine di garantire un finanziamento adeguato da parte del settore finanziario.
Rimangono tuttavia un paio di questioni. Sosteniamo l’introduzione di una specie di livello di stabilità coordinato e un fondo ma, quando si parla di tassa sulle operazioni finanziarie, si affronta una questione completamente diversa e molto più complessa.
Una tassa di questo tipo dovrebbe essere come minimo globale al fine di evitare l’evasione fiscale. Oltretutto, una tassa su tutte le operazioni potrebbe risultare non solo tecnicamente impraticabile, ma rischierebbe di rendere i mercati più volatili e meno liquidi.
Vorrei porre alcune domande sulle tasse. Se l’obiettivo è generare denaro da devolvere per delle cause globali, allora come si deciderà a chi destinare le entrate e chi avrebbe la responsabilità della distribuzione di tale denaro? Per una tassa istituita per uno scopo specifico, come potremo mai stabilire quando mettere un punto? Infine, la domanda cruciale è chi riscuoterà la tassa: gli Stati membri o l’Unione europea? Se sarà l’Unione, lontano dai cittadini, come potremo evitare un aumento costante delle tasse? Nel mondo reale, non sembra ci sia mai un punto quando si tratta del bisogno dei politici di ulteriori fondi.
Derk Jan Eppink (ECR). – (NL) Signora Presidente, mi permetta di dare il benvenuto al Presidente Reynders. Mi auguro che lei stia bene. In linea di principio non ho alcun problema rispetto al prelievo sulle banche, ma mi chiedo come possa funzionare nella pratica. Mi sembra come un autobus su cui vogliono salire tutti, ma ognuno vuole andare in una direzione diversa. Per quanto riguarda la tassa sulle operazioni finanziarie, ritengo sia un buon esempio di una pessima idea. In sostanza sarebbe una specie di Tobin tax europea e questo anche se ormai non la chiamiamo più così, dal momento che oggi lo stesso signor Tobin si oppone a questa tassa. Fa scappare i capitali e la Svezia ne è un perfetto esempio. Vi è poi la questione di cosa fare con le entrate derivanti da una tassa di questo tipo. Le utilizzeremo per contribuire alle risorse proprie dell’Unione europea? La questione non potrà che condurre a delle divisioni quindi il mio consiglio, Presidente Reynerds è il seguente: il suo piano potrebbe essere sostenuto da delle buone intenzioni, ma la prego di rinunciarvi. Lo tenga in fresco o, meglio ancora, lo lasci fuori a morire di ipotermia. Di certo non possiamo procedere da soli. Vorrei riprendere quanto detto dall’onorevole Schultz, sebbene non sembra che mi stia ascoltando in questo momento. Ieri ha dichiarato che vorrebbe forzare la Commissione europea a prendere l’iniziativa per quanto riguarda la tassa sulle operazioni finanziarie. Vuole fare scendere le persone in piazza; io consiglierei di non prendere questa strada. Ricorreremo al diritto d’iniziativa dei cittadini europei per opporci a questa tassa poiché saranno proprio i cittadini a doverla pagare.
Othmar Karas (PPE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, Presidente Reynders, vorrei sollevare cinque punti. Innanzi tutto devo dire che trovo spiacevole che una riunione dell’Ecofin importante come quella di ieri si sia tenuta contemporaneamente al discorso del Presidente della Commissione sullo stato dell’Unione. Mi aspetterei un migliore coordinamento. Se vogliamo tutti andare nella stessa direzione, allora dobbiamo essere consapevoli dei temi e i punti salienti che riguardano l’Unione europea; dobbiamo coordinare i nostri sforzi, ascoltarci gli uni con gli altri e parlarci. Una programmazione in parallelo di questo tipo è superflua e rende un cattivo servizio ad entrambi gli eventi.
Il secondo punto che desidero sollevare è la supervisione. Desidero ringraziare la Presidenza del Consiglio, il Commissario ed il Parlamento. Se non fosse per la decisione presa dal Parlamento in luglio, non avremmo ottenuto alcun progresso durante l’estate e non godremmo adesso di una supervisione così incisiva. Se non fosse per la decisione presa dal Parlamento in luglio, il Presidente della Banca centrale europea non sarebbe a capo dell’autorità per la vigilanza macroprudenziale. Questo rafforzamento è stato possibile grazie alla cooperazione attiva tra il Parlamento e la Presidenza belga con il sostegno della Commissione. Vorrei esprimervi i miei più sentiti ringraziamenti.
Il terzo punto è relativo all’europeizzazione della stesura del bilancio. Dobbiamo essere consapevoli che il secondo pilastro dell’unione monetaria funzionerà solo perseguendo un’unione economica e sociale ed europeizzando la politica di bilancio e la politica sulla tassazione come primo passo, piuttosto che limitarci a coordinarle.
Il quarto punto è legato al fatto che, se è vero che abbiamo bisogno di un prelievo sulle banche, non dovremmo permettere che si trasformi in un pozzo senza fondo. Il prelievo dovrebbe porsi un obiettivo europeo ed essere utilizzato esclusivamente per fini europei e dovremmo costituire il Fondo monetario europeo.
Il quinto punto è relativo alla tassa sulle operazioni finanziarie. Ormai quelli in favore e quelli contrari alla tassa avranno la sensazione di avere girato in tondo senza alcun profitto. Presidente Reynders, lei ha appena detto che questo è il primo vero dibattito sulla questione, tuttavia se ne parla già da un anno. Abbiamo posto domande e adottato risoluzioni. Inizialmente è sembrato che voleste trasferire la responsabilità al G20, dopo alla Commissione e infine agli Stati membri. Vogliamo una risposta ai seguenti cinque punti. Quale sarà la base della valutazione? Quale sarà l’aliquota? Chi imporrà il prelievo? Chi otterrà il denaro e a quale scopo? Presentateci un progetto e allora potremo discutere ulteriormente della questione e passare finalmente ai fatti.
Elisa Ferreira (S&D). – (PT) Signora Presidente, signor Commissario, il coordinamento degli sforzi per il semestre europeo, di cui si è discusso ieri durante la riunione dell’Ecofin, è di per sé un passo positivo, ma è solo un tassello. La crescita e l’occupazione devono essere delle priorità, e lo stesso dicasi dell’ottemperanza al Patto di stabilità e crescita. La creazione del Fondo monetario europeo è cruciale. Il debito pubblico deve essere gestito parallelamente a tutti gli altri obblighi per la partecipazione ad un’area monetaria. È essenziale che lo sviluppo di questo progetto non intraprenda il percorso pericoloso delle sanzioni e io confido nel Commissario Barnier e nella sua esperienza affinché guidi la Commissione.
In secondo luogo desidero fargli le mie più sentite congratulazioni per il lavoro che ha condotto sulla supervisione finanziaria. Ritengo che il Commissario Barnier, in particolare, insieme al Parlamento e alla Presidenza belga, siano stati in grado di raggiungere un buon accordo, che ci rispetta e che difende gli interessi dei cittadini europei. Mi auguro che, anche per i punti ancora irrisolti, si procederà nello stesso modo e che conseguiremo un successo analogo.
In terzo luogo, vorrei dire che mi auguro sinceramente che quando si parla della crisi bancaria, in particolar modo per le banche di importanza sistemica e per quelle transfrontaliere, ogni successo ottenuto ci permetterà di consolidare la posizione europea.
Infine, signor Commissario, è essenziale rivedere la nostra agenda per il G20, specialmente se non vogliamo rinunciare alla lotta alla frode, all’evasione fiscale e ai paradisi fiscali e se vogliamo che ci sia un contributo più efficace e decisivo da parte delle banche e dei servizi finanziari…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Vicky Ford (ECR). – (EN) Signora Presidente, accolgo con favore l’accordo sull’architettura di vigilanza. So che non è stato facile per i miei colleghi raggiungere quest’accordo. Si è trattato di un difficile esercizio volto a trovare un equilibrio tra la tutela dei mercati dai rischi transfrontalieri e il mantenimento delle responsabilità dei governi nazionali.
Il Commissario ha giustamente parlato di un primo mattone. Sarò lieto di collaborare con la Commissione per garantire che i prossimi mattoni non compromettano questo delicato equilibrio.
Sostanzialmente non è un bene che gli Stati membri raggiungano un accordo su standard a livello internazionale e non siano poi in grado di rispettarli a livello nazionale. Mi auguro che adesso potremo garantire che tutti si attengano alle regole internazionali.
Durante il dibattito, molti colleghi hanno affermato l’importanza che il direttore del comitato europeo per il rischio sistemico sia il Presidente della BCE. Abbiamo promesso che gli avremmo dato retta quando ha messo in guardia il Consiglio dai rischi di una tassa sulle operazioni finanziarie, parlandone come di un possibile disastro per l’Europa. Noi, in quanto politici, dobbiamo mantenere la parola sulle promesse fatte e ascoltare realmente le persone quando affermiamo che lo faremo.
Sophie Auconie (PPE). – (FR) Signora Presidente, signor Ministro, signor Commissario, onorevoli deputati, come indicato dai miei colleghi – pocanzi dall’onorevole Gauzès e ieri durante il dibattito sullo stato dell’Unione – abbiamo bisogno di più Europa.
Più Europa per creare crescita e occupazione, per regolare i mercati e ridurre le diseguaglianze. Questa è l’opinione del presidente del mio gruppo, l’onorevole Daul, e io la sostengo pienamente. Ritengo che gli Stati membri abbiano finalmente compreso che dobbiamo essere più coraggiosi nelle questioni economiche e di bilancio. Più coraggiosi e, soprattutto, responsabili: risposte nazionali di stampo protezionistico sono la ricetta perfetta per un disastro.
Abbiamo bisogno di una maggiore sorveglianza finanziaria a livello europeo e l’accordo in seno al Consiglio sul pacchetto di vigilanza finanziaria, che sarà oggetto di votazione nel corso della prossima plenaria, rappresenta un’ottima notizia.
Tuttavia, oltre a vigilare sul sistema, dobbiamo istituire un reale coordinamento delle nostre politiche economiche e di bilancio. Dobbiamo creare sia un federalismo di bilancio che un federalismo economico. Siamo paralizzati dall’avere una politica monetaria comune e politiche di bilancio indipendenti. Ritengo che il federalismo sia cominciato con questo nuovo semestre europeo, che prevede che ogni anno ,prima dell’estate, gli Stati membri presentino le loro strategie di bilancio al Consiglio per ottenere un suo parere.
Tuttavia, come succede spesso a livello comunitario, le regole verranno determinate più da quanto accadrà nella pratica che non dai testi. Da parte mia, desidero che questo coordinamento sia più che un mero esercizio formale e che porti ad una strategia comune per le nostre politiche economiche, industriali e sociali. Mi rammarico che i parlamenti nazionali ed il Parlamento europeo non siano ancora pienamente coinvolti in questo processo di coordinamento.
Signor Ministro, in quanto rappresentante del Consiglio, mi rivolgo pertanto in particolar modo a lei: i parlamenti, in quanto autorità di bilancio, devono svolgere un ruolo centrale nella creazione di una politica economica europea, poiché è l’unico modo per garantirne l’efficacia e la legittimità.
Antolín Sánchez Presedo (S&D). – (ES) Signora Presidente, vorrei fare i miei complimenti alla Presidenza per l’adozione unanime da parte del Consiglio del compromesso raggiunto con il Parlamento e la Commissione sul pacchetto sulla vigilanza.
Abbiamo lavorato insieme alle Presidenze spagnola e belga e siamo riusciti a completare il nostro compito con un compromesso ambizioso, che pone delle basi solide per una riforma finanziaria e che rappresenta una pietra miliare nell’integrazione dell’Unione.
Anche l’adozione del semestre europeo, prevista per il prossimo anno, rappresenta un passo estremamente positivo, sebbene implichi molto più che la semplice organizzazione di un calendario di operazioni: richiede un contenuto di sostanza e una dimensione parlamentare.
È necessaria una riforma più profonda della governance economica. Dobbiamo mobilitare il potenziale di crescita economico inutilizzato e creare l’Unione sociale ed economica di cui abbiamo bisogno.
È necessario anche un sistema di prevenzione, gestione e risoluzione delle crisi che sia più coerente, robusto e credibile e che sia inoltre compatibile con la ripresa economica, preveda i rischi morali, tenga in considerazione gli altri oneri legati alle riforme finanziarie e che eviti le distorsioni all’interno del mercato interno. Dobbiamo coordinarci internamente al fine di presentarlo al G20.
Ho quasi terminato. Per quanto riguarda la tassa sulle operazioni finanziarie, attendiamo una comunicazione da parte della Commissione che potrebbe prendere in considerazione una tassa sulle operazioni finanziarie. Sono in gioco la lotta alla volatilità, una distribuzione equa dell’onere finanziario, il contenimento dell’impatto della crisi sulle finanze pubbliche, la costituzione di nuove risorse per l’Unione europea e la contribuzione agli obiettivi di sviluppo del Millennio. Se vogliamo che l’UE sia un giocatore globale, non possiamo agire separati.
Peter Skinner (S&D). – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare sentitamente il Presidente Reynders ed il Commissario Barnier per il sostegno dimostrato in riferimento al pacchetto sulla vigilanza, dato che a volte è sembrato di dover far passare un cammello per la cruna di un ago, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Mi auguro che il nostro lavoro su Solvibilità II e le relative misure di attuazione sarà più produttivo e rapido. Sono fiducioso che sarà così.
Esistono molti aspetti positivi già menzionati oggi e molti negativi, ma concordo sul progresso compiuto e sugli obiettivi da perseguire. L’Europa tuttavia – e non solo l’Eurozona, va detto – necessita, oltre che di salvaguardie, anche di norme che migliorino le sue prestazioni.
Ho l’impressione che si stia facendo in modo che alcune nazioni si sentano escluse e dobbiamo smetterla. È un atteggiamento di autolesionismo per l’intera Unione europea. L’agenda internazionale è cruciale. L’Unione europea deve svolgere un ruolo chiave nella creazione di standard globali.
Il problema è che sbagliamo nel ritenere che creare degli standard solo in Europa sia sufficiente. Ecco il motivo per cui approvo le parole del Commissario Barnier in merito ad una tabella per l’Unione europea e gli Stati Uniti volta a confrontare i risultati in termini normativi. Il mio ufficio ha già redatto una tabella di questo tipo e sarò lieto di condividerne i contenuti con lei, signor Commissario. Spero possa essere utile.
Infine, se posso chiedere: a che punto siamo rispetto al Consiglio economico transatlantico, il dialogo normativo di alto livello? Quali aspettative nutriamo per il futuro? Ci troviamo dinanzi ad alcuni problemi che non siamo in grado di risolvere da soli.
Liem Hoang Ngoc (S&D). – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, ieri il Consiglio Ecofin ha approvato il principio del semestre europeo. In quanto federalista, non posso che approvare questo progresso; tuttavia, una cosa è il coordinamento della politica di bilancio, un’altra è definirne il contenuto. Questo il motivo per cui rafforzare il Patto di stabilità e crescita sarebbe un grave errore.
La cura a base di austerità imposta dogmaticamente a tutta l’Europa fa già sentire i suoi primi effetti. La Spagna e l’Irlanda cominciano a riscontrare ancora più difficoltà ed il sondaggio Markit, pubblicato alla fine di agosto, mostra che questa cura è responsabile per la stagnazione nella crescita europea e, fra non molto, per la stagnazione nella crescita tedesca.
La serie di misure repressive inserite nell’agenda della prossima riunione informale del Consiglio Ecofin è ancora più seria. L’imposizione di sanzioni finanziarie automatiche su Stati che stanno già affrontando dei problemi relativamente al bilancio è irresponsabile. Finirà inevitabilmente con l’incrementare le critiche all’interno degli Stati membri in riferimento ai loro contributi nazionali al bilancio europeo.
Due milioni e mezzo di cittadini hanno espresso per la prima volta la loro opposizione al pacchetto di austerità per le strade in Francia ieri. Invece di preservare le reti di previdenza sociale e stabilire l’armonia sociale all’interno dell’Unione europea, che è necessaria per la ripresa, il Consiglio e la Commissione le stanno distruggendo. Misurano l’impatto di tali decisioni solo in base al livello crescente dell’euroscetticismo tra i cittadini?
Per il bene dell’integrazione europea e dei cittadini per i quali la perseguiamo, è necessario riconoscere, onorevoli deputati, che il rafforzamento del Patto di stabilità e crescita è un’aberrazione economica. Ed è anche un grave errore politico.
Sławomir Witold Nitras (PPE). – (PL) Accolgo con estremo favore il compromesso volto all’istituzione di un sistema di vigilanza finanziaria. Il mercato aveva effettivamente bisogno di questi meccanismi. Personalmente, apprezzo particolarmente l’enfasi attribuita al ruolo della Banca centrale europea. Ritengo che con le nuove disposizioni ci sia maggiore sicurezza. L’esperienza della Banca centrale europea ci permette di guardare al futuro con ottimismo, e l’istituzione di un sistema europeo di organismi di supervisione finanziaria dovrebbe essere considerato come un passo nella giusta direzione. Abbiamo cominciato il coordinamento della politica sulla spesa e non siamo interessati unicamente al prelievo di tasse in Europa. Il sistema informativo sarà molto importante. Vi prego di ricordare che i governi nazionali, che prendono le decisioni e si obbligano ad ottemperare a delle norme sul deficit di bilancio, non sono gli unici organismi autorizzati a spendere denaro nei loro paesi.
George Sabin Cutaş (S&D). – (RO) Il Patto di stabilità e crescita non è l’unico ad avere bisogno di una riforma. È una necessità che si riferisce anche al modello sociale ed economico nella sua interezza.
Il modello sociale ed economico, che è una caratteristica specifica dell’Unione europea, si sta dimostrando insostenibile al momento. Considerato inizialmente come il motore della crescita economica, oltre che della protezione sociale, ha fallito nel realizzare tali aspettative. Il 10 per cento degli europei sono disoccupati, mentre alcuni Stati membri attraversano una grave recessione.
D’altra parte vi sono gravi lacune rispetto al controllo dei flussi economici all’interno dell’Unione europea, che sono emersi chiaramente in occasione della crisi economica, il che rende la supervisione macroeconomica delle economie europee una necessità, specialmente dato che queste ultime sono strettamente legate al mercato e alla moneta unici.
Accolgo pertanto con favore le conclusioni dell’Ecofin sulla costituzione di una base per la supervisione macrofinanziaria all’interno dell’Unione europea, con l’aiuto di un comitato europeo per il rischio sistemico e le autorità di supervisione per i settori bancario, delle assicurazioni e delle sicurezze, per non parlare della vigilanza dei bilanci nazionali nell’ambito di un semestre europeo.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Signora Presidente, le decisioni prese ieri dal Consiglio Ecofin sono inaccettabili. Mentre gli speculatori continuano a fare i propri comodi con stipendi scandalosi e la tassazione effettiva delle operazioni finanziarie resta sfuggente, con un florilegio di paradisi fiscali, è stata colta l’opportunità fornita dalla crisi per sferzare il più grande attacco alla democrazia. Hanno tentato di trasformare i membri dei parlamenti nazionali in marionette europee al fine di imporre un esame preliminare dei bilanci nazionali da parte dei leader europei, come se non bastassero la natura palesemente condizionale del Patto di stabilità e crescita e i suoi criteri irrazionali.
Il cosiddetto “coordinamento economico” illustrato nei trattati non può giustificare questa violazione, sia essa a livello europeo o nazionale, della sovranità degli Stati membri in un momento così doloroso rispetto al loro sviluppo economico e sociale. Hanno fatto molta strada nella difesa degli interessi dei gruppi economici e finanziari, il che implicherà gravi conseguenze per i più poveri all’interno dell’Unione europea. Ecco perché stiamo protestando e siamo certi che la lotta dei lavoratori e dei cittadini dell’Unione europea si accentuerà.
Liisa Jaakonsaari (S&D). – (FI) Signora Presidente, la ringrazio per le sue parole. Appena un paio di anni fa, in Europa regnava la dottrina del liberalismo estremo, che sosteneva che la politica si limita a confondere le attività dei mercati e che i mercati decidono tutto.
Ora ci troviamo in una situazione in cui la politica è importante. Le politiche decidono delle questioni ed è importante che ora siano stati fatti dei passi avanti nella supervisione finanziaria. È essenziale che si sia raggiunta la trasparenza rispetto alle distorsioni che sono emerse nelle statistiche di bilancio. Tutto è trasparente e ritengo che la trasparenza sia una parola chiave nella riforma.
Quanto ha detto originariamente Schuman si sta rivelando vero: l’Unione europea si svilupperà in conseguenza della crisi. L’Unione europea trae la sua credibilità da risultati tangibili e niente altro. E adesso stiamo compiendo questi importanti passi concreti.
Michel Barnier, membro della Commissione. – (FR) Signora Presidente, desidero ringraziarvi tutti per quanto avete detto in riferimento al risultato collettivo raggiunto nell’ambito della supervisione.
Vorrei ritornare su quanto ha appena detto l’onorevole Ferreira in merito ai nostri cittadini, colpiti e turbati da tutte queste crisi finanziarie, economiche e sociali, senza dimenticare le crisi alimentari e ambientali. Ritengo che dovremmo insistere nel dimostrare ai nostri cittadini che stiamo apprendendo delle lezioni dalla crisi, poiché sono loro che ci eleggono e siamo responsabili dinanzi a loro. Questo è quanto abbiamo appena fatto in riferimento alla vigilanza; dobbiamo semplicemente comunicarlo e spiegarlo ed abbiamo cominciato a farlo. Mi riferisco alla relazione dell’onorevole McCarthy sul CRD III e le politiche retributive. Ritengo che, quando guardiamo a tutte le questioni che hanno turbato, sconvolto e colpito i nostri cittadini e i rappresentanti politici noi, ovvero il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, dobbiamo dimostrare che stiamo fornendo delle risposte a livello comunitario, delle risposte specifiche.
Per quanto riguarda la tassa sulle operazioni finanziarie, il Commissario Šemeta ha portato a termine un compito estremamente importante e utile, poiché ha analizzato le varie alternative e le conseguenze dell’introduzione di questa tassa, laddove venisse applicata solo su base regionale. Ritengo sia un compito importante. Vorrei ricordare all’onorevole Giegold che, al G20 di Toronto, il Presidente della Commissione ha preso una posizione chiara, a nostro nome, a favore di un prelievo equo e sostanziale sui servizi finanziari. Confermeremo la sua posizione in ottobre. Quindi non rimane molto tempo, onorevole Karas. Vorrei anche ricordare all’onorevole Figueiredo che questo dibattito sta continuando. Non serve avere ragione da soli. Dobbiamo convincere i cittadini europei e, come può spiegare il Presidente Reynders meglio di me, la strada è ancora molto lunga a livello dell’UE a 27, una strada estremamente lunga. E dopo dovremo convincere anche le altre regioni del mondo.
Io, al pari degli onorevoli Wortmann-Kool, Swinburne e Ford, ritengo che, affinché questa tassa possa essere effettivamente efficace, dovrebbe essere applicata su una base quanto più ampia possibile. Per questo motivo dobbiamo convincere le altre regioni del mondo.
Dato che parlo della situazione internazionale, ne approfitterei per dire una parola sulla governance globale. Posso confermare all’onorevole Skinner che prepareremo la tabella comparativa. Oltretutto, una volta completato questo esercizio per gli Stati Uniti e l’Unione europea, ritengo lo si dovrebbe estendere alle altre regioni del mondo che ho appena citato: Cina, India, Brasile e anche Africa, che può contribuire e che è molto coinvolta. Mi assicurerò dunque che vengano utilizzate tutte le informazioni a cui ha fatto riferimento l’onorevole Skinner. Per quanto riguarda la governance, menzionata anche dagli onorevoli Podimata e Martin, non abbiamo ancora gli stessi metodi o la stessa legislazione poiché le nostre economie sono molto differenti. L’onorevole Martin ha citato la famosa strategia di Volcker “troppo grande per fallire”. La nostra analisi in Europa è diversa: per ogni banca, indipendentemente dalle sue dimensioni e dalle sue attività, devono esistere una supervisione interna ed esterna di qualità e una buona governance e le attività non devono necessariamente essere ridotte.
Il Parlamento svolge evidentemente un ruolo fondamentale in riferimento alla supervisione. L’onorevole Goulard ha fatto riferimento al lavoro svolto su sua richiesta per migliorare la credibilità delle agenzie. L’onorevole Nitras ha menzionato il ruolo essenziale della Banca centrale europea, il cui Presidente sarà a capo del comitato per il rischio sistemico, con il compito di garantire che l’istituzione sia credibile. L’onorevole Karas ha riferito che, grazie a lei e alla decisione originale ed eccezionale che avete preso in luglio per posporre il voto in prima lettura fino all’autunno, abbiamo avuto il tempo di essere convincenti e progredire in seno al Consiglio. Non ho dimenticato tutto questo e vorrei ringraziarla nuovamente.
Vorrei concludere citando, come fatto dall’onorevole Auconie, il bisogno di “più Europa”. Desidererei esprimere una mia convinzione, onorevoli deputati, ovvero il bisogno di regolamentazione. Dobbiamo vigilare e apprendere le lezioni impartiteci dalla crisi. Dobbiamo migliorare le finanze pubbliche, poiché i debiti di oggi sono le tasse delle generazioni future. Dobbiamo avere una governance e vorrei concludere proprio su questo tema.
La governance non basta. Dobbiamo anche sostenere un progetto economico. È questo il messaggio che il Presidente Barroso ha inteso inviarvi ieri con forza, ed è questo l’approccio che adotteremo. È in questo contesto che dovete interpretare le proposte avanzate in autunno, per mezzo del Single Market Act, volte a migliorare il funzionamento del mercato interno e a garantire una crescita dell’1 o 2 per cento, che l’Europa sarebbe in grado di raggiungere se il mercato interno operasse meglio.
Desidero concludere parlando del coordinamento economico, citato da molti di voi. Vorrei ricordare che, alla fine di questo mese, il Commissario Rehn ed il Presidente Barroso presenteranno delle proposte abbastanza incisive per intervenire in materia di governance. In riferimento al semestre europeo, citato dagli onorevoli Portas, Giegold, Karas, Sánchez Presedo, Cutaş e Auconie, esiste palesemente la volontà politica necessaria per sostenere questo nuovo metodo di coordinamento, di radar e di fotografie istantanee, di azioni proattive nei confronti dei governi, rispettando al contempo, signora Presidente, le prerogative e la sovranità dei parlamenti nazionali.
Ritengo si tratti di un punto estremamente importante. Sono stato membro del parlamento francese e senatore per 20 anni. Sarei stato lieto se, quando ho votato per il bilancio del mio paese, qualcuno mi avesse fornito un’analisi indipendente e oggettiva di quanto si stava verificando in altri paesi, di come questi stavano perseguendo – a volte da soli e utilizzando metodi diversi – gli stessi obiettivi e le stesse discipline concordate insieme.
Vorrei dunque farvi sapere che, relativamente alle questioni legate al coordinamento e alla governance, la Commissione ha la volontà politica necessaria e che la porta del Commissario Rehn è sempre aperta.
Didier Reynders, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero innanzi tutto ringraziare lei e tutti i colleghi che hanno espresso la propria approvazione in merito all’accordo sulla supervisione finanziaria. Come hanno sottolineato in molti, si è trattato di un impegno congiunto del Parlamento – soprattutto dei suoi relatori – della Commissione e del Consiglio.
Come ho detto pocanzi, ci troviamo all’inizio di un processo e, al fine di dimostrare che questa supervisione costituisce effettivamente un valore aggiunto e forse la prima lezione appresa dalla crisi finanziaria, dobbiamo assicurarci che gli individui che avranno l’incarico di effettuare tale vigilanza vengano scelti in modo quanto più obiettivo – e ritengo che le procedure adottate siano su questa linea – e in seguito se, come hanno richiesto molti in quest’Aula, vorremo passare ad una supervisione che sia sempre più di portata europea, dovremo dimostrarne l’efficacia nei diversi ambiti. Saremo in grado di progredire ulteriormente semplicemente dimostrando l’efficacia di una supervisione condotta a livello europeo. Ripeto, ciononostante, che l’introduzione di una nuova architettura è probabilmente la prima e la più importante lezione che abbiamo tratto dalla crisi finanziaria. Spetta a noi, adesso, farla funzionare per quanto possibile e rafforzare, lo ribadisco, passo dopo passo, il carattere realmente europeo di questa nuova supervisione.
Il mio secondo commento si riallaccia a quanto detto pocanzi dall’onorevole Gauzès, ovvero al trilogo che si terrà questo pomeriggio, durante il quale avremo modo di discutere in modo più approfondito dei fondi di investimento. Ritengo che tutti debbano agire e accettare di seguire lo stesso processo appena svolto con successo nell’area della supervisione finanziaria. Effettivamente sussistono ancora dei problemi in seno al Consiglio e si stanno susseguendo dei dibattiti qui in Parlamento su alcuni aspetti relativi ai cambiamenti nei fondi di investimento, ma si tratta di una questione per la quale sono necessari dei progressi.
Il Commissario Barnier ed io riteniamo che si debbano fissare delle scadenze rigide per l’entrata in vigore dei nuovi testi. Relativamente ai fondi di investimento – cercheremo di progredire a partire da questo pomeriggio – si deve adottare lo stesso approccio e cercare di stabilire un quadro europeo che protegga efficacemente i cittadini ed i consumatori rispetto ad alcuni prodotti ed alcune attività che vengono sviluppati in Europa.
Vorrei semplicemente aggiungere che, al fine di valutare i progressi compiuti in materia di regolamentazione e supervisione, il Commissario Barnier ha manifestato l’intenzione, durante l’incontro informale del Consiglio Ecofin, di confrontare, per così dire, quanto sta avvenendo su entrambe le sponde dell’Atlantico. Desidero confermarvi che intendo invitare alla riunione informale dell’Ecofin il presidente della commissione per i problemi economici e monetari, al fine di interessarci e discutere dei progressi rispetto ad un lavoro che riguarda non solo il Consiglio e la Commissione ma anche il Parlamento. Alla fine dei mese avremo dunque l’opportunità di discuterne anche con il Parlamento. È importante riconoscere i cambiamenti che anche noi stiamo apportando da questa parte dell’Atlantico.
Il terzo punto su cui desidero soffermarmi è la tassazione delle operazioni finanziarie – dal momento che non voglio esaminare nuovamente i fondi di risoluzione; il Commissario Barnier, come annunciato, presenterà delle proposte specifiche nel corso delle prossime settimane. Per quanto riguarda la tassazione delle operazioni finanziarie, circa dieci anni fa, in occasione della scorsa Presidenza belga del Consiglio, ho cercato di sollevare questo tema affinché se ne discutesse, ma non siamo stati in grado di farlo. Regnava un’unanimità virtuale tra i cittadini belgi in materia ed era l’unico tema per il quale abbiamo raggiunto tale unanimità. Questa volta il dibattito ha veramente preso il via. Sono consapevole che sono state avanzate numerose richieste pressanti affinché vengano presentate delle proposte sulle aliquote, l’imponibile e l’uso degli introiti. Forse dovremmo prima lasciare che all’interno degli Stati membri si sviluppino delle idee per poi avviare un dibattito sull’organizzazione pratica.
Quello che non faremo, nell’ambito della preparazione del G20, è proprio rinviare la questione al G20 stesso. Piuttosto tenteremo di identificare una serie di partner – e ve ne sono – con i quali potremo procedere nella stessa direzione. Tuttavia, vorrei sottolineare che questo dibattito verrà perseguito con tenacia ed è stato già sviluppato nell’ambito di questo Ecofin. Lo riprenderemo alla fine del mese in occasione della riunione informale dell’Ecofin e vorrei che potessimo effettivamente progredire, anche per quanto riguarda la distribuzione delle risorse.
Siamo chiari: l’obiettivo non è risolvere le crisi utilizzando questa tassa. Lo scopo è forse, come indicato da molti, contrastare la speculazione e rilasciare fondi e li stiamo già utilizzando tre o quattro volte: innanzi tutto nella lotta al cambiamento climatico, in secondo luogo per gli aiuti allo sviluppo e, in terzo luogo, per colmare le lacune nei bilanci. Non sarà un dibattito facile e riconosco che siamo lontano dal raggiungere un accordo in materia.
Vorrei concludere, signora Presidente, parlando del consolidamento di bilancio. Dobbiamo essere chiari: il semestre europeo costituisce un primo passo. Ne seguiranno altri e parleremo delle sanzioni. La politica appena adottata forse implica, innanzi tutto, una discussione su questi meccanismi per gli Stati membri dell’eurozona per poi vedere come estenderli, nel rispetto delle disposizioni dei trattati, agli Stati membri che non ne fanno parte.
Ovviamente, l’idea è di proseguire verso una convergenza macroeconomica e verso il consolidamento del bilancio, ma desidero ricordarvi che il patto che ci vincola nelle questioni di bilancio è il Patto di stabilità e crescita e il dibattito su crescita, occupazione e politiche sociali ed ambientali che deve essere condotto in Europa non verrà trascurato.
L’intero dibattito sul bilancio non verte unicamente sulla necessità di ricostituire un equilibrio nei vari Stati Riguarda anche l’analisi di quali siano gli aspetti dei nostri bilanci che ci permetteranno di progredire non solo verso l’equilibrio ma anche verso la crescita, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo di politiche sociali e la partecipazione attiva – e sottolineo il termine “attiva” – nella lotta al cambiamento climatico.
Tenteremo di fare tutto questo. La Presidenza belga è chiaramente pronta a progredire sulle suddette questioni e, come ho appena dichiarato, per quanto riguarda i fondi di investimento lo faremo nuovamente proprio questo pomeriggio.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
António Fernando Correia de Campos (S&D), per iscritto. – (PT) Ieri il Consiglio Ecofin ha preso due decisioni corrette che corrispondono alle posizioni assunte dalla maggioranza in Parlamento da mesi. La prima decisione è relativa alla supervisione macroprudenziale del sistema finanziario da parte del comitato europeo per il rischio sistemico (ESBR), insieme alla supervisione microprudenziale delle banche degli assicuratori e dei fondi pensione ed il controllo dei valori immobiliari. La seconda decisione riguarda il “semestre europeo” inteso come processo di coordinamento per le politiche economiche europee. Oltre ad un’analisi comparata ex ante degli sviluppi di bilancio degli Stati membri, il semestre europeo andrebbe inteso non come un’ingerenza nell’autonomia nazionale ma come un modo di discutere un approccio più ampio all’economia. È possibile farlo non solo da un punto di vista puramente finanziario, ma piuttosto includendo anche le politiche legate all’occupazione e all’inclusione sociale. Condividiamo questo approccio più ampio e desidereremmo che venisse sviluppato nelle prossime fasi della governance economica.
Richard Seeber (PPE), per iscritto. – (DE) Le nuove norme per il mercato finanziario interno devono essere accolte positivamente dal momento che comportano dei miglioramenti e una maggiore sicurezza per gli investitori. I mercati finanziari hanno operato al di là dei confini internazionali per decenni, motivo per cui le autorità finanziarie devono finalmente cominciare ad operare anch’essi su base transfrontaliera. Tuttavia, l’attuazione di queste risoluzioni richiede che le autorità nazionali rinuncino a parte delle loro competenze e le trasferiscano di fatto alle istituzioni comunitarie. Si tratta di una delle condizioni essenziali affinché il mercato interno possa funzionare.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il dibattito sulle dichiarazioni rilasciate dal Presidente della Commissione e dal Consiglio sulle decisioni dell’Ecofin dimostra che l’intero volto politico del capitale si riflette nella scelta strategica dei monopoli di trasferire il prezzo della crisi del capitalismo sui lavoratori e sui cittadini delle classi più umili. Le iniezioni di ottimismo artificiale vengono contraddette dalle stesse figure della Commissione, che dimostrano come il recupero capitalistico sia debole, instabile e incerto. Ecco perché si potenzia l’attacco brutale ai più deboli con ulteriori mezzi e meccanismi: la cosiddetta “governance economica rafforzata”, il “semestre europeo” per una più rigida ottemperanza al Patto di stabilità da parte degli Stati membri, una promozione più rapida ed efficace della strategia Europa 2020 contro i più deboli, i cambiamenti al bilancio UE e una sorveglianza più attenta dei bilanci degli Stati membri per garantire l’applicazione uniforme di tagli drastici alla spesa sociale. Le assurdità sulla creazione di autorità europee che dovrebbero apparentemente controllare il credito e tassare le banche e gli scambi in borsa sono solo fuochi d’artificio per fuorviare i movimenti di base e aumentarne la resistenza. Questi piani dimostrano una volta di più che la lotta ai lavoratori che è stata scatenata in Grecia dal governo PASOK, dall’UE e da altre parti del capitale non è specifica del contesto greco ma è piuttosto la scelta strategica del capitale per l’intera Unione europea.
4. Protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura (A7-0230/2010), presentata dall’onorevole Jeggle, a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici [06106/1/2010 – C7-0147/2010 – 2008/0211(COD)].
Elisabeth Jeggle, relatore. – (DE) Signora Presidente, onorevole Dalli, onorevoli colleghi, dopo quasi due anni di intense discussioni, abbiamo raggiunto un accordo con il Consiglio e la Commissione in merito a una direttiva sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, conseguendo un equilibrio importante fra il benessere degli animali e gli interessi della ricerca.
A tal fine desidero esprimere la mia gratitudine a tutte le persone coinvolte per la preziosa collaborazione in questa materia, nonché ringraziare il nostro ex collega, Neil Parish, che in prima lettura nel maggio scorso è stato in grado di garantire al Parlamento una buona posizione di partenza. Desidero ringraziare tutti i relatori ombra e i rappresentanti della Commissione, nonché le Presidenze svedese e spagnola. Non da ultimo ringrazio il personale dei gruppi politici e della segreteria della commissione. Tutti abbiamo fatto quanto in nostro potere per addivenire a questo compromesso.
Rispetto alla direttiva del 1986 attualmente in vigore, questa nuova direttiva sugli esperimenti animali rappresenta un grande progresso in materia di benessere degli animali. L’impiego di animali nella ricerca medica continuerà a essere possibile, in assenza di alternative, benché soggetto a regolamentazioni molto severe. I principi sanciti dalla nuova direttiva sono la sostituzione e la riduzione degli esperimenti sugli animali e il perfezionamento delle procedure inerenti al loro benessere, attraverso regolamenti esaustivi in materia di protezione e criteri di controllo. L’obbligo di effettuare una valutazione etica, comprendente l’analisi dei danni e dei benefici, e di assoggettare ad autorizzazione i progetti, così come la normalizzazione e la necessaria garanzia di competenza delle persone che si occupano degli animali rappresentano nuovi pilastri fondanti.
Gli esperimenti con gli animali non saranno possibili senza previa autorizzazione, ivi compresa un’analisi del progetto in base a considerazioni di carattere etico. È indispensabile effettuare esami approfonditi al fine di stabilire la necessità di un determinato esperimento animale, la possibilità della sua sostituzione con una procedura alternativa e la valutazione di tutti i requisiti in materia di benessere dell’animale relativi alla gravità dell’esperimento. Laddove possibile, i ricercatori devono risparmiare angoscia, sofferenza e dolore agli animali.
Su insistenza della delegazione parlamentare siamo inoltre riusciti a istituire un sistema molto rigido di controllo e di ispezione. L’autorità competente modulerà la frequenza delle ispezioni, che prevedono controlli in loco senza preavviso, al fine di adeguare il livello di rischio atteso. Abbiamo senza dubbio trovato un equilibrio tra gli elevati livelli di benessere degli animali e la possibilità di portare avanti la ricerca in Europa. Tale equilibrio tiene conto delle esigenze della ricerca per quanto concerne la dignità e la salute umana, riconosce gli interessi legittimi dei malati e apporta un sostanziale miglioramento al benessere degli animali rispetto agli standard fissati nel 1986.
Nei negoziati trilaterali siamo giunti a un compromesso che è stato accettato il 3 giugno 2010. Onorevoli colleghi, vi invito ad appoggiare tale compromesso e a respingere tutti gli emendamenti proposti.
John Dalli, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, in primo luogo desidero esprimere il rammarico da parte del Commissario Potočnik per non essere presente oggi. Al momento si trova a Gent per una riunione ministeriale informale sulla posizione dell’Unione europea nel quadro della decima riunione della conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica che si terrà a Nagoya in ottobre.
Desidero ringraziare il Parlamento e, in particolare, i relatori, l’onorevole Jeggle e l’ex parlamentare Neil Parish, i relatori ombra e quanti si sono impegnati per la redazione di questo importantissimo atto normativo. Sono lieto di constatare l’eccellente collaborazione tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione.
I negoziati fra le istituzioni e le consultazioni prima e durante la procedura di codecisione si sono rivelati impegnativi in quanto è stato necessario tenere in considerazione e riflettere il più possibile nel testo le opinioni e le esigenze discordi e spesso profondamente divergenti degli Stati membri, dell’industria, del mondo accademico e dei sostenitori del benessere degli animali. Credo che il risultato si sia concretizzato in un atto normativo giusto e praticabile che rappresenta un ottimo compromesso fra la promozione della ricerca e della competitività europea e la garanzia del pieno rispetto del benessere degli animali.
La revisione era tanto necessaria quanto essenziale per migliorare in modo significativo le condizioni degli animali utilizzati a fini sperimentali, chiarire gli obblighi legali e garantire regole eque nell’Unione. Una volta recepita la nuova legislazione, l’Unione europea sarà in grado di vantare gli standard più elevati al mondo in materia di benessere degli animali utilizzati a fini sperimentali, alzando il livello nei 27 Stati membri così che la competitività della ricerca e dell’industria non venga compromessa, ma al contrario stimolata.
Riteniamo che il testo da sottoporre a votazione oggi conservi tutti gli elementi fondamentali della proposta originaria della Commissione. Credo pertanto che, se il vostro voto sarà favorevole, avremo conseguito gli ambiziosi obiettivi della Commissione per questa revisione.
Herbert Dorfmann, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, tutti gli animali necessitano della nostra protezione, siano essi utilizzati a fini sperimentali o per scopi agricoli, siano domestici o selvatici.
Nondimeno, in base al mio personale sistema di valori, un animale è un animale e una persona è una persona. Esiste una chiara gerarchia di valori. Negli ultimi giorni, ad esempio, si è discussa l’apparente possibilità di condurre esperimenti sugli animali senza prima sottoporli ad anestesia. È vero che si può prelevare un campione di sangue da un animale senza sedarlo, ma lo stesso vale per le persone. Dubito che qualcuno di noi sia mai stato sedato prima di un prelievo. Il progresso medico va a beneficio degli esseri umani, di qui purtroppo la necessità degli esperimenti sugli animali. Nel caso di molte malattie, alcune delle quali assai rare, si attendono con ansia sviluppi nel campo della medicina, della scienza e della ricerca, pertanto la sperimentazione animale continuerà a servire in questi settori.
Sono favorevole alla rinuncia agli esperimenti sugli animali laddove siano disponibili altri metodi equivalenti. La proposta che abbiamo davanti a noi ci garantisce tutto questo, con una eccezione, ovvero il divieto di impiegare esseri umani o cellule riproduttive umane nei suddetti metodi alternativi.
Abbiamo raggiunto un valido compromesso che offre protezione alla ricerca, all’Europa in quanto polo di ricerca e soprattutto agli animali. Oggi è opportuno votare in favore di questo compromesso per garantire una più ampia tutela agli animali e a una ricerca efficace in Europa.
Daciana Octavia Sârbu (S&D). – (RO) Desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Jeggle, i nostri colleghi e i relatori ombra per la preziosa collaborazione profusa nei negoziati condotti con il Consiglio al fine di addivenire a questo compromesso.
Ogni anno nell’Unione europea si utilizzano circa 12 milioni di animali per gli esperimenti scientifici. I cittadini hanno spesso sollevato la questione della necessità di assicurare loro una protezione migliore.
Laddove possibile, tutti vorremmo impedire la sperimentazione animale, eppure dobbiamo continuare a servircene ai fini della tutela della salute degli uomini, degli animali e dell’ambiente.
Tra le nuove disposizioni aggiuntive della direttiva è previsto l’obbligo di ispezioni più frequenti che in passato, in molti casi senza la necessità di preavviso. È altresì richiesta un’autorizzazione previa per le procedure facenti ricorso all’uso di animali, segnatamente primati non umani.
È stato infatti fissato un limite di sofferenza per gli animali coinvolti in procedure scientifiche e si è proposta una restrizione dell’utilizzo di primati non umani. Questo significa che il loro impiego è possibile soltanto in procedure condotte allo scopo di evitare, prevenire, diagnosticare o trattare affezioni umane potenzialmente letali.
Sono lieta che nel testo definitivo si sia mantenuto l’obbligo di effettuare una revisione periodica della direttiva tenendo conto del progresso scientifico. Desidero sottolineare l’importanza della promozione di metodi alternativi alla sperimentazione animale di cui alla presente proposta di direttiva.
Tutti sappiamo che l’attuale proposta legislativa era prevista da molto tempo e ritengo che a seguito dei negoziati con il Consiglio svoltisi nel corso delle Presidenze svedese e spagnola si sia raggiunta una posizione comune equilibrata che soddisfa tanto la necessità di tutela degli animali utilizzati nelle procedure scientifiche quanto le esigenze della comunità scientifica.
Marit Paulsen, a nome del gruppo ALDE. – (SV) Signora Presidente, cercherò di illustrarle brevemente gli antecedenti, ma prima desidero esprimere il mio ringraziamento all’onorevole Jeggle per lo straordinario ruolo di guida assunto in questa materia spinosa.
La proposta della Commissione in merito alla questione in oggetto potrebbe quasi definirsi, in sintesi, estremamente corretta nei confronti degli animali, tanto quanto la prima lettura del Parlamento potrebbe definirsi estremamente corretta nei confronti dell’industria. Negli ultimi anni, grazie al prezioso sostegno delle Presidenze svedese e spagnola, il Parlamento, guidato dall’onorevole Jeggle, la Commissione, il Consiglio, i nostri gruppi di partito e i membri della commissione hanno lavorato, passo dopo passo, parola dopo parola, fino a ottenere quella che oggi si profila come una direttiva ragionevolmente equilibrata.
Se sono gli animali che vogliamo innanzi tutto proteggere, allora desidero spostare l’attenzione sulle strutture che stiamo attualmente approntando per gli animali di cui ci nutriamo. A tale riguardo resta ancora moltissimo da fare. Allo stato attuale questi animali godono di un livello di protezione inferiore rispetto a quelli utilizzati negli esperimenti; basti pensare alle lunghe distanze che percorrono per raggiungere i macelli in Europa. Non li vedete quando siete in autostrada?
In passato mi sono trovata ad affrontare relazioni e negoziati difficili, ma non ho mai visto il Parlamento cambiare i suoi pareri e le sue decisioni in base alla posizione di certi gruppi di interesse presenti. Non me lo aspettavo da questo Parlamento.
Jill Evans, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, anche io desidero ringraziare l’onorevole Jeggle per l’infaticabile impegno a favore di questa relazione. Si rilevano miglioramenti significativi nel testo di compromesso, segnatamente riguardo alle ispezioni, al nuovo processo di autorizzazione per gli esperimenti e a un adeguato sistema di classificazione, che accogliamo con favore. Abbiamo però atteso diversi anni l’aggiornamento di questa legge e vi sono ancora tre questioni importanti che rappresentano motivo di preoccupazione per il mio gruppo e che giustificano gli emendamenti da noi presentati.
Riteniamo che gli Stati membri debbano mantenere il diritto, di cui godono al momento, di introdurre norme più restrittive sulla protezione degli animali, come concordato in prima lettura. A nostro parere bisogna ricorrere alle alternative agli animali laddove possibile, mentre l’attuale formulazione del testo circoscrive i requisiti alternativi obbligatori a un numero ridotto di esperimenti, inficiando le leggi vigenti, e questo non è quanto abbiamo votato in prima lettura.
Per quanto concerne i primati non umani, è nostra opinione che senza l’attributo “sostanziale” una patologia debilitante possa riferirsi a qualsiasi disturbo umano piuttosto che a una grave menomazione della salute, come era invece nelle intenzioni.
L’esperienza acquisita con le normative in materia ci insegna che l’attuazione e l’applicazione risultano fondamentali ai fini della loro efficacia, quindi i suddetti aspetti sono cruciali. Con l’obiettivo di una maggiore chiarezza che sia frutto di un dialogo più approfondito, il mio gruppo chiede di rinviare la questione alla commissione.
Janusz Wojciechowski, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signora Presidente, sono lieta che questa direttiva si sia concretizzata e desidero congratularmi con l’onorevole Jeggle perché il lavoro necessario a raggiungere questo compromesso è stato molto oneroso. È positivo che l’Unione europea stia disciplinando un altro settore importante relativo al trattamento degli animali e che si stiano adottando soluzioni intese a impedire ogni forma di crudeltà nei loro confronti. Nel sistema precedente gli esperimenti indispensabili condotti sugli animali erano troppo crudeli. È possibile fissare un limite in tal senso e la presente direttiva si muove in questa direzione. La crudeltà nei confronti degli animali li danneggia e ne causa sofferenza, ma più di tutto danneggia l’uomo, in quanto costituisce un affronto alla sua dignità. Chi si dimostra crudele verso gli animali agisce contro la propria umanità e dignità. La risoluzione adottata oggi dal Parlamento rappresenta un passo in questa direzione, benché contempli una disposizione sulla quale nutro alcune riserve e che esporrò nel mio intervento dopo la votazione.
Marisa Matias, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signora Presidente, l’Europa ha l’obbligo di promuovere la tutela degli animali, ma ciò che è in discussione qui trascende questa premessa e pone alcune difficili questioni. Nessuna certezza va considerata un valore assoluto in sé e per sé, nondimeno ci troviamo ad affrontare scelte e contraddizioni cui si può rispondere soltanto grazie a una normativa equilibrata.
Su una scala di valori il benessere degli animali va collocato al di sotto del valore della salute umana o no? Come si profila l’attuale strategia di ricerca europea laddove sono coinvolte la salute umana e la ricerca di base, ad esempio? Come si può impedire l’abolizione della ricerca medica in Europa, dato che ciò in definitiva ne comporterebbe la distruzione?
Eliminando queste domande possiamo anche metterci a tacere la nostra coscienza europea, ma stiamo esportando la ricerca medica, ad esempio, in altri paesi che forse non garantiscono il controllo del benessere degli animali. Dobbiamo essere in grado di sviluppare e promuovere metodi alternativi all’impiego degli animali a fini scientifici, ma la discussione resta aperta e mi auguro di cuore che la questione venga esaminata in modo più approfondito.
Giancarlo Scottà, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, è importante e necessario trovare un punto di equilibrio tra la necessità di portare avanti la ricerca scientifica e il bisogno di proteggere il benessere degli animali.
Attualmente, la tutela degli animali utilizzati nelle procedure scientifiche è carente. Attraverso le nuove conoscenze scientifiche si possono promuovere alternative che sostituiscono o riducono l'impiego degli animali. Bisogna utilizzare metodi o procedure che causino minor dolore e sofferenza possibile, senza ostacolare però la sperimentazione scientifica per la lotta contro le malattie.
È giusto dunque rivedere la legislazione europea sulla protezione degli animali in modo da ottenere risultati soddisfacenti, preservando le esigenze dell'industria della ricerca, data la necessità di proseguire la ricerca scientifica a beneficio della salute umana e, allo stesso tempo, tutelando il benessere degli animali ancora necessari per fini scientifici.
PRESIDENZA DELL’ON. LAMBRINIDIS Vicepresidente
Mike Nattrass (NI). – (EN) Signor Presidente, la Commissione ha proposto questa direttiva nel 2008 e vi erano motivi di preoccupazione in merito agli eccessivi oneri imposti all’industria della ricerca scientifica. La proposta alleggerirà alcune restrizioni e ho riscontrato che il requisito di condivisione dei risultati delle ricerche sugli animali è stato abolito.
Ogni anno nell’Unione europea vengono utilizzati circa 12 milioni di animali a fini sperimentali e questa proposta potrebbe acuirne la sofferenza. Dobbiamo ridurre la necessità delle sperimentazioni animali.
Gli esseri umani civili cercheranno un compromesso fra le esigenze della ricerca e l’obbligo di rispettare la vita di altre creature su questo pianeta. Tali decisioni richiedono la saggezza di Salomone. Ammetto che mi rincresce doverlo chiedere, ma il Parlamento europeo possiede questa saggezza?
Martin Kastler (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, offrendo una più ampia tutela agli animali utilizzati nella ricerca scientifica stiamo compiendo un nuovo e importante passo avanti in materia di benessere degli animali.
