Presidente. – L'ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione su "Relazioni transatlantiche: tassa di ingresso negli Stati Uniti".
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, questo pomeriggio ho di nuovo l’onore di rivolgermi a voi a nome dell’Alto rappresentante, la baronessa Ashton, e non a nome del Consiglio, come compare sullo schermo.
L’Unione europea e gli Stati Uniti attribuiscono enorme importanza al fatto di garantire ai propri cittadini di potersi spostare agevolmente tra una sponda e l’altra dell’Atlantico. La mobilità transatlantica può essere ampiamente facilitata se le persone hanno la possibilità di viaggiare senza richiedere un visto e senza corrispondere una tassa d’ingresso. Mentre i cittadini statunitensi possono entrare nello spazio Schengen senza dover ottenere un visto, lo stesso non si può dire dei cittadini comunitari che desiderano entrare negli Stati Uniti.
Quattro Stati membri sono tuttora esclusi dal vantaggio offerto dal programma di esenzione dal visto degli Stati Uniti: Bulgaria, Cipro, Polonia e Romania. Possiamo tuttavia rallegrarci del fatto che il 5 aprile la Grecia sia stata ammessa nel programma. Tale felice esito può essere attribuito alla Commissione, che sta facendo del proprio meglio per garantire che tutti gli Stati membri beneficino del programma di esenzione, nonché agli sforzi delle Presidenze successive tesi a far progredire la questione.
Pertanto, a partire dal 2006 la Commissione ha prodotto una relazione annuale su tutti i paesi terzi che continuano a richiedere visti ai nostri cittadini in violazione del principio di reciprocità, in quanto l’Unione europea attribuisce notevole importanza al rispetto della reciprocità totale in questo settore. Così come l’Unione europea accorda l’esenzione a determinati paesi terzi, questi ultimi dovrebbero fare lo stesso nei confronti dei nostri cittadini.
Inoltre, per ragioni di sicurezza che noi comprendiamo appieno, all’inizio del 2009 gli Stati Uniti hanno deciso di introdurre il sistema elettronico di autorizzazione del viaggio (ESTA), che può essere utilizzato solamente nel caso di passeggeri che entrano in America settentrionale provenienti da un paese coperto dal programma di esenzione dal visto. A decorrere dall’8 settembre, ognuno di questi passeggeri è stato costretto a versare una tassa pari a 4 dollari USA per coprire i costi amministrativi generati dall’attuazione di ESTA. Tale importo va ad aggiungersi ai 10 dollari USA che gli stessi viaggiatori devono già corrispondere ai sensi di una legge in materia di promozione del turismo. A tal fine, è stato istituito un organo incaricato di sviluppare il turismo che viene finanziato da un fondo nel quale vengono versati questi 10 dollari USA.
In seguito agli ultimi sviluppi, avete chiesto alla Commissione di adottare senza indugio una posizione. Nel dicembre del 2008 è stata prodotta una relazione allo scopo di capire se l’ESTA dovesse essere o meno considerata alla stregua di un visto, e la conclusione – che ai tempi era provvisoria – era stata che non era così. Una volta che le autorità americane pubblicheranno la versione definitiva dell’ESTA, la Commissione ci presenterà la relazione finale sul tema. è evidente che il versamento di tale tassa costituirà un elemento importante della sua valutazione. Tale relazione verrà esaminata dal Consiglio, che a sua volta intraprenderà le misure necessarie e formulerà le raccomandazioni che considererà opportune.
Come avrete intuito, l’introduzione di tale tassa aggiuntiva è deplorevole. La Presidenza condivide inoltre le perplessità espresse dal Parlamento sul tema in numerose occasioni, segnatamente nel paragrafo n. 18 della risoluzione del 22 ottobre. Benché tale tassa possa sembrare a prima vista esigua, non va dimenticato che deve essere versata da ciascun viaggiatore, e che potrebbe a volte risultare molto onerosa per le famiglie.
Reputo pertanto che tale politica sia contraria alla volontà espressamente dichiarata dagli Stati Uniti di agevolare la mobilità tra i due continenti, e che costituirà un ostacolo effettivo per i cittadini comunitari che desiderano entrare in questo paese.
Vorrei concludere confermandovi che la Presidenza farà tutto ciò che è in suo potere per aiutare la Commissione a ottenere una piena reciprocità dell’esenzione del visto con gli Stati Uniti. Grazie dell’attenzione.
Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, anch’io vorrei esprimere i miei ringraziamenti al Presidente Chastel per le osservazioni espresse e per aver offerto l’aiuto del Consiglio, poiché in una questione di tale importanza il sostegno del Consiglio è assolutamente cruciale.
Per quanto riguarda la posizione della Commissione sulla tassa ESTA, mi preme sottolineare che è stato proprio in seguito alla pubblicazione di tale tassa il 6 agosto scorso che la mia collega, il Commissario Malmström, ha immediatamente rilasciato una dichiarazione in cui ha espresso di aver compreso che tale decisione era stata presa in conformità agli obblighi della legge in materia di promozione del turismo, ma di deplorare molto l’introduzione della tassa.
La Commissione ha chiaramente manifestato la propria preoccupazione che tale imposta non sia coerente con l’impegno più volte ripetuto dagli Stati Uniti di agevolare la mobilità transatlantica, e ha altresì constatato che costituirà un onere aggiuntivo per i cittadini europei che si recano negli Stati Uniti.
L’UE ha sollevato più volte le proprie perplessità dinanzi al Congresso e all’Amministrazione americana nel corso del processo di approvazione della legge sulla promozione del turismo. La Commissione ha avviato numerose istanze diplomatiche, sia con le Presidenze del Consiglio, sia con paesi terzi. In tali occasioni, la Commissione ha anche criticato il fatto che tali tasse si applichino solamente ai viaggiatori coperti dal programma di esenzione dal visto degli Stati Uniti e che pertanto si tratti di una pratica discriminatoria. Inoltre, pare oltremodo bizzarro che siano gli stranieri a dover pagare per promuovere il turismo negli USA, in quanto tale misura potrebbe portare a un calo dei viaggi negli Stati Uniti, e non a un incremento degli stessi.
La Commissione sta attualmente esaminando eventuali altre misure che potrebbero essere adottate nei confronti degli Stati Uniti nel quadro del meccanismo di reciprocità dell’UE. La Commissione rilascerà dichiarazioni formali agli USA nell’ambito della consultazione pubblica avviata dagli USA sulla versione provvisoria. Una volta che verrà pubblicata nel registro federale americano la versione definitiva dell’ESTA, verrà prodotta una valutazione definitiva dell’ESTA attuale che tenga conto anche di eventuali modifiche.
