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Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 6 ottobre 2010 - Bruxelles Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 3. Dichiarazioni della Presidenza
 4. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 5. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
 6. Trasmissione dei testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
 7. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 8. Ordine dei lavori
 9. Seduta solenne – Timor orientale
 10. Giornata mondiale contro la pena di morte (discussione)
 11. Azione dell'UE in materia di esplorazione ed estrazione del petrolio in Europa (discussione)
 12. Conferenza sulla diversità biologica - Nagoya 2010 - Contributo della biodiversità e degli ecosistemi al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio (discussione)
 13. Disposizioni sociali del trattato di Lisbona
 14. Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne (discussione)
 15. Basilea II e revisione della direttiva sui requisiti patrimoniali (DRC 4)(discussione)
 16. Ammende della Commissione in casi di violazione delle norme antitrust (discussione)
 17. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
 18. Sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e sanità nel mondo (breve presentazione)
 19. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 20. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 21. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. BUZEK
Presidente

(La seduta inizia alle15.00)

 
1. Ripresa della sessione
Video degli interventi
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  Presidente. – Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo interrotta giovedì 23 settembre 2010.

 

2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Video degli interventi

3. Dichiarazioni della Presidenza
Video degli interventi
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  Presidente. – Lunedì l’Ungheria ha subito la più grave catastrofe della sua storia: una perdita da un serbatoio contenente fanghi rossi estremamente tossici ha causato la morte di almeno tre persone e ne ha intossicate centinaia. A nome del Parlamento europeo desidero esprimere la nostra solidarietà alle famiglie delle vittime e dei feriti.

Onorevoli deputati, colleghi, domani ricorre un anniversario importante: quattro anni fa venne assassinata Anna Politkovskaya, che ha dedicato la sua vita alla ricerca della verità sulla situazione del Caucaso settentrionale. Sappiamo quanto il giornalismo indipendente sia importante in qualsiasi società e per questo abbiamo reso omaggio alla determinazione della Politkovskaya nella sua lotta per le libertà di espressione e di stampa dedicandole una delle aule del centro stampa di Bruxelles. Oltre al suo sacrificio, non dobbiamo dimenticare l’impegno di Natalia Estemirova, Anastasia Baburova, dei difensori dei diritti umani Stanislav Markelov e Sergei Magnitsky e di molti altri, i cui assassini non sono ancora stati arrestati. Invitiamo le autorità russe a impegnarsi a fondo per garantire lo stato di diritto e porre fine al clima di mancanza di legalità e di impunità nella regione del Caucaso settentrionale.

(Applausi)

In vista della Giornata mondiale contro la pena di morte, il 10 ottobre, rinnovo l’invito del Parlamento europeo per l’introduzione di una moratoria sull’utilizzo della pena capitale in tutti i paesi del mondo. La morte non può mai essere considerata un atto di giustizia. Accogliamo con favore i cambiamenti introdotti in questo campo da alcuni paesi quali Russia, Burundi e Togo, ma ci rammarichiamo che la pena capitale sia ancora applicata in Giappone e negli Stati Uniti.

Crediamo che il dibattito pubblico in questi paesi democratici potrebbe contribuire a cambiare la situazione, mentre siamo gravemente preoccupati dal numero delle condanne a morte eseguite in paesi quali Cina e Iran. Chiediamo ai governi e alle autorità di questi paesi di porre fine a questa pratica.

(Applausi)

 

4. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
Video degli interventi

5. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale

6. Trasmissione dei testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale

7. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

8. Ordine dei lavori
Video degli interventi
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  Presidente. – La versione definitiva del progetto di ordine del giorno, elaborata dalla Conferenza dei Presidenti nella riunione di giovedì 23 settembre 2010 ai sensi dell’articolo 140 del regolamento, è stata distribuita. In accordo con i gruppi politici, desidero informare l’Aula in merito alle seguenti proposte di modifica.

(La maggior parte dei gruppi politici e, in alcuni casi, la netta maggioranza si è pronunciata a favore delle modifiche)

Per quanto riguarda mercoledì:

Inserimento di un nuovo punto all’ordine del giorno: dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulle disposizioni sociali del trattato di Lisbona dopo la discussione congiunta sulla biodiversità.

Ritiro dell’interrogazione orale sui container dispersi in mare e sul relativo indennizzo.

Per quanto riguarda giovedì:

Il turno di votazioni inizierà alle 11.30.

Ritiro dall’ordine del giorno della votazione sulla relazione dell’onorevole Maňka sul progetto di bilancio rettificativo n. 2/2010, seconda parte, poiché il Consiglio non ha adottato una posizione in materia e quindi non è possibile avviare la discussione.

 
  
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  Corien Wortmann-Kool, a nome del gruppo PPE.(EN) Signor Presidente, il gruppo del PPE accoglie sempre con favore approfondite discussioni in plenaria su temi sociali, ma ritiene che questi argomenti richiedono un’adeguata preparazione.

Per questo motivo la Conferenza dei Presidenti ha deciso a maggioranza che la proposta avanzata dal gruppo socialdemocratico di avviare una discussione sui servizi di interesse generale dell’agenda di Lisbona e sui servizi pubblici del trattato di Lisbona andasse innanzi tutto vagliata dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali. Siamo a favore di questa proposta poiché si tratta un tema molto complesso.

Mi risulta che il titolo sia stato modificato e che i liberali abbiano cambiato posizione, ma la sostanza è ancora molto complessa e vogliamo che se ne discuta innanzi tutto in seno alla commissione per l’occupazione poiché si tratta di un dibattito molto importante e articolato. Non vogliamo comunque fare ostruzionismo e per questo motivo ci asterremo dalla votazione.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio del chiarimento, onorevole Wortmann-Kool. Il punto è stato aggiunto all’ordine del giorno e il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) si è astenuto dalla votazione. La maggioranza degli altri gruppi politici ha voluto includere questo punto nell’ordine del giorno.

(L’ordine dei lavori è così fissato)

(La seduta è sospesa per qualche minuto)

 

9. Seduta solenne – Timor orientale
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  Presidente. – Signor Presidente, a distanza di 18 anni le do nuovamente il benvenuto qui al Parlamento europeo.

 
  
 

L’ordine del giorno reca il discorso del Presidente della Repubblica democratica di Timor orientale José Ramos-Horta.

È per me un gran privilegio dare il benvenuto al Presidente José Ramos-Horta. Alcuni di voi in quest’Aula ricorderanno la sua ultima visita 18 anni fa, nel corso della quale parlò della situazione di Timor orientale alla nostra sottocommissione per i diritti dell’uomo. Allora l’indipendenza del paese era ancora un progetto e solo pochi uomini coraggiosi, i leader dell’opposizione, condividevano idee tanto ambiziose. In qualità di rappresentate e membro attivo dell’opposizione, Ramos-Horta è stato il primo fautore e promotore, qui al Parlamento europeo, della prospettiva di un Timor libero. Esisteva un piano di pace in cinque punti: ritiro delle truppe indonesiane, ripristino dei diritti umani, rilascio dei prigionieri politici, spiegamento delle forze delle Nazioni Unite e, infine, un referendum previsto per il 1999. La comunità democratica ha approvato questo grande piano e, nel 1996, il Presidente José Ramos-Horta e Carlos Felipe Ximenes Belo furono insigniti del Premio Nobel; tre anni più tardi l’attuale Primo ministro di Timor Est, Xanana Gusmão, ricevette il Premio Sacharov.

Nel 1999 il referendum sull’indipendenza di Timor orientale ha dato esito favorevole, avviando un difficile percorso verso l’eliminazione della povertà e la faticosa riconciliazione del paese. Si è lavorato sodo per creare istituzioni credibili e, in ultima analisi, per lavorare a nome dei cittadini e sviluppare una società civile. Il Parlamento europeo ha sostenuto con forza il lavoro del Presidente e delle autorità di Timor orientale e, tre anni più tardi, nel 2002, è stata ripristinata la piena indipendenza. La visione e l’esperienza del Presidente Ramos-Horta sono importanti, e non soltanto per Timor orientale. Oggi il Presidente si reca in visita in molti paesi in via di sviluppo, dimostrando alla gente che esiste un percorso da seguire, una possibile via d’uscita per i paesi poveri e che è possibile ricominciare un’altra volta assicurando ai cittadini una vita e un futuro migliori.

Signor Presidente, è con grande piacere che le do il benvenuto e le cedo la parola.

 
  
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  José Ramos-Horta, Presidente della Repubblica democratica di Timor orientale.(EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, inizierò con alcune osservazioni in inglese per poi passare al portoghese e quindi nuovamente all’inglese.

Potrei rivolgermi a voi in cinque lingue comunitarie, ma non lo farò perché mi confonderei e quindi mi limiterò all’inglese e al portoghese.

Vi sono grato di avermi concesso il privilegio di rivolgermi a questa nobile istituzione che incarna la ricca diversità culturale europea, la sua cultura politica e le sue istituzioni democratiche. Ammiro l’Europa, per le istituzioni che avete creato, per il cammino che vi ha portato da divisioni, rivalità e conflitti a unità, cooperazione, pace, democrazia, inclusione e prosperità, per la vostra profonda fiducia nella solidarietà tra i cittadini; tutto questo mi ha spinto, in qualità di vincitore del Premio Nobel per la pace nel 2008, a proporre la candidatura dell’Unione europea e della Commissione europea per il Premio Nobel per la pace.

Da un lato, una parte del mondo è fortemente influenzata e adombrata dall’unica superpotenza ancora esistente; dall’altro, l’Asia è invece condizionata dai due giganti emergenti che incombono su tutta la regione. Nel mezzo può esserci il ponte europeo, un ponte che potrebbe riunire tutti in un nuovo partenariato per la pace e la prosperità. Quest’Europa dell’inclusione va dalla bella costa atlantica che bagna il Portogallo ai confini del vecchio continente, dove inizia l’Asia.

Intervenendo qui oggi sento una particolare gratitudine nei confronti di questa nobile istituzione, di molti dei suoi stimati deputati, della Commissione europea e, in particolare, del suo Presidente, l’amico Barroso, che per trent’anni ci ha sostenuto nella nostra lunga lotta per la libertà.

In qualità di giovane politico e diplomatico, inizialmente segretario di Stato, poi ministro degli Esteri e in seguito Primo ministro portoghese, il Presidente Barroso è sempre stato un paladino, saggio e appassionato, di Timor orientale, così come lo è stato dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina.

È però mio dovere ringraziare anche molti altri deputati del Parlamento europeo, alcuni dei quali non sono più qui a causa dell’inevitabile invecchiamento al quale nessuno di noi può sottrarsi.

In questa istituzione abbiamo trovato un posto dove esprimerci, in ogni ambito e da destra a sinistra, proprio quando nessun altro ci permetteva di farlo.

Negli anni ‘90, per esempio, sono stati i deputati portoghesi del Parlamento europeo di tutti i partiti a devolvere una parte del loro stipendio al nostro attuale ministro degli Esteri, il dottor Zacarias da Costa. Egli è rimasto in Europa per cinque anni come rappresentante della resistenza di Timor e i deputati portoghesi del Parlamento europeo, indipendentemente dall’appartenenza politica, ci hanno assicurato un sostegno mensile per tenere aperto un ufficio qui a Bruxelles.

Ed è stata sempre questa istituzione a fornirci per la prima volta, a livello mondiale, una sorta di lasciapassare, di carta di identità in rappresentanza di Timor orientale, qui in Parlamento, per difendere la causa del nostro paese.

Ritorno in quest’Aula, quindi, con un immenso senso di gratitudine nei confronti di tutti voi.

Consentitemi ora di passare al portoghese per parlare degli obiettivi di sviluppo del Millennio, illustrandovi i progressi fatti a Timor orientale e spiegandovi cosa ci attendiamo dalla comunità internazionale a sostegno del nostro e di altri paesi.

(PT) Nel 2000 Timor orientale non era un paese indipendente e solo dopo aver presentato la prima relazione sugli obiettivi di sviluppo del Millennio nel 2004 abbiamo fissato i primi obiettivi da raggiungere.

Nel corso degli ultimi tre anni, Timor orientale ha vissuto veramente in pace, con una notevole crescita economica pari a oltre il 12 per cento annuo, una riduzione del 9 per cento dei livelli di povertà nel corso degli ultimi due anni e una contrazione della mortalità infantile e di quella dei bambini sotto i cinque anni di età; questi progressi ci che hanno permesso di raggiungere già oggi gli obiettivi fissati per il 2015. Le iscrizioni scolastiche sono passate dal 65 per cento del 2007 all’83 per cento per il periodo 2009-2010 e stiamo gradualmente eliminando l’analfabetismo dalla popolazione adulta grazie a un programma congiunto tra Timor orientale e Cuba.

Prevediamo di eliminare l’analfabetismo a Timor orientale entro due o tre anni. Il 30 per cento circa del bilancio statale è destinato alla sanità pubblica e all’istruzione. Questo capovolgimento della situazione è il risultato di un imponente finanziamento pubblico a programmi sociali che prevedono, ad esempio, erogazioni in contanti a favore di anziani, vedove, disabili e veterani e del fermo impegno per espandere le aree coltivate per aumentare la produzione alimentare.

Stiamo mettendo a punto la tabella di marcia per il piano strategico di sviluppo per il periodo 2010-2030 che ci consentirà di liberare i nostri cittadini da secoli di povertà portando il loro tenore di vita a un livello medio-alto entro il 2030.

Quanto alle gestione delle nostre risorse petrolifere, sono orgoglioso di farvi notare che, nella relazione del 1° luglio 2010, l’Iniziativa sulla trasparenza delle industrie estrattive ha classificato il Timor orientale al primo posto in Asia e al terzo nel mondo in materia di solidità, trasparenza ed efficacia nella gestione dei profitti derivanti dall’estrazione di gas e di petrolio.

Il nostro Parlamento è composto per il 30 per cento da donne, che rivestono posizioni a capo di ministeri chiave, come quelli delle finanze, della giustizia e della solidarietà sociale, e una donna è procuratore generale della repubblica. Abbiamo un parlamento permanente della gioventù formato da 130 deputati, tra i 12 e i 17 anni, appena eletti in tutto il paese. Abbiamo sempre voluto che vi fosse parità di genere anche in questo parlamento e le nostre aspettative sono state persino superate: il parlamento della gioventù è composto infatti da 68 ragazze e 62 ragazzi.

Timor orientale è orgoglioso di aver adottato una delle costituzioni più umanitarie al mondo, che vieta la condanna a morte e prevede una pena detentiva massima di 25 anni. Non abbiamo l’ergastolo. Abbiamo ratificato tutti i principali trattati internazionali sui diritti umani e presentato alle istituzioni competenti due relazioni sui trattati; continueremo a rinnovare il nostro impegno al fine di rafforzare ulteriormente il rispetto dei diritti umani, della libertà e della dignità di tutti i cittadini. La nostra costituzione riconosce la supremazia del diritto internazionale sulle leggi nazionali; in altre parole le nostre leggi devono essere conformi al diritto internazionale.

Ora, con il vostro permesso, passerò nuovamente all’inglese.

(EN) Desidero soffermarmi sulla questione dei cambiamenti climatici, della quale parlerò in maniera ovviamente molto superficiale visto il tempo limitato a mia disposizione.

Anche se di fatto le nazioni più ricche e potenti hanno maggiormente contribuito a deteriorare l’ambiente del nostro pianeta, riconosciamo che i progressi della scienza, della tecnologia e dell’industria degli ultimi 200 anni hanno comportato enormi vantaggi per tutti, anche se tali benefici non sono stati distribuiti equamente.

I paesi in via di sviluppo come il nostro non dovrebbero tuttavia incolpare solo le nazioni ricche e potenti dei danni inferti al pianeta. Dobbiamo riconoscere la nostra parte di responsabilità nella distruzione di foreste, laghi, fiumi e mari. L’Asia non ha meno responsabilità di Stati Uniti ed Europa nel contrastare i cambiamenti climatici. Quasi metà della popolazione mondiale vive in Asia e questo comporta una forte pressione su suolo, minerali, foreste e risorse idriche. In Asia, al fine di ammodernare le nostre economie e migliorare le condizioni di vita di centinaia di milioni di poveri, stiamo estraendo sempre più energia dal pianeta terra. Molte delle potenze emergenti asiatiche stanno attualmente attraversando gli oceani alla ricerca di fonti energetiche in Africa e in America latina.

Timor orientale, in collaborazione con le Maldive (quindi due tra i paesi più piccoli asiatici del continente asiatico), ha richiesto un’agenda comune in Asia in materia di sviluppo sostenibile basata sulla tutela e il recupero ambientale, sulla gestione sostenibile del suolo e delle risorse idriche, sulla salute e l’istruzione per tutti e sull’eliminazione della povertà e dell’analfabetismo.

Ho un appello da rivolgere a ricchi e potenti: dovrebbero chiedersi se hanno rispettato gli impegni che si sono assunti di fronte alle telecamere e se le politiche adottate in passato hanno affrontato in modo efficace i problemi del sottosviluppo e della povertà estrema.

Troppo spesso i leader dei paesi in via di sviluppo vengono incolpati di non aver apportato migliorie alla vita dei cittadini, nonostante i cospicui aiuti allo sviluppo apparentemente ricevuti dai paesi ricchi.

Ma anche i donatori devono fare un’analisi onesta e critica delle proprie politiche. Sappiamo che i cittadini comuni, uomini e donne degli Stati Uniti, dell’Europa e del Giappone, sono animati da un genuino sentimento di solidarietà nei confronti di chi vive in regioni più povere della terra. I donatori tuttavia devono anche cercare di ottimizzare le procedure burocratiche lunghe, onerose, superflue, dispendiose e ridondanti che soffocano e scoraggiano tutti nei nostri paesi.

(Applausi)

I donatori devono investire più di quanto promesso nello sviluppo rurale, nell’agricoltura, nella sicurezza alimentare, nell’acqua e nelle misure sanitarie, nelle strade e nell’istruzione. Per rafforzare le istituzioni nazionali e i leader eletti democraticamente, i donatori devono fornire un sostegno più diretto al bilancio settoriale in modo da assicurare servizi e sviluppo ai cittadini.

È scoraggiante che solo una manciata di paesi ricchi abbia centrato l’obiettivo dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo da devolvere per l’assistenza allo sviluppo e che, al contempo, le generose promesse fatte sotto ai riflettori in occasione di conferenze internazionali, a fianco di attori famosi e di cantanti rock, vengano dimenticate nel momento stesso in cui cala il sipario di Hollywood e si spengono le luci della ribalta.

Ed è ancor più scoraggiante vedere quanto rapidamente si riescano a trovare decine di miliardi di dollari per il salvataggio di banche, compagnie di assicurazioni, agenzie immobiliari disoneste e industrie automobilistiche obsolete, oppure a favore di persone incompetenti e disoneste responsabili di tracolli finanziari. Di contro, gli appelli alle nazioni ricche per aumentare il sostegno allo sviluppo estero incontrano tanta resistenza.

Crediamo che l’unico modo saggio ed equo per fornire assistenza ai paesi che stanno subendo le conseguenze del tracollo finanziario sia la cancellazione del debito dei paesi meno sviluppati e dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, nonché la ristrutturazione delle passività dei paesi debitori costretti ad affrontare enormi sfide interne ed estere, quali instabilità, cambiamenti climatici ed estremismi, in molte parti del mondo e in particolare in Sudafrica e nella regione africana dei grandi laghi.

Timor orientale è un paese privilegiato dato che non ha nemmeno un centesimo di indebitamento estero e quindi il nostro appello è disinteressato. Se aprite il libro delle economie del 2010, la versione tascabile, troverete dati molto interessanti: Timor Est ha in percentuale il più alto surplus al mondo rispetto al prodotto interno lordo e un debito estero nullo. Crediamo nella solidarietà verso quei paesi che per decenni hanno contratto debiti che ora non sono in grado di pagare e che intrappolano nella povertà centinaia di milioni di persone a livello mondiale. Se è stato possibile mobilizzare miliardi di dollari da un giorno all’altro per salvare dal fallimento istituti bancari e compagnie assicurative, allora credo dovrebbe esserci l’obbligo morale e la saggezza politica di trovare gli importi decisamente inferiori cui necessari per far fronte agli obblighi dei paesi sviluppati nei confronti dei paesi poveri del Terzo mondo, correggendo alcuni squilibri presenti oggi ovunque nel nostro pianeta.

Nel rivolgermi a voi, al Parlamento europeo, ai leader europei e a tutti i partner per lo sviluppo con un profondo senso di gratitudine, riconosco anche con umiltà i nostri insuccessi e i nostri limiti. Noi di Timor orientale e di gran parte dei paesi in via di sviluppo non dovremmo invertire i ruoli e dare lezioni all’Occidente, che per decenni l’occidente ci ha impartito lezioni, ma dovremmo invece guardarci allo specchio e rispondere alle nostre domande in coscienza. Cosa abbiamo fatto per sollevare dalla povertà estrema centinaia di milioni di cittadini? Possiamo farcela, possiamo fare di meglio sia a Timor Est che altrove.

Abbiamo fatto enormi progressi negli ultimi tre anni e il nostro paese ha riacquistato l’indipendenza solo otto anni fa. Vi ho comunicato solo alcune cifre; vi sono però molti altri settori in cui sono stati ottenuti risultati non quantificabili ma non meno importanti. Siamo riusciti a sanare le ferite della nostra società, a riconciliare comunità divise, a ricucire il divario tra noi e l’Indonesia derivante da 24 anni di tragica storia e oggi Timor Est e l’Indonesia non potrebbero avere migliori relazioni di vicinato. Siamo riusciti a gettare ponti in tutta la regione e a stabilire relazioni diplomatiche con oltre 100 paesi. Questi sono i risultati non quantificabili e non misurabili. I nostri cittadini, nonostante le profonde ferite riportate in 24 anni di occupazione, non nutrono risentimento nei confronti di nessuno.

Queste sono le nostre certezze e le nostre convinzioni. Siamo determinati a soddisfare le aspettative dei nostri cittadini e a condurli verso un futuro di pace e di prosperità.

Possa Dio onnipotente e misericordioso benedirci tutti.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, signor Presidente.

Diciotto anni fa lei dimostrò molto coraggio e ambizione in qualità di leader dell’opposizione a Timor orientale ed oggi è il Presidente di un paese libero, democratico e indipendente.

Mi congratulo con lei e porgo i miei migliori auguri al suo paese e ai suoi cittadini. La ringrazio per essere intervenuto.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL'ON. ANGELILLI
Vicepresidente

 

10. Giornata mondiale contro la pena di morte (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L'ordine del giorno reca la dichiarazione del Consiglio, per il Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, sulla Giornata mondiale contro la pena di morte.

Prima di dare la parola al sig. Chastel, do lettura di uno stralcio di lettera indirizzata ai deputati europei dai figli di Sakineh, pervenutami per il tramite dell'AKI International in concomitanza, appunto, con il dibattito sulla Giornata mondiale contro la pena di morte.

Leggo lo stralcio: "Ringraziandovi per il vostro impegno e per la vostra attenzione dimostrati per il caso di nostra madre Sakineh, chiediamo in primis il vostro sostegno morale. La nostra unica speranza resta la Comunità internazionale e per questo motivo chiediamo al Parlamento europeo di intervenire, in modo deciso, con tutti gli strumenti a disposizione al fine di aiutare nostra madre. Vi supplichiamo di non abbandonarci e di accogliere la nostra richiesta di aiuto. Infine, con la speranza che tali punizioni primitive, come la lapidazione e l'impiccagione, vengano eliminate per sempre in tutto il mondo, vi poniamo i nostri più cari saluti".

 
  
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  Olivier Chastel, a nome di Catherine Ashton (Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza). (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, come ricordato dalla Signora Presidente, intervengo in quest’Assemblea a nome dell’Alto rappresentante Ashton sul tema della Giornata mondiale europea contro la pena di morte.

Come sapete, l’applicazione della pena di morte nel mondo non è uniforme. Da un lato, la grande maggioranza degli Stati è oggi abolizionista, de jure e de facto, ed è incoraggiante constatare che questo numero è in continuo aumento. Osserviamo una tendenza molto marcata verso l’abolizione e la restrizione del ricorso alla pena capitale nella maggioranza dei paesi.

Dall’altro lato, il numero di esecuzioni e le modalità di applicazione della pena di morte nel mondo continuano purtroppo ad essere allarmanti: le 5.679 esecuzioni riferite nel 2009 sono 5.679 esecuzioni di troppo. E con cinquantotto paesi e territori che ancora ricorrono alla pena di morte, il nostro lavoro è lungi dall’essere concluso.

Sappiamo che, ove ancora vige la pena capitale, sussistono gravi problemi per quanto attiene al rispetto delle norme e degli standard internazionali, segnatamente per quanto riguarda la limitazione della pena di morte ai crimini più gravi, l’esclusione dei minori dal suo campo di applicazione o la garanzia di un giusto processo.

La conclusione è chiara: in questo campo non vi è spazio per la compiacenza. Ecco perché dobbiamo ricorrere a tutti i mezzi disponibili, alla via diplomatica e alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, per conseguire il nostro obiettivo ed ecco perché l’Alto rappresentante reputa prioritaria l’azione dell’Unione europea volta all’abolizione della pena di morte.

Che cosa significa concretamente? Il futuro servizio europeo per l’azione esterna sarà senz’altro in grado di contare sul fatto che l’Unione europea è già oggi l’istituzione di punta nella lotta contro la pena di morte, ma il servizio costituirà anche la nostra migliore opportunità per sfruttare al meglio il nostro potenziale.

Consoliderà notevolmente la nostra capacità di parlare all’unisono, offrendoci l’occasione di attivare e riunire tutti gli strumenti disponibili in Europa per la lotta contro la pena di morte.

L’Unione europea si adopera inoltre per migliorare le modalità di collaborazione con le altre organizzazioni attive nell’ambito dell’abolizione della pena di morte.

La risoluzione che invoca una moratoria sul ricorso alla pena di morte prevista dalla 65a Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso autunno dovrebbe illustrare i progressi verso un’abolizione universale. Dovrebbe consolidare ed estendere la tendenza abolizionista che si registra in tutte le regioni del mondo. La cooperazione tra Unione europea e Consiglio d’Europa è un altro punto forte della lotta contro la pena di morte.

Un esempio concreto della nostra azione è l'impegno congiunto per incoraggiare la Bielorussia ad abolire la pena di morte, in particolare organizzando manifestazioni congiunte a Minsk in occasione la Giornata mondiale contro la pena di morte.

Onorevoli colleghi, noi crediamo fermamente che l’abolizione della pena di morte sia essenziale per la salvaguardia della dignità umana e per il rispetto dei diritti dell’uomo. Ci opponiamo per questo al ricorso alla pena capitale in tutti i casi e tutte le circostanze e continueremo a richiederne l’abolizione universale.

L’abolizione universale è, e continuerà a essere, una priorità fondamentale per la nostra azione esterna in materia di diritti dell’uomo e ribadisco in questa sede, a nome di Catherine Ashton, la nostra determinazione affinché l’Unione europea resti in prima linea nella lotta per l’abolizione universale della pena capitale.

 
  
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  Presidente. − Devo precisare che, su proposta della Conferenza dei presidenti, ci sarà un dibattito con un solo oratore per gruppo politico. Quindi non sarà possibile, in questa fase, richiede il catch the eye. Peccato perché era un dibattito molto importante.

 
  
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  Eduard Kukan, a nome del gruppo PPE.(EN) Signora Presidente, l’Unione europea si basa su valori e sul rispetto dei diritti umani, che devono essere costantemente tutelati in tutto il mondo. Il diritto alla vita è uno di questi diritti di base. La Giornata mondiale contro la pena di morte ci ricorda che ci sono ancora paesi che applicano la pena capitale. Per questo motivo dobbiamo perseverare nei nostri sforzi e intensificare la lotta contro questa pratica.

La netta opposizione espressa dall’Unione europea contro la pena di morte ci pone in prima linea in questa battaglia. Il Parlamento europeo è la prima istituzione europea ad impegnarsi in sforzo questo ambito ed è quindi nostro dovere sensibilizzare gli altri Stati per giungere a un’abolizione universale.

Per il Partito popolare europeo, la lotta contro la pena di morte nel mondo è una priorità chiave della politica di azione esterna dell’Unione europea. L’UE deve promuovere costantemente la sensibilizzazione del pubblico su questo tema e sostenere le iniziative che potrebbero portare all’abolizione universale.

Detto questo, vorrei esortare l’Alto rappresentante, la Commissione e gli Stati membri a persistere nell’incoraggiare i paesi che non hanno ratificato il protocollo facoltativo n. 2 al Patto internazionale sui diritti civili e politici a procedere in tal senso. Lo stesso vale per gli Stati membri che non hanno ancora ratificato il protocollo n. 13 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Mi spiace dire che la Bielorussia è il solo paese in Europa ad applicare la pena di morte e dobbiamo impegnarci al massimo per modificare questa situazione. Al contempo, l’Unione europea deve adoperarsi a sensibilizzare costantemente l’opinione pubblica sul tema dell’abolizione della pena di morte in sede di negoziati bilaterali e nei consessi internazionali.

Per concludere, l’Unione europea deve essere d’ispirazione per il resto del mondo. L’imminente celebrazione della Giornata mondiale contro la pena di morte sembra essere il momento giusto per riaffermare la nostra posizione.

 
  
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  Ana Gomes, a nome del gruppo S&D.(PT) Bielorussia, Cina, Iran, Arabia Saudita e Sudan: cosa hanno in comune questi paesi per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e le libertà fondamentali? Condividono una pratica primitiva ed abietta: la pena di morte. Alcuni paesi, come Cina, Egitto, Iran, Malesia, Sudan, Thailandia e Vietnam, ricorrono a questo metodo barbaro in segreto, senza nemmeno rendere pubbliche le relative statistiche nazionali. Solo uno Stato membro dell’Unione europea possiede ancora una legislazione nazionale che autorizza la pena di morte per determinati crimini e in casi eccezionali e in questa risoluzione il Parlamento invita la Lettonia ad adottare misure urgenti per abrogare questa normativa.

Il Parlamento ritiene che l’Unione europea debba sfruttare ogni opportunità per promuovere l’abolizione della pena di morte, in particolare in sede di incontri bilaterali e multilaterali, e soprattutto alle Nazioni Unite, durante i negoziati di accordi internazionali e nel corso di visite ufficiali, o nel dialogo con i paesi terzi nel quadro dell’azione esterna, delle politiche di cooperazione e di assistenza finanziaria. È importante per gli Stati membri dell’Unione europea lottare per l’applicazione della risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite sulla moratoria universale.

L’Alto rappresentante, Baronessa Ashton, deve sollecitare il servizio europeo per l’azione esterna a promuovere attivamente l’abolizione universale della pena di morte. C’è ancora molto da fare. Nonostante tutto, oggi ci sono già 154 paesi che hanno abolito la pena di morte de jure o de facto.