Molto è stato detto riguardo al benessere degli animali e sul fatto che l’Europa rappresenta un polo di rilievo per la ricerca industriale e l’innovazione. Resta tuttavia una questione da sviscerare e coincide con un valore fondamentale dell’Unione europea: la dignità umana e il modo in cui trattarla. Ritengo non si debba migliorare il benessere degli animali esponendoci a rischi in un settore che, almeno in parte, è incompatibile con i nostri valori europei.
Perché dico questo? Nei suoi documenti la Commissione europea ha accennato a metodi alternativi, tra i quali cinque metodi che prevedono la ricerca nel campo delle cellule staminali embrionali, segnatamente delle cellule staminali umane, e il loro utilizzo. A mio avviso questo è immorale e non posso ignorarlo quando oggi verrà votata la proposta di compromesso tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione. Desidero quindi invitare voi e, in particolare, il Consiglio, gli Stati membri e la Commissione, sotto forma del cosiddetto comitato di regolamentazione, ad adottare un approccio molto delicato. Mostrare preoccupazione per la dignità umana non significa opporsi al benessere degli animali, al contrario, noi vogliamo entrambe le cose. Vogliamo collaborare per tutelare la dignità delle creature viventi, siano animali o esseri umani, nel modo più consono al nostro concetto europeo di dignità, così da poter operare congiuntamente per difenderla e sostenerla.
Uno dei segni distintivi dell’Europa è la volontà di lottare per la libertà e la dignità umana. Non mi trovo quindi nella condizione di prendere parte alla votazione odierna, in quanto in un’ottica morale mi è impossibile fare una cosa ignorando l’altra. È giusto che oggi si sia discusso questo argomento, ma la terza dimensione della dignità umana è andata persa alquanto malamente.
Paolo De Castro (S&D). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, dopo un anno e mezzo di difficili negoziati tra Parlamento, Consiglio e Commissione, siamo finalmente giunti a un testo di compromesso sul dossier sensibile sulla sperimentazione animale. Si è trattato di un lavoro difficile e desidero ringraziare la nostra relatrice, onorevole Elizabeth Jeggle, e i nostri relatori ombra per aver condotto un così intenso negoziato.
Il testo è stato approvato in seno alla commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, che ho l'onore di presiedere, senza nessun voto contrario e solo quattro astensioni. Esso rappresenta un buon punto di equilibrio tra l'esigenza di migliorare il livello di benessere degli animali utilizzati negli esperimenti e quella di permettere il progresso nella ricerca medica. La proposta mira ad analizzare e migliorare la direttiva del 1986, ormai obsoleta, e a uniformare le regole europee in materia.
La sperimentazione sugli animali suscita in tutti noi e nell'opinione pubblica una particolare sensibilità, ma posso affermare con convinzione, onorevoli colleghi, che stiamo per votare un testo ragionevole, frutto di un lavoro serio e rigoroso, che rappresenta un avanzamento rispetto alla legislazione esistente in termini di protezione degli animali, ma che, allo stesso tempo, non perde di vista la responsabilità morale che abbiamo nel far progredire la ricerca in campo medico.
George Lyon (ALDE). – (EN) Signor Presidente, è innegabile l’esistenza di forti posizioni a sostegno dell’una e dell’altra tesi. L’argomentazione è assai chiara: da un lato vi è chi ritiene prioritari i diritti degli animali, dall’altro chi crede al diritto della società di assistere al progresso nello sviluppo di farmaci, terapie e cure per gli infermi, i malati e i sofferenti. Occorre trovare il giusto equilibrio. Sì, dobbiamo proteggere gli animali, ma dobbiamo anche garantire ai nostri scienziati gli strumenti necessari a sviluppare i nuovi farmaci che in futuro potranno curare alcune delle patologie più terribili che ci troviamo a fronteggiare in quanto società.
Riguardo alla suddetta argomentazione, il testo in oggetto mantiene il giusto equilibrio tra questi due punti di vista. Ritengo che la tutela degli animali e i diritti della società siano trattati in modo corretto e l’equilibrio lo ritroviamo proprio qui, nel testo davanti a noi. Desidero rendere omaggio all’onorevole Jeggle e a tutti i relatori ombra per il lavoro svolto.
Giunti a quest’ora tarda della giornata, inviterei i verdi a riflettere attentamente sugli emendamenti proposti. L’argomento è già stato trattato nella discussione e si è svolto un negoziato. A mio avviso il testo tiene conto dei loro timori e li affronta. Il tema è troppo importante perché si faccia politica e a questo punto li invito a prendere in considerazione l’idea di ritirarsi prima di procedere alla votazione.
Carl Schlyter (Verts/ALE). – (SV) Signor Presidente, la lotta a favore degli animali va di pari passo con la lotta per una ricerca migliore. Chiunque difenda gli esperimenti sugli animali indebolisce la ricerca. Esiste una tradizione, una falsa credenza, riguardo all’efficacia della sperimentazione animale. Sempre più farmaci comportano reazioni specifiche negli esseri umani e pertanto detti esperimenti non hanno alcun valore. Le alternative sono al contrario efficaci, più rapide ed economiche. Gli emendamenti proposti dal gruppo Verde/Alleanza libera europea mirano ad aiutare gli animali e la ricerca, quindi vi esorto a votarli.
Esiste inoltre una scappatoia che consente l’impiego di scimmie. È opportuno eliminarla con gli emendamenti proposti dai verdi. Le scimmie si possono accettare soltanto nelle eventualità peggiori di sintomi di affezione umane gravi; non esistono scappatoie.
Da ultimo i paesi devono avere l’opportunità di prendere l’iniziativa in materia di tutela degli animali e di sperimentazione di nuovi metodi; soltanto così l’Europa potrà primeggiare a livello mondiale nell’ambito della protezione degli animali e della ricerca medica.
John Stuart Agnew (EFD). – (EN) Signor Presidente, in qualità di agricoltore ho sempre auspicato un trattamento corretto nei confronti degli animali e ritengo sia così nel Regno Unito, almeno da parte della nostra comunità scientifica.
Ho visitato l’Huntingdon Life Sciences nella mia circoscrizione elettorale e so che il personale dedicato svolge esclusivamente le attività necessarie al progresso scientifico. Questo istituto conduce test su prodotti farmaceutici che, di qui a qualche anno, potrebbero essere in grado di salvare la vita di qualcuno in quest’Aula. Ogni dipendente ha l’obbligo di agire da informatore nel caso in cui sia in possesso di prove attestanti maltrattamenti sugli animali.
Non possiamo e non dobbiamo imporre controlli inutili che limitano in modo arbitrario alcuni approcci. Questi tre emendamenti non miglioreranno il benessere degli animali, al contrario, la loro imposizione osterà la ricerca. Essi, fra l’altro, porteranno inevitabilmente a un conflitto legalistico che non stimolerà in alcun modo il progresso medico, ma che probabilmente arricchirà gli avvocati.
In tutta franchezza, è opportuno che l’Unione europea applichi un po’ di più il concetto “se non è rotto, non aggiustarlo”. Nel Regno Unito esiste un sistema sensato, una comunità scientifica responsabile (compresa, nella mia circoscrizione elettorale, quella fucina di progresso scientifico mondiale che è l’Università di Cambridge) e leggi equilibrate che rispondono in modo ragionevole alle esigenze tanto della scienza quanto del benessere degli animali. Questo attento equilibrio va preservato. Il mio messaggio all’Unione in tal senso è semplice: una volta tanto, evitiamo di strafare.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (EN) Signor Presidente, la direttiva in discussione ha lo scopo di limitare i test sugli animali e migliorare le condizioni degli animali usati nella ricerca.
L’Europa vanta già gli standard più elevati al mondo in materia di benessere degli animali e questa direttiva li innalzerà ulteriormente, il che è encomiabile. Non va dimenticato però che gli esseri umani e la loro prosperità sono più importanti del benessere degli animali e che esiste una differenza fondamentale in termini di dignità fra animali ed esseri umani.
Apprezzo l’equilibrio fra norme più severe sul benessere degli animali e l’impiego di animali, pur consentendo la continuazione della ricerca nel rispetto di condizioni rigorose. Caldeggio il principio delle “tre R” (“replace, reduce and refine”): sostituire, laddove possibile, gli esperimenti sugli animali con altri metodi; ridurre al minimo il numero di animali impiegati e perfezionare gli standard di allevamento, cura e sistemazione.
I test sugli animali saranno consentiti soltanto in assenza di metodi alternativi, garantendo a un tempo la ricerca medica. Si verrà così a creare un equilibrio fra l’esigenza etica di ridurre la sperimentazione animale e i requisiti necessari a una ricerca medica moderna.
A tale riguardo desidero esprimere la mia ferma opposizione a metodi alternativi alla sperimentazione animale che prevedono test basati sull’uso di cellule staminali embrionali umane. Nutro timori per quegli Stati membri le cui norme nazionali non escludono in maniera esplicita dall’ambito delle sperimentazioni alternative obbligatorie quei metodi che contemplano l’uso di embrioni umani. Con l’entrata in vigore di questa direttiva dovrebbe essere obbligatorio per gli Stati membri assicurare l’applicazione dei predetti metodi alternativi, siano essi fondati o meno su cellule staminali derivate da embrioni.
Mi asterrò quindi dalla votazione finale e invito gli Stati membri a fornire alternative diverse da quelle che ricorrono alla distruzione della vita umana.
Luis Manuel Capoulas Santos (S&D). – (PT) Signor Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, anche io desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Jeggle per l’eccellente lavoro svolto a nome del Parlamento e della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, congiuntamente alla Commissione e al Consiglio. Dopo un anno e mezzo di negoziati ininterrotti nel corso delle Presidenze svedese, spagnola e belga è stato possibile trovare un compromesso equilibrato fra le esigenze della comunità scientifica e quello che in queste circostanze potremmo definire il “benessere animale”.
La maggioranza necessaria a ottenere questo risultato è stata raggiunta durante una discussione molto intensa ed emozionante nella quale tutti i partiti hanno fatto concessioni. Anche il pubblico ha ampiamente partecipato, come d’altronde ci si aspetta in una questione delicata come questa. I responsabili politici devono tuttavia prendere decisioni e se da un lato è opportuno mostrarci sensibili nei confronti della sofferenza degli animali, dall’altro bisogna operare scelte e stabilire una gerarchia di valori. La posizione rappresentata oggi dall’onorevole Jeggle si fonda su una gerarchia di valori con un apparente equilibrio tra benefici per la salute umana e sofferenza degli animali. Il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo voterà quindi a favore della relazione, respingendo eventuali emendamenti.
Jorgo Chatzimarkakis (ALDE). – (DE) Signor Presidente, desidero innanzi tutto esprimere la mia gratitudine e porgere i miei rispetti all’onorevole Jeggle, che ha lavorato per anni a questa relazione. Ciononostante, onorevole Jeggle, mi preme puntualizzare una cosa: in quanto europei, non possiamo sentirci orgogliosi di questa relazione. È troppo vaga e consente troppe libertà che un paese o un continente con un ruolo guida in materia di benessere degli animali in tutto il mondo non dovrebbe consentire.
Prevedo un peggioramento della situazione, in particolare per quanto concerne il riutilizzo di animali a fini sperimentali. In passato questa prassi era più difficile, ma ritengo che ora i regolamenti siano stati indeboliti. Scuota pure il capo, ma è innegabile che a una più attenta analisi i dettagli e le sfumature della formulazione del testo risultano determinanti. I livelli di gravità degli esperimenti rappresentano un altro ambito a rischio di peggioramento in molti Stati membri. Germania, Regno Unito e Svezia, ad esempio, si erano già spinti oltre. Abbiamo fissato una soglia del dolore che è stata mitigata dalle deroghe concesse dal Consiglio e per di più la Commissione si è vista ridurre la sua facoltà in materia di ispezioni.
Malgrado tutto voterò a favore della relazione, onorevole Jeggle, in quanto rappresenta un miglioramento rispetto alla direttiva del 1986, che ha ormai 24 anni. I meccanismi di autorizzazione sono già predisposti, serve un permesso previo per tre fasi della sperimentazione, il che è positivo, e le procedure sono state semplificate, un altro passo avanti. Personalmente mi compiaccio del fatto che siamo stati in grado di salvare la questione dei metodi di sperimentazione alternativi dall’ultima legislatura. Serviranno tuttavia altri fondi a tale riguardo.
La revisione della direttiva entro i prossimi sette anni costituisce un valido presupposto, anche se fra sette anni saranno necessari miglioramenti affinché l’Europa possa mantenersi all’altezza della sua reputazione di leader mondiale in materia di benessere degli animali.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE). – (PT) Signor Presidente, la relazione presentata oggi in quest’Aula dalla nostra collega, onorevole Jeggle, mira a portare a compimento un processo tanto lungo quanto complicato, reso possibile soltanto grazie a un lavoro impegnato e a un’abile capacità di dialogo, e per questo desidero ringraziarla.
Ogni qualvolta un tema in esame richiama interessi molteplici e valori morali, si scatenano non soltanto argomentazioni solide e razionali, ma anche reazioni emotive. Questo non favorisce il consenso auspicato in questa sede al fine di rendere servizio ai cittadini europei, rispettando a un tempo le opinioni dei vari gruppi politici e degli Stati membri. Un simile atteggiamento ci consentirebbe di contribuire all’integrazione europea attraverso l’elaborazione e la presentazione di norme comuni. Ed è proprio questa attesa armonizzazione dei criteri a essere oggetto della presente relazione, nel quadro di un approccio inteso a garantire un più elevato grado di tutela della vita degli animali.
Parimenti, nel corso dei due anni successivi alla decisione di rivedere la direttiva 86/609/CEE del Consiglio in materia di protezione degli animali utilizzati a fini scientifici e tenendo conto delle disparità fra gli Stati membri, si è assistito al tentativo di introdurre norme più dettagliate in materia per attenuare le differenze procedurali. L’importante era trovare un equilibrio fra un livello più elevato di protezione degli animali utilizzati a scopi scientifici e l’esigenza di salvaguardare le condizioni necessarie allo sviluppo della ricerca biomedica nell’Unione europea. Detto equilibrio è stato raggiunto nel testo che a breve voteremo.
In tal modo arrecheremo beneficio agli animali che vogliamo proteggere e soddisferemo le nostre responsabilità nei confronti degli animali, senza compromettere la qualità e il progresso della ricerca biomedica di cui ci gioviamo quotidianamente.
Ulrike Rodust (S&D). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è opportuno votare a favore di questa relazione sulla direttiva in materia di sperimentazione animale. Nel corso dei negoziati con la Commissione e il Consiglio, il Parlamento ha conseguito un notevole risultato, segnatamente il principio di sostituzione, riduzione e perfezionamento.
È innegabile che dal punto di vista del benessere degli animali resti ancora molto da fare. Il Consiglio non si è tuttavia mostrato disposto a compiere sforzi ulteriori, precisando che non vi sarebbe stata un’altra direttiva se non accettavamo il suddetto risultato. Ciò non vieta, in futuro, di continuare a compiere progressi in questo ambito. Le nostre politiche devono accordare alta priorità al benessere degli animali e alla ricerca e sarei lieta se oggi riuscissimo a porre fine una volta per tutte alla sperimentazione animale. Purtroppo siamo ben lungi dal conseguire questo obiettivo e pertanto è nostro dovere offrire la massima tutela possibile agli animali.
A tal fine il compromesso negoziato offre una base di gran lunga migliore; l’importante è che tutti gli Stati membri garantiscano un’attuazione coerente della nuova direttiva. Desidero esprimere un sincero ringraziamento alla relatrice e a tutti i relatori ombra per il loro difficile lavoro.
Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, certamente la relatrice e coloro che con lei hanno lavorato hanno fatto un lavoro difficile per il quale li ringraziamo.
Personalmente, tuttavia, non posso nascondere che, insieme ad alcuni esponenti del governo italiano nel quale mi identifico, nutro delle perplessità per un problema che, dopo 24 anni, ci sembra ancora non risolto nel senso giusto che avremmo voluto.
Alcuni colleghi hanno ricordato che gli animali hanno sensibilità diverse rispetto agli esseri umani. In effetti, nessun animale farebbe mai ciò che sta avvenendo in Iran, che è già avvenuto e che avverrà ancora. In genere gli animali non torturano, non lapidano e non dicono quelle menzogne così tipiche anche del nostro mondo politico.
A questi animali noi dobbiamo giustamente chiedere di esserci utili per una ricerca scientifica migliore e per migliorare la salute dell'uomo, ma non abbiamo il diritto di chiedere che su di essi si possano continuare a esercitare esperimenti inutili, ripetitivi, che servono solo a far intascare soldi a qualche pseudo ricercatore.
Sappiamo benissimo che con gli esperimenti in vitro o con i simulatori informatici del metabolismo umano oggi è possibile raggiungere obiettivi più certi di quelli ottenuti con la sperimentazione animale, perché spesso non è possibile trasferire il risultato dell'esperimento da una specie all'altra, né nel mondo animale né dall'animale all'uomo.
Per queste ragioni ci augureremmo che questo provvedimento fosse rivisto per andare più nel senso della modernità e del rispetto reciproco.
Elisabetta Gardini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio la relatrice e i relatori ombra per il risultato ottenuto. Ritengo che abbiamo ottenuto il miglior compromesso possibile tra le necessità della ricerca e la garanzia del benessere degli animali utilizzati a fini scientifici.
Purtroppo, la ricerca sugli animali resta fondamentale, non esistono alternative. Simulazioni al computer e colture cellulari non bastano, a detta non dei politici, ma dei ricercatori. Allora vorrei ricordare in questa sede, che alcune gravissime malattie sono state sconfitte proprio grazie ai test effettuati su specie viventi; vorrei ricordare che al 98 percento queste specie sono costituite da roditori e, quindi, solo in minima parte vengono utilizzate specie più grandi. Vorrei anche ricordare che, grazie a questi test, oggi disponiamo di cure contro la leucemia, il diabete e alcuni tipi di tumore. Vorrei infine ricordare che i ricercatori sono i primi a voler evitare inutili sofferenze e credo basti andarli a trovare sul posto di lavoro per averne conferma.
È vero che sussistono ancora alcune parti che destano preoccupazione. Vorrei sollevarne una che non è ancora stata citata: all'articolo 49 scompare qualsiasi accenno ai comitati etici, che vengono invece sostituiti da più generici comitati nazionali per la protezione degli animali. Ecco, questo solleva qualche allarme proprio da parte degli addetti ai lavori, perché esistono già comitati etici presso molti laboratori e altri sono in via di istituzione; c'è quindi il timore che possa essere in qualche modo sminuito il ruolo di questi comitati, che vengano invece magari sostituiti da comitati più generici, con un livello inferiore di preparazione etica e scientifica.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE). – (RO) Desidero in primo luogo ringraziare la relatrice, onorevole Jeggle, per l’eccellente lavoro svolto, nonché esprimere sostegno ai colleghi intervenuti oggi contro i tre emendamenti alla posizione comune.
Questo compromesso non è perfetto, benché al momento resti il migliore possibile nella sua formulazione.
Il contenuto della proposta è il risultato di una consultazione avviata con eminenti scienziati che sanno ciò di cui hanno bisogno per continuare le loro ricerche.
Eventuali emendamenti al suddetto compromesso porteranno a una ripresa della consueta procedura, che a mio avviso non è nell’interesse di nessuno. Per questo esorto tutti i colleghi che prenderanno parte alla votazione odierna a respingere i tre emendamenti, consentendo la piena efficienza della ricerca europea.
Anna Záborská (PPE). – (FR) Signor Presidente, Commissario, invito il Consiglio e la Commissione a garantire il divieto di utilizzo di cellule embrionali o adulte prelevate da esseri umani ai fini della tutela degli animali.
La situazione attuale consente infatti l’impiego di materiale umano per proteggere gli animali nel caso di sperimentazioni indispensabili. Si fa un gran parlare di compromesso e il risultato di questa cultura del compromesso è che non sappiamo più cosa è eticamente ammissibile e cosa non lo è. Vi sono nondimeno talune questioni etiche che escludono qualsiasi compromesso. Se la Commissione e il Consiglio non sono in grado di garantire questo divieto, ciò costituirà un prova concreta del modo in cui l’Unione europea tratta gli esseri umani.
Mi rincresce, ma senza questa garanzia non posso appoggiare il testo della direttiva proposta.
Karin Kadenbach (S&D). – (DE) Signor Presidente, onorevole Dalli, siamo pienamente concordi sulla necessità di offrire la migliore assistenza sanitaria ai cittadini europei, e questo include farmaci affidabili con effetti collaterali minimi e trattamenti all’avanguardia. Purtroppo, alla luce dello stato attuale del progresso scientifico, non siamo in grado di farlo senza prescindere dagli esperimenti sugli animali.
Giudico pertanto questa relazione un tentativo perfettamente riuscito di conseguire un equilibrio tra il benessere degli animali e le esigenze sanitarie degli esseri umani. Il principio delle “tre R” (“replace, reduce and refine”, ovvero sostituzione, riduzione e perfezionamento) costituisce il requisito di base per ottenere questo risultato, dato che oggi si è parlato spesso di dignità umana, che per me è inscindibile dal rispetto per gli animali.
Occorrono autorizzazioni previe, controlli severi e sistemi ispettivi efficaci. La normativa da sola non basta. Dobbiamo continuare a vigilare, garantendo l’effettiva attuazione dei contenuti delle relazioni.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) Signor Presidente, ritengo esista una larga convergenza su questo punto: in un mondo ideale non dovrebbe esserci bisogno di condurre ricerche sugli animali. La realtà però è che viviamo in un mondo pieno di sofferenza in cui uomini, donne e bambini malati sono in attesa di cure e quindi dei risultati di dette ricerche, che sono vitali e decisive. Per tale motivo dobbiamo appoggiare l’eccellente compromesso raggiunto dall’onorevole Jeggle, della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, e dal Consiglio.
Come già dichiarato, l’accordo riduce al minimo la sofferenza degli animali senza tuttavia limitare la ricerca, che è essenziale per milioni di pazienti in Europa e in tutto il mondo. Lo sapevate che il 70 per cento dei premi Nobel per la medicina è stato assegnato a lavori basati su esperimenti animali?
Il presente testo non ci chiede di scegliere tra topi e uomini; questa direttiva tutela sia i pazienti sia gli animali. Questa direttiva tutela il nostro futuro.
Martin Häusling (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutti conveniamo sul fatto che questi regolamenti siano migliori dei precedenti. Ritengo nondimeno molto sbrigativo da parte sua, onorevole Jeggle, affermare che non esistono alternative al compromesso. A mio avviso si potevano trarre maggiori vantaggi da questa situazione.
È innegabile che il gruppo di interesse scientifico abbia esercitato una notevole pressione, e tutti ne abbiamo preso atto, ma il nostro obiettivo principale, ovvero la riduzione del numero di esperimenti sugli animali, è stato conseguito? Rimane un grosso punto interrogativo sulla questione. L’altro problema è la mancata limitazione dell’uso di primati non umani.
Noi del gruppo Verde/Alleanza libera europea consideriamo motivo di grande preoccupazione, nonché una grave violazione dei principi europei, che agli Stati membri non sia consentito dare attuazione a regolamenti più rigorosi di quelli presenti nella vigente legislazione. Questa situazione deve cambiare ed è urgente un riesame serio. Questo è il primo punto degli emendamenti presentati dai verdi, nonché il motivo per cui non ritireremo detti emendamenti. Chiediamo che la proposta venga rinviata alla commissione.
João Ferreira (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, lo sviluppo di tecniche e metodi che non prevedono la necessità di sperimentazioni sugli animali e che riducono al minimo la sofferenza loro inflitta, laddove questa sia inevitabile, dovrebbe essere un obiettivo importante della ricerca scientifica e dello sviluppo sperimentale e tecnologico che è utile stimolare. Oltre a tale sviluppo, occorre tenere conto anche dell’esigenza di diffondere le tecniche e i metodi di cui sopra, unitamente alla loro integrazione da parte di istituti di ricerca e sviluppo e di sistemi scientifici e tecnologici nazionali con livelli diversi di sviluppo.
L’Unione europea deve assumere un ruolo di rilievo in questo ambito per promuovere la collaborazione tra gli istituti e i sistemi scientifici e tecnologici di paesi diversi, ivi compresi i paesi terzi. A nostro avviso – in questo settore così come in altri, naturalmente – la fissazione di livelli minimi comuni di protezione nella legislazione non deve ostacolare i singoli Stati membri che intendano adottare livelli di protezione più elevati.
Anna Rosbach (EFD). – (DA) Signor Presidente, non posso che caldeggiare il miglioramento della direttiva sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, benché la situazione sia alquanto paradossale, vista la mia contrarietà agli esperimenti sugli animali. I metodi di sperimentazione alternativi in realtà esistono, e per fortuna la revisione della direttiva li contempla. Sono lieta di questa indicazione e mi auguro che i metodi alternativi ricevano maggiore impulso. In questo momento però l’Unione europea deve introdurre norme umane e sicure per gli animali utilizzati a fini sperimentali. Da ultimo si è riconosciuto che gli animali sono esseri senzienti e ciò porterà alla fissazione di soglie del dolore. Ma perché non si introduce il divieto di effettuare più di una volta gli esperimenti sugli stessi animali? Perché non si vieta l’impiego delle scimmie nella ricerca sul cervello? Mi infastidisce il peso eccessivo accordato al tornaconto di organizzazioni interessate anziché al benessere degli animali e trovo altresì frustrante che in questa sede si possa legiferare soltanto per l’Unione europea. Come vengono trattati gli esperimenti sugli animali al di fuori dell’Unione?
Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore l’iniziativa della Commissione e giudico un importante risultato l’accordo raggiunto sull’armonizzazione delle pratiche nel settore della sperimentazione animale all’interno dell’Unione europea.
La presente direttiva segna un importante passo avanti verso il conseguimento dell’obiettivo della sostituzione degli esperimenti sugli animali vivi a fini scientifici non appena ciò sarà scientificamente possibile. Essa obbligherà innanzi tutto gli Stati membri a promuovere lo sviluppo di metodi alternativi. Esorto caldamente gli Stati membri affinché garantiscano l’erogazione di finanziamenti adeguati per la formazione, la ricerca, lo sviluppo e l’attuazione di metodi o strategie di sperimentazione scientificamente soddisfacenti che non prevedano il ricorso agli animali.
Paul Rübig (PPE). – (DE) Signor Presidente, in qualità di membro della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia accolgo con favore i suddetti regolamenti e l’accordo raggiunto in questa sede. Prendo atto che è sempre difficile trovare un compromesso, ma occorrono norme etiche consone sia in materia di esperimenti sugli animali sia di test sugli esseri umani, e non possiamo che dare attuazione agli standard più elevati di cui attualmente disponiamo.
Naturalmente riteniamo altrettanto importante lo sviluppo di alternative. L’ottavo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico deve incentrarsi in larga misura sui metodi di sperimentazione alternativi. Servono inoltre procedure più semplici, come stabilito dai suddetti regolamenti. La valutazione cui si procederà dopo un periodo di sette anni andrà tutta a beneficio dell’industria, poiché la sicurezza dei processi e la chiarezza e l’uniformità dei regolamenti europei garantiranno la certezza giuridica a questo settore.
Elisabeth Köstinger (PPE). – (DE) Signor Presidente, desidero rimarcare che l’Europa possiede gli standard più elevati al mondo in materia di benessere degli animali e la presente relazione costituisce un altro importante passo avanti verso un ulteriore progresso in questo campo. Il nostro obiettivo comune è la limitazione degli esperimenti sugli animali e il miglioramento delle condizioni di vita degli animali utilizzati a scopo di ricerca. Accolgo con favore la sostituzione degli esperimenti animali con altri metodi, laddove possibile, e il miglioramento delle norme in materia di allevamento, sistemazione e cura per gli animali. Desidero tuttavia ricordare alcune esperienze del settore agricolo ed esprimere il mio giudizio negativo su taluni punti della relazione.
Non dobbiamo dare per scontato che maggiori formalità burocratiche nel settore della ricerca miglioreranno il benessere degli animali. La ricerca e i relativi comparti a valle in Europa non vanno penalizzati a livello internazionale rispetto ad altre industrie. Vero è che sia nella ricerca sia nell’agricoltura, quando la società chiede standard più elevati in materia di benessere animale, occorre tenere conto delle norme applicabili ai prodotti importati. Nell’ambito di una concorrenza leale, serve un adeguato riconoscimento degli elevati standard europei in materia di qualità e benessere degli animali. La relatrice, onorevole Jeggle, ha svolto un lavoro eccellente con questa relazione molto sensata e merita il nostro sostegno.
John Dalli, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, in primo luogo desidero esprimere il mio ringraziamento per le osservazioni presentate, nonché per il sostegno generale accordato alle disposizioni contenute in questa direttiva.
Siamo davanti a una direttiva ambiziosa che, se adottata, migliorerà in maniera significativa il benessere degli animali nell’Unione europea. Concordo con l’onorevole Sârbu sul fatto che la piena e fedele attuazione della direttiva si rivelerà essenziale nell’ottica dello sfruttamento del suo potenziale. Siamo appena agli inizi di questa sfida. Oggi possiamo dichiararci soddisfatti per il valido compromesso raggiunto su un dossier difficile ma importante, nonché per il grande passo avanti che sarà possibile compiere nel quadro del miglioramento della vita degli animali tuttora necessari nelle procedure scientifiche.
Mi accingo quindi a commentare alcune osservazioni presentate questa mattina. Riguardo a quanto dichiarato dall’onorevole Evans, bisogna comprendere che la presente direttiva garantisce maggiore chiarezza giuridica alla situazione attuale. Nella ricerca di base e applicata che non prevede metodi riconosciuti dalla legislazione comunitaria; l’articolo 4 è molto chiaro in merito alla necessità di ricorrere a metodi alternativi laddove possibile. Il requisito dei metodi alternativi non viene quindi indebolito, al contrario, è ulteriormente rafforzato.
Per quanto concerne le osservazioni degli onorevoli Kastler e Mikolášik sulle cellule staminali embrionali umane, si tratta di una questione affrontata nelle discussioni e approfondita nel corso dei negoziati, le cui soluzioni riflettono la mancanza di consenso all’interno dell’Unione sull’uso delle cellule staminali embrionali umane. A tale riguardo la Commissione ritiene che esista una regolamentazione migliore a livello nazionale.
Il testo concordato risponde a questi timori, lasciando la decisione sull’utilizzo di dette cellule a ogni singolo Stato membro. Si aggiunga che, negli Stati membri privi di una legislazione esplicita contraria all’impiego di cellule staminali embrionali, l’uso di questo metodo di sperimentazione sarebbe obbligatorio soltanto ai sensi della direttiva rivista nel caso in cui il predetto metodo fosse riconosciuto dalla legislazione comunitaria. Non esiste alcuna legislazione del genere a livello di Unione europea e, qualora esistesse, gli Stati membri dovrebbero acconsentirne l’approvazione.
Quanto alla valutazione etica cui ha accennato l’onorevole Gardini, tale concetto e la sua attuazione da parte della commissione restano indiscutibilmente sanciti dall’articolo 38. Benché nel corso delle consultazioni con il Consiglio si sia dovuto eliminare il termine “etico”, rimane la piena conformità al requisito.
Mi auguro che, grazie al vostro voto, si mandi un segnale forte a dimostrazione che il Parlamento europeo ha contribuito al risultato negoziato dalle istituzioni sotto l’abile guida dell’onorevole Jeggle e della Presidenza svedese. Oggi abbiamo l’opportunità di collocare l’Unione europea in una posizione di testa, coniugando standard elevati in materia di benessere degli animali a scienza di qualità. Onoriamo il nostro slogan: “L’Unione europea – tuteliamo gli animali per una scienza migliore”.
Elisabeth Jeggle, relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevole Dalli, onorevoli colleghi, desidero esprimere il mio sincero ringraziamento a lei, onorevole Dalli, per le sue osservazioni, che hanno chiarito alcune questioni e che quindi non serve ribadire. Desidero altresì ringraziare tutti i miei colleghi per i loro interventi.
È evidente che, trattandosi di un tema molto delicato, è stato necessario conciliare una serie di interessi diversi. Invito tutti a votare a favore della relazione in oggetto, che ammetto essere un compromesso.
Onorevole Häusling, se respingiamo adesso questa relazione, la direttiva del 1986 resterà valida per lungo tempo e ciò non migliorerà la situazione degli animali da laboratorio. Non saremo in grado di adottare alcuna nuova legislazione nel prossimo futuro. Gli emendamenti che ha sottoposto a un nuovo esame della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale non sono stati accolti e non hanno trovato alcun sostegno. Oggi li ha ripresentati. È suo diritto farlo e rispetto tale diritto.
A cosa servono standard più elevati in materia di benessere degli animali nell’Unione europea quando non possiamo applicarli in tutto il mondo? La sfida importante per noi è garantire che tutti gli Stati membri nei prossimi anni diano attuazione alla normativa che auspichiamo venga oggi adottata. In primo luogo dobbiamo provvedere a che tutti gli Stati membri raggiungano gli stessi standard elevati in tale ambito. Questo è il nostro primo compito, quindi è prematuro invitare i singoli Stati membri ad adottare standard più elevati.
Laddove già esistano standard elevati, e qui mi riferisco alla Germania in quanto tedesca, essi restano in opera. Non stiamo chiedendo a nessuno di fare un passo indietro, al contrario, rispettiamo la sovranità degli Stati membri, proprio come nel caso della ricerca con le cellule staminali embrionali. Questa è la strada giusta da percorrere ed è un aspetto importante.
Se volete davvero standard più elevati in materia di benessere degli animali, vi invito a votare questa relazione e a respingere tutti gli emendamenti.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà mercoledì, 8 settembre 2010.
Pavel Poc (S&D), per iscritto. – (CS) Accolgo con favore e sostengo la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici presentata dalla relatrice Jeggle in quanto il compromesso raggiunto rappresenta un passo avanti rispetto alla situazione attuale. Allo stesso tempo mi rincresce che non sia stato possibile includere tutti gli invertebrati nell’ambito di applicazione della proposta definitiva della direttiva. Il Parlamento europeo ha sollecitato l’inclusione nell’ambito di applicazione della direttiva di determinate specie di invertebrati, laddove sia scientificamente dimostrata la loro capacità di provare dolore, sofferenza, angoscia o danno prolungato. La proposta non accenna neanche a tale richiesta. Pur riconoscendo la necessità di utilizzare gli animali a scopo di ricerca scientifica, è mia ferma convinzione che la direttiva avrebbe dovuto spingersi oltre e includere nel suo ambito di applicazione tutte le creature senza eccezioni. Non dimentichiamo che le nostre conoscenze in merito alle specie animali che secondo gli organismi scientifici ufficiali sono in grado di provare dolore, sofferenza, angoscia o danno prolungato si evolvono in continuazione. Possiamo quindi evincere che la capacità di provare dolore, sofferenza e angoscia riguardi tutto il regno animale. Il riconoscimento di questa realtà è più una questione morale che scientifica. Il compromesso adottato ha purtroppo dimostrato che la cultura europea non si è ancora liberata del concetto cartesiano dell’animale come “cosa” e molta è la strada che resta da percorrere in tal senso.
Konrad Szymański (ECR), per iscritto. – (PL) Riguardo alla procedura per la seconda lettura, i membri non sono stati in grado di esprimere i loro pareri in merito alla versione definitiva della direttiva sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (relazione Jeggle). Desidero approfittare di questa opportunità per chiarire la mia opposizione di principio al consenso accordato nella direttiva a favore dell’uso di cellule staminali embrionali quale alternativa agli esperimenti sugli animali a fini scientifici. Questo è il compimento di un’antropologia erronea, che consente la distruzione della vita umana nel primo stadio del suo sviluppo al fine di migliorare il benessere degli animali. Le garanzie proposte dal Parlamento europeo in prima lettura erano molto più esplicite in tal senso. L’ambiguità delle disposizioni della direttiva rappresenta una vera e propria minaccia alla legislazione vigente in paesi quali la Germania, dove gli embrioni godono di una certa tutela. La mancata esclusione di questi metodi di ricerca costituisce una indubbia imposizione della loro legalità in paesi quali Polonia, Irlanda e Malta.
5. Negoziati in corso sull'accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione relativa ai negoziati in corso sull’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA).
Onorevoli colleghi, vi chiedo un minuto di attenzione. L’ordine del giorno così come è stato adottato non prevede una procedura catch the eye nella discussione odierna. A meno che non vi siano obiezioni, propongo di aprire una breve sessione catch the eye se gli oratori in programma rispetteranno i tempi e se ci sarà tempo disponibile alla fine. Ci sono obiezioni? Molto bene.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato, ancora una volta, la possibilità di discutere in quest’Aula la questione dei negoziati ACTA.
A tale proposito, voglio ricordare il motivo della partecipazione ai negoziati: l’accordo ACTA sarà essenziale per assicurare la competitività dell’Unione e la stabilità dei posti di lavoro sul mercato mondiale.
Infatti, se vogliamo che la nostra economia rimanga competitiva, dobbiamo puntare su innovazione, creatività ed esclusività del marchio, che costituiscono alcuni dei nostri principali vantaggi competitivi sul mercato mondiale. Servono, dunque, gli strumenti per garantirne un’adeguata protezione sui nostri principali mercati di esportazione.
Oltre all’occupazione, ai cittadini europei stanno a cuore anche altre tematiche, come la tutela del consumatore, della sicurezza e della salute.
Il nostro obiettivo è semplicemente quello di stabilire uno standard internazionale sull’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale che sia adeguato, equilibrato ed efficace e che si spinga oltre le regole sancite attualmente dall’OMC: mi riferisco all’accordo TRIPS, l’obiettivo ultimo sul quale, sono certo, ci troveremo tutti d’accordo.
A marzo scorso sono intervenuto in quest’Aula per presentare i principi fondamentali sui quali si basa la partecipazione della Commissione ai negoziati in oggetto e mi sono impegnato a migliorare la trasparenza di tali negoziati verso il Parlamento. Come potete vedere nel progetto di accordo elaborato in seguito ai negoziati svoltisi da marzo e che abbiamo condiviso con voi, la Commissione ha mantenuto fede alla parola data e si è attenuta a tali principi. Voglio ricordarveli.
Il primo obiettivo dell’ACTA è concentrarsi sulle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale su vasta scala, che hanno ripercussioni significative sul commercio: non si tratta di controllare il contenuto dei portatili o dei computer dei viaggiatori. Non intende limitare le libertà civili, né arrecare disagi ai consumatori. Se qualcuno ha dubbi in merito, sarò lieto di ascoltare le vostre osservazioni.
In secondo luogo, l’ACTA contempla soltanto l’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale già vigenti e non contiene disposizioni di modifica del diritto sostanziale di proprietà intellettuale. L’obiettivo è stabilire i principi di base relativi a come gli innovatori possono far valere i propri diritti in tribunale, alle frontiere o su Internet. Per esempio, l’ACTA garantirà che i diritti di stilisti, artisti o produttori di automobili europei siano adeguatamente tutelati in caso di contraffazione delle loro creazioni fuori dall’Europa.
In terzo luogo, l’ACTA deve rimanere in linea con l’acquis, inclusi il livello attuale di armonizzazione nell’applicazione dei DPI, la direttiva sul commercio elettronico, il quadro normativo per le comunicazioni elettroniche e, ultima ma non meno importante, la legislazione comunitaria applicabile in materia di protezione dei dati e della privacy. L’ACTA non apporterà cambiamenti sottobanco a nessuna normativa europea. Vi chiederete, allora, quale sia il valore aggiunto. La risposta è che la nostra legislazione è una delle più efficaci in assoluto e se anche altre nazioni la adottassero, i nostri innovatori ne trarrebbero vantaggio.
In quarto luogo, ci assicureremo che l’ACTA non costituisca un impedimento per l’accesso ai farmaci generici. È stato formulato chiaramente nel testo del progetto di accordo che non si potrà interferire con la commercializzazione di farmaci generici sulla base dell’ACTA.
L’ACTA sarà inoltre conforme alla dichiarazione sull’accordo TRIPS e sulla salute pubblica del 2001 e non si applicheranno ai brevetti gli obblighi di controllo alla frontiera, che rappresentano la questione più spinosa per quanto riguarda l’accesso ai farmaci.
Per quanto riguarda la trasparenza, abbiamo mantenuto la promessa di riferire al Parlamento europeo con sessioni apposite alla fine di ciascun ciclo negoziale e continueremo a farlo. Naturalmente, in linea con gli impegni presi nell’ambito dell’accordo quadro, abbiamo fornito al Parlamento europeo i testi del progetto di accordo.
Colgo l’occasione per esporre brevemente i risultati del decimo ciclo dei negoziati ACTA che si è svolto a Washington dal 16 al 20 agosto 2010.
La parti hanno conseguito miglioramenti in ambito civile, doganale e penale, ma non hanno dimostrato ancora la flessibilità necessaria ad affrontare le questioni più delicate. Anche il lavoro riguardante la stesura dei capitoli è stato ragguardevole (preambolo, disposizioni di carattere generale, definizioni, pratiche di attuazione, cooperazione internazionale e disposizioni di carattere istituzionale) ed è quasi concluso.
Purtroppo, però, negli ultimi due cicli è apparso sempre più chiaro che, a scapito delle aspirazioni e dell’efficacia dell’accordo, sarà possibile ottenere il consenso di tutti gli attuali partecipanti ai negoziati ACTA soltanto su un minimo comun denominatore, data la diversità delle opinioni e delle prassi.
Per quanto riguarda l’ambiente digitale (Internet), che costituisce uno degli argomenti più delicati, ma anche più innovativi dell’ACTA, nell’ultimo ciclo è stato fatto un significativo passo indietro, poiché le parti non sono riuscite ad accordarsi su un regime comune di esclusione della responsabilità per i fornitori di accesso a Internet.
Lo stesso accade per l’importantissimo tema delle misure doganali, giacché diversi Stati si rifiutano di effettuare controlli sull’esportazione e il transito dei beni contraffatti, sottraendosi all’azione di contrasto al diffuso traffico internazionale di prodotti contraffatti.
Un altro ambito in cui le discussioni non hanno avuto esito positivo per gli interessi dell’Unione europea riguarda quali diritti di proprietà intellettuale debbano essere tutelati dall’accordo. L’UE ha una base ampia e diversificata di titolari del diritto: anche un agricoltore i cui prodotti siano protetti da un’indicazione geografica o un’azienda tessile che crei disegni o modelli possono essere vittime della contraffazione e devono essere tutelati attraverso un’applicazione delle norme più rigorosa. La difficoltà maggiore risiede nel fatto che diversi nostri partner sono convinti che solo il diritto d’autore e i marchi siano "degni" di essere contemplati dall’ACTA. Dissentiamo decisamente a riguardo e continueremo a insistere con fermezza affinché si rispettino gli interessi dell’Unione europea.
Il prossimo ciclo avrà luogo a Tokyo alla fine del mese (dal 23 settembre al 1 ottobre 2010). Sembra che ci si stia avviando a una conclusione e le parti sono intenzionate a impegnarsi per risolvere nel corso dell’incontro di Tokyo i principali problemi rimasti in sospeso.
Resto fermamente convinto sia dell’importanza di combattere lo sfruttamento diffuso e sistematico della proprietà intellettuale europea che si verifica in tutto il mondo, sia del contributo fondamentale che può derivare dall’ACTA a tal fine, pertanto continuerò a impegnarmi per il buon esito dei negoziati.
Se, però, alla fine del processo, l’Unione europea dovesse riscontrare che il trattato non offre un concreto valore aggiunto per i nostri titolari del diritto o che si cerchi di sancire l’esistenza di diritti di proprietà intellettuale di serie A e di serie B, dovremmo essere pronti a riconsiderare la nostra partecipazione all’accordo.
Daniel Caspary, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, nel 2008 le autorità doganali dell’Unione europea hanno sequestrato 178 milioni di articoli, 20 milioni dei quali sono risultati pericolosi. Il 54 per cento dei prodotti contraffatti proveniva dalla Cina, mentre l’India era la principale responsabile per la produzione di farmaci.
I prodotti contraffatti provocano danni ingenti all’economia europea, ma anche chi li acquista corre seri pericoli. Pensiamo ai farmaci, ad esempio: sarebbe un incubo per me come per qualsiasi altro genitore se un bambino malato dovesse morire in seguito alla somministrazione di una medicina soltanto perché non siamo capaci di impedire l’immissione sul mercato di prodotti e farmaci contraffatti. È un problema che dobbiamo risolvere.
La pirateria costituisce un grave problema per l’Unione europea. Dobbiamo proteggere produttori e consumatori di tutto il mondo da prodotti potenzialmente dannosi per la salute e che possono provocare perdite alle aziende. Pertanto, accolgo i negoziati sull’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) come un importante passo avanti verso la lotta alla pirateria. Sappiamo bene che questo non è l’unico modo per combattere questo fenomeno, è però il primo accordo internazionale in materia che vede alcuni Stati impegnati nella lotta alla pirateria. Mi auguro che possano essere sempre più numerosi.
Il nostro gruppo si rallegra della collaborazione costruttiva instauratasi tra la Commissione e il Parlamento a partire dalla risoluzione che abbiamo presentato in primavera, seppure ci rammarichiamo che sia stato necessario arrivare a un punto tale. Ciò nondimeno, grazie alle relazioni presentate regolarmente dalla Commissione, è stato possibile seguire l’evoluzione dei negoziati negli ultimi mesi. Voglio congratularmi con i negoziatori per i recenti risultati ottenuti. Diventa sempre più difficile trovare difetti nell’accordo anche per chi è critico sull’ACTA. È stata risolta la questione delle misure di controllo alla frontiera in caso di violazione di brevetto e, dunque, non ha più fondamento la preoccupazione suscitata dal commercio di farmaci generici. Sono stati eliminati la procedura di risposta graduale ("three strikes") e il controllo del bagaglio personale, congiuntamente alla responsabilità dei fornitori di accesso a Internet e sembra che l’accordo sia conforme all’acquis comunitario. Credo che siamo sulla strada giusta.
Voglio, però, invitare la Commissione a mantenere ferma la propria posizione in rappresentanza degli interessi dell’Unione europea. Appoggio la proposta di includere diritti di brevetto, denominazioni di origine e violazioni di brevetto nella sezione dell’accordo che riguarda il diritto civile. Sono fermamente convinto che il prosciutto di Parma, l’Almkäse tirolese e lo champagne abbiano diritto allo stesso livello di protezione di cui godono la Coca Cola i Corn Flakes Kellog’s . Rivolgo un appello, quindi, agli Stati Uniti affinché non impediscano più la pubblicazione dei documenti: il ciclo neozelandese ha dimostrato l’importanza della trasparenza e ha permesso di mettere a tacere molte critiche sull’accordo.
Mi rivolgo alla Commissione affinché continui a sostenere la pubblicazione dei documenti relativi ai negoziati al più tardi prima che della firma dell’accordo. Auguro alla Commissione ogni successo nell’ambito del prossimo ciclo in Giappone e confido in ulteriori puntuali e dettagliate relazioni sui negoziati, alla fine dei quali il nostro gruppo si riunirà per valutare serenamente i risultati ottenuti nel testo finale e deciderà la posizione da tenere in merito alla ratifica. Auguro ai negoziatori pieno successo.
Kader Arif, a nome del gruppo S&D. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, il Commissario ha appena pronunciato parole rassicuranti, ma io ritengo che permangano i dubbi di numerosi deputati in merito all’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA).
Già in marzo avevo proposto una risoluzione, approvata poi a larga maggioranza da quest’Aula, che rendeva possibile la pubblicazione dei testi del negoziato. Nel corso della discussione abbiamo richiesto la conformità all’acquis comunitario, a cui lei ha fatto riferimento, la garanzia della sicurezza e della reperibilità dei farmaci generici e il rispetto delle libertà fondamentali dei nostri cittadini. Abbiamo anche esposto la questione delle indicazioni geografiche in modo da informarvi delle nostre priorità, che continueremo ad affermare affinché le posizioni che difenderete tra qualche settimana in Giappone trovino origine nel dibattito parlamentare che siamo riusciti a intraprendere.
Ieri, nel corso del dibattito sullo stato dell’Unione, molti oratori hanno giustamente osservato che noi europarlamentari siamo i portavoce dei nostri concittadini e che, senza questo nesso, la Commissione rischierebbe di avviare un confronto sterile con il Parlamento. Le chiedo pertanto, signor Commissario, di tener presente prima di tutto che gli europarlamentari sono essenzialmente dei collaboratori e che non si limitano soltanto a contraddirla.
Non vogliamo una collaborazione in cui siamo vincolati a un voto di segretezza, come sembrerebbero talvolta auspicare i servizi della Commissione, che hanno appena risposto alle nostre interrogazioni a porte chiuse. Ci consegnate l’ultima versione dei testi dell’ACTA ma ci impedite di parlarne alla fine degli incontri o in seguito, dopo aver letto l’accordo, mentre il nostro ruolo è proprio quello di avvertire, spiegare, garantirne la comprensione. La mia seconda richiesta, quindi, è che consideriate la trasparenza del dibattito come un fattore di arricchimento della vostra riflessione, anziché come una mancanza di fiducia.
Oltre alle due questioni principali e in virtù del fatto che comincio ad abituarmi a questo tipo di esercizio, voglio informarvi anche delle mie preoccupazioni. Prima di tutto, l’accesso ai farmaci, a cui si è già accennato. Avete affermato che assicurare l’accesso ai farmaci è una delle vostre priorità, che state facendo il possibile per garantire che l’accordo non ne impedisca in nessun modo la produzione o la libera circolazione. A questo punto, allora, devo interrogarvi sui brevetti: perché volete includerli nell’accordo? La volontà di portare avanti la lotta legittima alla contraffazione non deve servire da pretesto per fare dell’ACTA uno strumento per estendere i diritti dei titolari di brevetto ben al di là di quanto sancito dall’accordo TRIPS. Non dobbiamo confondere i farmaci generici con i farmaci contraffatti.
Un altro punto importante è la sicurezza: nessun testo può essere considerato eccessivamente severo quando si tratta di garantire l’equilibrio tra i diritti del fruitore e quelli del titolare del diritto. Vi rimando alle numerose formulazioni contenute nell’accordo TRIPS.
Mi rallegro dei commenti a proposito di Internet e confido che l’ACTA non svigorirà la posizione europea espressa chiaramente nella direttiva sul commercio elettronico.
Signor Commissario, ci sono sicuramente molte altre questioni che potrei sollevare questa mattina, ma considero come miei primi doveri garantire, grazie a questo dibattito, più informazioni possibili sull’accordo ai nostri concittadini e informarvi che l’elemento essenziale, per quanto mi riguarda, è la protezione dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali. Mi aspetto, dunque, che vi rammentiate dei punti sollevati dai parlamentari e che li sosteniate durante i negoziati. Vi invito anche a onorare il vostro impegno di pubblicare il testo non appena i negoziati saranno conclusi, alla fine del ciclo giapponese o in una fase successiva.
Il dibattito pubblico si svolgerà fondamentalmente in quest’Aula. Io chiederò una risoluzione e ci aspettiamo che teniate conto del nostro punto di vista prima di apporre eventuali firme all’ACTA, anche se ciò dovesse significare un ritorno al tavolo delle trattative.
Niccolò Rinaldi, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, "acta est fabula, plaudite!", dicevano gli attori romani alla fine dello spettacolo. La commedia è finita e forse siamo alla vigilia di questa conclusione. Però forse non è ancora il momento di applaudire.
Durante questo dibattito, abbiamo avuto rassicurazioni importanti dall'onorevole Karel De Gucht, ma sappiamo che il 64 percento dei prodotti contraffati proviene dalla Cina, che non fa parte dell'ACTA, e quindi occorrerà valutare se il gioco vale la candela, se – in assenza di reali vantaggi, come ha concluso il Commissario – sarà opportuno apporre la nostra firma. Le ragioni di preoccupazione che ancora persistono non sono tante, ma sono significative. Su Internet è stato detto molto e apprezziamo gli sforzi della Commissione, ma la nostra vigilanza continua.
Sull'accesso alle medicine, ribadisco quello che è già stato sollecitato anche da altri colleghi: impossibile qualsiasi amalgama tra medicine false, da una parte, e medicine generiche, dall'altra. È importantissimo permettere l'accesso di farmaci a prezzo competitivo, cruciali per i pazienti dei paesi in via di sviluppo. La domanda che desidero porre è se la dichiarazione di Doha sui TRIPS sulla salute pubblica sarà inclusa almeno a livello di preambolo nel testo dell'ACTA.