La Commissione ha chiesto che tale problematica venga discussa con tutti gli Stati membri in occasione del prossimo Consiglio “Giustizia e affari interni” in programma il 7 e 8 ottobre. La tassa ESTA verrà inoltre trattata in occasione della prossima riunione dei ministri della Giustizia e affari interni UE-USA che si terrà in dicembre. La Commissione continuerà ovviamente a tenere aggiornato il Parlamento in tutte le fasi del processo e sulle iniziative diplomatiche intraprese.
Il ministro Chastel ha inoltre ribadito l’importanza della parità di trattamento da parte degli Stati Uniti nei confronti di tutti gli Stati membri dell’UE in relazione all’obbligo del visto. A questo proposito, mi preme rammentarvi che negli ultimi due anni sono stati messi a segno progressi importanti nel meccanismo di reciprocità dei visti.
Grazie agli sforzi intrapresi dalla Commissione per conseguire una reciprocità completa con gli USA, altri otto Stati membri hanno aderito al programma di esenzione dal visto degli Stati Uniti – sette Stati membri alla fine del 2008 e la Grecia nell’aprile 2010. La Commissione continua a ribadire agli USA, a livello politico e tecnico, l’importanza attribuita dall’UE all’adesione dei rimanenti quattro Stati membri dell’UE – segnatamente Bulgaria, Cipro, Polonia e Romania – al programma di esenzione dal visto il prima possibile.
Vi assicuro che la Commissione, in cooperazione col Consiglio e con l’Alto rappresentante, insisterà a inserire tale questione nell’agenda di ogni incontro futuro UE-USA.
Ernst Strasser, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, dobbiamo reagire – come Parlamento, ma mi riferisco naturalmente al mio gruppo, in particolare – con un “no” deciso a questa tassa turistica di 14 dollari USA, dicendo “no” a misure ingiustificate che gli americani impongono agli europei, e “no” a questa tensione unilaterale nei rapporti Europa-Stati Uniti. Non possiamo dichiararci soddisfatti delle relazioni che ci sono state esposte. Devo dirvi con franchezza che, riguardo a tale questione, il rammarico non è sufficiente. Dichiarare che si tratta di discriminazione non è sufficiente.
Stamani lo stesso Presidente Van Rompuy ha affermato che uno dei principi di base della cooperazione tra partner è la reciprocità. Non pretendo che trattiamo gli americani allo stesso modo in cui loro trattano noi. Va tuttavia ribadito con molta chiarezza che in questo caso occorre una risposta dall’Europa che non lasci spazio a dubbi, e tocca a Commissione e Consiglio intervenire in tal senso mediante misure concrete. Vi esorto a formulare proposte concrete e a discutere col Parlamento la maniera in cui intendete affrontare la questione. Gli americani devono rendersi conto che non scherziamo su questo tema – e nemmeno su altri – e che pretendiamo di essere trattati da partner e non come coloro che, all’esortazione “Saltate!”, si limitano a chiedere: “Quanto in alto?”.
Juan Fernando López Aguilar, a nome del gruppo S&D. – (ES) Signor Presidente, intervengo nella discussione pur sapendo che la questione non è ancora chiusa dal punto di vista europeo. Il Parlamento deve tuttavia constatare che gli Stati Uniti hanno preso una decisione. Si tratta di una decisione che rema contro l’auspicio che il dialogo transatlantico continui a mettere a segno progressi nel rafforzare non solo gli scambi commerciali, ma anche l’intero spettro degli scambi sociali e umani, basati sulla fiducia di entrambe le parti e sulla reciprocità.
Non possiamo transigere con l’applicazione discriminatoria di una tassa che va decisamente contro la promozione di tali scambi, crea linee divisorie tra gli Stati membri dell’Unione europea e ha un impatto diretto sul pubblico. Inoltre, è contraria al comportamento adottato dall’Europa con gli Stati Uniti e con i propri concittadini, un atteggiamento che non solo è stato sempre rispettoso del desiderio di rafforzare i legami umani e commerciali(1), ma che ha anche sempre promosso la dimensione della mobilità transatlantica nei rapporti tra i cittadini dei due emisferi.
Per tale ragione, ritengo che sia molto importante che il Parlamento ribadisca con chiarezza che si attende che la Commissione difenda con vigore la posizione europea e, se necessario, eserciti la clausola di reciprocità. Non sarà certamente una buona notizia per il dialogo transatlantico, ma trasmetterebbe con chiarezza il messaggio che non siamo disposti ad accettare senza reagire una mancanza di reciprocità nella promozione degli scambi umani e sociali che avviene attraverso le linee aeree europee e statunitensi, per non parlare poi dell’impatto economico che ciò causerebbe, aggravando la crisi che già affligge il settore del trasporto aereo su entrambe le sponde dell’Atlantico.
Alexander Graf Lambsdorff, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, l’Amministrazione e il Congresso hanno ottime ragioni per fare un passo indietro e abrogare la cosiddetta legge sulla promozione del turismo.
In primo luogo, è a dir poco bizzarro – e lo ha precisato anche la Commissione – introdurre una tassa per promuovere il turismo. Se recarsi negli Stati Uniti diventa più costoso, probabilmente il numero di visitatori diminuirà; nel caso di una famiglia di quattro persone, parliamo di 40 dollari USA – una somma non indifferente per molte persone. Sembra inoltre un pochino assurdo che proprio gli Stati Uniti, tra tutti i paesi, impongano tasse su persone non rappresentate nel dibattito. Credo che la tassazione senza rappresentanza occupi un posto non da poco nella storia americana, e a mio avviso una rilettura in tal senso non guasterebbe.
In secondo luogo, l’America diventerà una meta più ambita se costringerà i turisti a pagare di più? Non credo. Gli Stati Uniti sono una destinazione molto gettonata, con nomi divenuti d’uso comune quali Yosemite, Grand Canyon, Everglades, Chesapeake Bay, Boston, New York, Washington e San Francisco. I turisti arrivano comunque, non serve promuovere il turismo col sistema da loro suggerito.
Ora, al di là di tali questioni, ve ne sono altre importanti di natura politica, che a mio avviso vanno affrontate. Ritengo che sia totalmente inaccettabile che per sostenere tale costo si possano utilizzare solamente carte di credito o di debito di aziende registrate negli Stati Uniti d’America. Non credo che sia accettabile. Inoltre, conservare e verificare tali dati negli Stati Uniti potrebbe essere accettabile se tale procedura fosse limitata allo scopo specifico di controllare il turismo, ma il dipartimento di sicurezza interna è autorizzato a fornire tali dati ad altre autorità americane o straniere che li richiedano, e persino alle aziende che si occupano di trasporti. Dal punto di vista della riservatezza della protezione dei dati, anche tale procedura è semplicemente inaccettabile.