Nelle delegazioni dell’Unione europea vi deve essere un numero adeguato di funzionari specializzati nei diritti umani, attivi nel perseguire l’abolizione universale della pena di morte. Invito l’Alto rappresentante a promuovere un sistema di identificazione di tutti i cittadini europei condannati a morte in qualsiasi paese del mondo e a prendere tutte le iniziative necessarie per salvarli dall’esecuzione. Per quanto riguarda la politica interna dell’Unione europea in quest’ambito, il Parlamento auspica che la revisione delle direttive europee sulla pena di morte prevista per l’anno prossimo venga approntata rapidamente.

Esternamente, l’Unione europea non deve limitarsi ad ottemperare agli obblighi derivanti dalla Carta dei diritti fondamentali affinché nessun individuo venga deportato o estradato verso un paese in cui corre il rischio di essere condannato a morte, ma deve anche far sì che le informazioni scambiate con paesi terzi nel quadro degli accordi internazionali non mettano un cittadino a rischio di condanna a morte.

In questa risoluzione, il Parlamento europeo esprime con chiarezza il suo disgusto per le più brutali forme di applicazione della pena capitale, quale la lapidazione. Nel testo sono riportati i nomi di uomini e donne che si trovano nel braccio della morte nei loro paesi: che la luce della civiltà e della compassione salvi le loro vite. Questo Parlamento esorta pertanto la Commissione ad esercitare ogni possibile azione per salvarli.

 
  
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  Marietje Schaake, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signora Presidente, mi inorgoglisce sapere che l’Unione europea, in quanto comunità di valori ove la pena di morte è stata abolita, sia fortemente impegnata a livello mondiale in favore dell’abolizione della pena capitale.

Nei negoziati con gli Stati membri e nei nostri dialoghi con altri paesi, siano essi gli Stati Uniti o l’Iran, siamo costantemente a favore dell’abolizione, de jure o de facto, di questa pena disumana. L’azione dissuasiva della pena di morte sul crimine non è provata dimostrata e per questa la sua applicazione è ancor più contestata. Stante la necessità di non lasciare impuniti i crimini più gravi, la pena di morte costituisce di per sé una violazione dei diritti umani e del diritto alla vita, come sancito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Riteniamo giusto perseguire i crimini nel rispetto del diritto internazionale, ma sempre attraverso un processo giusto ed equo. Troppo spesso, non è così e in tutti i casi le Nazioni Unite hanno stabilito che i crimini connessi alla droga non siano da annoverare fra i crimini più gravi.

Le Nazioni Unite hanno preso posizione in favore di una moratoria sulla pena di morte e questa è una dichiarazione importante. Le stesse Nazioni Unite devono difendere la loro credibilità, visto che l’Iran è fra i membri del Consiglio per i diritti delle donne.

L’Unione europea deve parlare all’unisono ed operare in modo più strategico in sede di discussione dei temi relativi ai diritti umani, quali l’abolizione della pena di morte.

Oggi, mentre discutiamo, si sta svolgendo qui a Bruxelles il vertice culturale Cina-UE. Plaudiamo a questa importante iniziativa, ma non possiamo ignorare il fatto che la Cina detiene il record per il più elevato numero di pene capitali, stima peraltro imprecisata per mancanza di trasparenza sui dati e perché certi individui sono considerati non-individui. La Cina è seconda solo all’Iran per quanto riguarda l’esecuzione di minori e l’omicidio di bambini non può mai essere giustificato. Celebrare la cultura deve ricordarci l’importanza fondamentale della libertà di espressione; purtroppo ancora troppe persone al mondo vengono condannate alla pena capitale per le loro parole.

L’Unione europea deve offrire maggior protezione alle persone provenienti dai paesi che praticano la pena di morte. Mi auguro che il programma Città-rifugio diventi quanto prima operativo.

 
  
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  Barbara Lochbihler, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signora Presidente, la risoluzione annuale contro la pena di morte è davvero l’impressionante dimostrazione di quanto l’Unione europea abbia fatto e stia facendo nella lotta per l’abolizione della pena di morte a livello mondiale. È innegabile che vi siano ancora troppe esecuzioni, un numero eccessivo, come ha appena riferito il rappresentante del Vicepresidente della Commissione. Non dobbiamo però dimenticare che la lotta mondiale contro la pena di morte è una storia di successo successi: vi sono ora solo 43 paesi in cui ancora vige la pena di morte. A livello internazionale, l’Unione europea è uno degli attori più attivi nel portare avanti questa battaglia, avvalendosi anche di relazioni bilaterali, e non possiamo permetterci di attenuare tale sforzo.

Forse dovremmo agire in modo più mirato perché i diversi paesi e governi hanno strutture diverse e sarebbe forse meglio applicare strategie diverse. È necessaria una strategia diversa in Giappone, ad esempio, dove politici di alto livello stanno facendo campagna elettorale invocando un ricorso più frequente alla pena capitale. Lì serve una nuova strategia, diversa da quella adottata in Iran o Bielorussia. Dovremmo forse procedere un passo alla volta; ad esempio, restringendo il novero dei potenziali condannati alla pena di morte, in modo da escludere i minori e chi ha difficoltà di apprendimento, o limitando il numero dei crimini per i quali questa pena può essere applicata. In Cina, ad esempio, può essere inflitta una condanna a morte anche per un semplice reato contro la proprietà. Sarebbero tutti passi avanti verso il nostro traguardo effettivo, ovvero l’abolizione completa della pena di morte. L’Unione europea deve adottare un approccio più dettagliato.

In nessuna circostanza, anche adottando un approccio diverso con i diversi paesi, non dobbiamo però mai applicare standard diversi e imporre nuovi requisiti ai paesi in cui ancora vige la pena di morte.

Quest’anno la risoluzione contro la pena di morte ha posto l’accento sugli Stati Uniti. A titolo d’esempio desidero presentarvi il caso di Mumia Abu-Jamal, che si trova nel braccio della morte da oltre 20 anni. Non è ricco, è un afro-americano, e all’epoca del reato era un giornalista le cui idee e scritti risultavano politicamente radicali. Sono emersi giustificati dubbi e incompletezze nel corso del processo. Per questo specifico caso, chiedo all’Unione europea di fare il possibile e di usare ogni mezzo a sua disposizione per bloccare l’esecuzione della pena di morte e che il condannato ottenga un giusto processo.

 
  
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  Sajjad Karim, a nome del gruppo ECR. (EN) Signora Presidente, rappresento il gruppo ECR, ma il mio intervento rispecchia convinzioni personali. Mi rallegro della discussione che si sta svolgendo oggi in Aula perché è un chiaro segnale del nostro impegno per la difesa dei valori fondamentali della nostra Unione.

L’anno scorso, almeno 714 persone sono state condannate alla pena di morte in vari paesi, escludendo la Cina, che non pubblica statistiche trasparenti al riguardo. Molti degli Stati in cui ancora vige la pena di morte quale strumento punitivo non dispongono di un meccanismo che garantisca processi equi a quanti sono accusati di crimini capitali. La distinzione fra i paesi che hanno la pena di morte e la applicano e paesi che si riservano la facoltà di usarla ma non la usano non è così drammatica come si potrebbe pensare. I dati che ho citato prima non includono quanti sono ancora in attesa della decisione in merito al loro destino, molti dei quali sono effettivamente innocenti e si sono visti negare la possibilità di un giusto processo.

Si tratta quindi di una discussione molto personale. Non si tratta solo degli individui condannati alla pena di morte, ma anche di chi ne subisce le conseguenze, come le loro famiglie e tanti altri cittadini, semplicemente perché l’esecuzione viene stabilita senza la possibilità di equo processo. Dobbiamo considerare con più attenzione anche questi casi.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard, a nome del gruppo GUE/NGL.(DA) Signora Presidente, la mozione di risoluzione che stiamo discutendo oggi ribadisce la nostra categorica opposizione alla pena di morte. Non c’è alcuna giustificazione possibile allo sterminio freddo e deliberato di persone indifese messo in atta da alcuni Stati. La pena di morte è un crimine e spesso è anche molto di più; spesso i condannati a morte attendono per anni in condizioni degradanti e la pena di morte si trasforma in questi casi in una forma di tortura. Quando la pena capitale è usata per intimorire la gente, impedendole così di sollevarsi contro l’oppressione e la dittatura, come abbiamo visto in Iran, ad esempio, essa diventa anche una forma di terrorismo.

Come ha detto giustamente l’onorevole Lochbihler, il giornalista afro-americano Mumia Abu-Jamal è oggi il simbolo della lotta contro l’abolizione della pena di morte, “la voce dei senza voce” come è stato chiamato quando fu accusato dell’omicidio di un poliziotto bianco nel 1981 e condannato a morte. Da quasi 30 anni quest’uomo vive nel braccio della morte a seguito di un processo caratterizzato da errori, mancanze e da toni razzisti. È perciò opportuno che la mozione di risoluzione ponga particolarmente l’accento sul caso Mumia Abu-Jamal perché è un esempio specifico dei casi sui quali dovrebbero concentrarsi nei mesi a venire anche i rappresentanti dell’Unione europea, sollevando la questione con le autorità e l’amministrazione statunitensi e naturalmente anche con il Presidente degli Stati Uniti. Questo esempio non è meno importante perché viene dagli Stati Uniti che sono, naturalmente, alleati dell’Unione europea in molti settori; è anzi ancora più importante, perché nella battaglia contro la pena di morte non c’è spazio per due pesi e due misure. In questa lotta si deve applicare un solo standard, ovvero un “no” incondizionato alla pena di morte.

 
  
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  Mara Bizzotto, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, siamo tutti d'accordo sul fatto che l'Europa debba sfruttare il suo peso morale e politico per la causa dell'abolizione della pena di morte. Tuttavia, per non rimanere alle astratte dichiarazioni di principio, l'Unione europea dovrebbe cominciare seriamente a usare gli strumenti concreti di cui dispone.

Ad esempio, l'Europa dovrebbe ricordarsi che molti paesi terzi che ancora applicano la pena di morte nei modi più brutali e barbari sono paesi che con l'Unione hanno stretto ricchi accordi economici e commerciali. E soprattutto l'Europa dovrebbe ricordare a questi paesi che, con la firma di tali accordi, essi si sono impegnati al rispetto di standard minimi di diritti fondamentali, cosa che puntualmente non avviene, mentre l'Europa fa finta di non vedere.

Cominciamo quindi a parlare chiaro della pena di morte con Cina, Egitto, India, Pakistan, Yemen, Bangladesh, e via dicendo, costringendoli a onorare gli impegni assunti in tema di rispetto della dignità umana. Finora l'Europa ha solo predicato. C'è da sperare che cominci il prima possibile a passare concretamente ai fatti, cosa che purtroppo in tanti casi non è ancora riuscita a fare.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, per l’ottava edizione della Giornata mondiale contro la pena di morte il mio pensiero commosso va a quanti non sono stati risparmiati: ai 200 000 bambini mai nati, innocenti, che vengono fatti sparire ogni anno in Francia; a Natasha Mougel, la giovane ventinovenne assassinata qualche settimana fa a colpi di cacciavite da un recidivo; al bambino di quattro anni sgozzato qualche giorno fa vicino a casa mia, a Meyzieu; all’anziano accoltellato in gennaio a Roquebrune da un uomo che era già stato perseguito per aggressioni con arma da taglio; ai sei o settecento innocenti uccisi ogni anno in Francia e alle molte migliaia di persone uccise in Europa e nel mondo; a Marie-Christine Hodeau, Nelly Cremel, Anne-Lorraine Schmitt e altre come loro, il cui unico torto è stato incrociare per strada un criminale rilasciato dopo aver commesso un primo terribile crimine; alle vittime di tutti i Dutroux, Evrard e Fourniret del mondo, le cui vite sono state completamente distrutte se non perdute per sempre; alle persone uccise a Londra, Madrid e altrove, vittime di un cieco terrorismo.

Penso a loro perché nessuno organizza una giornata mondiale per le vittime, ma si organizzano invece giornate per i loro carnefici, che spesso in realtà meritano di morire.

In un paese governato dallo stato di diritto, e solo in quello, la pena di morte non è un crimine di Stato, ma permette di proteggere la società e i cittadini dai criminali per i quali tale pena è talvolta il solo cammino verso la redenzione.

 
  
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  Olivier Chastel, a nome di Catherine Ashton (Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, non posso che ringraziarvi per i vostri interventi poiché nella stragrande maggioranza vi siete espressi a favore dell’azione che stiamo portando avanti. Constato che siamo tutti concordi sull’importanza che l’Unione europea deve accordare all’abolizione della pena di morte.

Come ho detto poc’anzi, e lo ripeto, l’Alto rappresentante Catherine Ashton ne ha fatto una priorità personale.

Speriamo vivamente che l’Unione europea, unitamente ai suoi partner, ottenga un risultato soddisfacente in occasione della 65a Assemblea generale delle Nazioni Unite, con una risoluzione che darà ancora più forza al movimento per la moratoria universale.

Credendo fermamente che l’abolizione della pena di morte sia essenziale per tutelare la dignità e i diritti dell’uomo, ci opponiamo risolutamente al ricorso alla pena capitale e non cesseremo di invocare la sua abolizione universale.

Come ho detto prima, la conclusione è chiara: non c’è spazio per la compiacenza ed ecco perché ricorreremo a tutti i mezzi disponibili per conseguire il nostro obiettivo.

 
  
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  Presidente. − Comunico di aver ricevuto 5 proposte di risoluzione(1) conformemente all'articolo 110, paragrafo 2 del regolamento a conclusione della discussione.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 7 ottobre 2010.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto.(RO) La pena di morte lede il diritto fondamentale dell’uomo alla vita e nulla può giustificarla. Molti studi hanno dimostrato che la pena capitale non ha alcun impatto sull’andamento dei reati più violenti. Per questo motivo desidero sottolineare che l’Europa e il mondo intero dovrebbero agire all’unisono per abolire universalmente la pena di morte nei paesi in cui viene ancora frequentemente comminata e per combattere la reintroduzione della stessa. Alla fine del 2009 sono 43 i paesi che ancora praticano la pena capitale, di cui uno si trova in Europa. Questa realtà dovrebbe indurci a riflettere. Abbiamo la possibilità di esercitare pressioni e di persuadere i governi e i cittadini di tutto il mondo affinché si metta fine alla pratica di questo atto di tortura, inaccettabile per paesi rispettosi dei diritti dell’uomo. È un obiettivo prioritario che può essere raggiunto soltanto attraverso una stretta collaborazione tra gli Stati, accrescendo la consapevolezza e l’educazione sul tema. Mi compiaccio della risoluzione del Parlamento europeo sulla giornata mondiale contro la pena di morte, che evidenzia quanto la totale abolizione dell’esecuzione capitale resti uno degli obiettivi principali dell’Unione europea in materia di diritti umani.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto.(EN) La pena di morte è la punizione più crudele, disumana e degradante. Di fatto, non dimentichiamo che l’esecuzione capitale colpisce, innanzi tutto, i più diseredati. Sono contrario alla pena di morte in ogni caso e in ogni circostanza e vorrei sottolineare che l’abolizione della stessa contribuisce alla valorizzazione della dignità umana e al progressivo sviluppo dei diritti dell’uomo. Questa risoluzione è stata programmata affinché coincidesse con la giornata mondiale ed europea contro la pena di morte, che ricorrono entrambe il 10 ottobre. L’Unione europea è il principale attore istituzionale, portabandiera della lotta contro la pena capitale in tutto il mondo; l’azione compiuta in questo settore rappresenta una priorità fondamentale della politica estera europea in materia di diritti dell’uomo. In seno alle Nazioni Unite, l’Unione europea sostiene con successo, fin dal 1997, una risoluzione annuale presso la commissione sui diritti dell’uomo (CHR) per chiederne l’abolizione e, nel frattempo, ha sancito una moratoria dell’esecuzione della pena di morte. Esorto l’Unione europea a raddoppiare gli sforzi e ad attivare tutti gli strumenti diplomatici e di aiuto alla cooperazione disponibili per agire a favore dell’abolizione della pena capitale.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto.(FI) La pena di morte è una sanzione disumana e irreversibile che offende i diritti dell’uomo. È crudele e avvilente ed è una pena a cui può essere condannato anche un innocente. Non è stato dimostrato che l’esecuzione capitale prevenga o riduca i reati in modo significativo. È sommamente deplorevole che la pratichino ancora 43 paesi al mondo. La messa al bando della pena di morte è una delle priorità della politica dell’Unione europea nell’ambito dei diritti umani. Sono lieta che, nella giornata mondiale della lotta contro la pena di morte, il Parlamento europeo si schieri in modo deciso contro questa punizione che dovrebbe essere bandita in tutti i paesi del mondo. Non può essere considerata una giusta punizione in nessuna circostanza. Vi ringrazio.

 
  
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  Monica Luisa Macovei (PPE), per iscritto.(EN) In concomitanza con la giornata mondiale ed europea contro la pena di morte, ricordo che questo Parlamento è unito contro le esecuzioni capitali, poiché esse erodono la dignità umana e contraddicono il diritto internazionale in materia di diritti dell’uomo. E’ stato dimostrato che la pena di morte non ha un effetto deterrente significativo sui crimini commessi e al contempo essa colpisce in modo sproporzionato i cittadini meno privilegiati. Nonostante questi dati di fatto, nel braccio della morte vivono più di 20 000 individui al mondo, fra cui alcune decine di cittadini europei. Da questo Parlamento dobbiamo continuare a opporci alle esecuzioni capitali in tutti i casi e a sostenere una moratoria internazionale incondizionata della pena di morte. Dobbiamo altresì invitare i paesi a elaborare statistiche ufficiali e dettagliate sull’impiego della pena capitale. In ottemperanza ai nostri trattati, il Parlamento deve esprimere il proprio consenso agli accordi internazionali con i paesi terzi: nel pronunciarci in casi simili, dovremmo ricordarci della posizione di questi paesi sulla pena di morte.

 
  
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  Kristiina Ojuland (ALDE), per iscritto.(EN) La giornata mondiale contro la pena di morte è un evento importante che ci ricorda la triste permanenza dell’esecuzione capitale nell’ordinamento di 43 paesi. Concordo pienamente con il Presidente Buzek il quale, in apertura della sessione plenaria, ha affermato che la pena di morte non può mai essere considerata un atto di giustizia. Accolgo con favore la risoluzione del Parlamento europeo che ribadisce l’impegno dell’Unione per l’abolizione della pena capitale in tutto il mondo ed esorta gli Stati che ancora la praticano a sancire una moratoria immediata delle esecuzioni. Mi piacerebbe, tuttavia, vedere le parole d’impegno trasformarsi in azioni concrete nelle attuali politiche dell’Unione europea e dei suoi Stati membri nei confronti dei paesi terzi. È utile sottolineare l’importanza della questione ogni anno, il 10 ottobre, ma si deve andare oltre questo impegno per ottenere qualche progresso. L’Unione europea deve agire in modo coerente, inserendo l’abolizione della pena capitale tra le priorità dell’agenda, per non venir meno al suo ruolo di portabandiera dei diritti dell’uomo e della dignità umana.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto.(LT) Oggi in 43 paesi si pratica la pena di morte. La maggior parte delle esecuzioni capitali è effettuata in Cina, in Iran e in Iraq. Soltanto in Cina si eseguono 5 000 sentenze capitali, ovvero l’88 per cento delle esecuzioni di tutto il mondo. Ci sono anche paesi dell’Unione europea in cui la maggioranza dei cittadini è a favore della pena di morte e il numero di questi paesi è ancora più ampio a livello mondiale. Tale posizione si giustifica affermando che una simile punizione apparentemente costituisce un deterrente per i potenziali criminali e riduce i reati. Le statistiche, tuttavia, dimostrano il contrario. Concordo con questa risoluzione poiché ritengo che gli strumenti di morte debbano essere confinati nei musei. Sono giustificate le insistenti richieste rivolte alla Bielorussia – l’unica nazione europea che ancora pratica la pena di morte – affinché la abolisca alla prima occasione utile. In questo paese l’esecuzione resta ancora un segreto di Stato: i parenti dei condannati non sanno se questi ultimi siano ancora vivi, perché le salme non vengono restituite ai genitori o ai figli.

 
  
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  Cristian Dan Preda (PPE), per iscritto. (RO) Benché la campagna contro la pena di morte sia già una delle priorità dell’Unione europea in materia di diritti dell’uomo, la creazione del nuovo servizio europeo per l’azione esterna offre una valida opportunità per ribadire l’importanza attribuita a questo argomento a livello comunitario. Per riuscire a condurre una campagna efficace, è essenziale distinguere tra i progressi ottenuti in alcuni paesi e la situazione critica che domina in altri. Pertanto, benché preoccupati del fatto che negli Stati Uniti si condanni ancora alla pena capitale, dobbiamo riconoscere che, negli ultimi dieci anni, si sia registrato un calo del 60 per cento nel numero delle esecuzioni d’oltreoceano. D’altro canto, dobbiamo condannare aspramente il governo cinese che, nel 2009, ha compiuto più esecuzioni capitali che il resto del mondo nella sua totalità. Dopo che per la prima volta nella storia moderna, nel 2009, non è stata eseguita alcuna condanna capitale in Europa, depreco con forza che le autorità bielorusse abbiano condannato a morte due persone e, probabilmente, eseguiranno la sentenza quest’anno. In conclusione, come il Presidente Buzek, credo che la pena di morte non possa essere considerata giusta in nessuna circostanza.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto.(PL) L’impiego della pena di morte è basato sulla convinzione errata che sentenze severe servano da deterrente per i potenziali criminali. In realtà, non è la severità della punizione a renderla uno strumento di prevenzione, ma l’inevitabilità della stessa. Pertanto, è importante avere un sistema efficiente per perseguire e condannare i criminali. È essenziale che chiunque si macchi di un grave reato, sia consapevole di andare incontro alla cattura e alla pena.

Nel 2009 la maggior parte delle esecuzioni è stata eseguita in Cina, in Iran, in Arabia Saudita, nella Corea del Nord e negli Stati Uniti. Non è stato osservato che l’impiego della pena di morte riduca l’incidenza dei reati più gravi. È per questo motivo che, con lo sviluppo sociale, i paesi civilizzati hanno abbandonato la punizione capitale, dopo aver abbandonato forme particolari di esecuzione, come la ruota di santa Caterina, lo smembramento con i cavalli, il rogo o l’impalamento. Sono pratiche che scatenano gli istinti primordiali e sviliscono la società.

In Polonia l’ala destra dei partiti conservatori, che identifica l’azione di governo con l’intimidazione della società, auspica un ripristino della pena di morte. Simili metodi possono generare paura nella società e insicurezza nel futuro che, a loro volta, portano alla brutalità e ai reati più efferati. Pertanto, la punizione capitale genera l’effetto opposto rispetto a quello auspicato. È quindi necessario educare correttamente le persone su questo tema e rendere la società consapevole del fatto che la pena di morte non risolve il problema dei crimini più efferati.

 
  
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  Csaba Sógor (PPE), per iscritto.(HU) La pena di morte è bandita in tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa e, di conseguenza, in tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea, ma è ancora una prassi consolidata in molti paesi del mondo. È triste sapere che, in molti casi, la pena capitale viene comminata non per gravi reati, ma per punire l’espressione coraggiosa e coerente di opinioni politiche o religiose o per aver trasgredito alle usanze culturali. L’Europa ha riconosciuto di non poter emanare leggi che consentano di porre fine a una vita umana con la violenza. È giunto il momento che l’Europa dichiari con fermezza questa saggia presa di coscienza, estendendola a quei paesi del mondo che, a oggi, non condividono la stessa opinione. La diversità culturale e le differenze di vedute a livello mondiale sono una fonte di arricchimento per la civiltà umana, ma nessuna legge può giustificare la pratica della pena di morte.

 
  
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  Róża Gräfin von Thun und Hohenstein (PPE), per iscritto.(PL) Purtroppo, l’uomo non è un bell’animale, per citare la grande filosofa polacca Barbara Skarga. Tra noi ci sono cittadini di Stati membri liberi e democratici dell’Unione europea che difendono la pena di morte. È terrificante, ma è la verità.

Per fortuna l’esecuzione capitale non è prevista dalla normativa europea e nessun governo dell’Unione, neanche il più populista, può introdurla. L’Unione europea, tuttavia, per i suoi valori e per la loro difesa, dovrebbe allargare la propria influenza ad altri paesi, cosa del resto sta cercando di fare. È pertanto vitale intervenire a livello globale. Forse la giornata mondiale contro la pena di morte, proposta dalla Presidenza belga, è un passo in questa direzione. Spero che la nostra attenzione si concentri su questa materia così fondamentale, rinvigorendo il rispetto per ogni essere umano, ma anche la nostra responsabilità per l’osservanza degli standard comuni in materia di diritti umani nell’Unione europea, così come in altre parti del mondo dove viene praticata la pena di morte.

 
  
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  Zbigniew Ziobro (ECR), per iscritto.(PL) L’Unione europea ha bandito l’uso della pena capitale. Questo è il risultato finale di un processo svoltosi nei paesi europei, benché nel continente ancora in tanti sostengano la pena di morte. Non penso che il Parlamento europeo debba adottare una posizione sull’effetto dissuasivo della pena capitale, soprattutto in considerazione del fatto che molti studi recenti, condotti principalmente da università statunitensi, hanno dimostrato che la pena di morte non è un deterrente. Il nostro ruolo è garantire che la società sia sicura.

Quanto all’attuale normativa prevalente nell’Unione europea, dovremmo ricordare che proprio perché chiediamo il rispetto delle nostre decisioni, dovremmo parimenti rispettare le vedute di altre società democratiche, senza imporre loro la nostra visione della giustizia. Le società degli Stati Uniti, del Giappone, della Corea del Sud sono libere di stabilire le leggi che ritengono giuste. Nondimeno, in Europa, noi dovremmo ricordare che rinunciare alla pena capitale non significa essere indulgenti verso il più abominevole dei reati, l’omicidio: in questi casi, sono necessarie pene draconiane che fungano da deterrente e isolino l’omicida, come l’ergastolo senza condizionale. Se vogliamo vivere in una società sicura, sono necessarie leggi severe contro chi viola i diritti umani fondamentali, come il diritto alla vita, e contro coloro che, viepiù, sono spesso pronti a infrangere nuovamente la legge, uccidendo individui innocenti.

 
  
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  Jarosław Leszek Wałęsa (PPE), per iscritto.(EN) Mentre continuiamo a operare perché si abolisca del tutto la pratica della pena di morte, è importante riconoscere che ci sono 58 paesi nel mondo che ancora condannano alla pena capitale per i reati più gravi e molti altri che la praticano in situazioni particolari, come in tempo di guerra. L’Unione europea ha lavorato con costanza e unitarietà per abolire questa pratica disumana e i nostri sforzi continui avranno un ritorno apprezzabile. Molto resta ancora da fare, tuttavia: alcuni vicini europei non hanno bandito completamente questa pena; dovremmo porre al centro della nostra azione gli sforzi per giungere alla totale abolizione. Credo che con la determinazione e il dialogo continui, questo obiettivo sia raggiungibile. Benché sia evidente che questa pena violi i diritti fondamentali dell’uomo, molte culture nel mondo obbediscono a leggi basate su altri fattori, come la religione, la tradizione e il controllo. Tali fattori rendono l’abolizione delle esecuzioni capitali estremamente difficile, ma è nostro dovere, non soltanto come membri del Parlamento europeo, ma anche in qualità di membri della specie umana, continuare a profondere ogni sforzo per porre fine a questa pratica.

 
  

(1) Vedasi processo verbale


11. Azione dell'UE in materia di esplorazione ed estrazione del petrolio in Europa (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L'ordine del giorno reca la discussione sull'interrogazione orale al Consiglio sulle conseguenze della fuoriscita di petrolio dalla Deepwater Horizon per l'Unione europea: azione in materia di estrazione e prospezione del petrolio in Europa, di Jo Leinen, a nome della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (O-0122/2010) (B7-0470/2010), e la discussione sull'interogazione orale alla Commissione sulla conseguenze della fuoriscita di petrolio dalla Deepwater Horizon per l'Unione europea: azione in materia di estrazione e prospezione del petrolio in Europa, di Jo Leinen, a nome della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (O-0123/2010) (B7-0551/2010).

 
  
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  Jo Leinen, autore.(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sul Golfo del Messico si è abbattuto uno dei maggiori disastri ambientali degli ultimi anni e spetta a noi l’obbligo di prevenire in tutti i modi il verificarsi di una simile catastrofe anche nell’Unione europea. Credo che siamo tutti concordi in merito. Sono quattro i mari che bagnano l’UE o sono situati al suo interno: il Mare del Nord, il Mar Baltico, il Mediterraneo e il Mar Nero. L’estrazione del petrolio avviene in tutte queste acque, di conseguenza il tema rappresenta una questione di interesse anche per l’Unione europea.

La trivellazione offshore comporta particolari rischi, come ha dimostrato il pozzo petrolifero nel Golfo del Messico. Vi sono problemi che vanno oltre il nostro controllo e rimane un grande numero di domande ancora senza risposta. Onorevoli colleghi, signor Commissario, per questi motivi nella nostra risoluzione vi raccomandiamo l’introduzione di una moratoria perlomeno per le nuove richieste di perforazione offshore, finché non avremo un quadro completo su come chiudere le falle e rimediare ai guasti.

Credo che i cittadini europei si aspettino da noi la garanzia di un livello di sicurezza ugualmente alto per tutti i 27 Stati membri, quindi per tutti e quattro i mari europei, e l’assenza di divari tra i paesi più impegnati su questo fronte – impegno di cui dobbiamo dare atto – e quelli forse leggermente più tolleranti. Il mio appello è rivolto anche ai paesi confinanti. Abbiamo una politica di vicinato e, in particolare nel Mediterraneo, vi sono naturalmente anche piattaforme estrattive di paesi che non appartengono all’Unione europea. Commissario Oettinger, immagino lei si stia attivando, essendo di sua competenza, per affrontare con vari paesi, e in particolare con la Libia, l’argomento dei nostri standard e dei nostri approcci in merito.

La domanda è questa: l’Unione europea è preparata per un disastro del genere? Di quali meccanismi di controllo e intervento disponiamo in caso di una simile catastrofe? Anche per questo servono risposte. È attiva l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) di Lisbona, istituita a seguito di un disastro causato dalla rottura di alcune superpetroliere. L’Agenzia ha il compito di controllare la sicurezza delle navi, ma non quella dei mari; in altre parole ritroviamo la medesima situazione delle piattaforme di trivellazione offshore. A nostro avviso è opportuna un’estensione del mandato dell’EMSA al fine di comprendere le eventualità menzionate e di affrontare la questione in maniera adeguata. Immagino siano necessarie nuove risorse allo scopo e so che ciò rappresenta sempre un problema. Se si intende affrontare una questione di tale portata, però, lo stanziamento di risorse è d’obbligo.

Un altro aspetto da ricordare è la responsabilità. Com’è la situazione sul fronte assicurativo? Quali sono le modalità possibili di raccolta dei fondi necessari? Serve una panoramica sulla legislazione in tema di responsabilità e assicurazione per la trivellazione offshore, argomento di cui stiamo discutendo al momento. Naturalmente dobbiamo anche, e soprattutto, illustrare alle piccole aziende operanti in questo campo le implicazioni in termini di responsabilità e legislazione. Non tutte le aziende del settore sono multinazionali, vi sono anche numerose piccole aziende. In che modo dovranno gestirsi? Come potranno assicurarsi? Saranno necessari fondi di solidarietà? Avremo bisogno di soluzioni collettive al fine di garantire un indennizzo alle vittime di tali disastri, come ad esempio i pescatori?