Infine, sulle indicazioni geografiche, ci troviamo in una situazione potenzialmente paradossale, perché marchi registrati che potrebbero violare le indicazioni geografiche avrebbero una protezione maggiore rispetto a quella delle stesse indicazioni geografiche. Anche qui TRIPS propone delle basi per molti aspetti più solide, invitiamo quindi alla vigilanza e all'inflessibilità.
Jan Philipp Albrecht, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, esprimo innanzi tutto il mio compiacimento per il fatto che ieri in Parlamento la dichiarazione scritta 12 sull’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) ha ricevuto la maggioranza richiesta dei voti, a dimostrazione del continuo sostegno da parte del Parlamento europeo alle posizioni chiare che aveva preso in marzo.
La dichiarazione scritta sottolinea, oltretutto, un punto importante: non vogliamo che l’esercizio del diritto di proprietà intellettuale passi alle imprese private. Lo stato di diritto e i principi della democrazia impongono che qualsiasi interferenza nei diritti fondamentali, anche su Internet, venga da un legale rappresentante dello Stato e che si applichino sempre gli alti standard della nostra costituzione, della Convenzione dei diritti dell’uomo e del trattato di Lisbona.
Non dobbiamo permettere l’entrata in vigore di un accordo, come l’attuale proposta per l’ACTA, che permetta ai cartelli privati dei titolari di diritto di predisporre tutto in modo tale da perseguire i propri interessi commerciali. Il comportamento della Commissione europea nel corso dei negoziati ACTA rasenta la violazione dei trattati: invece di rimuovere le misure criticate dal Parlamento, la formulazione della proposta di accordo è diventata ancora più approssimativa. La conformità all’acquis comunitario sembra sempre meno probabile.
Fortunatamente, le continue proteste del Parlamento europeo adesso sembrano giungere a un risultato, ma se ACTA vuole ricevere la maggioranza dei voti di quest’Aula, c’è ancora molto da fare. Ve ne sareste dovuti rendere conto non più tardi di ieri.
Syed Kamall, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei esprimere la mia approvazione per tre punti citati all’inizio: in primo luogo per il fatto che non avremo nuovi diritti di proprietà intellettuale, secondariamente, perché la legislazione non verrà modificata sottobanco e, in ultimo, per la maggiore trasparenza di cui la Commissione ha dato prova, in particolare nei confronti degli altri partner negoziatori.
Dobbiamo anche capire la differenza tra il mondo digitale e il mondo materiale. Come ha detto Chris Anderson, il direttore della rivista Wired, in un mondo in cui l’ampiezza di banda aumenta e l’immagazzinamento dei dati e la potenza di calcolo costano sempre meno, il prezzo dei prodotti digitali tenderà sempre più verso lo zero. Ciò significa che molti dei settori che protestano contro il mondo digitale devono capire che saranno costretti a individuare nuovi modelli imprenditoriali. L’industria fonografica e i settori analoghi, ad esempio, non possono contare sui vecchi modelli imprenditoriali.
Credo che la situazione sia ben diversa nel mondo materiale, ossia nell'attività manifatturiera. L’Unione europea può non essere competitiva per il costo del lavoro, ma dobbiamo garantire che i paesi e le imprese dell’UE siano competitivi sulla ricerca e sulla progettazione del prodotto. Deve essere seccante per aziende che investono milioni, a volte miliardi, in nuovi prodotti e progetti vederli boicottati dai prezzi inferiori dei prodotti contraffatti. Siamo leader mondiali nei settori delle auto di lusso e degli articoli tecnologici come gli smart phone e dobbiamo impegnarci affinché, dopo aver investito milioni o miliardi in prodotti del genere, non vengano semplicemente boicottati.
Accolgo con favore la dichiarazione della Commissione, ma dobbiamo comprendere la differenza tra mondo della materia e modo digitale.
Helmut Scholz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, Commissario De Gucht, onorevoli colleghi, la tutela degli inventori e delle imprese dal furto delle loro idee costituisce una questione fondamentale, soprattutto per le piccole e medie imprese. Voglio chiedere, però, ancora una volta, se ritenete veramente possibile limitare la pirateria con la firma di un accordo tra un numero esiguo di paesi che, oltretutto, sono meglio noti per le invenzioni che non per le contraffazioni. A mio parere, i negoziati dovrebbero svolgersi in un contesto internazionale come potrebbe essere l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI).
In linea generale, stiamo valutando un nuovo quadro di riferimento e un nuovo impegno e i suoi commenti conclusivi, Commissario De Gucht, vanno in questa direzione. So che i negoziatori della Commissione e del Consiglio sono consapevoli di trovarsi di fronte a un dilemma e lo risolvono offrendo alle imprese ampi mezzi per agire in giudizio nei potenziali mercati di vendita dei contraffattori. Vogliono poter arrestare alla frontiera gli importatori e, da quanto si evince dalla proposta di accordo, persino i consumatori finali, a meno che singoli firmatari dell’accordo non facciano eccezioni. Il testo recita che "gli Stati membri possono escludere dalle misure di protezione doganale piccole quantità di beni di natura non commerciale contenuti nel bagaglio personale dei viaggiatori".
Vogliono imporre in Europa una legislazione che permetta a un’impresa di richiedere a un tribunale di ingiungere la confisca o perfino la distruzione di beni o di software importati da un paese firmatario dell’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA). Ciò può verificarsi, se necessario, anche senza dare udienza alla difesa. Nel caso di un container di motoseghe contraffatte, la procedura potrebbe sembrare semplice, ma l’accordo vorrebbe comprendere anche settori come quello dei componenti software.
Sarà possibile per i giganti del software come Microsoft individuare e distruggere i concorrenti più piccoli attraverso un procedimento legale? Anche i giganti dell’industria dello spettacolo sono riusciti a far includere nei negoziati ACTA i punti di loro interesse. Si ricorrerà alle vie legali non solo contro il download e la duplicazione, ma anche contro la produzione e la distribuzione di tecnologie che, tra le altre cose, permettano di eludere le difese messe a punto contro la copiatura.
Avete detto che si stanno facendo progressi ed è vero che gli Stati Uniti hanno rinunciato alla richiesta di assunzione di responsabilità per i fornitori di accesso a Internet. Nella sezione dell’accordo che riguarda il diritto penale, però, esiste ancora un paragrafo sulla correità e, inoltre, a seguito di legittima richiesta da parte di un’azienda, i fornitori di accesso a Internet dovranno consegnare i dati personali dei clienti sospettati di violare le leggi sul diritto d’autore. Abbiamo scoperto in quest’Aula, nel corso dei negoziati sull’accordo SWIFT che gli Stati Uniti, ad esempio, non possiedono una legislazione sulla protezione dei dati come la intendiamo nell’Unione Europea. Qual è la situazione negli altri Stati firmatari dell’accordo? L’accordo non deve interferire con l’acquis comunitario: dobbiamo difendere le piccole e medie imprese dalle campagne di tutela dei brevetti intraprese dai giganti dell’industria del software, come pure garantire la sicurezza dei dati personali di chi utilizza Internet.
(EN) “Le parti possono esentare dalle misure doganali piccole quantità di merci di natura non commerciale contenute del bagaglio personale del viaggiatore”.
(DE) Si vorrebbe imporre in Europa una disposizione che permetta alle aziende di richiedere che beni o prodotti software importati da un paese firmatario dell’ACTA vengano messi sotto sequestro o distrutti per ordine del tribunale. Questo potrebbe accadere, se necessario, senza nemmeno informare l’altra parte. Se si tratta di un container di motoseghe, la procedura potrebbe essere semplice, ma l’accordo mira ad estendere la disposizione fino ad includere aree quali componenti software.
Vi sembra possibile che giganti informatici, come la Microsoft, diano la caccia ai loro concorrenti più piccoli a mezzo di procedure legali? I colossi dell’industria dell’intrattenimento sono già riusciti a inserire i loro interessi nell’ACTA. Verranno intraprese azioni legali non solo contro il download e la copia di file, ma anche contro la produzione e la distribuzione di tecnologie che, tra l’altro, permettono di aggirare le protezioni per impedire la copia di materiali.
È anche stato detto che si sono registrati progressi ed è vero che gli Stati Uniti hanno ritirato la richiesta di far ricadere le responsabilità sui fornitori di servizi Internet (ISP). Nella sezione dell’accordo che riguarda il codice penale, vi è però ancora un paragrafo sulla complicità; i fornitori di servizi Internet saranno obbligati a consegnare informazioni personali dei clienti sospettati di violare la normativa in materia di copyright, solo dopo una legittima richiesta dell’azienda. Nel corso dei negoziati sullo SWIFT, abbiamo scoperto in quest’Aula che gli Stati Uniti, per esempio, non hanno una normativa in materia di tutela dei dati personali, come invece abbiamo in Europa. Qual è la situazione negli altri paesi firmatari dell’accordo? Non dobbiamo permettere che l’ACTA interferisca con l’acquis communautaire; dobbiamo essere in grado di tutelare le piccole e medie impresse dalle campagne sui brevetti messe in atto dai giganti dell’informatica e garantire che i dati personali degli utenti Internet siano protetti.
Francesco Enrico Speroni, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il Commissario e il Consiglio per questo dibattito, anche se devo lamentare che è difficile parlare di qualcosa senza avere la documentazione adeguata.
Su Internet non c'è nulla, i servizi del Parlamento sollecitati non hanno risposto perché la Commissione non mette a disposizione tutti i testi. È giocoforza, quindi, discutere in modo generico, ma è comunque utile affrontare questo argomento, che si inquadra in tutto il disegno europeo di tutela dei nostri prodotti, e quindi delle nostre imprese e dei nostri lavoratori, anche se esistono delle resistenze, ad esempio per quanto riguarda una regolamentazione sul marchio, una regolamentazione sul prodotto.
Abbiamo il dovere di tutelare i nostri lavoratori verificando se ci sono forme di concorrenza sleale o forme di concorrenza che si basano sullo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici e in questo caso anche sulla falsificazione e sulla contraffazione. È quindi opportuno lottare contro queste forme di concorrenza inaccettabili, proprio per tutelare coloro che in Europa producono e lavorano e che, con il loro impegno, la loro intelligenza e partecipazione, traggono sostentamento e contribuiscono allo sviluppo del nostro continente.
Angelika Werthmann (NI). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il futuro accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) ha l’obiettivo di rendere più efficace la lotta contro la pirateria e contro le violazioni del diritto d’autore grazie alla cooperazione internazionale, al coordinamento nell’applicazione della legge e alla stesura di nuove norme a tutela della proprietà intellettuale. È evidente la necessità di una trasparenza constante. Misure che potrebbero indebolire la direttiva europea sulla protezione dei dati personali o persino avere conseguenze negative sulla libertà di espressione costituiscono una reazione eccessiva ai problemi della pirateria e della violazione del diritto d’autore e sono, pertanto, inaccettabili.
Il Parlamento europeo ha richiesto alla Commissione di valutare le possibili conseguenze dell’accordo; purtroppo, però, la valutazione non è ancora stata effettuata. A mio parere, la tutela della proprietà intellettuale è fondamentale, ma la protezione dei dati personali e della vita privata sono altrettanto importanti. Cito il garante europeo della protezione dei dati, Peter Hustinx, che ha affermato in proposito:
(EN) "È vero che la proprietà intellettuale è importante per la società e deve essere protetta, ma ciò non significa che debba essere posta al di sopra dei diritti fondamentali delle persone al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati, né al di sopra di altri diritti." Fine della citazione. Facciamo in modo di lavorare insieme sull’accordo tenendo conto di tutta la legislazione vigente.
Elisabeth Köstinger (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, consideriamo molto positivamente l’efficace attuazione dei regolamenti e delle leggi vigenti tesi a contrastare la pirateria e rafforzare i diritti di proprietà intellettuale. Purtroppo, però, i cittadini hanno poca conoscenza e molte incertezze sul tema. Ricevo regolarmente messaggi di posta elettronica da parte di cittadini preoccupati che lamentano la mancanza di trasparenza nel corso dei negoziati sull’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) e considerano l’ACTA una grave limitazione dei loro diritti e delle loro libertà. È importante fornire maggiori informazioni in merito e sottolineare come non sia l’accordo ACTA a determinare il problema bensì, in parte, l’acquis comunitario dell’Unione Europea.
La pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia dell’Unione europea del 19 febbraio 2009 stabilisce in modo chiaro che i fornitori di accesso a Internet possono essere chiamati a rendere conto di violazioni dei diritti d’autore effettuate dai loro clienti. I trattati vigenti, dunque, prevedono che si possa bloccare l’accesso a Internet ai cittadini europei. Il problema non è costituito dall’accordo ACTA, bensì da quei regolamenti dell’Unione europea che potrebbero limitare le libertà e i diritti dei cittadini europei.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) Il numero crescente di articoli contraffatti e di prodotti pirata nel commercio internazionale minaccia seriamente lo sviluppo sostenibile dell’economia globale, provocando perdite finanziarie ai legittimi produttori e violando anche i diritti dei titolari della proprietà intellettuale e delle organizzazioni che contribuiscono alla produzione, oltre a rappresentare un rischio per i consumatori e per l’occupazione in Europa.
L’idea di un accordo multilaterale sulla lotta alla pirateria e alla contraffazione può rappresentare un meccanismo di contrasto efficace, ma appoggio anche gli onorevoli colleghi che hanno evidenziato la necessità di trasparenza e di maggiore fiducia in questo tipo di negoziati e di accordi. Ritengo anche che sia indispensabile raggiungere un equilibrio tra i diritti che vogliamo tutelare e i diritti fondamentali per la società. L’esercizio o la tutela dei diritti di un gruppo non deve interferire con i diritti e i legittimi interessi di altri gruppi.
Carl Schlyter (Verts/ALE). – (SV) Signor Presidente, nutro molti dubbi sulla questione dell’esenzione dei farmaci generici. Ammettendo tale possibilità, infatti, saremo costretti ad ammetterla, in casi analoghi, per tutte le merci in transito, o ci troveremmo di fronte agli stessi problemi che abbiamo avuto negli ultimi anni. Dite che si applicherà solo a fenomeni commerciali su larga scala, ma, in tal caso, dovreste affermare che gli individui saranno esentati, piuttosto che potrebbero essere esentati, sbaglio?
Mi preoccupa anche l’ambiente digitale, in particolare la discussione sulle barriere tecnologiche. A tale proposito, si afferma che i metodi che si possono utilizzare per eludere le misure tecniche di protezione dovrebbero essere considerati illegali nel caso in cui abbiano un uso commerciale limitato.
Potrebbe darsi il caso che questi vengano diffusi senza nessun interesse finanziario, che nessuno abbia interessi economici, ma che, invece, si desideri incoraggiare l’uso di tecnologie che potrebbero essere usate anche a scopo di elusione. Qual è il vostro punto di vista a riguardo?
Disapprovo decisamente anche il fatto che stiate includendo alcuni aspetti controversi della direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale relativi alla conservazione dei dati: si rivelerebbe sciocco averli fissati per iscritto nel caso volessimo effettuare dei cambiamenti in seguito alle nostre valutazioni.
Françoise Castex (S&D). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei apportare un nuovo contributo al dibattito sull’ACTA: unitamente ai cofirmatari della dichiarazione 12, ho l’onore di informarvi che la suddetta dichiarazione ha ottenuto una larghissima maggioranza in Parlamento e che il numero minimo di firme è stato superato.
Sono lieta che questa dichiarazione vi venga presentata prima del ciclo finale dei negoziati sull’ACTA e credo che possiate considerarla un mandato a negoziare da parte del Parlamento europeo.
Voglio ricordarvi da quali elementi è costituito: il Parlamento, naturalmente, non richiede solo la trasparenza e la possibilità di esaminare i testi nel corso dei negoziati prima di ratificarli, ma anche che non si armonizzino i diritti di proprietà intellettuale sulla base di questo trattato internazionale e che si mantengano e si garantiscano la libertà dei cittadini, la tutela della privacy e la neutralità di Internet.
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signor Presidente dobbiamo domandarci fino a che punto gli accordi commerciali anticontraffazione servano a proteggere le grandi aziende e fino a che punto, invece, servano davvero a tutelare la gente comune. Nel caso dei medicinali, i farmaci contraffatti potrebbero, nella migliore delle ipotesi, essere inefficaci e privare i cittadini di una cura, nella peggiore essere nocivi e privare i cittadini della salute o addirittura della vita.
Le merci contraffatte sono prodotte quasi sempre in paesi con manodopera a basso costo e fanno una concorrenza sleale ai prodotti originali fabbricati nei nostri paesi a spese dei posti di lavoro dei cittadini dei nostri Stati membri. È necessario prevedere sanzioni contro i paesi che permettono tali attività.
Mi compiaccio che la Commissione abbia assicurato di avere intenzione di perseguire le violazioni su larga scala e non i consumatori, anche se i lobbisti che sostengono alcuni degli attori vogliono che si vieti l’accesso a Internet a chi è sospettato di aver scaricato ripetutamente materiale senza autorizzazione. Le stesse persone vorrebbero l’ispezione in profondità dei pacchetti nelle comunicazioni dei propri clienti. Potete assicurarci che provvedimenti del genere non saranno inclusi successivamente senza tenere conto delle vostre obiezioni?
Sidonia Elżbieta Jędrzejewska (PPE). – (PL) Accolgo con favore il dibattito odierno sull’accordo commerciale anticontraffazione che, a mio parere, costituisce un progresso nel rafforzamento della posizione del Parlamento europeo come organo di rappresentanza dei cittadini dell’Unione europea. Sottolineo che il Parlamento europeo ha il diritto di essere informato e consultato dalla Commissione in merito agli accordi negoziati da quest’ultima e relativi agli scambi di servizi e agli aspetti commerciali della proprietà intellettuale. La discussione odierna traduce concretamente questo diritto e mi auguro che costituisca la norma per la Commissione anche in futuro. Voglio ricordarvi che la riservatezza dei negoziati della Commissione sull’accordo commerciale anticontraffazione ha generato tra gli utenti di Internet molti giudizi critici che avrebbero potuto essere evitati se la Commissione fosse stata disposta fin dall’inizio a informarci in modo molto più dettagliato sulle sue attività in quest’ambito.
Ho presentato alla Commissione un’interrogazione scritta che solleva la questione del collegamento tra l’accordo commerciale anticontraffazione e la politica europea sulla società dell’informazione e i suoi effetti a livello amministrativo.
Eva Lichtenberger (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, Commissario De Gucht, ci avete assicurato che l’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) non apporterà nessun cambiamento, nondimeno, non ci date la possibilità di formarci un’opinione, di valutare di persona e di sfruttare le nostre competenze giuridiche per verificare se i danni collaterali ai diritti dei cittadini europei derivanti da questo accordo non siano in realtà molto più rilevanti di quanto stiate affermando. Siamo costretti a fidarci di voi. Se questa è la situazione, a cosa dobbiamo tale mancanza di trasparenza? So che è da imputarsi ai negoziatori statunitensi, ma in tutta onestà, può la Commissione europea semplicemente adeguarsi? Credo che la risposta sia no.
Il mio secondo punto riguarda le denominazioni di origine: avrei chiarito al tavolo dei negoziati che le denominazioni di origine in Europa sono l’equivalente dei marchi commerciali e ritengo che si debba sollevare di nuovo l’argomento nel corso dei negoziati.
Martin Ehrenhauser (NI). – (DE) Signor Presidente, voglio esporre brevemente tre punti. Innanzi tutto, ovviamente, esprimo le mie congratulazioni ai promotori della dichiarazione scritta sull’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA), che è stata approvata.
Il mio secondo punto riguarda la questione della trasparenza e rivolgo una domanda al Commissario De Gucht: come potete dire a noi membri del Parlamento europeo che dobbiamo fare affidamento su un ente americano per le libertà civili se vogliamo ricevere una copia del testo? Ho il testo qui davanti, ve lo passerò e vi chiederò di confermare che sia la versione originale.
Il terzo punto riguarda la responsabilità dei fornitori di accesso a Internet: potete assicurarci che tale questione non verrà reintrodotta per vie traverse?
Christian Engström (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, siamo tutti d’accordo sul fatto che la contraffazione sia un’attività condannabile e che sia necessario combatterla, per il bene dei cittadini e dei consumatori europei, ma anche delle imprese, come è già stato detto. È giusto proteggere i marchi commerciali e l’acquis relativo, comprese le indicazioni geografiche.
E fin qui, siamo tutti d’accordo. Ma, come ha evidenziato l’onorevole Kamall, il mondo della materia e il mondo digitale sono ben distinti. I fornitori di accesso a Internet e altre imprese del settore hanno espresso preoccupazioni legittime in merito alla questione di Internet. Si teme, infatti, che l’accordo possa avere effetti negativi sullo sviluppo, sulle imprese europee e sul modo in cui utilizziamo questa nuova tecnologia.
Esorterei, quindi, la Commissione a procedere senza meno sul versante della lotta alla contraffazione e ad accantonare, invece, il capitolo relativo a Internet: sarebbe la soluzione migliore per tutti.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ringrazio innanzi tutto gli onorevoli parlamentari che sono intervenuti. A due settimane di distanza da quello che probabilmente sarà il "finale di partita" a Tokyo, queste informazioni sono preziose per noi e ne terremo sicuramente conto.
Prima di parlare di riservatezza, risponderò ad alcune domande tecniche. Una riguardava l’accordo TRIPS sulla salute pubblica e la possibilità di menzionarlo in maniera esplicita nell’accordo. Un riferimento esplicito esiste ed è il seguente: "si riconoscono i principi sanciti nella dichiarazione di Doha concernente l'accordo TRIPS e la sanità pubblica, adottata il 14 novembre 2001 dall'OMC in occasione della quarta conferenza ministeriale dell'OMC tenutasi a Doha nel Qatar".
Sono state poste anche alcune domande in materia di riservatezza. Anche in questo caso, se guardiamo al testo del quale stiamo discutendo, leggiamo: "il presente accordo non impone in nessun caso alle parti di rendere pubbliche informazioni (...) quando ciò sia contrario alle proprie leggi o agli accordi internazionali stipulati, comprese le leggi a tutela della privacy". Si dispone inoltre nel progetto di accordo affinché, relativamente all’applicazione negli ambienti digitali, le procedure di esecuzione vengano attuate in modo "compatibile con la legislazione di ognuna delle parti, nel rispetto dei principi della libertà di espressione e del diritto a un processo equo e alla riservatezza". Gli accordi fanno, dunque, riferimento esplicito a tutto quanto sopra.
Una breve considerazione sui farmaci: ritengo che non esistano problemi in merito e non solo per l’ACTA, ma anche perché è in corso un confronto tra noi e l’India sul tema. L’India ha presentato all’OMC una richiesta riguardante i farmaci. Siamo in trattative e ritengo che presto giungeremo a una conclusione che il Parlamento europeo apprezzerà.
Aggiungerei anche che questo genere di brevetti non sono contemplati nel capitolo sulle dogane dell’accordo ACTA. Esiste, a tale proposito, un riferimento esplicito estremamente importante alla licenza obbligatoria.
Infine, per quanto riguarda la riservatezza, non ci sono problemi per noi a rendere pubblici i testi che stiamo discutendo, ma non siamo soli: si tratta di un negoziato che coinvolge diverse nazioni, pertanto anche gli altri partecipanti al negoziato devono trovarsi d’accordo su quanto rendere o non rendere pubblico. La domanda esplicita che mi è stata posta riguardava la possibilità per voi di discutere un eventuale accordo prima che venga firmato.
Non è ancora sicuro se si riuscirà o meno a raggiungere un accordo, ma in caso affermativo, la Commissione ha ottenuto in fase di negoziato la garanzia di poterlo discutere prima di firmarlo. Come potete vedere, il comunicato stampa rilasciato alla fine del ciclo di Washington afferma in maniera esplicita che "le parti si impegnano rendere pubblico il testo prima di decidere di sottoscriverlo". Credo sia difficile essere più espliciti di così a riguardo.
Presidente. – L'ordine del giorno reca il turno di votazioni.
Prima di procedere con le votazioni vorrei precisare che è possibile che il sistema di votazione elettronico non funzioni correttamente, nel qual caso vedrete solamente i due grafici a torta senza il risultato, che però forse vedrete sul vostro schermo. Faremo dei controlli tra un attimo, quindi vi chiedo cortesemente di avere pazienza.
(Per l'esito delle votazioni e altri dettagli: vedasi processo verbale)
6.1. Protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (A7-0230/2010, Elisabeth Jeggle) (votazione)
– Prima della votazione:
Sonia Alfano (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, a norma dell'articolo 175 del regolamento del Parlamento, richiedo il rinvio in commissione del testo.
Abbiamo atteso per tantissimi anni questa direttiva ma, come già sottolineato in molti altri interventi, ci sono alcuni punti che vanno decisamente modificati per garantire un'adeguata tutela degli animali. L'approvazione di questa legislazione permetterà la sperimentazione per scopi didattici e permetterà il riutilizzo più volte dello stesso animale, anche in procedure che gli provocano sofferenza. Non incentiverà affatto i metodi alternativi ritenuti scientificamente validi.
Non si tratta di prendere una posizione estrema, quanto piuttosto di rispettare l'articolo 13 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea che prevede di tenere pienamente conto del benessere degli animali in quanto esseri senzienti. Non si vuole frenare la ricerca, ma piuttosto incoraggiarne un percorso eticamente sostenibile.
È inaccettabile affermare che approviamo questa direttiva per poi modificarla negli anni a venire. Assumiamoci quindi la responsabilità di apportare già adesso le correzioni necessarie. Non è una posizione politica o ideologica, è buonsenso e il buonsenso non ha un colore politico.
Presidente. – Onorevole Alfano, la ringrazio per la proposta. Ci sono 40 colleghi disposti a sostenere la proposta? Potete per cortesia alzarvi, se siete a favore della proposta? Credo che arriviamo a 40, quindi cedo la parola a un oratore favorevole alla mozione.
Jill Evans, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, il gruppo Verde/Alleanza libera europea appoggia il rinvio alla commissione dal momento che anche noi nutriamo seri dubbi sulla formulazione attuale del testo. Oggi, se lo desiderano, gli Stati membri hanno il diritto di adottare misure di protezione degli animali più severe, ma con la nuova normativa non sarà più possibile. In questo modo non solo si scoraggerebbero i miglioramenti, ma si contravverrebbe anche alla decisione del Parlamento in prima lettura.
Dobbiamo essere estremamente chiari nel promuovere il ricorso ad alternative, dove possibile, ma è anche vero che la formulazione attuale del testo indebolisce la normativa in vigore. Occorre poi definire con grande precisione le condizioni di utilizzo di primati non umani e ancora una volta questo non accade nel testo.
Molti dei problemi con la legislazione vigente sono il risultato di interpretazioni divergenti date nei vari Stati membri. Serve discutere ancora su questa e sulle altre tematiche per garantire l'assoluta chiarezza e l'efficacia di questa legge.
Paolo De Castro, presidente della commissione AGRI. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come presidente della commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, competente nel merito, sono contrario al rinvio della relazione Jeggle, perché la nostra commissione, dopo un intenso dibattito durato più di un anno e mezzo, si è già espressa in modo netto e chiaro a favore del compromesso raggiunto dalla posizione comune, non esprimendo alcun voto contrario – ci sono state solo alcune astensioni.
Non vedo dunque alcuna ragione per un riesame del testo: ci sono tutti gli elementi per votare oggi.
Elisabeth Jeggle, relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non mi aspettavo un simile intervento. La collega non era presente questa mattina durante la discussione in plenaria.
Questa proposta mi coglie di sorpresa. L'onorevole Evans, relatrice ombra per il gruppo Verde/Alleanza libera europea, era presente durante l'intero svolgimento dei negoziati del dialogo a tre e ha approvato i risultati dell'incontro a tre del 7 aprile. I verdi hanno presentato alla commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale gli stessi emendamenti che presentano oggi. Sono richieste legittime e sono queste stesse modifiche a essere poste in discussione. Come già spiegato dal presidente della commissione, tali modifiche sono state respinte da tutti i gruppi salvo i verdi.
Onorevoli colleghi, vi prego di votare a favore di questo compromesso. Io stessa non mi ritengo del tutto soddisfatta del risultato e sono sicura che nessuno qui può dirsi completamente d'accordo con la proposta, ma è nella natura stessa del compromesso. Facciamo comunque in modo di accoglierla e respingiamo tutte le richieste che ora vengono avanzate, altrimenti dovremo andare avanti con la vecchia direttiva del 1986 e con la sperimentazione animale. Compiamo un gesto per migliorare il benessere degli animali.
(Applausi)
Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, per chiarire la posizione del mio gruppo, vorrei ribadire a questo punto che spesso è molto difficile che l'intero gruppo segua i negoziati nell'ambito del dialogo a tre. Quando capirete che il relatore non accetterà che l’aumento del numero di esperimenti sugli animali a seguito di questo regolamento,
(Proteste)
Che aumenteranno gli esperimenti sui primati e che gli Stati membri non saranno più autorizzati a integrare il testo con regole più severe di quelle ivi presenti, allora sarete autorizzati a proporre che il rinvio del regolamento alla commissione. Se questo non è possibile, allora il Parlamento non funziona come dovrebbe. Grazie per l'attenzione.
(Applausi dal gruppo Verts/ALE)
(La proposta di rinvio alla commissione è respinta)
– Dopo la votazione:
Mário David (PPE). – (EN) Signor Presidente, negli ultimi due giorni siamo stati sommersi da oltre 400 e-mail sull'argomento. I servizi possono intervenire per evitare di doverle cancellare manualmente?
Presidente. – C'è una funzione di Outlook che consente di cancellarle automaticamente, ma questo è un problema tra lei e i suoi elettori.
Nicole Sinclaire (NI). – (EN) Deve essere terribile mettersi in contatto con lei! È una vergogna. I suoi elettori devono poterla contattare. Se sta chiedendo che i suoi elettori non la possano contattare direttamente, cosa ci fa qui?
(Applausi)
Presidente. – Onorevole Sinclaire, la ringrazio per aver sottolineato la mia posizione.
6.2. Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (A7-0235/2010, Csaba Őry) (votazione)
– Dopo la votazione:
Olle Ludvigsson (S&D). – (SV) Signor Presidente, mi riferisco all'emendamento 48 nel quale è comparso un errore riguardo al termine "reddito minimo". Nella versione svedese è stato erroneamente tradotto con "minimilön", ossia "salario minimo". L'unità di traduzione è stata informata e il testo verrà corretto a conclusione della sessione.
Jutta Steinruck (S&D). – (DE) Signor Presidente, desidero chiedere al Consiglio di prendere atto della votazione odierna e di fare una breve dichiarazione.
Presidente. – Posso affermare che il Consiglio era presente alla discussione in quanto ne ho presieduta una parte. Come già assicurato all'Aula ieri sera, presteranno senza dubbio grande attenzione a ciò che il Parlamento ha da dire.
6.3. Diritti umani in Iran, in particolare i casi di Sakineh Mohammadi-Ashtiani e di Zahra Bahrami (B7-0494/2010) (votazione)
– Prima della votazione:
Mario Mauro (PPE). – Signor Presidente, siccome sulla mia lista di voto non vedo la richiesta di votazione nominale e data l'importanza del tema e l'accordo tra i gruppi, proporrei di votare con una votazione nominale la risoluzione finale.
Richard Howitt (S&D). – (EN) Signor Presidente, mi rimetto alla sua decisione, ma dato che l'accordo è stato raggiunto con ritardo, è possibile richiedere una votazione per appello nominale su entrambi gli emendamenti. Con il suo permesso, chiedo quindi che si proceda.
Raccomandazione per la seconda lettura: Elisabeth Jeggle (A7-0230/2010)
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Il progresso scientifico è un presupposto per lo sviluppo economico e pertanto l'innovazione nella ricerca è la base per individuare metodi nuovi e più performanti dai quali l'economia in generale e i cittadini in particolare possono trarre vantaggio. I costi che ne conseguono non vanno però trattati con leggerezza. Il benessere degli esseri viventi deve essere l'elemento intorno al quale ruota l'economia. Se non si rispettano le leggi naturali o se si interferisce troppo con esse, la natura potrebbe ribellarsi. Per questo le raccomandazioni approvate oggi sono tanto importanti. Mi sono espresso a favore della loro approvazione perché si tratta di un compromesso valido: da un lato, la direttiva offre la possibilità di portare avanti la ricerca scientifica essenziale, mentre dall'altro riduce al massimo la sofferenza degli animali usati ai fini della ricerca.
Romana Jordan Cizelj (PPE). – (SL) La direttiva europea sulla sperimentazione animale del 1986 ha urgente bisogno di essere aggiornata. Non approvo che la nuova proposta legislativa autorizzi ancora i test sugli animali facendoli soffrire, ma ho votato lo stesso a favore della direttiva. Perché?
Fondamentalmente per tre motivi. In primo luogo, la proposta autorizza i test sugli animali solo in situazioni dove il benessere dell'uomo è più importante di quello animale. Stiamo parlando di dignità umana, del diritto alla salute e del diritto di ricevere cure mediche e il miglior trattamento possibile. In secondo luogo, rispetto al passato, la nuova direttiva prevede una riduzione significativa nel numero di animali usati per le sperimentazioni. Infine gli animali che saranno ancora sottoposti ai test godranno di migliori condizioni di vita e riceveranno maggiore attenzione.
Naturalmente auspico che a breve si arrivi a fare a meno dei test sugli animali una volta per tutte.
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, il benessere degli animali è un argomento sul quale i cittadini europei sono molto sensibili. Pertanto mi compiaccio davvero che la nostra relatrice, l'onorevole Jeggle, sia riuscita a fronte di lunghe trattative a ottenere un miglioramento significativo del benessere degli animali da laboratorio.
La nuova direttiva mira ad assicurare un'alternativa agli esperimenti condotti sugli animali e che tali esperimenti vengano ridotti al minimo indispensabile. I test saranno autorizzati solo in assenza di alternative, ma saranno anche sottoposti a una severa regolamentazione. Questa soluzione rappresenta un buon compromesso tra il benessere degli animali e la libertà di ricerca. Per la prima volta in Europa raggiungeremo livelli elevati di benessere degli animali, un successo straordinario. Ora abbiamo il compito di garantire che tutti gli Stati membri applichino tempestivamente la nuova direttiva.
Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, mi sembra che su questo delicato argomento della protezione degli animali utilizzati a fini scientifici si sia riusciti a trovare un buon compromesso tra le esigenze di chi svolge ricerca utilizzando gli animali e le norme in materia di benessere per gli animali impiegati o destinati all'utilizzo a fini scientifici.
Per questo ho votato a favore della relazione della collega Jeggle. Nel contempo condivido l'obbligo per gli Stati membri di astenersi dall'utilizzo di animali, qualora la legislazione dell'Unione europea riconosca per il medesimo risultato metodi o strategie di sperimentazione diversi.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signor Presidente, desidero fare le mie congratulazioni all'onorevole Jeggle per il lavoro sul tema dell'utilizzo degli animali ai fini della sperimentazione.
Ho votato a favore della proposta in quanto credo che rappresenti la soluzione più concreta al problema di aggiornamento della direttiva del 1986.
Permettetemi di affermare che è un elemento importante non solo per il benessere degli animali, ma anche per proseguire la ricerca all'interno dell'Unione europea. Rischiamo di spingere gli scienziati e la ricerca sulle patologie oltre i confini dell'Europa, dove la regolamentazione è meno stringente: non dobbiamo solo migliorare la regolamentazione e il benessere degli animali usati per gli esperimenti negli istituti di ricerca e nelle università, ma anche garantire che la ricerca possa continuare.
Continuiamo a parlare di incoraggiare i giovani ad avvicinarsi alle scienze e di investire di più nella ricerca e nell'innovazione e questo presuppone l'utilizzo di animali. Facciamo però anche in modo di proteggerli nel migliore dei modi, proprio come questa legge si propone di fare.
Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signor Presidente, il partito liberale danese ha votato a favore della relazione sulla sperimentazione animale. È noto che sono state espresse argomentazioni molto forti da entrambe le posizioni. Vi è chi crede che i diritti degli animali abbiano la precedenza; noi invece crediamo che anche la società abbia il diritto di vedere compiuti progressi nello sviluppo di medicinali e nella cura delle malattie. Il nostro compito è naturalmente di assicurare il raggiungimento del giusto equilibrio. Gli animali vanno trattati nel modo opportuno ma i ricercatori devono disporre degli strumenti necessari per trovare nuove terapie e curare le patologie gravi. La relazione preparata dall'onorevole Jeggle raggiunge un preciso equilibrio e pertanto riteniamo che meriti di essere sostenuta. Crediamo anche che sia in fondo positivo fare finalmente un passo avanti rispetto alla legge del 1986.
Mario Pirillo (S&D). – Signor Presidente, (…) raggiungere un accordo in seconda lettura su questa controversa relazione sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Ho votato a favore dell'accordo perché mi sembra un testo equilibrato che tutela gli animali senza compromettere la ricerca scientifica.
L'accordo enfatizza il fatto che la ricerca sugli animali si deve ammettere laddove non sia possibile procedere attraverso una sperimentazione scientificamente soddisfacente. La normativa è chiara: stabilisce criteri per il trattamento degli animali ad uso scientifico e dà mandato agli Stati membri di assicurare che il numero degli animali utilizzati nei progetti sia ridotto al minimo.
Senza questa relazione è inutile ripetere che l'Europa ha sempre più bisogno di ricerca scientifica.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signor Presidente, desidero fare le mie congratulazioni all'onorevole Jeggle e a tutte le persone che hanno collaborato al raggiungimento di questo compromesso equilibrato sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici.
Il movimento europeo per il benessere degli animali accoglie con favore la rapida approvazione del compromesso raggiunto. Credo che il testo approvato porterà a un miglioramento concreto e immediato del benessere degli animali, permettendo nel contempo che la ricerca essenziale in campo medico continui in Europa, grazie alla quale ci auguriamo di avere nuove cure innovative ed efficaci.
Il compromesso raggiunto oggi è anche un passo importante verso l'armonizzazione dei regolamenti europei sulla sperimentazione animale e credo che sia già di per sé un traguardo molto importante.
Rappresenta infine una risposta a livello umano che ha portato all'introduzione di una soglia massima di dolore e che impone alla Commissione l'obbligo di ispezionare le infrastrutture dove si conducono test sugli animali nei casi in cui vi sia qualche motivo di preoccupazione.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, anch'io ho votato a favore della direttiva dell'onorevole Jeggle sulla protezione degli animali e ritengo sia molto importante che anche noi al Parlamento europeo ci impegniamo seriamente a tutelare gli animali.
A questo proposito va ricordato che questa proposta è un buon compromesso tra tutela degli animali e ricerca scientifica. Ad ogni modo abbiamo ancora bisogno di condurre un certo numero di esperimenti sugli animali, in quanto non vi sono ancora alternative per tutto. Ciò non sminuisce l’importanza di garantire che questi esperimenti si effettuino con le giuste condizioni e che provochino quanti meno dolore, sofferenza e danni possibile.
Con questa proposta compiamo un deciso passo in avanti rispetto alla direttiva precedente che risale al 1986. Spero che venga applicata in tutti gli Stati membri dell'Unione europea e che pertanto approveremo modalità comuni per promuovere la tutela degli animali e il progresso nella ricerca scientifica.
Anna Záborská (PPE). – (SK) Sono molto soddisfatto del lavoro dell'onorevole Jeggle, ma non posso votare a favore della direttiva in quanto né il Consiglio, né la Commissione hanno garantito il divieto dell’uso di cellule embrionali umane al posto degli animali. La direttiva è prova del fatto che da un lato, in quanto persone, ci sentiamo responsabili per gli altri esseri viventi sulla Terra, ma dall'altro non abbiamo purtroppo una grande considerazione della vita umana. Siamo pronti a limitare l'impiego di scimmie per la ricerca solo nei casi in cui bisogna tutelare una specie o vi sono minacce per la vita dell'uomo. Anche in questi casi poi la ricerca è consentita solo se si può dimostrare l'assenza di metodi alternativi adeguati. Eppure non siamo in grado di imporre regole altrettanto rigide quando si tratta di feti umani, di nascituri o di informazioni di natura genetica. Questa relazione purtroppo mi ha fatto sentire un'abitante del pianeta delle scimmie piuttosto che della Terra.
Bogusław Liberadzki (S&D). – (PL) Sostengo le misure proposte per la protezione degli animali usati a fini scientifici. Ritengo si tratti di misure sensate ed equilibrate, adeguate ai tempi odierni e alle aspirazioni della nostra civiltà. Devo tuttavia ammettere che durante la votazione ho commesso un errore. Accidentalmente ho votato a favore del primo emendamento, mentre in realtà ero favorevole a respingere tutti gli emendamenti. Ecco il motivo del mio intervento.
Sirpa Pietikäinen (PPE). – (FI) Signor Presidente, non ho votato a favore del rinvio alla commissione della legge sulla sperimentazione sugli animali perché non credo che se ne trarrebbe alcun beneficio. Ho però votato a favore dei tre emendamenti proposti.
Trovo che sia davvero preoccupante il fatto che in Europa i numeri indichino una regressione in materia di protezione degli animali usati a fini scientifici. In diversi Stati membri vengono attualmente già impiegati metodi migliori per condurre ricerca senza per questo ricorrere agli animali per gli esperimenti. Queste pratiche di fatto rallenterebbero la ricerca di alternative.
Vi sono poi studi che mostrano che l'impiego dei primati, anche in circostanze estreme, non produce per l'uomo il risultato indicato nelle argomentazioni contenute nella proposta.
Clemente Mastella (PPE). – Signor Presidente, la discussione sui nuovi orientamenti in materia di occupazione nell'ambito della strategia Europa 2020 è in corso nel contesto della crisi economica, che avrà sicuramente un notevole impatto sul mercato del lavoro per parecchi anni a venire.
La crisi in atto ha evidenziato l'assenza di meccanismi efficaci per reagire prontamente ai suoi segnali e dimostra pertanto quanto sia necessario, se rafforzato e reso efficace, un coordinamento delle politiche economiche dell'Unione europea. La crisi ha anche sottolineato la stretta interdipendenza fra le economie di mercato e del lavoro degli Stati membri. Ritengo perciò che gli sforzi dell'Unione europea e degli Stati membri, nel dare attuazione agli obiettivi Europa 2020, necessitino di un forte impegno volto a garantire che gli investimenti a favore di una crescita economia sostenibile facilitino anche la creazione di posti lavoro sostenibili.
La strategia dovrebbe evitare un nuovo collasso economico e sociale attraverso uno stretto coordinamento con la politica strutturale e quella di coesione. Infatti, se si vuole garantire l'efficacia di questi nuovi orientamenti politici, occorrerà adoperarsi in modo opportuno per superare le disparità socioeconomiche tra gli Stati membri e tra le regioni. I Fondi strutturali e il Fondo di coesione dell'Unione europea per l'attuale periodo di programmazione e i futuri strumenti di finanziamento dell'Unione europea potranno svolgere un ruolo cruciale a questo proposito.
Erminia Mazzoni (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore perché convinta della positività complessiva di questa decisione, anche se non sono pienamente soddisfatta, perché sicuramente si poteva essere più coraggiosi, in particolare sul punto dell'accesso al lavoro dei giovani e delle donne e sull'adozione del metodo della flessicurezza per combattere il precariato, che è una piaga per tutta l'Europa. Esprimo apprezzamento per il lavoro svolto dal relatore, nonostante i tempi ristretti a sua disposizione.
Positivo è certamente il tentativo di semplificazione, di dare una nuova veste più semplificata alle linee guida sul lavoro, che oggi sono quattro e individuano in maniera chiara gli obiettivi che l'Europa 2020 si prefigge. È anche positivo, devo dire, il tentativo di tener conto degli errori commessi nel passato, che hanno portato a un parziale fallimento degli obiettivi di Europa 2010.
Positivo è il risultato che all'interno di questo documento siano contenute delle indicazioni di merito interessanti per poter sviluppare l'idea di ridare al lavoro la sua funzione di diritto all'evoluzione dell'umanità e non più di mero strumento di sopravvivenza.
Alajos Mészáros (PPE). – (HU) La ringrazio molto signor Presidente, ma non avevo riconosciuto il mio nome nella traduzione. Nello strascico della crisi finanziaria, le economie di diversi Stati membri dell'Unione europea continuano a essere vulnerabili. Ecco perché si deve fare tutto il possibile per garantire una crescita sostenibile e rafforzare le potenzialità di creazione di posti di lavoro delle economie europee. Dobbiamo tener conto dei cambiamenti demografici, della globalizzazione e dell'introduzione delle nuove tecnologie. Credo che ai fini della prossima strategia occupazionale sia molto importante creare un equilibrio tra le questioni immediate che sorgono dalla crisi e le sfide a lungo termine. La politica occupazionale europea ha un ruolo fondamentale nel superamento delle difficoltà attuali. Concordo con il relatore sul fatto che un'istruzione di qualità e l'apprendimento permanente possano essere strategicamente importanti per affrontare il problema della disoccupazione. Non posso che appoggiare la proposta e mi congratulo con l'onorevole Őry per l'eccellente relazione.
Presidente. – Onorevole Mészáros (Meh-tsá-rosh), ho pronunciato il suo nome come trovo indicato. Se la pronuncia è incorretta la prego di indicarci come leggere correttamente il suo nome.
Alajos Mészáros (PPE). – (EN) "Mészáros" (Méh-sah-rosh) "Alajos Mészáros". Lo so, non è facile. Molte grazie.
Sergej Kozlík (ALDE). – (SK) Appoggio senza riserve gli orientamenti per le politiche occupazionali degli Stati membri come approvate dal Parlamento europeo. Il lavoro e l'occupazione devono essere i risultati principali di qualunque politica economica valida. Collegare la crescita e il mantenimento dei posti di lavoro allo sviluppo di un'economia verde creerà nel contempo i prerequisiti per prevenire i problemi di natura climatica e ambientale. Le catastrofi naturali che si sono verificate per molti anni, in particolare le alluvioni in diverse parti d'Europa, mostrano che c'è spazio per lavori sostenibili nell'ambito della costruzione di opere di difesa contro le alluvioni. Il denaro speso per la manutenzione dei corsi d'acqua, per la costruzione e la manutenzione di fognature pubbliche, canali di scolo e strutture contenitive sarà senza dubbio di molto inferiore alle spese derivanti dalle conseguenze delle alluvioni.
Giommaria Uggias (ALDE). – Signor Presidente, l'uscita dalla crisi finanziaria e l'inizio della ripresa economica che sta, seppure a velocità diverse, caratterizzando l'Unione europea vengono purtroppo attuate ai danni dell'occupazione e dei lavoratori.
Questa tendenza si pone fortemente in contrasto con il programma della Commissione, che abbiamo votato in quest'Aula, e con le linee del programma specifico Europa 2020, che prevede la necessità che la crescita economica vada necessariamente accompagnata da caratteristiche di inclusività. In questa direzione vanno molto positivamente gli orientamenti integrati che abbiamo votato oggi, tra i quali il settimo, che richiama gli Stati membri dell'Unione a ridurre la disoccupazione strutturale con azioni concrete.
Il lavoro, occorre ricordarlo sempre, rappresenta il fondamento di interi ordinamenti quale quello italiano, il cui articolo 1 recita che "l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro", ma il lavoro è anche il fondamento della dignità umana.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, appoggio gli orientamenti integrati che affrontano i problemi occupazionali degli Stati membri.
Le soluzioni proposte devono avere allo stesso tempo una dimensione qualitativa. Come sottolineato ieri dal Presidente Barroso, attualmente in Europa vi sono 4 milioni di posti di lavoro disponibili. Nella gran parte dei casi si richiede una forza lavoro qualificata. Invito pertanto la Commissione a introdurre quanto prima il sistema di monitoraggio delle offerte di lavoro su scala europea che è stato proposto e che deve includere un passaporto europeo delle competenze.
Questo obiettivo paneuropeo dovrà garantire al nostro continente una forza lavoro qualificata ma poi noi dobbiamo essere pronti a ridurre drasticamente gli ostacoli amministrativi e non tariffari per le PMI.
Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore di questa relazione poiché sono d'accordo con l'approccio del relatore, che, se da un lato appoggia la riduzione del numero di orientamenti integrati proposto dalla Commissione, dall'altro specifica come questo ridotto numero di orientamenti e di obiettivi comuni a livello europeo non possa e non debba guidare le politiche degli Stati membri in virtù della loro chiarezza e della loro utilità sotto il profilo operativo.
Inoltre, ritengo condivisibile il passaggio nel quale il relatore afferma che, se si vuole garantire l'efficacia di Europa 2020 e l'efficienza dei relativi orientamenti in materia di occupazione, occorrerà adoperarsi in modo opportuno per superare disparità socioeconomiche tra Stati membri e tra regioni d'Europa, anche attraverso l'utilizzo dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signor Presidente, la vera domanda legata all'eccellente relazione dell'onorevole Őry sugli orientamenti in materia di occupazione è se il Consiglio prenderà in esame tali raccomandazioni.
L'altra sera ho apprezzato l'impegno della Presidenza belga a prendere in considerazione le raccomandazioni del Parlamento. Vorrei rivolgermi al Consiglio puntualizzando che è fondamentale adottare molte delle eccellenti raccomandazioni contenute nella relazione dell'onorevole Őry e credo, in particolare, quelle relative al miglioramento della governance. Tutti concordano nel sostenere che il metodo di coordinamento aperto non si è rivelato per nulla efficace rispetto al programma di Lisbona. Dobbiamo assicurare che gli obiettivi primari e secondari indicati vengano monitorati e valutati sulla base degli obiettivi di Europa 2020.
Mi compiaccio che l'emendamento 62 sia stato accolto in quanto ritengo che, se applicato, contribuirà ad assicurare minori disparità a livello regionale. Da ultimo, do il mio pieno appoggio all'idea che una crescita che incentivi l'occupazione debba fondarsi sul lavoro dignitoso, come promosso dall'OIL.
Czesław Adam Siekierski (PPE). – (PL) Bisogna plaudere al fatto che la Commissione europea abbia presentato la proposta sugli orientamenti integrati Europa 2020, oggi approvata in Parlamento. Guardando alla situazione economica globale attuale, è stato compiuto un significativo passo avanti che mostra l'impegno delle istituzioni europee e le responsabilità assunte in tema di economia e occupazione. È apprezzabile che nella definizione degli orientamenti si sia tenuto conto della necessità di mantenere la coerenza e la trasparenza. Misure quali l'aumento della partecipazione nel mercato del lavoro, la riduzione della disoccupazione strutturale, la creazione di una forza lavoro qualificata, la promozione della qualità del lavoro e l'apprendimento permanente, l'aumento degli occupati nell'ambito dell'istruzione superiore, la lotta alla povertà e all'esclusione sociale devono essere realizzate con la massima priorità in quanto garantiscono un'economia sostenibile e rafforzano il potenziale di creazione di posti di lavoro. La relazione dice il vero quando afferma che non basta incentivare la creazione di lavori sostenibili investendo in una crescita economica sostenibile, ma serve anche assicurare il superamento delle disparità socioeconomiche tra gli Stati membri e tra le regioni. In breve, mi auguro davvero che Europa 2020 produca i risultati attesi, in particolare nell'ambito della politica occupazionale.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, trent'anni fa, i paesi di quella che possiamo chiamare "la vecchia Europa", ossia i 15 Stati membri dell'Unione europea prima dell'ingresso dei paesi dell'ex-Comecon, arrivavano al 36 per cento del PIL mondiale. Oggi, la percentuale è del 25 per cento e tra dieci anni si prevede che scenderà fino al 15 per cento.
Ora, perché sta succedendo questo? Non possiamo attribuirlo interamente all'ascesa dei paesi asiatici. La percentuale del PIL mondiale del Canada e degli Stati Uniti è rimasta infatti piuttosto stabile nell'arco dello stesso periodo.
La verità è che ci siamo gravati di tasse, di norme alquanto restrittive, di regolatori, licenze, ispettori, burocrati e impiegati più invadenti. Poteva avere una sua logica quando la concorrenza principale proveniva dallo stesso continente, ma in un mondo dove si compete con la Cina e con l'India, questa logica non ha più senso.
Ecco dunque una buona ragione perché i suoi elettori e i miei volgano lo sguardo a orizzonti più lontani, perché abbandonino questa unione doganale regionale restrittiva e in declino e perché riscoprano la vocazione globale che i nostri padri davano per scontata.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signor Presidente, iniziamo con gli aspetti positivi della relazione. Credo che sia molto importante promuovere insieme l'apprendimento permanente. Per troppo tempo abbiamo avuto una sola possibilità di sostenere un esame con il risultato di avere il proprio futuro segnato all'età di 11 o 18 anni.
In un'era di economie in continuo cambiamento dove alcuni settori possono scomparire nell’arco di una notte, è molto importante per i nostri cittadini poter contare sull'apprendimento permanente. Allo stesso tempo però dobbiamo anche guardare al resto.