La Commissione e il Consiglio devono trovare immediatamente delle risposte adeguate. Ritengo che il prossimo vertice UE-USA debba occuparsi di tale questione. A mio parere, la reciprocità è un fatto positivo, ma in questo caso è deplorevole, e ritengo che entrambe le parti debbano adoperarsi per intensificare i contatti tra le persone, e non per ostacolarli.
Jan Philipp Albrecht, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, il tema della discussione odierna è una tassa generica di 14 dollari USA imposta a chiunque entri negli Stati Uniti. In primo luogo, mi sembra un po’ contraddittorio che ci sia da una parte un programma di esenzione dal visto per agevolare la circolazione delle persone tra Unione europea e Stati Uniti e, dall’altra, l’obbligo spettante a tutti i cittadini europei di trasmettere i propri dati personali tramite ESTA e di corrispondere un’imposta aggiuntiva al momento dell’ingresso nel paese.
Dobbiamo naturalmente rispettare le decisioni dei nostri partner americani, e specialmente del Congresso, ma questo non mi sembra un segnale di fiducia e cooperazione. Quando si tratta di proteggere le frontiere e di garantire misure di sicurezza efficaci, l’UE ha dato ripetutamente prova della propria volontà di far funzionare le cose, a volte con grandi difficoltà rispetto ai nostri valori e cittadini. E il diritto alla libera circolazione come si coniuga coi controlli alle frontiere? E il diritto alla presunzione di innocenza come si concilia con le misure di sicurezza? E il diritto alla protezione dei dati e al ricorso come si coniuga con la raccolta di informazioni personali?
Se si trattasse solamente di pagare 14 dollari USA, non sarebbe poi un grosso problema, ma il dipartimento americano di sicurezza interna non si limita a raccogliere i dati ESTA dei viaggiatori, vale a dire numerose informazioni su come contattarli e identificarli, tra cui dati sensibili. Pretende anche di accedere ai codici di prenotazione inseriti nei sistemi di prenotazione delle agenzie di viaggio, che contengono dettagli sulla vita personale dei viaggiatori! è oltremodo insoddisfacente che il Commissario Malmström non abbia ancora colto il concetto che tale utilizzo dei dati di prenotazione interferisce gravemente con i diritti dei cittadini e non può essere ammesso ai sensi del diritto comunitario.
Le cose si complicano ulteriormente quando si constata che tale tassa di 14 dollari USA deve essere pagata con una delle quattro carte di credito più diffuse, le cui emittenti risiedono tutte negli USA. Mi chiedo come possiate garantire che tali masse di dati non vengano utilizzate per indagini non correlate ai viaggi stessi, per lo meno per la durata del Patriot Act? Chiedo poi a voi, Commissione e Consiglio, se siete consapevoli del fatto che il diritto comunitario esistente è già compromesso dal modo in cui accettiamo le norme USA imposte ai cittadini europei.
La Commissione, il Consiglio e anche voi, onorevoli colleghi, avete tutti l’obbligo di tutelare i diritti dei cittadini comunitari e le leggi europee. Questo vale anche per le relazioni transatlantiche con gli USA.
Marek Henryk Migalski, a nome del gruppo ECR. – (PL) Non voglio soffermarmi su quello che è stato il tema della discussione, mi riferisco alla questione del pagamento, della tassa stessa o della possibilità di utilizzare i dati e le informazioni ottenute con tale procedura. Vorrei parlare della cosa più importante, cioè che nell’Unione europea, e anche in Parlamento, noi ci adoperiamo per assicurarci che tutti gli Stati membri dell’Unione europea vengano trattati in maniera equa. Deplorevolmente, nella questione e nell’area in oggetto, gli americani non ci trattano in questo modo, e di conseguenza alcuni Stati membri dell’UE hanno ancora l’obbligo del visto, mentre la maggior parte degli stessi non è soggetta a tale obbligo. Ritengo che il ruolo del Parlamento, ma anche di tutte le altre istituzioni dell’Unione europea, consista nel garantire che tutti gli Stati membri, indipendentemente dalla loro data di adesione all’Unione, vengano trattati in maniera equa. Lo dico a nome e nell’interesse dei cittadini del mio paese, ma anche di tutti gli Stati che hanno aderito all’Unione europea nel 2004.
Rui Tavares, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la scena che abbiamo di fronte è a dir poco straordinaria. Abbiamo davanti agli occhi una reciprocità asimmetrica. Ebbene, se è asimmetrica, non è una reciprocità autentica. C’è un registro che è superfluo. In fin dei conti, non solo chiediamo agli europei i dati del codice di prenotazione completo di nome e i dati SWIFT, adesso pretendiamo anche che gli europei che si recano negli Stati Uniti procedano prima alla propria registrazione; inoltre, stiamo esaminando una possibile tassa turistica che, come testé rilevato dall’onorevole Lambsdorff, è totalmente contraria all’obiettivo di incrementare i legami turistici con gli Stati Uniti.
Non ha tuttavia alcun senso criticare gli Stati Uniti per questo. In fin dei conti, gli Stati Uniti – che, tra parentesi, sono un paese per cui nutro una grande ammirazione – fanno quello che decidono i loro rappresentanti eletti. A mio parere, il problema è molto più da imputare a noi che non agli USA.
A mio avviso, si tratta innanzi tutto di un problema di mentalità dei nostri servizi diplomatici. Recentemente, quando ci siamo recati a Washington con la delegazione per il caso SWIFT, ci siamo resi conto che la missione europea ha passato più tempo a cercare di giustificarsi e scusarsi per il voto del Parlamento europeo su SWIFT che non per spiegarne le ragioni che riguardano 500 milioni di cittadini europei.
è un problema di mancanza di solidarietà, perché se uno Stato membro non gode dell’esenzione dal visto, gli altri paesi membri dovrebbero affiancarlo in tale lotta. è anche un problema di reciprocità, ma in un senso diverso da quello attribuito in questa discussione.
In questa sede abbiamo parlato di reciprocità come se ci piovesse dall’alto, come se dovessimo richiederla. è vero, ma possiamo anche offrirla noi questa reciprocità. Altri paesi lo fanno. Nel Natale del 2007, quando venne introdotto un giro di vite nei requisiti per i cittadini brasiliani negli Stati Uniti, il Brasile reagì inasprendo immediatamente i propri requisiti di sicurezza per i cittadini americani che entravano in Brasile, e gli Stati Uniti fecero subito marcia indietro.
L’Europa deve ricorrere più frequentemente a tali sistemi se vuole guadagnarsi il rispetto nel dialogo transatlantico.