Altro quesito senza risposta è se la direttiva sulla valutazione di impatto ambientale, che prevede valutazioni di impatto ambientale per le attività terrestri, si estenda anche alla trivellazione offshore e ad aree affini. Rimangono molte incognite sulle attività in mare aperto e su condizioni lavorative e standard sociali legati a tali attività. Dopotutto si tratta di un ambito dove il fattore umano può svolgere un ruolo determinante. Anche se disponiamo di buone tecnologie, l’errore umano può causare catastrofi.

Signor Commissario, lei detiene la responsabilità generale per l’energia. Il petrolio d’alto mare comporta problemi, mentre l’energia eolica prodotta offshore rappresenterebbe un’opzione migliore. Ritengo che il naturale prosieguo della discussione odierna sia la formulazione di una diversa politica energetica nell’Unione europea, compito che tra l’altro rientra nelle sue competenze.

 
  
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  Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio.(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, in assenza di nuove proposte da parte della Commissione in merito a esplorazione ed estrazione del petrolio (assenza più che giustificata visto che la Commissione è impegnata nelle consultazioni in corso con l’industria e le numerose autorità di regolamentazione coinvolte), posso solo reiterare la nostra profonda inquietudine in seguito al disastro nel Golfo del Messico e alle sue troppe vittime umane e conseguenze ambientali. Tale catastrofe è una dimostrazione del fatto che le precauzioni non sono mai troppe in questo settore e che è necessario il massimo impegno per impedire il ripetersi di incidenti simili.

Così come è successo in seguito agli incidenti della Exxon Valdez nel 1989 e della Erika nel 1999, la speranza è che anche questa volta il risultato finale sia un rafforzamento quadro regolativo dell’Unione europea e degli Stati Uniti per l’esplorazione petrolifera e le attività estrattive offshore. L’obiettivo ovviamente non è lo sviluppo di un quadro normativo con un’attuazione talmente onerosa da rendere le attività offshore non redditizie, bensì garantire lo svolgimento sicuro di tali attività, in particolare se si considera la continua diminuzione delle risorse terrestri.

Ovviamente abbiamo seguito con attenzione la vicenda del pozzo di Macondo mentre attendevamo le proposte legislative e, nonostante ne abbiamo accolto con gioia, a differenza di altri, la chiusura a metà luglio e la successiva copertura il 19 settembre, riteniamo che si tratti solo del primo passo in un lungo processo, se consideriamo l’entità dei lavori di risanamento da portare a termine. Per questo motivo la Presidenza ha chiesto al Commissario Oettinger di renderci partecipi delle sue valutazioni iniziali nel corso del recente incontro informale dei ministri dell’Energia avvenuto il 6 e 7 settembre.

A nostro avviso sono due gli elementi del suo intervento da ricordare durante la riunione: in primo luogo, le disposizioni di sicurezza in vigore nell’Unione europea sono le più severe al mondo; in secondo luogo, poiché le attività petrolifere sono soggette a diversi ambiti normativi, le proposte programmate dalla Commissione dovranno coprire questo ampio spettro normativo. Visto che prevenire è meglio che curare, sarà necessario innanzi tutto un miglioramento degli standard di sicurezza applicabili alle acque europee, nonché un inasprimento del regime di responsabilità, un aumento dei controlli e una maggiore cooperazione internazionale, ad esempio con i partner dell’OPEC con i quali abbiamo già compiuto dei progressi in giugno.

Attendiamo una prima comunicazione da parte della Commissione entro metà ottobre. Considerando l’alto numero di argomenti da trattare, sarà necessaria una discussione da parte di numerose formazioni di Consiglio e probabilmente anche da parte di diverse commissioni parlamentari. La complessità della questione non può però giustificare una nostra reazione tardiva. È nostra intenzione garantire che, non appena tale comunicazione sarà disponibile, essa sia esaminata e presentata in Consiglio nel più breve tempo possibile.

Per quanto riguarda più specificamente l’ambito della protezione ambientale, il quadro legislativo dell’Unione europea è già di livello notevolmente avanzato. Il principio precauzionale e il principio “chi inquina paga” sono due cardini fondamentali della politica ambientale dell’UE e sono infatti enunciati nel trattato.

Il disastro causato dalla fuoriuscita di greggio nel Golfo del Messico rappresenta un’opportunità per la Commissione e gli Stati membri per ricalibrare alcuni aspetti dell’attuale legislazione in campo ambientale. A questo proposito va ricordato ad esempio che la direttiva Seveso II è in corso di revisione e attendiamo una proposta da parte della Commissione entro la fine dell’anno.

Va inoltre ricordato che al momento la Commissione sta esaminando la capacità di reazione dell’Unione europea nell’eventualità di un disastro ambientale con l’obiettivo preciso di migliorarla ulteriormente. La comunicazione a riguardo è attesa entro la fine di novembre.

Infine, vorrei confermare che la Presidenza si impegnerà al massimo per garantire l’esame e l’ulteriore sviluppo delle proposte che la Commissione ci presenterà.

 
  
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  Günther Oettinger, membro della Commissione. (DE) Signora Presidente, Presidente Chastel, onorevoli colleghi, siamo tutti concordi sulla portata del disastro nel Golfo del Messico. I danni avranno effetti negativi a lungo termine per ambiente, natura, turismo e pesca, e i mezzi finanziari potranno compensarli solo in parte. Ciononostante è una fortuna che la parte in causa sia una compagnia petrolifera capace come BP, dalla quale possiamo aspettarci la massima disponibilità a risarcire adeguatamente eventuali danni.

La comunicazione è in corso di ultimazione e la Commissione si consulterà ufficialmente a questo proposito in modo da poterla presentare entro massimo due settimane. Oggi sono qui per capire quali siano le vostre aspettative sotto la direzione generale sia dell’onorevole Leinen e della sua commissione competente in materia, sia dell’onorevole Reul. Le aspettative del Parlamento e i pareri degli specialisti saranno incorporati nella comunicazione che verrà presentata entro due settimane al massimo.

Alcuni giorni fa abbiamo ricevuto da parte di BP un comunicato di carattere autocritico contenente la proposta di intraprendere volontariamente, assieme al resto dell’industria petrolifera, alcune azioni riparatrici. Stiamo monitorando con attenzione l’evoluzione degli eventi a Washington, che è però leggermente ritardata dall’attuale campagna elettorale, e notiamo il desiderio da parte del governo statunitense di sfruttare questo grave incidente per apportare profonde modifiche alla legislazione e alla propria politica. Il nostro obiettivo è l’approntamento degli standard di sicurezza più severi al mondo per le acque territoriali europee: il Mare del Nord, l’Oceano Atlantico settentrionale, il Mar Baltico, il Mar Nero, il Mediterraneo e la parte dell’Atlantico che bagna la costa occidentale dell’Africa. L’autorità dell’UE è circoscritta alle proprie acque territoriali, ma l’ambizione è di estendere tali standard oltre i confini europei. L’onorevole Leinen ha fatto riferimento indirettamente alla Libia; ci stiamo infatti occupando delle trivellazioni che avvengono non solo lungo le coste europee, ma anche altrove.

La discussione verte sia sul petrolio che sul gas, e più in generale sull’esplorazione e l’estrazione di idrocarburi offshore e sulle migliori tecniche di sicurezza. Si può supporre che Regno Unito e Norvegia abbiano la maggiore esperienza e gli standard più elevati e accettabili in questo campo; riteniamo quindi di particolare importanza una cooperazione con i governi di Londra e Oslo. In primo luogo desideriamo esaminare le precauzioni di sicurezza per le licenze future, valutando come innalzare ulteriormente gli standard per le nuove autorizzazioni. In secondo luogo intendiamo prendere in considerazione un ammodernamento delle piattaforme petrolifere esistenti, alcune delle quali sono in funzione da oltre venti anni. Gli standard che allora erano considerati accettabili non sono paragonabili a quelli raggiungibili e richiesti a livello politico al giorno d’oggi.

Vi è inoltre la questione dei controlli regolari. È necessaria una maggiore capillarità nella nostra rete di controllo e di conseguenza un aumento della frequenza e della qualità dei controlli. Anche la legislazione in materia assicurativa svolge un proprio ruolo: ci si interroga su quanto sia possibile estendere l’obbligatorietà della copertura assicurativa globale per le compagnie impegnate nell’estrazione al fine di minimizzare i possibili danni e potervi porre rimedio, perlomeno a livello economico e finanziario, il più possibile in caso di scenario peggiore.

Altra fonte di preoccupazione sono le modalità di esportazione dei nostri standard di sicurezza in altre parti del mondo. L’attuale progetto della BP che prevede l’estrazione e la costruzione di piattaforme in prossimità delle coste libiche ci offre l’opportunità di approcciare l’industria energetica europea (ovvero BP, Shell, Total eccetera) e ottenere da essa l’impegno di accettare e applicare di propria iniziativa gli stessi severi standard rispettati all’interno dell’Unione europea anche nelle regioni confinanti. Più precisamente l’obiettivo è che la piattaforma petrolifera costruita e gestita da BP al largo delle coste libiche, oppure una piattaforma al largo dell’Africa occidentale gestita da un’altra compagnia energetica europea, siano obbligate a rispettare gli stessi standard di quelle nel Mare del Nord, dove tali requisiti sono previsti per legge.

Vi chiediamo quindi ancora due settimane. Stiamo procedendo secondo programma al fine di raggiungere gli obiettivi della comunicazione. Qualsiasi altro apporto da parte vostra durante l’odierna discussione, onorevoli colleghi, sarà preso in considerazione e ci consentirà di presentare proposte legislative in base a quanto stabilito dalla comunicazione nella prima metà del 2011.

 
  
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  Richard Seeber, a nome del gruppo PPE.(DE)

Signora Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare il Commissario Oettinger per la prontezza con la quale ha preso in mano la situazione e ha reagito in seguito al disastro petrolifero. Naturalmente è importante prendere in considerazione il fatto che Stati Uniti ed Europa hanno due diversi punti di partenza. Credo però che anche qui vi sia la necessità di agire e di condurre un’analisi approfondita sia delle condizioni in Europa, sia della situazione legislativa in modo da poter formulare proposte adeguate. Va tenuto presente che la situazione legislativa è complicata dal fatto che si tratta di acque in parte internazionali e in parte appartenenti agli Stati membri. Ritengo sia necessario valutare fino a dove la Comunità possa agire come tale e formulare proposte legislative tese al miglioramento della situazione.

Il nostro punto di partenza deve essere sempre la creazione degli standard di sicurezza più elevati per le persone e l’ambiente, al fine di prevenire il verificarsi di eventi catastrofici alla fonte. Ciononostante ritengo importante continuare la ricerca di gas e petrolio in Europa, in modo da diversificare ulteriormente le nostre risorse energetiche. L’importanza della diversificazione va sempre tenuta presente, ma come già affermato è la sicurezza a cui dobbiamo dare precedenza. Ho individuato possibili aree di intervento: la prima riguarda gli aspetti legislativi europei passibili di modifica, e a questo proposito vanno citate la direttiva Seveso II sulla responsabilità ambientale e il terzo pacchetto di sicurezza marittima. La Commissione esaminerà sicuramente tali aree per cui restiamo in attesa delle vostre proposte.

In seconda posizione viene il quadro economico. Credo che le soluzioni assicurative possano offrire una garanzia adeguata di indennizzo economico a seguito di eventi catastrofici. La terza area è rappresentata dalla gestione delle emergenze all’interno dell’Unione europea. È veramente necessario il mantenimento da parte di ogni singolo Stato membro delle strutture necessarie per la gestione di disastri ambientali? Non è possibile un rafforzamento della cooperazione a livello di Unione europea, con conseguente allentamento della pressione sugli Stati membri?

 
  
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  Zigmantas Balčytis, a nome del gruppo S&D.(LT) Il disastro ambientale nel Golfo del Messico ha evidenziato la mancanza di sicurezza nelle operazioni petrolifere. Questa straziante tragedia ha causato la perdita di vite umane e incalcolabili danni all’ambiente e deve quindi fungere da monito per l’Europa.

Accolgo con favore l’iniziativa della Commissione di testare la sicurezza delle piattaforme petrolifere operanti nel territorio dell’Unione europea. Per garantire la piena attuazione di questa iniziativa sono però necessarie misure di portata più ampia. La Commissione deve soprattutto valutare l’immediatezza e l’efficacia della capacità di reazione dell’Unione europea in caso di incidente e sviluppare un piano d’azione.

L’attuale legislazione difetta chiaramente per contenuti e raggio d’azione, sia in termini di sicurezza che di responsabilità per i danni causati. All’interno dell’Unione europea sono in corso enormi progetti di infrastrutture il cui grado di sicurezza forse non è stato ancora valutato in maniera completa e adeguata. Questo vale per il molto discusso gasdotto Nord Stream e per altre infrastrutture simili, che sono sì necessarie al raggiungimento della sicurezza energetica, ma sono anche tenute a rispettare i più severi requisiti ambientali.

La questione della responsabilità va pertanto risolta in modo chiaro: chi inquina è tenuto a risarcire i danni causati. Inoltre è necessario adottare in tutta l’Unione europea programmi di copertura assicurativa obbligatoria. Al fine di evitare il verificarsi di catastrofi ambientali, rivestono particolare importanza le misure di prevenzione. A mio avviso la Commissione deve prendere in considerazione la creazione di un sistema di monitoraggio efficace, rafforzare i metodi di ispezione e rendere più rigidi i regolamenti minimi e obbligatori di sicurezza all’interno dell’Unione europea.

Concordo con gli inviti alla Commissione presentati dai colleghi in merito alla necessità di redigere relazioni annuali che consentirebbero di valutare la situazione reale e di agire in tempo, se necessario.

Vorrei infine esprimere un ringraziamento alla Commissione e ai suoi membri per preparare la comunicazione in tempi così brevi, permettendoci in questo modo di avviare un esame più dettagliato delle reali esigenze dell’Europa.

 
  
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  Corinne Lepage, a nome del gruppo ALDE. (FR) Signora Presidente, Presidente Chastel, Commissario, l’incidente nel Golfo del Messico rappresenta una svolta.

Come dimostrato sfortunatamente dagli attuali eventi in Ungheria, è evidente che l’Europa non è al riparo da incidenti industriali su larga scala. Abbiamo quindi il compito comune di prevenire tali incidenti, senza attendere che si verifichino per poi gestire le risorse per porvi rimedio.

Cosa si intende per “prevenire”? In primis l’adozione di un’adeguata legislazione preventiva che al momento non esiste. Sono necessari studi preliminari approfonditi e mi rallegro per l’intenzione di applicare la direttiva Seveso II alle piattaforme petrolifere offshore. Sono inoltre estremamente importanti solide valutazioni di impatto, ma soprattutto la creazione di un sistema di responsabilità che agisca da deterrente in modo che gli addetti ai lavori abbiano un incentivo economico a garantire la sicurezza.

Vi è infine la necessità di risorse tecniche tali da garantire la capacità di intervenire nel giro di pochi giorni o addirittura di poche ore, in qualsiasi evenienza. Questo non significa semplicemente l’abilità di reagire sulla carta, bensì nel mondo reale. Non oso immaginare cosa succederebbe se una situazione simile a quella del Golfo del Messico, protrattasi per alcune settimane, si verificasse in un mare chiuso come il Mediterraneo.

Ovviamente abbiamo anche bisogno, come già detto, di un sistema di responsabilità al fine di risarcire i danni. Ricordo che la direttiva sulla responsabilità ambientale non copre i danni economici; ritengo pertanto essenziale introdurre, così come hanno fatto senza esitazione gli americani, una moratoria sulle nuove installazioni che consenta il rispetto delle condizioni appena citate.

La moratoria non prevedrebbe l’interruzione delle operazioni attualmente in corso, bensì la sospensione delle nuove licenze, in modo da garantire che tutte le parti coinvolte, i settori pubblico e privato, abbiano lo stesso obiettivo: la creazione di un apparato legislativo e la messa a punto in tempi brevi delle risorse tecniche adeguate per proteggere l’Europa da disastri di scala simile a quello avvenuto negli Stati Uniti. Ritengo che tali azioni rappresentino un passo nella direzione giusta, sebbene l’obiettivo comune delle nostre società sia di liberarsi gradualmente dalla dipendenza dal petrolio e non di accentuarla.

 
  
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  Bart Staes, a nome del gruppo the Verts/ALE.(NL) Signora Presidente, concordo con l’intervento dell’onorevole Lepage e in particolare con l’ultima parte. Cinque mesi fa, il 20 aprile, si è verificato un evento inimmaginabile: il terribile disastro nel Golfo del Messico. Sono serviti cinque mesi per bloccare definitivamente la fuoriuscita di greggio. Gli organi legislativi europei devono garantire che un disastro simile non possa verificarsi nelle acque europee. È a questo proposito che si svolge la discussione odierna e che stiamo prendendo provvedimenti.

La risoluzione votata in sede di commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare è ampiamente in sintonia con l’analisi, la politica e la volontà del Commissario Oettinger, che ha partecipato a due sedute plenarie per esporre i propri progetti e obiettivi. La nostra risoluzione è largamente in linea con piani questi progetti e mi rammarico della decisione annunciata dal Consiglio di attendere le proposte della Commissione prima di agire. Mi sarei aspettato invece una reazione da parte del Consiglio in base alle proposte avanzate dal Parlamento nel corso della discussione odierna.

Vi sono numerose proposte importanti. Esortiamo ad esempio gli Stati membri a introdurre una moratoria finché non sarà possibile escludere il verificarsi di incidenti, ovvero finché non sarà garantito il rispetto delle adeguate regole di sicurezza. La moratoria dovrà rimanere in vigore fino al pieno completamento della legislazione in materia di responsabilità. È necessario valutare l’aspetto del controllo dei supervisori, garantire un rapido avvio delle operazioni di smantellamento di piattaforme ancora operative nonostante debbano essere dismesse e infine estendere il mandato dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima in modo che assuma la responsabilità per la lotta all’inquinamento marino causato da navi o da piattaforme petrolifere in caso di disastro.

Le proposte contenute nella risoluzione sono estremamente tangibili. Presidente Chastel, è deplorevole che lei in nome del Consiglio mostri di non prendere in considerazione le proposte avanzate dal Parlamento in quest’Aula e attenda la presentazione delle proposte da parte del Commissario Oettinger, la prima delle quali sarà avanzata la prossima settimana sottoforma di prova di stress per la legislazione esistente. Mi congratulo sinceramente con la Commissione ma rimango piuttosto scettico nei confronti del Consiglio.

 
  
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  Struan Stevenson, a nome del gruppo ECR.(EN)

Signora Presidente, la fuoriuscita di greggio nel Golfo del Messico ha rappresentato un campanello d’allarme per il settore petrolifero. Non vi è alcun dubbio a riguardo e ne siamo tutti consapevoli, ma vi invito a non reagire in maniera eccessiva.

Concordo sulla necessità di un adeguato indennizzo per quanti hanno perso i propri mezzi di sostentamento, in particolare nel settore della pesca, a causa di una fuoriuscita di petrolio o di un incidente analogo, e spero fortemente che niente di simile accada nelle nostre acque.

È necessario istituire un fondo di compensazione oppure un fondo assicurativo alimentato dai contributi delle stesse compagnie petrolifere. Quando una stimata collega come l’onorevole Lepage richiede una moratoria per le trivellazioni esplorative, però, ho la sensazione che si esageri e si reagisca in maniera eccessiva. Possiamo contare su ben 20 anni, due decenni, di esperienza in campo di trivellazione d’acqua profonda nel Mare del Nord e al largo della costa occidentale della Scozia, due decenni nei quali abbiamo esportato tecnologie di sicurezza di massimo livello su scala mondiale. Vi sono oltre 315 pozzi d’acqua profonda, ovvero pozzi profondi più di 300 metri, alcuni dei quali raggiungono persino i 1 600 metri di profondità.

Sarebbe prematura un’analisi degli avvenimenti nel Golfo del Messico, ma alcuni elementi sembrano dimostrare che l’utilizzo della tecnologia in uso già da 20 anni nel Mare del Nord avrebbe impedito il verificarsi della fuoriuscita e ne avrebbe reso molto più rapido il contenimento.

Non voltiamo quindi le spalle a una delle industrie più sicure e affidabili d’Europa, dopo che essa ha già investito, nell’arco del solo 2010, ben 6 miliardi di euro in esplorazione nel Mare del Nord e al largo delle isole Shetland. Vi invito a non reagire in maniera esagerata e a non comunicare così al resto del mondo che il Parlamento europeo nutre dubbi sulla sicurezza di una sua industria che si colloca tra le maggiori esportatrici in Europa.

 
  
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  Niki Tzavela, a nome del gruppo EFD.(EL) Signora Presidente, vorrei porgere le mie congratulazioni all’onorevole Leinen e al Commissario per il loro briefing ed esprimere il rammarico per il fatto che la commissione per l'industria, la ricerca e l'energia, responsabile appunto della ricerca e dell’industria, non sia menzionata nella risoluzione. Tale assenza rende irrealistico il contenuto di interi paragrafi e crea enormi problemi all’industria dell’estrazione. Si è parlato di controllare questo settore, non causarne la fine.

Concordo quindi pienamente con l’emendamento presentato dall’onorevole Callanan secondo il quale si deve cancellare il paragrafo 17. Aggiungerei che il paragrafo 22 impone oneri finanziari alle compagnie attive in campo estrattivo in merito ai quali è opportuna una maggiore cautela. È inoltre da notare una rilevante omissione nel testo: non compare infatti alcun riferimento alla promozione di ricerca e sviluppo nel settore estrattivo. Una collaborazione con gli americani in questo ambito porterebbe a progressi nei settori della ricerca e delle tecnologie e ci sarebbe d’aiuto nella gestione delle crisi.

 
  
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  Nick Griffin (NI).(EN) Signora Presidente, nessuno ha colto il vero significato del disastro della Deepwater finora. In realtà ci si dovrebbe interrogare sul perché BP compia trivellazioni attraverso 5 000 metri di roccia e alla profondità di 1 500 metri sott’acqua nel mezzo di un’area soggetta a uragani.

La risposta è il picco del petrolio, ora che è già stata utilizzata metà delle riserve mondiali raggiungibili in maniera semplice, sicura e a buon mercato, ora che dipendiamo da riserve in progressiva diminuzione, sempre più inaccessibili, dal reperimento pericoloso e costoso sia dal punto di vista economico che ambientale. Deepwater è semplicemente un sintomo della scarsità di petrolio. Lo sfruttamento di questa situazione da parte dell’Unione europea per accrescere il proprio potere non impedirà il prosciugamento delle risorse petrolifere né le conseguenze potenzialmente catastrofiche che ne potrebbero derivare.

Anziché parlare di sintomi, è arrivato il momento di affrontare la malattia con serietà, ovvero il fatto che, sebbene il petrolio di facile accesso sia esaurito, noi ne siamo ancora dipendenti. Negli ultimi mesi hanno cominciato a rendersi conto di questa verità, tra gli altri, il Presidente Obama, il governo britannico e l’esercito tedesco. L’Unione europea deve tirare fuori la testa dalla sabbia, smettere di essere ossessionata dal cambiamento climatico, studiare e affrontare la vera crisi: il picco del petrolio.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
  
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  Herbert Reul (PPE).(DE) Signora Presidente, Presidente Chastel, Commissario, onorevoli deputati, parliamo di una grave crisi ed esistono modi diversi di reagire alle crisi. È possibile precipitarsi, intervenire e rilasciare una nuova dichiarazione ogni settimana, oppure analizzare la situazione accuratamente e quindi stabilire dove è opportuno operare dei cambiamenti. Per quanto riguarda il punto di partenza, ad esempio, si è stabilito che la situazione negli Stati Uniti non è realmente confrontabile con quella in Europa.

Il Commissario Oettinger ha scelto il secondo approccio: ha deciso di procedere in modo pacato e obiettivo, un passo alla volta. È così che si fa politica e che si conquista il sostegno dei cittadini. Innanzi tutto sono lieto che il Commissario abbia optato per questo percorso e che, in secondo luogo, abbia coinvolto tutte le commissioni parlamentari. La commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia sono state entrambe coinvolte in plenaria e hanno partecipato alle discussioni con il Commissario, in occasione delle quali è stato possibile analizzare i fatti più nel dettaglio. Sfortunatamente, devo sottolineare, come ricordato pocanzi dall’onorevole Tzavela, che la commissione per l’ambiente ha ritenuto di dover presentare una risoluzione unilateralmente. Ritengo che sia totalmente inaccettabile. Oltretutto, affrettarsi a produrre troppo frettolosamente un documento non serve né alla cooperazione parlamentare, né ad una corretta gestione della questione.

Abbiamo appreso, dato già noto a tutti in realtà, che la Commissione presenterà una comunicazione la prossima settimana o quella successiva, nella quale analizzerà le conseguenze dell’accaduto. A quel punto, come ha giustamente evidenziato il Consiglio, saremo in grado di evidenziare con intelligenza quali dovranno essere le prossime mosse. La commissione per l’ambiente ha ritenuto di dover presentare una proposta di risoluzione su questo tema in tempi stretti, quindi ora dobbiamo confrontarci con una risoluzione che ritengo nel complesso troppo frettolosa. Per quanto mi riguarda, contiene degli errori e trascura numerosi aspetti relativi alla ricerca e alla tecnologia, come ha sottolineato l’onorevole Tzavela. A chi importa? Quello che conta è avere qualcosa in mano, anche se la questione viene affrontata da un unico punto di vista, il che è totalmente inaccettabile. Oltretutto, giungere alla conclusione che andrebbe introdotta una moratoria è un tentativo ben riuscito di attirare l’attenzione sull’Europa in quanto centro industriale.

Onorevoli deputati, non è il modo giusto per gestire la situazione. Sono lieto di avere avuto l’opportunità di intervenire oggi; almeno qui si può ancora parlare. La mia commissione non è stata coinvolta in alcun modo nella risoluzione.

 
  
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  Pavel Poc (S&D). (CS) L’esplosione della piattaforma di trivellazione Deepwater è stata indubbiamente un grave disastro, nonché un monito sia per gli Stati Uniti che per l’Europa. Tuttavia, abbiamo trascurato un avvertimento. Mentre la commissione ENVI discuteva del caso Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, vi era una fuga di petrolio dalla piattaforma di perforazione Jebel al-Zayt, pochi chilometri al largo delle coste dell’Egitto, e ne siamo venuti a conoscenza dai turisti. Non ne è stata data notizia neppure dai mezzi di comunicazione e, in occasione di una riunione della commissione ENVI, un rappresentante della Commissione ha dichiarato, in risposta ad una mia domanda, di non disporre di informazioni su questo disastro di minore portata ma così vicino a noi. Nessuno aveva informazioni su questa fuoriuscita di petrolio. Per questo, in aggiunta agli altri temi menzionati dai miei colleghi, ne vorrei citare un altro, ovvero la necessità di disporre di informazioni tempestive e qualitativamente valide, che non siano manipolate per scopi politici, come è accaduto nel caso delle comunicazioni da parte del governo egiziano rispetto alla fuoriuscita di petrolio a Jebel al-Zayt.

A mio avviso, una moratoria potrebbe costituire una soluzione valida, sebbene ovviamente non sia possibile imporre divieti o limitare il settore dell’energia, se vogliamo che ci fornisca ciò di cui abbiamo bisogno. È necessario che vi siano degli standard di sicurezza comuni, poiché gli standard dell’Unione europea nel Mare del Nord sono molto elevati, ma non vengono più applicati nel Mar Nero. Una tale divergenza di approccio non è accettabile e dobbiamo garantire che esistano degli standard di sicurezza comuni al fine di proteggere tutto il patrimonio costiero europeo.

 
  
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  Gerben-Jan Gerbrandy (ALDE).(NL) Signora Presidente, le circostanze verificatesi nel Golfo del Messico non sono paragonabili con quanto avviene nelle nostre acque, chiaramente, ma sono lieto che l’Unione europea abbia comunque colto l’occasione per esaminare la sua legislazione in materia. Dopo tutto era assolutamente necessario farlo.

A mio avviso esistono due elementi particolarmente rilevanti: innanzi tutto i controlli. Molti colleghi ne hanno parlato e i controlli sono imprescindibili. L’aspetto ancora più importante è, a mio avviso, quello della responsabilità e, onestamente, sono rimasto sconcertato nel constatare che manca una buona oranizzazione al riguardo, anche nelle acque europee. Una regolamentazione solida sarebbe il migliore incentivo per indurre le grandi compagnie petrolifere a introdurre esse stesse molte misure per ridurre i rischi; ecco perché ritengo sia un aspetto importante. Per questo motivo consiglio caldamente di non garantire nuove licenze fino a quando il tema della responsabilità non sarà stato regolamentato.

 
  
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  Bas Eickhout (Verts/ALE).(NL) Signora Presidente, vorrei rivolgermi, in particolar modo agli onorevoli Stevenson e Reul, che sostengono che la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare abbia reagito troppo frettolosamente. Siamo onesti: questo disastro si è verificato cinque mesi fa e l’Europa sta presentando solo ora una nuova risoluzione, una reazione di certo non troppo rapida. In seno alla commissione per l’ambiente abbiamo lavorato a questo tema per molto tempo.

Vorrei esprimere i miei più sentiti ringraziamenti alla Commissione, per il suo atteggiamento proattivo e per aver ammesso che le norme in materia di responsabilità non sono chiare e che, molto semplicemente, esistono delle lacune tra la legislazione europea e quella nazionale. Si tratta di aspetti che non sono regolamentati in modo soddisfacente. Fino a che non vigeranno norme adeguate, dobbiamo interrompere qualunque forma di trivellazione in alto mare. Questa moratoria non si applicherebbe all’intero settore, ma solo ai nuovi siti di trivellazione. Non è una reazione eccessiva, ma estremamente calma. Siamo anche consapevoli che è ancora in corso un’indagine nel Golfo del Messico per scoprire cosa è andato storto. È necessario risalire alla verità e, fino ad allora, non dovrebbero esserci nuove attività.

 
  
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  Konrad Szymański (ECR).(PL) Signora Presidente, le catastrofi e altri eventi spettacolari, come nel caso della fuga di petrolio nel Golfo del Messico, sono spesso uno stimolo per apportare dei cambiamenti generali alle politiche e per introdurre grandi programmi di riforme normative. Tuttavia, le azioni guidate dalle emozioni non sono sempre razionali, motivo per il quale inviterei ad esercitare cautela e attenzione nell’imporre nuovi obblighi alle aziende in materia di assicurazioni, standard ambientali o standard di sicurezza, poiché all’interno dell’Unione europea questi standard sono, in ogni caso, i più elevati al mondo. Ci troviamo in un diverso stadio di sviluppo in quest’area normativa.