Molto spesso in quest'Aula, si discute l'idea di un'Europa sociale. Ma l'espressione "Europa sociale" spesso cela politiche che di fatto rallentano la creazione di occupazione, onerando ulteriormente le PMI, il motore di crescita dell'Europa e rendendo la creazione di posti di lavoro molto più problematica.
Facciamo in modo che i governi non interferiscano con le piccole imprese. Lasciamo che queste ultime creino posti di lavoro, benessere e prosperità per tutti.
Erminia Mazzoni (PPE). - Signor Presidente, ho chiesto l'anticipazione del voto su questa proposta di risoluzione, sono tra i sottoscrittori della stessa e ho votato a favore, ma devo riconoscere che mi sarei aspettata qualcosa di più e che speravo qualcosa di più da questo Parlamento.
Certo, era una decisione urgente, ma è anche una decisione impegnativa. Urgente per salvare la vita di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, impegnativa per il nostro Parlamento, perché noi non possiamo continuare a condannare, denunciare, deplorare e stigmatizzare e continuare a tenere gli stessi comportamenti e gli stessi atteggiamenti nei confronti di paesi come l'Iran. Credo che l'Iran abbia dimostrato in questa occasione una maggiore arroganza nei confronti della comunità internazionale, degli Stati membri e delle istituzioni europee. È indifferente a qualunque richiamo e a qualunque appello.
La situazione oggi è diversa e più grave, perché nell'ultimo anno i comportamenti dell'Iran sono peggiorati gravemente e si sono verificati episodi che hanno contravvenuto agli impegni assunti dal governo iraniano a livello internazionale.
Credo che misure più severe e sanzioni nei confronti di questo paese dovrebbero essere adottate sia dai singoli Stati membri sia dalle istituzioni europee. Non si possono continuare ad avere relazioni diplomatiche con uno Stato che non accetta e non ascolta assolutamente gli appelli della nostra Comunità.
Presidente. – In tutta la mia carriera qui al Parlamento europeo, non ho mai visto una maggioranza così schiacciante a favore di una risoluzione di questo tipo, con un solo voto contrario, 22 astensioni e oltre 600 voti a favore. Credo che il messaggio che si voleva comunicare sia stato trasmesso in modo inequivocabile. Esprimo dunque la mia gratitudine.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, naturalmente mi sono espresso a favore della presente risoluzione. Il mio intervento non fa che ribadire la necessità di salvare la vita di Sakineh Ashtiani.
Purtroppo non si tratta di un caso isolato. Da quando l’attuale regime terroristico-clericale è salito al potere 31 anni fa, circa 300 donne sono state lapidate a morte. Sono frequenti anche le impiccagioni pubbliche, perfino di minori. È nostro dovere fare il possibile per salvare la vita di Sakineh Ashtiani, e tuttavia, quand’anche dovessimo riuscirvi, difficilmente la condotta dell’attuale regime cambierebbe. È quindi necessario garantire senza riserve il nostro sostegno a tutti quei coraggiosi – e se ne contano milioni in Iran dalla scorsa estate – che tentano di sostituire l’attuale regime con un governo più aperto, non militante e democratico. Non dobbiamo lasciarci intimorire da questo compito.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signor Presidente, mi unisco a lei nel congratularmi con l’onorevole Mazzoni per il lavoro svolto in merito alla mozione, che sostengo pienamente.
In questa settimana di confusione e frenesia a Strasburgo, l’incontro più importante è stato quello a cui purtroppo ho potuto dedicare meno tempo, ovvero l’incontro con le donne iraniane, che chiedono sostegno per i loro colleghi e per questa mozione.
Sono stata comunque lieta di incontrarle e impegnarmi a sostenerle. È sconcertante, ma forse degno di nota, il fatto che abbiamo ricevuto molte più e-mail sulla questione del benessere degli animali piuttosto che sulla vita umana. Si tratta di una semplice osservazione, per quel che può valere.
Credo sia necessario precisare che, le donne condannate a morte, per lapidazione o con altri mezzi, sono accusate del crimine di mohareb; ci è stato chiesto di usare questo termine, che letteralmente significa colui o colei in guerra contro Dio. In realtà queste donne hanno semplicemente protestato contro la dittatura che vige nel loro paese, per cambiare in meglio le proprie vite e ripristinare i propri diritti in quel determinato Stato.
Io dunque sostengo queste donne. Non posso fare molto, è vero, ma credo che con la maggioranza di oggi il Parlamento sia stato estremamente chiaro e spero che questo possa fare la differenza.
Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, questa risoluzione è il primo importante passo perché questo Parlamento sappia, con ogni sua azione e in ogni sua seduta, continuare una battaglia che oggi consiste nel salvare la vita di Sakineh, ma soprattutto nel combattere contro un regime oppressivo e che non ha nulla di umano.
Ritengo tuttavia che la Commissione e il Consiglio dovranno essere più propositivi e decisivi in futuro e che ogni parola pronunciata in quest'Aula debba essere come una pietra depositata ai piedi di coloro che praticano la lapidazione, per costruire intorno a loro un muro di vergogna e cancellarli dal consesso umano. Sakineh deve essere salvata, e con lei le donne e gli uomini che nel mondo sono ancora vittime di una barbara crudeltà, sconosciuta anche agli animali più feroci e primitivi.
È la bestia, intesa come il diavolo, che oggi muove le mani e le labbra di indegni leader e di falsi religiosi, che l'Onnipotente ha già condannato senza possibilità di grazia. Sappiano che se non si fermano ora, il loro tempo è segnato per sempre e sarà segnato anche il nostro se non saremo sempre attenti nell'aiutare le vittime di una società barbara.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, ho votato a favore della presente relazione e mi auguro che questo contribuisca a salvare la vita di Sakineh Mohammadi-Ashtiani. Sono piuttosto scettico, come molti tra i presenti, poiché purtroppo i regimi totalitari, come quello iraniano, semplicemente non prestano ascolto ai nostri appelli.
Trovo allarmante, come ha già detto un mio collega in precedenza, che si sia parlato a lungo dei diritti degli animali, ma molto poco di diritti umani. Sono entrambe questioni di grande importanza, che però devono essere poste nella giusta prospettiva. Compito fondamentale dell’Unione europea è difendere i diritti umani e i valori fondamentali.
Spero sinceramente che la presente relazione possa contribuire a promuovere il nostro impegno di sensibilizzazione circa i diritti umani e la loro importanza, anche in paesi governati da regimi totalitari come l’Iran, fermando così in modo definitivo queste brutali condanne a morte.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, come ha giustamente sottolineato, il voto pressoché unanime di oggi è molto significativo. Sono lieto di essere tra quanti si sono espressi a favore della mozione.
Desidero precisare innanzi tutto che non sono di carattere bellicoso, non ho mai indossato una maglietta simile prima d’ora, ma l’esagerata proposta di condannare e punire qualcuno per un presunto crimine è talmente spregevole, rivoltante, brutale, sproporzionata e nauseante, che ho avvertito dentro di me il dovere di agire. É una pratica antiquata, cui bisogna porre fine e mi auguro che questo messaggio possa giungere alle autorità iraniane.
Pressione politica e manifestazioni pubbliche di protesta hanno portato all’abolizione della pena capitale in molti paesi. Mi auguro che la nostra protesta qui, oggi, ponga fine a questa esecrabile situazione. Come ha riferito l’onorevole Kelam, le persone lapidate a morte sono già 300, una cifra spaventosa. Tutto questo deve finire e noi dobbiamo fare tutto il possibile a questo scopo.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signor Presidente, noi tutti condividiamo la stessa preoccupazione riguardo la mozione sull’Iran. E, come lei ha sottolineato solo poco fa, il risultato di oggi dimostra la forza del sentimento comune che muove i membri di questa Camera, degli indipendentemente dallo schieramento politico.
Già il fatto che a queste due donne non venga concesso un giusto processo è, a nostro avviso, allarmante. E non solo: quando cercano di assumere dei legali che le difendano, questi ultimi diventano a loro volta oggetto di persecuzione e allontanati dal paese.
Siamo di fronte ad un governo che disdegna la democrazia, è indifferente ai risultati delle elezioni e colpisce e uccide quanti lottano per un paese più democratico.
Assistiamo altresì alla persecuzione di individui di diverse confessioni religiose, di fede cristiana o bahá'í.
Desidero nominare un’altra persona che non dovremmo dimenticare: Ibrahim Hamidi, accusato di omosessualità. Il fatto che una persona possa essere perseguita per il suo orientamento sessuale è una macchia che infanga la reputazione di quel paese.
Auguriamoci che l’attuale regime iraniano possa presto essere rovesciato.
Presidente. – Desidero esprimere a tutti il mio più sentito ringraziamento. In qualità di Vicepresidente responsabile per i diritti dell’uomo e la democrazia, appoggio pienamente le osservazioni presentate sinora. Io stesso ho assistito alla cosiddetta giustizia iraniana qualche anno fa e posso solo esprimere il mio orrore di fronte alla situazione attuale; mi auguro, come voi, che questa situazione finisca presto. Spero inoltre che quel singolo voto contrario sia stato soltanto un errore e che fossimo in realtà unanimi.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, un giorno la Rivoluzione iraniana del 1979 sarà ricordata come un evento epocale, pari alla Rivoluzione francese del 1789 e alla Rivoluzione russa del 1917. Anch’essa infatti si è estesa immediatamente oltre i confini nazionali nel tentativo di replicare i propri effetti nel resto del mondo. Come le altre, anche questa rivoluzione ignorò deliberatamente i principi di sovranità e giurisdizione territoriale.
La vera firma degli ayatollah è stata l’assedio dell’Ambasciata americana. Perfino durante la Seconda guerra mondiale, che vedeva ideologie opposte combattere per estirparsi l’un l’altra, vigeva un sacro rispetto dell’inviolabilità delle sedi diplomatiche. Gli ayatollah dimostrarono così che le regole del passato non valevano per loro, che rispondevano invece ad un’altra autorità. E così hanno continuato come avevano cominciato, trascurando il concetto di giurisdizione territoriale, sostenendo le proprie milizie e organizzazioni terroristiche. Dalla regione del Golfo al Libano, via via fino ai canati della Via della Seta e ai Balcani, si sono scagliati contro obiettivi civili, spingendosi fino a Londra e Buenos Aires.
Non posso ignorare il fatto che avremmo ragione di condannarli molto più duramente, se noi stessi rispettassimo maggiormente i principi di giurisdizione territoriale e democrazia. Mi auguro che i deputati che si sono espressi in modo così sincero e toccante riguardo l’assenza di un governo rappresentativo in Iran applichino standard altrettanto alti all’Unione europea, quando si tratterà di votare il prossimo referendum.
Dichiarazioni di voto scritte
Raccomandazione per la seconda lettura presentata dall’onorevole Jeggle (A7-0230/2010)
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della presente relazione in quanto sono convinto che andrà ad integrare la direttiva esistente, che risale al 1986; contribuirà inoltre a ripristinare l’equilibrio tra gli interessi del settore della ricerca e una maggiore protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. A questo proposito, è fondamentale raggiungere un compromesso con l’obiettivo di promuovere metodi alternativi all’utilizzo di cavie animali e garantire al contempo il loro benessere, senza per questo compromettere il progresso della ricerca.
La presente relazione si concentra sugli aspetti concernenti il benessere degli animali, nonché sulle relative misure e modifiche volte a potenziare degli approcci alternativi all’utilizzo degli animali vivi. Essa mira altresì ad introdurre una classificazione dei metodi di sperimentazione sugli animali basata sui livelli stimati di sofferenza, stabilendo un limite massimo e applicando la direttiva in funzione di un sistema di monitoraggio più efficace. La mancanza di controllo, infatti, significa che talvolta sono stati condotti esperimenti su animali, nonostante vi fossero delle alternative, specialmente nel caso di esperimenti di base che non miravano a dimostrare alcuna ipotesi scientifica.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Considerando i diversi ordinamenti nazionali e il basso livello di tutela degli animali in alcuni Stati membri, è ora necessaria una maggiore armonizzazione delle norme sull’uso degli animali per fini scientifici. Come precisato dal relatore, onorevole Jeggle, è stato raggiunto un compromesso equilibrato con il Consiglio; in effetti, parallelamente alla protezione degli animali, è altrettanto importante garantire che la ricerca continui a giocare un ruolo fondamentale nella lotta alle malattie. Ho per questo votato a favore della relazione e, come i miei colleghi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico Cristiano), sono contraria agli emendamenti presentati dal gruppo Verde/Alleanza libera europea.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore di questo importante accordo. La protezione degli animali utilizzati per fini scientifici è una materia alquanto difficile poiché bisogna prendere in considerazione gli interessi di numerosi gruppi coinvolti, spesso con opinioni e necessità divergenti. Credo che nell’accordo si sia raggiunto un equilibrio adeguato, in quanto viene prestata molta attenzione alla promozione di alternative ai test sugli animali e a migliorare le condizioni in cui le cavie sono tenute e impiegate. Siamo anche riusciti a mantenere le osservazioni avanzate dal Parlamento in prima lettura sulla riduzione degli oneri amministrativi e sulla continuità e la fattibilità della ricerca e dell’industria comunitaria che ancora fanno uso di animali. È necessaria una maggiore promozione delle alternative ai test sugli animali; a questo scopo si intende istituire un laboratorio europeo di riferimento per la convalida dei metodi alternativi, supportato dagli Stati membri in termini di risorse intese come laboratori specializzati adeguati. Ritengo che la presente risoluzione individui il giusto equilibrio tra le esigenze dell’industria e della ricerca comunitarie, migliorando e armonizzando al contempo gli standard di benessere degli animali utilizzati a fini scientifici.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Esprimo la mia soddisfazione di fronte al forte interesse dimostrato dall’Unione europea circa il benessere degli animali in generale e in particolare degli animali utilizzati a fini scientifici. Detto questo, alla luce del consistente allargamento dell’Unione e dei progressi tecnologici compiuti, si è reso necessario formulare una nuova direttiva che tenti di standardizzare le pratiche in uso relative al trattamento degli animali. La tutela e il trattamento adeguato degli animali sono un valore comunitario, a cui corrisponde un protocollo specifico approvato all’unanimità. La direttiva CE del 1985 mirava ad uniformare i provvedimenti amministrativi e legislativi degli Stati membri per quanto concerne la protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o scientifici di altro genere. Le discrepanze tra i vari Stati membri sono però aumentate dal momento dell’adozione della direttiva, soprattutto a seguito dell’adesione di nuovi Stati.
La risoluzione adottata dal Parlamento ridurrà le differenze tra il livello di protezione garantito dagli Stati membri agli animali utilizzati a fini scientifici e questo in un momento di grande consapevolezza circa la necessità di attuare simili misure non solo per la protezione degli animali, ma anche per la tutela dell’ambiente e della salute umana. La presente risoluzione costituisce un passo avanti verso un obiettivo comune, ovvero la cessazione della sperimentazione condotta su animali vivi, non appena le future scoperte scientifiche lo renderanno possibile.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) L’uso di animali nella ricerca scientifica viene associato a scoperte di grande impatto sociale, a una più lunga aspettativa di vita e al benessere umano. Considerando lo sviluppo attuale della scienza, la completa eliminazione dei test sugli animale è impossibile e per questo è imprescindibile garantire che le cavie godano della maggiore tutela e del miglior benessere possibile, sempre tenendo presenti gli obiettivi degli esperimenti.
Ritengo che la presente revisione della normativa proponga standard più alti che rafforzano la necessaria protezione degli animali. Con questa direttiva, l’Unione europea migliorerà gli standard relativi al benessere degli animali utilizzati negli esperimenti scientifici e svolgerà un ruolo determinante nel ridurne il numero, prevedendo l’impiego di metodi alternativi ove possibile e garantendo al contempo condizioni eque della concorrenza per l’industria europea attraverso una più elevata qualità delle ricerche condotte in EU. Dalla votazione odierna è emerso un consenso generale sulla necessità di migliorare le condizioni degli animali utilizzati nella ricerca scientifica e nei test di sicurezza, mantenendo al contempo elevati standard proprio nel settore della ricerca e intensificando lo studio di alternative ai test su animali.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Ogni società civile riconosce gli animali come esseri viventi che condividono la nostra esistenza; pertanto ogni tipo di dolore e sofferenza inflitti loro deve essere evitato, per quanto possibile. Al contempo riconosco la necessità di utilizzare gli animali a fini sperimentali per testare nuovi medicinali e terapie, o per la consentire alla ricerca scientifica di ottenere risultati che permettano di curare malattie, ridurre la sofferenza e aumentare l’aspettativa di vita degli esseri umani.
Le enormi differenze che sussistono all’interno della legislazione e la mancanza di un livello di tutela adeguato in alcuni Stati membri sono i motivi che hanno spinto ad adottare una direttiva che istituisse una serie di standard minimi, senza danneggiare gli Stati membri che garantiscono agli animali coinvolti una maggiore protezione. I negoziati che hanno visto coinvolti il Parlamento, il Consiglio e la Commissione non sono stati semplici, ma si sono conclusi con la stesura di un testo che è, a mio avviso, estremamente equilibrato e merita il nostro sostegno. Sebbene alcuni punti avrebbero potuto avere un esito migliore, si tratta comunque di un passo avanti che va accolto con favore.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Sono lieta che la presente relazione sia stata approvata, poiché d’ora in poi, grazie ad essa, vigerà il divieto di condurre qualsiasi esperimento su esemplari di grandi scimmie come scimpanzé, gorilla e oranghi. Il testo prevede inoltre che la sperimentazione animale sia per quanto possibile sostituita, tramite l’introduzione di metodi alternativi scientificamente validi. Infine, il testo impone la massima riduzione delle sofferenze inflitte agli animali; da questo momento le cavie animali potranno essere utilizzate esclusivamente in esperimenti mirati all’avanzamento scientifico della ricerca incentrata su esseri umani, malattie (cancro, sclerosi multipla, morbo di Alzheimer e morbo di Parkinson) e sugli animali stessi. L’adozione della presente relazione è un ulteriore passo avanti verso una migliore protezione e un maggior benessere degli animali utilizzati a fini scientifici.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Mi sono espressa a favore della relazione sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, poiché ritengo che il compromesso raggiunto con il Consiglio rappresenti il miglior equilibrio possibile tra le esigenze della ricerca scientifica in termini di tutela della salute umana e il benessere ed i diritti degli animali.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Concordo pienamente con quanti sostengono che il testo da adottare oggi rappresenti un compromesso soddisfacente tra i vari interessi in gioco, compromesso raggiunto a seguito di prolungate trattative tra le istituzioni coinvolte: Parlamento, Commissione e Consiglio. Ritengo che le società civili non possano prescindere da una regolamentazione adeguata sull’utilizzo degli animali a fini scientifici, come nel caso dell’Europa. Siamo qui oggi per esaminare proprio questo tema, fondamentale per il progresso scientifico e la scoperta di nuove procedure, terapie e medicine che costituiranno una grande risorsa per la nostra civiltà e un beneficio per le generazioni future.
È chiaro che la presente relazione non deve eccedere nello stabilire il livello di protezione minimo garantito agli animali, in quanto comprometterebbe gli studi e le ricerche scientifici. Nel prendere una decisione, ho scelto di guardare a quanti in futuro trarranno beneficio dai risultati di ricerche ed esperimenti che permettiamo vengano condotti oggi con l’ausilio degli animali. Se la proposta che approviamo oggi permette di progredire nello studio di malattie neurologiche, patologie autoimmuni o cancro, questo sarà, a mio parere, un bene per tutti.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Ogni anno, circa 12 milioni di animali vengono utilizzati per test scientifici nei 27 Stati membri. È fondamentale impegnarsi più che possiamo per ridurre al minimo indispensabile il numero di animali impiegati nelle sperimentazioni. L’approccio più pragmatico per raggiungere questo obiettivo consiste nell’utilizzare metodi alternativi dato che, allo stato attuale della scienza, è impossibile eliminare completamente questo tipo di test.
La direttiva 86/609/CEE relativa alla protezioni degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici venne adottata allo scopo di armonizzare le prassi dei test sugli animali nell’Unione europea. Alcuni Stati membri, tuttavia, hanno fissato obiettivi ambiziosi, mentre altri si sono limitati ad applicare le disposizioni minime; per questo motivo, la risoluzione si prefigge di uniformare queste disuguaglianze. Dobbiamo garantire condizioni eque perl’industria e la comunità scientifica europea, rafforzando al contempo la protezione degli animali che vengono ancora impiegati a fini scientifici, ai sendi del protocollo sulla protezione e il benessere degli animali allegato al trattatu sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Nel settore degl iesperimenti sugli animali, dobbiamo attuare una migliore promozione di sviluppo, convalida, accettazione e applicazione di metodi alternativi, nonchè il principio delle “tre R”: sostituire (Replace), ridurre (Reduce) e perfezionare (Refine).
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Siamo convinti che, a livello legislativo, l’identificazione di standard minimi comuni di protezione, in questo campo come in altri, non debba impedire a uno Stato membro di adottare misure ancora più avanzate e severe, qualora lo ritenga necessario. Per questa ragione ci siamo espressi a favore della proposta di emendamento in esame. Riteniamo fondamentale un ulteriore sviluppo di tecniche e metodi che vadano a sostituirsi alla sperimentazione sugli animali, come già affermato nel corso della discussione. Ma questo non basta.
È necessario infatti, divulgare tecniche alternative e permettere che vengano adottate dalla maggior parte delle istituzioni che si occupano di sviluppo e ricerca, compresi i sistemi scientifici e tecnologici a carattere nazionale, contraddistinti da un livello di sviluppo relativamente minore. Tale requisito dovrà rientrare in qualsiasi quadro legislativo riguardante questo settore. Riteniamo che la presente proposta di emendamento non garantisca quanto sinora illustrato. L’Unione europea dovrà svolgere un ruolo importante in questo campo, al fine di promuovere la cooperazione tra istituzioni e sistemi scientifici e tecnologici in diversi paesi, compresi i paesi terzi.
Robert Goebbels (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore del compromesso raggiunto tra Parlamento e Consiglio su una maggiore protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Talvolta la salute umana richiede il sacrificio degli animali e il loro impiego dovrà pertanto essere severamente regolamentato. Sarebbe ipocrita, tuttavia, esigere che gli animali siano uccisi “con il minimo dolore, sofferenza, angoscia o danni durevoli”. Si tratta infatti di un concetto umano applicato agli animali che, nel loro ambiente naturale, vengono uccisi da predatori carnivori o vengono macellati nei mattatoi per diventare cibo per gli esseri umani. Il mondo non è certo un paradiso e ci saranno sempre delle morti dietro le quinte.
Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. – (FR) Mi sono espressa a favore del presente accordo in seconda lettura in quanto abbiamo il dovere di considerare la realtà della ricerca biomedica, tenendo comunque conto sia delle esigenze dei pazienti, sia della necessità di migliorare il benessere degli animali.
Fortunatamente il numero degli esperimenti condotti sugli animali si è ridotto sensibilmente negli ultimi anni, in quanto la ricerca europea mira sempre più ad avvalersi di soluzioni alternative. D’altro canto siamo consapevoli che tali soluzioni non sono adeguate in alcuni casi, quali le malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson o il morbo di Alzheimer, nei quali è invece necessario ricorrere alle cavie animali, e in particolare ai primati non umani.
L’unica garanzia di un alto livello di protezione degli animali è assicurarsi che queste ricerche siano condotte in Europa. Un buon risultato dal punto di vista scientifico è spesso la diretta conseguenza dell’attenzione rivolta alla sofferenza inflitta agli animali durante un esperimento. Per questa ragione è nostro dovere prevenire il trasferimento degli esperimenti con cavie animali al di fuori dell’Europa.
Nadja Hirsch (ALDE), per iscritto. – (DE) Non mi è possibile sostenere la direttiva sugli esperimenti con cavie animali nella sua forma attuale. Certo, si tratta di una versione più avanzata rispetto al testo del 1986, ma se si considerano gli enormi progressi compiuti in campo scientifico e tecnologico negli ultimi 24 anni, le misure elaborate per sostituire i test sugli animali sono davvero modeste. Vi sono troppe eccezioni, la formulazione stessa non è efficace e nella sua ambiguità concede troppa libertà di interpretazione e implementazione. Trovo inoltre assurdo che gli Stati membri non abbiano la facoltà di adottare misure di tutela degli animali più severe rispetto a quanto previsto dall’Unione europea. Ci si giustifica adducendo come scusa la distorsione del mercato.
In questo modo mandiamo un messaggio sbagliato ai cittadini europei, alla comunità scientifica e all’industria. Da una parte lo Stato deve tenere in considerazione la mutata consapevolezza etica dei cittadini; dall’altro è necessario esercitare maggiore pressione sui settori della ricerca e dell’industria. Nessuno vuole mettere a repentaglio la reputazione della Germania o dell’Europa stessa in quanto luoghi della ricerca, ma i costi di investimento non sono un’argomentazione valida che giustifichi il continuo rinvio dello studio di metodi di ricerca che non coinvolgano gli animali.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. – (FI) Ho votato a favore della direttiva sull’utilizzo degli animali a fini scientifici, poiché vi è la possibilità concreta che il risultato finale sia molto più svantaggioso per gli animali. La direttiva adottata oggi rappresenta un passo avanti verso il benessere degli animali.
Ora è compito degli Stati membri trasporla nella legislazione nazionale ed attuarla in modo coerente, il più rapidamente possibile. La precedente versione risale al 1986. È quindi davvero giunto il momento di aggiornare in tutta Europa gli standard relativi al benessere degli animali utilizzati a fini scientifici.
In futuro sarà necessario aumentare il volume degli investimenti a favore dell’elaborazione di metodi alternativi agli esperimenti sugli animali. Grazie.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a sostegno della relazione Jeggle perché rappresenta il frutto di un intenso e lungo lavoro durante il quale la relatrice ha saputo condurre importanti accordi su un tema così difficile quale quello dell'utilizzo degli animali nel mondo della sperimentazione.
Non sono stato d'accordo sul rinvio alla competente commissione permanente perché proprio tale commissione, di cui faccio parte, ha fortemente apprezzato e condiviso il lavoro della mia collega Jeggle. La ricerca deve andare, è importante per lo sviluppo della medicina e per la salute e la prevenzione di molte malattie.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Desidero esprimere la mia delusione in merito alla stesura finale della presente relazione. Mi riferisco in particolare al fatto che gli emendamenti volti a migliorare le disposizioni riguardanti il benessere degli animali non sono stati adottati. È tempo di stabilire nuove norme che prevedano: maggiori restrizioni sull’utilizzo di primati non umani; il divieto di sperimentazione sugli animali selvatici; l’esplicito obbligo di avvalersi di metodi alternativi all’utilizzo degli animali laddove sia scientificamente possibile; il divieto di esperimenti che prevedano sofferenze gravi e prolungate per gli animali. Si dovrebbe almeno permettere agli Stati membri di fare di più, con leggi sul benessere degli animali che prevedano misure più severe rispetto agli standard minimi dell’Unione europea. Nonostante sia un passo avanti rispetto alle disposizioni attuali, ritengo che la presente relazione avrebbe potuto spingersi molto oltre, ed è per questo motivo che ho del deciso di astenermi dalla votazione finale.
Véronique Mathieu (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione in quanto il presente compromesso costituisce una soluzione equilibrata, sia dal punto di vista del miglioramento della protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, sia dal punto di vista della ricerca scientifica. La sperimentazione condotta su cavie animali contribuisce alla lotta contro numerose malattie gravi; è però necessaria una regolamentazione in materia, in modo che si eviti di infliggere sofferenze inutili agli animali. La direttiva attuale, che risale al 1986, necessita chiaramente di essere aggiornata e migliorata.
Il nuovo testo istituisce un rigoroso sistema di ispezione e verifica e prevede che, prima di poter avviare esperimenti sugli animali, si debba ottenere una speciale autorizzazione, comprensiva di una valutazione del progetto e di un’analisi del rapporto danno/beneficio. La votazione odierna è il risultato dell’enorme impegno dei relatori, della collega, onorevole Jeggle, e dell’ex-collega Parish, che ha lavorato al testo della direttiva nel corso della precedente legislatura. I risultati ottenuti a seguito del voto tenutosi in seno alla commissione Agricoltura e sviluppo rurale hanno rispecchiato la qualità del testo finale.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L’adozione di questa relazione dopo difficili negoziati tra le parti coinvolte è un compromesso equilibrato a tutela sia degli animali utilizzati a fini scientifici sia del bisogno di utilizzali, al fine di raggiungere importanti scoperte scientifiche e sviluppi in relazione a tecnologie e terapie per curare in futuro molte malattie che colpiscono la società civile. Queste parole giustificano il mio voto.
Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE), per iscritto. – (LT) L’interazione tra scienza e natura a favore dello sviluppo è sempre stata oggetto di discussione. Oggi il Parlamento europeo ha adottato un testo importante, che si propone di regolare la ricerca scientifica che coinvolge gli animali. Esso istituirà un equilibrio tra la tutela degli animali e la ricerca scientifica, regolamentando una serie di aspetti importanti e garantendo al contempo la protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Gli scettici sono dell’opinione che la presente direttiva sia in contraddizione con i principi di tutela degli animali e che vi siano numerosi dubbi circa l’utilizzo degli animali a fini scientifici. La direttiva istituisce invece l’obbligo, prima di ciascun esperimento, di valutare l’effettiva necessità di utilizzare animali e le possibili alternative. Ogni Stato membro ha inoltre il dovere di istituire comitati nazionali che si occupino del benessere degli animali e degli aspetti etici. Mi sono espressa a favore della presente relazione poiché ritengo che la sperimentazione condotta sugli animali debba essere sottoposta ad un monitoraggio più attento, pur non trascurando l’inevitabile progresso scientifico in diverse aree, nonché la continuità della ricerca scientifica.
Tiziano Motti (PPE), per iscritto. – Ho votato contrariamente alle indicazioni del mio gruppo sulla Direttiva per la sperimentazione animale pur essendomi calato nella condizione di sostenitore della ricerca scientifica, quale sono. Questa Direttiva è fortemente sfavorevole agli animali: "amplia" la soglia di dolore accettabile nell'ambito della sperimentazione da "lieve" a "moderata", permette la sperimentazione su cani e gatti randagi, lasciando alla facoltà dei ricercatori l'eventuale sperimentazione senza anestesia o antidolorifici su animali sofferenti; permette di riutilizzare più volte lo stesso animale, anche in procedure dolorose, e di tenere in isolamento animali socievoli come cani e primati; di praticare l'apertura del torace senza analgesici e di sperimentare su animali vivi a scopi didattici. Ho la sensibilità umana per non accettare inutili atrocità e la sensibilità politica per capire che se l'Europa non avesse approvato questa direttiva, allora una parte della ricerca scientifica si sarebbe spostata inevitabilmente altrove. Questa Direttiva europea rappresenta un grave passo indietro a cui tutti gli Stati membri saranno obbligati ad adeguare le normative nazionali. Ritengo che una revisione favorevole al mondo animale a complemento di maggiori incentivi alla ricerca scientifica svolta in Europa, avrebbe rappresentato la vera soluzione per una società che ama definirsi civile.
Cristiana Muscardini (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la direttiva sulla protezione degli animali assicura condizioni di parità per imprese e ricercatori, uniformando le procedure dei Paesi, ma non si muove per una vera protezione degli animali: le poche norme per l'adozione di metodi sostitutivi sono state ridotte.
Vi sono numerose lacune, bisognerebbe spingere verso metodi sperimentali più avanzati che possano sostituire la sperimentazione animale: metodologie in vitro, simulatori informatici del metabolismo umano, ecc. e riconoscere che spesso non è possibile, come affermano eminenti scienziati, trasferire risultati da una specie all'altra.
Per evidenti ragioni non è possibile proporre un'abolizione totale della vivisezione, ma chiedo modifiche al testo per includere le pratiche non invasive e stabilire il divieto all'uso di animali per inchieste medico-legali, per l'insegnamento, evitando deroghe al metodo di uccisione umanitario e al divieto di utilizzo di animali in via di estinzione o selvatici con l'istituzione di un Comitato europeo di garanzia.
L'Europa dica no alla sperimentazione inutile: troppe volte gli stessi esperimenti, già effettuati e consolidati, sono riproposti solo per ricevere finanziamenti: riceviamo le denunce comprovate di esperimenti effettuati su animali con corde vocali recise; la scienza ci dice che gran parte degli esperimenti effettuati sugli animali non sono riproponibili per la cura degli esseri umani.
James Nicholson (ECR), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della presente relazione, per quanto sia consapevole che, per alcuni, la nuova direttiva non si spinge sufficientemente avanti. È mia convinzione, tuttavia, che il compromesso raggiunto da Parlamento e Consiglio costituisca il miglior equilibrio possibile tra la protezione degli animali da un lato e la possibilità di progredire nella ricerca scientifica dall’altro. Una maggioranza di voti contrari avrebbe significato un ritorno alla direttiva del 1986, che sicuramente prevede standard di tutela minori. Le norme sul benessere degli animali attualmente vigenti nel Regno Unito sono tra le più severe al mondo e, se da una parte non saremo in grado di legiferare ulteriormente in questa direzione, dall’altra, piuttosto che uniformare i nostri standard riducendoli, li si manterrà comunque eccezionalmente alti rispetto alla media.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto – (RO) Alla luce delle nuove conoscenze relative agli aspetti etologici delle condizioni in cui vivono le cavie animali da laboratorio, nonché ai loro più recenti impieghi, in particolar modo nel campo dell’ingegneria genetica, la revisione della direttiva 86/609/CEE è divenuta una priorità da affrontare con la massima urgenza, nonostante la sua adozione all’epoca abbia rappresentato un traguardo storico. Da allora i passi avanti sono stati significativi, specialmente per quanto concerne l’introduzione del principio di sostituzione, riduzione e miglioramento, ovvero il principio delle “3 R” (“replace, reduce and refine”).
Accolgo con favore l’estensione degli ambiti di applicazione della direttiva, in particolare tramite l’inclusione di forme fetali di specie animali utilizzate a fini scientifici, di specie invertebrate e della ricerca biologica fondamentale; l’introduzione di metodi di macellazione più umani e l’istituzione di ispezioni effettuate a livello nazionale come parte integrante della direttiva; la valutazione e l’autorizzazione, sia prospettive che retrospettive, dei progetti che coinvolgono animali; la trasparenza ottenuta grazie a pubblicazioni informative di natura divulgativa non tecnica riguardo i progetti; l’implementazione degli standard e degli orientamenti a livello nazionale, nonché l’implementazione e stesura di rapporti statistici. Mi sono espressa a favore della presente relazione in quanto si tratta di una proposta che mira a garantire condizioni eque a livello europeo sia per l’industria che per la comunità scientifica, rafforzando al contempo le norme di protezione degli animali ancora utilizzati a fini scientifici.
Teresa Riera Madurell (S&D), per iscritto. – (ES) In qualità di coordinatrice del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo presso la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, desidero esprimere la mia soddisfazione riguardo l’adozione da parte del Parlamento dell’accordo raggiunto durante la Presidenza spagnola del Consiglio. Esso si riferisce all’aggiornamento della presente direttiva che regola il trattamento degli animali che devono necessariamente essere utilizzati a fini scientifici per l’avanzamento della ricerca in diverse aree del sapere.
Si tratta di un accordo equilibrato, che conclude un lungo e dettagliato processo di negoziazione tra due fronti: da una parte le esigenze imprescindibili del mondo scientifico volte all’avanzamento della conoscenza, in particolare in un’area come quella delle scienze mediche, a cui la nostra commissione è molto sensibile; dall’altra la necessità di proteggere gli animali. Ritengo che entrambe le parti escano rafforzate dall’adozione della presente riforma. È importante sottolineare inoltre che l’accordo raggiunto sancisce l’impegno a scoprire e promuovere altre linee di ricerca e metodi alternativi che permettano in futuro la completa sostituzione delle cavie animali vive, senza per questo compromettere il progresso scientifico.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto. – (CS) Sostengo la misura che prevede la limitazione, o quanto meno la moderazione, della sofferenza inflitta agli animali utilizzati a fini scientifici. Sono da preferire i metodi alternativi all’impiego di animali per testare gli effetti di nuovi medicinali e, più in generale, per gli studi scientifici. Questo non significa però che, nell’interesse degli animali, l’utilizzo di embrioni umani sia una lecita alternativa. Mi rincresce che il Consiglio abbia eliminato dalla bozza adottata in prima lettura dal Parlamento europeo la clausola relativa, appunto, ai metodi alternativi. In un campo così eticamente sensibile, il potere decisionale ricade tra le competenze del singolo Stato membro e le norme di carattere nazionale differiscono enormemente da paese a paese.
Dal 2006 nella Repubblica ceca è in vigore una legge che permette l’utilizzo delle cellule staminali embrionali a fini scientifici, nonostante i maggiori risultati della biomedicina siano stati ottenuti tramite la ricerca condotta su cellule staminali provenienti dal tessuto fetale e non dall’embrione. Il fatto che in data odierna, a Strasburgo, non ci siamo espressi riguardo la direttiva del Consiglio in seconda lettura, o che non abbiamo adottato alcuna risoluzione, significa che la proposta del Consiglio entrerà in vigore a seguito della pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, a prescindere dalla posizione della maggioranza dei deputati.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Per quanto la nuova normativa introduca alcuni miglioramenti nella regolamentazione europea degli esperimenti condotti sugli animali, non la si può considerare sufficiente; in alcuni casi, addirittura, indebolisce le leggi attuali. Le preoccupazioni ampiamente espresse dal gruppo Verde/Alleanza libera europea sono state ignorate e ci rincresce osservare come oggi i deputati abbiano fallito di fronte alla necessità di sostenere i nostri tentativi volti a porre rimedio a questa situazione. Ma più grave ancora è il fatto che le nuove leggi non saranno in grado di garantire l’impiego di metodi alternativi all’utilizzo degli animali ogniqualvolta ciò sia possibile.
Gli animali verranno quindi sottoposti a sofferenze inutili durante gli esperimenti, nonostante esistano metodi alternativi. È inoltre preoccupante osservare che a livello nazionale la nuova legge impedisce agli Stati membri di adottare misure più rigide sull’utilizzo degli animali. L’intento del gruppo Verde/Alleanza libera europea era garantire che i governi nazionali continuassero invece a esercitare tale diritto. Ci rincresce inoltre che la mancata adozione di una regolamentazione più severa dell’utilizzo di primati non umani.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, sulla sperimentazione animale è facile prendere una posizione contro, perché a tutti dispiace vedere animali che soffrono o che vengono vivisezionati per fini scientifici, ma noi siamo dei legislatori e non possiamo farci prendere dall'emozione momentanea. Se dovessimo limitare eccessivamente l'uso degli animali nei test scientifici dovremmo essere coscienti che tali prove dovrebbero essere fatte sull'uomo.
Non possiamo pensare che un nuovo principio attivo, un farmaco, un sistema di chemioterapia non sia provato prima su animali, perché come ho già detto l'alternativa sarebbe usare malati come cavie. Va inoltre considerato che le imprese farmaceutiche non hanno interesse a utilizzare cavie e in particolare primati se non è strettamente necessario, visti gli alti costi che tali sperimentazioni comportano.
Debora Serracchiani (S&D), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato in modo contrario all'accordo raggiunto, in seconda lettura, dal Parlamento con il Consiglio sul progetto di direttiva che prevede l'uso degli animali nelle sperimentazione scientifica.
Il mio non è un no allo sviluppo della ricerca bensì un invito a ridurre la sofferenza degli animali poiché la revisione della direttiva propone alcune pratiche contrarie a questo scopo, come la possibilità di sperimentare più vote sullo stesso animale. Inoltre, ritengo che l'uso di altri metodi scientifici soddisfacenti che non prevedono l'impiego di animali debba essere ulteriormente sviluppato.
Catherine Soullie (PPE), per iscritto. – (FR) Approvo il risultato della votazione del testo relativo alla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Sebbene non sia perfetta, la relazione Jeggle ha il pregio di offrire un buon compromesso, un compromesso che per di più ha ottenuto il sostegno dell’eurogruppo per gli animali.
La formulazione ci permette di limitare in modo efficace gli esperimenti che comportano sofferenza per gli animali, evitando al contempo un dirottamento della ricerca, e quindi dell’innovazione, al di fuori dell’Unione, con la conseguente perdita di posti di lavoro. In qualità di Vicepresidente dell’intergruppo sul benessere e la protezione degli animali, sono convinta che sia opportuno mantenere la sperimentazione sugli animali all’interno dei confini dell’Unione, dove vige una rigida regolamentazione, anziché vederla migrare verso paesi terzi, dove le condizioni sanitarie e il rispetto per gli animali spesso lasciano troppo a desiderare.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Mi rincresce che la maggioranza dei deputati abbia respinto i tre emendamenti proposti dai verdi alla direttiva e l’introduzione di misure più severe a livello nazionale, allo scopo di incentivare l’impiego di metodi di sperimentazione alternativi e limitare l’utilizzo di primati. La nuova normativa relativa alla sperimentazione sugli animali presenta enormi difetti. Gli Stati membri non saranno più liberi di adottare regole più rigide in questo campo. La restrizione del potere decisionale nazionale non è di alcuna utilità; gli animali diverranno vittime del meccanismo di livellamento che impera nel mercato interno. È invece fondamentale che gli Stati membri si assumano il rischio di fare da battistrada su nuovi percorsi. Senza questi pionieri a livello nazionale, infatti, molte regole europee sul benessere degli animali, quale ad esempio la messa al bando dell’utilizzo di animali nella sperimentazione di prodotti cosmetici, non esisterebbero.
La nuova direttiva migliora i meccanismi di monitoraggio delle imprese e delle istituzioni che allevano, commercializzano e impiegano cavie animali. La formulazione relativa all’impiego di metodi alternativi – laddove possibile – appare, tuttavia, meno efficace e perentoria rispetto a quella della direttiva precedente. Ci lasciamo così sfuggire l’opportunità di ridurre la sofferenza inflitta agli animali e migliorare la qualità della ricerca. Le nuove regole mancano di riconoscere il progresso compiuto nello sviluppo di metodi di sperimentazione alternativi, che, incidentalmente, spesso si rivelano più affidabili dei test condotti sugli animali.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) È con disappunto che osservo come misure volte a rafforzare la regolamentazione dell’utilizzo di animali a fini scientifici non siano state pensate in una prospettiva più ambiziosa. Non includono infatti passaggi chiave che avrebbero impegnato l’Europa nella riduzione dell’impiego di animali. Si tratta di un’opportunità che non è stata colta, mentre si sarebbe potuto fare molto di più per proteggere gli animali, come permettere agli Stati membri di adottare standard di benessere più elevati che in altri paesi. Trovo preoccupante il fatto che la presente direttiva impedirà al Regno Unito di adottare livelli di protezione più elevati in futuro. Manca inoltre qualsiasi riferimento alle procedure per regolare controllo dell’utilizzo di animali a fini scientifici. Sono lieto, però, che la ricerca di nuove medicine possa continuare conservando la sua spinta vitale.
Janusz Wojciechowski (ECR), per iscritto. – (PL) Mi rincresce che la direttiva del Consiglio sia stata adottata nella sua forma finale priva del provvedimento adottato dal Parlamento europeo nel maggio del 2009, che escludeva l’impiego di cellule staminali ed embrioni umani come alternativa alla sperimentazione su animali. A prescindere dalla formulazione della direttiva, ritengo che un approccio che prevede la sostituzione degli animali con organismi umani non dovrebbe essere adottato.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore degli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione reputando che debbano porre l’accento sulla necessità di qualifiche elevate per l’efficace promozione di buoni livelli occupazionali e di reddito, soprattutto alla luce della nuova economia e la conseguente necessità di puntare su nuovi settori e nuove competenze.
Non solo gli individui altamente qualificati, che si possono rivelare uno strumento chiave per la ricerca e lo sviluppo, ma anche le persone i cui livelli educativi siano inferiori alla media europea dovrebbero poter accedere ad un alto livello di occupazione. Gli Stati membri hanno pertanto un ruolo fondamentale da svolgere nella riqualificazione, nella promozione dell’istruzione e nel fornire nuove opportunità d’istruzione continua.
Per conseguire un buon livello occupazionale e un reale progresso a livello comunitario si dovranno garantire a quanti si sforzano di aggiornare le proprie qualifiche effettive opportunità di lavoro e la possibilità di riqualificarsi. Puntare sull’orientamento professionale in funzione delle esigenze presenti e future potrebbe essere il sistema per recuperare alti livelli di occupabilità.
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. – (RO) Benché il clima economico resti fragile, nella maggior parte degli Stati membri si manifestano segnali incoraggianti di ripresa della crescita economica. Occorre pertanto adoperarsi per garantire il consolidamento del potenziale per la creazione di posti di lavoro e sostenere i cittadini nella ricerca ed nell’esecuzione del lavoro stesso. Nell’aprile 2010 la Commissione europea ha proposto una nuova serie di orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione che, unitamente agli orientamenti di politica economica generale, costituiscono gli orientamenti integrati per l’attuazione della strategia Europa 2020 volta alla crescita sostenibile, intelligente e inclusiva.
I quattro orientamenti in materia di occupazione sono: accrescere la partecipazione al mercato del lavoro e ridurre la disoccupazione strutturale, promuovere l’inclusione sociale e la lotta contro la povertà, migliorare i risultati dei sistemi educativi a tutti i livelli e formare una manodopera qualificata. La relazione dell’onorevole Őry sostiene l’impostazione adottata dalla Commissione, ma fornisce chiarimenti ed informazioni aggiuntivi. Per questo motivo ho votato a suo favore.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Nell’aprile 2010, la Commissione europea ha presentato una proposta di orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione come parte dell’attuazione della strategia Europa 2020. Nella sua relazione l’onorevole Őry, membro del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico Cristiano), sostiene le proposte della Commissione, inserendo alcuni elementi che ritengo necessari. La politica di coesione, che era stata trascurata dalla Commissione, deve essere pienamente incorporata nelle politiche a favore dell’occupazione. Sebbene la competenza dell’UE in materia da ancora limitata, l’Unione non deve accontentarsi di giocare un ruolo passivo, ma deve fare il miglior uso possibile degli strumenti a sua disposizione (politica di coesione, Fondo di adeguamento alla globalizzazione, metodo di coordinamento aperto). Ho quindi pienamente supportato gli orientamenti presentati nella relazione.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della risoluzione in oggetto. Di fronte al rapido diffondersi del fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, dobbiamo adottare provvedimenti sia a livello di singoli Stati membri sia a livello comunitario per combattere l’esclusione sociale degli anziani e la discriminazione basata sull’età. Dobbiamo fare in modo che gli Stati membri forniscano un sostegno globale agli anziani, segnatamente creando le condizioni per l’istituzione di un sistema di assistenza sanitaria e sociale di elevata qualità. Dobbiamo altresì fare in modo che gli Stati membri concorrano all’erogazione di servizi assistenziali a lungo termine ed attuino le politiche di informazione e prevenzione a favore degli anziani, con particolare riguardo all’alimentazione. Per garantire il conseguimento degli obiettivi pianificati, è essenziale istituire un sistema sostenibile di finanziamento per il servizio di assistenza a lungo termine. La Commissione europea dovrebbe adoperarsi a sua volta per assicurare standard sanitari accettabili per tutti i cittadini europei, a prescindere dalla loro condizione.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) La strategia Europa 2020, presentata nel marzo 2010 dalla Commissione europea, intende stabilire la rotta dell’UE per il decennio a venire.
Sebbene ci si possa dispiacere per lo scarso coinvolgimento del Parlamento europeo nell’elaborazione della strategia, che è unicamente opera del Presidente Barroso, vi è un ambito in cui il Parlamento deve poter dire la sua: gli orientamenti integrati in materia di occupazione. I 10 orientamenti riguardano la creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità, la promozione del lavoro dignitoso e l’aggiornamento dei sistemi educativi e formativi.
Per questo motivo, unitamente alla maggioranza dei miei colleghi, oggi, mercoledì 8 settembre 2010, ho votato a favore di una relazione che delinea tali obiettivi e grazie alla quale potremo rivendicare, fra l’altro, un migliore impiego del Fondo sociale europeo ed insistere sulla necessità di prestare maggiore attenzione ai lavoratori a basso reddito e alla lotta contro l’esclusione sociale nonché di garantire l’accesso a servizi pubblici di qualità e a prezzi accessibili. Infine, se vogliamo che la strategia sia realmente inclusiva, occorre garantire la coerenza fra questi orientamenti e la politica di coesione.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa relazione perché i nuovi orientamenti 2020 sulle politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione avranno un forte impatto sul mercato del lavoro nei prossimi anni. Il recepimento degli emendamenti proposti dal Parlamento europeo ha consentito di fissare obiettivi chiari e prevedere misure specifiche per gli orientamenti a favore dell’occupazione proposti dalla Commissione, e me ne compiaccio. La riduzione della disoccupazione, la garanzia di salari minimi e la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale costituiscono certamente le priorità più importanti delle politiche degli Stati membri in materia di occupazione. Ritengo inoltre che uno dei principali obiettivi da conseguire sia la parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro e la garanzia di condizioni di lavoro uguali per tutti i lavoratori.
Concordo con il Parlamento quando propone di adottare misure di politica occupazionale rivolte ai gruppi più vulnerabili, perché la povertà colpisce queste persone prima e più duramente degli altri. Esorto inoltre la Commissione e gli Stati membri a porre maggiore attenzione agli orientamenti a favore dell’occupazione dei giovani e dei lavoratori più anziani che vengono discriminati sul mercato del lavoro.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) L’attuale crisi economica avrà senza dubbio un profondo impatto sul mercato dell’occupazione nei prossimi anni. Sebbene si osservino i primi segnali di ripresa economica e di rilancio della crescita economica, si prevede che l’impatto della crisi economica sull’occupazione non abbia ancora raggiunto il punto più alto. Per questo motivo accolgo con favore gli sforzi in atto da parte delle economie europee volti a garantire una ripresa sostenibile e a consolidare il potenziale di creazione di posti di lavoro e ad aiutare i cittadini a trovare un lavoro. I paesi europei si misurano inoltre con rilevanti cambiamenti demografici, esacerbati dal processo di globalizzazione, in uno scenario in cui il numero dei contribuenti che sostengono i bilanci nazionali è in costante declino, fenomeno poco promettente.
Alla luce dell’agenda 2020 e dei relativi obiettivi per l’adozione di nuove tecnologie per la riduzione delle emissioni di carbonio, la strategia per l’occupazione non dovrebbe considerare solo il breve termine ma anche il medio e il lungo termine. Tale strategia deve ovviamente prevedere misure per accrescere l’occupazione dei giovani con meno di 25 anni, la fascia d’età che sta oggi facendo registrare tassi di disoccupazione senza precedenti.
Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, desidero motivare il mio voto a questa relazione perché ritengo importantissimo l'oggetto di questa relazione per il futuro del mercato del lavoro in Europa.
Questa proposta contiene indirizzi di massima sulle politiche economiche in materia di occupazione da attuare all'interno dell'UE. La crisi economica non è finita e si sta trascinando dietro la crisi dell'occupazione.
E se anche è vero che vi sono segnali incoraggianti e di ripresa, il mercato del lavoro resta ancora sostanzialmente fermo e il numero dei disoccupati è sempre molto alto. Vi sono però delle differenze in Europa: per esempio in Spagna e in Grecia il numero dei disoccupati è preoccupante e in massima parte colpisce i giovani. Nel mio paese invece, per fortuna, ma anche grazie alla buona azione svolta dal governo italiano, il numero di disoccupati non è aumentato così drammaticamente. Il governo italiano, bisogna riconoscerlo, è stato all'avanguardia nel promuovere flessibilità e dinamicità del mercato del lavoro, e questa ricetta sembra dare i suoi frutti.
Alcuni governi troppo orientati a difendere i diritti dei lavoratori hanno lasciato che i lavoratori stessi perdessero il loro lavoro. Essere invece più flessibili e pronti a un mercato del lavoro nuovo e competitivo salva i posti di lavoro e crea le condizioni economiche favorevoli perché ne nascano di ulteriori.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato contro la relazione Őry, nonostante recepisca taluni importanti emendamenti della sinistra, quali la necessità di tutelare l’uguaglianza di genere e nonostante migliori il testo della Commissione. Ho votato contro la relazione perché sposa la filosofia di un mercato flessibile e chiede ancora maggiore flessibilità e l’uso strategico della flessicurezza sul mercato del lavoro che, come ben sappiamo, va contro gli interessi dei lavoratori.