Elmar Brok (PPE). – (DE) Signor Presidente, Ministro Chastel, Commissario, vorrei soltanto esprimere qualche osservazione aggiuntiva. Come sapete, sono il presidente della delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti, e si è parlato molto dell’abolizione dell’obbligo del visto. Abbiamo anche affrontato tale questione per la Romania, la Bulgaria e altri paesi come questi. Al posto del visto tradizionale è stato creato un altro tipo di visto, e a tale proposito noi siamo stati così gentili da mettere a disposizione degli americani i dati dei nostri cittadini in maniera incredibilmente completa e, come se non bastasse, adesso siamo anche chiamati a versare una tassa. Tali imposte verranno anche utilizzate per pubblicizzare l’industria turistica americana. Reputo che quello che ci stanno presentando gli americani sia un modello imprenditoriale unico, vale a dire far pagare direttamente la pubblicità ai consumatori. Raccomanderò tale modello anche agli uffici del turismo della regione da cui provengo. Ritengo sia un approccio alle cose che ha dell’incredibile.
Non nego che qui c’entri anche il fatto che non vi sono ancora contatti sufficienti tra Parlamento europeo e Congresso tali da evitare situazioni del genere intraprendendo un dialogo ragionevole. Un’altra ipotesi è che il Consiglio e la Commissione non stiano affrontando tali questioni in maniera coraggiosa e credo – in tal senso, condivido il punto di vista espresso dagli altri eurodeputati – che a volte anche solo citare la reciprocità possa essere utile.
Venire qui a lamentarci perché la situazione non ci piace e perché abbiamo intrapreso molte manovre diplomatiche indebolisce la nostra posizione, in quanto poi nessuno ci prenderà più sul serio. è come partire da leoni e finire da agnellini. Esorto pertanto nuovamente il Consiglio e la Commissione, nonché l’Alto rappresentante /Vicepresidente della Commissione, ad affrontare la questione in modo tale da far vedere anche a Washington che quest’Unione europea è una vera e propria potenza.
Saïd El Khadraoui (S&D). – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, a mio avviso lei è troppo cauto. Non vuole impegnarsi con dichiarazioni definitive perché non è ancora stato trovato un accordo definitivo, ma nel frattempo i nostri cittadini stanno già pagando questo dazio, il che è naturalmente inaccettabile. Deve intervenire, e in modo molto attivo.
Come già ripetutamente ricordato dagli oratori che mi hanno preceduto, è sorprendente constatare che le autorità statunitensi non siano riuscite a trovare una soluzione migliore alla questione di come attirare più visitatori del costringere questi stessi visitatori a versare un dazio aggiuntivo di 14 dollari USA, 4 dei quali servono effettivamente a coprire i costi del sistema elettronico di autorizzazione del viaggio (ESTA). In altre parole, non vogliono scaricare i costi regolari sui contribuenti americani, ma hanno pensato bene di farli sostenere agli europei.
Si tratta di una prima, importante differenza rispetto a tutti i vari oneri di aviazione o imposte aeroportuali da noi introdotti in una serie di Stati membri, ad esempio, di recente, in Germania. Deploro tali misure unilaterali intraprese da diversi Stati membri; sono invece a favore di un approccio europeo alla questione, che dovrebbe idealmente considerare anche aspetti quali i costi esterni dei voli in questione. Tuttavia, qui le cose sono diverse. In Europa non vengono praticate discriminazioni: tutti versano tali quote, mentre nel caso degli USA siamo solo noi a pagare. E ci sono 900 000 europei che si riregistrano ogni mese tramite ESTA.
Occorre inoltre esaminare nel dettaglio se tale misura non contraddica la lettera e lo spirito del programma di esenzione dal visto, che prevede sostanzialmente che i viaggiatori in entrambi i sensi non debbano fare domanda di visto con tutti i costi ad essa associati. L’ESTA assomiglia sempre di più a un visto, in linea con quanto appena precisato dall’onorevole Brok. Vi chiederei pertanto di non trattare la questione con leggerezza, di non rimandarla, bensì di trasmettere ai nostri partner negli Stati Uniti un messaggio molto forte sull’inaccettabilità della situazione; non è modo di comportarsi. Occorre pertanto esaminare tutte le opzioni e, se gli americani non si mostrano flessibili, dovremo naturalmente riflettere se riservare loro il medesimo trattamento.
In tale contesto, vorrei richiamare brevemente l’attenzione sugli sforzi compiuti dall’onorevole Tajani per far decollare una politica europea del turismo. Il trattato di Lisbona ci ha garantito più voce in capitolo in tal senso a livello europeo. Forse non sarebbe sbagliato scambiarci qualche opinione sulla questione nei prossimi mesi.
Paweł Robert Kowal (ECR). – (PL) Signor Commissario, l’onorevole Brok si è forse dimenticato, credo, che anche i cittadini polacchi hanno ancora l’obbligo del visto per recarsi negli Stati Uniti, una situazione difficile da comprendere. Vorrei cogliere l’occasione per esortarvi ad intervenire sulla questione, che è molto seria. Tuttavia, nemmeno trattare i visti alla stregua di una semplice questione procedurale o considerare il problema dei visti e di queste altre tasse bizzarre e ingiustificate come un’occasione per mostrare i muscoli in Parlamento e protestare contro gli Stati Uniti è, a mio avviso, l’approccio più indicato.
Trattare i visti solamente come questione procedurale o come occasione di battibecco politico, significa non aver compreso il significato dei visti nel mondo odierno. Non esiste strumento di cooperazione più significativo dal punto di vista politico. Esorto pertanto sia la Commissione sia i deputati di quest’Assemblea a migliorare i rapporti col Congresso. Come eurodeputati, abbiamo il diritto di appellarci al Congresso e di esercitare pressioni per far adottare un approccio ai visti totalmente diverso. I visti rappresentano una barriera per i cittadini e, di fatto, sono uno dei più grandi ostacoli politici che si frappongono alla cooperazione transatlantica. Finché non comprenderemo questo concetto, i nostri sforzi non porteranno a nulla di buono.