L’unica conseguenza di un tale eccesso normativo sarebbe un indebolimento della competitività dell’Europa e una posizione più forte per il settore dell’estrazione in ogni altro luogo al di fuori dell’Unione europea. La situazione è analoga nel caso di una moratoria per la perforazione off shore – moratoria che determinerebbe molto probabilmente degli effetti completamente opposti a quelli desiderati. Una moratoria porterebbe ad un aumento delle imbarcazioni che navigano verso le coste europee e quindi a maggiori rischi per l’ambiente. Ecco perché invito in entrambi i casi – sia per quanto riguarda la legislazione, che nel caso della moratoria – ad esercitare molta cautela.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE).(PL) Signora Presidente, questo è la terza discussione su questo argomento che teniamo in seno al Parlamento europeo, il che dimostra la grande importanza che attribuiamo alla sicurezza per le operazioni di estrazione di petrolio greggio nei mari europei. Non desideriamo che la catastrofe che si è verificata nel Golfo del Messico possa ripetersi sulle coste del nostro continente. Solo nel corso dei primi tre mesi di questo anno, si sono verificate 175 interruzioni delle operazioni delle piattaforme di trivellazione nel Mare del Nord, otto delle quali sono state descritte come incidenti molto gravi; in 32 casi le attività degli impianti sono state interrotte. Un altro problema è rappresentato dal fatto che suddette piattaforme sono state ampiamente sfruttate. Delle 103 piattaforme costruite all’inizio degli anni ‘70 nel Mare del Nord, 44 avranno raggiunto la cosiddetta morte tecnica entro cinque anni e 26 hanno già superato il periodo di utilizzo autorizzato, ma hanno ottenuto una proroga del diritto di estrazione petrolifera.

Gli impianti hanno oltretutto cambiato proprietari negli ultimi 30 anni e i nuovi gestori non sempre condividono le stesse modalità di utilizzo sotto il profilo della sicurezza. La pressione per massimizzare l’estrazione non va di pari passo con le misure volte a migliorare la sicurezza o con una corretta valutazione del rischio. Per questo sosteniamo il lavoro del Commissario, che punta a effettuare un’analisi approfondita della legislazione sull’estrazione petrolifera nei mari europei e, laddove fosse necessario, ad introdurre nuove e fondamentali disposizioni che prendano in considerazione i pericoli derivanti dall’estrazione del petrolio in mare e a irrigidire i principi della responsabilità nel caso di incidenti che portano ad una contaminazione da petrolio greggio.

È fondamentale stabilire gli standard più elevati di sicurezza per la trivellazione in alto mare nelle acque europee e applicarli a tutti gli attori che operano nelle acque territoriali europee, nonché alle aziende che provengono da paesi non UE. Non possiamo accettare una situazione in virtù della quale, ad esempio, l’utilizzo dei depositi nell’Artico sia responsabilità della Norvegia e della Russia e uno di questi paesi ricorra ad una tecnologia che non prevede gli standard più elevati di sicurezza applicati dalle aziende all’interno dell’UE.

 
  
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  George Lyon (ALDE).(EN) Signora Presidente, come hanno ribadito molti altri oratori, il disastro del Golfo del Messico è stato un campanello d’allarme per il settore.

Ho ascoltato con attenzione quanto detto dal Commissario nei suoi commenti introduttivi e sono d’accordo con gli impegni menzionati, ovvero la necessità di migliorare gli standard, la qualità e di garantire che l’Unione europea possa essere un leader in questo settore e che possa esportare i propri sistemi di sicurezza in tutto il mondo, assicurandosi che altri seguano il suo esempio.

Noi in Scozia abbiamo assistito a diversi disastri nel Mare del Nord; il disastro della Piper Alpha, appena 20 anni fa, ad esempio, ha causato la morte di 100 persone. Questo incidente ha condotto ad una revisione su larga scala degli standard di sicurezza, che, a sua volta, ha portato agli standard elevati di cui godiamo oggi.

Io sostengo gran parte del contenuto dell’interrogazione presentata oggi dall’onorevole Leinen, ma non ritengo che una richiesta aperta per una moratoria sia proporzionata e che sia una risposta ragionevole alla sfida che ci troviamo ad affrontare. Mi auguro che il Parlamento rifletta a fondo prima di arrivare a questo passo.

 
  
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  Zbigniew Ziobro (ECR).(PL) Signora Presidente, non vi è alcun dubbio che la sicurezza dell’estrazione e del trasporto di materiali naturali deve essere supervisionata dalla Commissione europea. Una questione centrale, oltre a quella degli standard di sicurezza ottimali, è la preparazione delle aziende che estraggono e trasportano materiali naturali a gestire emergenze che potrebbero determinare contaminazioni ambientali su larga scala. Non dobbiamo dimenticare le risorse finanziarie necessarie che dovrebbero essere accantonate dalle aziende che operano in questo settore economico.

Un gasdotto che trasporterà enormi quantitativi di gas sul fondo del Mar Baltico diverrà presto operativo. Ritengo sia l’occasione perfetta per chiederci se la Commissione europea ha fatto qualcosa per tutelare gli interessi dei milioni di cittadini europei che vivono sulle coste del Mar Baltico e che potrebbero essere le vittime di un disastro ecologico senza precedenti qualora si verificasse un’esplosione o una fuga da questo gasdotto. È opportuno ricordare che è stata completamente ignorata una risoluzione stilata due anni fa e relativa alla preparazione rispetto agli effetti ecologici di questo investimento, che è in corso di avviamento. Cosa farà la Commissione europea al riguardo, in modo da non rimpiangere il tempo sprecato quando si verificherà un disastro?

 
  
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  Catherine Soullie (PPE).(FR) Signora Presidente, la portata del disastro nel Golfo del Messico è tale da richiedere che noi, in qualità di rappresentanti politici dell’Unione europea, ci interroghiamo sulla sicurezza delle nostre stesse piattaforme. Effettivamente, una delle chiavi per proteggere l’ambiente marino è garantire che i siti di prospezione di petrolio siano quanto più sicuri.

Ciononostante l’idea di una moratoria sulle perforazioni attuali e future nelle nostre acque è chiaramente prematura e inopportuna. Prematura poiché l’esito delle indagini sul disastro nel Golfo del Messico non è stato reso noto e alcune conclusioni preliminari confermano che è stato determinato da una serie di errori comportamentali, organizzativi e tecnici. Inopportuna poiché – come è già stato ribadito più volte – nel Mare del Nord, nel Mediterraneo e nel Golfo del Messico si applicano regolamenti diversi.

Ritenete opportuno evidenziare in questa sede le gravi conseguenze economiche e sociali che comporterebbe una moratoria, per non parlare di come potrebbe mettere a repentaglio la nostra indipendenza energetica?

La scorsa settimana, la Norvegia e la Russia hanno messo fine ad una disputa durata 40 anni e ad una moratoria di 30 anni, confermando il principio di un confine marittimo unico nel Mare di Barents e nell’Artico. Questo accordo, in pratica, farà sì che i due paesi condividano un’area ricca di idrocarburi. Come può dunque l’organo esecutivo dell’Unione europea prevedere la sospensione di tali attività e al contempo chiedere che chi le conduca si collochi spontaneamente in una posizione di debolezza sia dal punto di vista energetico che economico?

 
  
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  Mirosław Piotrowski (ECR).(PL) Signora Presidente, la catastrofe ecologica senza precedenti che ha colpito il Golfo del Messico deve convincere gli Stati membri dell’Unione europea a svolgere un accurato monitoraggio delle piattaforme di perforazione nelle acque dove viene estratto petrolio greggio. Assistiamo persino alla proposta di introdurre una moratoria sulle nuove attività di perforazione fintantoché non verranno esclusi rischi ambientali. Queste proposte si basano sul principio in virtù del quale, poiché i bacini marini non hanno confini, un disastro ecologico al loro interno, li coinvolgerebbe tutti.

Un approccio di questo tipo si concilia con la risoluzione adottata due anni fa dal Parlamento europeo sui rischi ecologici nel Baltico in relazione al progetto Nord Stream. Ci auguriamo che la Commissione europea adotterà un approccio altrettanto risoluto e giudizioso rispetto al monitoraggio sugli investimenti sul gas nel Mar Baltico e che, nel farlo, sfrutterà tutti gli strumenti a sua disposizione. Sarebbe anche opportuno valutare se investire anche su tecnologie alternative, come l’estrazione di gas da scisto.

 
  
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  János Áder (PPE). (HU) Signora Presidente, onorevoli deputati, abbiamo sentito parlare molto di questo disastro petrolifero e le televisioni hanno trasmesso immagini sconcertanti. Tuttavia sapevate, onorevoli deputati, che negli scorsi anni il 97 per cento, ripeto, il 97 per cento di tutte le violazioni intenzionali ai regolamenti di sicurezza da parte delle compagnie petrolifere americane sono state commesse dalla British Petroleum? Sapevate che negli ultimi dieci anni, numerosi incidenti sono stati causati da questa compagnia? Siete a conoscenza del fatto che la British Petroleum ha ridotto significativamente i fondi dedicati alla sicurezza e alla manutenzione al fine di mantenere i propri profitti? Questo fattore ha svolto un ruolo nell’aumento continuo di incidenti.

L’onorevole Lepage ha appena affermato che l’aspetto più importante è dato dalla previsione e dalla prevenzione dei disastri. Sappiamo tutti che la prevenzione è il fattore più importante, ha ragione. Tuttavia, ritengo che il disastro americano nel Golfo del Messico, al pari degli altri disastri industriali o naturali degli scorsi anni o della catastrofe verificatasi l’altro giorno in Ungheria, dimostri chiaramente che le catastrofi naturali o industriali possono verificarsi ovunque ed in qualunque momento. Ecco perché credo che siano molto importanti anche i risarcimenti e la capacità rapida ed efficace di limitare i danni.

Si parla molto di condizioni atmosferiche estreme, delle loro conseguenze e dei rischi che comportano, nonché del modo in cui aumentano il rischio di disastri naturali e industriali. Ritengo sia vero, e se lo è, allora dobbiamo guardare avanti. Dobbiamo fare attenzione ai segnali di allarme come è accaduto nel caso del disastro ungherese di due giorni fa o del disastro nel Golfo del Messico in primavera. Per questo propongo ai miei colleghi e al Parlamento di istituire un fondo europeo per i disastri al fine di garantire una limitazione efficace dei danni.

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE).(SL) Il disastro nel Golfo del Messico è stato terribile. Ha evidenziato carenze in termini di standard di sicurezza e in seguito alla fuoriuscita le azioni prese si sono rivelate inadeguate. Sebbene si sia verificato negli Stati Uniti, ovvero dove vigono le disposizioni e gli standard americani, dobbiamo tutti trarre delle lezioni da quanto accaduto e prevenire incidenti analoghi.

Prima di procedere dobbiamo, tuttavia, prendere in considerazione la situazione per come è allo stato attuale. Mi risulta che le leggi europee prevedano già dei meccanismi volti a prevenire che incidenti analoghi si verifichino in seno all’Unione, poiché sono più rigorose e più esigenti delle leggi americane.

Vorrei dunque sostenere che noi, all’interno dell’Unione, non abbiamo alcuna fretta. Prendiamoci il nostro tempo e lasciamo che gli esperti conducano un’analisi accurata delle cause e delle conseguenze del disastro nel Golfo del Messico. Solo allora potremo formulare eventuali nuovi requisiti o introdurre nuove norme. Sono turbata da alcune formulazioni all’interno della risoluzione che creano un certo panico come “il prima possibile” e sono anche contraria ad una moratoria sull’estrazione di petrolio. D’altra parte, concordo sull’esigenza di assicurare che le nostre leggi vengano applicate nel rispetto degli standard più elevati e sull’assegnazione di un’equa compensazione nel caso di incidenti.

Dobbiamo soprattutto intervenire al di fuori dei nostri confini. Non importa quali mari siano stati inquinati, che siano americani, europei o altri ancora. In casi del genere, l’intero pianeta sarà più inquinato e gli animali e le piante moriranno e le persone soffriranno a causa di questo inquinamento. Dobbiamo quindi svolgere il compito più difficile, ovvero raggiungere degli elevati standard internazionali e non rafforzare solo i regolamenti europei.

Viceversa, ritengo sia necessario agire con urgenza nel caso dell’incidente in Ungheria, poiché si è verificato entro i nostri confini. Dobbiamo rispondere quanto prima a chi chiede cosa sia quella sostanza densa e rossa: è veramente dannosa per la salute? È vero che non è contenuta nell’elenco dei rifiuti pericolosi dell’UE? E come dovremmo prevenire incidenti simili?

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE).(LT) Innanzi tutto vorrei ringraziare i colleghi che hanno contribuito alla stesura di questa risoluzione, nonché il Commissario che ci ha trasmesso molta speranza e gioia con il suo annuncio odierno in merito alle misure che la Commissione intende prendere. Effettivamente i timori che la risoluzione sia affrettata e che forse non si basi su ricerche adeguate… io ritengo ancora che sia la voce del Parlamento europeo ed un messaggio alla società, al Consiglio e alla Commissione.

È trascorso del tempo dall’incidente ed è estremamente importante che almeno il Parlamento europeo stia facendo sentire la propria voce adesso. Io ritengo, come sottolineato da altri oggi, che sia veramente importante rivedere le norme in vigore all’interno dell’Unione europea e la legislazione legata agli standard di sicurezza e di qualità. Non si parla di un’interruzione totale della prospezione di petrolio, ma semplicemente del monitoraggio della situazione e della determinazione di quali misure intraprendere al fine di evitare incidenti e il ripetersi di disastri analoghi a quello nel Golfo del Messico.

Personalmente, sono molto soddisfatta delle disposizioni contenute in questa risoluzione in merito alla responsabilità dei paesi terzi. In generale, la Commissione europea e l’Unione europea dovrebbero consolidare il dialogo con i paesi terzi rispetto ad alcuni progetti sulle infrastruture energetiche. Questo non significa necessariamente limitarsi al Mar Baltico e alle piattaforme petrolifere o al gasdotto Nord Stream, ma anche al Mar Nero, al Mediterraneo e a situazioni di conflitto con il Nord Africa. Ritengo sia molto importante che i paesi terzi vengano inclusi in questa risoluzione.

 
  
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  Jolanta Emilia Hibner (PPE).(PL) Signora Presidente, l’esperienza tratta dagli eventi degli ultimi mesi e le nostre preoccupazioni in merito alla complessa situazione in cui versa il mercato dei combustibili, che è una conseguenza del disastro nel Golfo del Messico, dovrebbero portarci a intraprendere dei passi efficaci e netti al fine di tutelare l’ambiente e, soprattutto, di prevenire disastri simili in futuro. Ogni sforzo deve mirare ad aumentare la sicurezza dell’estrazione di petrolio greggio.

Gli esperti stanno tentando di convincerci che le giuste misure preventive fanno sì che le compagnie petrolifere abbiano relativamente pochi incidenti: sì è vero. Tuttavia, il fatto che le procedure vengano ignorate e si cerchi di risparmiare a danno della sicurezza significa che in futuro anche in Europa potrebbero verificarsi catastrofi analoghe a quella nel Golfo del Messico.

A livello internazionale esistono al momento 1 600 piattaforme di perforazione attive e questo numero continua a crescere. Nuovi pozzi petroliferi e nuove piattaforme di perforazione, anche più grandi e più potenti, continuano ad essere attivati. L’estrazione sta raggiungendo zone sempre più profonde dei bacini marini in aree sempre più lontane dalla costa. Per questo, la rilevanza dei pozzi petroliferi classici sta tramontando, mentre quella delle piattaforme di perforazione sta crescendo. È inevitabile che si tenga un dibattito sulla sicurezza dell’estrazione e un confronto tra gli standard teorici di sicurezza e quelli effettivamente applicati potrebbe risultare sorprendente. È essenziale sottoporre le compagnie petrolifere ad ulteriori restrizioni e introdurre nuove norme per aumentare la sicurezza. So che alcuni paesi hanno già avviato, per loro iniziativa, delle ispezioni delle piattaforme di perforazione. Le prime indagini hanno già rivelato delle violazioni delle norme di sicurezza. È emerso che molte piattaforme nel Mare del Nord operavano in violazione dei principi base di sicurezza.

Ritengo che sia necessario intraprendere immediatamente delle misure preventive in modo che tutte le piattaforme di perforazione e tutti i siti nei quali vengono estratte risorse naturali dal fondo del mare siano soggette a norme e controlli adeguati. È fondamentali introdurre nuovi standard e principi di sicurezza a cui dovranno adeguarsi tutti gli attori coinvolti e responsabili per l’estrazione del petrolio greggio. Il possesso di un certificato valido è un requisito essenziale.

 
  
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  Gaston Franco (PPE). – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, l’Europa si sta giustamente chiedendo se nelle nostre acque potrebbe verificarsi un disastro petrolifero analogo a quello che ha colpito il Golfo del Messico.

Dal momento che già molte volte in passato le fuoriuscite di petrolio hanno distrutto le nostre coste e lasciato un ricordo indelebile in molti di noi, riteniamo legittimamente che la conservazione e la tutela degli ecosistemi marini, della biodiversità animale e dei settori economici della pesca e del turismo siano fondamentali. Tuttavia, dobbiamo rimanere lucidi e resistere alla tentazione di adottare una posizione estrema quale l’introduzione di una moratoria su eventuali future perforazioni in mare aperto in Europa.

Innanzi tutto perché vigono già degli standard di sicurezza molto rigidi in termini di prospezione e utilizzo in Europa. Oltretutto, i legislatori nazionali e le compagnie petrolifere in Europa si sono già impegnati a modificare le norme e le procedure di utilizzo e di sicurezza laddove l’esito delle indagini negli Stati Uniti lo rendesse necessario.

In secondo luogo, in considerazione della nostra esigenza di indipendenza energetica, sarebbe estremamente rischioso, dal punto di vista geostrategico, abbandonare le operazioni di perforazione nel Mare del Nord. Infine, se porremo fine alle attività di prospezione e di estrazione, metteremo a repentaglio il futuro del nostro settore petrolifero. Come potremmo giustificare l’impatto che avrebbe sulla crescita dell’occupazione in un momento di crisi?

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signora Presidente, sono certo che tutti siano rimasti sconvolti dalla marea nera che ogni giorno si espandeva nel Golfo del Messico e dal danno ambientale che essa ha causato. È giusto quindi che questo tema venga discusso in questa sede, per trovare il modo di garantire che questo disastro non si ripeta.

Vengono alla mente alcuni punti. Il primo è che gli standard di sicurezza esistenti devono essere applicati con rigore, in modo da prevenire gli incidenti, piuttosto che doverli gestire in seguito e, indubbiamente, esistono ottimi standard al momento, che vanno applicati ovunque.

In secondo luogo, sono assolutamente d’accordo con il Commissario che ha dichiarato che dobbiamo esportare i nostri standard di sicurezza a tutti i paesi del mondo poiché, se accade un incidente nel Golfo del Messico o in un altro luogo, non ne siamo immuni. Non si può costruire una cortina di ferro intorno alle acque europee e convincerci che non ci accadrà nulla se noi rispetteremo degli standard elevati, motivo per cui è necessario un accordo internazionale in materia. Oltretutto è stato detto che abbiamo bisogno di un fondo per la gestione dei disastri e io sono d’accordo.

Si è parlato di una moratoria e sicuramente, in questo momento, non si tratta, a mio avviso, di un’opzione praticabile poiché, se venisse messa in atto, sussisterebbe il rischio di fare la stessa fine dell’uomo ricco che decide di dare via tutto il suo denaro e finisce con il chiedere la carità a quelli a cui ha donato i suoi averi. Ci accadrebbe lo stesso, dal momento che gli altri paesi continuerebbero a condurre attività di prospezione, come fanno già adesso, senza attenersi agli standard rigorosi che noi applicheremmo.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE).(PT) Signora Presidente, Commissario, in seguito al disastro ambientale verificatosi nel Golfo del Messico, è importante che l’Unione europea assicuri, grazie alle proprie capacità di prevenzione e di risposta a questo tipo di problemi, che le sue coste vengano protette. L’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA), con sede a Lisbona, fornisce aiuto e assistenza tecnica nell’ambito della sicurezza marittima e della protezione dall’inquinamento causato dalle navi.

Nel giugno di questo anno, ho presentato una proposta scritta ai Commissari Oettinger, Kallas e Georgieva per ampliare i poteri dell’EMSA rispetto alla creazione di meccanismi per il controllo della sicurezza sulle piattaforme petrolifere europee e per la prevenzione di disastri ambientali. Questo intervento determinerebbe un’economia di scala in termini di risorse finanziarie, umane e tecniche. Accolgo favorevolmente la risposta dei Commissari, che si sono dimostrati possibilisti rispetto ad una revisione del regolamento EMSA al fine di aumentare i poteri della suddetta agenzia.

Mi rivolgo ancora una volta alla Commissione affinché analizzi questa questione e ampli i poteri dell’agenzia di Lisbona, al fine di garantire una tutela efficace delle coste europee.

 
  
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  Diana Wallis (ALDE).(EN) Signora Presidente, disastri di questa portata dovrebbero farci riflettere. Mi portano a pensare all’Artico, un’area in cui l’Unione europea non ha una giurisdizione diretta, ma una grande influenza.

Signor Commissario, lei ha giustamente dichiarato che le compagnie europee che operano al di fuori dell’Unione dovrebbero esportare gli standard comunitari. Mi auguro che questo accadrà anche in riferimento all’area artica, che è molto più complessa e ostile di quanto non sia il Mare del Nord e per me è un vero enigma. Noi, in Europa, caldeggiamo l’allontanamento da un’economia basata sul petrolio e sosteniamo le energie rinnovabili. Eppure, indirettamente, incoraggiamo l’utilizzo del petrolio nelle zone più vulnerabili e fragili del nostro pianeta, dove le conseguenze sarebbero tremende. Forse dovremmo riflettere con attenzione a quanto accade nell’Artico.

 
  
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  Kriton Arsenis (S&D).(EL) Signora Presidente, onorevoli deputati, non sono d’accordo con quanto dichiarato in quest’Aula in riferimento al protezionismo aziendale. Al momento, la Cina sta gareggiando con noi su un grande mercato, il mercato dell’energia pulita, che vale 13 miliardi di USD, e lo sta facendo prendendo delle misure, implementando i giusti accordi, preparando un piano quinquennale su come cambiare il suo settore industriale e chiudendo le industrie che inquinano. È una sfida alla quale dobbiamo rispondere non con il protezionismo, bensì con misure coraggiose.

Signor Commissario, è vero, lei dovrebbe procedere con la moratoria, che dovrebbe essere definitiva e non temporanea e che sarà un nuovo passo verso l’energia pulita. Oltretutto, signor Commissario, dobbiamo esaminare la responsabilità ambientale, a cui avete fatto riferimento lei e altri miei colleghi, e che dovrà includere l’intera zona economica esclusiva, poiché è in questa zona che le aziende si trovano ad operare.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL).(PT) Dobbiamo trarre degli insegnamenti dalla marea nera nel Golfo del Messico e dal conseguente disastro ambientale. Questi insegnamenti includeranno sicuramente dei controlli più esigenti, rigorosi e regolari delle condizioni di sicurezza su infrastrutture analoghe in Europa, ma non basta. Ci sono molti campanelli d’allarme che non possono essere ignorati. Oggi conosciamo relativamente bene i limiti delle riserve petrolifere mondiali e l’umanità dipende molto, troppo, da queste riserve per molte cose oltre all’energia. Dobbiamo dunque gestirle con grande saggezza, ovvero con grande parsimonia.

Abbiamo già richiamato l’attenzione di questa Aula sull’importanza di un piano che miri ad una gestione corretta ed equa di queste risorse, frenando la loro continua diminuzione e passando ad altre risorse di energia primaria in modo controllato. Mi riferisco all’Oil Depletion Protocol (protocollo sulla riduzione del consumo di petrolio) proposto a Uppsala nel 2002 e a Lisbona nel 2005 da un gruppo di specialisti del settore di primo rango.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signora Presidente, se abbiamo imparato qualcosa dalla crisi petrolifera è che, quando il prezzo del petrolio cresce, diventa conveniente sviluppare giacimenti petroliferi difficilmente accessibili ed estrarre nelle condizioni più avverse, ad esempio sempre più in profondità. Partendo dall’assunto che gli esperti abbiano ragione nel prevedere notevoli aumenti nel prezzo del petrolio, dobbiamo ipotizzare che nel prossimo futuro verranno condotte attività di prospezione sempre più rischiose.

Sebbene, ai sensi degli accordi internazionali, sarebbe stato opportuno aumentare le precauzioni di sicurezza per l’estrazione del petrolio a profondità superiori ai 200 metri in seguito al disastro del Golfo del Messico, come sappiamo, i paesi confinanti con la regione del nordest Atlantico non sono stati in grado di raggiungere un accordo. Le profondità a cui si lavora nelle aree interessate e i rischi sono perfettamente paragonabili a quelli del Golfo del Messico. Aumentare gli standard di sicurezza e garantire la responsabilità finanziaria sono questioni che vanno affrontate, soprattutto dal momento che la Commissione sta chiaramente progettando una rete di gasdotti per la CO2 e vuole trasferire crediti di emissioni dalle centrali elettriche europee all’industria petrolifera nel Mare del Nord. Non siamo ancora venuti a capo del problema dello smaltimento dei rifiuti nucleari, sebbene siano decenni che questa tecnologia viene utilizzata, e ora, d’improvviso, gas serra pericolosi verranno smaltiti nel Mare del Nord. A mio avviso è pertanto giunta l’ora di pensare alle norme in materia di sicurezza.

 
  
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  Kyriakos Mavronikolas (S&D).(EL) Signora Presidente, l’impressione generale è che questo tipo di incidenti, come il più recente e come una serie di disastri precedenti, mettono in guardia noi e soprattutto il relatore, con il quale mi congratulo, rispetto all’esigenza di particolari disposizioni legate al futuro dell’attività di estrazione in corso e di quelle passate.

È un fatto incontrastato che il livello di controllo su questi impianti è un fattore estremamente importante e, in quanto tale, dovrebbe essere incrementato e svolto ad intervalli di tempo più brevi. È un fatto altrettanto evidente che la responsabilità va distribuita e dovrebbe essere possibile distribuirla in modo esclusivo. Questo determinerà una modifica del diritto delle assicurazioni e, di conseguenza, le compagnie finiranno inevitabilmente con l’assicurarsi contro tutti i fattori che potrebbero determinare dei danni a seguito di un incidente di questo tipo.

 
  
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  Sonia Alfano (ALDE). – Signora Presidente, quello dell'aprile 2010 rappresenta uno tra i più gravi disastri ambientali mai verificatisi a livello mondiale. Se la stessa cosa dovesse accadere all'interno di un Mare chiuso come il Mar Mediterraneo, la vita di decine di milioni di cittadini, europei e non, verrebbe irrimediabilmente compromessa.

Eppure in Italia – come denunciato da Lega Ambiente, in virtù di una scriteriata politica energetica – si assiste a un incredibile incremento sia delle istanze che dei permessi di ricerca concessi dal ministero per individuare ed estrarre risorse petrolifere che basterebbero per coprire il fabbisogno energetico italiano per poco più di un anno. È evidente che il gioco non vale la candela. A questo si aggiunga la preoccupazione per il fatto che la BP ha annunciato un accordo con la Libia per l'estrazione offshore a poco meno di 500 chilometri a sud della Sicilia.

Auspico che la Commissione con questo provvedimento, ormai prossimo, si impegni a difendere la vita nel Mediterraneo dall'assalto di multinazionali e di governi compiacenti e incuranti del bene collettivo.

 
  
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  Andrew Henry William Brons (NI). - (EN) Signora Presidente, la risoluzione sta considerando un problema, quello dei rischi delle perforazioni in alto mare, prescindendo dal problema correlato dell’esaurimento di risorse di petrolio facilmente accessibili.

Potremmo avere già utilizzato più della metà delle risorse mondiali. Quanti sono a favore di un’interruzione o di un divieto delle perforazioni in acque profonde devono spiegare come intendono trovare un sostituto al petrolio con pari densità energetica. O forse desiderano che le generazioni future tornino ad una società non industrializzata?

Non è possibile alcun paragone tra i rischi di perforazione nelle acque poco profonde della piattaforma continentale europea e quelli nelle acque del Golfo del Messico. Quanti hanno proposto questa risoluzione hanno motivo di essere inorriditi dai costi ambientali e non legati al disastro che ha coinvolto la BP nel Golfo del Messico. Tuttavia, devono essere altrettanto consapevoli dei costi di una moratoria sulla perforazione in alto mare.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI).(DE) Signora Presidente, sfortunatamente non possiamo cancellare l’incidente sulla Deepwater Horizon. Dobbiamo pertanto intraprendere ogni passo necessario al fine di garantire che un disastro ambientale di questa portata non si ripeta nelle acque comunitarie. Ritengo che, a questo scopo, sia necessario intervenire su tre fronti. Innanzi tutto, dobbiamo risparmiare il più possibile, ovvero calcolare tutti i rischi legati all’estrazione off shore. In secondo luogo dobbiamo garantire il più elevato livello di sicurezza e introdurre delle disposizioni vincolanti rispetto ad un livello minimo di sicurezza all’interno dell’Unione europea. In terzo luogo dobbiamo garantire degli standard quanto più elevati di tutela ambientale.

Ritengo che sia estremamente importante esaminare la nostra capacità di reagire agli incidenti e creare un sistema comune europeo e, mi auguro, globale al fine di evitare disastri ambientali di questa portata.

 
  
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  Günther Oettinger, membro della Commissione. (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, rappresentanti della Presidenza del Consiglio, desidero ringraziarvi per i vostri numerosi contributi impegnati e circostanziati in merito alle conseguenze e alle misure che è necessario intraprendere. Lo stesso dicasi delle numerose interrogazioni parlamentari delle scorse settimane a cui abbiamo dovuto rispondere e del dibattito odierno che abbiamo seguito con attenzione e che valuteremo e terremo in debita considerazione nella nostra comunicazione che verrà ultimata nelle prossime due settimane.

Sono d’accordo con molte delle proposte avanzate, che intendo sostenere. Ad esempio, stiamo discutendo intensamente con la BP per assicurarci – e abbiamo buone opportunità di riuscirci – che accetti non solo di introdurre gli standard di sicurezza più elevati, più elevati di quelli in vigore, nelle acquee europee, ma che esporti questi standard, per così dire. La BP sarà pronta ad applicare gli stessi standard ad attività e torri di perforazione analoghe al largo della Libia così come nel Mare del Nord, sebbene, ai sensi della legge nazionale libica, potrebbe non essere vincolante per la concessione delle autorizzazioni e potrebbe non essere sancito da alcuna norma.

Dobbiamo poi stabilire dove avanzare proposte affiché gli standard siano previsti solo a livello nazionale e dove invece vogliamo creare delle norme comunitarie. L’approccio sarà più limitato nel caso di petroliere che non nel caso del trasporto mobile, mentre al momento non esiste ancora rispetto alle piattaforme. Alcuni hanno richiesto di abbandonare il petrolio per passare alle energie rinnovabili e noi siamo d’accordo. Tuttavia non dobbiamo illuderci. L’economia e la società europee continueranno a richiedere grandi volumi di petrolio per il settore dei trasporti almeno per i prossimi 20, 30 anni. Almeno per i prossimi 20, 30 anni gli aerei che vi portano da Bruxelles alle vostre case (a Madrid, Lisbona, Sofia, Riga o Monaco) non potranno volare senza petrolio.