Nella relazione si rileva inoltre che, per uscire dalla crisi finanziaria e attuare politiche di crescita, è necessaria una ristrutturazione basata sul pieno sfruttamento del mercato interno e la rimozione degli "ostacoli legislativi". Dietro a queste fumose definizioni, tuttavia, si cela forse una scarsa o nulla tutela dei diritti dei lavoratori.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Sostengo la relazione Őry e ringrazio per l’opportunità che essa offre. Nel quadro dell’Agenda 2020, risultava urgente e necessario definire indirizzi di massima in materia di politica economica (articolo 121 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), ma anche politiche in materia di occupazione (articolo 148). L’attuale crisi economica esaspera i problemi sociali ed impone l’attuazione urgente di politiche per l’impiego efficaci e prolungate. Condivido inoltre la necessità di adottare provvedimenti più stringenti per accrescere il livello occupazionale degli uomini e delle donne d’Europa.
La relazione ci ha permesso di sollevare temi ai quali non era stata data sin qui sufficiente enfasi, quali: la riduzione della disoccupazione fra i gruppi più vulnerabili, compresi i giovani, aumentando i livelli educativi, riducendo i tassi di abbandono scolastico e sottraendo i cittadini alla povertà; la garanzia di un uguale trattamento e retribuzione per lavoro uguale nello stesso posto di lavoro; e il coinvolgimento delle autorità locali e regionali, dei parlamenti e delle parti sociali nella progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione di questi programmi, segnatamente nella fissazione di obiettivi ed indicatori.
Lara Comi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la strategia di Lisbona dichiara che l'Unione europea deve migliorare la sua produttività e competitività attraverso la forza lavoro.
Oggigiorno l'obiettivo non è stato completamente raggiunto in quanto il tasso di disoccupazione è ancora elevato. È importante analizzare i problemi che determinano il rallentamento della piena occupazione. Eliminare le discriminazione fondate sul sesso, sulle razze, sull'origine etnica e sulla religione sarebbe un notevole passo in avanti che permetterebbe sopratutto ai giovani e alle donne di essere più competitivi nel mondo del lavoro. Le donne hanno, inoltre, la difficoltà di coniugare il ruolo di madri e lavoratrici: migliorare gli asili nido nelle aziende, concedere il part-time quando richiesto, assistere il proprio figlio in caso di malattia senza avere la preoccupazione di perdere il posto di lavoro sarebbero utili per agevolare il doppio ruolo femminile.
Un'altra categoria da tutelare sono i giovani che rischiano di essere precari per anni: hanno elevate capacità e conoscenze teoriche, ma mancano di pratica e di concretezza. La scuola deve essere più vicina alle richieste delle imprese e preparare gli studenti al mondo del lavoro. Le aziende, invece, devono puntare sulle nuove generazioni dando loro la possibilità di crescere professionalmente.
Anna Maria Corazza Bildt, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark, Anna Ibrisagic and Alf Svensson (PPE), per iscritto. – (SV) Oggi, 8 settembre 2010, abbiamo votato a favore della relazione (A7-0235/2010) sulla proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione: Parte II degli orientamenti integrati di Europa 2020 [2010/0115(NLE)]. Vorremmo tuttavia precisare che vi sono passaggi della relazione che non condividiamo, ad esempio le proposte di dettagliata regolamentazione delle politiche per il mercato del lavoro degli Stati membri, il controllo sovranazionale dell’industria e del commercio degli Stati membri e la disciplina comunitaria dei salari minimi. Noi difendiamo con forza il principio di sussidiarietà. Confermiamo comunque che molti dei contenuti della relazione sono apprezzabili. Ad esempio, siamo ovviamente a favore dei principi di uguale trattamento fra uomini e donne e di parità di retribuzione per uno stesso lavoro.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Il Parlamento ha fornito il proprio parere sugli orientamenti integrati in materia di occupazione. I 10 orientamenti hanno lo scopo di creare più posti di lavoro migliori, sostenere il lavoro decoroso e migliorare i sistemi di istruzione e formazione. Il Parlamento è intervenuto per garantire un più efficiente impiego del Fondo sociale europeo e un accesso a servizi pubblici di alta qualità e accessibili, nonché per assicurarsi che venga prestata maggiore attenzione ai lavoratori poveri e alla lotta all’esclusione sociale..
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) La situazione del mercato del lavoro è senza ombra di dubbio la principale preoccupazione dei nostri cittadini. Il mercato del lavoro continua a deteriorarsi, con un tasso di disoccupazione che si attesta oggi al 9,8 per cento.
Gli orientamenti a favore dell’occupazione costituiscono uno strumento essenziale per incentivare le riforme strutturali, nonché un mezzo per valutare l’impatto delle riforme da compiere nel quadro della strategia 2020 e nel contesto dell’istituendo nuovo coordinamento delle politiche economiche. È pertanto essenziale affrontare queste tematiche, ma è altrettanto fondamentale far sì che le riforme siano quanto mai appropriate.
Disporre di orientamenti è una cosa; altro è, tuttavia, vederle correttamente attuate dagli Stati membri. A questo scopo, mi sembra particolarmente utile riaffermare il ruolo del Consiglio "Occupazione, politica sociale, salute e consumatori" (EPSCO) nella strategia 2020 e nella governance economica e assicurare il pieno coinvolgimento dell’EPSCO nelle future riforme, in modo da garantire la vitalità del nostro modello sociale e l’elaborazione del miglior modello di governance politica per l’UE. Credo sia imperativo riequilibrare il pilastro sociale ed occupazionale nel quadro del processo decisionale europeo.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché afferma la necessità di politiche che promuovano l’invecchiamento attivo, le pari opportunità, la parità di retribuzione fra uomini e donne e l’accesso alla tutela e ai vantaggi sociali e professionali per le donne. Tenendo conto delle accresciute difficoltà nel garantire accesso al mercato del lavoro a un maggior numero di donne, diventa sempre più urgente attuare politiche che incentivino anche la riconciliazione fra vita professionale e familiare.
Göran Färm, Anna Hedh, Olle Ludvigsson and Marita Ulvskog (S&D), per iscritto. – (SV) Oggi abbiamo votato a favore della relazione sugli orientamenti in materia di occupazione, ma vorremmo sottolineare che abbiano notato importanti discrepanze nelle versioni nelle varie lingue. Abbiamo votato a favore del fatto che gli Stati membri garantiscano un reddito minimo come recita la versione inglese dell’emendamento. Purtroppo, nella versione svedese l’espressione è stata tradotta con "minimilön", che significa "stipendio minimo".
I livelli salariali non rientrano nella competenza dell’UE, e quindi ne abbiamo dedotto che la versione svedese fosse sbagliata. Abbiamo inoltre scelto di votare a favore della presente relazione nonostante i riferimenti a "imposte elevate" quali ostacoli alla crescita, senza che ne venisse fornita una chiara definizione. Neanche la fiscalità ricade nella competenza dell’Unione europea e riteniamo che vi siano molteplici esempi di attività finanziate dalle entrate fiscali che hanno dato un significativo contributo alla crescita.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Come ho detto a proposito della relazione Gruny, votata nel luglio scorso, la società si è trasformata, il mondo è cambiato e pertanto anche le relazioni industriali devono cambiare. Ne sono fermamente convinto e quindi sono lieto che il Parlamento abbia difeso modelli di lavoro più flessibili come strumento di lotta contro la disoccupazione. Inoltre, dato che ho ricoperto incarichi governativi nel settore dell’istruzione, sono lieto di constatare che questa proposta pone particolare enfasi sull’istruzione e sulla qualificazione dei lavoratori. In effetti, questo è un impegno che dovrebbe essere preso molto seriamente nel contesto della strategia Europa 2020. Considerando che la crisi ha provocato un aumento del numero di disoccupati in Europa dai 16 milioni del 2008 ai 23 milioni del 2010, qualsiasi strategia di uscita deve prevedere un recupero dei posti di lavoro. Ciò sarà possibile solo concentrando decisamente i nostri sforzi sull’innovazione, sul lavoro flessibile e su nuovi modelli di lavoro e formazione per un numero crescente di giovani in un mercato sempre più competitivo.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) I nuovi orientamenti in materia di occupazione per il 2020 si inseriscono nel contesto della crisi economica, i cui effetti negativi sul mercato del lavoro continueranno a farsi sentire anche nei prossimi anni. Vi sono problemi immediati legato alla disoccupazione e, al contempo, sfide a lungo termine, segnatamente, i cambiamenti demografici, la globalizzazione e l’adozione di nuove tecnologie a basse emissioni di carbonio. È quindi molto importante che esista una strategia europea in materia di occupazione che risolva i problemi più urgenti derivanti dalla crisi, così come le difficoltà emergenti per il medio e lungo termine.
L’applicazione dei principi di flessicurezza, istruzione di qualità, apprendimento lungo tutto l’arco della vita e lotta alla disoccupazione strutturale rappresentano requisiti indispensabili per raggiungere gli obiettivi comuni in materie di crescita economica e benessere sociale. L’attuazione della strategia Europa 2020 deve dunque iniziare subito. I Fondi strutturali e il Fondo di coesione europei per il periodo di programmazione in corso devono già essere avviati alla luce di questa strategia. Dobbiamo perseguire l’obiettivo di coesione e creare sinergie tra la politica di coesione e le altre politiche settoriali.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato contro questa risoluzione perché ignora le cause principali della disoccupazione, l’insicurezza occupazionale e la povertà, e perché le proposte che abbiamo nuovamente presentato in quest’Aula sono state respinte. Erano le seguenti:
- La Commissione dovrebbe riconoscere la necessità di modificare le attuali politiche macroeconomiche sospendendo il Patto di stabilità e crescita e ponendo fine al processo di privatizzazione e liberalizzazione, dando così la priorità alla creazione di posti di lavoro di qualità con diritti per tutti i lavoratori e migliori salari, riducendo i livelli di povertà e promuovendo l’inclusione sociale ed il progresso.
- Il lavoro sommerso dovrebbe essere combattuto con controlli più rigorosi da parte degli ispettorati del lavoro, unitamente a provvedimenti fiscali per i cittadini a basso reddito.
- Il Consiglio dovrebbe individuare un compromesso a livello UE per risolvere la situazione delle persone senza fissa dimora entro il 2015 e predisporre misure politiche integrate che garantiscano possibilità d’accesso all’edilizia abitativa con adeguata fornitura energetica per tutti.
Anche la nostra proposta di inclusione di una nuova direttiva sulle pari opportunità è stata respinta. Sosteneva la necessità da parte degli Stati membri di accrescere l’occupazione femminile nel rispetto dei diritti delle donne ed eliminando tutte le diseguaglianze, attraverso obiettivi specifici di pari opportunità, l’integrazione orientata al genere e azioni politiche specifiche.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Proprio quando il tasso di disoccupazione in Europa sta per raggiungere il 9,8 per cento, proprio quando la situazione del mercato del lavoro continua a peggiorare, proprio quando non si sono ancora manifestati tutti gli aspetti della crisi economica, proprio ora l’Unione europea deve attuare una strategia per l’occupazione che sia ambiziosa. Il Parlamento europeo ha quindi adottato, come parte della strategia Europa 2020, una serie di orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione: 10 orientamenti sulla creazione di posti di lavoro, sulla qualità del lavoro, sull’occupazione giovanile e di persone appartenenti a gruppi vulnerabili, sulla lotta contro l’esclusione sociale e sull’importanza di impiegare al meglio il Fondo sociale europeo. Tutti questi possono sembrare obiettivi molto ambiziosi, e in effetti sono essenzialmente e prima di tutto orientamenti che devo essere attuati, ora e in futuro, dagli Stati membri; rappresentano inoltre un forte messaggio dal Parlamento europeo ai paesi dell’UE, in un momento in cui l’occupazione è il problema che maggiormente preoccupa i nostri cittadini.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Őry sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione nel contest della strategia Europa 2020. Il testo pone grande enfasi sulla necessità di rendere prioritaria la lotta contro la disoccupazione nel contesto della crisi economica e sociale e si concentra su alcuni punti in particolare: il tasso si occupazione deve essere portato al 75 per cento nell’intera Unione entro 10 anni e dobbiamo impegnarci in particolare a favore dei gruppi più vulnerabili sul mercato del lavoro (giovani, anziani, donne non specializzati, disabili e immigrati) in quanto proprio questi gruppo risentono maggiormente della discriminazione legata all’assunzione e all’occupazione. Il testo ribadisce anche i concetti fondamentali di lavoro dignitoso e lotta contro la povertà.
Małgorzata Handzlik (PPE), per iscritto. – (PL) Dagli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione per i prossimi 10 anni risulta che il terziario sarà uno dei settori che consentirà di creare il maggior numero di posti di lavoro. A tal fine, devono esistere condizioni favorevoli per le aziende in relazione ai servizi erogati, compresi i servizi transfrontalieri. Ritengo perciò che, se debitamente recepita dagli Stati membri, la direttiva servizi può costituire un valido sostegno alle politiche a favore dell’occupazione.
La direttiva offre nuove possibilità per le aziende e, se ben applicata, avrà un effetto benefico anche sul mercato del lavoro. Perciò sostengo le proposte della relazione. Il settore dei servizi richiederà lavoratori mobili adeguatamente preparati e qualificati, e per questo occorre modificare i sistemi educativi e di formazione, e le politiche a favore dell’occupazione.
Elie Hoarau (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa relazione. In veste di rappresentante eletto di una regione d’oltremare, conosco molto bene le politiche a favore dell’occupazione e di lotta contro la povertà in quanto i Dipartimenti francesi d’oltremare fanno registrare i tassi di occupazione più bassi della Francia (43,9 per cento per esempio nella Réunion rispetto al 62,3 per cento negli Stati membri dell’UE).
Aumentare la percentuale del 10 per cento nel 2014 e arrivare al 75 per cento nel 2020 costituisce un obiettivo per il quale mi sono sempre battuto, soprattutto perché riguarda i giovani in difficoltà, le donne e i disabili. La proposta considera altresì la povertà e mira a ridurre del 25 per cento il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà. Questi obiettivi dovrebbero mobilitare tutte le forze politiche e sociali, francesi ed europee, affinché lo Stato possa impiegare le risorse necessarie per conseguirli nei tempi previsti.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa consultazione in quanto ritengo fondamentale che gli Stati membri dell’UE garantiscano che i livelli minimi di entrate adeguate siano sopra la soglia della povertà. È inoltre vitale rafforzare la clausola relativa a pari condizioni e pari trattamento salariale a parità di lavoro, ove possibile.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L’attuale crisi economica è la principale variabile da considerare quando si discute di nuovi orientamenti in materia di occupazione per il 2020, in quando avrà un impatto considerevole sul mercato del lavoro nei prossimi anni. Sebbene alcuni dati indichino una ripresa in alcuni settori nell’Unione europea, la situazione economica nella maggior parte degli Stati membri rimane ancora fragile.
Dall’altro lato, non si sono ancora manifestate appieno le ripercussione della crisi in termini di disoccupazione, a seguito dei quali altre migliaia di persone perderanno il proprio posto di lavoro. Questo significhi che le grandi sfide che si dovranno affrontare saranno il cambiamento demografico, la globalizzazione e l’adozione di nuove tecnologie, incluse quelle a basse emissioni di carbonio. La strategia europea a favore dell’occupazione per il prossimo decennio dovrà occuparsi non solo dei problemi più urgenti derivanti dalla crisi, ma anche di quelli che sorgeranno sul medio e lungo periodo. Queste sono le motivazioni alla base del mio voto.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Condivido pienamente il punto di vista del relatore, onorevole Őry, e pertanto appoggio questa risoluzione legislativa. In particolare, plaudo all’emendamento n. 12 del Consiglio, che rileva l’importanza di contrastare le misure che rallentano la crescita economica, quali gli oneri burocratici e l’elevata imposizione fiscale. Non ricordo una precedente occasione in cui il Parlamento europeo abbia parlato di questi due fattori.
Pochi considerano il fatto che l’applicazione di imposte irrazionali ed illogiche può rendere inefficace qualsiasi sistema economico. L’attuale sistema fiscale ha determinato una crisi in Lettonia che, a causa di un sistema burocratico e mal strutturato, ha perso oltre 10 miliardi di euro. Mi sono espresso a favore della risoluzione legislativa nella speranza che dia inizio all’opera di ottimizzazione delle imposte in tutto il territorio dell’UE.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Le politiche a favore dell’occupazione sono vitali sia per l’economia sia per la pace sociale. Perciò è interesse di ogni nazione prendere decisioni volte all’adozione di misure consone. Le differenze dei singoli Stati membri rendono però impossibile l’adozione di un pacchetto standardizzato di provvedimenti. Portare il tasso di occupazione al 75 per cento in Stati membri quali la Polonia, Malta e l’Ungheria, oggi al di sotto del 60 per cento, è pura fantasia. Anche per l’Austria, che si attesta attorno al 70 per cento, resta da vedere se un maggior tasso di occupazione sia compatibile con la libertà di scelta individuale rispetto alla cura dei figli o con la tutela dei lavoratori nazionali contro il dumping salariale operato dai lavoratori stranieri. Per questi motivi ho deciso di votare contro la relazione in oggetto.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) L’idea che sia possibile combattere la disoccupazione in modo efficace in un’Unione Europea ultra-liberale è un’illusione e per questo ho votato contro la relazione dell’onorevole Öry.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho espresso il voto favorevole ala relazione del collega rumeno in quanto ne condivido l'impianto e il messaggio finale.
La proposta sottolinea l'importanza di aumentare la popolazione attiva nel mercato del lavoro, in modo da promuovere la riduzione della disoccupazione strutturale e dedicare particolari attenzioni ad una formazione professionale costante nel tempo. Ruolo centrale viene riservato al tema dell'istruzione mediante il miglioramento degli attuali sistemi educativi, incentivando i giovani ad accedere all'insegnamento superiore. Nei prossimi anni saranno inoltre profusi nuovi sforzi per una migliore promozione dell'inclusione sociale e lotta contro la povertà.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, il 27 aprile 2010 la Commissione ha presentato una proposta relativa agli "orientamenti integrati di Europa 2020" nella quale espone il quadro della nuova strategia e le riforme da attuare da parte degli Stati membri.
Le discussioni sui nuovi orientamenti in materia di occupazione 2020 sono in corso, nel contesto di una crisi economica che avrà sicuramente un notevole impatto sul mercato del lavoro per parecchi anni a venire. Nonostante alcuni segnali incoraggianti che indicano una ripresa della crescita, l'economia permane fragile nella maggior parte degli Stati membri. Pertanto gli effetti diretti della crisi sull'occupazione devono ancora farsi pienamente sentire. Di conseguenza sono stati esplicati tutti gli sforzi possibili per garantire una ripresa sostenibile, rafforzare le potenzialità di creazione di posti di lavoro delle economie europee e aiutare le persone a trovare lavoro.
È pertanto molto importante che la strategia europea in materia di occupazione per il prossimo decennio affronti e concili le sfide pressanti ed immediate derivanti dalla crisi assieme a quelle di medio e lungo periodo.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Nel quadro della strategia 2020 dell’UE, la Romania si è impegnata, con gli altri Strati membri, a portare il tasso di occupazione al 75 per cento entro il 2020. Come risultato di quest’obiettivo generale, in Romania si dovrà arrivare a un tasso di occupazione del 69-70 per cento entro il 2020. Devo ricordare che il tasso di occupazione rumeno nel 2010 è del 63,6, laddove la media europea è del 67,4 per cento.
Alla luce di questa premessa, invito gli Stati membri ad attuare programmi di riforma che concorrano a:
- incentivare la partecipazione dei lavoratori con politiche che promuovano le pari opportunità e la parità di retribuzione, allo scopo di comprimere il divario retributivo fra i sessi a 0-5 per cento entro il 2020;
- incrementare il tasso di occupazione con misure che incoraggino la partecipazione alla vita professionale, soprattutto per le minoranze etniche, compresi i rom;
- l’adozione di misure rigorose volte a scoraggiare l’economia sommersa, fonte di numerosi effetti negativi sul mercato del lavoro europeo, anziché promuovere misure volte solo alla tutela del lavoro nei mercati interni degli Stati membri;
- l’apertura completa dei mercati del lavoro ai lavoratori dei nuovi Stati membri.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) In una fase in cui non si è ancora interamente sentito il pieno impatto della crisi economica sui tassi di disoccupazione, è essenziale mettere in campo un’ambiziosa strategia europea in materia di occupazione.
Condivido l’obiettivo fissato dal Consiglio di portare il tasso di occupazione al 75 per cento della popolazione europea da qui al 2020, ma si deve fare di più. Si potrebbe, ad esempio, fissare un obiettivo per l’aumento del tasso di occupazione fra i gruppi più vulnerabili, quali i giovani fra i 15 e i 25 anni, i lavoratori anziani, le donne attive non qualificate o i disabili. Si potrebbe altresì ridurre ulteriormente il tasso di abbandono scolastico e portarlo a meno del 10 per cento.
Ritengo inoltre che il difficoltoso inserimento nel mercato del lavoro dei disoccupati di lungo periodo esiga l’adozione di politiche specifiche ed esorto il Consiglio a dotarsi di mezzi per ridurre questa forma di disoccupazione di almeno il 10 per cento nel prossimo decennio. Per farlo, come suggerisce l’onorevole Őry nella sua relazione, almeno il 25 per cento di tutti i disoccupati di lungo periodo dovrebbero partecipare a qualche azione attiva di inserimento nel mercato del lavoro sotto forma di corsi di formazione e istruzione avanzata o di riqualificazione professionale.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione approvata oggi è una pietra miliare per gli orientamenti comunitari a favore dell’occupazione. Gli europarlamentari hanno votato affinché per la prima volta si aggiungesse una chiara componente sociale agli orientamenti, ad esempio le misure per combattere la povertà e il problema dei lavoratori a basso reddito, nonché per affrontare il nodo della disoccupazione giovanile e per garantire ai gruppi emarginati e vulnerabili l'accesso al mercato del lavoro. I governi dell’UE e la Presidenza belga dell’Unione devono ascoltare il messaggio lanciato oggi dal Parlamento europeo ed impegnarsi per politiche occupazionali più inclusive sul piano sociale.
Segnatamente, i governi nazionali devono dar seguito alla richiesta del Parlamento di adottare provvedimenti volti a migliorare l’equilibrio vita professionale - vita familiare e le pari opportunità. Si rendono necessari ingenti sforzi al riguardo per portare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro al 75 per cento entro il 2020.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, la relazione adottata oggi rappresenta un importante strumento per la promozione di nuove politiche occupazionali nel contesto della strategia Europa 2020.
È importante sottolineare come il testo chieda agli Stati membri interventi concreti volti ad accrescere i livelli occupazionali, prestando particolare attenzione alla promozione della mobilità dei giovani. L'obiettivo della creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, riducendo la disoccupazione ed aumentando la partecipazione al mercato del lavoro del 75% della popolazione attiva deve essere il traguardo da raggiungere nei prossimi anni. La popolazione attiva deve divenire il fulcro di qualsiasi politica economica di sviluppo a livello comunitario. Senza lavoro, qualsiasi tipo di progetto futuro, fare un viaggio, comprare una casa, fare un figlio, diventa un'utopia, un progetto difficilmente realizzabile.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, si tratta di una relazione su cui non possiamo essere d'accordo perché vuol favorire l'attuazione di interventi volti ad agevolare l'accesso al mondo del lavoro per alcune categorie, in particolare i rom.
Noi non possiamo accettare che invece di difendere i diritti di coloro che vivono nel proprio paese si debba agevolare chi in molte realtà è solamente un ospite. È evidente che in tempi di crisi ogni Stato deve agevolare i propri cittadini, eventualmente con progetti mirati per coloro che si trovano in condizioni precarie o senza occupazione.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Mi sono espressa a favore della relazione sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione: Parte II degli orientamenti integrati di EUROPA 2020. Alla luce del fatto che il tasso di disoccupazione nell’Unione europea è del 9,6 per cento, è imperativo intensificare e razionalizzare le politiche in materia di occupazione per creare nuovi posti di lavoro. In Polonia, grazie al sostegno comunitario migliaia di persone sono ora occupate. Il denaro disponibile allo scopo non è però sempre ben speso: la mancanza di orientamenti chiari fa sì che molti progetti siano portati avanti su base ad hoc. Ne risulta che i corsi di formazione non sono sempre adeguati alla situazione reale e vengano frequentati più volte dalle stesse persone. Perciò appoggio l’iniziativa della Commissione in quest’ambito. Gli orientamenti, adottati in tempo di crisi, saranno messi alla prova nei prossimi anni. Da questi orientamenti dipenderà il superamento della crisi da parte dell’Unione e capiremo se i nuovi posti di lavoro creati soddisfano davvero le esigenze presenti e future del mercato del lavoro.
È inoltre importante monitorare l’efficacia degli orientamenti raccogliendo specifici dati statistici sull’efficacia dei provvedimenti assunti in loro funzione. Solo così potremo misurare il reale impatto delle risorse finanziarie comunitarie sulla riduzione della disoccupazione nell’Unione europea. Ciò consentirà a sua volta di apportare gli adeguamenti che si rendessero necessari in quest’ambito. Invito inoltre a porre particolare attenzione al sostegno della mobilità e dell’occupazione delle donne, dei giovani, degli anziani e dei disabili.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Nonostante alcuni segnali incoraggianti di rinnovata crescita, la situazione economica rimane fragile. L’Europa deve pertanto assicurare una ripresa sostenibile, consolidare il potenziale per la creazione di occupazione delle economie europee e favorire l’accesso al lavoro. Il consiglio espresso nella Relazione sugli orientamenti a favore dell’occupazione è chiaro: più donne, più anziani e più giovani al lavoro, meno povertà e migliore istruzione. Questo è il risultato che l’UE vuole conseguire entro il 2020, e per queste ragioni appoggio la relazione. Contiene orientamenti che consentiranno ai cittadini di conciliare meglio il lavoro e le attività di cura, ad esempio, attraverso orari di lavoro flessibili e assistenza infantile accessibile. È una politica che aiuterà le donne ad entrare nel mercato del lavoro. Il Parlamento punta inoltre a far sì che i paesi dell’UE migliorino i loro sistemi di previdenza sociale e garantiscano un reddito dignitoso, affinché si riduca la povertà e i cittadini capiscano che lavorare paga. Per finire, il costante perseguimento di questi obiettivi della politica di coesione eliminerà le disparità socio-economiche fra Stati membri e regioni. Se la Commissione verificherà con rigore il recepimento di tali orientamenti nelle politiche degli Stati membri, i piani dell’Europa per il 2020 non saranno solo vuote parole.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Il dibattito sui nuovi orientamenti a favore dell’occupazione per il 2020 avviene in un momento in cui migliaia di famiglie di tutta Europa affrontano la tragedia della disoccupazione in seguito alla crisi economica. Tali orientamenti, che fanno parte della strategia Europa 2020, racchiudono orientamenti generali di politica economica e in materia di occupazione.
La relazione votata oggi, che ho appoggiato, è in linea con la proposta della Commissione, benché il relatore abbia fatto in modo che tali orientamenti siano chiari e utili agli Stati membri nella stesura delle loro politiche. La promozione dell’occupazione avverrà automaticamente grazie ad una crescita economica sostenibile, alla capacità delle aziende e dei lavoratori di adattarsi alle nuove situazioni, al raggiungimento di elevati livelli di istruzione, soprattutto fra i giovani, e ad una formazione continua che soddisfi le esigenze delle imprese, nonché grazie al coinvolgimento delle parti sociali in tutti questi processi.
Questo è quanto ha cercato di fare il relatore nel delineare gli obiettivi volti ad aumentare e migliorare l’occupazione, accrescere i livelli di istruzione, riconciliare vita professionale e familiare e ridurre il tasso di abbandono scolastico e la quota della popolazione che vive in povertà.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Gli orientamenti della Commissione in materia di occupazione e la relativa relazione del Parlamento europeo perseguono la strategia antipopolare portata avanti dall’UE, ovvero la strategia Europa 2020 e i suoi "orientamenti integrati". Essi costituiscono il quadro unitario della politica anti-labour dell’UE che è già stata varata e che s’intende promuovere in modo ancor più decisivo e coordinato in tutti gli Stati membri dell’UE.
Tali orientamenti rispecchiano gli sforzi compiuti dal capitale monopolistico per ridurre al minimo il costo della manodopera quale requisito essenziale per garantirsi profitti nell’attuale crisi del capitalismo. Per conseguire quest’obiettivo nel quadro degli orientamenti per l’occupazione, l’Unione europea, i governi borghesi e le forze politiche del capitale in seno agli Stati membri e al Parlamento europeo stanno sistematicamente promuovendo quanto segue: una vita professionale più lunga, un aumento dell’età pensionabile, con il pretesto dell’invecchiamento della popolazione e delle ridotte possibilità dei sistemi pensionistici nazionali, la "flessicurezza" e il lavoro flessibile, temporaneo e a tempo parziale come regola, spazzando via così tutti i diritti acquisiti dei lavoratori, l’adattamento dei sistemi educativi alla formazione di lavoratori da impiegare per soddisfare le necessità del capitale, una manodopera scientifica e intellettuale a buon mercato disponibile per le aziende e una nuova rete sulle soglie d’indigenza nei casi di povertà estrema, per prevenire la rivolta sociale contro il brutale sfruttamento.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) Onorevoli colleghi, questa relazione rileva opportunamente l’importanza di accrescere il livello occupazionale e la partecipazione al mercato del lavoro. È importante per la nostra economia e per la nostra società. È altresì importante non sacrificare la qualità alla quantità, tralasciando di affrontare la situazione dei lavoratori a basso reddito a livello nazionale e comunitario. Vi è un numero significativo di persone che lavora, ma il cui reddito disponibile è insufficiente per sottrarsi alla povertà. La recessione economica ha generalizzato questo problema all’intera Europa e la situazione è particolarmente grave in Lituania.
Queste tendenze si riflettono molto bene nei salari minimi percepiti dai lavoratori e dalla riduzione generalizzata delle retribuzioni quale misura di austerity. Le persone prive di istruzione superiore sono particolarmente vulnerabili. Secondo le statistiche UE, il rischio di povertà per un lavoratore privo d’istruzione superiore è del 16 per cento – il doppio della media in Lituania e otto volte più elevato rispetto a un impiegato in possesso di un titolo di studio universitario. Purtroppo, questo divario è molto più forte in Lituania che negli altri Stati membri dell’Unione. Il tema della povertà fra i lavoratori non è stato sufficientemente discusso dagli Stati membri, compreso il mio. Occorre studiare di più questo problema e introdurre misure specifiche per ridurre la povertà dei lavoratori.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune sulla situazione dei diritti umani in Iran, perché ritengo che la condanna a morte per lapidazione emessa nei confronti di Sakineh Ashtiani sia una chiara violazione da parte dell’Iran dei propri doveri istituzionali. Indipendentemente dai fatti, una condanna di questo tipo non è mai giustificabile né accettabile. La tortura, la detenzione illegale, la violenza fisica e sessuale e l’impunità dei funzionari dello Stato continuano a essere pratiche diffuse in molti paesi, sollevando seri dubbi sull’imparzialità e la trasparenza dei procedimenti giudiziari nei paesi in questione. La continua persecuzione delle minoranze etniche e religiose, oltre alla persistente criminalizzazione delle relazioni sessuali libere tra adulti, è inaccettabile.
In una simile situazione, sta a noi europei, difensori dei diritti umani e dei valori democratici che formano le basi delle nostre istituzioni, esercitare più pressione possibile sulle autorità iraniane affinché rivalutino simili procedimenti. Tale pressione ha già dato dei frutti: il governo iraniano, infatti, ha annunciato la sospensione della condanna a morte per lapidazione di Sakineh Ashtiani. Vorrei rendere omaggio al coraggio di tutti gli uomini e le donne iraniani che stanno lottando per difendere le loro libertà fondamentali.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il Parlamento europeo si è affrettato a dichiarare il suo sostegno ai piani imperialistici in Medio Oriente e alle palesi minacce militari di Israele, Stati Uniti e NATO contro l’Iran. Con il pretesto della condanna a morte per lapidazione contro Sakineh Mohammadi-Ashtiani e dell’inaccettabile persecuzione dei movimenti popolari, tutti i gruppi politici del Parlamento europeo hanno, in una rara manifestazione di umanità, adottato una risoluzione mirata ad accelerare l’intervento imperialista in Iran. Il partito comunista greco non appoggia la risoluzione perché non ha niente a che vedere con la solidarietà necessaria alla classe operaia per la sua lotta contro il regime reazionario e retrogrado che, al contrario, è rafforzato dalle sanzioni e da questo genere di risoluzioni. È significativo che si sia deciso di tenere questa discussione al Parlamento europeo subito dopo le proteste espresse dall’ambasciata israeliana a Bruxelles, la quale ha richiesto di trattare l’argomento per non affrontare il tema delle violazioni dei diritti umani in Israele, spostando, invece, l’attenzione sull’Iran.
La sensibilità del Parlamento europeo in merito al tema dei diritti umani è un modo per nascondere l’aggressiva politica estera dell’Unione europea e i crimini perpetrati nei confronti dei lavoratori, gli immigrati, dei popoli. La lotta contro la NATO, contro l’Unione europea e contro le unioni imperialiste sta diventando ogni giorno più necessaria se vogliamo che i cittadini ottengano diritti e libertà e che siano padroni del proprio destino.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Sakineh Mohammadi Ashtiani, una donna iraniana di 43 anni, rischia di essere lapidata a morte per adulterio e per aver organizzato l’omicidio di suo marito. In qualità di eurodeputata e presidente dell’associazione Femmes au Centre, sono indignata da questa decisione, da tutti ritenuta arbitraria; in effetti questa decisione viola i più fondamentali diritti umani, segnatamente il diritto alla difesa e alla dignità umana. Ancora oggi, in alcuni paesi, convivono due tipi di giustizia: le donne vengono condannate e torturate, violando i loro diritti fondamentali, dagli uomini che detengono il potere assoluto. Sono lieta dell’adozione quasi all’unanimità della risoluzione del Parlamento che invita il regime iraniano a cambiare idea in relazione a questa sentenza, in quanto assesta un importante colpo. Dobbiamo ora attenderci progressi concreti in materia di diritti umani in Iran.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione. L’Iran continua ad essere il paese con il maggior numero di esecuzioni capitali all’anno. Sostengo quindi appieno la posizione del Parlamento europeo a condanna della pena capitali e che invita le autorità iraniane ad abolire questa condanna, ad eliminare tutte le forme di tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti e a porre fine alle impunità per le violazioni dei diritti dell’uomo. Sostengo gli obiettivi dell’Unione europea di promuovere i diritti umani a livello mondiale e l’attuazione dei relativi programmi di sostegno, quali lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani finanziato dall’Unione europea. Questo strumento, con un bilancio di 1,1, miliardi di euro per il periodo 2007-2013, è volto a garantire il rispetto dei diritti umani e della democrazia in tutto il mondo. La Commissione e il Consiglio, insieme ad altre organizzazioni internazionali, deve quindi continuare a preparare ulteriori strumenti di sostegno al fine di difendere in modo attivo i difensori dei diritti umani in Iran.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la risoluzione comune ha tutto il mio appoggio, come rappresentante politica, ma prima ancora come donna: l’Iran è oggi il paese simbolo della violenza dell’islamismo radicale e del fanatismo contro le donne e i loro diritti fondamentali.
Con questa risoluzione giustamente richiamiamo la Repubblica islamica e i suoi governanti al rispetto delle carte internazionali dei diritti umani al cui rispetto l’Iran è giuridicamente vincolato. Il caso di Sakineh, come gli altri inseriti nel testo che abbiamo votato, confermano che Teheran oggi non solo si colloca completamente all’opposto dei canoni della modernità politica e culturale, ma si pone anche su un piano di illegalità dal punto di vista delle norme internazionali, non attenendosi agli obblighi contratti con la ratifica della Convenzione dei diritti del fanciullo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
La risoluzione è dura, opportunamente dura, in un momento in cui dobbiamo far sentire all’Iran tutta la forza e la pressione di cui questa istituzione è capace, affinché la mobilitazione internazionale in atto per fermare il boia dello Stato Islamico sortisca l’effetto sperato. Il mio voto è pertanto decisamente favorevole.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) La comunità internazionale ha vinto una piccola battaglia nel caso della donna iraniana condannata a morte con il barbarico metodo della lapidazione, offrendo così un lume di speranza. La condanna è stata al momento sospesa, ma in fondo non ha importanza. Per questo tutti gli Stati membri devono portare avanti il loro impegno con l’obiettivo di bandire la pena di morte in Stati come l’Iran, dove la vita delle persone dipende da leggi perverse e arcaiche.
L’Unione europea deve continuare a condannare e a esercitare pressioni sugli Stati che non rispettano la vita e in cui i diritti umani non hanno alcun valore. Ci sono persone in Iran che rischiano ogni giorno la loro vita e la loro sicurezza personale nella lotta per ottenere maggiore libertà e più diritti democratici. Le associazioni e gli organismi internazionali dimostrano il loro sostegno a queste persone, ma, quando ci si trova di fronte a un regime oppressivo come quello di Teheran, in cui il tempo sembra distorto, la battaglia sarà lunga e difficile. Nessuno dovrebbe pagare con la libertà solo per aver espresso apertamente le proprie opinioni contro un regime o contro alcuni leader. L’Unione europea deve partecipare attivamente, svolgendo il suo ruolo di esportatore di libertà e rispetto delle persone e dei loro diritti.
Andrew Henry William Brons (NI), per iscritto. – (EN) Mi sono astenuto dalla votazione, ma avrei votato a favore della proposta (ECR) B7-0499/2010. Naturalmente, concordo sul fatto che la lapidazione (o qualsiasi altro tipo di condanna a morte) per adulterio sia assolutamente inaccettabile anche per i paesi musulmani, che desiderano proibire questo comportamento per legge. Sebbene non sia favorevole all’uso del diritto penale per imporre una condotta morale tra adulti consenzienti, rispetto il diritto dei singoli paesi di assumere posizioni diverse, se queste non infliggono condanne sproporzionate e selvagge. Mi preoccupa anche l’uso del diritto penale contro il dissenso politico, sia in Iran sia nei paesi dell’Unione europea che lo usano in modo improprio.
Chiunque sia accusato di reati gravi deve avere il diritto di essere rappresentato legalmente e deve essere tutelato da condotte inappropriate da parte della polizia prima del processo. Non ritengo spetti all’Unione europea dire all’Iran di non ricorrere in nessun caso alla pena di morte. Per non essere controproducente, questa proposta deve essere attentamente valutata e deve rivolgersi ai membri di una società molto conservatrice più orientati verso le riforme. Questa proposta sarà invece un’offesa anche nei confronti degli iraniani favorevoli alle riforme.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Sakineh Ashtiani è il volto delle esecuzioni capitali in Iran e il simbolo dell’ingiustizia nei procedimenti penali e della violazione dei diritti fondamentali nel paese. Vorrei unire la mia voce a quella dei movimenti internazionali di solidarietà che stanno richiedendo l’annullamento della sentenza l’immediata liberazione di Sakineh Ashtiani: questo corrisponde a lottare per pari diritti per le donne e per la libertà di espressione e di partecipazione attiva in una società libera. Sostengo fermamente le cause contro la discriminazione e in particolare le ragioni delle donne iraniane; tengo a sottolineare il ruolo di primo piano di Sakineh Ashtiani nella lotta per la democrazia, l’uguaglianza e i diritti in Iran. Il coraggio e la determinazione delle donne iraniane deve essere fonte di ispirazione per tutti noi.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) La dittatura teocratica iraniana semina odio e predica intolleranza. La sua retorica aggressiva a favore della distruzione di Israele e il suo programma nucleare, che prosegue senza controllo o supervisione internazionale, rappresentano delle minacce alla pace mondiale. I tribunali islamici applicano leggi barbare che sono di per sé una negazione della giustizia, ponendo le donne in una condizione di schiavitù virtuale.
Purtroppo, il caso di Sakineh Mohammadi-Ashtiani non è un caso isolato e noi dobbiamo dimostrare il nostro sostegno a tutte le donne condannate a morte senza rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne e dei diritti umani. Riaffermo qui la mia opposizione alla pena di morte e mi appello alle autorità iraniane, in conformità con le risoluzioni 62/149 e 63/138 delle Nazioni Unite, affinché instaurino una moratoria sulle esecuzioni, in attesa dell’abolizione della pena di morte. Condanno l’arresto e richiedo l’immediato rilascio di Zahra Bahrami, una cittadina olandese che si è recata in Iran per far visita alla sua famiglia; la donna è stata arrestata durante le proteste di Ashura del 27 dicembre del 2009 ed è stata costretta a confessare in televisione la veridicità delle accuse formulate contro di lei.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione congiunta sui diritti umani in Iran, che ho sottoscritto, poiché ritengo un imperativo morale fare pressione sulle autorità iraniane affinché cessino di commettere questo atroce crimine. Sono orgogliosa di essere nata nel paese che ha aperto la strada all’abolizione della pena di morte. Sakineh Mohammadi-Ashtiani non ha commesso alcun reato, ma è stata comunque arrestata e condannata a morte per lapidazione, oltre a essere costantemente umiliata e fustigata. Manifesto la mia profonda preoccupazione per le costanti notizie che ci giungono sulle persecuzioni perpetrate dalle autorità iraniane contro gli oppositori politici e i difensori dei diritti umani, in particolare donne e giovani studenti. Si tratta di una chiara violazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU e di abuso del potere giudiziario.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La violenza gratuita e sproporzionata non solo offende la nostra sensibilità di europei, ma si scontra direttamente con l’insieme di valori e di diritti nato in Occidente, ma oggi diventato, per fortuna, patrimonio dell’umanità. Tra questi casi spiccano gli episodi di violenza contro le donne che, in alcune società, sono spesso usate come arma o bottino di guerra, come oggetti decorativi o come esseri senza diritti o senza capacità di agire in modo autonomo, condannate a essere una minoranza aberrante e indifesa.
Purtroppo, esistono ancora degli Stati e dei paesi che continuano a perpetrare pratiche terribili contro le donne e a imporre loro condanne crudeli, brutali e chiaramente sproporzionate. Queste pratiche alimentano culture che opprimono, degradano e umiliano le donne semplicemente perché sono donne. Proprio perché credo nella natura complementare dei sessi, che si basa sulle differenze naturali, e alle pari opportunità, non posso far altro che condannare profondamente queste spregevoli pratiche.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Noi siamo contrari alla pena di morte in qualsiasi paese, sia esso gli Stati Uniti, l’Iran o qualunque altro paese del mondo. Siamo anche contrari a ogni forma di tortura, ovunque venga perpetrata, sia in Iran sia nelle prigioni controllate dalla CIA. Perciò, richiediamo all’Iran di risparmiare la vita di Sakineh Ashtiani e di smettere di lapidare donne, giovani e chiunque altro. Abbiamo quindi votato a favore della risoluzione in oggetto.
Vorremmo, comunque, sottolineare che, quando parliamo della lotta per il rispetto della democrazia in Iran, la difesa dei diritti di quanti lottano per la giustizia sociale, il progresso e la democrazia nel paese non deve, per nessun motivo, essere usata contro la sovranità dell’Iran, la sua integrità territoriale e il suo potere di decidere del proprio futuro. Inoltre, non deve essere usata per giustificare un intervento e un’ingerenza che non rispetti la sovranità territoriale del paese.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) La morte per lapidazione non dovrebbe mai essere accettata né sostenuta. Chiedo alle autorità iraniane di revocare la condanna prevista per Sakineh Mohammadi-Ashtiani e di rivedere il caso.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto. – (PL) Mancano tre mesi alla fine del 2010 e il sistema giudiziario della Repubblica islamica dell’Iran quest’anno ha già emanato 2000 condanne alla pena capitale. Supponendo ottimisticamente che in quest’ultimo trimestre non verranno emesse altre sentenze di questo genere e che siamo a conoscenza di tutte le sentenze di morte, questo dato dimostra che ogni giorno a cinque cittadini iraniani viene comunicato che stanno per perdere la vita. La mattina potrebbe toccare a Sakineh Mohammadi-Ashtiani che nel 2006 è stata condannata a morte tramite lapidazione con l’accusa di adulterio; a mezzogiorno potrebbe essere il turno di Mohammad Mostafaei, avvocato specializzato in diritti umani fuggito dall’Iran per paura dell’arresto e della repressione; nel pomeriggio, la vittima del regime iraniano potrebbe essere Nasrin Sotoudeh, che sta lottando per la riduzione del numero di condanne a morte emesse nei confronti di minori; mentre la sera la prossima persona a essere arrestata potrebbe essere la cittadina olandese Zahra Bahrami, accusata di aver preso parte a una manifestazione di protesta.
Infine, e quinto, nella notte, le autorità iraniane potrebbero scegliere la prossima vittima (a noi sconosciuta) nel corso di un raid segreto.
Richiediamo quindi con fermezza l’abolizione categorica della pena capitale in Iran, la cancellazione della condanna a morte per lapidazione prevista per Sakineh Mohammadi-Ashtiani e il rilascio di Zahra Bahrami. Ci preme anche far notare che l’Iran è firmatario della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, il cui articolo 18 stabilisce che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione sui diritti umani in Iran, con particolare riferimento ai casi di Sakineh Mohammadi Ashtiani e Zahra Bahrami, poiché la situazione di queste due donne è davvero tragica. Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata a morte dal governo iraniano, rischia di perdere la vita da un giorno all’altro attraverso il barbarico rituale della lapidazione. Quale paese, nel XXI secolo, può scrivere nero su bianco nel proprio codice penale le dimensioni delle pietre che devono essere impiegate per la lapidazione dei prigionieri condannati? L’Iran è quel paese. Solamente il coinvolgimento della comunità internazionale e politica è servito ad evitare la lapidazione negli ultimi anni e sarà anche l’unico strumento che farà cedere il governo iraniano. Abbiamo un compito, in quanto politici, cittadini, esseri umani: evitare una pratica che non è altro che omicidio.
Eija-Riitta Korhola (PPE), per iscritto. – (FI) Ho votato a favore della proposta di risoluzione RCB70494/2010 sui diritti umani in Iran perché credo che l’Unione europea debba rendere noto al mondo che un’esistenza degna per un essere umano, i diritti politici e il trattamento equo sono diritti fondamentali per tutti, a prescindere dal paese in cui sono nati. Dopo aver letto la risoluzione, chiunque abbia la coscienza pulita sarà in grado di capire perché questo tema provochi reazioni forti in Europa, per cui non ritengo necessario avanzare severe critiche durante questa revisione.
Sebbene in questo momento l’Iran sia un esempio palese di situazione deplorevole in termini di diritti umani che dovrebbe mettere in allerta tutti, questo non deve comunque farci dimenticare che problemi simili, se non più gravi, esistono in tutto il Terzo mondo. Nelle regioni sottoposte alla legge della Sharia, infatti, l’oppressione è sistematica e su ampia scala.
Sono consapevole che, da parecchio tempo ormai, l’Unione europea e il mondo occidentale condividono la stessa posizione in materia di diritti umani, ma non sono ancora stati fatti progressi significativi. Per questa ragione, ritengo importante che l’Unione europea continui, in futuro, a fare pressione sull’Iran e su altri paesi problematici in materia di diritti umani.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Quanto sta accadendo in Iran in relazione ai diritti umani è assolutamente da condannare e l’Unione europea, in qualità di difensore dei diritti umani a livello mondiale, non può rimanere indifferente e deve dimostrare il proprio disgusto alle numerose condanne a morte per lapidazione che hanno avuto luogo nel paese per molti anni. L’Unione europea deve dire chiaramente che questo tipo di pratiche non posso esistere in un paese che desidera essere rispettato e mira a mantenere relazioni diplomatiche normali con tutti gli Stati membri. Queste sono le motivazioni alla base del mio voto.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Ho votato a favore della risoluzione congiunta sulla situazione dei diritti umani in Iran perché appoggio pienamente il suo contenuto. La dittatura di Ahmadinejad ha riportato il sistema e i poteri dello Stato ai livelli del Medioevo. Dobbiamo ricordare al regime iraniano che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non è fatta solo di belle parole. Ho votato a favore della risoluzione perché gli estremisti islamici non vogliono capire il significato di “diritto internazionale”. Dobbiamo far abolire la pena di morte in Iran e salvare Sakineh Mohammadi-Ashtiani e Zahra Bahrami dalle mani dei terroristi religiosi che hanno trasformato la legge in uno strumento di terrore contro la loro stessa gente.
Claudio Morganti (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato positivamente alla risoluzione con la speranza che si fermi questa barbarie e che, per tutte le donne e gli uomini nelle condizioni di Sakineh, siano rispettati i diritti umani. Vorrei sottolineare che ciò a cui stiamo assistendo deriva dall’applicazione della legge fondamentalista islamica che qualcuno vorrebbe introdurre anche nella nostra Europa democratica.
La pena di morte comminata con lapidazione è una vera e propria forma di tortura. Negli ultimi anni centinaia di donne sono state lapidate in Iran per il reato di adulterio e almeno altre 40 persone sono imprigionate in attesa dello stesso destino. Per non parlare delle migliaia di donne arrestate per motivi politici e spesso torturate e giustiziate.
Cristiana Muscardini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ogni parola detta in quest’aula sia una pietra deposta ai piedi di coloro che praticano la lapidazione per costruire un muro di vergogna intorno a loro e cancellarli dal consesso umano.
Sakineh deve essere salvata e con lei le donne e gli uomini che nel mondo sono ancora vittime di una barbarie e crudeltà sconosciuta anche agli animali più feroci e primitivi. È la Bestia, intesa come il diavolo, che oggi muove le mani e le labbra d’indegni leader e di falsi religiosi che l’Onnipotente ha già condannato senza possibilità di grazia. Sappiano che se non si fermano ora il loro tempo è segnato e per loro non vi sarà requie né ora né nell’eternità.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho espresso il mio voto favorevole alla proposta di risoluzione e sono contento che il Parlamento si sia espresso con quasi unanimità a favore. Sono occasioni come queste che dimostrano la forza persuasiva della democrazia.
La mobilitazione che l'Europa e, in particolare, l'Italia ha posto in essere a sostegno di Sakineh va sostenuta con forze e mi auguro che la situazione in Iran migliori. Ritengo ruolo primario del Parlamento Europeo quello di farsi luce e speranza per tutte le vittime di violazioni di diritti umani e mi auguro che il regime iraniano ripensi la sua politica e rispetti maggiormente le donne e instauri un regime giudiziario più limpido e meno medioevale.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Le parole spesso non sono sufficienti a descrivere la barbarie, l’ignominia e il disprezzo totale dei più fondamentali valori umani. Di fronte alle pesanti pietre degli oscurantisti, ora spetta ai democratici del mondo salvare Sakineh Mohammadi-Ashtiani.
Da quando i mullah hanno reintrodotto la lapidazione nel 1979, 300 persone sono state massacrate (non c’è altra parola per descrivere quest’azione) a seguito di processi farsa, per non parlare dell’impiccagione di minori, omosessuali e oppositori politici, tra cui seguaci della fede Baha’i, il cui unico crimine è di non condividere la stessa religione con quanti sono al potere a Teheran.
Ecco, quindi, il peso delle nostre parole e di questa mobilitazione internazionale a cui il Parlamento europeo ha deciso di prendere parte questo pomeriggio. Il bellissimo viso di Sakineh ora rappresenta la lotta per i diritti delle donne in Iran e la difesa di tutte le vittime dell’oppressione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (ES) Con la risoluzione che abbiamo appena adottato dichiariamo la nostra netta censura nei confronti della condanna a morte per lapidazione della cittadina iraniana Sakineh Mohammadi-Ashtiani. Indipendentemente dalle accuse a suo carico, una condanna a morte per lapidazione non è né giustificabile né accettabile e noi parlamentari chiediamo alle autorità iraniane di revocare la sentenza e riesaminare il caso.
Il testo, adottato con 658 voti a favore, 1 contrario e 22 astensioni, richiede anche al governo iraniano di riesaminare il caso di Zahra Bahrami e che “le conceda immediatamente la possibilità di consultare un legale e di beneficiare dell’assistenza consolare, la rilasci o le permetta di essere sottoposta a un equo processo”. Allo stesso modo, noi parlamentari richiediamo a Teheran di bloccare l’esecuzione di Ebrahim Hamidi, un ragazzo di 18 anni accusato di sodomia.
Il Parlamento europeo esprime la sua costernazione per il fatto che “l’Iran continua a trovarsi nel gruppo dei pochissimi paesi, insieme all’Afghanistan, la Somali, l’Arabia Saudita e la Nigeria, che ancora praticano la lapidazione”. In questo senso, “invita il parlamento iraniano ad emanare una legge che renda illegale la crudele e disumana pratica della lapidazione”. Inoltre, il governo iraniano dovrebbe instaurare una moratoria delle esecuzioni in attesa dell’abolizione della pena di morte.