Jaromír Kohlíček (GUE/NGL). – (CS) Onorevoli colleghi, un tempo le navi cariche di passeggeri che salpavano per gli Stati Uniti venivano salutate al porto. E a quei tempi, sto parlando della fine del XIX secolo, anche mio nonno è salito a bordo di una di queste navi. Ma oggi, quando voglio recarmi negli Stati Uniti, devo pagare una sorta di strana tassa. Ci dev’essere una giustificazione per questo onere, ma il mio sospetto è che me la facciano pagare per potermi monitorare. Tale sospetto diventa ancora più forte quando constato con quanto ardore i negoziatori statunitensi esigono il trasferimento di dati spesso sensibili su cittadini provenienti dall’Unione europea. Verbalmente non si tratta di screening, controlli o emissioni di visti. In realtà, il cittadino si ritrova insieme ad altri milioni di persone che vengono monitorate in assenza di una protezione adeguata delle informazioni che vengono trasmesse. Che cosa succede poi a questi dati sensibili? E chi lo sa! è soltanto il normale stato di cose tra due partner a livello cosiddetto paritario.
Gli Stati Uniti intraprendono determinate misure e l’Unione europea ha difficoltà a capire se e in che modo reagire alla situazione. Di norma, gli esiti di tali negoziati non sono generalmente soddisfacenti e, ad esempio, l’accordo “cieli aperti” concluso con gli Stati Uniti è altamente parziale. So che gli interessi economici di entrambe le parti si riflettono spesso direttamente negli accordi che vengono o meno stipulati nei diversi settori. Non comprendo tuttavia il motivo per cui non ci sia stata un’adeguata, previa consultazione sulle misure adottate, e non sempre mi è chiaro come tali misure possano andare a vantaggio dei cittadini dell’Unione europea. Confido nel fatto che, in seguito ai negoziati, non verranno introdotti visti o questionari che entrino nei dettagli dello stato civile dei miei antenati.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Dopo esserci sbarazzati delle mura di cemento e delle siepi di filo spinato che separavano la parte occidentale di Berlino da quella orientale e dividevano il continente europeo in una riserva orientale e in una parte occidentale, abbiamo ingenuamente creduto di essere giunti al termine dell’epoca dei regimi paranoici che impedivano ai liberi cittadini di comunicare liberamente, di informarsi sul mondo e di viaggiare.
Sappiamo che la libertà di muoversi e la reciproca consapevolezza aiutano le persone che provengono da diversi angoli del pianeta, da civiltà diverse e da culture diverse a superare i pregiudizi e a scrollarsi di dosso la paura dell’ignoto, incoraggiando lo sviluppo della fiducia tra le nazioni. Non so cosa sia accaduto ai nostri amici americani. Si sono sempre battuti in difesa della libertà e della democrazia, ma magari hanno perso il senno. Lungo la frontiera meridionale col Messico hanno cominciato a costruire quel genere di barriere che noi europei siamo riusciti a togliere solo di recente. Introducono barriere amministrative e tecniche sempre più numerose contro i visitatori del loro paese. Dove porterà tutto questo, onorevoli colleghi? Forse il Presidente Obama non se ne rende conto, ma da fuori sembra che l’amministrazione americana stia tentando di trasformare gli USA in una specie di giardino protetto da siepi e completamente chiuso, pieno di persone doverosamente felici, come il regime di Kim Jong-il in Corea del Nord. Mi piacerebbe sbagliarmi, e forse dovremmo spiegare ai nostri amici americani che la tassa e i dati personali in cui curiosare che loro richiedono in cambio di una visita al loro paese rappresentano semplicemente un’enorme vergogna per una superpotenza della libertà e della democrazia quale sono gli Stati Uniti d’America.
Simon Busuttil (PPE). – (MT) Provengo da uno di quei paesi nel quale, qualche tempo fa, è stato tolto l’obbligo del visto per recarsi negli Stati Uniti. Poco dopo l’abolizione del visto in diversi paesi, assistiamo all’introduzione negli Stati Uniti di un altro visto, con un altro nome – un visto che si chiama ESTA, per il quale i cittadini sono ancora una volta chiamati a pagare. All’inizio ci era stato detto che sarebbe costato dieci dollari, adesso ci è stata comunicata la cifra di quattordici dollari, ma non è detto che la somma non continui a lievitare. Non è accettabile, perché si tratta di un altro visto. Spero che la Commissione europea si renda conto che si tratta di un visto e che come tale lo tratti. C’è tuttavia un’altra ragione per cui tale decisione e tali sviluppi sono da deplorare: il momento in cui si sono verificati. Infatti, in quest’Aula avevamo appena votato sull’accordo SWIFT e teso una mano di cooperazione agli Stati Uniti. A mio parere, la reazione degli Stati Uniti, invece che essere positiva, è stata negativa, alla luce di questa misura e di questa tassa. Mi preme sottolineare che vi sono numerose questioni, quali il codice di prenotazione e l’accordo generale sulla protezione dei dati, di cui l’Assemblea deve ancora discutere. Ritengo sia importante che qualsiasi tipo di cooperazione tra noi e gli Stati Uniti debba essere basata sulla fiducia, in caso contrario non riusciremo a conseguire risultati soddisfacenti e positivi per i cittadini di entrambi i paesi.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Anch’io sono dell’idea che l’introduzione di una tassa d’ingresso negli Stati Uniti sia deplorevole. Si tratta di una misura che contraddice l’impegno assunto dagli Stati Uniti di agevolare la mobilità transatlantica. Non credo tuttavia che l’Unione europea risponderà con una misura identica che si ripercuota sui cittadini americani. Due torti non fanno una ragione. Per questo ritengo che la soluzione consista nell’intensificare il dialogo bilaterale. A tal fine, è compito della Commissione europea impegnarsi di più per migliorare i rapporti con gli Stati Uniti.
Deplorevolmente, questa tassa ingiusta si somma a un’altra misura discriminatoria imposta unilateralmente dagli Stati Uniti ad alcuni Stati membri dell’UE e che inficia la cooperazione transatlantica e la fiducia. I cittadini di quattro paesi UE continuano ad aver bisogno di un visto per recarsi negli Stati Uniti: Romania, Bulgaria, Polonia e Cipro. I cittadini dei nostri paesi non possono purtroppo entrare liberamente negli Stati Uniti. Particolarmente deplorevole è il fatto che la legislazione americana in vigore dal luglio del 2009 abbia tristemente scartato la possibilità di inserire alcuni di questi paesi nel programma di esenzione dal visto in un momento in cui il numero di domande respinte continua a rappresentare l’ostacolo principale all’abolizione del visto obbligatorio. Poiché tali domande respinte dipendono strettamente dalla decisione dei rappresentanti americani, ritengo che gli USA debbano adoperarsi con maggiore energia per migliorare la trasparenza del processo di concessione dei visti. Per tale ragione, anch’io mi associo alle affermazioni del Vicepresidente e desidero esortare nuovamente la Commissione a insistere sulla garanzia di un trattamento paritario e non discriminatorio di tutti i cittadini dell’Unione europea, compresi quelli dei paesi per i quali sussiste ancora l’obbligo di un visto di ingresso per gli Stati Uniti. Onorevoli colleghi, è triste e sbagliato che gli Stati che hanno risolto la questione del visto si siano dimenticati di tale problematica e delle iniziative ufficiali intraprese dal Parlamento europeo nei confronti delle autorità USA. Reputo inoltre che serva una maggiore solidarietà, e non manifestazioni di egoismo locale.