In qualità di membri della comunità mobile che prende spesso l’aereo, abbiamo tutti bisogno del petrolio se vogliamo che l’Europa non entri in una fase di stallo. Lo stesso vale per gli autobus e le corriere che percorrono tratte a lunga distanza, per il trasporto di merce pesante su ruota e, nonostante lo sviluppo delle vetture elettriche, varrà anche, per molto tempo ancora, per il trasporto individuale, per le macchine. Al momento, ci sono più di 200 milioni di auto registrate nei paesi dell’Unione europea. Se la Polonia e gli altri nuovi Stati membri raggiungeranno la stessa densità che si registra oggi in Francia ed in Germania, allora entro 15 anni il numero di vetture raggiungerà i 300 milioni. Se da una parte dovranno essere efficienti in termini energetici, la maggior parte utilizzerà comunque il petrolio. In altre parole, abbandonare il petrolio per passare alle energie rinnovabili è una politica per il lungo termine ma, per i prossimi 10 - 30 anni, la richiesta di petrolio in Europa non si attenuerà. In considerazione del bisogno da parte di alcuni Stati di tenere il passo in termini di densità di veicoli, finirà piuttosto con l’aumentare un poco, a prescindere dal grado di efficienza che riusciremo a raggiungere. La stessa analisi si ripropone anche a livello globale.

Ecco perché dobbiamo cercare di raggiungere il livello di sicurezza più alto possibile: per l’estrazione di petrolio, per la nostra economia e per la società, come ho spiegato.

Ci rivolgeremo nuovamente a voi e confido sul vostro sostegno. Vorrei anche ringraziare gli Stati membri, che hanno avuto un atteggiamento molto costruttivo. Ciononostante, vi chiedo di lavorare con i vostri governi nazionali con lo stesso coinvolgimento dimostrato qui oggi, cosicché il Consiglio possa essere preparato ad approvare delle norme su degli standard elevati all’unanimità o comunque con una netta maggioranza. Non sono ancora convinto che tutti gli Stati membri siano preparati ad adeguarsi a degli standard europei approvati da quest’Aula e dal Consiglio sulla base delle proposte della Commissione.

 
  
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  Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. (FR) Signora Presidente, vorrei anch’io, a mia volta, ringraziarvi per l’interessante dibattito. Effettivamente i diversi oratori hanno esposto punti di vista molto diversi. Ho ascoltato posizioni a volte diametralmente opposte da uno stesso gruppo politico, il che è istruttivo.

Vorrei affrontare tre punti. Innanzi tutto, abbiamo bisogno di un numero maggiore di norme per aumentare la sicurezza del settore off shore? Come ho evidenziato nel mio intervento, le valutazioni effettuate fino ad ora indicano che vigono già delle misure rigide – argomentazione già sollevata. La Commissione, che come sapete ha il monopolio relativamente all’iniziativa d’azione, sta concludendo le sue valutazioni, ma ha già notato che affinché un settore sia più sicuro, deve prima esserci un controllo migliore ed una migliore applicazione del quadro normativo esistente. Vaglieremo dunque le sue proposte in quest’area.

Oltretutto, come ho già ribadito una volta oggi, la Commissione sta valutando la capacità dell’UE di reagire ai disastri, con l’idea di migliorare la sicurezza del settore off shore, fattore importante in questo ambito. Anticipando le proposte legislative, vorrei evidenziare che, a differenza di quanto sostenuto da alcuni Stati membri oggi, la questione è ancora motivo di preoccupazione per il Consiglio. In occasione dell’incontro informale dei Ministri per l’energia il 6 ed il 7 settembre, la Presidenza ha chiesto che venga condotta, trasmessa e discussa una prima valutazione.

Il secondo punto: una moratoria sarebbe giustificata? Chiaramente è difficile rispondee a questa domanda direttamente. In ogni caso, riteniamo che il primo requisito per una qualunque legge sia la sua attuazione. Constatiamo anche che non sembra che il settore si attenda che questo futuro quadro normativo venga istituito; il settore stesso sta rivedendo una serie di misure legate alla sicurezza nelle fasi preventive e operative.

Infine, va inteso che la situazione materiale in Europa è abbastanza differente, dal momento che la maggior parte delle attività di perforazione nel Golfo del Messico si svolgono ad una profondità di 1 500 metri, il che chiaramente rende difficile un’interruzione delle operazioni nel caso di un disastro analogo ha quello che si è verificato. Per lo più in Europa le perforazioni si svolgono ad una profondità che non supera i 200 metri, il che ci offre un maggiore margine di azione o, in ogni caso, agevola eventuali interventi.

Infine, signora Presidente – ed il Commissario ne ha appena parlato – questo incidente accellererà la politica comunitaria in materia di energia e di rinnovabili? Questa politica è, indubbiamente, già ambiziosa, ma continueremo a puntare sempre più in alto. La suddetta politica ci aiuterà indubbiamente a ridurre la nostra dipendenza dal petrolio e, in generale, a orientarci verso una società a basso tenore di carbonio. Come ha appena affermato il Commissario, tuttavia, non possiamo agitare una bacchetta magica e sbarazzarci del petrolio nel giro di 10 anni. Sono convinto che la strategia per l’energia 2011-2020, che verrà adottata all’inizio del prossimo anno, accellererà questa transizione verso un’economia libera dal petrolio.

 
  
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  Presidente. – Ho ricevuto una proposta di risoluzione(1) presentata ai sensi dell’articolo 115 paragrafo 5 del regolamento a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 7 ottobre 2010.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Cristian Silviu Buşoi (ALDE), per iscritto. (RO) Grazie alla risoluzione non legislativa adottata a larga maggioranza, il Parlamento europeo ha lanciato un segnale molto chiaro sia alla Commissione che alle compagnie petrolifere, affinché prendano le misure necessarie ad eliminare le attuali carenze in termini di standard di sicurezza e di responsabilità nel settore dell’estrazione petrolifera. Le licenze per la perforazione in alto mare devono essere soggette a controlli rigorosi. Sono necessarie ulteriori misure per prevenire fuoriuscite di petrolio, reali disastri ambientali che l’Unione europea non può tollerare.

Considerata la crescente difficoltà nel trovare fonti di petrolio e l’aumento nelle attività di produzione di petrolio potenzialmente pericolose in alto mare, è opportuno fare delle considerazioni generali sulle misure che sarà opportuno prendere in futuro. L’impegno profuso per promuovere la tutela ambientale deve essere portato avanti ad un ritmo costante e l’Unione europea deve svolgere il suo ruolo volto a tutelare i cittadini e la natura con la quale dobbiamo vivere in armonia, regolando l’estrazione petrolifera. Una qualunque fuoriuscita di petrolio avvenuta, anche in passato, ha un impatto devastante sull’ambiente, causando danni al settore della pesca nonché a quello del turismo. Conseguentemente, la responsabilità ambientale europea deve includere anche i danni causati alle acque.

 
  
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  Ioan Enciu (S&D), per iscritto.(RO) Accolgo con favore quanto espresso dal mio collega, l’onorevole Leinen. L’Europa deve prendere posizione su uno dei disastri peggiori del secolo. L’incidente che ha coinvolto la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico e l’incredibile volume di petrolio versato nell’Oceano Atlantico ha e avrà un impatto notevole sul clima mondiale. La Corrente del Golfo sta subendo cambiamenti significativi in termini di temperatura, che, questo inverno, determinerà delle temperature minime più basse in Europa. Il Consiglio e la Commissione devono intraprendere delle azioni precise e trasparenti, adottando misure che garantiscano la sicurezza delle operazioni di estrazione petrolifera, nonché un livello elevato di tutela ambientale e di prevenzione dei disastri ecologici all’interno dell’Unione europea. L’UE deve anche mantenere la sua posizione riguardo al cambiamento climatico, proteggendo e al contempo agevolando uno sfruttamento corretto dei giacimenti petroliferi al fine di rispettare i requisiti dei combustibili fossili. Il Parlamento, la Commissione e il Consiglio devono collaborare gli uni con gli altri per sviluppare un piano d’azione infallibile.

 
  
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  András Gyürk (PPE) , per iscritto.(HU) Onorevoli deputati, vorrei ringraziare il Commissario Oettinger per il suo tentativo, a seguito dell’incidente sulla piattaforma petrolifera americana, di valutare se le norme comunitarie sarebbero idonee per prevenire disastri ambientali analoghi. Forse possiamo concludere che le norme comunitarie pongono maggiormente l’accento sulle misure da adottare in seguito ad un disastro piuttosto che sulla prevenzione.

Questa carenza è stata dolorosamente esposta da un grave disastro ambientale. Lunedì si è verificata una frattura nella diga di un impianto di produzione di allumina in Ungheria. Il fango, ad alto contenuto di sostanze chimiche tossiche, ha inondato i campi ed i paesi circostanti. Il disastro ha causato delle vittime e potrebbe portare ad una contaminazione del suolo e delle acque, la cui portata non è ancora nota. Come se non bastasse, i metalli pesanti potrebbero comportare un grave inquinamento atmosferico. La responsabilità è a carico della compagnia che gestisce l’impianto ma è pressoché impossibile che sia in grado di coprire da sola i danni che sono incalcolabili.

La lezione è ovvia. Innanzi tutto, dobbiamo insistere anche a livello comunitario affinché le autorità nazionali applichino le norme apparentemente severe con rigore. In secondo luogo, le norme pertinenti devono essere rafforzate richiedendo alle compagnie di stipulare assicurazioni adeguate anche per incidenti di questa portata. Fintantoché non faremo dei progressi in questa area, il costo per compensare i danni verrà sostenuto dai contribuenti innocenti.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto.(EN) Signora Presidente, il disastro del Golfo del Messico serve a ricordarci dei rischi intrinsechi legati alla prospezione di petrolio in mare. Le indagini per scoprire cosa è andato storto nelle acque americane devono essere complete e rigorose e l’UE deve prestare particolare attenzione alle lezioni da apprendere. Ciononostante le richieste per una moratoria su tutte le attività di perforazione in alto mare nelle acque comunitarie sono premature e assolutamente sproporzionate. Le norme vigenti per le acque scozzesi non sono le stesse che erano in vigore nel Golfo del Messico e godiamo di decenni di esperienza in questo settore. Le prospezioni di petrolio in Scozia non sono state prive di incidenti e la catastrofe Piper Alpha ha dimostrato che la ricerca del petrolio ha talvolta un prezzo troppo alto. Tuttavia, abbiamo tratto delle lezioni dalla Piper Alpha e le norme sono state inasprite. Qualora dovessimo cogliere altri insegnamenti dall’episodio del Golfo, potremo apportare delle ulteriori modifiche. Questi emendamenti dovrebbero, tuttavia, essere responsabilità delle istituzioni democratiche scozzesi – ed è improbabile che reazioni impulsive da parte di quest’Aula possano essere risolutive.

 
  
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  Alajos Mészáros (PPE), per iscritto.(HU) L’Unione europea deve stabilire al più presto una strategia volta a prevenire con facilità eventuali disastri ambientali, come quello causato dalla BP nel Golfo del Messico. L’incidente della Deepwater Horizon è stato uno dei principali disastri degli ultimi tempi e prima che venisse arrestata la fuoriuscita sono stati dispersi nel mare 4,4 milioni di barili di petrolio greggio. Anche le operazioni di salvataggio sono state discutibili a causa della difficoltà nel decidere che tipo di tecnologia utilizzare e come procedere. Al contempo, il petrolio che sgorgava dal fondo del mare ha distrutto ogni forma di vita. Secondo alcuni esperti britannici di chimica ambientale, sarebbero dovuti intervenire unicamente tenendo il petrolio lontano dalla costa. I biologi marini hanno dichiarato che bruciare parte della fuoriuscita e utilizzare gli agenti di dispersione per eliminare gli inquinanti è più dannoso per la natura della marea nera stessa, considerando la decomposizione relativamente rapida di questo tipo di petrolio. A questo punto, vorrei ricordare anche quanto accaduto in Ungheria qualche giorno fa, quando tonnellate di un fango rosso e corrosivo si sono riversate su tre comunità nella regione Veszprém, in seguito alla frattura di una diga di un deposito di rifiuti in un impianto di allumina vicino ad Ajka. Vorrei rivolgermi alla Commissione europea affinché l’UE fornisca sufficiente aiuto materiale per assistere le vittime del disastro e contribuire alla pulizia dell’area. Grazie.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto.(RO) È essenziale prendere ogni misura possibile per garantire che un disastro come quello della Deepwater Horizon non si ripeta in acque europee. È necessario ed auspicabile rivedere la legislazione in materia di ambiente, sanità e sicurezza relativa alla perforazione in alto mare. Il Consiglio e la Commissione devono mirare allo sviluppo di una strategia che garantisca l’armonizzazione tra i diversi livelli di protezione nell’intera Unione europea. Altrimenti, le discrepanze tra gli standard operativi e quelli di perforazione all’interno degli Stati membri permetterà alle compagnie di fornire elevati livelli di protezione solo dove e quando costrette. È impossibile quantificare i costi umani, sociali e ambientali del disastro della Deepwater Horizon in termini finanziari. Tuttavia, le operazioni di estrazione petrolifera devono essere opportunamente assicurate per includere i peggiori scenari. Questo è l’unico modo per garantire che i contribuenti non siano costretti a sopportare i costi delle operazioni di pulizia e che le compagnie e le comunità locali coinvolte dalle fuoriuscite di petrolio possano ricevere la compensazione alla quale hanno diritto.

 
  
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  Salvatore Tatarella (PPE), per iscritto. – La fuoriuscita di petrolio dalla Deepwater Horizon nel Golfo del Messico deve essere un monito anche per l'Europa, e noi dobbiamo fare il possibile per evitare che disastri del genere possano accadere anche nei nostri mari. Ritengo, che la risoluzione approvata oggi, vada nella giusta direzione per assicurare la protezione degli ambienti marini e costieri in Europa. Credo sia indispensabile, inoltre, che gli Stati membri esaminino urgentemente tutti gli aspetti connessi all'estrazione e alla prospezione del petrolio nell'Ue. Tutelare il nostro pianeta deve essere una priorità, soprattutto per garantire alle generazioni future un ambiente sostenibile. È necessario, quindi, approvare al più presto, una normativa stringente in questo settore, per assicurare l'applicazione di norme elevate di sicurezza a tutte le piattaforme petrolifere esistenti, e limitare le estrazioni future.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale


12. Conferenza sulla diversità biologica - Nagoya 2010 - Contributo della biodiversità e degli ecosistemi al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente . – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni:

– l’interrogazione orale al Consiglio presentata dall’onorevole Leinen, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sui principali obiettivi della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica a Nagoya, 18-29 ottobre 2010 (O-0111/2010 - B7-0467/2010);

– l’interrogazione orale alla Commissione presentata dall’onorevole Leinen, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sui principali obiettivi della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica a Nagoya, 18-29 ottobre 2010 (O-0112/2010 - B7-0468/2010);

– l’interrogazione orale al Consiglio presentata dall’onorevole Striffler, a nome della commissione per lo sviluppo, sul contributo della biodiversità e relativi servizi ecosistemici allo sviluppo e al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (O-0107/2010 - B7-0464/2010);

– l’interrogazione orale alla Commissione presentata dall’onorevole Striffler, a nome della commissione per lo sviluppo, sul contributo della biodiversità e relativi servizi ecosistemici allo sviluppo e al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (O-0108/2010 - B7-0465/2010).

 
  
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  Karin Kadenbach, in sostituzione dell’autore. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, alcuni giorni fa conversavo con un gruppo di giornalisti su alcuni temi che quest’autunno mi stanno particolarmente a cuore; uno di tali temi è appunto la biodiversità. Come sapete, tra breve a Nagoya si terrà la Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica, cui avrò l’onore e il piacere di partecipare come membro della delegazione parlamentare, oltre che come coautrice della risoluzione sulla biodiversità che sarà votata a Nagoya. Nel corso di questa conversazione con i giornalisti mi è stato chiesto perché mai ci permettiamo il lusso di salvare, per esempio, il castoro. La mia regione, la Bassa Austria, è riuscita a salvare una specie che era minacciata di estinzione e che ora si è diffusa su una vasta zona – con dispiacere di agricoltori e silvicoltori, che nei confronti del castoro non nutrono sentimenti propriamente amichevoli.

Mentre l’Unione europea e molte agenzie degli Stati membri lavorano duramente e con grande impegno, coadiuvate dalle organizzazioni non governative, per proteggere le specie, questa conversazione ha dimostrato, per l’ennesima volta, che agli occhi di molti la protezione e la conservazione della biodiversità rimangono un lusso; costoro si chiedono se l’Unione europea non abbia nulla di più importante da fare che occuparsi di soccorrere qualche specie minacciata di animali o di orchidee. Che differenza c’è, si chiede spesso la gente, se quando visitiamo lo zoo troviamo 500 animali diversi, o solamente 499? Onorevoli colleghi, per queste persone la biodiversità e la conservazione delle specie non costituiscono davvero una priorità. Siamo onesti; nell’agenda politica il problema della biodiversità non ha certo la stessa importanza di argomenti come la crescita economica o la sicurezza. Invece lo meriterebbe, perché ne stiamo sottovalutando l’importanza.

La questione della conservazione delle specie – ecco il succo del mio discorso – non è un’associazione di beneficenza a favore di qualche povera bestiolina di cui potremmo facilmente fare a meno. Non fraintendetemi: la conservazione delle specie è effettivamente connessa all’amore per la fauna e la flora, ma principalmente riguarda la sicurezza, la politica del mercato del lavoro e la politica della migrazione. Infatti, nelle discussioni sulla biodiversità spesso si dimentica il ruolo che animali e piante svolgono nel nostro ecosistema: essi sono in realtà i fornitori di servizi della natura, che garantiscono il funzionamento del nostro ecosistema. Proprio grazie alla moltitudine di specie differenti e alla loro interazione reciproca non si erodono le coste marine, non si formano valanghe e gli specchi d’acqua si mantengono puliti. Si tratta quindi di un elemento essenziale dello sviluppo sostenibile, che fornisce beni e servizi di vitale importanza come i generi alimentari, la cattura del carbonio e la regolazione delle acque: i fattori di base del benessere economico e sociale e della qualità della vita. Se le specie si estinguono, l’equilibrio naturale ne viene turbato, e ciò innesca un pericoloso effetto domino. Rimpiazzare i servizi forniti da animali e piante è un processo estremamente costoso; alla fine, determinati habitat e regioni diventano inabitabili o inutilizzabili, e di conseguenza può avvenire che non siano più in grado di fornire all’ecosistema i loro preziosi beni e servizi. Non solo: si profilano ulteriori conseguenze, temibili per noi tutti, come disoccupazione, insicurezza ed emigrazione.

La protezione delle specie è quindi, con tutta evidenza, una questione che interessa una serie di settori politici diversi. La commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare ha recentemente sottolineato questo aspetto, dopo aver lavorato intensamente per verificare la posizione del Parlamento europeo. Vorrei ricordare qualche cifra: secondo le stime degli scienziati, sostituire questi servizi naturali e affrontare le conseguenze – per esempio disoccupazione e migrazione – costerebbe il 7 per cento del reddito lordo a livello mondiale. Se questo non vi sembra significativo, ecco qualche altro dato: secondo il più recente studio elaborato dalla Commissione europea, il 25 per cento delle specie animali europee è a rischio d’estinzione. Il medesimo studio afferma poi che gli ecosistemi costieri europei subiscono una costante distruzione; alcune regioni arricchite da una notevole biodiversità registrano un analogo declino. All’opposto, aree di sviluppo artificiale come zone industriali, insediamenti residenziali e infrastrutture dei trasporti sono aumentati dell’8 per cento dal 1990 a oggi.

Onorevoli colleghi, come ben sapete, i protagonisti del negoziato di Nagoya non concordano sempre sugli obiettivi della Conferenza. I paesi sviluppati auspicano obiettivi impegnativi, le ONG auspicano obiettivi ambiziosi, mentre gli attori economici – la cosa non sorprende – si accontentano di obiettivi realistici. A mio parere, a Nagoya l’Unione europea deve porre l’asticella molto in alto e – proprio come in Europa – adoperarsi per coinvolgere maggiormente la business community, e in particolare quei settori industriali che ricorrono in misura significativa alle risorse biologiche. L’Unione può decidere di dare il buon esempio oppure il cattivo esempio.

Onorevoli colleghi, siamo già in ottobre, ma in Europa molti cittadini non sanno ancora che quest’anno è stato proclamato Anno internazionale della biodiversità. Dobbiamo impegnarci insieme per far sì che la biodiversità ottenga lo status che le spetta, e che le è necessario per continuare a offrire, anche in futuro, i suoi servizi ambientali. Permettetemi di ripetere un detto indiano assai spesso citato: “Solo quando avrete tagliato l’ultimo albero, solo quando avrete avvelenato l’ultimo fiume, solo quando avrete catturato l’ultimo pesce; solo allora vi accorgerete che il denaro non si può mangiare”.

 
  
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  Gay Mitchell, in sostituzione dell’autore.(EN) Signora Presidente, le sono grato per avermi concesso l’opportunità di intervenire in questo dibattito.

La settimana scorsa ho guidato la delegazione del Parlamento al Vertice delle Nazioni Unite sui progressi compiuti verso l’attuazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Per tutta la durata del Vertice e in occasione degli eventi collaterali, sono stato contagiato dall’entusiasmo dei colleghi, dei governi, delle organizzazioni internazionali e di tutti coloro che, sul campo, si impegnano per tradurre in realtà gli ambiziosi obiettivi fissati nel 2000. Si sono effettivamente registrati alcuni passi in avanti e abbiamo molti motivi per essere orgogliosi, ma moltissimo resta ancora da fare.

L’accesso all’istruzione sta rapidamente migliorando: le iscrizioni scolastiche hanno raggiunto il 76 per cento nell’Africa subsahariana e il 94 per cento nell’Africa settentrionale. Anche l’accesso all’acqua potabile si sta estendendo: entro il 2015, l’86 per cento degli abitanti dei paesi in via di sviluppo potrà accedere ad acqua potabile pulita, rispetto al 71 per cento del 1990. Gli obiettivi riguardanti l’accesso all’acqua potabile sono già stati raggiunti in quattro regioni: Africa settentrionale, America latina e Caraibi, Asia orientale e Asia sud-orientale. Si sta infine estendendo pure l’accesso all’energia: nell’Africa settentrionale l’accesso all’elettricità è diventato pressoché universale.

Nonostante i progressi compiuti, però, il cammino che dobbiamo ancora percorrere è lunghissimo. Un segretario aggiunto delle Nazioni Unite ci ha fatto notare che nell’arco dei prossimi cinque anni sarà veramente necessario “uno scatto finale”. Un miliardo di bambini vive in povertà, ogni anno 1,4 milioni di bambini muoiono per l’impossibilità di accedere ad acqua potabile pulita e altri 2,2 milioni muoiono perché non sono stati immunizzati con vaccini che nel mondo sviluppato possediamo da oltre 30 anni e sono reperibili con facilità estrema.

Tra gli obiettivi di sviluppo del Millennio, l’obiettivo 7 addita l’esigenza di garantire la sostenibilità ambientale. Nel quadro di questo obiettivo si distinguono parecchi sotto-obiettivi. L’obiettivo 7b è forse quello di maggior respiro: “Ridurre la perdita di biodiversità raggiungendo, entro il 2010, una riduzione significativa del tasso di perdita”. Gli indicatori della biodiversità comprendono, tra l’altro, la proporzione di territorio ricoperta da foreste, le emissioni di CO2, la proporzione utilizzata delle risorse idriche totali, il consumo di sostanze che riducono l’ozono e la proporzione di stock ittici compresi entro limiti biologici di sicurezza. La riduzione della perdita di biodiversità è perciò una componente essenziale degli obiettivi di sviluppo del Millennio.

Il 70 per cento dei poveri del mondo vive in aree rurali e dipende direttamente, per la sopravvivenza e il benessere, dalla biodiversità. Anche i poveri delle aree urbane fanno affidamento sulla biodiversità per i servizi ecosistemici, come il mantenimento della qualità dell’acqua e dell’aria e il trattamento dei rifiuti. È indubbio che i cambiamenti del clima e della biodiversità colpiranno per primi i poveri del mondo. Colpiranno paesi come Tuvalu nelle isole polinesiane – che si trova ad appena quattro metri e mezzo sul livello del mare – e le Maldive, dove quest’anno il Presidente Nasheed ha tenuto una riunione subacquea del governo per sottolineare il fatto che, alla fine di questo secolo, il suo paese potrebbe essere già sprofondato sotto il livello del mare.

Invito gli Stati membri e la Commissione a imprimere nuovo slancio all’alleanza sul cambiamento climatico e alle strutture che la sostengono, per riuscire a migliorare, nei paesi in via di sviluppo, capacità e basi di conoscenze sui prevedibili effetti della perdita di biodiversità, integrando efficacemente questi fattori nei bilanci e nei piani di sviluppo.

Ho anche messo in rilievo che i programmi miranti a proteggere la biodiversità e ridurre la povertà devono affrontare le priorità dei poveri, dedicare maggiore attenzione alla gestione ambientale decisa a livello locale, garantire l’accesso alle risorse della biodiversità, insistere sulla riforma agraria e riconoscere i sistemi tradizionali di proprietà fondiaria.

Entro il 2050 il nostro pianeta avrà due miliardi e mezzo di abitanti in più, il 90 per cento dei quali sarà nato in quelli che noi ora chiamiamo paesi in via di sviluppo. Se permetteremo che su questi paesi continui a gravare una miseria degradante, assisteremo a una migrazione di massa da Sud verso Nord, e la disuguaglianza potrebbe facilmente scatenare una deflagrazione mondiale.

Pochi di noi credevano che, nel corso della nostra vita, avremmo visto crollare il muro di Berlino; ora ci sembra naturale che i paesi usciti dal dominio sovietico siano nostri partner nell’Unione europea. Il muro della povertà che divide il Nord e il Sud del mondo può crollare a sua volta, e sulle sue macerie costruiremo un mondo migliore e più sicuro: un luogo in cui tutti potremo allacciare nuovi rapporti d’amicizia e godere di un ambiente sicuro per tutti.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. WALLIS
Vicepresidente

 
  
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  Joke Schauvliege, Presidente in carica del Consiglio.(NL) Signora Presidente, onorevoli deputati, in primo luogo vi ringrazio per avermi offerto l’opportunità di intervenire oggi in quest’Aula su un tema di eccezionale importanza come la biodiversità. Nelle conclusioni del 15 marzo 2010 intitolate “Biodiversità: Obiettivi e visione globale e dell’Unione europea per il dopo 2010 e regime internazionale ABS [accesso e ripartizione dei benefici]” il Consiglio ha posto in rilievo l’esigenza di conservare la biodiversità ed evitare danni irreversibili agli ecosistemi e alle loro funzioni, anche allo scopo di garantire la stabilità economica e sociale e realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio.

Il Consiglio ha così voluto ricordare la funzione cruciale della biodiversità nella lotta globale contro la fame e per la sicurezza alimentare, nonché l’essenziale contributo che essa reca per la creazione di prosperità e la riduzione della povertà. In gran parte dei paesi in via di sviluppo, il nesso fra protezione degli ecosistemi da un lato, e occupazione, reddito e tenore di vita dall’altro, è assai più stretto di quanto appaia nell’Unione europea.

In vista della decima riunione della Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica (CBD), l’Unione europea intende recare un contributo attivo e costruttivo, per mezzo di un approccio realistico e ambizioso, alla costruzione di un consenso globale sulle misure da adottare dopo il 2010 per promuovere la biodiversità. Fra queste si dovranno annoverare misure suscettibili di sviluppare per il piano strategico successivo al 2010 una prospettiva il cui orizzonte temporale giunga, per esempio, fino al 2020, una visione di fondo che spazi fino al 2050, una prospettiva per sotto-obiettivi e principali tappe intermedie collegata a indicatori misurabili, e infine una prospettiva per l’introduzione di adeguati strumenti di monitoraggio, valutazione e follow-up.

La riunione ad alto livello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si è tenuta a New York due settimane fa, il 22 settembre, è stata l’occasione adatta per invitare la comunità internazionale a riconoscere la condizione critica della biodiversità in tutto il mondo, oltre che per sottolineare l’esigenza di salvaguardare la base della vita sulla terra nell’interesse dell’umanità e delle generazioni future, e di adottare iniziative adeguate a tutti i livelli.

Per quanto riguarda il sostegno tecnico ai paesi meno sviluppati, il Consiglio ritiene che l’elaborazione e il trasferimento di migliori prassi e tecnologie rappresenti un’arma indispensabile nella lotta contro la perdita di biodiversità, il cambiamento climatico e la desertificazione. È importante assicurare un’azione coordinata e utilizzare le risorse in maniera soddisfacente ed efficiente rispetto ai costi.

Per quanto riguarda il finanziamento, il Consiglio ritiene che l’istituzione di un quadro politico efficace per il dopo 2010 e l’introduzione di un nuovo piano strategico per la Convenzione sulla diversità biologica richiederanno un’adeguata mobilitazione di risorse da tutte le fonti possibili – appartenenti alla finanza privata e pubblica – tra cui nuove forme di finanziamento, nonché il finanziamento di misure destinate a combattere il cambiamento climatico. Il Consiglio stima inoltre opportuno considerare la possibilità di rendere disponibili risorse finanziarie per la biodiversità modificando, eliminando o reindirizzando sovvenzioni nocive per la biodiversità stessa. L’integrazione della biodiversità nelle attività della business community e in altre politiche settoriali rimane una necessità, oltre che un obiettivo prioritario.

In risposta al Messaggio di Parigi sulla biodiversità, le conclusioni del Consiglio risalenti al 5 dicembre 2006 hanno sottolineato l’esigenza di includere biodiversità e mantenimento dei servizi ecosistemici nel dialogo politico con i paesi e le regioni partner. In tale processo, era necessario stimolare i partner a precisare meglio le proprie esigenze e ad assegnare a queste una posizione prioritaria in piani e strategie di sviluppo regionale e nazionale. Il Consiglio mantiene la persuasione che integrare i servizi ecosistemici e la biodiversità nei programmi di cooperazione allo sviluppo e nel conseguente sostegno finanziario sia l’unico metodo per ottenere risultati sostenibili.

Benché sussista un nesso evidente fra la Convenzione di Aarhus sull’accesso all’informazione, la partecipazione pubblica ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale da un lato, e la biodiversità dall’altro, occorre tener conto del fatto che tale Convenzione è stata elaborata nel quadro della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa (UNECE). La Convenzione è bensì aperta all’adesione di paesi non appartenenti all’UNECE, ma i nostri partner per lo sviluppo attualmente non vi partecipano.

Vi ringrazio per l’interesse che dimostrate; seguirò con attenzione il dibattito, dal quale scaturiranno senza dubbio numerosi elementi nuovi.