8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
Con questo si conclude la votazione.
(La seduta, sospesa alle 13.10, riprende alle 15.00)
Presidente. − Onorevoli colleghi, la seduta riprende ora, ed ho il piacere ed anche la gioia di annunciare una notizia che ho appreso da alcune agenzie di stampa, secondo le quali il ministero degli affari esteri iraniano avrebbe sospeso l'esecuzione a carico di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, questione sulla quale era intervenuto qualche ora fa in maniera compatta ed unitaria, ad una maggioranza, che ha sfiorato l'unanimità, proprio il nostro Parlamento. ciò ci da grande gioia, ma la battaglia continua, perché ora bisognerà insistere per la revisione del processo e il Parlamento europeo dovrà svolgere il suo ruolo nella strada che da sempre ha percorso che è quella della difesa dei diritti umani in tutto il mondo.
10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Presidente. – L'ordine del giorno reca la discussione sull'interrogazione orale al Consiglio sull'esportazione di armi, di Arturs Krišjānis Kariņš, Tunne Kelam, Vytautas Landsbergis, Gunnar Hökmark, Bendt Bendtsen, Jacek Saryusz-Wolski, Ville Itälä, Sandra Kalniete, Inese Vaidere, Michael Gahler, José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, Laima Liucija Andrikienė, a nome del gruppo PPE (O-0076/2010 - B7-0320/2010).
Arturs Krišjānis Kariņš , autore. – (LV) Signor Presidente, Ministro, oggi vorrei parlare dell’oggetto al centro dell’interrogazione che lei ha ricevuto, ovvero una portaelicotteri lunga 200 metri, equipaggiata con un ospedale militare e in grado di trasportare contemporaneamente 16 elicotteri pesanti, 40 carri armati, personale di servizio fino a 900 unità e veicoli da sbarco. La Francia è intenzionata a vendere quattro di queste aggressive navi da guerra alla Russia senza consultarsi con gli altri Stati membri dell’Unione Europea. Vorrei ricordarle che 18 mesi fa la Russia ha attaccato un paese confinante, la Georgia, e che non ha ancora rispettato le condizioni della tregua raggiunta grazie al negoziato del Presidente francese. Lo scorso autunno, inoltre, la Russia ha condotto esercitazioni militari sul confine estone simulando un’invasione dei paesi baltici. Permettetemi di porre a tutti voi una domanda: cos’è l’Unione Europea e a cosa serve? La scorsa primavera, quando la Grecia fu colpita duramente dalla crisi finanziaria, l’Europa si trovò a dover decidere se soccorrerla o lasciare che affondasse. La decisione di prestare soccorso alla Grecia rappresentò una dimostrazione di solidarietà da parte dei paesi europei, motivata dalla comune consapevolezza che, se la situazione finanziaria greca fosse peggiorata, sarebbe accaduto lo stesso in altri Stati membri dell’UE. Anche per quanto riguarda la sfera di sicurezza esterna abbiamo siglato accordi di solidarietà, per cui essa non dovrebbe fare eccezione. Numerosi Stati membri dell’UE si interrogano seriamente sulle finalità e sull’area di impiego di navi da guerra così aggressive da parte della Russia. La creazione di nuovi posti di lavoro in Francia è importante, ma non può andare a scapito della sicurezza degli Stati membri. Onorevoli colleghi, vi invito a non autorizzare la vendita di armi di alcun tipo a paesi terzi prima che la questione sia affrontata in sede di Consiglio e che vi sia la certezza che tale transazione risulti in un rafforzamento, e non in un indebolimento, della sicurezza nell’Unione europea. Grazie per la vostra attenzione.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono lieto dell’opportunità di concentrarci questo pomeriggio sul controllo delle esportazioni di armamenti.
Vista l’impossibilità da parte della baronessa Ashton di presenziare alla sessione in corso e vista la sua richiesta alla Presidenza di sostituirla durante la discussione, cercherò di rispondere io ad alcune delle interrogazioni ricevute su questo argomento.
Come sapete, l’Unione europea ha assunto da alcuni anni un ruolo da protagonista nel controllo delle esportazioni di armi a livello regionale e internazionale e persegue un obiettivo chiaro: impedire l’esportazione di tecnologie militari che potrebbero essere utilizzate per scopi deprecabili, come la repressione interna o l’aggressione internazionale.
Oltre dieci anni fa il Consiglio adottò un codice di condotta dell'Unione europea per le esportazioni di armi, fissando una serie di criteri relativi alle armi convenzionali. Il codice fu sostituito nel 2008 da una posizione comune che introdusse alcuni nuovi elementi, rendendo il sistema di controllo delle esportazioni di armi dell’Unione europea il più severo al mondo. L’obiettivo delle disposizioni giuridicamente vincolanti della posizione comune è di garantire che l’esportazione di armi da parte degli Stati membri avvenga in maniera responsabile e trasparente.
Lo scopo della posizione comune è di coordinare efficacemente le politiche nazionali sul controllo dell’esportazione di armi utilizzando in particolare un meccanismo di consultazione e di notifica di rifiuto, secondo il quale uno Stato membro in procinto di rilasciare un’autorizzazione all’esportazione per una transazione fondamentalmente identica a una transazione precedentemente rifiutata da un altro Stato membro è tenuto a consultarsi con quest’ultimo e a comunicare agli altri Stati membri la propria decisione finale. In altre parole, uno Stato membro che rilascia l’autorizzazione per una transazione rifiutata da un altro Stato membro è tenuto a fornire una spiegazione dettagliata della propria decisione a tutti gli altri Stati membri.
La risposta alle interrogazioni sulle consultazioni è quindi chiara: la posizione comune prevede consultazioni sistematiche solo nel caso in cui l’autorizzazione sia stata rifiutata in precedenza per una transazione identica.
In generale vi è uno scambio di informazioni regolare e frequente sul controllo degli armamenti e in particolare sulle cosiddette destinazioni “sensibili” tra le delegazioni degli Stati membri all’interno delle strutture competenti del Consiglio. Gli Stati membri spesso richiedono l’opinione di altri membri del Consiglio in caso di timore o dubbio a proposito delle destinazioni di esportazione. Questo scambio regolare di informazioni rappresenta un pilastro centrale della politica europea di controllo dell’esportazione di armi.
A titolo informativo, nel corso del 2009 le consultazioni tra gli Stati membri hanno riguardato in totale 14 destinazioni del Terzo mondo. Alle consultazioni è seguita la comunicazione da parte degli Stati membri delle motivazioni che li hanno portati a rilasciare o rifiutare le autorizzazioni all’esportazione in tali paesi.
Queste, signor Presidente, sono le modalità con le quali operiamo interattivamente con gli Stati membri a livello di informazione e controllo sul processo di autorizzazione dell’esportazione di armi.
Sarò lieto di rispondere ad ogni punto sollevato durante la discussione di questo pomeriggio.
Roberto Gualtieri, a nome del gruppo S&D. –Signor Presidente, onorevoli colleghi, il rafforzamento della base industriale e tecnologica della difesa europea è una dimensione essenziale della costruzione di una difesa comune.
Esso ha bisogno però di regole comuni e di un approccio coordinato per rafforzare lo sviluppo e la competitività dell'industria europea della difesa e, al tempo stesso, per rendere questo sviluppo coerente con i principi e gli impegni internazionali dell'Europa. Per questo, insieme alla direttiva sul mercato interno della difesa, la posizione comune del dicembre 2008, che definisce procedure e criteri delle esportazioni militari verso paesi terzi, costituisce un importante passo avanti.
Com'è noto, tra queste procedure non c'è un meccanismo generalizzato di consultazione. Tuttavia, nella posizione comune c'è un opportuno riferimento alla necessità di rafforzare la cooperazione e la convergenza in questo campo nel quadro della PESC. In attesa che gli auspicabili progressi su questo fronte e su quello della creazione di una difesa comune rendano possibile l'adozione di meccanismi ancora più vincolanti, sarebbe opportuno che la cooperazione e convergenza prevista dall'articolo 7 non rimanga solo sulla carta e che la relazione annuale sulle esportazioni militari venga resa nota al Parlamento.
Naturalmente, l'interrogazione presentata dai colleghi popolari sembra implicitamente – ora poi è stato esplicitato – non limitarsi a questioni di carattere generale. Premesso che sarebbe stato meglio chiamare le cose con il proprio nome fin dall'inizio, non ci sembra che la vendita di navi francesi alla Russia sia in contraddizione con la posizione comune del 2008. Al contrario, tale esportazione può rafforzare e rendere più vincolante il legame e la cooperazione euro-russa nel settore della sicurezza, che dovrebbe però uscire dall'ambito bilaterale ed essere affrontato, discusso e condotto fino in fondo in una dimensione europea.
Elmar Brok, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, vorrei esprimere alcuni commenti sulla vecchia questione della competenza europea. Nel corso delle conferenze costituzionali e di governo non siamo stati in grado di includere il commercio di armi nella sfera di competenza generale dell’Europa. Ritengo perciò opportuno perseverare nel perseguimento di questo obiettivo, in modo che il codice di condotta e le regole introdotte dal Consiglio nel 2008 divengano maggiormente vincolanti. È questa la direzione verso la quale deve procedere il Parlamento europeo.
In secondo luogo, mi sembra chiaro che in questo contesto non sia ammissibile un’assenza di contatti tra gli Stati membri tale da giustificare la sensazione che l’esportazione di armi a paesi terzi avvenga a spese dei singoli Stati e a scapito della loro sicurezza. È pressoché irrilevante se questa sensazione sia giustificata o meno e per questo ritengo necessario trovare soluzioni più efficaci a livello europeo.
In terzo luogo, credo sia necessaria, tra le altre cose, una maggiore collaborazione a livello europeo sul fronte della politica industriale attraverso l’Agenzia europea per la difesa, ad esempio su esportazioni, ricerca, pianificazione, produzione e appalti. L’indipendenza di un paese è legata infatti all’esistenza o all’assenza di una propria industria bellica. I paesi che ne sono privi sono costretti ad acquistare gli equipaggiamenti militari da paesi terzi e la loro sicurezza dipende quindi da altri Stati. Ad essere in gioco non sono solo i fattori economici, che comunque hanno una certa rilevanza, ma la nostra libertà.
Solo contestualizzando l’intera questione riusciremo creare un maggiore senso comunitario e a evitare incomprensioni negli Stati membri come quella sorta, comprensibilmente, nei paesi baltici.
Johannes Cornelis van Baalen, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, per un paese la facoltà di potersi difendere è legittima, così come è legittimo che altri paesi possano difendersi; l’esportazione di armi non può quindi essere bandita. Questa è la posizione del gruppo ALDE.
Non è però ammissibile l’esportazione di armi in regioni segnate da tensioni o dove è in corso una guerra. È dunque necessario porsi dei limiti. Finché non sarà istituito un regime giuridicamente vincolante sull’esportazione di armi non esisterà la parità di condizioni per i 27 paesi dell’Unione europea ed essi continueranno a farsi concorrenza, a competere per le commesse e a non consultarsi reciprocamente.
Ritengo quindi che l’unica soluzione sia l’istituzione di un regime comune vincolante e a questo proposito concordo con le parole dell’onorevole Brok.
Indrek Tarand, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, si tratta di una questione importante e vorrei ringraziare gli onorevoli colleghi per la comprensione mostrata nei confronti dei timori suscitati nella mia regione dalla decisione francese sulle piattaforme Mistral.
Come già affermato dal nostro collega liberale, il codice di condotta dell'Unione europea, testo giuridicamente vincolante a partire dal 2008, rappresenta un buon passo in avanti, ma non è in sé sufficiente. È necessario fare progressi sul fronte del commercio di armi a livello globale perché l’Unione europea ha una grande responsabilità in questo ambito. Essa è infatti responsabile di un terzo del volume globale del commercio di armi.
Se asseriamo che la Russia sia un partner strategico e che sia opportuno collaborare con essa in campo militare, ritengo che si tratti di una semplice questione di logica. Per quale motivo un paese amico ha bisogno di un sistema di armamenti d’assalto? Per contribuire alla creazione di una sorta di buon governo in Afghanistan? No, Mosca non ha intenzione di prendere parte a questa operazione. Per proteggere i diritti dell’uomo e delle minoranze in Kirghizistan? Neppure, e comunque in entrambi i casi le portaelicotteri Mistral sarebbero inutili in quanto incapaci di raggiungere paesi privi di sbocchi sul mare. Queste navi invece influirebbero negativamente sulla situazione del Mar Nero e sugli otto Stati membri dell’Unione europea che si affacciano sul Mar Baltico, portando ad una diminuzione del livello di sicurezza per Stati come Polonia, Germania, Estonia, Lettonia e Lituania.
Concordo con l’onorevole Gualtieri sulla validità di una collaborazione con un partner strategico come la Russia, ma credetemi, vi sono anche altre forme di collaborazione rispetto alla condivisione di sistemi di armamenti ad alta tecnologia. Si considerino ad esempio le automobili, altro settore nel quale l’industria russa si trova in difficoltà, oppure la collaborazione tra i corpi di vigili del fuoco. Questa estate si sono viste le difficoltà delle unità russe nel far fronte all’incendio di un’area dalle dimensioni equivalenti a quelle del Belgio.
Ceterum censeo. La vendita delle Mistral deve essere bloccata.
Geoffrey Van Orden, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, il mio gruppo attribuisce grande importanza al diritto delle nazioni sovrane di decidere, nel rispetto dei criteri della posizione comune dell’Unione europea, in merito al rilascio delle autorizzazioni all’esportazione di armi. Non si tratta chiaramente di un ambito che rientra nella sfera decisionale dell’Unione europea, né deve diventarlo. Naturalmente la posizione comune incoraggia gli Stati membri esportatori a tenere conto, inter alia, della preservazione di pace,nonché della sicurezza e della stabilità a livello regionale.
Nel caso al centro della discussione odierna, è necessario rendersi conto della sensibilità della situazione nelle regioni del Mar Baltico e del Mar Nero. Per quanto riguarda quest’ultimo, va ricordato il recente conflitto in Georgia e il fatto che, dei sei paesi affacciati esso sul Mar Nero, tre sono membri della NATO (Bulgaria, Turchia e Romania) e altri due sono paesi partner e candidati (Georgia e Ucraina). Riteniamo quindi di dover opinare sulla liceità di vendere navi d’assalto anfibio al sesto paese che si affaccia sul Mar Nero, la Russia.
Vi sono comunque meccanismi consolidati deputati al regolamento delle questioni relative all’esportazione di armi. Nel contesto dell’Unione europea esiste il gruppo di lavoro del Consiglio, denominato COARM, che si riunisce formalmente circa ogni sei settimane a Bruxelles. Trattandosi di un gruppo intergovernativo rappresenta la sede appropriata per discutere dell’esportazione di armi, al contrario della seduta plenaria del Parlamento di Strasburgo. Lasciamo quindi che COARM proceda col proprio lavoro.
Sabine Lösing, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, nel 2000 l’Unione europea delineò chiaramente all’interno della strategia di Lisbona l’obiettivo di diventare la principale potenza economica al mondo entro il 2010. Abbiamo mancato l’obiettivo su molti fronti, ma non per quanto riguarda le esportazioni di armi.
Tra il 2005 e il 2009 gli Stati membri dell’UE hanno superato gli Stati Uniti divenendo i primi esportatori di armi al mondo, primato che ritengo estremamente discutibile. Ovviamente il codice di condotta dell'Unione europea per le esportazioni di armi, pur prevedendo una pratica restrittiva di rilascio delle autorizzazioni all’esportazione, non è mai stato giuridicamente vincolante e si è rivelato un insieme di parole vuote. Di conseguenza ho accolto con molto favore la conversione del codice di condotta dell'Unione europea per le esportazioni di armi in una posizione comune nel dicembre del 2008.
Non esiste però alcun sistema di sanzione efficace. Ad esempio, nonostante la Germania abbia riconosciuto il codice di condotta come giuridicamente vincolante ben prima del 2008, ora è il terzo paese esportatore di armi al mondo e rifornisce regioni critiche come l’Arabia Saudita e il Pakistan. Oltre a ciò, le relazioni sull’esportazione di armi presentate dagli Stati membri al Consiglio mancano di uniformità e spesso di trasparenza. È necessaria un’urgente standardizzazione in questo ambito, in modo da permettere la rintracciabilità di tutte le esportazioni di armi di una certa rilevanza e la possibilità di sottoporle ad una valutazione critica. Sfortunatamente non si è registrato alcuno sforzo in tal senso. Ad ogni modo dubito che qualsiasi sistema possa rendere l’esportazione di armi un’attività eticamente corretta. L’unica certezza è che l’Unione europea è molto lontana da questo obiettivo.
(L'oratore accetta di rispondere a un'interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell'articolo 148, paragrafo 8)
Geoffrey Van Orden (ECR). – (EN) (inizio dell’intervento non udibile)... la Commissione perché l’onorevole Lösing si è lasciata trarre in inganno da una credenza già menzionata più volte in questa sede e in altre sedi comunitarie in riferimento all’esportazione di armi dell’UE.
L’Unione europea non esporta armi in alcun luogo, non ha né una propria industria della difesa, né forze armate proprie perché entrambe appartengono agli Stati membri dell’Unione europea. Di conseguenza dovremmo evitare di fare ricorso a termini come “le esportazioni di armi dell’UE”, perché in quanto tali non esistono.
Sabine Lösing (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, ho fatto riferimento ai paesi dell’Unione europea.
David Campbell Bannerman, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, l’interesse dell’Unione europea per l’esportazione di armi è da ricondurre chiaramente al crescente fenomeno di militarizzazione dell’era post-Lisbona.
Lo stesso Tony Blair ha confidato ai giornalisti alcuni giorni fa il desiderio che l’Unione europea sviluppi un “carattere militare”. Fondamentalmente si tratterà di stabilire chi fornirà gli armamenti all’UE e a chi essa li venderà.
Si parla già di fare in modo che gli equipaggiamenti prodotti per l’Unione europea non siano interoperabili con gli equivalenti statunitensi. Il folle concetto che il Regno Unito debba condividere una portaerei con la Francia, negherebbe immediatamente ai britannici l’accesso alla tecnologia statunitense degli armamenti “invisibili” denominata stealth.
Avrebbe anche l’effetto di chiudere il mercato britannico alle esportazioni statunitensi e viceversa, con una conseguente perdita di posti di lavoro su entrambe le sponde dell’Atlantico.
Il valore delle esportazioni di armi per l’economia del Regno Unito è di 7 miliardi di sterline l’anno ed equivale ai contributi netti versati annualmente dal mio paese all’Unione europea. Dobbiamo opporci a qualsiasi azione di questo tipo.
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signor Presidente, la questione delle esportazioni rappresenta un dilemma per tutti i paesi produttori di armi. I costi fissi sono ovviamente e inevitabilmente alti e ciò rende antieconomico per la maggior parte di tali paesi, se non per tutti, di limitare la produzione in modo da soddisfare il solo fabbisogno interno. Alcuni paesi sarebbero tentati di adottare semplicemente una politica di esportazione verso tutti i paesi, tranne quelli che potrebbero rappresentare un pericolo per sé o per i propri interessi. Il risultato sarebbe una massimizzazione degli interessi dei paesi produttori, ma si tratterebbe di una politica amorale, se non completamente immorale.
I criteri decisionali espressi nell’interrogazione iniziale sull’opportunità o meno di esportare armi sono vari e distinti tra loro. La scelta dei criteri da adottare può inoltre variare a seconda delle diverse tipologie di armamenti. Ai paesi con un basso livello di rispetto dei diritti umani, come l’Iran e come metà dei paesi dell’UE, che incarcerano i dissidenti politici e chi ha opinioni diverse, si dovrebbe proibire l’acquisto di armi leggere, sistemi di sorveglianza e strumenti di coercizione, e consentire invece l’acquisto di armamenti di difesa da attacco esterno.
A paesi dallo spiccato carattere offensivo ma rispettosi dei diritti dei propri cittadini si dovrebbe permettere l’acquisto di armi leggere e strumenti di coercizione, ma non di armi di distruzione di massa. In particolare si dovrebbe negare l’acquisto di qualsiasi tecnologia applicabile alle armi di distruzione di massa agli Stati Uniti, indubbiamente il paese più aggressivo al mondo in quanto responsabile di innumerevoli guerre illegali, violente e destabilizzanti.
Per quanto si deplori invece il livello di rispetto dei diritti umani dell’Iran (atteggiamento al quale certamente mi associo) va riconosciuto che questo paese non si è reso responsabile di azioni offensive nei confronti dei paesi confinanti. Ad esempio non fu l’Iran a iniziare le ostilità nel conflitto contro l’Iraq. Ora questo paese però potrebbe divenire oggetto di un’aggressione e di un attacco pianificato da parte degli Stati Uniti o di Israele. Può non essere opportuno che l’Iran disponga di armi che gli consentano di lanciare un attacco – questo è certo – ma gli si potrebbe concedere l’utilizzo di uno scudo nucleare a scopi difensivi.
Charles Tannock (ECR). – (EN) Signor Presidente, di norma non intervengo, men che meno in una discussione con un europarlamentare iscritto al British National Party, però arrivare ad accusare gli Stati membri di incarcerare i propri cittadini per le proprie idee politiche od opinioni mi sembra troppo! In generale potrò anche essere critico nei confronti dell’Unione europea, ma non sono a conoscenza di alcuno Stato membro che ricorra alla carcerazione per motivi politici. Se così fosse, come si spiegherebbe la presenza dell’onorevole Brons in quest’Aula, per Giove?
(Interruzioni: “L’Ungheria”.)
Questa è una sciocchezza! È in grado di elencare i paesi che mettono in carcere individui a causa delle loro opinioni politiche?
(Interruzioni da parte di alcuni deputati, tra cui l’onorevole Brons, al quale viene concessa la parola)
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signor Presidente, ho detto che in Ungheria il regime precedente mise in carcere numerosi individui per dissenso politico. In molti altri paesi dell’Unione europea invece si ricorre alla carcerazione per gli accademici che sostengono teorie ritenute eretiche. Per quanto sbagliate possano essere tali teorie, non è giustificabile il ricorso al carcere se in esse non si può ravvisare un incitamento alla violenza.
Michael Gahler (PPE). – (DE) Signor Presidente, non intendo concedere all’oratore precedente l’onore di fare riferimento al suo intervento; egli ha però affermato una cosa corretta all’inizio, ovvero che la produzione di armi leggere per le industrie di molti Stati è molto onerosa. Naturalmente le conclusioni che traggo sono diametralmente opposte alle sue; dico cioè che all’interno dell’Unione europea dovremmo essere in grado di produrre gli equipaggiamenti militari necessari a costi minori grazie all’Agenzia europea per la difesa e a programmi di approvvigionamento comuni.
Vorrei però innanzi tutto ringraziare il Presidente in carica del Consiglio per la sua dichiarazione. Ritengo che la possibilità di affermare in questa sede che l’Unione europea ha i criteri giuridicamente vincolanti più moderni al mondo per l’esportazione di armi sia estremamente importante dal punto di vista politico e un motivo d’orgoglio per l’Unione europea.
A questo proposito avrei una domanda per il Presidente in carica del Consiglio. Secondo la casistica da lei illustrata, la consultazione ovviamente ha luogo solo quando uno Stato intende autorizzare una richiesta di esportazione identica a quella rifiutata da un altro stato. Ebbene, la discussione su questo tema è stata ristretta al gruppo di lavoro del Consiglio oppure, e questa è la mia seconda domanda, è già avvenuta a livello politico in sede di Consiglio dei ministri? In questo contesto mi sembra un’informazione rilevante.
Justas Vincas Paleckis (S&D). – (LT) Come già citato da alcuni onorevoli colleghi, l’interrogazione posta dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) è di carattere piuttosto enigmatico e non spiega chiaramente come e perché sia sorto il problema. Sarebbe stata di aiuto una maggiore chiarezza nel sollevare la questione. D’altra parte dobbiamo riconoscere che alcuni paesi dell’Europa centrale e orientale sono particolarmente sensibili e si sentono meno sicuri rispetto ai vecchi Stati membri dell’Unione europea. La posizione comune del Consiglio dell’8 dicembre 2008 ha tracciato alcune linee guida in tema di esportazione di armi. L’opinione degli esperti a proposito della Francia, il paese al centro della discussione di oggi, è che non abbia oltrepassato i limiti posti dalle linee guida; questo però non significa che la progressiva messa in pratica della politica di sicurezza e di difesa impedisca il miglioramento e la revisione di tali linee guida e regole. Concordo pienamente con l’opinione dell’onorevole collega Brok a proposito della necessità di una maggiore collaborazione nell’area degli armamenti. Per quanto riguarda l’esportazione di armi, dobbiamo assicurarci che la fiducia prevalga sul sospetto, che a volte è fondato, ma altre è alimentato senza ragione. Il sospetto aizza pericolosamente Stati membri europei grandi e piccoli, vecchi e nuovi, gli uni contro gli altri. Abbiamo bisogno di maggior fiducia e solidarietà, perché esse non si materializzeranno da sole. Dobbiamo parlarci di più, promuovere consultazioni costruttive, evitare accuse veementi e parallelismi artificiosi con l’inizio o la metà del XX secolo, quando il mito del potere assoluto dominava l’Europa. Dobbiamo migliorare il meccanismo di consultazione all’interno dell’Unione europea per ottenere risultati concreti. Quando ciò avverrà, anche questa discussione si rivelerà utile.
Ryszard Czarnecki (ECR). – (PL) Collaborazione e fiducia sono belle parole, ma ho l’impressione che in verità si decida la politica di esportazione al di fuori dell’Unione europea in base a faits accomplis da parte dei francesi. Gli Stati membri più grandi e più ricchi fanno ciò che vogliono, senza badare agli standard e alle regole dei quali oggi si fa un gran parlare. Risale a pochi giorni fa la notizia della vendita delle portaelicotteri d’assalto Mistral alla Russia da parte della Francia. La mancata conclusione della transazione è da attribuire solo al fatto che la Russia ha dato inizio a speciali procedure d’appalto, ma sappiamo che la consegna avverrà in ogni caso. Intanto un ammiraglio russo ha commentato di recente l’aggressione russa alla Georgia dicendo che, se fossero stati in possesso delle portaelicotteri d’assalto Mistral, la guerra sarebbe durata due ore e non quattro o cinque giorni. È lecita la vendita di armi da parte degli Stati membri dell’UE, quando è noto che i paesi acquirenti le utilizzeranno non per scopi difensivi, bensì offensivi? Alla Georgia non è stato consentito per anni l’acquisto di armi di difesa da Stati membri dell’UE a causa di un embargo speciale in vigore per questo tipo di armamenti. Un simile utilizzo di due pesi e due misure andrebbe evitato.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, la lettura della posizione comune e dei criteri da soddisfare per i paesi esportatori di armi mi ha fatto pensare a Israele, uno Stato che non rispetta le leggi internazionali, calpesta i diritti dell’uomo ed è responsabile dell’invasione di Gaza. A questo punto vorrei far notare a quanti hanno posto l’interrogazione che, nonostante i recenti eventi, a nessuno è venuto in mente di richiedere l’inserimento di una clausola di divieto all’esportazione di equipaggiamenti militari e armi in Israele, paese che non soddisfa i criteri della posizione comune e al quale si dovrebbero imporre una serie di altre sanzioni ivi elencate.
Il primo oratore ha parlato di solidarietà politica in Europa facendo riferimento all’esempio della Grecia. Vorrei ricordare che il criterio 8 della posizione comune afferma che l’intenzione di uno Stato membro dell’Unione europea di esportare armi in un altro Stato membro è vincolata a una valutazione della capacità economica di quest’ultimo. In questo caso però Francia e Germania stanno esercitando pressioni sulla Grecia affinché acquisti le loro armi e al fine di consolidare il proprio supporto politico. Tutto questo avviene mentre la Grecia non solo è in difficoltà finanziarie estremamente gravi, ma è oggetto di numerosi controlli e sta operando tagli su pensioni e stipendi.
Si tratta di posizioni ipocrite, sintomo di una filosofia per la quale sono i profitti delle industrie di armi ad avere la priorità e non il principio di pace, che l’Unione europea invece dovrebbe adottare al posto delle armi nella risoluzione delle differenze.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Importanti produttori di armi da difesa hanno i propri quartieri generali e sedi operative in molti paesi dell’Unione europea e un numero cospicuo di altri Stati nel resto del mondo nutre un forte interesse per gli specifici prodotti di queste aziende. Il loro commercio però differisce da quello di altri beni, perché nella valutazione degli enti commerciali e delle specifiche situazioni entrano in gioco restrizioni legate alla politica estera e di sicurezza.
L’esercizio dell’attività in questione è subordinato al rilascio da parte di uno Stato del permesso di trattare materiale militare o di un’autorizzazione per l’importazione, l’esportazione o il trasporto intra-comunitario di materiale militare. L’attuazione dell’intero processo avviene secondo regole molto precise ed è soggetto a rigorosi controlli da parte dei singoli Stati, che a loro volta sono obbligati a operare in armonia con la propria politica estera. Considerando la specificità e l’unicità di ogni effettiva transazione, ritengo sia necessario che lo svolgimento di questa attività avvenga caso per caso a livello di Consiglio, e soprattutto con una particolare attenzione alla valutazione generale delle possibili conseguenze specifiche a livello di politica estera.
Arnaud Danjean (PPE). – (FR) Signor Presidente, tre brevi considerazioni sull’argomento. In primo luogo, poiché la questione di fondo è la posizione della Francia riguardo la vendita di Mistral, vorrei ricordare che non si è raggiunto ancora alcun accordo definitivo, che si tratta di una nave, che verrebbe venduta priva di armamenti (punto che in realtà rientra tra le questioni principali al centro delle trattative con la Russia) e che i negoziati tra Russia e Francia non riguardano solo l’acquisto di questo tipo di equipaggiamento. Permettetemi quindi di mettere le cose nella giusta prospettiva. Comprendo che questo tasto susciti una sentita reazione in alcuni paesi, ma le emozioni e i fatti sono due cose ben distinte.
In secondo luogo, come lei ha affermato, signor Ministro, abbiamo un codice di condotta europeo per l’esportazione di armi che è divenuto posizione comune sotto la Presidenza francese nel 2008 ed è uno dei più severi al mondo. Sotto questo aspetto siamo più che esemplari e oltre al codice di condotta, come ha ricordato un onorevole collega, vi è anche un gruppo legato alla Politica estera e di sicurezza comune (PESC) che si incontra regolarmente per discutere non solo dell’attuazione del codice, ma anche delle politiche nazionali degli Stati membri sull’esportazione di armi. Non mancano quindi le sedi per affrontare adeguatamente la questione delle Mistral.
Infine, permettetemi di aggiungere che, se si parla di solidarietà europea sull’esportazione di armi, di necessità di una strategia comune e di una politica di difesa, allora lo sguardo va rivolto all’intero ciclo del commercio di armi e di equipaggiamenti di difesa, includendo anche le importazioni e ovviamente l’industria della difesa. Da questo punto di vista, credo che per molti paesi europei il percorso per garantire il mantenimento di tecnologie, posti di lavoro, know-how e una reale capacità strategica di impiego militare sia estremamente lungo.
Zoran Thaler (S&D). – (SL) L’esportazione di moderne navi da guerra francesi in Russia ha una dimensione europea e politica, oltre all’esistenza, o assenza, di una dimensione di solidarietà, perché riguarda sia gli Stati membri della regione baltica, sia i nostri partner nel partenariato orientale, ovvero Georgia, Azerbaigian, Ucraina eccetera.
Sappiamo dell’intervento francese nel conflitto russo-georgiano e della conseguente sottoscrizione di determinati obblighi internazionali da parte della Russia. Ci chiediamo però se la Russia abbia poi rispettato tali obblighi. Ha permesso, ad esempio, l’ingresso nell’Ossezia del sud e in Abkhazia agli osservatori dell’Unione europea? Sono spiacente, ma questo non è ancora avvenuto.
Sappiamo quanto netta sia la posizione comune del Consiglio del 2008: il paese importatore è tenuto a osservare i propri impegni internazionali, rispettare i diritti dell’uomo, mantenere pace, sicurezza e stabilità nella propria regione. E la Russia lo sta facendo?
Un’ultima domanda: in cambio di questa discutibile vendita di navi d’assalto, ritenete che la Francia, o meglio, il Presidente Sarkozy, sia in grado di ottenere da parte della Russia la promessa di cominciare a rispettare veramente i propri impegni internazionali?
Charles Tannock (ECR). – (EN) Signor Presidente, l’industria di armi convenzionali contribuisce in maniera notevole alla economia di molti Stati membri, inclusa quella del mio paese, il Regno Unito. In un mondo instabile e pericoloso, gli Stati membri devono poter difendere sé stessi, i propri interessi e i propri alleati nel mondo.
Negli ultimi anni però l’Unione europea ha fatto registrare un notevole impegno e progressi in sede di Consiglio, con consenso unanime tra i governi, al fine di limitare la produzione e la distribuzione di determinate armi e addirittura per vietare la vendita di armi ad alcuni regimi repressivi. Possiamo essere giustamente fieri di patrocinare la Convenzione di Ottawa, che vieta le mine antiuomo a livello globale. Siamo fiduciosi che l’adozione della Convenzione sulle munizioni a grappolo, entrata in vigore lo scorso mese, costituirà un ulteriore passo verso l’eliminazione di queste terribili armi, sebbene sia ben consapevole della mancanza della ratifica da parte di almeno sei Stati membri.
Nei paesi confinanti con l’UE stiamo lavorando alacremente sotto la guida della Middle Powers Initiative (MPI) per il monitoraggio della produzione di armi e la distruzione degli arsenali di armi nucleari. Un tale impegno deve continuare e se possibile intensificarsi.
Dobbiamo rimanere sempre vigili, visti i tentativi da parte dei terroristi di procurarsi armi attraverso paesi dove i controlli su detenzione ed esportazione di armi avvengono in maniera molto meno rigorosa.
Infine è opportuno che l’Unione europea mantenga il divieto di esportazione nei confronti della Cina per due motivi: innanzi tutto per il deplorevole livello di rispetto dei diritti dell’uomo da parte del regime nei confronti dei propri cittadini; in secondo luogo per dare una dimostrazione di sostegno a Taiwan, che data la prossimità alla Cina è il nostro alleato democratico potenzialmente più in pericolo.
Inese Vaidere (PPE). – (LV) Onorevoli colleghi, le armi e gli equipaggiamenti militari non sono semplici beni commerciali, ma un settore specifico che si riflette direttamente sulla sicurezza nazionale. L’esportazione di armi e di equipaggiamenti militari in paesi terzi, specialmente in democrazie di dubbia reputazione, dove si registrano violazioni dei diritti dell’uomo e rapporti con paesi vicini agli ambienti terroristici, costituisce una seria minaccia non solo per l’Unione europea, ma anche per paesi terzi. Proprio per questo motivo l’esportazione di armi deve essere vista come una componente importante della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. Si può parlare di politica di difesa comune, come ha fatto ieri il Presidente Barroso, se ogni paese ha facoltà di portare avanti i propri commerci autonomamente? La decisione della Francia di vendere una nave da guerra Mistral rappresenta un trasferimento diretto di tecnologia militare a un paese terzo che non è legato all’Europa da un’alleanza militare. Dobbiamo ammettere che un trasferimento di tecnologia in sé non ha necessariamente come conseguenza una maggiore amicizia da parte del paese in questione nei confronti dell’Unione europea, né ora né in futuro, come invece affermato dal ministro francese degli Affari europei Lelouch e da alcuni onorevoli colleghi nel corso della discussione odierna. Il successo di qualsiasi strategia dell’Unione europea dipende dall’adesione a principi adottati da tutti e questo vale in egual misura per la solidarietà tra i paesi dell’UE e per il riconoscimento degli interessi comuni nel corso del processo decisionale. Sia il trattato sull’Unione europea, sia la posizione comune del Consiglio, che definisce le regole comuni sul controllo delle esportazioni di tecnologia ed equipaggiamenti militari, sottolineano l’importanza della solidarietà. Gli interessi economici a breve termine dei singoli non possono ostacolare le priorità e gli obiettivi comuni dell’Unione europea. Le decisioni che hanno un impatto sulla politica estera e di sicurezza dell’Unione europea devono essere prese tramite la consultazione di tutti gli Stati membri, coadiuvati da un adeguato meccanismo giuridicamente vincolante e creato al fine di permettere l’analisi di tutte le possibili conseguenze secondo criteri stabiliti collegialmente. Grazie.
Marietta Giannakou (PPE). – (EL) Signor Presidente, l’interrogazione posta oggi al Consiglio offre l’opportunità di sollevare un’altra importante questione, sostenuta da molti di noi nel corso della Convenzione europea e nel quadro della conferenza intergovernativa, ovvero: difesa e sicurezza in Europa e la creazione di due agenzie, una deputata alla produzione di armi e l’altra per la difesa comune.
Non dimentichiamo che negli Stati Uniti vi è un’unica linea di produzione di carri armati, mentre in Europa ve ne sono 16; otterremmo di conseguenza economie di scala. Tenendo a mente la posizione comune del Consiglio sul controllo delle esportazioni di armi del 2008 dobbiamo ammettere, Presidente Chastel, che non vi è un controllo reale, e non mi riferisco alla Francia ma a tutti i paesi in Europa. Allo stesso modo nessuno controlla realmente se i paesi nei quali esportiamo esportino a loro volta armi a paesi terzi, agendo in altre parole da intermediari tra noi e paesi che non riforniremmo mai.
Ho l’impressione che il gruppo formato nel quadro della PESC non sia in grado di controllare l’esatta destinazione delle armi esportate dagli Stati membri. Un’efficace attuazione della posizione comune e delle sue restrizioni costituirebbe un passo in avanti, ma si può ottenere un vero successo nel controllo delle esportazioni di armi solo attraverso la creazione di un’agenzia di difesa comune e di un’agenzia di produzione di armi, che permetterebbero di ridurre i costi, dando sostegno al contempo ai nostri principi e valori, sulla base dei quali impostare produzione ed esportazione.
Alf Svensson (PPE). – (SV) Signor Presidente, ieri nel suo intervento il Presidente della Commissione ha enfatizzato l’importanza di una politica estera comune e di sicurezza per l’Unione europea. Si tratta di un appello già sentito molte volte. Il Presidente Barroso si è espresso inoltre in tema di difesa comune. A mio avviso una politica coerente deve includere l’industria della difesa e l’esportazione di armi. È un dato di fatto che il trattato sull’Unione europea includa, come già citato, il principio di solidarietà e l’obbligo per gli Stati membri di consultarsi a vicenda all’interno del Consiglio su qualsiasi questione inerente alle politiche estera e di sicurezza. È possibile essere più chiari?
La posizione comune del Consiglio dell’8 dicembre 2008 stabilisce le regole comuni per il controllo delle tecnologie e degli equipaggiamenti militari. Dove sono finite queste posizioni comuni? Non sono arrivate fino in Francia? Forse non sono arrivate neppure fino a noi? Gli Stati membri di Lituania, Estonia e Polonia assieme alla Georgia sostengono che la vendita di navi da guerra Mistral alla Russia abbia diminuito il loro livello di sicurezza. L’ammiraglio Vladimir Vysotsky, comandante in capo della marina militare russa, ha affermato che, se la sua flotta di stanza nel Mar Nero avesse avuto una nave Mistral durante il conflitto con la Georgia, le operazioni sarebbero durate 40 minuti invece che 26 ore.
Non dobbiamo permettere agli Stati membri più grandi di prendersi delle libertà. È risaputo che questi paesi ambiscono al monopolio dell’esportazione di armi, cosa ovviamente inaccettabile. Il paese che detiene la Presidenza, il Belgio, dovrebbe dare avvio al dibattito all’interno dell’Unione europea al fine di ottenere disposizioni comuni chiare sull’esportazione di armi.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, la discussione si incentra sulla contrapposizione tra bilateralismo da una parte, politiche comuni e solidarietà dall’altra. Tra i cittadini di numerosi Stati membri si è diffusa una seria preoccupazione dovuta all’imminente esportazione di moderne tecnologie militari a paesi terzi.
Appena un anno fa la Russia conduceva manovre militari nell’Europa nord orientale simulando un’invasione dei paesi baltici. Ricordiamo inoltre le famose parole del comandante in capo della marina militare russa, secondo il quale sarebbero bastate 3 ore invece che 3 giorni per portare a termine le operazioni dell’agosto 2008, se avesse avuto a disposizione le portaelicotteri Mistral.
Le dichiarazioni del Segretario di Stato Chastel hanno fornito una risposta soddisfacente e molto positiva ai nostri timori, e lo stesso vale per la dichiarazione dell’onorevole collega Danjean di contrarietà alla vendita di tecnologie militari. I russi però hanno insistito molto per poter acquistare esattamente quel tipo di tecnologia militare e insisteranno ancora.
Rimane un’ultima domanda senza risposta: perché non affrontiamo i casi di possibile vendita di tecnologie militari da parte di uno Stato membro a paesi terzi nel corso delle consultazioni e delle discussioni normali in Consiglio? Questo è appunto il nostro messaggio per il Consiglio europeo: riteniamo necessario che la discussione sull’esportazione di equipaggiamenti militari a paesi terzi divenga una routine in seno al Consiglio.
Krzysztof Lisek (PPE). – (PL) Signor Presidente, produzione ed esportazione di armi e tecnologie militari sono state oggetto di molte discussioni e continueranno sempre a rappresentare un tema ostico a causa della loro natura controversa. I sospetti su chi fomenta conflitti e causa destabilizzazione in determinate regioni vi sono sempre stati e hanno ancora motivo di sussistere. Come già citato da oratori precedenti, anche il controllo dell’esportazione di armamenti non è compito facile. D’altro canto però l’industria degli armamenti costituisce un settore importante per le economie di numerosi Stati membri. Tra i paesi esportatori si contano Francia, Regno Unito, Germania, Polonia, Repubblica ceca e molti altri Stati membri, oltre a Stati Uniti e Russia al di fuori dell’Unione europea. Siamo lontani quindi da una situazione in cui produzione ed esportazione di armi possano divenire oggetto della politica dell’UE. Attualmente gli Stati membri mantengono un alto grado di autonomia in questo campo, ma non sono tenuti ad armonizzare le proprie leggi con la posizione comune del Consiglio del 2008.
Un breve commento sul tema Mistral: invito gli onorevoli colleghi francesi a comprendere la preoccupazione dei paesi baltici e della Polonia. Secondo alcuni generali russi le navi potrebbero venire destinate al Mar Baltico, sul quale si affacciano solo Stati membri dell’Unione europea, oltre alla Russia.
Andrzej Grzyb (PPE). – (PL) Signor Presidente, l’interrogazione dell’onorevole Kariņš è chiaramente giustificata e, sebbene sia stata reiterata durante l’incontro della commissione per gli affari esteri, nessun collega ha ottenuto risposte soddisfacenti. A questo proposito è necessario che il Consiglio agisca in maniera precisa, soprattutto perché sia l’onorevole Kelam sia l’onorevole Czarnecki hanno fornito un contesto più volte citato in questa sede, ovvero la alla considerazione che i comandanti militari russi hanno di questo tipo di armamento e in particolare il fatto che le navi d’assalto Mistral rappresentano un arma offensiva. È opportuno non concentrarsi unicamente sulla conclusione della vendita, ma interrogarsi anche sulle conseguenze che tale vendita comporterebbe. Ci rendiamo tutti conto che è in vigore la direttiva del 2008 , ma a volte dobbiamo anche accettare il fatto che non sia sufficiente la sola esistenza delle disposizioni di una direttiva e di altri regolamenti. La necessità di prendere una decisione è dimostrata dal caso del controllo sul conflitto in Georgia, questione di interesse da parte dell’Unione europea ma ancora irrisolta.
Kyriakos Mavronikolas (S&D). – (EL) Signor Presidente, l’Unione europea sta oggi costruendo veramente una politica estera comune e una politica di difesa, e senza dubbio vi è la necessità di determinati protocolli per regolamentare la condotta delle industrie di armi nei confronti di paesi terzi. Il tema di questa discussione però fa nascere in me un dubbio che desidero presentarvi oggi in seduta plenaria.
Come è possibile giustificare il fatto che per le industrie degli armamenti, in particolare nel Regno Unito, esista un embargo nei confronti di uno Stato membro dell’Unione europea come la Repubblica di Cipro e delle sue forze armate, quando allo stesso tempo si permette alla Turchia di ammodernare, dislocare e trasportare equipaggiamenti, militari e non, all’interno del territorio occupato di Cipro?
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, sono stato relatore per questo Parlamento per molti anni, nel corso dei quali quest’Aula ha richiesto praticamente all’unanimità la trasformazione del Codice di condotta del 1998 in una posizione comune vincolante, adottata nel 2008; questo venne allora considerato come un ulteriore ma non definitivo progresso, un passo necessario ma non sufficiente, come è risultato evidente dalla discussione odierna.
Vorrei anche ricordare a quest’Aula che tutti gli Stati membri dell’Unione europea stanno supportando il trattato internazionale sul controllo delle esportazioni di armi nelle Nazioni Unite; proprio questo è l’argomento centrale.
Esportare armi non è come esportare frigoriferi; ha conseguenze molto serie perché le armi uccidono, distruggono e impoveriscono le società. L’Unione europea contribuisce a questo mercato nel momento in cui esporta armi in Israele, in Colombia, in Afghanistan. Dovremmo agire tenendo presente questo senso di responsabilità.
Ritengo quindi necessario ricordare a quest’Aula che, quando si tratta questo argomento, non è solamente una questione di mercato interno, di commercio o di sicurezza, ma bisogna piuttosto considerare la responsabilità internazionale e temo che non è ciò che stiamo facendo.
Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (EN) Signor Presidente, il trattato di Lisbona ha portato a maggiori coordinamento e solidarietà in molti ambiti, inclusa la politica estera e di sicurezza. Il trattato contiene inoltre una clausola di reciproca assistenza in caso di aggressione militare a uno Stato membro.
Alla luce di questo, i piani della Francia di vendere quattro navi da guerra alla Russia e di svelarle così tecnologie segrete di costruzione navale divengono alquanto allarmanti. Inoltre le navi da guerra Mistral sono di natura chiaramente offensiva, e sottolineo offensiva, non difensiva.
Di conseguenza, prima di occuparci delle disposizioni di solidarietà previste dal trattato di Lisbona dobbiamo impedire un abbassamento del livello di sicurezza degli altri Stati membri o dei paesi confinanti.
Invito quindi il Consiglio a fare quanto rientra nei suoi poteri per dare inizio ad ampie discussioni all’interno dell’Unione europea sulla necessità di sviluppare una definizione comune e un approccio aggiornato nei confronti della vendita di armi a paesi terzi.
Janusz Władysław Zemke (S&D). – (PL) Signor Presidente, vorrei rivolgere l’attenzione al fatto che l’esportazione di armi è sempre legata alla politica di sicurezza dell’Unione europea. L’esportazione di armi non rappresenta una sfera autonoma o isolata; si tratta di questioni che non riguardano mai solo la sfera militare o quella economica, perché dietro all’esportazione si cela il profitto delle aziende coinvolte e anch’esso ha sempre a che fare con la politica di sicurezza. Sostengo quindi quanti propongono di discutere in sede di Consiglio il tema della politica europea su esportazione e collaborazione militare. L’esportazione di navi d’assalto Mistral a Mosca suscita in noi numerosi dubbi e commenti, ma, osservando la questione dal punto di vista della realizzazione di un sistema di difesa antimissile europea, ad esempio, un coinvolgimento della Russia potrebbe rivelarsi vantaggioso a mio avviso. In altre parole, e in breve, queste questioni non sono così ovvie come sembrano.
Katarína Neveďalová (S&D). – (SK) Non sono assolutamente un’esperta di armamenti o cose simili, ma vi parlo in veste di pacifista e vorrei considerare la questione dal punto di vista di un normale cittadino dell’Unione Europea. Tenendo presente che al momento la produzione di armi nell’Unione europea non conosce sosta, e che al mondo sono in corso circa 30 guerre e innumerevoli altri conflitti regionali o locali, è necessario rendersi conto che tale produzione è votata direttamente a seminare morte e distruzione.
Non preferiremmo forse che i singoli Stati investissero il proprio budget annuale destinato all’armamento o all’equipaggiamento dei propri eserciti, ovvero i soldi dei contribuenti, nella formazione invece? Questa soluzione si rivelerebbe molto più utile in un periodo di crisi economica come questo. Gradirei anche sapere da alcuni di voi quanti Stati membri hanno ridotto il proprio budget per la difesa in questo periodo di crisi economica e in che misura. Sarebbe opportuno che pensassimo all’esempio che stiamo dando alle generazioni più giovani, quando ad esempio eleviamo a sport olimpico una forma di distruzione come le discipline di tiro.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, è stata una discussione molto interessante e vorrei ritornare in maggiore dettaglio su due concetti.
Innanzi tutto vorrei riformulare il concetto di responsabilità. L’articolo 4, paragrafo 2, della posizione comune stabilisce che la decisione di autorizzare o negare il trasferimento di qualsiasi tecnologia o equipaggiamento militare resta di competenza di ogni Stato membro. Di conseguenza tale responsabilità spetta in primo luogo e chiaramente alle nazioni. La posizione comune non priva gli Stati membri di questa responsabilità, ma presenta un’ampia serie di disposizioni al fine di ottenere un coordinamento efficace e un reciproco scambio di informazioni.
Il secondo approfondimento riguarda il concetto di trasparenza. La posizione comune stabilisce che gli Stati membri presentino una relazione annuale sulle proprie esportazioni di armi, sulla base della quale sarà pubblicata annualmente una relazione globale europea contenente informazioni sul valore economico delle autorizzazioni rilasciate, suddiviso in base alla destinazione, alla categoria di equipaggiamento militare, al numero di autorizzazioni rifiutate e alle relative consultazioni tra gli Stati membri.
Oltre alla relazione annuale dell’Unione europea, la posizione comune richiede agli Stati membri la pubblicazione di relazioni nazionali sull’esportazione di tecnologie ed equipaggiamenti militari. L’obiettivo di trasparenza espresso dalla posizione comune si realizza quindi sia a livello di Unione europea, sia a livello nazionale, nonostante io concordi che spetti all’UE dare l’esempio.
Vorrei aggiungere che, come affermato da vari colleghi, la posizione comune rappresenta un progresso considerevole rispetto al codice di condotta. La sua adozione risale al dicembre 2008, meno di due anni fa; è quindi ragionevole attendere che le nuove disposizioni introdotte dalla posizione comune abbiano effetto prima di intraprendere la revisione di un nuovo sistema anche se, dopo aver ascoltato e compreso le vostre parole, saremmo tentati di rendere il sistema attuale più restrittivo oppure di collegarlo a un sistema di sanzioni.
Infine vorrei chiarire un aspetto molto specifico e rassicurarvi sul fatto che la posizione comune è stata discussa in diverse occasioni a livello politico, in particolare in sede di Consiglio e specialmente nel contesto dell’embargo sulle armi per la Cina.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) Signor Presidente, non voglio richiamare alcun articolo del regolamento, ma desidero semplicemente comunicarle una notizia molto importante: il ministro degli Affari esteri iraniano ha appena annunciato la sospensione della condanna a morte per lapidazione di Mohammadi-Ashtiani.
In questo Parlamento ci siamo battuti tutti e le forze democratiche mondiali stanno continuando la battaglia per ottenere molto di più della sospensione o dell’annullamento della sentenza. Questo è solo un inizio e continueremo a batterci. Scusate ma era una notizia da condividere.
Presidente. – Grazie onorevole Ries. Sono esattamente le cose che ho detto in apertura della sessione, quando ho annunciato questa notizia, mi fa piacere che siano state ribadite da lei, noi continuiamo questa battaglia per la revisione del processo e in generale per affermare i diritti umani in tutto il mondo.
12. Progetto di legge sulle ONG israeliane (discussione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la discussione sull'interrogazione orale alla Commissione sul progetto di legge sulle ONG israeliane, di Franziska Katharina Brantner, Nicole Kiil-Nielsen, a nome del gruppo Verts/ALE, Annemie Neyts-Uyttebroeck, Alexandra Thein, Ivo Vajgl, Baronessa Sarah Ludford, Leonidas Donskis, a nome del gruppo ALDE, Véronique De Keyser, a nome del gruppo S&D, Marie-Christine Vergiat, a nome del gruppo GUE/NGL (O-0046/2010 - B7-0319/2010).