Jim Higgins (PPE). – (EN) Signor Presidente, mi associo a tutti i commenti relativi all’impatto negativo esercitato da questa misura specifica. Tale tassa di 14 dollari USA, esigibile una volta ogni due anni, si applica a paesi che vantano ottimi rapporti con gli Stati Uniti. Abbiamo intrattenuto negoziati molto positivi in relazione ai cieli aperti, allo scambio di informazioni sui passeggeri e così via, ma tutto ciò è controproducente in quanto, in buona sostanza, si tratta di introdurre un nuovo visto.
è una questione di visti, come ha rilevato l’onorevole Busuttil: persino i neonati senza biglietto hanno l’obbligo di esibire un’autorizzazione di viaggio approvata. In tal senso, convengo con la Commissione che tutto ciò sia deplorevole e incoerente con l’impegno assunto dagli Stati Uniti di facilitare la circolazione transatlantica.
Di fatto vengono introdotte nuove barriere in un momento in cui tali ostacoli stanno via via venendo a cadere, e il Senato degli Stati Uniti introduce invece tale onere nel tentativo di combattere il calo dei visitatori nel proprio paese. La maggior parte di questi fondi verrà utilizzata per finanziare la promozione degli Stati Uniti quale meta di vacanza. Tuttavia, ritengo che sortirà l’effetto contrario.
Il mio paese, ad esempio, vanta un legame di lunga data con gli Stati Uniti: 40 milioni di persone che vivono negli Stati Uniti sono di origine irlandese, e tra i due paesi sussistono legami commerciali di enorme entità. Nella maggioranza dei casi, la gente si rifiuterà di corrispondere tale imposta.
Lo scopo essenziale di questa legge consiste sostanzialmente nell’incrementare gli introiti del Tesoro e nell’aumentare l’attrattiva degli Stati Uniti quale meta turistica. Secondo il Presidente Obama, i turisti stranieri spendono 120 miliardi di dollari USA e danno lavoro a un milione di persone, mentre questa misura si tradurrà in altri 4 miliardi di dollari USA e in 40 000 nuovi posti di lavoro.
A mio avviso accadrà l’esatto contrario, in quanto da un sondaggio online condotto da Telegraph Travel è emerso che il 44% dei lettori ha affermato che una tale tassa li scoraggerebbe dal recarsi negli Stati Uniti. Stando a tale studio, ritengo che tale misura si rivelerà controproducente e darà luogo a effetti negativi, danneggiando sostanzialmente gli Stati Uniti e il loro settore turistico.
Ioan Enciu (S&D). – (RO) Le relazioni transatlantiche sono una priorità della politica estera europea. La mobilità è al centro del concetto di cittadinanza europea, come sancito dalla Carta dei diritti fondamentali e dai trattati. Tutti i cittadini europei godono allo stesso modo della libertà di circolazione all’interno dello spazio Schengen e del diritto di mobilità in relazione ai paesi terzi, ivi compresi pertanto anche i cittadini dei nuovi Stati membri. Tenuto conto di ciò, ribadiamo la nostra delusione per l’esclusione ingiustificata di milioni di cittadini europei di quattro Stati membri, tra cui la Romania, dal partenariato speciale di mobilità instaurato tra l’Unione europea e gli Stati Uniti.
I miei onorevoli colleghi hanno espresso la propria perplessità sulla promozione del sistema ESTA, che di fatto reintroduce una specie di visto per tutti i cittadini europei. La tassa non comporta solamente il versamento di 14 dollari USA, bensì anche la raccolta di dati personali dei cittadini dell’Unione europea. Il dipartimento di sicurezza interna statunitense sta attualmente valutando l’applicazione di questa tassa/visto. La Commissione deve collaborare con l’amministrazione americana per trovare una soluzione e abolire tale imposta. Mi preme sottolineare che il mantenimento di tale decisione potrebbe sortire un impatto imprevisto su altri fascicoli inerenti alle relazioni transatlantiche in materia di sicurezza e mobilità attualmente ancora aperti, quali il futuro accordo UE-USA sulle informazioni relative ai codici di prenotazione. Se l’amministrazione USA non abolirà tale tassa, sosterremo la Commissione nell’adozione delle misure necessarie volte ad applicare la reciprocità a tutti i cittadini americani che si recano nell’Unione europea, in accordo col principio fondamentale della politica europea in materia di visti.
Wim van de Camp (PPE). – (NL) Signor Presidente, mi associo al mio onorevole collega Brok nel ribadire che ci teniamo moltissimo a mantenere buoni rapporti con gli Stati Uniti. L’Europa collabora con gli Stati Uniti in numerosi settori, e possiamo esserne fieri.
In secondo luogo, convengo con tutti i miei onorevoli colleghi e mi associo a tutte le domande che sono già state poste; non c’è veramente molto altro da aggiungere. è importante che la Commissione e possibilmente il Consiglio rispondano prontamente a tali interrogazioni. Deploriamo tuttavia che il governo americano abbia intrapreso quest’azione unilaterale, e si potrebbe benissimo avviare una discussione e chiedersi se il nocciolo della questione siano davvero i 14 dollari USA. Il punto non è che i turisti paghino per cquistare il visto o una Coca-Cola a Washington, il punto è che l’Europa viene trattata con una certa dose di disprezzo. Prima tanti discorsi su SWIFT e così via, e poi questa misura unilaterale.
La Commissione deve chiarire oggi stesso quello che ha fatto. Di questi tempi, il Parlamento europeo non si accontenta più del semplice annuncio di uno studio sulla politica. Vogliamo semplicemente sapere cos’avete detto al governo americano e se siete stati in grado di distoglierlo dal suo proposito. Lo ripeto, considero un insulto il fatto che tale misura ci sia stata imposta unilateralmente, dato il nostro livello di cooperazione con gli Stati Uniti. La domanda sul metodo di pagamento è già stata fatta, ma la questione non andrebbe nemmeno sollevata se non si ha intenzione di pagare tale dazio.