 
  
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  Janez Potočnik, membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, gli obiettivi strategici dell’Unione europea per Nagoya sono stati definiti nelle conclusioni del Consiglio del 22 dicembre 2009 e del 15 marzo 2010, e verranno ulteriormente elaborati e precisati dal Consiglio “Ambiente” del 14 ottobre 2010. Tre questioni, in particolare, emergono quali priorità per l’Unione europea.

La prima è l’adozione del nuovo piano strategico per la Convenzione per il periodo 2011-2020. Tale piano, fondato sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili sullo stato della biodiversità, dovrà offrire un quadro di attuazione efficace, sufficientemente ambizioso da stimolare iniziative di aggiornamento da parte di tutti gli aderenti alla Convenzione. È un punto essenziale, se desideriamo scongiurare l’estinzione di altre specie e far sì che la biodiversità continui a fornirci gli indispensabili beni e servizi da cui tutti dipendiamo, e da cui dipendono soprattutto i poveri.

Per l’Unione europea la seconda priorità strategica è quella di concludere i negoziati relativi al protocollo sull’accesso e la ripartizione dei benefici; si tratterà di un contributo fondamentale alla conservazione e all’uso sostenibile della biodiversità oltre il 2010, sulla scia dell’impegno sottoscritto da tutti i partecipanti all’ottava Conferenza delle parti nel 2006. Tale aspettativa è ampiamente condivisa da tutti i paesi in via di sviluppo che aderiscono alla Convenzione, molti dei quali la considerano anzi la propria principale priorità.

La terza priorità è quella di mobilitare risorse adeguate per l’attuazione del quadro politico sulla biodiversità per il periodo successivo al 2010. L’Unione europea nel suo complesso si è impegnata – nel quadro dell’obiettivo di biodiversità per il 2020 adottato quest’anno – a intensificare i propri sforzi per scongiurare la perdita globale di biodiversità, ma penso che possiamo già andar fieri del nostro operato attuale. Nel periodo 2002-2008 l’Unione europea ha erogato ogni anno più di un miliardo di dollari, ossia circa 740 milioni di euro, a favore della biodiversità globale, in gran parte attraverso il programma tematico sull’ambiente e le risorse naturali nell’ambito dello strumento di cooperazione allo sviluppo, ma anche tramite il FES; entrambe le iniziative prevedono adeguati stanziamenti per la biodiversità.

Gli Stati membri hanno pure contribuito in maniera significativa al recente rifinanziamento del Fondo mondiale per l’ambiente, nel cui ambito 1,2 miliardi di dollari sono destinati alla biodiversità. Si tratta di un incremento del 28 per cento rispetto al rifinanziamento precedente, e la nuova iniziativa da un miliardo di euro per gli obiettivi di sviluppo del Millennio annunciata il mese scorso dal Presidente Barroso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York può evidentemente andare anch’essa a vantaggio della biodiversità.

In questo momento la Commissione sta aggiornando i propri dati per la cooperazione allo sviluppo nei settori connessi alla biodiversità, utilizzando la medesima metodologia impiegata per dar conto dei finanziamenti relativi al clima; naturalmente stiamo anche incoraggiando gli Stati membri a fare altrettanto, così da essere in grado di presentare a Nagoya un dato consolidato.

Sarà inoltre opportuno esplorare anche altri metodi per promuovere l’attuazione della Convenzione sulla biodiversità e aiutare i partecipanti nei paesi in via di sviluppo a rispettare gli impegni sottoscritti nel quadro della Convenzione: penso in particolare al nuovo piano strategico per il dopo 2010 che verrà adottato a Nagoya. A tale scopo intendiamo verificare nuove modalità e strumenti insieme ai nostri partner di Nagoya.

Come già si è ricordato la perdita di biodiversità non è un ostacolo comparso di recente sulla strada della riduzione della povertà. L’obiettivo di biodiversità per il 2010 è stato inserito nel settimo obiettivo di sviluppo del Millennio già nel 2002 e la stessa Unione europea ha sottolineato esplicitamente più volte gli importanti nessi tra biodiversità e sviluppo. Proprio il mese scorso, nel suo discorso all’evento di alto livello sulla biodiversità presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Presidente Barroso ha affermato che la possibilità di porre fine alla povertà e alla fame e di migliorare la salute materna e dei bambini dipende dalla disponibilità a lungo termine di acqua dolce, generi alimentari, medicinali, nonché delle materie prime che la natura ci offre.

Questi elementi vengono ricordati anche nel rapporto 2010 sugli obiettivi di sviluppo del Millennio, nel quadro politico dell’Unione europea sull’assistenza ai paesi in via di sviluppo per le sfide di sicurezza alimentare e nel programma di lavoro della Commissione sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo 2010-2013, che comprende un obiettivo specifico dedicato alla biodiversità, accompagnato da indicatori, nell’ambito del quadro operativo mirante a promuovere la coerenza delle politiche comunitarie aventi obiettivi di sviluppo.

L’elemento nuovo è forse rappresentato dall’accrescersi delle conoscenze e della consapevolezza in merito al peso economico della perdita di biodiversità, e agli effetti negativi che essa può esercitare sulle prospettive di riduzione della povertà nel lungo periodo. Lo studio internazionale sull’economia degli ecosistemi e della biodiversità (TEEB) dimostra quale costo abbiano per le nostre economie – comprese le economie dei paesi in via di sviluppo – la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi. Non si tratta più, quindi, di una questione morale: in realtà è in gioco la qualità della nostra vita, eppure la conservazione della biodiversità e degli ecosistemi non è considerata una priorità per lo sviluppo.

È auspicabile che il TEEB produca qualche cambiamento in questa situazione, inducendo un numero maggiore dei nostri partner tra i paesi in via di sviluppo ad assegnare una priorità più alta, nelle proprie strategie di sviluppo, all’uso sostenibile e alla conservazione della biodiversità; ma anche quando ciò non costituisce un principio centrale di azione nelle strategie di sostegno nazionali e regionali, la politica europea di sviluppo impone comunque di considerare l’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali come un tema trasversale da integrare in tutte le attività di sviluppo. Sia lo strumento di cooperazione allo sviluppo, sia il Fondo europeo per lo sviluppo prevedono misure che affrontano il problema della biodiversità.

Per quanto riguarda infine i meccanismi pensati per garantire il diritto di accesso all’informazione e la partecipazione pubblica ai processi decisionali nel campo della biodiversità, l’Unione europea sostiene senza riserve il progetto di decisione della decima Conferenza delle parti sul piano strategico, che esorta le parti e altri governi a promuovere un’ampia ed efficace partecipazione alla completa attuazione degli obiettivi della Convenzione e del piano strategico. Siamo altresì convinti che il Protocollo sull’accesso e la ripartizione dei benefici debba impegnare le parti contraenti a istituire quadri normativi interni che consentano alle comunità indigene e locali di adottare preventivamente decisioni informate sull’opportunità di dare accesso alle proprie conoscenze tradizionali.

Mi unisco a tutte le considerazioni formulate dagli autori delle interrogazioni, cui esprimo la mia gratitudine per il prezioso contributo che ci hanno recato.

 
  
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  Esther de Lange, a nome del gruppo PPE.(NL) Signora Presidente, signora Presidente Schauvliege, signor Commissario, la richiesta più importante che vi faremo con la nostra risoluzione di domani sarà di fissare a Nagoya obiettivi ambiziosi e insieme realistici. Un approccio intelligente dovrebbe tendere a concordare misure che non solo tutelino la biodiversità, ma combattano anche gli effetti del cambiamento climatico, contribuiscano a realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio – argomento che è già stato analizzato in maniera approfondita – e creino posti di lavoro verdi, magari anche nell’Unione europea. Quattro piccioni con una fava: sarebbe veramente fare buon uso del proprio denaro.

Per cogliere tale obiettivo, però, l’Unione europea deve riuscire a parlare con una voce sola. Sarò sincera con voi: a questo proposito il mio ottimismo si sta affievolendo. Ho sentito parecchi riferimenti a dichiarazioni del Consiglio degli anni scorsi e del marzo di quest’anno, ma ho udito ben poco in fatto di proposte specifiche. Mi auguro nondimeno che le riflessioni della Commissione e del Consiglio abbiano fatto registrare qualche progresso rispetto al generico contenuto della dichiarazione del 15 marzo; così spero, almeno, e potremo verificarlo il 14 ottobre. Mi auguro pure che riusciremo a imparare dagli errori del passato, e non ci presenteremo a un altro vertice internazionale con un mandato di generica evanescenza, per sprecare poi il nostro tempo in consultazioni reciproche sul modo migliore di reagire agli sviluppi, incapaci di svolgere quel ruolo guida che è stato invocato, tra gli altri, dall’onorevole Kadenbach.

L’ultimo punto su cui desidero attirare l’attenzione riguarda l’integrazione della biodiversità nelle altre politiche. Noi, come Parlamento europeo, abbiamo invocato una tale coerenza in campo ambientale e in altre politiche, con la recente relazione sulla biodiversità nell’Unione europea; allo stesso modo dobbiamo integrare la biodiversità a livello internazionale. La biodiversità non riguarda solo l’ambiente o gli obiettivi di sviluppo del Millennio; anche in altre sedi, come l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), i problemi non commerciali come la biodiversità devono trovare una collocazione assai più prioritaria nell’ordine dei lavori. Signor Commissario, so che la biodiversità è un tema che le sta a cuore. Mi auguro che lei voglia trasmettere questo messaggio sull’integrazione internazionale alle sue controparti a livello internazionale.

 
  
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  Michael Cashman, a nome del gruppo S&D.(EN) Signora Presidente, anch’io mi sono recato alle Nazioni Unite con l’onorevole Mitchell, per rappresentare il Parlamento nella discussione sugli obiettivi di sviluppo del Millennio. Mi congratulo con la Commissione per il suo operato, ma devo far rilevare all’Assemblea che, nonostante il ruolo guida che l’Unione europea ricopre a livello internazionale su questi temi – biodiversità, cambiamento climatico e anche riduzione della povertà nel quadro degli obiettivi di sviluppo del Millennio – alle Nazioni Unite noi godiamo unicamente dello status di osservatore. È una situazione che deve cambiare, dal momento che in questo campo abbiamo una posizione di avanguardia a livello mondiale.

Abbiamo ora l’Anno della biodiversità, ma propongo di proclamare ogni anno l’Anno della biodiversità. I cittadini – quelli che assistono nella tribuna dei visitatori e quelli che ci seguono da casa – si chiederanno in che modo tutto questo li riguardi. Se l’opinione pubblica non prenderà coscienza del problema e senza una vasta opera di sensibilizzazione, nulla potrà cambiare: i cittadini devono rendersi conto che il barattolo di pomodori che acquistano al supermercato non sarebbe lì, senza biodiversità. È necessario sviscerare in tutti i loro aspetti le implicazioni di questa semplice constatazione. Per riprendere la suggestiva immagine proposta dall’onorevole Mitchell, il muro della povertà – e, aggiungo, della deprivazione – deve crollare.

In quest’Aula parliamo di coerenza delle politiche, ma vorrei riprendere alcuni dei temi in gioco: senza politiche coerenti in materia di accesso all’energia nei paesi in via di sviluppo, deforestazione, cambiamento climatico, sicurezza alimentare, riforma della politica agricola comune, politica comune della pesca, appropriazione delle terre coltivabili, risorse naturali e accesso alle risorse idriche, non riusciremo mai a proteggere la biodiversità né a porre fine alle sofferenze dei poveri del mondo.

 
  
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  Gerben-Jan Gerbrandy, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signora Presidente, mentre discutiamo la posizione europea al Vertice di Nagoya, fuori dalle mura di quest’Aula si sta scatenando una caccia senza quartiere: una caccia spietata alle risorse, al petrolio e al gas, ai minerali, al legname, ai generi alimentari e all’acqua, una caccia che ha per preda le risorse che ci offre la natura.

Nel quadro di questa caccia, investitori cinesi vogliono costruire un’autostrada attraverso il parco nazionale del Serengeti per sfruttare le risorse dell’Africa centrale; investitori sauditi sono pronti a sborsare miliardi di dollari per costruire 6 000 chilometri di strade attraverso le foreste pluviali del Congo per dar vita a immense piantagioni di palma da olio.

Tutti vogliamo bloccare la perdita di biodiversità, ma nel mondo reale l’inesorabile caccia alle risorse sta facendo naufragare le nostre ambizioni: ecco la realtà. L’unica soluzione per bloccare la perdita di biodiversità è quindi, da parte nostra, un radicale cambiamento di comportamento.

Abbiamo bisogno della biodiversità per procurarci alimenti, alloggio, medicinali, aria pulita, acqua e molte altre cose ancora; senza di essa non è assolutamente possibile sopravvivere. Stiamo raggiungendo un punto di svolta, dopo il quale i danni diventeranno irreversibili e, peggio ancora, si aggraveranno a ritmo sempre più rapido. Ecco la ragione dell’urgenza del Vertice di Nagoya; mi attendo che i ministri e i Commissari, che parteciperanno al Vertice, di tale urgenza siano pienamente consapevoli.

Purtroppo, risoluzioni e dichiarazioni politiche non basteranno a diffondere la consapevolezza di quest’urgenza; sarà necessario esercitare pressioni ben più decise. Per tale motivo, insieme a molti colleghi di ogni parte del mondo ho avviato una campagna online. Voglio che tutti i cittadini facciano sentire la propria voce su questo tema, poiché si tratta di un tema che a tutti i cittadini sta molto a cuore. Collegatevi a Facebook per bloccare la perdita di biodiversità e sostenere questa campagna. Insieme a molti colleghi presenterò queste migliaia di firme ai responsabili politici di Nagoya, affinché sappiano che i cittadini fanno affidamento sulla loro instancabile tenacia per fare di quel Vertice un successo.

 
  
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  Sandrine Bélier, a nome del gruppo Verts/ALE.(FR) Signora presidente, Presidente Schauvliege, signor Commissario, onorevoli colleghi, gli impegni presi a Rio de Janeiro nel 1992 e a Johannesburg nel 2002 non sono stati rispettati; le nostre strategie per bloccare la perdita di biodiversità si sono risolte in un fallimento di cui peraltro conosciamo le ragioni.

Il clima sta cambiando, la biodiversità si riduce e l’umanità deve agire con decisione per adattarsi in maniera sempre più profonda e più rapida, seguendo strade che si fanno sempre più ardue. A Nagoya, poche settimane prima di Cancún, l’Unione europea ha l’occasione di battersi per adeguare il nostro modello di sviluppo economico alle sfide che ci attendono nel ventunesimo secolo.

Deregolamentazione climatica, lotta contro la perdita di biodiversità e lotta contro la povertà: queste tre sfide – e le risposte che esse esigono – sono intimamente connesse. Abbiamo la responsabilità di proporre e introdurre un nuovo modello di sviluppo, più giusto, più corretto e più sostenibile.

Cerchiamo quindi di fare un discorso chiaro e pratico: la risoluzione del Parlamento individua tre sfide essenziali che ora sollevano svariati interrogativi in merito alla posizione della Commissione e del Consiglio.

La prima sfida, naturalmente, consiste nel cominciare a proteggere e ripristinare la biodiversità. Ciò presuppone finanziamenti adeguati, l’abolizione di tutti gli aiuti pubblici nocivi per la biodiversità e il varo di un bilancio dedicato che noi proponiamo di moltiplicare per dieci. In ogni caso, l’Unione europea è pronta oggi a destinare lo 0,3 per cento del proprio PIL alla politica per arrestare la perdita della biodiversità, nonché a convincere i paesi dell’OCSE a fare altrettanto?

La seconda sfida è il costo che la perdita di biodiversità comporta per la società: un costo che abbiamo appena iniziato a valutare e che viene stimato intorno all’un per cento del PIL globale. Tale stima non tiene conto, peraltro, del valore sociale, culturale, morale e scientifico della biodiversità.

L’Unione europea è decisa a resistere alla monetizzazione degli esseri viventi? È decisa a difendere il retaggio comune dell’umanità e a riaffermare l’inestimabile valore della natura, che non può essere messa in vendita?

La terza sfida, infine, consiste nel bloccare il saccheggio delle risorse genetiche attualmente perpetrato dalle imprese e dalle industrie. Una soluzione è quella di regolare l’accesso alle risorse genetiche secondo modalità che, in particolare, rispettino pienamente i diritti delle comunità indigene e locali.

L’Unione europea continuerà ad avere una responsabilità particolare in questi negoziati. In tale veste, è l’Unione decisa, in primo luogo a difendere il principio della non brevettabilità della vita, e in secondo luogo a battersi per il rimborso del debito ecologico nei confronti dei paesi del Sud, sostenendo la retroattività del sistema che verrà adottato?

 
  
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  Nirj Deva, a nome del gruppo ECR.(EN) Signora Presidente, la biodiversità non è un termine astratto coniato da scienziati in vena di astruserie per definire qualche oscura peculiarità ambientale; la biodiversità è il principio stesso della nostra sopravvivenza su questo pianeta in quanto razza umana.

Prendiamo, per esempio, i calcoli recentemente elaborati da Pavan Sukhdev in merito alla perdita di biodiversità e al valore di tale perdita. I risultati da lui ottenuti dimostrano che la sola deforestazione – che priva la terra del suo polmone, il quale trasforma il biossido di carbonio in ossigeno e ci permette di respirare – costa 4 500 miliardi di dollari ogni anno. Ogni anno, in termini di processo di fabbricazione dell’ossigeno, perdiamo 4 500 miliardi di dollari per costi di sostituzione: una cifra paragonabile al valore della Borsa di New York.

Se ogni anno vedessimo sfumare un bene di valore pari alla Borsa di New York, tutti i presenti in quest’Aula, ne sono sicuro, sarebbero presi dal panico; dal momento invece che si tratta di biodiversità, pare che la cosa non interessi a nessuno. Per rimediare alla perdita di ossigeno provocata dal taglio degli alberi, sarebbero però necessari finanziamenti enormi.

Prendiamo il caso del crollo della pesca del merluzzo in Terranova, negli anni Novanta: i costi sostenuti per rimpiazzare tale attività ammontano a due miliardi di dollari canadesi. Se – come in effetti sta avvenendo – perderemo una parte del materiale genetico farmaceutico derivante dalla biodiversità, andranno in fumo materie prime per un valore di 640 miliardi di dollari. È un problema gravissimo, per risolvere il quale è necessario il serio impegno di persone serie e responsabili.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard, a nome del gruppo GUE/NGL.(NL) Signora Presidente, fra due settimane andremo tutti in Giappone, a Nagoya, per discutere di biodiversità; mi chiedo se a tavola i nostri ospiti ci serviranno tonno rosso o magari balena. A Nagoya, comunque, il dibattito più importante verterà sul consueto dilemma: è meglio fornire per prima cosa i finanziamenti oppure iniziare discutendo degli obiettivi? I paesi in via di sviluppo preferirebbero vederci fornire subito il denaro, mentre l’Unione europea vorrebbe piuttosto cominciare con una discussione sugli obiettivi.

Una cosa però è chiara, ossia la necessità di arrestare a qualunque costo la perdita di biodiversità. Secondo le stime, entro il 2050 i costi di una mancata azione avranno superato i 4 000 miliardi di dollari. La rinuncia ad agire non è quindi un’opzione, e mi sconcerta tra l’altro il fatto che il nuovo governo olandese intenda ridurre il bilancio destinato agli aiuti allo sviluppo – una delle risorse finanziarie più importanti per la lotta contro la perdita di biodiversità nei paesi in via di sviluppo – di un miliardo di euro.

Se l’Unione europea desidera veramente raggiungere risultati concreti a Nagoya, deve assumere una posizione guida e varare subito una politica valida nel campo dell’agricoltura e della pesca, anziché aspettare lo svolgimento di quel Vertice per avanzare proposte in merito. Per quanto riguarda la riforma della politica agricola, dobbiamo guardare oltre il mero concetto di politica agricola sostenibile e assumere una posizione decisa. Invito perciò la Commissione a tradurre gli accordi che verranno conclusi a Nagoya in proposte misurabili e controllabili; la esorto inoltre ad articolare una visione di lungo termine, per non ritrovarci nuovamente costretti, nel 2011, a confessare la nostra incapacità di arrestare la perdita di biodiversità.

 
  
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  Anna Rosbach, a nome del gruppo EFD. – (DA) Signora Presidente, la biodiversità incide su qualsiasi cosa: tutto qui. Alla Conferenza di Nagoya dobbiamo quindi batterci per conservarla. Tuttavia, mentre da un lato continuiamo ad abbattere foreste, mettere a coltura nuovi territori e sbarrare fiumi, dall’altro ci mancano evidentemente conoscenze e competenze, quando si tratta di includere habitat ed ecosistemi nella legislazione nazionale. Qualsiasi attività – a partire da agricoltura moderna, pesca, sviluppo edilizio, reti stradali e trasporti, fino a svariati settori industriali – incide negativamente sulla biodiversità del pianeta. La vita marina versa in condizioni precarie; oltre il 60 per cento di tutti i pesci, i crostacei e i molluschi consumati come alimenti nell’Unione europea viene catturato fuori dall’Unione stessa. Ci siamo abbandonati a un’attività di pesca eccessiva, e ora gli stock hanno difficoltà a ricostituirsi; storicamente, il Mar Baltico è afflitto da alti livelli di inquinamento, e in Svezia alle donne incinte è stato consigliato di non consumare pesce di provenienza locale. Gli Stati membri dell’Unione europea avranno anche adottato misure per migliorare le condizioni naturali, ma che fa il resto del mondo? Cosa possiamo fare per aiutare gli altri paesi del mondo a portare avanti il proprio sviluppo? La biodiversità globale è destinata a ridursi a causa delle attività umane – indipendentemente dall’intensità del riscaldamento globale. In questo campo non dobbiamo però avanzare proposte prive di realismo; un sano realismo è anzi il servizio migliore che possiamo rendere alla biodiversità. È quindi ormai urgente individuare soluzioni pratiche e realistiche per conservare in salute gli ambienti terrestri, la flora e la fauna e gli ambienti acquatici.

 
  
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  Claudiu Ciprian Tănăsescu (NI) . – (RO) In primo luogo vorrei sottolineare che è assolutamente indispensabile per l’Unione europea adottare una posizione chiara e unitaria sul tema della biodiversità, in occasione della decima riunione della Conferenza delle parti a Nagoya. L’incapacità di assumere una posizione decisa e coerente provocherebbe un altro esito scandaloso, come quello che ha contrassegnato la Conferenza CITES nel marzo 2010. Per tale motivo auspico che le raccomandazioni formulate dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare vengano accolte senza riserve, in quanto esse offrono il modello migliore utilizzabile dall’Unione europea per redigere una posizione ufficiale che i nostri rappresentanti siano poi in grado di sostenere con convinzione a Nagoya, in questo stesso mese.

A parte queste considerazioni, non dobbiamo dimenticare che qui non è in gioco solamente la credibilità dell’Unione europea in quanto partner lucido e responsabile nel processo di formulazione delle decisioni globali ma, anche e soprattutto, il futuro destino del nostro pianeta.

 
  
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  Richard Seeber (PPE) . – (DE) Signora Presidente, mi consenta di iniziare da un dettaglio. Il Commissario Potočnik – per cui nutro la massima stima – fornisce cifre espresse in dollari, anche se si affretta a convertirle in euro; anche l’onorevole Deva fornisce cifre in dollari. Non ho considerato la questione nei particolari, ma in realtà ciò dimostra che il dibattito sulla biodiversità evidentemente non è ancora approdato in Europa. A quanto pare, in Europa non siamo ancora capaci di formarci un’opinione su questo problema; a mio avviso sarebbe opportuno affrontare la discussione con serietà tale da tradurne il significato concreto in dati quantitativi. Mi sembra che si tratti di un dibattito elitario, lontanissimo dalla realtà quotidiana e domestica dei nostri cittadini; e sono anche convinto che fino a quando non riusciremo a portare questa discussione nelle case e nelle famiglie d’Europa, non avremo la minima speranza di acquistare peso politico nell’ambito del nostro Parlamento. In altre parole, a mio avviso, la strategia di comunicazione che dovremmo adottare ora consiste semplicemente nel sottoporre il problema ai cittadini; quando poi conosceremo le loro reazioni, allora potremo porci obiettivi specifici.

Il Commissario, in effetti, ha enumerato alcuni obiettivi estremamente specifici; mi auguro che saremo in grado di far adottare tali obiettivi a Nagoya, così come mi auguro che la Comunità riesca a parlare con una voce sola. È questa, come sempre, la sfida più ardua che ci attende in occasione delle conferenze internazionali.

Ancora, sono convinto che il denaro da solo non basti. Molti colleghi hanno richiesto finanziamenti supplementari; può essere forse un metodo valido, ma certo non sufficiente a garantire il successo. In secondo luogo, come ho già ricordato, dobbiamo modificare la nostra strategia di comunicazione; e in terzo luogo dobbiamo migliorare la qualità dei dati di cui disponiamo. È chiaro che molti dati mancano tuttora, e credo che in questo campo la Comunità, con il suo problema di ricerca, possa ancora ottenere risultati specifici.

Come sapete, il mio argomento preferito è l’acqua. Per esempio, se faremo decollare la nuova politica per la pesca ci aspetta una lunga rincorsa per quanto riguarda le specie che hanno bisogno di protezione. I ministri della Pesca probabilmente adotteranno ancora una volta contingenti di pesca eccessivi, e ancora una volta la biodiversità sarà relegata ai margini. Per tale motivo, penso che questa Conferenza ci offra una concreta occasione di dimostrare, in quest’Aula, la serietà delle nostre intenzioni. Vedremo allora quale forma prenderanno le proposte.

 
  
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  Kriton Arsenis (S&D) . – (EL) Signora Presidente, signor Commissario, rappresentanti del Consiglio, in quest’Assemblea stiamo discutendo con passione gli obiettivi e l’attuazione dei nuovi obiettivi per la biodiversità; mentre noi siamo impegnati in quest’acceso dibattito, sui negoziati incombe però la minaccia di un completo fallimento, la cui responsabilità ricade su di noi – sull’Unione europea. Di conseguenza mi rivolgo al Consiglio per esortarlo a mutare posizione.

Dobbiamo sbloccare i negoziati sul Protocollo ABS, sull’accesso alle informazioni genetiche e sulla ripartizione dei benefici. In caso contrario, non ci assumeremo solo la responsabilità del perdurare di una situazione che favorisce la biopirateria e costituisce ora un vero crimine contro le comunità locali e le risorse genetiche; ci lasceremo anche sfuggire un’altra opportunità a favore dell’ambiente, i negoziati andranno al fallimento e ci troveremo di fronte a un’altra Copenaghen.

Esorto quindi il Consiglio a esaminare questo problema al più presto e in maniera approfondita. Dobbiamo mutare posizione prima che l’Unione europea, per la prima volta nella sua storia, provochi il fallimento dei negoziati ambientali.

 
  
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  Chris Davies (ALDE) . – (EN) Signora Presidente, la sfida che dobbiamo raccogliere per combattere la perdita di specie di vita insostituibili si profila con evidenza sempre più triste nel dipanarsi di questo dibattito. In occasione della Conferenza sulla biodiversità si insisterà senza dubbio moltissimo sulla necessità di varare misure corrette, ma se alla fine tutto si risolverà in una virtuosa dichiarazione d’intenti, avremo ottenuto ben poco.

Mi auguro che riusciremo a varare una serie di obiettivi, assieme ai meccanismi di sostegno finanziario – collegati senza dubbio all’accesso alle risorse biologiche – che li renderanno concretamente validi. Riusciremo anche, spero, a mettere a punto procedure per valutare e verificare il rispetto degli impegni, e mi auguro infine che riusciremo a concludere accordi per una frequente revisione degli obiettivi e per perfezionare le procedure con il passare del tempo.

Evidentemente non ci si può illudere che questa conferenza arresti la perdita di biodiversità: il ritmo è troppo rapido. Se però sarà possibile almeno varare dei meccanismi e una struttura suscettibili di rallentare, e un giorno forse di invertire tale tendenza, questo si potrà considerare un successo.

 
  
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  Bas Eickhout (Verts/ALE) . – (NL) Signora Presidente, in primo luogo desidero porgere un sincero ringraziamento al Commissario Potočnik per l’impegno con cui si batte per la conservazione della biodiversità. Conosciamo bene la limpida rettitudine delle sue intenzioni e la tenacia con cui conduce la sua battaglia. Da questo punto di vista, l’impegno dell’Europa per Nagoya nasce sotto una buona stella. Dobbiamo però concordare ancora gli obiettivi per settori specifici come la pesca, l’agricoltura e la silvicoltura; ci attendiamo che in tutti questi campi vengano fissati obiettivi ambiziosi, anche da parte dell’Europa.

Il passo più importante, però, sarà infine quello di tradurre questi obiettivi in una politica europea, al ritorno da Nagoya. L’anno prossimo dovremo accingerci alla revisione della politica agricola e della politica della pesca. Il Commissario ci ha dichiarato la sua intenzione di garantire che al termine “biodiversità” sia riservata una posizione di spicco in questa politica; il Consiglio però tace, e quindi chiedo alla Presidente in carica, signora Schauvliege, che cosa intende fare il Consiglio nel prossimo futuro. A Nagoya, naturalmente, possiamo fare ogni sorta di belle promesse, ma come intendiamo portare avanti nel prossimo futuro la politica agricola e quella della pesca? È questo il punto più importante; altrimenti le promesse che faremo a Nagoya rimarranno solo parole al vento.

 
  
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  Peter van Dalen (ECR) . – (NL) Signora Presidente, domani voteremo una proposta di risoluzione sulla Conferenza di Nagoya. Con il mio intervento desidero richiamare l’attenzione sull’emendamento n. 1, presentato dall’onorevole de Lange e da me a nome dei nostri due gruppi. Tale emendamento ribadisce il principio che le forme di vita e i processi viventi non si possono brevettare. Richiede perciò l’introduzione di una forma di esenzione per i coltivatori, che consenta di sviluppare ulteriormente senza restrizioni le varietà vegetali.

Senza un’esenzione siffatta, c’è il rischio che riescano a sopravvivere solo le aziende dotate di cospicue risorse finanziarie e vaste disponibilità di brevetti. Tali aziende sarebbero allora le uniche a decidere quali specie potrebbero comparire sul mercato, e un tale esito non andrebbe evidentemente a vantaggio della biodiversità. Vi esorto quindi vivamente, nel voto di domani, a considerare con attenzione e a sostenere l’emendamento n. 1.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD). – Signora Presidente, onorevole colleghi, dal 18 al 29 ottobre prossimi si terrà in Giappone il COP 10 sulla biodiversità e per il Parlamento è importante sapere cosa intende proporre il Consiglio al fine di tutelare e garantire la biodiversità.

Da una ricerca risulta che su 4.000 piante esaminate, ben il 22 percento è stato classificato come minacciato. Ciò significa che una pianta su cinque rischia di scomparire e – altro dato preoccupante – scompariranno anche molte piante ancora oggi neppure scoperte. La stessa cosa la si può dire per molte specie animali. Con loro rischiano di scomparire dei principi attivi, per quanto riguarda le piante, fondamentali per l'industria, che studia nuovi preparati magari utili a combattere malattie oggi incurabili. Per quanto riguarda gli animali, con la loro scomparsa si perdono delle caratteristiche importanti per il nostro pianeta.