Franziska Katharina Brantner, autore. – (EN) Signor Presidente, prendo la parola in veste di sostenitrice della democrazia e a difesa della democrazia israeliana. I timori per la democrazia di questo paese ci hanno spinto a presentare prima del vertice un'interrogazione sul disegno di legge sulle ONG israeliane, che ricorda provvedimenti varati da paesi decisamente meno democratici. Parte della legislazione in oggetto riguardava l’inserimento delle ONG nel registro dei partiti politici e la cancellazione in questo modo dello status di organizzazione esente da tasse, provvedimenti che hanno suscitato profonda preoccupazione.
Abbiamo notato con piacere che la normativa è stata modificata con l’eliminazione di queste clausole, ma, seppure modificato, il disegno di legge mira tuttora a ottenere maggiore trasparenza sui finanziamenti da parte di entità politiche straniere, mentre sono esentati da quest'obbligo i donatori privati – un aspetto alquanto preoccupante – e si concentra in particolare sui fondi provenienti dall'Unione europea.
La nuova legge si rivolge, tra gli altri, all'UE, perché quella parte dell'opinione israeliana che non necessariamente sostiene la democrazia e i diritti umani ritiene che essa sponsorizzi ONG il cui operato va contro gli interessi di Israele, senza di fatto specificare quali siano questi interessi.
Siamo seriamente preoccupati. Quali potranno essere le conseguenze per i finanziamenti europei? Come intende reagire l'UE? Non è forse giusto prevedere lo stesso obbligo alla trasparenza per tutti i donatori che sostengono le ONG israeliane, pubblici o privati che siano, dell'UE o di qualunque altro paese?
Annemie Neyts-Uyttebroeck, autore. – (EN) Signor Presidente, da quando ho sottoscritto l'interrogazione orale alla Commissione sulla proposta per la cosiddetta legge sulla trasparenza delle ONG israeliane (com'è stata definita dall'organizzazione non governativa israeliana nota come NGO Monitor, letteralmente osservatore delle ONG), il testo è stato notevolmente ammorbidito, come ha precisato l'onorevole Brantner. Il mio gruppo ed io personalmente condividiamo le modifiche apportate: non è più previsto l'obbligo di iscriversi al registro dei partiti politici per tutti i beneficiari di finanziamenti stranieri destinati allo svolgimento di attività politica in Israele. Pare altresì che le ONG non rischino più di perdere l'esenzione dall'obbligo fiscale e che eventuali irregolarità rispetto a questa norma saranno passibili di ammenda.
Ribadisco che si tratta di modifiche positive. Le autorità e numerose ONG israeliane possono non aver gradito la nostra reazione al testo originario del disegno di legge, ma, come si è visto, la nostra iniziativa ha avuto effetto.
Le finalità del testo attuale, che pare innanzi tutto teso a intimidire l'Unione europea e i suoi Stati membri, non cessano tuttavia di destare preoccupazione. La nota informativa diffusa dalla già citata NGO Monitor sostiene che ogni anno l'Unione europea e gli Stati membri finanziano con decine di milioni di euro e attraverso procedure scarsamente trasparenti un gruppo ristretto di ONG israeliane altamente politicizzate. Afferma inoltre che nei paesi democratici non si è mai assistito a un'azione di portata paragonabile a quella condotta dai paesi europei al fine di sfruttare i finanziamenti destinati alle ONG per influenzare il dibattito pubblico e politico israeliano. Conclude sostenendo che il processo di democratizzazione di Israele e il diritto dei cittadini all'informazione impongono maggiore trasparenza sui finanziamenti da parte di governi esteri.
È evidente che gran parte di queste affermazioni sono del tutto infondate, eppure indicano chiaramente la diffidenza diffusa tra gli opinionisti israeliani nei confronti dell'Unione europea e la necessità di intervenire sulla questione. Queste parole rivelano inoltre come alcune importanti fasce dell'opinione pubblica israeliana si sentano assediate, questione altrettanto preoccupante. Entrambi questi elementi rendono una risoluzione pacifica per il Medio Oriente ancora più complessa di quanto già non sia. Vorrei sapere, Commissario, che cosa intende fare per migliorare la situazione.
Véronique De Keyser, autore. – (FR) Signor Presidente, la relazione Goldstone ha avuto esiti imprevisti.
Si prefiggeva di accertare eventuali crimini di guerra commessi durante l'operazione “Piombo fuso” del dicembre 2008 ed ha in effetti suscitato aspre polemiche in Israele. Il giudice Goldstone è stato oggetto di attacchi personali e le ONG che avevano avuto il coraggio di produrre le prove sono state prese di mira. In seguito a questa tempesta mediatica, sono state presentate varie proposte di legge volte a inasprire i controlli sulle ONG e a scoraggiare l'opposizione alla politica di governo.
Tra questi provvedimenti figurava innanzi tutto un disegno di legge che equiparava le ONG a organizzazioni politiche, negando loro lo status di organizzazioni esenti da tasse.
Era stata altresì presentata una proposta mirata a rendere perseguibile penalmente il boicottaggio di prodotti israeliani, anche quelli provenienti dagli insediamenti, e le azioni di boicottaggio indette da parte di governi, organizzazioni o cittadini stranieri. In sostanza, se un cittadino francese lanciasse su Internet un appello per boicottare prodotti provenienti dagli insediamenti, sarebbe punibile penalmente, e lo stesso trattamento sarebbe riservato all'Autorità palestinese, in circostanze analoghe.
Era stata infine avanzata una proposta sulla giurisdizione universale che attribuiva a Israele la competenza decisionale in questi casi.
Sono inoltre all'esame numerose altre proposte mirate a limitare la libertà di espressione e movimento. Sarebbe impossibile elencarle tutte, ma condividono le stesse finalità e sono ugualmente motivo di preoccupazione, dal momento che costituiscono un attacco diretto alla libertà di espressione, uno dei diritti umani universali e corollario imprescindibile della democrazia.
È positivo che la Knesset abbia modificato la legge sulle ONG al punto da renderla pressoché accettabile da parte delle organizzazioni stesse; auspichiamo che gli altri disegni di legge seguano lo stesso corso, specie per quanto riguarda la proposta relativa ai boicottaggi, che sarà esaminata in prima lettura il 15 settembre.
Desidero attirare l'attenzione della Commissione su un punto: non poter più affermare che, secondo quando previsto dai nostri accordi, in Europa non è consentito acquistare beni importati illegalmente, equivarrebbe a non poter vietare l'acquisto per strada di orologi falsi o prodotti contraffatti. Il Parlamento seguirà con attenzione la questione.
A questo proposito, vorrei sapere che cosa sta facendo l'Europa per il processo di pace tra Israele e Palestina? Dov'era il nostro Alto rappresentante? Qual è il nostro ruolo in questo processo tanto importante?
Marie-Christine Vergiat, autore. – (FR) Signor Presidente, all'inizio dell'anno il governo israeliano ha approvato un disegno di legge che mette in discussione i finanziamenti dell'Unione europea alle ONG in Israele.
Ho personalmente sottoscritto questa interrogazione e sono lieta che permetta di constatare l'ottimo lavoro svolto dalle ONG israeliane, che ogni giorno si battono a favore della pace, della democrazia e per il rispetto dei diritti umani nel territorio dello Stato d'Israele. Troppo spesso, nel contesto del conflitto israelo-palestinese, queste organizzazioni vengono dimenticate sebbene svolgano un lavoro eccezionale e, come detto, siano di frequente oggetto di persecuzioni.
Le pressioni esercitate sul governo israeliano, soprattutto da parte nostra, lo hanno indotto a tornare sui propri passi, pur senza cambiare l'orientamento della propria politica. Non vi è dubbio che le autorità israeliane intendono dispiegare un vero e proprio arsenale legislativo che elimini alla radice qualsiasi critica, anche dall'estero, rispetto alla propria condotta politica.
Anch'io mi sto occupando delle norme che mirano a proibire le azioni di boicottaggio e quella ancora peggiore che mette in discussione il principio della giurisdizione universale, contemplata da tanti trattati internazionali di cui Israele è firmatario. Sappiamo purtroppo che quando si tratta di diritto internazionale, talvolta il governo israeliano adotta una posizione che potremmo definire "geometria variabile": è infatti evidente che queste proposte non sono che la reazione del governo israeliano alla relazione Goldstone.
Signor Commissario, l'Unione europea ha istituito con Israele un partenariato privilegiato che sembra a tutti gli effetti incontestabile. Quest'Aula ritiene tuttavia che esistano dei limiti: dobbiamo porre fine alle persecuzioni perpetrate dal governo israeliano ai danni di quelle ONG che muovono critiche alla sua politica e insistere affinché ritiri queste proposte, che non sono degne di uno Stato che si definisce democratico.
Può assicurare che, anche qualora queste norme siano adottate – per quanto mi auguro che ciò non avvenga – l'Unione europea continuerà comunque a finanziare in maniera incondizionata le ONG israeliane? Può dirci come intende intervenire la Commissione per convincere il governo a ritirare queste misure e a garantire il diritto alla libertà di associazione, uno dei pilastri della democrazia? Può assicurare che, nel quadro dell'istituzione del servizio europeo per l'azione esterna, saranno nominati funzionari di collegamento in Israele con competenza per i diritti umani, consentendo così alle ONG di avere intermediari presenti sul territorio?
Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, nelle società aperte e democratiche le organizzazioni della società civile rivestono un ruolo cardine. Da sempre, la società civile israeliana è libera, aperta e vivace e assicura un contributo positivo in molti settori, tra cui la tutela dei diritti umani, sia in Israele sia nei Territori palestinesi occupati, le tematiche legate all'ambiente e alla cultura.
L'Unione europea collabora con le organizzazioni non governative israeliane da anni ed è determinata a portare avanti questa fruttuosa sinergia, soprattutto dal momento che molte di queste ONG vantano un'eccellenza professionale nei rispettivi ambiti di azione. Abbiamo pertanto seguito con apprensione la discussione alla Knesset sul disegno di legge relativo ai "requisiti di informativa per i beneficiari di sostegno da parte di un'entità politica straniera" e abbiamo più volte fatto presente le nostre preoccupazioni alle autorità israeliane.
Come evidenziato dalla Commissione nella relazione sui progressi realizzati dalla politica europea di vicinato, la prima versione del disegno di legge del febbraio scorso prevedeva nuovi requisiti sulle attività della società civile che, se adottati, avrebbero seriamente compromesso l'operato delle ONG in Israele.
Durante l'estate, insieme al governo e ai rappresentanti della società civile, la Knesset ha esaminato una nuova versione del disegno di legge ampiamente rivista, e ad agosto ha approvato una nuova proposta in prima lettura.
L'ultima versione contiene incoraggianti passi avanti: sono state eliminate la cancellazione dello status di organizzazione esente da tasse e l'obbligo di iscriversi nel registro dei partiti politici.
A nostro avviso, tuttavia, i requisiti di informativa imposti alle ONG sono comunque eccessivamente rigorosi, dal momento che gli attuali obblighi amministrativi previsti in Israele per queste organizzazioni assicurano già sufficiente trasparenza sui finanziamenti pubblici. Come giustamente sottolineato, le nuove norme riguardano unicamente i finanziamenti pubblici dall'estero, mentre i donatori esteri privati ne sarebbero esonerati. Un sistema del genere risulterebbe discriminatorio nei confronti degli enti che operano con finanziamenti esteri pubblici, inclusi quelli dell'Unione europea.
Il piano d'azione della PEV prevede un confronto periodico tra Israele e Unione europea sulle questioni della società civile e punta a favorire le occasioni di scambio tra i due paesi a questo livello. L'ultimo incontro del gruppo di lavoro UE-Israele per i diritti umani si è svolto il 2 settembre e ha affrontato nel dettaglio la questione del sostegno alle ONG.
Continueremo a seguire attentamente gli sviluppi nei prossimi mesi, quando la Knesset sottoporrà il disegno di legge a ulteriori discussioni e letture.
Hans-Gert Pöttering, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, Commissario Füle, onorevoli colleghi, il disegno di legge sulle organizzazioni non governative (ONG) israeliane ha rappresentato per tutti motivo di profonda preoccupazione, per il rischio di vedere sensibilmente ridotta la capacità di azione di questi enti.
In occasione della visita a Gerusalemme della delegazione dei Presidenti di commissione del Parlamento europeo, alla quale ho partecipato in qualità di presidente del gruppo di lavoro sul Medio Oriente, abbiamo manifestato alla Knesset la nostra preoccupazione, soprattutto nel corso di un incontro estremamente positivo con il vice Primo ministro Meridor. A capo delle principali cariche pubbliche vorrei vedere più persone intelligenti e moderate come Dan Meridor, anziché il ministro degli Esteri, per esempio, le cui posizioni non condividiamo affatto.
Come hanno osservato tutti gli oratori, il disegno di legge è stato migliorato. Mi rallegro per le dichiarazioni del Commissario Füle, ma restano ancora questioni irrisolte: quando vengono imposte restrizioni alle competenze e all'ambito d'influenza delle organizzazioni per la promozione dei diritti umani e ad altre ONG, è il momento di far sentire la nostra voce. Il disegno di legge non è ancora stato approvato e la decisione è attesa per la tornata di ottobre della Knesset. Continueremo a seguire attentamente la questione.
Da autentico amico di Israele, ritengo che il governo e il parlamento di questo paese vadano trattati esattamente come qualsiasi altra istituzione analoga. Israele ritiene a ragione di essere uno Stato democratico e deve pertanto saper accettare le critiche al momento opportuno.
Non capisco per quale motivo l'ambasciata israeliana a Bruxelles ieri abbia rilasciato un comunicato stampa in cui ha dichiarato che oggi avremmo discusso una questione inesistente e che il dibattito non si sarebbe nemmeno dovuto tenere per rispetto del processo di pace in Medio Oriente.
Al governo israeliano voglio dire con la massima chiarezza che non condividiamo le dichiarazioni del Presidente iraniano sulla sicurezza di Israele, siamo contrari a tutte le forme di terrorismo e condanneremo l'uccisione di cittadini israeliani a Hebron. A Israele, tuttavia, va raccomandato anche di non riprendere la costruzione degli insediamenti dopo il 26 settembre, bensì di gettare le fondamenta affinché il processo di pace possa continuare. Israele ha una forte responsabilità in questa regione e ci auguriamo sia possibile pervenire a una pace stabile e duratura, in cui sia Israele che lo Stato palestinese possano contare su confini sicuri. È importante la dignità tanto dei cittadini israeliani quanto di quelli palestinesi.
(Applausi)
Richard Howitt, a nome del gruppo S&D. – (EN) Signor Presidente, nella settimana in cui riprendono i colloqui di pace diretti e nel giorno in cui si festeggia il capodanno ebraico (shana tova a tutti gli ebrei in Europa e nel mondo) mi rammarico profondamente che la Knesset non rinunci a imporre pesanti e inaccettabili obblighi di informativa a tutte le organizzazioni per i diritti umani che ricevono finanziamenti dall'estero, anche dall'Unione europea.
Il gruppo di lavoro sul Medio Oriente e la sottocommissione parlamentare per i diritti dell'uomo hanno riferito che le ONG interessate svolgono in buona fede attività in difesa dei diritti umani, eppure vengono accusate di ingerenza politica.
Questo genere di restrizioni agli aiuti internazionali destinati alle organizzazioni per la promozione dei diritti umani vengono imposte in paesi quali Birmania, Tunisia e Ruanda; non dovrebbero esistere in un paese come Israele e contrastano con l'impegno a sostenere la libertà di associazione assunto con le Convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro.
Da entrambe le fazioni del conflitto in Medio Oriente, sono troppo poche le voci che si levano a favore della pace e dei diritti umani e troppo spesso sono sovrastate da quanti preferiscono seguire la strada della violenza.
Le società democratiche pluralistiche che operano in condizioni di pace e stabilità contribuiscono allo sviluppo della società civile, anche quando il suo messaggio, per certi versi, può risultare difficile. Come sosteneva George Orwell: "La libertà è il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire".
Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, il mio intervento fa riferimento alla lettera dell'ambasciatore israeliano Curiel al presidente della sottocommissione parlamentare sui diritti umani.
Inizialmente intendevo rallegrarmi e indubbiamente condividere la dichiarazione in cui l'ambasciatore sostiene che dovremmo essere preparati a sostenere il principio della trasparenza sui finanziamenti alle organizzazioni. Ci aspetteremmo una simile posizione qui in Europa, perché quindi non anche in Israele?
Mi sono poi soffermato su uno degli ultimi paragrafi della lettera, in cui l'ambasciatore si dice risentito che si possa paragonare la pluralistica società civile israeliana a certi altri paesi. Sostiene che imboccare una strada talmente sbagliata ci porterà a soffermarci sulle credenziali presenti e passate dell'Europa: se questo non è un riferimento all'Olocausto, allora non so che altro sia. Il messaggio è chiaro: visto quanto è accaduto in passato, voi europei non avete il diritto di criticare Israele. Avete le mani sporche di sangue.
Non è mia la colpa degli atti compiuti dai nazisti. Come la maggior parte dei presenti, non ero neanche nato all'epoca e l'Unione europea è stata istituita per evitare che quell'orrore si ripeta. Mi rifiuto di avallare l'idea che dovremmo chiudere un occhio davanti al deplorevole comportamento di Israele a Gaza, davanti al blocco economico, all'occupazione del territorio palestinese e alle violazioni dei diritti umani.
Non capisco perché mai non dovremmo chiedere per quale motivo un popolo che in passato ha tanto sofferto, debba ora infliggere le stesse sofferenze al popolo palestinese.
(Applausi)
Nicole Kiil-Nielsen, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, qualcuno sostiene che la discussione odierna abbia perso di vista il tema centrale. Dal 2005, quando sono iniziati gli attacchi ai finanziamenti europei destinati alle ONG israeliane, le condizioni di lavoro della società civile israeliana sono in continuo peggioramento.
Dopo la pubblicazione della relazione Goldstone, molti rappresentati delle organizzazioni sono stati diffamati, intimiditi e arrestati. Sono quattordici i disegni di legge attualmente all'esame e tutti volti a limitare l'indipendenza e la libertà di associazione. Vorrei ricordare che gli attivisti israeliani per i diritti umani non possono più entrare nei territori occupati se non con un permesso dell'esercito.
Gli attivisti israeliani che lavorano per promuovere la democrazia e la pace, e che hanno tratto beneficio dallo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, sono preoccupati perché, seppure nella versione modificata, questo disegno di legge punta apertamente ai finanziamenti delle organizzazioni internazionali, mentre quelli privati non sono coinvolti.
Non accetteremo più che quanti hanno il coraggio di denunciare le umiliazioni subite quotidianamente dai palestinesi, l'espulsione delle famiglie, la demolizione delle case, la confisca dei terreni e la privazione dell'acqua, siano costretti al silenzio.
Charles Tannock, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, come qualunque altro Stato sovrano, Israele ha tutti i diritti di sorvegliare, controllare e regolamentare come ritiene più opportuno le attività delle ONG nazionali e internazionali che operano sul suo territorio, specie se di natura politica e potenzialmente favorevoli al terrorismo o provenienti da Stati che lo sostengono.
Israele è una democrazia parlamentare, nota per la vivacità della sua società civile, in cui la pluralità di opinioni non violente può essere liberamente rappresentata e discussa. Le ONG che svolgono la propria attività in Israele godono di una libertà unica in tutto il Medio Oriente, dove in molti casi la società civile subisce la repressione. Nonostante sia uno Stato membro del Consiglio d'Europa, la Russia ha approvato misure estremamente severe nei confronti delle ONG; ma è un paese grande, ricco di petrolio e gas, mentre Israele è piccolo e dispone di scarse risorse, ecco perché la Russia non è stata chiamata a dare conto su questo punto.
La discussione odierna potrebbe dunque sembrare un altro affondo ai danni di Israele da parte dei soliti sospetti (pratica a cui questo Parlamento si concede fin troppo spesso) a prescindere dal fatto che il disegno di legge presentato alla Knesset sia stato notevolmente migliorato. All'indomani della ripresa dei colloqui diretti tra Israele e Palestina, discussioni come quella odierna rischiano di relegare il Parlamento europeo a un ruolo di assoluta irrilevanza.
Kyriacos Triantaphyllides, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, questa proposta di legge rientra nella più ampia strategia volta a delegittimare la lotta in difesa dei diritti umani in Israele e a mettere a tacere il dissenso all'interno del paese, attraverso atti di intimidazione simili a quelli avvenuti in passato, come l'arresto dei dimostranti contro la guerra a Gaza.
Nonostante a maggio la Direzione Generale per le Relazioni esterne avesse constatato un peggioramento nelle condizioni delle ONG israeliane, l'Unione europea non ha mai condannato pubblicamente le decisioni sulla proposta di legge, né ha mai richiamato Israele al rispetto della libertà di espressione dei propri cittadini. L'UE non può dire di rispettare e osservare lo stato di diritto e al contempo, pur riconoscendo rischi effettivi, chiudere un occhio davanti alle violazioni dei diritti umani. Deve assumere una posizione chiara e pretendere da Israele il ritiro del disegno di legge.
Davanti agli attacchi rivolti alle ONG finanziate dall'UE e al sostegno comunitario, l'Unione europea non può seguitare a rafforzare le relazioni con Israele, ma deve mettere in atto condizioni tali da far proseguire gli scambi commerciali e sospendere l'accordo di associazione finché Israele non rispetterà la libertà di espressione e i termini del partenariato. Israele deve rispettare l'articolo 2 dell'accordo di associazione sui diritti umani e ritirare la proposta di legge.
PRESIDENZA DELL'ON. LAMBRINIDIS Vicepresidente
Bastiaan Belder, a nome del gruppo EFD. – (NL) Signor Presidente, per diversi aspetti, la discussione odierna appare curiosa: sulla base di interrogazioni parlamentari superate, stiamo discutendo una normativa dello Stato di Israele che tenta di assicurare la massima trasparenza finanziaria possibile da parte delle ONG che operano sul suo territorio. Il disegno di legge al centro della discussione pone a confronto il diritto delle organizzazioni a operare liberamente in un contesto democratico, da una parte, e quello dei cittadini israeliani a essere informati sulla provenienza dei finanziamenti destinati a queste ONG, dall'altra. Da anni, la trasparenza è uno dei principali valori della politica europea: per quale motivo un principio così spesso rivendicato non dovrebbe trovare applicazione in una situazione in cui l'Unione europea e i suoi Stati membri forniscono considerevoli finanziamenti alle ONG israeliane? Se l'Aula è contraria a questo provvedimento, a mio avviso fa una pessima figura, sia davanti al Parlamento europeo che allo Stato d'Israele, e un simile atteggiamento politico non farà che allontanare i cittadini europei perbene che pagano le tasse.
Diane Dodds (NI). – (EN) Signor Presidente, sono profondamente disturbata dai contenuti e dai toni di alcuni interventi. I colloqui diretti tra Israele e l'Autorità palestinese stanno ripartendo in un clima d'incertezza, pertanto invito quest'Aula a esternare con cautela le proprie opinioni, in un momento tanto delicato per il Medio Oriente.
Alla luce dell'esperienza maturata nella mia circoscrizione nell'Irlanda del Nord, posso testimoniare quanto siano fragili questi colloqui: le interferenze dall'esterno sono spesso destabilizzanti e controproducenti. La situazione in Medio Oriente è quanto mai incerta a causa dell'attentato della scorsa settimana in cui hanno perso la vita quattro cittadini israeliani. Sono certa che gli Stati membri saranno unanimi nel condannare questo gesto, come pure nel congratularsi con Israele per aver mantenuto il proprio impegno sui colloqui.
Quanto alla proposta di legge in questione, dobbiamo riconoscere che il governo israeliano ha collaborato con il proprio parlamento per rispondere alle preoccupazioni sollevate e il testo all'esame della Knesset è stato modificato in maniera sostanziale, a dimostrazione della concreta volontà democratica di Israele e dell'attenzione prestata alle critiche, quando sono espresse in maniera ragionevole e moderata. Gli altri provvedimenti si concentrano sull'applicazione dei principi di apertura, responsabilità e trasparenza del settore ONG, che in tutto il mondo le organizzazioni non governative puntualmente difendono come elementi essenziali per l'integrità della vita pubblica in una società democratica.
La richiesta di rendere noti al pubblico tramite campagne pubblicitarie e siti Internet per il sostegno proveniente da governi stranieri è paragonabile al requisito di informativa previsto dall'UE per i finanziamenti comunitari. In quest'ottica, l'opposizione a tali proposte da parte delle ONG e di alcuni membri di questo Parlamento appare ipocrita e priva di fondamento logico.
La discussione interferisce con le questioni interne di uno Stato esterno all'Unione europea e torna su una questione già affrontata in passato; molti in Israele penseranno sia motivata da un sentimento anti-israeliano mentre, alla vigilia di questi negoziati di pace, dovremmo dare tutto il nostro incoraggiamento alle parti coinvolte.
Chris Davies (ALDE). – (EN) Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Dodds, ma le ricordo che è entrata a far parte di quest'Aula da un tempo relativamente breve. Alcuni di noi sono qui da molto prima e hanno assistito a numerosi negoziati di pace diretti tra Israele e Palestina e hanno avuto modo di constatare che restare in silenzio non dà alcun contributo al processo di pace.
Diane Dodds (NI). – (EN) Signor Presidente, naturalmente concordo sul fatto di essere relativamente nuova in quest'Aula, ma come l'onorevole Davies certamente saprà, non sono nuova a situazioni di conflitto o terrorismo, nella mia circoscrizione in Irlanda del Nord.
Ho conosciuto il terrorismo in prima persona, avendo preso parte ai negoziati per un futuro più pacifico e democratico per i miei concittadini in Irlanda del Nord e la mia esperienza mi ha insegnato che l'interferenza esterna, soprattutto se palesemente sbilanciata, è sbagliata e non dà alcun contributo utile.
Róża Gräfin von Thun und Hohenstein (PPE). – (EN) Signor Presidente, per anni sono stato direttore generale di una ONG polacca dedicata a promuovere l'adesione della Polonia all'Unione europea: abbiamo sostenuto il fronte del "sì" nel referendum e lanciato numerosi programmi a favore della formazione politica, della democrazia, eccetera.
Ricevevamo finanziamenti da entità polacche e straniere, privati, imprese, fondazioni politiche e vari programmi UE e naturalmente eravamo tenuti a dichiarare le fonti e gli importi ricevuti. La stessa procedura si applicava anche ai fondi del bilancio UE. Non ho mai ritenuto si trattasse di una qualche forma di discriminazione o che potesse ostacolarci in alcun modo.
Credo che il dibattito odierno stia perdendo vigore perché si basa su documenti ormai superati. Stiamo perdendo di vista la visione d'insieme, che invece è proprio ciò di cui abbiamo bisogno. Al centro della questione ci sono gli standard e la democrazia basata sull'iniziativa dei cittadini, spesso organizzati in ONG dinamiche e intraprendenti.
La trasparenza è un requisito della democrazia e quest'Aula dovrebbe plaudere anziché condannare qualsiasi provvedimento che pretenda trasparenza sui finanziamenti pubblici o privati.
Dobbiamo incoraggiare l'applicazione dei medesimi requisiti d'informativa anche per i donatori privati. Perché mai la trasparenza dovrebbe ostacolare l'attività, indebolire o discriminare le ONG? Perché si sente l'esigenza di trasparenza? Sono queste le domande che dovremmo porci rispetto a qualsiasi organizzazione di qualunque parte del mondo che riceve il nostro sostegno.
Israele è uno stato democratico. In seno alla Knesset si è svolto un vivace dibattito su questo disegno di legge che ha portato al testo dell'agosto scorso. Ringrazio il Commissario Füle per le informazioni fornite e posso solo augurare a lui, alla Commissione e a noi tutti di proseguire questa positiva collaborazione tra Unione europea e Israele.
Proinsias De Rossa (S&D). – (EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto commentare la dichiarazione secondo cui le interferenze esterne risultano in qualche modo dannose per il processo di pace. Se dovessimo attenerci a questa logica, l'Unione europea e gran parte del resto del mondo dovrebbero fingere di non vedere i conflitti, dal momento che non li riguardano. Quest'argomentazione non sta in piedi, onorevole Dodds, e la invito a rivedere la sua posizione.
Questo Parlamento ha il pieno diritto di esaminare potenziali minacce alla libertà di parola e di associazione in qualunque Stato con cui intrattenga rapporti commerciali, poiché i trattati esigono che l'UE si impegni in relazioni commerciali su base etica. Israele ha una relazione commerciale molto intensa con l'Unione europea e non può pertanto essere esonerato da questa verifica.
Mi rallegro per le variazioni apportate dalla commissione giuridica della Knesset al disegno di legge sul finanziamento alle ONG, indubbiamente frutto delle pressioni internazionali, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta soltanto di una prima fase e il testo deve ancora tornare in commissione e passare attraverso una seconda e una terza fase; pertanto non si sa ancora quale potrà essere la versione finale.
Nella sua versione attuale, il disegno di legge rimane comunque un provvedimento drastico e squilibrato in favore delle donazioni private da parte di entità straniere, che non sono tenute a dichiarare la fonte o le finalità dei finanziamenti ricevuti. Se lo scopo della proposta è realmente la trasparenza, allora deve essere una trasparenza a 360 gradi.
Sono scettico sull'esito dell'iter legislativo e ritengo che Parlamento, Commissione e Consiglio debbano continuare a seguire attentamente la questione e chiarire che, qualora venisse approvata una legge che va oltre i requisiti necessari per una trasparenza equilibrata, le relazioni con l'Unione europea ne risentiranno.
Per quanto riguarda le norme sul boicottaggio, che tentano di criminalizzare chiunque sostenga azioni tese a boicottare la vendita in Europa di beni prodotti in maniera illecita negli insediamenti illegali, la considero una violazione del diritto all'azione politica.
(L'oratore accetta di rispondere a un'interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell'articolo 149, paragrafo 8)
Bastiaan Belder (EFD). – (NL) Signor Presidente, l'onorevole De Rossa ha appena dichiarato che si è già tenuto un dibattito sulla proposta di legge in oggetto e che il testo è stato modificato. In qualità di presidente della delegazione per Israele, all'inizio della settimana sono stato informato che la discussione è ancora in corso. Ma ciò che più mi ha colpito – e su cui vorrei chiedere un chiarimento al collega – è che, secondo lui, gli emendamenti sarebbero conseguenza delle pressioni esterne. Intende forse affermare che i nostri colleghi alla Knesset non hanno diritto di cambiare idea, come ha fatto il presidente della commissione interessata, quando ha proposto di includere anche i donatori privati nell'ambito di applicazione del disegno di legge sulla trasparenza? Indubbiamente, un atto simile dimostra esattamente il contrario. In altri termini, ritiene che le pressioni esterne siano l'unica ragione per cui la Knesset possa cambiare la propria opinione? Ritengo sia una posizione tutt'altro che obiettiva.
Proinsias De Rossa (S&D). – (EN) Signor Presidente, non intendevo certo sostenere l'assurda posizione secondo cui le pressioni esterne sarebbero l'unico elemento capace di spingere i deputati a cambiare idea, ma è evidente che le pressioni internazionali possono contribuire a questo risultato. Così è stato nel processo di pace in Irlanda: hanno contribuito a far cambiare le posizioni dell'IRA e dello Sinn Féin. È evidente che erano in atto anche pressioni interne, ma la posizione della scena internazionale ovviamente riveste un ruolo importante nel processo democratico. Dopotutto, facciamo tutti parte di un unico mondo.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) Signor Presidente, a volte, come mi è capitato oggi, resto basito dal tenore dei dibattiti in quest'Aula.
Di che cosa stiamo discutendo? Qual è l'ordine del giorno? Non è la relazione Goldstone, né gli insediamenti, né l'operazione "Piombo fuso". Il titolo del dibattito è "Progetto di legge sulle ONG israeliane", un disegno di legge ancora all'esame della Knesset, ancora in attesa di votazione.
Ad aprile, il nostro Parlamento ha chiesto di discutere la questione subito dopo che era stata sollevata dal governo israeliano, e addirittura prima che i deputati del parlamento israeliano avessero occasione di esaminarla. Questo atteggiamento è ancor più paternalistico – mi dispiace, ma non c'è altro modo di definirlo – dal momento che la proposta di legge, come detto, è stata sostanzialmente modificata. È un'offesa nei confronti dei colleghi della Knesset pensare che sia stata l'interrogazione orale presentata in questo Parlamento a far cambiare la situazione; questo atteggiamento dimostra scarsissima conoscenza della mentalità israeliana e della vitalità del processo democratico, delle ONG e dei deputati israeliani.
Come l'onorevole Pöttering, anch'io sono appena tornata da una visita in Israele. Ho incontrato i rappresentanti eletti di Kadima, del partito laburista e del Likud, e posso assicurarvi che da mesi stanno lavorando con le ONG sulla questione: non aspettavano certo noi. Tutti i paesi democratici del mondo, come detto, si stanno muovendo verso una maggiore trasparenza, condotta etica e responsabilità delle cariche pubbliche. È un processo che coinvolge i governi, i partiti politici, le amministrazioni pubbliche, anche gli Stati membri, la Commissione e il nostro Parlamento. Tutti seguono lo stesso processo di trasparenza, un percorso ancor più necessario e giustificato nel caso di una regione tanto tormentata da questo tragico conflitto.
(L'oratore accetta di rispondere a un'interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell'articolo 149, paragrafo 8)
Nicole Kiil-Nielsen (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, desidero semplicemente chiedere all'onorevole Ries, dal momento che ritiene non ci sia stato alcun effetto sulla Knesset o sulle autorità israeliane, di spiegare il comunicato stampa dell'ambasciata israeliana appena citato e alcune e-mail che abbiamo ricevuto negli ultimi giorni.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) Signor Presidente, non ho mai detto che non ci sia stato alcun effetto, come l'onorevole De Rossa indubbiamente non intendeva dire che sia stato esclusivamente il nostro intervento a cambiare il corso degli eventi in Israele. Alla luce del confronto della settimana scorsa con i deputati israeliani, intendevo dire soltanto che il dibattito e gli emendamenti al testo della proposta di legge sono stati avviati ben prima e a prescindere dal nostro intervento. Ritengo che alcuni dei commenti ascoltati oggi tradiscano eccessiva condiscendenza, pertanto non intendo rispondere al posto dell'ambasciatore che ieri ha inviato il comunicato. Non credo spetti a me farlo.
Heidi Hautala (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, ho dedicato buona parte della mia carriera politica a promuovere la trasparenza nei processi decisionali della vita politica, ma vedo anche chiaramente che questo disegno di legge adotta un approccio alquanto selettivo nel perseguire la trasparenza.
A giugno, la sottocommissione parlamentare sui diritti umani ha incontrato i rappresentanti delle ONG israeliane, che si sono detti preoccupati per la proposta di legge di cui stiamo discutendo. Abbiamo ascoltato anche altre opinioni e personalmente ho intrattenuto una corrispondenza con l'ambasciatore israeliano all'Unione europea a tale proposito.
Ritengo che il lavoro svolto in Parlamento su questa interrogazione orale in seno alla sottocommissione abbia contribuito a creare le condizioni per un valido ed efficace dibattito pubblico.
Ciò che più mi ha colpito, durante l'incontro in sottocommissione, è stato lo spirito positivo con cui collaborano ONG israeliane e palestinesi. Dovremmo trovare nuovi canali per sostenere questa collaborazione, perché può rivestire un ruolo estremamente importante nel processo di pace.
Fiorello Provera (EFD). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo dibattito conferma molti pregiudizi nei confronti dello Stato d'Israele, pregiudizi che continuano a influenzare la politica mediorientale dell'Unione europea.
Oggi, infatti, stiamo discutendo di un provvedimento della Knesset, che di fatto non esiste più, essendo stato profondamente modificato. Il nuovo progetto di legge chiede la massima trasparenza sui finanziamenti stranieri alle ONG che operano in Israele, alcune delle quali si occupano – occorre dirlo – più di politica che di aiuti umanitari.
Questa richiesta di trasparenza non mi sembra una restrizione alla libertà di associazione, ma oggi ne stiamo discutendo come se lo fosse. Non dobbiamo stupirci quindi della diffidenza di parte della politica israeliana nei confronti dell'Unione europea, e questo potrebbe spiegare il motivo per cui siamo assenti dal tavolo dei negoziati israelo-palestinesi, pur essendo il principale donatore della regione.
Discutiamo invece su come rendere più trasparenti e verificabili le nostre procedure di finanziamento alle ONG e alle agenzie delle Nazioni Unite che operano nella regione. Così facendo si cancellerebbe ogni dubbio sulle nostre posizioni politiche.
Concludo con una proposta: anziché discutere di questa legge, perché non organizziamo un dibattito sul crescente antisemitismo in Europa, soprattutto dopo le dichiarazioni del Commissario De Gucht?
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signor Presidente, a febbraio 2010 la Knesset ha approvato una legge che mirava ad abolire l'esenzione dall'obbligo fiscale di cui godono tutte le organizzazioni che operano con gruppi stranieri. Ad aprile è stato presentato un disegno di legge teso a bloccare l'attività di tutte le organizzazioni non governative (ONG) coinvolte in procedimenti giuridici all'estero contro funzionari israeliani. È evidente che Israele punta a trasformare nel principale nemico pubblico chiunque esprima delle critiche. Il New Israel Front è stato pubblicamente accusato di aver distrutto i fondamenti dello Stato d'Israele, semplicemente per aver contribuito all'elaborazione della relazione Goldstone.
L'Unione europea deve assumere una posizione chiara rispetto a questo crescente clima di intolleranza. In Israele e nello Stato palestinese, le ONG svolgono un ruolo importante per la partecipazione dei cittadini alla vita politica e meritano pertanto di essere tutelate in quanto parte di un sistema democratico. Qualsiasi paese che, come Israele, auspica una relazione di associazione più stretta con l'UE, è tenuto a rispettare le regole e gli standard europei.
Ria Oomen-Ruijten (PPE). – (NL) Signor Presidente, ho appreso con mia grande sorpresa che Israele ha tentato di evitare che la questione fosse inclusa nell'agenda europea. Sono convinta che, se davvero si crede in una normativa, non c'è ragione di temere il dibattito, che può dar vita a un clima in cui le ONG – poiché è questo il tema centrale della questione – possano liberamente portare avanti il proprio lavoro in Israele. La discussione in questa sede, pertanto, non può che contribuire a fugare le preoccupazioni.
Signor Presidente, sono lieta di constatare che molto è cambiato da quando l'onorevole Hautala aveva presentato l'interrogazione orale, il 27 aprile scorso. La lettera dell'ambasciatore e la traduzione del disegno di legge dimostrano che sono intervenute modifiche sostanziali, e me ne rallegro. Ciononostante, trovo preoccupanti le modalità di attuazione del nuovo provvedimento e la possibilità che venga applicato in maniera selettiva. A mio avviso, la trasparenza delle ONG è un elemento essenziale di qualunque democrazia; ecco perché è importante che anche Israele eviti di compromettere in maniera irragionevole le loro attività. Una domanda per il Commissario Füle: ci sono le garanzie che tutte le ONG presenti in Israele riceveranno lo stesso trattamento e che questa nuova legge non comporterà provvedimenti restrittivi per quelle organizzazioni che, in tutto o in parte, sono finanziate dall'estero?
Sul tema della trasparenza, assolutamente giusto e giustificato, non capisco perché le donazioni private siano escluse dal provvedimento: a mio avviso, si tratta di un'omissione importante.
Signor Presidente, per tutti gli altri aspetti, concordo con quanto dichiarato dall'onorevole Pöttering sulla politica degli insediamenti.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) Devo ammettere che sono sorpresa dai toni di questo dibattito. Oggi avremmo dovuto discutere proposte e opinioni su un provvedimento tutt'ora oggetto di modifiche, un'occasione per far pervenire ai colleghi della Knesset – rappresentanti eletti tanto quanto lo siamo noi al Parlamento europeo – suggerimenti utili fondati sulla nostra esperienza nell'adottare questo tipo di normativa.
Purtroppo la discussione è degenerata in una sorta di scontro tra una parte di quest'Aula e lo Stato d'Israele. Non dobbiamo dimenticare che Israele si trova in una posizione e in una situazione particolarmente critica, essendo l'unico Stato democratico della regione, e che subisce attacchi praticamente da parte di tutti gli Stati vicini. Oltre a questa premessa, per fugare ogni dubbio, ricordo che nella precedente campagna elettorale ero vicepresidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con Israele. Ho pertanto avuto modo di acquisire una certa esperienza, indubbiamente molto positiva, con i colleghi della Knesset e, in occasione delle visite in Israele, non ho mai avuto la sensazione che ci fossero questioni sgradite e quesiti a cui avrebbero preferito non rispondere. Molti dei presenti hanno lavorato o lavorano ancora con me in quella stessa delegazione. Vi invito pertanto ad andare avanti e a presentare proposte valide che, secondo me, i colleghi della Knesset saranno lieti di adottare al momento di approvare il provvedimento.
Margrete Auken (Verts/ALE). – (DA) Signor Presidente, l'intervento precedente mi ha ricordato di una e-mail inviata qualche tempo fa da un'organizzazione di amicizia israelo-americana, in cui si sosteneva che fosse ormai tempo di trattare Israele come uno Stato democratico. Mi ha fatto pensare al famoso episodio in cui a Gandhi era stato chiesto che cosa pensasse della civiltà occidentale e lui rispose: "Sarebbe una buona idea". Dovremmo trattare Israele da Stato democratico e avanzare le richieste necessarie affinché sia una vera democrazia.
È stato ribadito più volte che non possiamo accontentarci della trasparenza soltanto per quanto riguarda i finanziamenti pubblici e non per quelli privati, quando sappiamo tutti da dove proviene l'ingente sostegno privato. Non possiamo prendere sul serio Israele quando ricorre alla persecuzione degli ebrei e all'Olocausto come pretesto per maltrattare gli altri. Banalizzare in questo modo le sofferenze patite dagli ebrei è, secondo me, tra le cose più vergognose che sono emerse da questa discussione. Le violenze commesse in passato non possono essere usate come un'assurda scusa per non rispettare le regole fondanti della democrazia. Dobbiamo rivolgere richieste appropriate a Israele e non trattarlo come un bambino, né fare concessioni come se fosse in qualche modo handicappato.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) L'interrogazione rivolta alla Commissione dai deputati di sinistra è in disaccordo con la linea politica del loro gruppo e pertanto assurda, e non soltanto perché il disegno di legge su cui la Knesset voterà il mese prossimo è stato modificato. Sono fermamente convinta che un paese democratico come Israele abbia il diritto di approvare leggi, purché non contrastino con il diritto internazionale, e questa eventualità non sussisteva nemmeno nel caso della proposta originaria del governo israeliano. Nel mio paese è previsto che le organizzazioni volontarie dichiarino le proprie fonti di finanziamento, incluse quelle private e all'estero.
L'Unione europea cofinanzia organizzazioni non governative in tutto il mondo e non sempre siamo certi dell'utilizzo finale di quei fondi. Dovremmo pertanto plaudere all'iniziativa del governo e del parlamento israeliani volta a ottenere maggiore trasparenza sui finanziamenti dall'estero destinati ai movimenti politici e alle ONG che svolgono attività politiche. Dovremmo preoccuparci piuttosto del fatto che alcune di queste realtà attingono a risorse provenienti da organizzazioni terroristiche straniere, mettendo così a rischio il processo di pace e la sicurezza dei cittadini israeliani.
Mi rammarico che alcuni deputati di sinistra siano disturbati dall'idea che l'Unione europea intrattenga relazioni amichevoli con Israele. La nostra priorità è la coesistenza pacifica tra Israele e il futuro Stato palestinese e non la diffusione di pregiudizi e voci infondate. Mi preoccupa che la Commissione non sia stata invitata ai negoziati intergovernativi e vorrei sapere se ritiene di essere in grado di cambiare la situazione.
Pier Antonio Panzeri (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, certo qualcuno potrebbe obiettare sulle ragioni che inducono il Parlamento europeo a discutere e giudicare un provvedimento legislativo che un parlamento democraticamente eletto come quello israeliano sta adottando.
Sono obiezioni comprensibili, ma ci sono almeno due ragioni di fondo per le quali è necessaria questa discussione. La particolarità della situazione mediorientale derivante da un conflitto che dura da troppo tempo e che non riguarda solo Israele, il ruolo importante che le organizzazioni non governative svolgono in quell'area, sia sul versante degli aiuti umanitari, sia su quello delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Del resto, questo ruolo dovrebbe essere valutato seriamente anche dalle autorità israeliane, perché senza il lavoro di tante ONG ci troveremmo di fronte a una situazione di maggiore e più grave tensione in quei territori.
Per questo motivo non c'è nulla di stupefacente nel suggerire alla Knesset, nel momento in cui intende legiferare sull'argomento, di indicare, oltre alle modifiche intervenute, due chiari obiettivi: assicurare una trasparenza dei finanziamenti non strumentale che riguardi tutti i soggetti, comprese, ad esempio, organizzazioni come quella dei coloni; rendere possibile nel concreto il lavoro di tante ONG, un lavoro importante anche per il futuro degli stessi negoziati di pace.
Sari Essayah (PPE). – (EN) Signor Presidente, il disegno di legge ruota intorno al principio essenziale della piena trasparenza dei finanziamenti alle ONG da parte di governi stranieri.
La trasparenza è forse un problema? Mi auguro di no. Gran parte degli Stati membri applicano norme sul sostegno alle ONG e la relativa trasparenza, come sui finanziamenti ai partiti politici. In Finlandia, per esempio, è appena stato approvato un provvedimento legislativo sui fondi destinati ai partiti che proibisce ogni genere di finanziamento esterno se non proveniente da partiti europei affini, allo scopo di evitare che entità straniere possano influenzare la politica finlandese.
Come politici, saremmo tutti estremamente sorpresi se il governo di qualche altro Stato membro decidesse di finanziare le ONG finlandesi per portare avanti campagne politiche e, come minimo, pretenderemmo di conoscere la provenienza dei fondi e le possibili motivazioni.
Durante il suo intervento della settimana scorsa a Herzliya, in qualità di rappresentante del Quartetto, Tony Blair ha fatto notare l'atteggiamento ambivalente spesso adottato dall'Europa nei confronti di Israele e ha esortato a non pretendere che il governo israeliano rispetti regole che mai ci sogneremmo di applicare al nostro paese.
Il Parlamento europeo dovrebbe pertanto sostenere i legislatori israeliani nello sforzo di assicurare la trasparenza, anziché rivolgere loro accuse infondate e interferire nel processo legislativo democratico.
Come europei, siamo pienamente consapevoli che i progetti delle ONG finanziate dall'Unione europea non sempre promuovono la pace, ma talvolta ostacolano la comprensione reciproca e generano ancor più diffidenza tra israeliani e palestinesi?
Questo nuovo provvedimento legislativo è quindi importante anche per i contribuenti europei, poiché ci permetterà di sapere come vengono spesi i nostri soldi in quella regione.
Marek Siwiec (S&D). – (PL) Signor Presidente, si dice che prima di sottoscrivere un contratto con una banca, si dovrebbero leggere le clausole stampate in piccolo in calce alla pagina. Nel caso della discussione odierna, è importante leggere la conclusione dell'interrogazione, in cui gli autori chiedono in che modo la questione influirà sul futuro delle relazioni tra Unione europea e Israele. Mi sento di rispondere che le conseguenze saranno estremamente positive, perché oggi confermiamo di avere come partner in Medio Oriente uno Stato democratico, che intende gestire con attenzione i fondi europei e vigilare sulle modalità con cui vengono spesi. È l'unico paese in quella regione che presta tanta attenzione ai finanziamenti europei: non molto lontano, milioni di euro svaniscono senza lasciare traccia e non ci è dato di sapere come vengano spesi. Se oggi possiamo dirci soddisfatti di questa discussione, è perché stiamo promuovendo la democrazia in Israele, affermando che è un paese democratico, che sta costruendo una democrazia in sintonia con i nostri standard. Nel corso della discussione odierna, il Parlamento ha conseguito un risultato straordinario: in buona fede, abbiamo difeso le organizzazioni non governative israeliane – che non si sentono in pericolo – e le stiamo proteggendo da un provvedimento legislativo che ancora non è entrato in vigore. Vorrei che fosse questo il messaggio positivo lanciato oggi.
Zoran Thaler (S&D). – (SL) La serie di provvedimenti legislativi restrittivi proposti da Israele traccia un solco sempre più profondo tra l'idea che sia l'unico vero Stato democratico in Medio Oriente, come ci piace ricordare con orgoglio, e la situazione effettiva in cui, nonostante tutta questa innegabile democrazia, alla popolazione palestinese viene negato il legittimo diritto all'autodeterminazione, alla libertà e ad avere un proprio paese.
Dal momento che è questa la politica del governo israeliano, chiunque vi si opponga – che si tratti di un singolo individuo o di un'organizzazione non governativa – diventerà prima o poi nemico della sua dittatura. È difficile, se non impossibile, proclamarsi Stato democratico all'interno dei propri confini e, al contempo, opprimere gli altri. È un'illusione.
Israele dovrà pertanto scegliere se continuare a essere uno Stato democratico ed evolvere in questo senso – riconoscendo e consentendo al popolo palestinese di esercitare i propri diritti democratici – oppure continuare a minare quegli stessi diritti, concedendosi di tanto in tanto una parentesi antidemocratica che si traduce in mancanza di apertura, scarsa lungimiranza, xenofobia e repressione della propria società civile. Inevitabilmente per Israele, il prezzo di una simile politica nei confronti dei palestinesi sarà purtroppo la distruzione della sua stessa democrazia.
Ulrike Lunacek (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, ringrazio il Commissario Füle per i commenti che ha rivolto alla società civile israeliana – la cui vitalità è nota a tutti – ma anche per aver criticato il testo di legge che è stato modificato.
Uno degli aspetti più incoraggianti è il fatto che alcuni degli elementi più preoccupanti del provvedimento sono stati effettivamente modificati, seppure rimangano ancora aperte alcune questioni che dovranno essere prese in considerazione dai deputati israeliani. Tra queste, l’esonero dei finanziamenti privati dai requisiti sulla trasparenza. Sappiamo perfettamente che anche nei nostri paesi esistono finanziamenti privati sui quali si pretende trasparenza. Qualcuno prima sosteneva la necessità di una maggiore apertura da parte dei partiti politici a dichiarare da quali fonti private, singoli individui, aziende, eccetera provengano i finanziamenti. Nel mio paese, questa questione presenta ancora difficoltà.
Per tutta l'amicizia che ci lega a Israele e alla Knesset, mi auguro che ci saranno ulteriori sviluppi sulla questione, affinché tutta la società civile israeliana possa essere trasparente come in gran parte è già, e affinché si assicuri la pace nella regione.
Ivo Vajgl (ALDE). – (SL) Non c'è dubbio che Israele sia uno Stato democratico, ma nessuna democrazia è immune da pressioni o atti antidemocratici.
Nel caso oggetto della discussione si sono verificate pressioni ai danni delle organizzazioni non governative israeliane, atti antidemocratici dei quali eravamo stati allertati durante la visita della delegazione a Israele. Dopo aver parlato con diversi contatti a Bruxelles, sono fermamente convinto che questi episodi si siano effettivamente verificati.
Il dibattito odierno verte su un provvedimento legislativo in particolare, ma di fatto sono tre le leggi che, ciascuna a suo modo, pongono le ONG e chiunque collabori con esse in una posizione di incertezza, a tutto svantaggio della democrazia. Dal momento che la discussione odierna influirà anche sui negoziati di pace, credo che finora il pregiudizio peggiore ai colloqui di pace l'abbia causato la dichiarazione del ministro israeliano degli Esteri Lieberman, che ha confermato l'intenzione di Israele di proseguire con la costruzione degli insediamenti nei territori occupati.
Alexandra Thein (ALDE). – (DE) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare Israele per aver preso seriamente in considerazione le preoccupazioni espresse da più parti rispetto alla proposta di legge e per averne quanto meno moderato i termini.
Da anni, le organizzazioni non governative (ONG) sono tenute a dichiarare, nella massima trasparenza, le proprie fonti di finanziamento e persino a pubblicare tali informazioni sui rispettivi siti web. Il disegno di legge, anche nella versione rivista, si rivolge esclusivamente a determinate ONG, prime tra tutte quelle che si occupano di diritti umani e, secondariamente, quelle che beneficiano di finanziamenti pubblici, inclusi quelli messi a disposizione da Nazioni Unite e Unione europea. Di contro, i gruppi di estrema destra o le organizzazioni non governative finanziate da privati che, per esempio, sostengono la costruzione di insediamenti illegali, non sono soggette ad alcun obbligo di informativa, né devono rendere pubbliche le proprie fonti di finanziamento. Il problema di questo disegno di legge consiste proprio in questa disparità di trattamento.
Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la discussione odierna ha dimostrato ancora una volta la grandissima importanza che noi tutti nell'Unione europea attribuiamo alla società civile. Una società civile libera e attiva sta alla base di una sana democrazia.
Ho preso nota dei numerosi commenti espressi oggi e li farò avere ai nostri partner israeliani. Intendo inoltre informare anche l'Alto rappresentante e Vicepresidente rispetto a determinati aspetti emersi durante il dibattito, poiché è il nostro rappresentante nel Quartetto e si sta adoperando efficacemente affinché l'Unione europea continui a rivestire un ruolo importante nel processo di pace per il Medio Oriente.
Vorrei sottolineare altri due punti, prima di concludere. Continueremo a finanziare le ONG che portano avanti progetti compatibili con i nostri obiettivi e proseguiremo il dialogo con le autorità israeliane nel quadro dell'assetto politico esistente. Occorre mantenere aperto il confronto con questo importante partner a tutti i livelli e attraverso tutti i canali disponibili.
Per concludere, confermo la volontà della Commissione di continuare a seguire la questione e ribadire agli interlocutori israeliani la necessità di promuovere e agevolare ulteriormente, anziché limitare, il lavoro delle ONG.
Presidente. –La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Olga Sehnalová (S&D), per iscritto. – (CS) Le organizzazioni di volontariato rappresentano una componente legittima ed essenziale della società civile di qualunque paese democratico normale. È altrettanto legittimo esigere da esse il rispetto della trasparenza sui finanziamenti di cui beneficiano, siano essi di provenienza pubblica o privata. Occorre pertanto determinare il livello e la specifica normativa volta ad assicurare tale trasparenza, e affrontare la questione adottando un punto di vista pacato e scevro da pregiudizi, con fiducia nel lavoro dei colleghi eletti della Knesset.
13. Situazione del fiume Giordano, con particolare riferimento al suo basso corso (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale alla Commissione presentata dagli onorevoli De Castro, De Keyser, Leinen e Severin a nome del gruppo S&D sulla situazione del fiume Giordano, con particolare riferimento al suo basso corso (O-0092/2010 - B7-0452/2010).
Paolo De Castro, autore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il fiume Giordano rappresenta un grande patrimonio non solo ambientale, ma anche agricolo ed economico per la Giordania, Israele e i Territori palestinesi, e la situazione di degrado nella quale versa non può non preoccuparci.
Ci preme rilevare che circa il 98 percento dei 1 300 milioni di metri cubi d'acqua dolce naturale del basso corso del fiume è deviato ogni anno e lunghi tratti del fiume rischiano di prosciugarsi. Si tratta di un danno in termini di biodiversità, ma soprattutto in termini di accesso delle popolazioni locali alle fonti di acqua. Diversi attori internazionali, tra i quali l'Assemblea parlamentare euro-mediterranea e il Senato americano, hanno già affrontato la situazione di profondo degrado del fiume Giordano.
Anche noi dobbiamo sollecitare un intervento, non solo dei governi e delle autorità locali, ma anche del Consiglio, della Commissione e degli Stati membri per l'assistenza tecnica e finanziaria per il risanamento del fiume. In particolare – come si dice nella risoluzione comune sottoscritta da tutti i gruppi politici, che ringrazio per l'adesione convinta – chiediamo alla Commissione di inserire un chiaro e concreto riferimento a questo progetto nei piani d'azione della politica di vicinato con Israele, la Giordania e l'Autorità palestinese.
Un primo passo potrebbe essere il lancio di uno studio comune sulla situazione del fiume Giordano. Sappiamo bene come l'acqua sia un bene prezioso e inalienabile e voglio richiamare dunque l'attenzione sul fatto che una corretta distribuzione dell'acqua debba rispettare in modo equo le esigenze di tutte le popolazioni presenti nella regione. Si tratta di una questione della massima importanza per il conseguimento di una pace duratura e della stabilità in Medio Oriente.
Guardiamo con speranza alla ripresa dei negoziati di pace nei giorni scorsi tra israeliani e palestinesi, negoziati che individuano nella gestione delle risorse idriche proprio uno dei punti essenziali. Il nostro auspicio è quello che si arrivi al più presto a un'effettiva cooperazione tra i governi, le comunità locali e le organizzazioni della società civile nei paesi e nei territori interessati per salvare il basso Giordano, un dovere non solo per l'alto valore simbolico di questo fiume, ma soprattutto per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali.
Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, desidero ringraziarvi per l’opportunità di discutere della critica situazione dell’acqua in Medio Oriente.
Per l’Unione europea considera il problema dell’acqua riveste la massima importanza nella regione e condivido appieno le preoccupazioni degli onorevoli membri del Parlamento europeo, in quanto la regione è caratterizzata da carenza idrica, stress idrico e da degrado della qualità delle acque e tale situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente per gli effetti del cambiamento climatico.
Siamo consapevoli dell’impatto che questo contesto può avere sulle popolazioni, l’ambiente e la sicurezza della regione. L’Unione europea ritiene che l’acqua sia una priorità per il conseguimento della pace nella regione e che questa sfida regionale richieda quindi una soluzione proprio a livello di regione.
L’Unione europea, come sapete, è coinvolta nella promozione di interventi urgenti per il raggiungimento di un ampio accordo di pace tra Israele e palestinesi e, a questo fine, l’acqua costituisce una delle questioni dello “status finale” ancora da risolvere, insieme al tema dei confini, dei rifugiati, di Gerusalemme e della sicurezza.
L’Unione europea riconosce la specifica situazione del basso corso del Giordano e la necessità di una gestione idrica più efficiente, sia del fiume che degli affluenti. Siamo coinvolti in una serie di attività a livello nazionale, regionale e sub-regionale con i paesi confinanti. Sosteniamo le riforme e le politiche in materia idrica volte ad incoraggiare una gestione sostenibile dell’acqua.
Attraverso la politica europea di vicinato e altri strumenti, l’Unione europea appoggia le misure volte a costruire la fiducia, promuovere la cooperazione transfrontaliera e riunire le comunità con risorse idriche che hanno condiviso le relative problematiche.
Le attività dell’Unione hanno l’obiettivo di sviluppare le capacità delle diverse autorità competenti per le risorse idriche e degli utenti, mirano alla raccolta e alla condivisione dei dati, alla disponibilità di acque reflue trattate, a misure di conservazione delle risorse idriche, compresi le reti idriche e sistemi di irrigazione efficienti.
Gli impegni profusi dall’Unione europea sono rivolti sia alla domanda che all’offerta del settore idrico e creano le condizioni necessarie per una futura gestione integrata dell’acqua.
L’Unione europea non è tuttavia sola. Gli Stati membri e altri donatori sono attivi e insieme stiamo coordinando da vicino le attività per assicurare una complementarità.
Rodi Kratsa-Tsagaropoulou, a nome del gruppo PPE. – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il Parlamento europeo ha compiuto un passo positivo riconoscendo che il fiume Giordano costituisce attualmente una sfida. L’Assemblea parlamentare euromediterranea ha elaborato uno studio specifico sul fiume e sulla valle del Giordano e ne ha richiesto la tutela nelle risoluzioni, in quanto questo fiume fa parte integrante del patrimonio mondiale, è un simbolo culturale e religioso per milioni di persone in tutto il mondo nonché una risorsa ambientale, turistica ed economica per la regione.
L’obiettivo di oggi è pertanto di evidenziare i problemi e la necessità di azioni finalizzate alla tutela di questa risorsa, di intensificare gli sforzi dell’Unione europea (menzionati dalla Commissione e affrontati in altre occasioni durante l’elaborazione della posizione comune), di invitare a una cooperazione regionale per un accesso equo dei cittadini dei paesi sulle sponde del fiume Giordano e a una responsabilità condivisa in merito alla sua tutela.
La proposta di risoluzione evidenzia le migliori pratiche, quali il piano direttore elaborato da Israele, che invita ad uno scambio delle migliori prassi e delle competenze, poiché il fiume Giordano rappresenta un problema comune per l’intera regione. È rilevante che la proposta presenti quali siano i rischi reali: non solo la mancanza di acqua e l’inquinamento, ma anche la perdita di biodiversità e il rischio di prosciugamento qualora non si intervenga.
Per dare risalto a questa cooperazione internazionale e regionale, la proposta di risoluzione propone la creazione di una commissione speciale per la valle del Giordano, alla quale possano partecipare i paesi direttamente interessati dal fiume Giordano (Israele, i territori palestinesi, Giordania), insieme ad altri paesi della zona, alla sorgente, come Libano e Siria, ai quali spetta parte della responsabilità. A mio avviso la presente risoluzione otterrà il pieno sostegno in seduta plenaria e il messaggio inviato dal Parlamento europeo sarà forte, mirato e ben strutturato.
Véronique De Keyser, a nome del gruppo S&D. – (FR) Signor Presidente, come è stato ricordato, la situazione del fiume Giordano e del Mar Morto è estremamente preoccupante; si prevede infatti che, se le condizioni rimarranno invariate, nel 2011 il fiume si prosciugherà.
Se non si intraprendono azioni a livello internazionale e regionale per mettere un freno a questa situazione, andremo incontro a una perdita estremamente grave in termini di patrimonio culturale, biodiversità (come già accennato dall’onorevole Kratsa-Tsagaropoulou), di sicurezza e di economia della regione.
Vorrei richiamare la vostra attenzione su un’organizzazione non governativa (ONG) che ha intrapreso un’iniziativa, a mio avviso, degna di nota. L’ONG Amici della Terra Medio Oriente ha deciso di riunire i sindaci dei centri palestinesi, giordani e israeliani sulle sponde del fiume per incoraggiarli a ricercare una soluzione per migliorare la situazione.
L’organizzazione e i sindaci hanno condotto alcuni interessanti studi in merito alle misure che ogni paese può intraprendere e al loro impatto; le proposte spaziano dai servizi igienici a secco alle modifiche ai metodi agricoli e alle colture che assorbono troppa acqua, e così via. Esiste una vasta gamma di misure che possono essere adottate. Questa non è dunque una discussione politica, anche se siamo tutti consapevoli che quando si parla di acqua nella regione, la questione diventa politica.
A mio avviso tutti concordano su quanto detto e desidero che l’Europa e la Commissione traggano ispirazione dalle conclusioni molto chiare della relazione in merito ai rapporti che esse hanno con tali paesi, particolarmente attraverso i piani d’azione.
Vi è tuttavia un breve paragrafo che ritengo di estrema importanza, il paragrafo E, che parla di uno sfruttamento eccessivo di acqua da parte dei coloni israeliani. Questo è vero ed è stato confermato anche nelle relazioni della Banca mondiale e di Amnesty International. Questo tema ci riporta sul campo della politica, ma rappresenta pur tuttavia una verità che talvolta deve essere detta. Non abbiamo inserito il paragrafo al centro della risoluzione, ma a nostro avviso è di estrema importanza.
Antonyia Parvanova, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, in qualità di vicepresidente della commissione per l’energia, l’ambiente e l’acqua dell’Assemblea euromediterranea, ho avuto l’opportunità di constatare la drammatica situazione ecologica del fiume Giordano durante una visita in loco lo scorso febbraio.
La relazione speciale sulla situazione della valle del Giordano, per la quale sono stato relatore, ha evidenziato che tutte le parti in causa (in particolare Israele, l’Autorità palestinese e Giordania, ma anche Libano e Siria) devono trovare una soluzione comune in merito ai due principali problemi: una corretta distribuzione dell’acqua che rispetti le esigenze di tutte le popolazioni presenti nella regione e un ambiente sano e tutelato per le generazioni future.
Il primo passo identificato nella relazione è un accordo, che Israele e l’Autorità palestinese devono raggiungere, circa i dati comuni sulla distribuzione dell’acqua disponibile e sulla demografia, da prendere come punto di partenza per ulteriori negoziati, dato che sinora le due parti interessate, oltre a relazioni indipendenti, hanno fornito dati discordanti.
Tra le conclusioni principali è emersa la necessità, per risolvere i problemi idrici attraverso la cooperazione, di attuare progetti mirati ad un’amministrazione congiunta, di un equo processo decisionale e di una gestione in comune delle risorse idriche nella regione. A mio avviso le raccomandazioni presentate nella relazione riguardano settori nei quali l’Unione europea dispone di un’esperienza specifica e potrebbe partecipare attivamente per spianare la strada a futuri partenariati tra le parti coinvolte.
In conclusione, desidero ricordare che, mentre si spendono molte energie per riprendere il dialogo verso un accordo di pace globale, abbiamo la responsabilità di non usare la situazione della valle del Giordano per fini politici e ideologici.
Mi auguro che la discussione odierna serva gli interessi di tutte le parti nella regione e conduca a conclusioni concrete e imparziali per un coinvolgimento attivo dell’Unione europea nelle future soluzioni sostenibili.
Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signor Presidente, concordo pienamente con i due precedenti oratori, ma desidero cogliere l’opportunità per affermare che, a mio avviso, molte persone non capiscono che per i palestinesi è impossibile assumersi la propria parte di responsabilità. Non ne hanno l’opportunità. Quanti di voi sanno che dal 1967, il 50 per cento delle rive del fiume Giordano in Cisgiordania è stato occupato da insediamenti israeliani? Il 50 per cento! Oltre a questo, il 45 per cento delle sponde è stato sequestrato e destinato a campi militari e riserve naturali. I palestinesi sono stati semplicemente esclusi e quel che è peggio è che, poiché non abbiamo incontrato una forte resistenza da parte loro, soprattutto nella valle del Giordano, sono stati dimenticati. Se non si c’è un’azione militare, se non si verifica qualcosa di drammatico, vengono semplicemente dimenticati.
Stiamo passando un messaggio terribile ai poveri palestinesi: si devono far notare, anche a gran voce. Si rende quindi necessaria una soluzione, ma dobbiamo comunque tenere presente che, se possibile, la sofferenza dei palestinesi è ancora più profonda in quest’area rispetto al resto della Cisgiordania e che, se la situazione non cambierà, non avranno la possibilità di onorare le responsabilità che riteniamo si debbano assumere. Dobbiamo trovare una soluzione integrata, senza tralasciare lo scenario politico. Non si tratta solo di Israele, della Siria o della Giordania. Non è così! Ma i palestinesi non possono essere coinvolti se non hanno la possibilità di farlo.
Charles Tannock, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, l’acqua è una questione delicata e potenzialmente conflittuale in Medio Oriente. È attualmente in corso un dialogo tra le delegazioni di alto livello israeliane e l’Autorità palestinese in merito ai diritti sulle acque in quanto parte di un ampio accordo di pace.
L’Unione europea, in qualità di membro del Quartetto, sostiene l’esistenza di due Stati come soluzione in grado di garantire la pace e la stabilità nella regione. Dobbiamo pertanto prestare attenzione a non pregiudicare la delicatezza dei negoziati in corso a Washington. Incolpare i coloni israeliani, come sembra fare l’onorevole De Keyser, in particolare in merito all’utilizzo eccessivo dell’acqua del fiume Giordano, manda un messaggio sbagliato agli israeliani, i nostri alleati democratici, in merito al ruolo di mediatore onesto professato dall’Unione europea.
Salvaguardare lo spartiacque rappresentato dal fiume Giordano è una questione regionale fondamentale, che non è circoscritta solo ad Israele e ai palestinesi; ora gli oppositori di Israele in quest’Aula e altrove vogliono chiaramente sfruttare la questione come parte della propria campagna per minare lo Stato ebraico.
Soccombere ancora una volta a questa agenda contro Israele, potrebbe dipingere l’Unione europea come non meritevole del ruolo di partner privilegiato per la pace agli occhi di Israele.
Willy Meyer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (ES) Signor Presidente, non è assolutamente un problema se l’onorevole De Keyser ha presentato una particolare valutazione, anzi. Il punto è che, ai sensi del trattato di pace tra Israele e il Regno di Giordania del 1994, è stato raggiunto un accordo per la cooperazione nel risanamento ecologico del fiume Giordano lungo i confini comuni e per la protezione delle risorse idriche.
Tale accordo, così come altri sottoscritti da Israele nel 1994, non è stato onorato. Questo è il problema con Israele: non mantiene gli impegni assunti.
È pertanto di estrema importanza che l’Unione europea concretizzi e sostenga l’iniziativa avanzata dal Presidente Chirac nel 2008, riguardante il bacino del fiume Giordano.
A nostro avviso è necessario istituire una commissione per il bacino del Giordano che serva da forum trilaterale di cooperazione per il recupero del fiume, nonché per la stesura e l’attuazione di politiche sulla conservazione e il risanamento dell’acqua. È vero che, come risultato del mancato rispetto del trattato di pace del 1994, i palestinesi sono stati estromessi dalla zona di sicurezza di Israele in Cisgiordania lungo il Basso Giordano e che i coloni occupano illegalmente alcuni territori che non appartengono loro. Dato che l’occupazione è accompagnata da un utilizzo illegale e irregolare dell’acqua, si viene ad aggiungere un altro problema a quello politico, ovvero la sostenibilità ambientale.
Poiché il 2011 è stato indicato come l’anno di attivazione di nuovi impianti per il trattamento delle acque reflue, mi auguro che l’Unione europea sosterrà, promuoverà e incoraggerà l’istituzione di una commissione per il bacino del Giordano.
Cristian Dan Preda (PPE). – (RO) La discussione odierna sulla situazione del fiume Giordano è estremamente importante per il mio gruppo e desidero, se mi è concesso, esprimere il mio piacere per il coinvolgimento nella questione della collega, l’onorevole Kratsa-Tsagaropoulou, Vicepresidente del Parlamento europeo.
Vorrei inoltre evidenziare, come sapete, che le organizzazioni per la protezione ambientale ci hanno a lungo messo in guardia sulla grave situazione ecologica del fiume Giordano. Questo fiume sembra scomparire a causa dell’indifferenza generale.
D’altro canto, ho letto sui giornali che, nonostante le condizioni estremamente critiche, i cristiani e in particolare gli ortodossi continuano ad essere battezzati nel fiume.
Esiste il rischio che il fiume si prosciughi entro il 2011, con drammatiche conseguenze sul già delicato ecosistema della regione e soprattutto sul Mar Morto. Questo significa anche che centinaia di migliaia di palestinesi, giordani e israeliani saranno colpite da una catastrofe ecologica.
Oltre all’aspetto ecologico che deve essere affrontato con urgenza con l’aiuto dell’Unione europea, come altri onorevoli colleghi hanno evidenziato in quest’Aula, la situazione del fiume Giordano è particolarmente importante in quanto rappresenta un elemento per promuovere la cooperazione regionale.
A mio avviso dobbiamo scongiurare una situazione in cui l’acqua viene utilizzata in modo unilaterale, non tenendo in considerazione la sicurezza dell’approvvigionamento idrico della regione.
La cooperazione tra gli Stati rivieraschi e le comunità locali è fondamentale per il risanamento di questa risorsa vitale per lo sviluppo economico. Con una forte volontà politica, è in questo modo possibile rendere nuovamente il fiume Giordano un simbolo di cooperazione e di coesistenza, anche da un punto di vista culturale.
La situazione del fiume Giordano è altresì importante per la ripresa dei negoziati diretti arabo-palestinesi, in quanto il controllo delle risorse idriche rimane una delle questioni in sospeso.
Proinsias De Rossa (S&D). – (EN) Signor Presidente, vorrei suggerire all’onorevole Tannock che non è affatto utile ignorare la realtà: i coloni hanno scelto deliberatamente aree con un buon approvvigionamento idrico, privando di conseguenza i palestinesi dell’acqua. I coloni non costituiscono l’unico problema legato alla questione dell’acqua nella regione, ma vi svolgono indubbiamente un ruolo.
Al fiume Giordano, sfortunatamente, è stato sottratto circa il 98 per cento della sua portata, poiché è stato deviato da altri Stati, compreso Israele. É un fiume transfrontaliero che segna il confine di circa quattro Stati, inclusa la Cisgiordania palestinese. Potenzialmente, se viene gestito in modo adeguato e se l’Unione europea svolge correttamente il proprio ruolo nella regione, il Giordano può diventare una fonte di riconciliazione, attraverso la promozione di una sua gestione congiunta in quanto risorsa culturale, religiosa ed economica della regione.
Assumere un approccio come il suo, onorevole Tannock, secondo cui ogni minima critica verso Israele viene letta come un attacco, significa ignorare la realtà; anche altri Stati hanno deviato il corso del fiume. L’organizzazione Amici della Terra, ad esempio, ha evidenziato, in occasione di un recente seminario organizzato dal gruppo S&E cui appartengo, che il fiume Giordano in passato riversava nel Mar Morto in media 1,3 miliardi di metri di acqua dolce; questo dato si è ridotto a 20-30 milioni l’anno. Entro la fine del prossimo anno, potrebbe essere un fiume morto se non si interviene.
Alexandra Thein (ALDE). – (DE) Signor Presidente, desidero innanzi tutto respingere le accuse provenienti dall’esterno e, in alcuni casi, dall’interno del Parlamento europeo, secondo le quali stiamo discutendo la questione nel momento sbagliato, ovvero subito dopo l’avvio dei negoziati di pace. L’interrogazione, che ho aiutato a redigere, è stata presentata in un momento in cui nessuno si attendeva una possibile ripresa di negoziati diretti. Mi occupo di questo settore dall’inizio degli anni Novanta e l’argomento è stato a lungo oggetto di discussione in Parlamento.
In definitiva, però, l’importante è impedire che il Basso Giordano si prosciughi per sempre. Il basso corso del fiume è già stato ridotto ad un filo d’acqua; è composto unicamente da acque reflue senza neanche una goccia di acqua dolce. Gli scienziati concordano sul fatto che entro uno o due anni il Basso Giordano sarà praticamente morto.
A mio avviso è allarmante che la risoluzione si rivolga ad Israele, alla Giordania, alla Siria e all’Autorità palestinese su un piano di parità. Il Basso Giordano è interamente situato nella zona C, il che significa che l’Autorità palestinese non ha neppure il diritto di accedervi, figuriamoci se può avere diritti amministrativi o una qualsivoglia forma di influenza. L’Autorità palestinese, come già ricordato, non può fare nulla in questa zona. La risoluzione deve essere indirizzata ad altri paesi.
Si tratta di una questione politica quando un paese, in questo caso Israele, utilizza il 75 per cento dell’acqua disponibile nel Basso Giordano, sebbene una parte sia già stata presa da altri paesi, non lasciandone neanche una goccia ai palestinesi per sopravvivere. Il problema è stato apparentemente risolto nell’accordo di Oslo II, ma da allora non si sono registrati progressi.
Il problema concreto al momento consiste nel fatto che i palestinesi scavano in continuazione pozzi che vengono immediatamente distrutti; d’altro canto, l’autorità israeliana per l’acqua, che costituisce un monopolio, non scava pozzi per i palestinesi, ma solo per gli insediamenti illegali.
Nicole Kiil-Nielsen (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto rendere omaggio alla coalizione di ecologisti a cui abbiamo dato il benvenuto alcuni mesi fa a Bruxelles, una associazione di israeliani, giordani e palestinesi. Proprio loro hanno elaborato alcune eccellenti relazioni sulla situazione della regione, sullo stato del fiume Giordano e sul rischio della sua scomparsa.
L’Unione europea, che finanzia in modo considerevole progetti di sviluppo in Medio Oriente, deve rafforzare il proprio impegno nella redazione e attuazione di un piano di soccorso per il fiume, coinvolgendo tutte le parti nella regione. I paesi rivieraschi come Siria, Giordania e Israele deviano gran parte del corso del fiume, mentre i palestinesi, come appena menzionato, ricevono solamente circa il 5 per cento delle risorse idriche.
Nella valle del Giordano i coloni israeliani consumano un volume d’acqua sei superiore rispetto ai palestinesi, soprattutto a causa dell’agricoltura intensiva e inquinante destinata all’esportazione di prodotti agricoli in Europa. L’ampliamento di questi insediamenti, con la loro lussureggiante vegetazione deve cessare, così come la distruzione di campi beduini e di serbatoi d’acqua, verificatasi nuovamente questa estate, alcune settimane fa. È pura follia!
La conservazione e un’equa distribuzione delle risorse idriche nella regione deve essere una priorità.
Mário David (PPE). – (PT) La catastrofe ecologica oggetto della discussione odierna riguarda tutti noi, in quanto cittadini europei, sebbene si stia manifestando al di fuori dell’Unione europea.
Il concetto di sviluppo sostenibile in cui crediamo non conosce barriere amministrative né fede religiosa, ma vede il pianeta nel suo insieme e non come la somma delle sue parti. Il fiume Giordano è quindi un problema che riguarda tutta l’umanità e non solo i popoli e le comunità direttamente colpiti da carenze idriche o dalla scarsa qualità dell’acqua. Il buonsenso ci dice di pensare in maniera globale e di agire localmente e proprio per questo siamo qui oggi: per pensare in maniera globale.
In quanto Unione europea, dobbiamo contribuire ad agire a livello locale per minimizzare e invertire il crescente degrado della portata e della qualità del fiume Giordano. L’Unione europea dispone già di strumenti e di un quadro legislativo e istituzionale per intervenire o sostenere gli interventi; mi riferisco all’Unione per il Mediterraneo, al suo segretariato e al Fondo euro-mediterraneo di investimenti e partenariato (FEMIP) gestito dalla Banca europea per gli investimenti. La delegazione parlamentare da me presieduta seguirà ovviamente da vicino lo svolgersi della questione nell’ambito delle relazioni con i paesi del Medio Oriente.
Si rende naturalmente necessaria ogni azione che porti alla risoluzione di questa catastrofe ambientale, in primo luogo da parte degli Stati e delle autorità locali, a diretto beneficio dei loro stessi cittadini. A tal proposito, desidero evidenziare due proposte contenute nella risoluzione; la prima è l’istituzione di una commissione per il bacino del fiume Giordano, composta dai rappresentanti degli Stati e delle autorità che utilizzano l’acqua. L’Europa può dare il proprio contributo condividendo, ad esempio, l’esperienza della commissione internazionale per la protezione del Reno. In secondo luogo, le migliori pratiche possono essere sostenute e divulgate attraverso progetti congiunti europei che coinvolgano i cittadini giordani, israeliani e palestinesi, in particolar modo se incentivati dell’organizzazione Amici della Terra Medio Oriente, alla quale l’onorevole De Rossa ha rivolto oggi un appello chiedendo di contribuire alla gestione efficiente e adeguata delle risorse idriche della valle del Giordano.
Signor Presidente, desidero da ultimo evidenziare, in un contesto ancora più ampio, l’esempio di cooperazione e di coesistenza pacifica rappresentato da questo progetto. In un momento in cui stiamo sostenendo e incoraggiando la ripresa di un nuovo processo di dialogo diretto tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese, sebbene lamentandone l’assenza dell’Unione europea, accogliamo con favore la partecipazione diretta di entrambe le parti.
Olga Sehnalová (S&D). – (CS) La questione del prosciugamento del fiume Giordano rappresenta senza dubbio un grave problema ambientale a livello regionale, che colpisce l’ecosistema dell’intera area nonché la vita e la salute dell’area. Lo sfruttamento eccessivo e prolungato delle risorse idriche, l’inquinamento e la siccità costituiscono le principali cause della situazione attuale, oltre all’incapacità di garantire un’efficiente gestione idrica.
Come affermato da alcuni onorevoli colleghi, il fiume viene privato di oltre il 90 per cento della sua portata per l’approvvigionamento di acqua potabile e, soprattutto, per l’irrigazione agricola e l’industria. La portata annua è scesa da 1,3 miliardi a circa 100 milioni di metri cubi e il conflitto politico in corso rende chiaramente più difficile trovare una soluzione a questo problema ambientale.
La questione idrica non deve rappresentare tuttavia una fonte di conflitto. Può invece trasformarsi in un esempio di positiva cooperazione pratica nella regione e svolgere un ruolo fondamentale per creare fiducia reciproca. Una pace basata sulla cooperazione quotidiana e su valori condivisi ha maggiori possibilità di successo rispetto a qualsiasi altra soluzione avanzata nel corso di una tavola rotonda.
Malika Benarab-Attou (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, Signor Commissario, onorevoli colleghi, il progressivo prosciugamento del fiume Giordano è una conseguenza diretta della tragedia che sta vivendo la Palestina. Il problema idrico è una questione fortemente politica, non dimentichiamolo.
Vorrei ricordare alcuni fatti: la Banca mondiale ha comunicato che il milione e mezzo di abitanti della striscia di Gaza da due anni non dispone di cloro, essenziale per disinfettare l’acqua e il 50 per cento delle case non aveva accesso alle risorse idriche prima dei bombardamenti del gennaio 2009; immaginate quindi quale possa essere la situazione ora. Medici senza Frontiere afferma che, a seguito degli attacchi dell’esercito israeliano sulle infrastrutture, il 90 per cento dell’acqua fornita agli abitanti non è potabile; ogni giorno 80 milioni di litri di acque reflue non trattate vengono scaricate nel Mediterraneo a causa della distruzione delle infrastrutture a Gaza.
È vero che la baronessa Ashton ha visitato Gaza in diverse occasioni, ma dov’è il coraggio politico di applicare i medesimi standard europei ad Israele? L’acqua pulita deve essere monopolizzata, come la terra, dai coloni israeliani? L’Unione europea deve sospendere l’accordo di associazione con l’attuale governo israeliano, che resta indifferente a tutte le nostre richieste, mentre l’occupazione e gli insediamenti illegali permangono. Senza giustizia, non vi può essere pace.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) Come abbiamo sentito diverse volte nel corso della discussione odierna e sentiremo sicuramente ancora, il fiume Giordano ha un inimmaginabile valore culturale, ambientale, economico, e, ovviamente, politico e strategico. Lo sfruttamento e l’abuso del fiume sono pertanto inaccettabili. Il suo corso è stato deviato dal 1964 verso Israele ed altri paesi: Giordania, Libano, Siria e altri ancora già menzionati. Gran parte di questi paesi sta distruggendo ed inquinando il fiume. Secondo gli ambientalisti, l’abuso del fiume Giordano ha quasi distrutto il suo intero ecosistema e il risanamento dallo stato attuale richiederà decenni.
Secondo alcune stime, il fiume Giordano rappresenta uno dei cento luoghi più a rischio a livello mondiale dal punto di vista ambientale. La situazione è anche legata al fatto che Israele e i paesi arabi vicini non sono in grado di trovare un accordo sulla conservazione e la protezione del fiume; per questo, a mio avviso, l’Unione europea deve impegnarsi attivamente nel processo attraverso, ad esempio, l’assistenza finanziaria a progetti di sviluppo nelle aree centro orientali che dipendono dal risanamento del basso corso del fiume Giordano.
Richard Howitt (S&D). – (EN) Signor Presidente, la concorrenza per le risorse idriche può inasprire o addirittura provocare un conflitto, sia che si tratti del ritiro dei ghiacciai di Jammu e Kashmir, delle tensioni tra i paesi dell’Asia centrale sull’ormai prosciugato Lago d’Aral, di tribù rivali in competizione per le stesse risorse idriche situate tra il Sudan e la Somalia o, come in questo caso, della discussione sulla valle del Basso Giordano.
Il risanamento del fiume Giordano e la cooperazione necessaria per raggiungere questo obiettivo possono migliorare le prospettive di pace. Il fiume è stato immortalato nei testi sacri ebraici, cristiani e islamici, con riferimenti che lo associano ai profeti Mosè ed Elia, nonché al luogo di sepoltura di quattro compagni del profeta Maometto. Sotto la guida di Giosuè gli israeliti hanno attraversato proprio il fiume Giordano ed è qui che Gesù ha compiuto il miracolo di camminare sull’acqua.
Non dovrebbe essere necessario un altro miracolo per proteggere le sue acque, a beneficio dei popoli della regione e delle future generazioni, affinché possano vivere in pace e prosperità.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Ritengo inappropriata una risoluzione o un approccio di parte sulla situazione del fiume Giordano nel contesto della ripresa dei negoziati di pace tra Israele e l’Autorità palestinese.
La questione delle risorse idriche in Medio Oriente è delicata e deve essere discussa al termine dei negoziati, per non compromettere il processo di pace. L’Unione europea deve evitare di trasformare inutilmente la discussione in una questione politica e incoraggiare la conclusione di un accordo regionale sul risanamento del fiume Giordano.
Accolgo con favore la cooperazione continua tra Israele e l’Autorità palestinese in merito alla gestione delle risorse idriche, in quanto ritengo che il fiume Giordano rappresenti una questione regionale. Il contributo congiunto di entrambi gli Stati ha portato alla recente approvazione di 61 dei 96 progetti proposti. Il problema delle insufficienti risorse idriche non ha trovato tuttavia ancora una soluzione.
Ioan Enciu (S&D). – (RO) Il risanamento del fiume Giordano costituisce una questione sfaccettata per la sua importanza storica e religiosa universale. I problemi da affrontare includono preoccupazioni da un punto di vista ecologico, umanitario e di sicurezza internazionale, tutte collegate tra loro.
A mio avviso la discussione in corso deve concentrarsi sopratutto su come salvare fisicamente il fiume e non criticare l’una o l’altra parte coinvolta. Qualora il progetto di salvataggio abbia successo, ci potrebbero essere ripercussioni positive anche su tutti gli altri aspetti. Ritengo che il paragrafo E del progetto di risoluzione non sia collegato direttamente con l’argomento in questione e potrebbe creare confusione.
L’Unione europea può e deve contribuire in modo significativo a prevenire le ripercussioni negative eventualmente create dal totale degrado e, in ultimo, dalla scomparsa del fiume Giordano. L’Unione deve assumere un ruolo più attivo nei negoziati tra le parti coinvolte, aiutando a raggiungere un equilibrio.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, siamo consapevoli che il fiume Giordano svolge un ruolo politico fondamentale in Medio Oriente per la sua collocazione geografica sul confine di diversi paesi. Anche se il fiume ha contribuito a portare pace tra Israele e Giordania attraverso un accordo che autorizza quest’ultima ad estrarre maggiori quantità di acqua, nel caso della Siria, la situazione è opposta. È un segreto di Pulcinella che la vera ragione del rifiuto di Israele di restituire le alture del Golan alla Siria sia da ricondursi al timore di essere privato della propria acqua.
Se il fiume Giordano è divenuto davvero un rigagnolo di acque reflue a causa della costante estrazione di acqua (e questo è probabilmente il prezzo da pagare per rendere verde il deserto), la situazione in Medio Oriente si aggraverà sicuramente nell’immediato futuro, soprattutto alla luce del fatto che alcuni leader di Hamas considerano la liberazione dell’intera regione tra il Mediterraneo e il fiume Giordano come un imperativo morale e religioso.
La carenza idrica del fiume Giordano ha anche ripercussioni più ampie, in quanto, con il prosciugamento del fiume, si riduce altresì la quantità d’acqua che giunge al Mar Morto. Pertanto, il potenziale esplosivo e l’area del conflitto aumenteranno. Si rende necessario prendere in considerazione quanto detto nell’ambito della strategia del Medio Oriente.
Véronique De Keyser (S&D). – (FR) Signor Presidente, grazie per avermi dato l’opportunità di chiarire un punto che sembra non abbia affrontato in modo convincente.
Per quanto riguarda la questione dello sfruttamento delle risorse idriche e dello sfruttamento eccessivo da parte degli insediamenti, desidero rinviare i miei onorevoli colleghi alla relazione speciale sulla situazione della valle del Giordano dell’Assemblea parlamentare euromediterranea, che a sua volta cita sovente la relazione della Banca mondiale sulla valutazione delle restrizioni allo sviluppo del settore idrico palestinese e la relazione di Amnesty International sul rifiuto di concedere ai palestinesi un accesso equo all’acqua, ecc. Queste relazioni indicano le cifre esatte di tale sfruttamento, che è dalle quattro alle cinque volte superiore tra gli israeliani; le mie stime vanno da uno a sei. Questi sono quindi i dati; mi scuso, ma non sono stati da me documentati.
Mariya Nedelcheva (PPE). – (BG) L’Unione europea è un partner affidabile e condivide la responsabilità di quanto accade a livello mondiale attraverso la politica estera. In quanto donatore impegnato nel finanziamento di progetti di sviluppo in Medio Oriente e parte attiva nel processo di pace nella regione, l’Unione e in particolare il Parlamento europeo devono ideare una strategia e apportare un eventuale contributo per risanare il fiume Giordano, affinché mantenga la propria importanza come fonte di vita per la regione.
Solo pochi mesi fa, la ONG Amici della Terra Medio Oriente ha avvertito che, in un anno, il fiume Giordano potrebbe prosciugarsi, se i paesi della regione non intervengono. La diminuzione del livello del fiume si ripercuote sul clima e sul paesaggio del luogo e rappresenta un rischio reale per i mezzi di sostentamento alla popolazione che vive in aree dove l’irrigazione è difficile. Oltre al solo aspetto pragmatico, non dimentichiamo che il fiume Giordano è un potente simbolo spirituale.
Una delle caratteristiche fondamentali dell’Unione europea è l’equilibrio tra valori e pragmatismo. In tale prospettiva, continuiamo ad essere politici responsabili e dimostriamo ancora una volta l’approccio unico europeo esprimendo la nostra preoccupazione per il fiume Giordano.
Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, le sfide transfrontaliere richiedono un impegno comune. Il Parlamento europeo ha giustamente richiamato l’attenzione sulla necessità di un approccio cooperativo in quest’area. L’Unione europea promuove lo spirito di cooperazione necessario per affrontare le gravi sfide legate alle risorse idriche in Medio Oriente e sostiene una risoluzione dei problemi alla base e non dei soli sintomi.
Vorrei concludere confermando che l’Unione europea continuerà ad apportare il proprio contributo per ridurre la carenza idrica nella regione ed assicurare l’approvvigionamento di acqua pulita, preservando l’ambiente e salvaguardando l’acqua potabile per i popoli della regione. L’Unione europea continuerà a sostenere le attività che favoriscono il futuro risanamento del fiume Giordano e un’eventuale gestione congiunta ed integrata del suo bacino, qualora questa si dimostri essere la scelta dei paesi nella regione.
L’Unione europea continuerà a sostenere il dialogo e a promuovere la cooperazione transfrontaliera in materia di politica delle acque tra i paesi vicini nella regione, contribuendo a rafforzare la fiducia. Si rende necessario un grande impegno, anche di carattere politico, da parte dei paesi vicini per trovare un equilibrio tra le risorse disponibili e la domanda; questo non comprende solo i governi, ma anche la società civile. Come in Europa, gli individui, le aziende e i comuni devono contribuire alla gestione sostenibile delle risorse idriche. É una sfida a cui dobbiamo tutti fare fronte.
Presidente. – Ho ricevuto 5 proposte di risoluzione(1)ai senso dell’articolo 115 paragrafo 5.
La seduta è chiusa.
La votazione avrà luogo il 9 settembre 2010.
(La seduta, sospesa alle 17.55, riprende alle 18.00 per il tempo delle inerrogazioni)
Presidente. – L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B7-0454/2010).
Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte al Consiglio.
Annuncio l’interrogazione n. 1 dell’onorevole Vilija Blinkevičiūtė (H-0355/10)
Oggetto: Persone disabili e strategia per l'Europa 2020
La strategia dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione, adottata dal Consiglio europeo per il prossimo decennio, si prefigge l'obiettivo di aiutare l'Europa ad uscire dalla crisi e, promuovendo la competitività, la produttività e la coesione sociale, di rafforzare il ruolo dell'Europa a livello dell'Unione e a livello internazionale. In ogni caso è deplorabile il fatto che questa strategia dimentichi le persone disabili, che attualmente rappresentano oltre il 12% della popolazione dell'UE. Benché il Consiglio chieda costantemente richiesto la massima attenzione per l'integrazione delle persone disabili quando si tratta di tematiche relative alla disabilità, la strategia "Europa 2020" non definisce né i compiti specifici, né gli obiettivi né alcun impegno che potrebbero contribuire a migliorare la vita di oltre 65 milioni di europei colpiti da disabilità. Circa il 78% delle persone disabili non sono integrate nel mercato del lavoro e non hanno alcuna opportunità di avere un reddito. La maggior parte di loro dipende dall'erogazione di sussidi, che, purtroppo, sono stati pure ridotti a motivo della recessione.
Come intende garantire il Consiglio l'occupazione delle persone disabili e la loro partecipazione al mercato del lavoro in termini di parità? Non ritiene il Consiglio che sarebbe opportuno adottare orientamenti specifici per una politica della disabilità nel prossimo decennio o una strategia specifica con obiettivi e impegni chiaramente definiti?
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Il Consiglio è impegnato nell’accrescere le opportunità di occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro per tutti i cittadini, incluse le persone con disabilità.
Alcuni degli obiettivi principali della strategia Europa 2020 approvati dal Consiglio europeo del 17 giugno 2010 interessano, in particolare, le persone disabili, poiché mirano a favorire l’occupazione, a migliorare i livelli di istruzione e a promuovere l’inclusione sociale, con particolare riguardo alla riduzione della povertà.
La strategia Europa 2020, inoltre, menziona specificamente le persone disabili nel contesto dell’iniziativa faro denominata “Piattaforma europea contro la povertà”. Tale iniziativa avrà un impatto sia a livello europeo (sottoforma di proposte della Commissione e di programmi per combattere la discriminazione, anche verso le persone disabili) sia a livello nazionale, poiché gli Stati membri dovranno elaborare e applicare provvedimenti che rispondano alle peculiarità dei gruppi a rischio, tra i quali figurano le persone disabili.
In linea con le conclusioni del Consiglio europeo di giugno 2010, gli Stati membri devono agire adesso per mettere in atto queste priorità a livello nazionale; anche tutte le politiche comuni dovranno intervenire a sostegno della strategia. Questo approccio globale è volto a ridurre l’esclusione sociale delle persone disabili, obiettivo evidenziato anche dalla risoluzione relativa al nuovo quadro europeo in materia di disabilità, adottata in giugno dal Consiglio. Nella risoluzione si esortano esplicitamente gli Stati membri e la Commissione a inserire il tema della disabilità in tutte le iniziative faro pertinenti della strategia 2020 e ad attingere al capitale umano rappresentato dalle persone disabili, soprattutto con l’attuazione di misure adeguate in termini di formazione e di occupazione.
Con questa risoluzione il Consiglio invita inoltre la Commissione a preparare, per il prossimo decennio, in collaborazione con le persone portatrici di handicap e le organizzazioni che le rappresentano, una nuova strategia europea a favore dei disabili, imperniata sulla strategia Europa 2020 e su altri importanti documenti.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D). – (LT) Signor Presidente in carica, grazie per la sua risposta, ma vorrei comunque ribadire che ancora non si ascolta abbastanza la voce dei 65 milioni di disabili dell’Unione europea. Pertanto, pongo il seguente interrogativo: non dovremmo accelerare l’adozione della direttiva per la lotta contro la discriminazione in tutti gli Stati membri dell’Unione europea, in modo che i disabili possano vivere da cittadini a tutti gli effetti? Le chiedo quindi a che punto è la direttiva per la lotta alla discriminazione.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Il gruppo di lavoro del Consiglio sulle questioni sociali sta esaminando la proposta della Commissione di una nuova direttiva che attui il principio di pari opportunità tra le persone, indipendentemente dalla religione, dal credo, dalle disabilità, dall’età e dall’orientamento sessuale.
La direttiva deve essere adottata dagli Stati membri all’unanimità. Diverse Presidenze si sono alacremente dedicate a questa proposta e, ad oggi, la Presidenza non è in grado di prevedere la durata delle discussioni né il loro risultato.
Janusz Władysław Zemke (S&D). – (PL) La ringrazio per queste informazioni, ma purtroppo sono di carattere molto generale. Ha parlato di questioni importanti, ma le pongo una domanda specifica: sono stati stanziati fondi supplementari per la formazione dei disabili e quali importi saranno resi disponibili? Senza ulteriori finanziamenti, senza sostegno economico su scala europea, sarà molto difficile aiutare queste persone.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D). – (RO) Vorrei chiedere qual è la tabella di marcia e quali sono le intenzioni del Consiglio circa la regolamentazione dei diritti dei passeggeri che viaggiano in pullman. Mi riferisco, in particolare, alle persone con disabilità e alle persone a mobilità ridotta.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Quanto agli stanziamenti, si terrà un dibattito generale sul bilancio in cui affronteremo le modalità di finanziamento delle diverse iniziative faro e degli sviluppi normativi adottati nel quadro della strategia Europa 2020. Poiché tale strategia comprende diverse nuove politiche per i disabili, dovremo analizzare le relative modalità di distribuzione delle risorse.
Quanto all’evoluzione normativa, dovremo prendere in considerazione l’eventuale contributo della Commissione rispetto alle leggi esistenti. Il Consiglio si propone principalmente di tutelare in modo attivo le persone disabili, in ottemperanza alle competenze ad esso attribuite dai trattati. Dieci anni fa, ad esempio, il Consiglio ha adottato una direttiva che vietava qualsiasi discriminazione nei confronti dei disabili in campo lavorativo. Naturalmente il Consiglio si augura di continuare a lavorare in tal senso sulla questione.
Presidente. – Annuncio interrogazione n. 2 dell’onorevole Kratsa-Tsagaropoulou (H-0358/10)
Oggetto: Adeguamenti dei bilanci e debito privato
Gli sforzi in atto per introdurre riforme economiche a livello europeo mirano al miglioramento delle finanze pubbliche e all’adeguamento dei bilanci degli Stati membri. Al contempo, sono in corso azioni di risanamento del mercato borsistico in senso lato e, in particolare, nel settore bancario che è direttamente connesso con l’economia reale. Gli sforzi in questione, però, prendono in esame solo la situazione del debito pubblico e non anche di quello privato che costituisce la seconda componente del debito complessivo di uno Stato. Può il Consiglio dire quali ripercussioni ha il debito privato sulla situazione sociale di ciascuno Stato membro e qual è la sua correlazione con quello pubblico? Cosa intende esso fare nel caso in cui: a) il debito privato sia superiore a quello pubblico e b) vada aumentando? In che modo verrà affrontata tale tendenza, stante che il contenimento del debito privato non è previsto dal Patto di stabilità e crescita?
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Le attuali procedure di vigilanza macroeconomica e di bilancio, sancite dagli articoli 121 e 126 del trattato, costituiscono la pietra angolare del coordinamento delle nostre politiche economiche.
In occasione della riunione di marzo del 2010, il Consiglio europeo ha creato un gruppo di lavoro, guidato dal Presidente in carica del Consiglio e composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri, della Commissione europea, della Banca centrale europea, con il compito di analizzare le misure necessarie per creare un contesto più idoneo alla risoluzione della crisi e una disciplina di bilancio più efficace, esplorando tutte le opzioni per irrobustire il quadro giuridico.
Il gruppo di lavoro ha presentato al Consiglio europeo di giugno una relazione intermedia, sottolineando la necessità di rinvigorire il processo di vigilanza di bilancio, attribuendo in particolare maggiore importanza al livello e all’evoluzione dell’indebitamento, ma anche tenendo conto della sostenibilità generale del debito, alla luce del Patto di stabilità e di crescita.
Inoltre, il gruppo di lavoro ha ritenuto necessaria l’adozione di procedure di vigilanza macroeconomica più efficaci, per far emergere gli squilibri macroeconomici fin dai loro esordi e formulare poi raccomandazioni che impediscano un aggravamento della situazione e altri effetti a catena.
Dovremo, infine, definire specifici indicatori, benché il debito privato sia sicuramente un aspetto importante. Il Consiglio dell’Unione europea l’8 giugno e il Consiglio europeo il 17 giugno hanno approvato gli orientamenti del gruppo di lavoro, il quale dovrà presentare una relazione finale al Consiglio europeo di ottobre, presentando i risultati ottenuti. A quel punto potremo avviare l’iter di adozione di nuovi testi di legge dell’Unione o degli emendamenti necessari a modificare la normativa in vigore. La Presidenza non esiterà ad attribuire la priorità a qualsiasi iniziativa in tal senso.
Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE). – (EL) Ringrazio il Presidente in carica per aver cercato di rispondere alla mia interrogazione, ma purtroppo non ho ben compreso un punto della risposta: verrà preso in considerazione il debito privato nei nuovi programmi (mi riferisco ai programmi sui cui deciderete in ottobre) e, nell’ambito di questo quadro di governance economica, c’è un margine per una nuova interpretazione del Patto di stabilità, dei metodi di applicazione e del debito privato? Le sarò molto grata se vorrà rispondere alla mia domanda.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Come ho detto, è in corso un processo, il gruppo di lavoro si riunisce periodicamente e si è riunito proprio due giorni fa. Ci saranno ancora uno o due riunioni prima del Consiglio di ottobre ed è troppo presto per discutere i dettagli della futura applicazione del criterio del debito rispetto al Patto di stabilità e di crescita. In base ai risultati dello studio del gruppo di lavoro sulla governance economica, che saranno presentati nella relazione al Consiglio di ottobre, saremo in grado di avviare, di conseguenza, il processo di adozione o di modifica della normativa europea, contemplando eventualmente la questione del debito privato.
Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 3 dell’onorevole Ţicău (H-0361/10)
Oggetto: Revisione della rete TEN-T
Tra il 7 e l'8 giugno 2010 si è tenuta a Saragozza una Conferenza ministeriale, organizzata dalla Commissione europea con l'obiettivo di lanciare il processo di revisione della rete TEN-T. Tale processo si svolgerà principalmente tra la seconda metà di quest'anno e l'inizio dell'anno prossimo e si concentrerà sullo sviluppo della metodologia per definire il nucleo centrale della rete TEN-T e i nodi di interconnessione tra questo e le infrastrutture di trasporto dei paesi vicini dell'UE. In seguito a detto processo, ogni modo di trasporto dovrebbe aumentare il proprio contributo al trasporto transeuropeo, dovrebbe essere garantita l'intermodalità tra i diversi modi di trasporto e, soprattutto, dovrebbero essere istituiti meccanismi di finanziamento adeguati.
Dato che questo processo coinciderà in gran parte con il periodo di Presidenza belga del Consiglio dell'Unione europea, può il Consiglio comunicare quale calendario e quali azioni ha previsto la Presidenza belga per quanto riguarda il processo di revisione della rete TEN-T?
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Nelle conclusioni di giugno del 2009 il Consiglio ha accolto con favore la pubblicazione del Libro verde della Commissione sulla revisione delle politiche per una migliore integrazione della rete transeuropea di trasporti, al servizio della politica comune dei trasporti, esortando la Commissione a presentare alle istituzioni una proposta di modifica degli orientamenti sulla rete TEN-T.
La principale innovazione proposta è un approccio programmatico su due livelli: si tratterebbe di mantenere come trama globale la struttura di base della rete TEN-T, composta da reti relativamente dense di ferrovie, strade, vie navigabili interne, porti e aeroporti, gran parte delle quali afferenti alle reti nazionali che sarebbero poi integrate in un’unica rete centrale. Quest’ultima renderebbe tangibile una vera prospettiva europea di pianificazione, basata sull’accrescimento sistematico dell’efficacia delle risorse di rete e su una riduzione globale considerevole delle emissioni di gas serra generate dai trasporti.
A giugno il Consiglio ha recepito le informazioni comunicate dalla Presidenza e dalla Commissione circa i risultati delle giornate TEN-T, la conferenza ministeriale annuale sulla rete transeuropea di trasporto tenutasi a Saragozza l’8 e il 9 giugno 2010. In quest’occasione si è principalmente discusso della metodologia da applicare per riprogettare la pianificazione e la realizzazione della futura rete TEN-T, nonché delle modalità per un efficace reperimento di fondi.
La Commissione è attualmente impegnata in una pubblica consultazione sulla futura politica della rete transeuropea di trasporti, volta a sviluppare i criteri e le condizioni per una programmazione delle reti a livello generale e centrale. La procedura di consultazione si concluderà il 15 settembre e i risultati saranno presentati al comitato finanziario TEN-T del 30 settembre.
Le scelte programmatiche saranno successivamente oggetto di dibattiti bilaterali tra la Commissione e lo Stato membro coinvolto e di discussioni multilaterali, in occasione delle riunioni del comitato per la revisione degli orientamenti TEN-T.
All’inizio del 2011 la Commissione avvierà una valutazione d’impatto sulla proposta di riesame degli orientamenti TEN-T; un progetto di orientamenti dovrebbe essere pronto a maggio o giugno 2011.
Poiché tale progetto non è stato ancora presentato e alla luce della consultazione pubblica in corso e delle discussioni bilaterali e multilaterali programmate per la fine del 2010, oggi non sussistono ovviamente le condizioni perché la Presidenza belga possa compiere progressi nel riesame della politica TEN-T.