Janusz Władysław Zemke (S&D). – (PL) La situazione è tale per cui in quest’Aula ci sono europarlamentari provenienti da paesi i cui cittadini non devono esibire un visto d’ingresso per entrare negli Stati Uniti. Purtroppo, tuttavia, quest’Assemblea comprende anche dei deputati di Stati membri quali la Polonia, nei quali occorre richiedere un visto americano. In Polonia, l’ottenimento di tale visto richiede una procedura molto lunga che, a volte, può essere anche umiliante. I cittadini del mio paese pagano più di 100 dollari USA per ottenere un visto, ma devono pagare anche quando tale documento non viene loro emesso. Di conseguenza, per noi la cosa che conta maggiormente è la solidarietà europea. A noi interessa che il Parlamento europeo, la Commissione europea e il Consiglio dichiarino apertamente che i cittadini di tutti i paesi che compongono l’Unione debbano essere trattati esattamente allo stesso modo. Mi fa piacere che la Commissione europea e il Consiglio non stiano trattando tale questione solamente qui in Europa, ma la stiano facendo valere sempre più spesso nei loro contatti con l’amministrazione americana.
In Parlamento, tuttavia, vale la pena porsi la seguente domanda: in qualità di eurodeputati, cosa possiamo fare insieme per risolvere il problema dei cittadini di questi Stati membri? A mio parere, quel che più conta in tal caso sono i nostri contatti col Congresso statunitense, in quanto nel sistema giuridico americano, il Congresso svolge un ruolo decisivo nella politica fiscale e dei visti. Mi preme inoltre esprimere grande soddisfazione per aver sentito i rappresentanti della Commissione e del Consiglio affermare per la prima volta che c’è una luce in fondo al tunnel e che sussiste la possibilità che, a breve, i cittadini dei paesi quali la Polonia non debbano avere un visto per gli USA.
Monika Hohlmeier (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tra poco parteciperemo al ricevimento in onore della promozione dei rapporti tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. Il fatto che tale evento sia stato fissato proprio per oggi è particolarmente significativo. Noi tutti avremo la possibilità di riferire all’ambasciatore quello che abbiamo appena sottolineato qui in plenaria. Dovremmo cogliere l’occasione per farlo di persona.
Gli Stati Uniti d’America non ci stanno particolarmente facilitando il lavoro al momento, né stanno agevolando i nostri rapporti di amicizia. Ho l’impressione che su molte questioni si stiano comportando come un elefante in un negozio di soprammobili invece che dare prova di eleganza diplomatica.
I 14 euro di per sé non sono un fattore determinante. Tuttavia, se una famiglia con tre bambini desidera visitare gli Stati Uniti d’America, diventa un onere non trascurabile che potrebbe persino scoraggiarli dall’intraprendere tale viaggio. Come se non bastasse, se si è obbligati a inserire su Internet dettagli approfonditi riguardo la compagnia aerea con cui si vola, la destinazione del proprio viaggio, l’albergo in cui si alloggia e se, oltre a questo, bisogna fornire il numero della propria carta di credito, sorgono spontanee numerose domande sulla ragione per cui tutto ciò sia necessario. Se, in aggiunta a ciò, si sentono i racconti di alcuni buoni conoscenti che sono stati costretti ad aspettare per ore negli aeroporti americani e a subire la sgarbatezza dei controlli di sicurezza, a volte ci si chiede se gli Stati Uniti d’America si rendano conto che, in molti settori, trattano gli amici in maniera piuttosto scortese e forse, rispetto a quello che le persone devono effettivamente fare, decisamente esagerata.
Inoltre, per quel che concerne le nostre relazioni transatlantiche, vorrei ribadire che i nostri rapporti con gli Stati Uniti sono effettivamente stretti. Ciò dovrebbe tuttavia significare anche ricevere un trattamento consono. Invito la Commissione e lei, Vicepresidente Šefčovič, a esigere chiaramente la garanzia di una mobilità senza obbligo di visto per gli Stati membri che non rientrano ancora in questo programma, e se a tale richiesta non seguirà una reazione adeguata, vi esorterei a pretendere l’applicazione della reciprocità. Non è questione di “occhio per occhio”, bensì di negoziare alla pari e di non permettere che ci trattino allo stesso modo in cui un signorotto feudale si rivolgerebbe ai propri sottoposti. Non siamo servi, siamo partner alla pari.
Marian-Jean Marinescu (PPE). – (RO) Nelle conclusioni della sua ultima riunione, il Consiglio europeo ha ricordato che i rapporti transatlantici si basano su valori comuni. La realtà dei fatti è la seguente: i cittadini americani possono entrare liberamente nel territorio dell’UE. L’Unione europea ha accettato PNR e SWIFT, nonché gli accordi concernenti i dati personali dei cittadini europei. Alcuni cittadini europei devono tuttora richiedere un visto per recarsi negli Stati Uniti. Inoltre, a tutti i cittadini europei vengono rilevate le impronte digitali al momento dell’ingresso in questo paese, indipendentemente dall’obbligo o meno di esibire un visto. I cittadini europei devono rendere nota online la loro intenzione di viaggiare e, di recente, devono versare una tassa di 14 dollari USA per entrare negli Stati Uniti.
Non li vedo questi valori comuni. Ritengo che all’imminente vertice di novembre l’Unione europea debba presentare una richiesta di abolizione dei visti per tutti i cittadini europei e garantire la parità di trattamento su entrambe le sponde dell’Atlantico.
Evelyn Regner (S&D). – (DE) Signor Presidente, Presidente Chastel, signor Commissario, la tassa di 14 dollari USA per entrare negli Stati Uniti è controproducente per le relazioni transatlantiche e andrebbe respinta per diverse ragioni. Renderà i viaggi più costosi. è discriminatoria ed è semplicemente antipatica.
Particolarmente deplorevole è il fatto che tali costi possano essere pagati solamente con carta di credito sul sito del dipartimento americano di sicurezza interna. Cosa possono fare le persone che non possiedono una carta di credito? Solo i titolari di una carta di credito sono autorizzati a entrare negli Stati Uniti? Come molti degli oratori che mi hanno preceduta, mi lascia perplessa il fatto che vengano trasmessi i dati della carta di credito dei cittadini comunitari.
Questo tema di certo irrita i cittadini europei, che si aspettano che la Commissione europea e il Consiglio mostrino di sapere il fatto proprio. Vi preghiamo di comportarvi da europei consapevoli del proprio valore e, laddove necessario, di applicare il principio di reciprocità.