Il Parlamento europeo ha approvato recentemente, lo scorso settembre, la normativa dell'Unione su questo tema con un voto chiaro, che non può non impegnare sulla stessa linea anche il Consiglio. Non dimentichiamo che la lotta alla povertà, e quindi alla fame, la si fa anche conservando la ricchezza di un patrimonio naturale, di una flora e di una fauna inestimabili, una ricchezza che non ci possiamo permettere di perdere e dobbiamo fare di tutto per poterla conservare.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE). – Signora Presidente, nel 2002 i rappresentanti dei governi di tutto il mondo si sono impegnati a ridurre in maniera significativa la perdita della biodiversità entro il 2010. Questo obiettivo, nonostante sia stato ripreso e ribadito in diverse sedi internazionali, non è stato purtroppo raggiunto.

Il ritmo di questa perdita sul pianeta si è accelerato di almeno 100 volte rispetto ai cicli naturali e negli ultimi cinquant'anni ha raggiunto livelli che non hanno precedenti. In Europa un mammifero su sei è a rischio di estinzione e quando una specie scompare, può creare un effetto domino nei confronti di tutte le altre. Negli ultimi trent'anni è stato perso almeno il 30 percento di tutte le specie animali e vegetali del pianeta.

Senza target ambiziosi da adottare immediatamente, la perdita della biodiversità – è già stato detto più volte – da oggi al 2050 costerà all'Europa 1.100 miliardi di euro, come dichiara anche il WWF. Così, come sottolineato nell'interrogazione della collega, onorevole Striffler, la salvaguardia della biodiversità rappresenta un importante elemento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio e della Strategia europea 2020.

Favorire la biodiversità equivale ad aumentare le frecce del nostro arco nella lotta contro la povertà estrema e contro la fame, attuando politiche di sostenibilità ambientale che mantengono il nostro pianeta ricco e fecondo. Abbiamo bisogno di una nuova visione strategica e di nuovi traguardi che tengano conto della costante perdita di specie e che rispecchino l'importanza che attribuiamo a questo problema.

 
  
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  Edite Estrela (S&D) . – (PT) Discutere di conservazione della biodiversità significa anche discutere di lotta al cambiamento climatico, sicurezza alimentare, sanità pubblica, lotta contro la povertà, realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio e sviluppo sostenibile del nostro pianeta: significa insomma discutere del nostro futuro collettivo.

Come già è stato detto in quest’aula, alla Conferenza di Nagoya l’Unione europea deve parlare con una voce sola e fare ogni sforzo per ottenere risultati validi; per salvare le specie di flora e fauna più vulnerabili occorre volontà politica. Numerosi Stati membri hanno già osservato che i costi della perdita di biodiversità si collocano intorno ai 50 miliardi di euro all’anno: in altre parole, equivalgono all’incirca all’un per cento del prodotto interno lordo. Si è anche notato, però – ed esistono studi che corroborano questa tesi – che entro il 2050 tali costi potrebbero salire al sette per cento del prodotto interno lordo; per contro, gli investimenti destinati alla conservazione della biodiversità potrebbero offrire un ritorno cento volte maggiore.

La biodiversità è un elemento essenziale per mitigare il cambiamento climatico, ma anche per adattarsi al cambiamento stesso: pensiamo, per esempio, alla funzione dei grandi ecosistemi terrestri e marini come pozzi di assorbimento del carbonio. Ci auguriamo quindi che dalla Conferenza scaturiscano risultati positivi. Del resto, è proprio quello che auspica l’opinione pubblica europea, che grazie ai risultati della Conferenza, ci auguriamo, acquisterà una coscienza più precisa delle sfide che ci attendono.

 
  
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  Paul Nuttall (EFD) . – (EN) Signora Presidente, “biodiversità” è una parola di cui amano riempirsi la bocca gli eurocrati, i parlamentari europei e i rappresentanti delle lobby attive qui a Bruxelles. Mi chiedo però se qualcuno sia in grado di spiegarne esattamente il significato: anzi, scommetto il mio ultimo dollaro che nessuno di voi ne sarebbe capace.

Per strano che possa sembrare, io sono convinto che, quando si varano leggi valide per tutta l’Unione europea, bisognerebbe capire esattamente di che cosa si sta parlando.

Ma cosa significa in realtà un termine opportunamente vago e ambiguo come “biodiversità”? Il fatto è che non esiste un numero ideale di specie, né nelle aziende agricole della Cumbria né nei sobborghi di Liverpool, e neppure nelle foreste del Cheshire. Sfido la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare a fornire una definizione corretta del termine; se non ne sono capaci, la smettano di adoperare questi paroloni fumosi.

Ancora, posso chiedere quali sono i limiti dell’area della biodiversità? Si applica forse anche agli ambienti d’alto mare? In caso affermativo, come mai siete tanto ansiosi di costruire mostruose centrali eoliche che danneggiano gravemente la fauna marina e non funzionano neppure?

Siamo onesti, non avete idea di quel che state facendo. Alle vostre proposte manca lucidità, manca una politica coerente e manca una logica qualsiasi. Se volete predicare – non fate altro – guardatevi prima allo specchio, mettete ordine in casa vostra e cominciamo a parlare di quel disastro che si chiama politica comune della pesca.

(L’oratore accetta di rispondere a una domanda presentata con la procedura del cartellino blu, ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)

 
  
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  Chris Davies (ALDE) . – (EN) Signora Presidente, mi chiedo se l’onorevole collega sia disposto ad ammettere che sul nostro pianeta vanno perdute ogni giorno forme di vita insostituibili, e che è necessaria un’azione internazionale per cercare di combattere questo fenomeno. A giudicare dal suo intervento, non sembra affatto che egli intenda ammetterlo, ma lo invito a chiarire la sua posizione all’Assemblea.

 
  
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  Paul Nuttall (EFD) . – (EN) Signora Presidente, cerchiamo di fare chiarezza. Se volete esempi di specie in via di estinzione, moltissime statistiche sono tutt’altro che chiare. Prendiamo l’orso polare: si continua a dire che la popolazione di questa specie si è ridotta, ma in realtà rispetto agli anni Quaranta è addirittura aumentata.

Non nego che alcune specie vadano scomparendo, ma non credo che la sede per decidere su questo problema sia l’Unione europea, che è fondamentalmente antidemocratica: il popolo britannico non ha mai avuto modo di esprimersi in merito. Le decisioni su questo tema dovrebbero spettare agli Stati nazionali.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (S&D) . – (HU) Commissario Potočnik, vorrei mettere in guardia i colleghi dall’illudersi che l’Unione europea possa raggiungere il suo obiettivo. È giusto da parte nostra cercare di assumere una posizione guida a Nagoya in materia di protezione della biodiversità, ma neppure l’Unione europea è stata in grado di bloccare la perdita di biodiversità. Cerchiamo perciò di essere prudenti e di esaminare quali siano i nostri compiti. Il Commissario Potočnik, che proviene da una famiglia di agricoltori sloveni – io invece provengo da una famiglia di agricoltori ungheresi – vorrebbe anche attirare l’attenzione sulla vistosa contraddizione che sussiste fra biodiversità e normative agricole. Da un lato sovvenzioniamo gli agricoltori per incoraggiarli ad allestire nidi artificiali per gli uccelli; dall’altro, per promuovere i terreni da pascolo, decretiamo che la proporzione di terreno alberato e di arbusti non può superare un terzo, e ordiniamo agli agricoltori di abbattere gli alberi che oltrepassano tale limite; così facendo, riduciamo gli habitat degli uccelli e di altri animali. La futura politica agricola comune dovrà riconciliare biodiversità e sussidi all’agricoltura. Concordo senza riserve con la relazione: dobbiamo determinare il valore dei beni ambientali, tra cui anche il valore di mercato della biodiversità, che è difficilissimo da stabilire. Per tale motivo sarà importantissimo, da parte nostra, incoraggiare e remunerare gli agricoltori in futuro, dal momento che il mercato non svolge questo compito.

 
  
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  Corina Creţu (S&D) . – (RO) Garantire la sostenibilità ambientale è uno degli obiettivi di sviluppo del Millennio: un obiettivo che ha implicazioni dirette e immense sulla vita umana. L’inquinamento e lo sfruttamento sconsiderato dei terreni agricoli, delle foreste e delle risorse idriche provocano il cambiamento climatico, che a sua volta mette a repentaglio le risorse naturali del nostro pianeta.

Vorrei ricordare una delle minacce più gravi: l’accesso sempre più difficile alle risorse idriche. Sull’umanità incombe oggi la fosca prospettiva che, nel 2050, il 45 per cento circa della popolazione mondiale sia minacciato dalla scarsità d’acqua.

Purtroppo, solo quest’anno l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato che il diritto di accesso all’acqua potabile di buona qualità e ai servizi sanitari è un diritto umano fondamentale, essenziale al pieno godimento della vita. Questa dichiarazione giunge però in un momento in cui più di un quarto della popolazione mondiale è privo di accesso all’acqua potabile e a servizi sanitari adeguati. I tassi di morbilità e mortalità causati dal consumo di acqua potabile inadeguata rimangono in tali circostanze allarmanti, soprattutto fra i bambini. Per tale motivo, a mio parere, alla conferenza di Nagoya l’Unione europea deve premere per risolvere in maniera più rapida e precisa questi problemi che attanagliano i paesi in via di sviluppo, aggravano la povertà e tolgono ogni prospettiva.

A mio avviso la responsabilità storica che incombe sui paesi sviluppati per le condizioni materiali e ambientali del pianeta deve costituire un ulteriore argomento a favore delle politiche contrarie all’attuale tendenza, che incoraggia lo sfruttamento non sostenibile delle risorse naturali in quei paesi in via di sviluppo che dipendono dalle esportazioni di materie prime.

 
  
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  Mario Pirillo (S&D). – Signor Presidente, signor Commissario, il 18 ottobre si aprirà in Giappone la decima Conferenza internazionale sulla biodiversità, alla quale l'Unione europea si presenta senza aver centrato l'obiettivo fissato nel 2001, cioè quello di arrestare entro il 2010 la perdita di biodiversità.

Recenti studi dimostrano che il patrimonio naturale è gravemente minacciato, in particolare le aree marine dei paesi del Mediterraneo. L'Unione europea ha avviato importanti azioni per la lotta al cambiamento climatico, ma deve impegnarsi di più per proteggere la biodiversità: un impegno per un aumento degli stanziamenti per il programma Natura 2000 e un'azione più incisiva della Commissione per esercitare i poteri di controllo previsti dal Trattato.

Quali iniziative per ridurre il ritardo nell'applicazione delle direttive Natura 2000?

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (S&D) . – (RO) Se riflettiamo sull’impatto non solo ambientale, ma anche sociale e finanziario della distruzione della biodiversità, non possiamo sottovalutare l’importanza della prossima conferenza di Nagoya.

La catastrofe ambientale che si è abbattuta sull’Ungheria provocando la morte di quattro persone, ha colpito sette città e gli ecosistemi di numerosi fiumi, minacciando di raggiungere il Danubio e il suo delta in Romania. Questo disastro non costituisce solo il cupo sfondo del dibattito odierno; è anche una salutare scossa che deve spronarci ad adottare misure più decise a protezione dell’ambiente e della biodiversità. È giunto il momento di riavviare il dibattito sul divieto di utilizzare sostanze pericolose nell’industria mineraria, per porre fine a queste tragedie.

La risoluzione sulla biodiversità presentata dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare contiene parecchi punti importanti. Vorrei soffermarmi su alcuni di essi, che giudico essenziali.

In primo luogo, l’obiettivo principale dei negoziati dev’essere quello di adottare obiettivi ambiziosi e specifici concernenti un ampio ventaglio di aree e settori di attività, dalle costruzioni ai trasporti, alla silvicoltura e all’agricoltura.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE) . – (SK) Come membro della commissione per l’ambiente, sono fortemente preoccupato per i risultati di alcuni studi recenti, che contengono allarmanti statistiche sulla perdita di biodiversità nell’Unione europea.

L’urgenza di questo problema impone sforzi ancor più intensi a livello di Unione europea e di Stati membri; stimo quindi indispensabile che, in occasione della Conferenza che avrà luogo a fine ottobre nella città giapponese di Nagoya, la Commissione e gli Stati membri agiscano all’unisono per migliorare l’efficacia degli approcci e raggiungere, entro scadenze temporali vincolanti, obiettivi misurabili e realistici. Sottolineo anche l’importanza di sensibilizzare il settore privato in merito ai benefici economici offerti dalla lotta per conservare la biodiversità e dal ritorno degli investimenti effettuati in questo campo. La perdita di biodiversità sta già riducendo il livello di benessere delle popolazioni e provoca perdite che si misurano a miliardi, destinate a salire a parecchie migliaia di miliardi entro il 2050.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D) . – (RO) Sulla base delle analogie nelle caratteristiche climatiche, topografiche, geologiche e della vegetazione, l’Europa si può suddividere in nove distinte regioni biogeografiche.

La regione del Danubio è una delle venti ecoregioni più importanti del mondo, e può vantare una biodiversità ricchissima: essa ospita 2 000 specie vegetali e 5 000 specie animali. Nel 1991, il sito del delta del Danubio è stato dichiarato patrimonio mondiale dall’UNESCO; la regione del Danubio comprende poi numerose zone di protezione speciale e zone speciali di conservazione nel quadro di Natura 2000.

Il Danubio e il suo delta costituiscono un ecosistema fragile e senza paragoni, che ospita rare specie vegetali minacciate dall’inquinamento. Riteniamo quindi importante che la Commissione europea perfezioni col tempo le capacità di previsione e risposta alle inondazioni, alle siccità estreme e all’inquinamento accidentale.

L’Unione europea ha adottato una serie di misure a protezione della diversità e in particolare della biodiversità. La natura non è importante solo in quanto parte del patrimonio europeo e per i benefici economici che reca, ma anche per i molti preziosi servizi che ci offre: per esempio purificazione dell’acqua, controllo delle inondazioni, prevenzione dell’erosione del suolo, impollinazione delle coltivazioni e attività ricreative.

La messa a coltura delle terre, il rapido processo di urbanizzazione e lo sviluppo delle infrastrutture dei trasporti hanno avuto gravi ripercussioni sugli habitat naturali; per esempio, i sistemi di drenaggio su vasta scala hanno ridotto fortemente l’estensione delle pianure alluvionali naturali.

 
  
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  Charles Goerens (ALDE) . – (FR) Signora Presidente, le successive conferenze sulla protezione della biodiversità, non che a offrire soluzioni, servono tutt’al più a tenere aggiornato il magro bilancio del settore. Questione di denaro o di responsabilità? A mio parere di entrambe le cose.

Le foreste, che ospitano la maggioranza delle specie, sono minacciate tra l’altro dalla corruzione e dall’indifferenza. La corruzione – per la quale i leader dei paesi in via di sviluppo recano una responsabilità non minore di coloro che traggono vantaggio dal malgoverno – spiega solo parzialmente i fallimenti registrati in questo campo. Quanto poi all’indifferenza, dobbiamo ricordare che neppure le nostre abitudini di consumatori sono neutrali da questo punto di vista.

Come possiamo diventare più responsabili? Poiché il tempo scarseggia, mi limiterò a un solo esempio: la certificazione delle foreste. I modelli esistono. Può la Commissione spiegarmi se, a suo parere, la restrizione delle importazioni e l’introduzione dei due sistemi di certificazione delle foreste contribuiscono a limitare i danni in questo settore? Esiste una valutazione e, in caso affermativo, ce ne può illustrare le conclusioni principali?

 
  
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  Isabella Lövin (Verts/ALE) . – (EN) Signora Presidente, se l’Unione europea vuole presentarsi a Nagoya con qualche credibilità, non deve limitarsi a proporre piani strategici ma deve anche ripensare le sue attuali politiche interne.

La proposta di compromesso che la Commissione sta preparando, per consentire la continuazione delle esportazioni di una specie gravemente minacciata come l’anguilla europea, attualmente compresa nell’appendice II della Convenzione CITES benché abbia tutte le caratteristiche per rientrare nell’appendice I, è semplicemente vergognosa. Lo stock dell’anguilla europea, che è uno stock comune, si è ridotto del 40 per cento dal 2007.

Se l’Unione vuole presentarsi a Nagoya o alla prossima riunione della CITES con un minimo di credibilità, non ha altra scelta che applicare un divieto totale sulle esportazioni e importazioni di anguille. Non deve prestare orecchio a quella piccola parte del settore della pesca che desidera continuare a esportare il novellame dell’anguilla cieca – cioè l’anguilla cieca minacciata – in Giappone al prezzo attuale di 600 euro al chilo.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL) . – (PT) La conservazione della biodiversità, al di là di qualsiasi considerazione economica, costituisce un imperativo etico e una condizione essenziale per il futuro della stessa specie umana.

Prima della Conferenza di Nagoya, l’Unione europea deve imparare dai propri errori in questo campo e avviarsi sulla strada giusta, se desidera ottenere risultati pratici anziché ripetere vane dichiarazioni di intenti. Tra l’altro, essa dovrà trasformare radicalmente le proprie politiche settoriali. Occorre arrestare e invertire la riduzione della diversità delle varietà e delle specie coltivate, e lo stesso vale per l’erosione della base genetica da cui dipende la produzione alimentare. Bisogna invece promuovere l’uso delle varietà agricole specifiche di determinate regioni, ed è necessario combattere l’omogeneizzazione della produzione agricola, i modelli intensivi suscettibili di diffondere malattie e l’abbandono delle piccole e medie aziende agricole provocato dall’attuale politica agricola e commerciale. Si tratta solo di alcuni esempi. La biodiversità e la complessa struttura di equilibri ambientali che da essa dipende costituiscono parte integrante del patrimonio del nostro pianeta: un bene comune che non deve in nessun modo cadere in mani private; un bene comune di inestimabile valore, di cui tutti devono avere il diritto di fruire e godere.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI) . – (DE) Signora Presidente, il 2010 è l’Anno internazionale della biodiversità. A livello europeo disponiamo già di ottimi strumenti per la protezione della diversità biologica; penso al programma per la creazione di reti Natura 2000 o alla direttiva Habitat. Prima di dire che un’idea è buona, però, bisogna vedere come viene applicata; devo dire con rammarico che in parecchi Stati membri tale applicazione lascia molto a desiderare.

Nella commissione per le petizioni, di cui faccio parte, dobbiamo occuparci costantemente di gravi problemi relativi ai siti designati per Natura 2000. Insieme, gli Stati membri e la Commissione devono prendere la guida della Conferenza che sta per svolgersi in Giappone. A un certo punto i cittadini smetteranno di prestarci fede se alle parole non faremo seguire un’azione tangibile.

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE) . – (LT) La biodiversità è un problema arduo e complesso che ha ovviamente estrema importanza sia nell’Unione europea che nel mondo intero. Ma questo problema si collega a un’altra questione: come conciliare protezione ambientale e crescita economica? È questo in realtà il problema generale che ci procura le difficoltà più gravi.

Com’è noto, la perdita di biodiversità dipende principalmente dall’irresponsabile attività economica umana. Si può certo affermare che i requisiti di protezione ambientale ostacolano la competitività perché gli standard dell’Unione europea sono severi, a differenza di quelli di altri paesi. Ne derivano alcuni problemi per questo settore, ed è naturalmente difficile trovare un punto di equilibrio. Potrebbe comunque essere ancora possibile introdurre alcuni strumenti preventivi: mi riferisco ad attività svolte nell’Unione europea e all’utilizzo di analisi per giustificare tali attività.

È importante che tali analisi e la valutazione d’impatto ambientale siano di elevata qualità ed indipendenti. Se vogliamo essere realisti, è chiaro che sarà difficile raggiungere un accordo a Nagoya, ma faccio in ogni caso i migliori auguri all’Unione europea e al Commissario.

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D) . – (PT) Accolgo con soddisfazione questo dibattito con il Consiglio e la Commissione, che ci consente di discutere i piani e i principali obiettivi strategici dell’Unione europea per arrestare la perdita di biodiversità alla vigilia della Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica.

Mi auguro che a questa Conferenza l’Unione europea riesca ad assumere una posizione forte e coerente, avanzando idee sulle specifiche misure da adottare per far sì che la protezione della biodiversità contribuisca allo sviluppo sostenibile. Ricordo che la conservazione della biodiversità è fondamentale per la qualità degli ecosistemi, incide direttamente su funzioni essenziali come la produzione alimentare o la disponibilità di risorse idriche, e previene frane e inondazioni.

Mi auguro infine di veder formulare risposte politiche che garantiscano l’integrazione della biodiversità nelle attività di settori economici come l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca e il turismo, con il coraggio e l’ambizione di proteggere questo patrimonio inestimabile ma fragilissimo da interessi esterni che – come avviene nella mia regione, le Azzorre – ciecamente lo minacciano.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE) . – (ES) Signora Presidente, questa settimana ci è giunta una notizia meravigliosa: sono state scoperte più di 20 000 nuove specie marine. La conferenza di Nagoya dovrà assumersene la responsabilità, non soltanto per garantire la sopravvivenza di queste specie, ma anche per scoprire altre specie ed evitare che scompaiano ancora prima che l’uomo si accorga della loro esistenza.

L’Unione europea – e quindi la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri – si giocheranno così la propria credibilità; non soltanto a Nagoya, ma anche, un mese più tardi, a Parigi, alla riunione della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, nel corso della quale si deciderà il destino del tonno rosso, una specie marina ad alto rischio di estinzione.

È su questa coerenza che mi sembra importante insistere, perché le dichiarazioni della Commissione sulla necessità di mantenere la biodiversità sono certamente apprezzabili, indubbiamente assai lodevoli, ma c’è bisogno di un approccio coerente nel momento di applicare tali dichiarazioni alle politiche settoriali, per esempio alla politica della pesca.

Sarà importante ed essenziale osservare in che modo la coerenza di cui si darà prova, di cui auspichiamo si darà prova – come si richiede per Nagoya – verrà mantenuta a Parigi, quando finalmente capiremo che proteggere il tonno rosso non significa soltanto proteggere un animale ma anche un modo di vita, una cultura e soprattutto un modo di vedere il mondo che riguarda l’umanità stessa.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE) . – (EN) Signora Presidente, questa discussione si è rivelata molto interessante; abbiamo infatti concluso che la perdita di biodiversità è un problema sia per il mondo industrializzato che per il mondo in via di sviluppo. L’onorevole Mitchell è stato molto eloquente nel descrivere le difficoltà che i paesi in via di sviluppo devono affrontare in seguito all’erosione di biodiversità. Egli ha anche plaudito ai miglioramenti realizzati; per garantire la sicurezza alimentare in tutto il mondo, abbiamo bisogno di sviluppare un’agricoltura sostenibile in un ambiente sostenibile.

Un altro collega ha ricordato, mi sembra, che non siamo riusciti a comunicare a coloro che non fanno parte del nostro ambiente, i responsabili di aziende agricole ed ecosistemi, l’importanza della biodiversità, che non è stata inclusa nel prezzo che paghiamo per i nostri prodotti. Come si è detto, dobbiamo attribuire un valore di mercato alla biodiversità, se vogliamo davvero invertire il processo che sta alla base della perdita di biodiversità.

 
  
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  Janez Potočnik, membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, dopo aver ascoltato i numerosi interventi dei deputati al Parlamento europeo, vorrei cominciare con un ringraziamento; credo infatti che il contenuto di tali interventi e la sensibilità, che essi hanno manifestato rivolgendosi non soltanto a me ma, mi auguro, all’intera opinione pubblica europea, siano estremamente chiari.

Non dobbiamo nascondere la realtà. Non siamo riusciti a raggiungere gli obiettivi che ci eravamo posti per il 2010 in materia di biodiversità; ne siamo responsabili e dovremo fare di meglio.

Essenzialmente ci sono due linee d’azione che dobbiamo e possiamo seguire; la prima è quella europea, l’altra è quella internazionale di Nagoya, sulla quale siete intervenuti più frequentemente. Ma presto, dopo Nagoya, presenteremo una proposta sulla strategia dell’Unione europea e il modo di trattare questa grave questione, e allora si dovranno affrontare molti dei temi che oggi sono stati posti alla nostra attenzione. Sarà necessario includere quella linea di riferimento di cui oggi finalmente disponiamo. Dovremo avere obiettivi misurabili, non molti, ma alcuni obiettivi specifici che più si avvicinano alla meta che desideriamo raggiungere: il miglior surrogato dei nostri desideri. Perché pochi? Perché i nostri obiettivi devono essere comprensibili a tutti, per poter condividere l’importanza della biodiversità.

Fino a oggi in Europa abbiamo fatto molto. Sono però assai cauto quando si discute dell’attuazione di Natura 2000. Credo che in futuro Natura 2000 offrirà ancora alcuni vantaggi ma, quando parliamo della nostra strategia, dobbiamo mostrarci ambiziosi come quando si tratta di comunicare all’esterno e di intervenire a livello internazionale.

Molti di voi hanno parlato di finanziamenti. Non sottovaluto l’importanza della questione, ma credo che non dovreste concentrare la vostra discussione esclusivamente sull’aspetto del finanziamento. Il problema della biodiversità implica molto di più che i finanziamenti e la necessità di denaro fresco. Implica per esempio le sovvenzioni che si rivelano pericolose a livello ambientale, o i finanziamenti privati, e in generale molte delle misure che avete approvato in quest’Aula.

L’abbattimento illegale di alberi è il tipico esempio di come possiamo aiutare, e perfino finanziare, i paesi che esportano legname, anche in Europa. Mi sembra un punto su cui è assolutamente necessario fare chiarezza.

Come alcuni di voi hanno ricordato, è una questione di natura essenzialmente etica e morale ma, per coloro che stentano a comprenderlo, è sempre più evidente che sono in gioco la qualità della nostra vita e il nostro successo economico. È importante fare chiarezza anche su questo punto che, come forse ricorderete, si è dimostrato una svolta fondamentale nella discussione sul cambiamento climatico.

Mi sembra ugualmente importante che i governi, non solo in Europa ma anche quelli dei paesi partner in tutto il mondo, comprendano l’importanza di adeguare le proprie priorità alle questioni di cui discutiamo oggi in quest’Aula.

La questione successiva che vorrei menzionare riguarda l’accesso e la ripartizione dei benefici (ABS). Dopo le varie riunioni tenutesi a New York, nel corso delle quali ho discusso in pratica con tutti i nostri partner, ritengo che a Nagoya l’ABS sarà una questione molto importante, se non il punto di svolta. Dobbiamo fare del nostro meglio per garantire che questa svolta ci sia. Ovviamente voi potete fare la differenza, ma non si tratta solo di voi, e dopo tutte le discussioni che abbiamo avuto recentemente con gli Stati membri posso confermare che esiste una forte volontà, da parte degli Stati membri, di realizzare una svolta su questo punto.

La questione successiva sarà un tema di cui dovremo discutere anche in futuro, e il modo che sceglieremo per affrontarlo è strettamente legato alla risposta che daremo ad altre questioni. Come sapete ci sono state due convenzioni di Rio: una sul cambiamento climatico, l’altra sulla biodiversità, e poi c’è stata la questione distinta della deforestazione, un tema di estrema importanza.

Si tratta di temi sempre più distinti, che si stanno sviluppando parallelamente; è sempre più evidente che dobbiamo cominciare a riallacciarli. Molte delle questioni che riguardano la mitigazione del cambiamento climatico e l’adattamento al cambiamento stesso sono legate alla biodiversità. Redd+ riguarda sia il cambiamento climatico che la biodiversità. Definiamo quindi prioritarie le questioni della biodiversità al momento di decidere sull’utilizzo dei fondi impegnati a favore delle attività Redd+. Lo stesso vale per gli obiettivi di sviluppo del Millennio. A New York ho incontrato Helen Clark, amministratore del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, e abbiamo parlato di come potremo migliorare la cooperazione tra Commissione e PNUS in futuro per garantire una maggiore connessione tra tali questioni.

La questione successiva che alcuni di voi hanno ricordato, e che credo sia alla base di tutte le altre, è l’integrazione della biodiversità nelle altre politiche. Sono pienamente d’accordo: se vogliamo parlare di PAC, di politica della pesca, di politica di coesione e di altre politiche dobbiamo anche considerare questo aspetto. Quando si parla della politica agricola comune – che sarà presto in discussione – dovremmo elaborare ulteriormente il concetto di bene pubblico. Credo che sarebbe opportuno rimborsare in parte gli agricoltori per quello che fanno per noi: ci forniscono il cibo di cui ci nutriamo e gliene siamo grati, ma dobbiamo anche essere grati per il loro ruolo nella conservazione della biodiversità. In futuro ci aspetta quindi una discussione importante su questo punto.

Nagoya e Cancún: due storie strettamente collegate. Non si tratta soltanto di biodiversità né soltanto di cambiamento climatico; si tratta altresì del successo del multilateralismo e della governance a livello globale. In questo campo quindi il successo è fondamentale. Ci avete chiesto ripetutamente di parlare con una voce sola, e le vostre richieste non sono state vane. Stiamo facendo il possibile per soddisfarle, e in proposito desidero ringraziare la Presidenza belga che ha assunto una posizione estremamente costruttiva.

Un’altra cosa che vorrei ricordare – e con questo il mio intervento sta per concludersi – è l’osservazione che mi è stata rivolta sugli euro e sui dollari. Ne terrò conto seriamente, ma temo che, quando parleremo di biodiversità e di aiuti internazionali, si parlerà più di euro che di dollari.

Per finire, dobbiamo lasciare Cancún con qualcosa che rappresenti un successo, che possiamo considerare un successo, e che sia legato a vere soluzioni, perché ci sono in gioco questioni troppo importanti. Abbiamo le nostre responsabilità, ma mi sembra equo ricordare che anche gli altri hanno le loro. E ci sarà d’aiuto il fatto che il Parlamento ci offrirà tutto il sostegno necessario.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LÁSZLÓ TŐKÉS
Vicepresidente

 
  
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  Joke Schauvliege, Presidente in carica del Consiglio.(NL) Signor Presidente, onorevoli deputati, ringrazio tutti gli oratori che hanno sottolineato l’importanza della biodiversità – un messaggio molto importante che è risuonato in quest’Aula nel corso della discussione. Nella mia introduzione ho già menzionato molti aspetti che sono stati trattati in questa sede, ma adesso vorrei discutere alcuni punti più dettagliatamente.

In primo luogo, l’accesso e la ripartizione dei benefici (ABS). Un punto importante: il Consiglio si impegna a completare il Protocollo sull’accesso alle risorse genetiche e la ripartizione dei benefici (Protocollo ABS) in occasione della decima riunione della Conferenza delle parti (COP 10) della Convenzione sulla diversità biologica (CBD), dal momento che essa offrirà un importante contributo alla realizzazione di tutti gli obiettivi della CBD. Lo sviluppo e l’attuazione del Protocollo ABS si devono considerare parti integranti del processo che è alla base della CBD. Nelle recenti discussioni a Montreal, si sono già registrati alcuni progressi, ma vi sono altre questioni da risolvere prima della COP 10. Si richiederà quindi una flessibilità sufficiente a tutte le parti negoziali, ma anche all’interno dell’Unione europea.