Alfreds Rubiks (GUE/NGL) . – (LV) Grazie, signor Presidente. Non credo che l’amministrazione americana, che spende miliardi di dollari al giorno per la guerra, abbia bisogno di soldi. Non ha bisogno di soldi, bensì di avere accesso a nuovi dati aggiuntivi che erano e sono a disposizione mediante il programma SWIFT – dati sui nostri cittadini. Avverto da entrambi i fronti il desiderio dell’amministrazione e del Congresso americano di far capire chi comanda nei nostri rapporti bilaterali. Posso riferire un’esperienza personale: durante le discussioni tenutesi al Parlamento europeo sul programma SWIFT, un consulente dell’ambasciatore americano in Lettonia si è permesso di invitare me, un deputato dell’Unione europea, del Parlamento europeo, a un incontro a due per discutere e cercare di influenzare il mio voto. Ho ottime ragioni per credere che non si tratta di una questione di denaro. In Lettonia, ci sono molte persone con parenti che vivono negli Stati Uniti. Tra questi ci sono anche i miei elettori, che non saranno soddisfatti se non difenderemo i nostri interessi. Grazie.
Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, grazie delle osservazioni e delle vostre parole di sostegno per quella che speriamo si rivelerà una conclusione costruttiva delle nostre discussioni con gli Stati Uniti su tale questione molto complessa.
Vorrei innanzi tutto rassicurare i deputati del Parlamento che stiamo valutando tutte le misure nei confronti degli Stati Uniti nel quadro del meccanismo di reciprocità dell’UE, compresa la possibilità di introdurre l’ESTA (sistema elettronico di autorizzazione del viaggio) comunitario sul quale, come sapete, è in corso uno studio di fattibilità. Verrete naturalmente informati degli esiti e delle possibili proposte future.
Per quanto riguarda l’ipotesi che questa tassa possa essere percepita come una sorta di visto camuffato, devo constatare che, in base alla valutazione preliminare condotta dalla Commissione in dicembre del 2008 sull’ESTA attuale, come stabilito nella versione finale provvisoria, in questa fase l’ESTA non può essere considerata equivalente al processo di applicazione dei visti di Schengen, come definito nelle istruzioni consolari comuni – attualmente note come codice sui visti.
Per quanto riguarda la reazione della Commissione alle nuove norme ESTA negli Stati Uniti, anche in questo caso mi preme informarvi che renderemo nota la nostra posizione ufficiale e pubblicheremo le nostre valutazioni finali una volta che verrà pubblicata nel registro federale americano la versione finale dell’ESTA. Siamo naturalmente molto consapevoli dell’estrema delicatezza della questione della raccolta e protezione dei dati personali, che figura molto in alto nell’elenco delle priorità della Commissione.
Per quel che concerne azioni diplomatiche e politiche future, vorrei comunicarvi che la Commissione ha già chiesto alla Presidenza di inserire la questione nell’ordine del giorno del prossimo Consiglio “giustizia e affari interni” di ottobre, e sono certo che la questione della tassa verrà sollevata alla prossima riunione dei ministri della Giustizia e degli affari interni UE-USA in programma per dicembre.
Ho preso atto e compreso appieno le preoccupazioni degli onorevoli deputati che provengono da quei paesi i cui cittadini hanno ancora l’obbligo di richiedere un visto per recarsi negli Stati Uniti, e vorrei assicurare loro che eserciteremo inesorabili pressioni per inserire il prima possibile i quattro rimanenti Stati membri dell’UE nel programma di esenzione dal visto degli Stati Uniti.
Tale questione è stata sollevata dal Commissario Malmström a Madrid nell’aprile di quest’anno in occasione dell’ultima riunione ministeriale UE-USA. è stato anche argomento del colloquio intercorso tra il Commissario e le autorità di Washington due mesi dopo, e si tratta naturalmente di una problematica che verrà fatta presente a tutti i livelli politici, e ci adopereremo affinché venga trovata una soluzione rapida a questo problema.
Consentitemi di concludere rispondendo alle osservazioni dell’onorevole Brok. Mi preme sottolineare che sarebbe veramente molto utile se il Parlamento intensificasse la propria comunicazione con le controparti americane in quanto, come tutti sappiamo, sul progetto di imposta ESTA e sulle politiche in materia di visti il Congresso americano esercita un’influenza notevole, e il vostro sostegno e la vostra assistenza in tal senso sarebbero effettivamente molto preziosi.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, qualche parola per concludere e per informarvi che, in seguito alle nostre discussioni, emerge ancor più chiaramente l’esigenza che l’Unione europea continui a lavorare in collaborazione con le autorità americane al fine di migliorare la mobilità transatlantica. In tal senso, mi fa molto piacere, signor Presidente, che l’ambasciatore americano presso l’Unione europea abbia presenziato a molte delle nostre discussioni. A mio parere si tratta di un segnale che indica che gli Stati Uniti hanno prestato ascolto alla nostra discussione.
Come ci ricorderà la Commissione nella relazione sulla reciprocità in materia di visti, ci sono ancora quattro Stati membri i cui cittadini hanno l’obbligo di richiedere un visto per gli Stati Uniti. Tale situazione non può essere tollerata in vista della deroga sui visti che si applica ai cittadini americani stessi che entrano nello spazio Schengen. La Presidenza farà pertanto il possibile per sostenere la Commissione nelle misure che continua a prendere per porre fine a tale situazione.
Dobbiamo pertanto impegnarci per mantenere quanto più bassi possibile i costi dei viaggi negli Stati Uniti, che si tratti di trasferte per turismo, di viaggi di lavoro o correlati a determinate missioni. Vi assicuriamo che la Presidenza continuerà a perorare la causa dell’Unione nei confronti delle autorità americane.
Una volta che la Commissione avrà presentato la sua relazione sulla reciprocità dei visti, prevista per l’autunno, e avrà fornito la sua valutazione finale del sistema elettronico di autorizzazione del viaggio (ESTA), e una volta che le autorità americane renderanno note le norme definitive, il Consiglio deciderà come muoversi di conseguenza.
(La seduta, sospesa alle 17:20, riprende alle 18:00)
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) La risoluzione del Parlamento europeo del 22 ottobre 2009 chiedeva agli Stati Uniti di trattare allo stesso modo tutti i cittadini comunitari, ai sensi del principio di totale reciprocità. Tuttavia, quattro paesi continuano a essere esclusi dal programma di esenzione dal visto degli Stati Uniti: Romania, Bulgaria, Polonia e Cipro. Inoltre, gli Stati Uniti hanno introdotto una tassa per emettere ai cittadini comunitari un’autorizzazione di viaggio, a decorrere dall’8 settembre 2010. Ritengo che spetti alla Commissione europea, nei suoi rapporti con gli Stati Uniti, attribuire maggiore priorità alla questione della reciprocità in materia di emissione di visti e, al contempo, battersi per ottenere parità di trattamento per tutti i cittadini dell’UE.
N.d.T: Attenzione, la traduzione di questa frase è stata fatta sulla base del testo originale spagnolo, e non sulla base della traduzione inglese, che dice l’esatto contrario e che mi pare errata...