In secondo luogo per quanto riguarda la proposta di risoluzione del Parlamento europeo, essa discute gli elementi chiave della politica sulla biodiversità: l’urgente necessità di agire, l’economia degli ecosistemi e la biodiversità, la missione complessiva, la visione, gli obiettivi e gli indicatori della CBD, e il piano strategico della CBD, nonché aspetti più specifici quali l’ABS e le sinergie fra le tre convenzioni di Rio, e così via. Questi elementi coincidono con le posizioni che vanno prendendo forma all’interno del Consiglio in vista della Conferenza di Nagoya. Il Consiglio “Ambiente” dovrà adottare le conclusioni su questo punto il 14 ottobre.

Per quanto riguarda la questione del pacchetto e dell’integrazione settoriale in ambiti come l’agricoltura e la pesca, vi ricordo che il 15 marzo il Consiglio ha chiesto espressamente alla Commissione di proporre un pacchetto. A giudicare da quanto ha appena dichiarato il Commissario, la Commissione si è impegnata a fondo su questo tema, e possiamo quindi contarci.

Al Consiglio si chiederà di adottare le conclusioni sulla biodiversità nel corso della riunione del 14 ottobre, ossia la prossima settimana. Esse costituiranno orientamenti politici per i negoziati in Giappone nel mese di ottobre. Tali conclusioni devono formare la base per determinare le importanti questioni che verranno trattate dalla COP 10 e la relativa posizione del Consiglio: il piano strategico CBD riveduto e aggiornato, i negoziati per il Protocollo ABS, la strategia per mobilitare fondi, soprattutto attraverso innovativi meccanismi di finanziamento, l’integrazione settoriale e le sinergie nell’ambito della lotta al cambiamento climatico, la desertificazione e le politiche volte a promuovere la biodiversità.

Ringrazio tutti coloro che hanno sottolineato l’importanza della questione. Desidero inoltre ringraziare il Commissario per la costruttiva cooperazione di cui abbiamo goduto finora e per la positiva collaborazione che probabilmente caratterizzerà la nostra attività nella fase preparatoria della Conferenza di Nagoya e nel corso della stessa Conferenza.

 
  
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  Presidente . – Comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 115, paragrafo 5, del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì, 7 ottobre 2010.

 
  
  

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) La biodiversità è e rimarrà una questione importante per l’Unione europea, poiché è strettamente legata all’approvvigionamento alimentare in Europa; essa rappresenta perciò la prospettiva di un avvenire positivo per le prossime generazioni. L’agricoltura europea è ben conscia dell’importante ruolo che riveste come promotore e custode della biodiversità. Tramite lo stoccaggio del CO2 nel suolo o un assetto territoriale compatibile con l’ambiente, gli agricoltori europei contribuiscono attivamente alla conservazione della biodiversità. Senza una presa di coscienza dell’opinione pubblica però tutti questi sforzi rimarranno vani. Dobbiamo sensibilizzare i cittadini europei sulla fondamentale importanza della biodiversità per le campagne, l’economia, la nostra vita e il futuro dei nostri figli, in modo da spronarli all’azione. L’Unione europea non verrà risparmiata dall’estinzione di un vasto numero di specie; già oggi numerose forme di vita sono gravemente minacciate. Dobbiamo agire subito e fissare la rotta verso un futuro che sia ricco di specie diverse.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Nel contesto di questo dibattito desidero sottolineare l’importante ruolo svolto dal progetto “L’economia degli ecosistemi e della biodiversità” (TEEB), finanziato da numerosi Stati europei, il quale calcola il valore finanziario della natura e i costi derivanti dalla perdita di biodiversità. Il TEEB ci consente di sensibilizzare i cittadini in merito all’entità delle sfide che ci attendono, preparando così le decisioni che si dovranno prendere in questo settore. Vorrei ricordare alcuni fatti che emergono dai risultati del TEEB. Il costo della deforestazione sta raggiungendo circa 4 500 miliardi di dollari all’anno. Secondo altre stime recenti, più di un quarto della biodiversità originaria del pianeta è scomparsa prima del 2000, e si prevede che entro il 2050 sarà scomparso un ulteriore 10 per cento. Potrei anche darvi altri esempi. In queste circostanza, il Vertice di Nagoya non potrebbe capitare in un momento più propizio. Ritengo inoltre che questo dibattito parlamentare sia particolarmente tempestivo, in quanto ci consente di armonizzare, a livello di Unione europea, la nostra posizione per il prossimo vertice.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto.(RO) L’anno in corso rappresenta un momento cruciale per l’intensificazione degli impegni e degli sforzi globali miranti ad arrestare la perdita di biodiversità. Dobbiamo cogliere l’attimo per creare una visione e fissare obiettivi chiari in materia di biodiversità e conservazione sostenibile della stessa dopo il 2010. Dobbiamo definire una forte posizione comune e garantire l’attiva partecipazione dell’Unione europea ai futuri negoziati internazionali. Una visione globale di lungo termine deve tener conto dei nessi che collegano biodiversità, servizi ecosistemici, cambiamento climatico, desertificazione, prosperità economica, salute e benessere dei cittadini. Per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissi in materia di biodiversità occorre mobilitare le risorse necessarie a tradurre adeguatamente in realtà le misure tese a promuovere la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse naturali. Da questo punto di vista la Romania è favorevole a un più profondo coinvolgimento dei settori pubblico e privato nella ricerca di meccanismi e soluzioni innovative per il finanziamento della biodiversità.

 
  
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  Pavel Poc (S&D), per iscritto. – (CS) L’Homo sapiens produce una quantità di rifiuti superiore a quella di tutte le altre specie biologiche. L’inquinamento industriale, i rifiuti urbani, la produzione di CO2, il rumore, l’inquinamento luminoso e termico e tutti gli altri tipi noti e ignoti di rifiuti prodotti dalla nostra civiltà lasciano sull’ambiente un’impronta profondissima. L’effetto dell’impronta che la nostra specie lascia sull’ambiente è quello di impedire la sopravvivenza di alcune altre specie nell’ecosistema planetario. È questa la causa principale dell’odierno declino della biodiversità. La biodiversità è la precondizione dell’esistenza dell’ecosistema planetario nello stato metastabile che conosciamo, e che consente l’esistenza della nostra stessa civiltà. L’interdipendenza e l’interconnessione della nostra esistenza con le altre forme di vita del pianeta viene trascurata e sottovalutata. Il declino della biodiversità comporterà un analogo declino della capacità di assorbimento del sistema ecoplanetario. L’ecosistema diverrà meno resistente e più esposto ai cambiamenti, compresi quelli più drastici; a un certo punto, precipiterà in uno stato diverso. Si tratterà allora di vedere se questo nuovo stato consentirà la continuazione della nostra civiltà, o la sopravvivenza dell’attuale popolazione del pianeta o semplicemente la pura e semplice sopravvivenza della nostra specie biologica.

Attualmente, non si tratta più di questa o quella specie animale, e neppure della protezione di un qualsiasi singolo ecosistema. Si tratta ormai della conservazione della nostra specie, del nostro ecosistema. Purtroppo, ci comportiamo ancora come un malato di cancro, che mente a se stesso e rifiuta le cure che potrebbero salvargli la vita.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale


13. Disposizioni sociali del trattato di Lisbona
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulle disposizioni sociali del trattato di Lisbona.

 
  
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  Philippe Courard, Presidente in carica del Consiglio.(FR) Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato l’opportunità di intervenire, a nome del vice Primo ministro Onkelinx, sulle nuove prospettive in materia sociale offerte dal trattato di Lisbona.

Credo davvero che nella legislazione europea si debba tener conto del progresso sociale. Pertanto, l’articolo 9 del trattato prevede una clausola orizzontale di protezione sociale che obbliga le istituzioni europee a tener conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, con la garanzia di un’adeguata protezione sociale, con la lotta contro l’esclusione sociale e con un elevato livello di istruzione, di formazione e di tutela della salute umana.

Queste esigenze sono riconducibili a quanto afferma l’articolo 3, paragrafo 3, del trattato: il mercato interno deve essere costruito attraverso politiche basate su un’economia sociale di mercato altamente competitiva e tendente alla piena occupazione e al progresso sociale.

L’articolo 9 chiede pertanto che d’ora in avanti la dimensione sociale sia presa in considerazione nella definizione di tutte le politiche europee. Si tratta di ristabilire un giusto equilibrio tra i vari aspetti che dovremo realizzare nella pratica. Questo è un obiettivo prioritario trasversale della Presidenza belga.

Quindi in futuro dovremo prestare molta più attenzione all’impatto sociale delle politiche sviluppate a livello europeo. Contemporaneamente alla necessità di massimizzare la crescita economica nell’Unione europea, dobbiamo anche favorire la giusta ed equa distribuzione dei frutti di questa crescita, e dobbiamo dedicare particolare attenzione alla sorte delle persone più vulnerabili.

Dobbiamo tenere in considerazione la dimensione sociale anche nella strategia Europa 2020 che, come sapete, è stata adottata dall’Unione europea in occasione del Consiglio europeo di giugno. Questa strategia, che si rivolge all’occupazione e alla crescita, comprende lo sviluppo economico, sociale, occupazionale e ambientale. Si basa su un numero limitato di obiettivi quantificati e su alcune linee guida.

Uno dei cinque obiettivi fissati è specificamente dedicato alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Esso si pone l’obiettivo di far uscire dalla povertà entro il 2020 almeno 20 milioni di persone nell’Unione europea. Questo obiettivo, insieme con l’orientamento numero 10, costituisce il pilastro sociale della strategia.

Anche se la sua mancanza di ambizione può deluderci, la strategia mostra comunque il desiderio di raggiungere un obiettivo specifico e chiaramente identificabile, una novità in questo settore, che introduce una nuova dinamica da cui trarre vantaggio. Nei loro programmi nazionali di riforma (PNR) gli Stati membri dovranno riferire ogni anno sui progressi conseguiti nell’attuazione di tale obiettivo.

È sempre stata mia opinione che si debbano massimizzare i benefici di questa dimensione sociale della strategia Europa 2020. Voglio fare della Presidenza belga una presidenza sociale per antonomasia. In tale contesto, la strategia Europa 2020 offre un’opportunità di visibilità: una politica sociale europea. Questo rappresenterà una vera sfida, perché gli Stati membri sono impegnati nella definizione dei propri piani di riforma, e quindi delle proprie politiche per conseguire gli obiettivi quantificati e, al tempo stesso, sono impegnati nel lavorare ai propri bilanci nazionali, che limitano la loro libertà finanziaria.

Inoltre, la crisi finanziaria è ancora fresca e la ripresa economica tarda a farsi sentire. Stando così le cose, dobbiamo fare in modo che il consolidamento fiscale non abbia un impatto negativo sulle politiche occupazionali e sociali. La strategia di crescita 2020 dell’Unione europea deve essere sostenibile e solidale. Non deve essere caratterizzata da una crescita senza occupazione, ma deve mostrare la volontà di combattere la precarietà del lavoro. La lotta alla povertà deve quindi essere veramente una delle nostre principali preoccupazioni.

In sede di Consiglio, la Presidenza belga sta lavorando a fondo per far funzionare questa dinamica, ma è anche sensibile al ruolo che la Commissione deve svolgere in tale contesto. Vorremmo sinceramente esortare la Commissione a essere dinamica in materia. Penso alle iniziative guida che deve adottare, in particolare la piattaforma di lotta alla povertà e all’esclusione sociale che deve offrire una prospettiva più ampia sulle sfide sociali che l’Europa deve affrontare.

La Commissione deve, fra l’altro, utilizzare questo metodo per indicarci come dare applicazione, in particolare, alla nuova clausola sociale orizzontale di cui all’articolo 9 del trattato di Lisbona.

Come potete vedere la Presidenza belga ha grandi ambizioni, ma credo davvero che possa soddisfare le esigenze e le richieste dei nostri concittadini. Senza una dimensione sociale il progetto europeo è destinato a fallire. Anche qui, avete un vostro ruolo da svolgere nel continuare il dibattito su questa strategia, non solo a livello europeo, ma anche mettendo in risalto la dimensione sociale nei vostri rispettivi Paesi.

 
  
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  László Andor, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la clausola sociale orizzontale di cui all’articolo 9 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea recita: “Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione tiene conto ” fra l’altro “delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale” e la “lotta contro l’esclusione sociale”. La Commissione è impegnata ad attuare questa clausola, anche attraverso il rafforzamento della valutazione dell’impatto sociale, in quanto parte del suo sistema globale di valutazione dell’impatto.

In relazione alla situazione specifica dei servizi sociali di interesse generale (SSIG), la Commissione ritiene che sia importante garantire la certezza giuridica per le autorità pubbliche degli Stati membri. In questa fase, la Commissione non ritiene tuttavia necessario istituire una taskforce con le diverse parti interessate per affrontare le difficoltà che alcuni fornitori dei SSIG incontrano nell’interpretazione delle norme del mercato unico.

La Commissione è consapevole del fatto che un numero significativo di autorità pubbliche e di parti interessate considera le norme comunitarie applicabili ai servizi sociali come un ostacolo per l’organizzazione e il finanziamento di tali servizi. Tuttavia le consultazioni con le autorità pubbliche e le parti interessate mostrano che le norme esistenti tengono ampiamente conto delle specificità dei servizi sociali di interesse generale. I problemi segnalati sono molto spesso dovuti a una mancanza di consapevolezza e di informazione sulle regole, oppure a dubbi circa il modo in cui tali norme debbano essere applicate.

Per questo motivo la Commissione ha messo in atto una strategia, di cui fanno parte il servizio di informazione interattivo, i documenti con le domande ricorrenti e le iniziative di formazione per le autorità pubbliche locali. La Commissione sta aggiornando i documenti con le domande ricorrenti. Una volta terminati, la Commissione li presenterà agli Stati membri e alle parti interessate all’interno del Comitato per la protezione sociale.

Un altro forum di discussione con gli Stati membri è il Comitato consultivo per gli appalti pubblici. Si è appena conclusa una consultazione pubblica sul pacchetto SIEG – servizi di interesse economico generale – che mira a chiarire e semplificare l’applicazione a tali servizi delle norme sugli aiuti di Stato. La Commissione intende condividere la propria valutazione dei contributi ricevuti con il Parlamento, il Comitato delle regioni, il Comitato economico e sociale europeo e gli Stati membri. Come la Commissione ha dichiarato in varie occasioni, la specificità dei servizi sociali sarà tenuta in debita considerazione nella revisione del pacchetto.

Inoltre, nel corso degli ultimi anni la Commissione ha condotto un proficuo dialogo con le principali parti interessate in relazione ai possibili adeguamenti alle norme comunitarie vigenti, in particolare nell’ambito del Comitato di protezione sociale e dell’intergruppo del Parlamento per i servizi pubblici. In luglio la Commissione ha partecipato a un seminario organizzato dalla Presidenza belga con gli Stati membri e varie parti interessate. Ancora una volta, queste discussioni hanno mostrato che, mentre vi è un interesse forte e legittimo per un’accurata messa a punto, non vi è alcuna reale necessità di modificare la struttura fondamentale delle norme comunitarie esistenti per adattarle alle specificità dei SSIG. Ciò premesso, la Commissione è consapevole che la Presidenza belga ha avanzato alcune proposte al fine di chiarire ed adeguare le norme esistenti. La Commissione sta valutando attentamente tali suggerimenti.

Ricordo anche che il terzo forum sui servizi sociali di interesse generale, che sarà organizzato il 26 e il 27 ottobre sotto gli auspici della Presidenza belga, offrirà l’occasione per discutere di questi ed, eventualmente, anche di altri suggerimenti.

Infine, la Commissione sta lavorando nell’ambito del Comitato di protezione sociale ad un quadro di riferimento volontario per la qualità dei servizi sociali. Nell’elaborazione di questo quadro di riferimento, la Commissione ha lavorato a stretto contatto con le principali parti interessate, le parti sociali, gli enti locali, i fornitori di servizi e gli utenti.

In sintesi, la Commissione è impegnata ad attuare la nuova clausola sociale orizzontale, ivi compreso il rapporto con i SSIG.

Come ho spiegato, ci sono numerose sedi di discussione e di dialogo con le parti interessate per i SSIG. La Commissione, pertanto, non vede la necessità di istituire una taskforce supplementare. Tuttavia, la Commissione è impegnata ad affrontare le difficoltà incontrate da alcuni fornitori di SSIG nell’interpretazione delle regole del mercato unico, comprese quelle dell’Atto per il mercato unico che sarà adottato dalla Commissione entro la fine di ottobre.

 
  
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  Andreas Schwab, a nome del gruppo PPE.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il trattato di Lisbona non ha conferito all’Unione europea alcun potere sostanzialmente nuovo nel campo della politica sociale. L’articolo 9 – il rappresentante del Consiglio vi ha già fatto riferimento – amplia le competenze esistenti nel contesto del principio di base dell’economia sociale di mercato; tale principio è assai importante per il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) e l’abbiamo introdotto nella Convenzione europea che, in sostanza, ha preparato la strada al trattato di Lisbona.

In secondo luogo, con la relazione dell’ex Commissario Monti intitolata “Putting citizens at the heart of the Union”, la Commissione europea ha dato un contributo interessante e prezioso su come riuscire a coniugare i grandi impulsi positivi del mercato interno con gli elementi sociali del mercato comune dei consumatori. Per questo motivo, Commissario Andor, stiamo aspettando con impazienza il cosiddetto Atto per il mercato unico al quale sta attualmente lavorando il Commissario Barnier. Noi crediamo che questo possa permetterci di applicare in maniera davvero costruttiva il pacchetto Monti-Kroes. Tuttavia, siamo scettici sul fatto che l’apertura delle direttive sugli appalti pubblici e la creazione di una direttiva sulle concessioni, possano, in ultima analisi, mettere il mercato interno europeo sulla strada giusta, poiché ovviamente siamo dichiaratamente contrari a qualunque inflazione del settore pubblico.

Il rappresentante del Consiglio vi ha già fatto riferimento, ma è della massima importanza, altrettanto e quanto il consolidamento sociale – e lo dico in qualità di membro della generazione più giovane di questo Parlamento: quando prendiamo in considerazione il consolidamento sociale dobbiamo includere tutti i bilanci ombra (il professore Bernd Raffelhüschen di Friburgo ha parlato del fatto che abbiamo tutta una serie di bilanci occulti per quanto riguarda il debito delle pensioni) e dobbiamo intraprendere una politica che nel prossimo decennio offra una possibilità anche alle generazioni più giovani.

Ritengo quindi – e il rappresentante del Consiglio vi ha già fatto riferimento – che ci troviamo di fronte a grandi sfide: il Parlamento europeo e il Gruppo del PPE hanno una visione comune di questa sfida e tutti noi dovremmo fare tutto il possibile per sostenere gli sforzi compiuti dalla Commissione europea sia per questo pacchetto di misure per il mercato interno da una parte, che per le misure sociali che lo devono integrare dall’altra, sullo sfondo di un’economia sociale di mercato. Attendo dunque un’ulteriore discussione e vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Proinsias De Rossa, a nome del gruppo S&D.(EN) Signor Presidente, prima di tutto voglio ringraziare il Consiglio e la Commissione per le loro dichiarazioni di oggi, e desidero ringraziare i gruppi ALDE, Verts/ALE e GUE/NGL per il loro sostegno nel porre questo tema all’ordine del giorno di oggi.

Le nuove clausole sociali non si riferiscono solo ai servizi di interesse generale, come previsto dal precedente intervento del PPE di questo pomeriggio: per quanto riguarda i servizi sociali di interesse generale abbiamo bisogno di giungere a una conclusione su questioni che sono state lungamente dibattute per molti anni, invece di rivangare vecchie argomentazioni.

In quanto relatore sul futuro dei servizi sociali di interesse generale, lavorerò insieme a tutti i gruppi che riconoscono la necessità di una forte economia sociale di mercato e spero di poter avanzare proposte concrete per risolvere i dilemmi affrontati dai fornitori dei SSIG.

Come certamente sapete, i cittadini europei nutrono grandi speranze per quanto riguarda lo sviluppo di una dimensione sociale più coerente e dinamica nelle politiche e nella legislazione europee in seguito all’adozione del trattato di Lisbona. Infatti, uno di quegli importanti dibattiti tenutisi in Irlanda durante i referendum sul trattato di Lisbona riguardava le nuove clausole sociali, compresi l’articolo 3, l’articolo 9, l’articolo 14 e il protocollo sociale, e di fatto molti altri articoli relativi alla disabilità e all’uguaglianza.

È sempre importante essere all’altezza delle aspettative dei cittadini. Lo è doppiamente in questo momento di crisi economica e sociale in cui molti milioni di nostri cittadini hanno già perso, e molti altri perderanno, il lavoro, la casa, i risparmi, la pensione, i servizi di salute pubblica e, di fatto, le opportunità di istruzione per i figli, a causa della crisi e delle misure correttive messe in atto.

Per l’Unione Europea sarebbe profondamente destabilizzante se il Collegio dei commissari e il Consiglio europeo dovessero ritenere che questi nuovi articoli del trattato non cambiano nulla e continuassero a considerare gli obiettivi sociali come secondari rispetto a quelli del mercato. Se non ottemperiamo alle nostre responsabilità, favoriremo le ali estreme composte dai partiti politici xenofobi e intolleranti che sono in attesa di capitalizzare la rabbia e il malcontento qui fuori.

Oggi chiedo in modo specifico alla Commissione e al Consiglio è di riconoscere che abbiamo bisogno di un processo dinamico per compiere progressi in materia di servizi di interesse generale, in particolare i servizi sociali di interesse generale.

Mi rammarico della dichiarazione odierna del Commissario. Mi auguro di riuscire a convincerlo nei prossimi mesi che ha torto, che abbiamo bisogno di un processo dinamico, che abbiamo bisogno di una taskforce di alto livello che comprenda non solo lui e altre DG, ma anche i membri della società civile, i sindacati, il Consiglio e il Comitato delle regioni.

Abbiamo bisogno di un meccanismo riconosciuto da tutti che alimenti il cambiamento. Commissario, io le ho sentito affermare, e l’ho sentito dire anche dal Presidente Barroso, che le parti interessate apparentemente vi dicono che non c’è nessun problema reale. A me le parti interessate non dicono questo. Ne ho incontrate decine negli ultimi sei mesi. Mi riferiscono che ci sono problemi amministrativi e problemi legali che devono essere affrontati con urgenza. Sulla base di ciò che voi e il Consiglio avete detto qui oggi temo che non saranno affrontati con urgenza. Mi auguro, come ho detto, di potervi far cambiare idea nei prossimi mesi. Tuttavia, c’è urgente bisogno di un meccanismo di alto livello che comprenda i soggetti interessati e garantisca che le decisioni che devono essere prese siano prese fino in fondo.

Il Parlamento, a mio avviso, deve essere coinvolto in quel processo. Occorre tenere a mente che dobbiamo affrontare i problemi e dimostrare che l’Europa fa sul serio quando vuole creare un’economia sociale di mercato e non un mercato unico a sé stante.

 
  
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  Marian Harkin, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, ho qui una copia del trattato di Lisbona assai consunta, annotata, sottolineata, piena di rimandi e macchiata di tè. Per 12 mesi è stata la mia costante compagna di viaggio, quando cercavo di convincere i cittadini irlandesi a votare “sì”. Quando mi chiedevano perché avrebbero dovuto votare “sì”, una delle prime cinque ragioni che davo loro era che questo trattato avrebbe portato ad un’Europa più sociale.

Appena 12 mesi fa abbiamo ratificato questo trattato e ora, come politici, dobbiamo mantenere le nostre promesse. Abbiamo parlato della nuova clausola sociale orizzontale, l’articolo 9, che obbliga l’Unione a prendere in considerazione le conseguenze sociali delle proprie decisioni al momento di impostare le politiche. Si tratta di un obiettivo trasversale che ci dà maggiori possibilità di essere più ambiziosi quando scriviamo, modifichiamo o applichiamo la legislazione dell’Unione europea, ma l’articolo 9 non garantisce i desiderati risultati a livello delle politiche. Si tratta di un potente strumento a nostra disposizione, ma dobbiamo chiederci se lo stiamo utilizzando o se è solo di facciata.

La politica sociale è stata costruita male nei trattati originali, ma ritengo che sia molto più forte nel trattato di Lisbona. Oltre al protocollo sui servizi di interesse generale, è stato menzionato l’articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso indica chiaramente la responsabilità condivisa degli Stati membri e dell’Unione per quanto riguarda i servizi di interesse generale. Ad oggi, l’Unione europea ha applicato le norme del mercato interno, ma l’articolo 14 prevede che, nell’applicazione dei trattati “l’Unione e gli Stati membri… provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti”. Questo è un cambiamento nella politica dell’Unione europea e deve trovare riscontro nelle comunicazioni e nelle proposte della Commissione.

Inoltre, in sede di Consiglio, la direttiva anti-discriminazione è ancora bloccata. Essa rappresenta un elemento importante della legislazione. È necessario che sia messa in atto. Così, mentre i principi fondamentali sono fissati e la legislazione sulla politica sociale è protetta nel trattato di Lisbona, il futuro orientamento della politica sociale non è definitivamente stabilito. Noi – Commissione, Consiglio e Parlamento – possiamo e dobbiamo utilizzare gli strumenti forniti dal trattato di Lisbona.

 
  
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  Karima Delli (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, Presidente Courard, signor Commissario, l’obiettivo principale dell’Unione europea, obiettivo che compare nel trattato di Lisbona, è lo sviluppo di un’economia di mercato sociale orientata verso la piena occupazione e il progresso sociale. Il trattato contiene quindi una clausola sociale orizzontale che stabilisce che la promozione di un elevato livello di occupazione, un’adeguata protezione sociale e la lotta contro l’esclusione devono guidare la definizione e l’attuazione di tutte le politiche dell’Unione europea.

Il riconoscimento dei diritti sociali e in particolare del diritto di accedere ai servizi di interesse generale, è reso obbligatorio nella Carta dei diritti fondamentali. La Carta contiene diritti e principi, quali il diritto di avere accesso ai pagamenti della previdenza sociale, agli aiuti per l’alloggio e ai servizi sociali.

Come è possibile, alla vigilia del terzo forum sui servizi sociali di interesse generale avviato dal Parlamento, sostenere che in applicazione delle disposizioni del trattato di Lisbona ai servizi sociali di interesse generale si debbano applicare solo le norme sulla concorrenza e sul mercato interno, senza alcun adattamento alle loro specifiche modalità di organizzazione e di finanziamento?

Non è forse vero che la direttiva servizi, per esempio, chiama in causa il ruolo dei servizi sociali di interesse generale con una forte base locale composta da membri della comunità che non hanno scopo di lucro? Quando smetterete di nascondere la testa sotto la sabbia? E quando vi farete finalmente carico della vostra responsabilità di colegislatori, in conformità con le disposizioni del nuovo articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea?

 
  
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  Lothar Bisky, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, devo ammettere che il trattato di Lisbona e il suo impegno sociale suonano bene. Ma non possiamo ignorare il fatto che centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a Bruxelles e nelle altre capitali europee. Protestavano contro una politica sbagliata e antisociale nei confronti della crisi.

Abbiamo appena cominciato a lasciarci alle spalle questa che è la peggiore delle crisi, ma già si sente dire da molti governi che il debito nazionale deve essere frenato. Il paracadute di emergenza costituito dai piani di salvataggio deve essere riposto, si dice, e i programmi di investimento aboliti. La Commissione chiede che il patto di stabilità e di crescita sia rafforzato. Gli Stati nei quali si pagano salari e stipendi ragionevoli, nei quali il mercato del lavoro segue ancora delle regole, o nei quali i sistemi di sicurezza sociali sono troppo “sociali”, il che significa troppo costosi, devono essere penalizzati. I banchieri truffaldini stanno continuando come se nulla fosse successo. Si dovranno tagliare pensioni e salari, le imposte di consumo forse aumenteranno. I contributi per l’assicurazione sanitaria sociale aumentano, mentre i servizi peggiorano.

Alla luce delle sentenze della Corte di giustizia europea nei casi Viking e Laval Rueffert, non sono solo i sindacati a temere che l’equilibrio sociale dell’Unione europea sia in posizione precaria. La richiesta dei sindacati di una clausola di protezione sociale merita il nostro pieno sostegno. I diritti dei lavoratori, i diritti sindacali e la protezione sociale devono avere almeno lo stesso significato e, anzi, la precedenza rispetto al mercato interno e alla libera prestazione dei servizi. Questo deve essere chiaramente sancito dal diritto primario. Ricordo questi fatti perché i relativi paragrafi sembrano buoni ma in realtà non cambiano nulla.

Non può garantire la dignità umana senza requisiti sociali minimi. Una clausola di progresso sociale migliorerebbe la reputazione gravemente danneggiata dell’Unione europea presso i cittadini e contribuirebbe ad arginare le paure della società.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, nell’Unione europea assistiamo a quello che ritengo essere uno sviluppo preoccupante: un numero sempre crescente di persone viene spinto verso il lavoro temporaneo, il falso lavoro autonomo e i “McJobs”, in cui i diritti sociali dei lavoratori sembrano spinti in secondo piano. La Corte europea dei diritti dell’uomo non solo sembra ridurre le norme di tutela dei lavoratori nella propria giurisprudenza, ma inoltre, nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, preclude un trattamento preferenziale per gli imprenditori socialmente impegnati.

Ci è stato detto che il trattato di Lisbona avrebbe migliorato tutto, ma, personalmente, non ho visto nessuna svolta in senso sociale. Si fanno dei tentativi, per esempio, di ridurre le differenze economiche e sociali tra gli Stati membri utilizzando il Fondo sociale europeo. Eppure, se l’esecuzione dei progetti causa problemi in molte regioni, il fondo fallisce nella sua missione. La libertà del mercato interno, mi permetto di sottolineare per inciso, troppo spesso comporta solo la libertà dei conglomerati multinazionali che spingono fuori dal gioco i datori di lavoro locali, vale a dire le piccole e medie imprese. Credo che questa situazione debba cambiare il prima possibile.

 
  
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  Jean-Paul Gauzès (PPE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, il trattato di Lisbona fornisce senza dubbio nuovi obiettivi sociali all’Europa. Lo sviluppo sostenibile in Europa si basa sull’elevata competitività dell’economia sociale di mercato, il che significa piena occupazione e progresso sociale, lotta contro l’esclusione sociale e la discriminazione, promozione della giustizia e eliminazione della povertà. Il trattato di Lisbona conferma il ruolo delle parti sociali e promuove a livello europeo il dialogo sociale tra i sindacati e i rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavoro.

Su questi vari punti, la situazione attuale non è certamente quella descrittaci qui da alcuni oratori. Oggi possiamo drammatizzare la situazione: è vero che vi sono situazioni preoccupanti, che la crisi non è ancora finita e che ha delle conseguenze. Tuttavia l’Europa sta adottando misure in questo settore – noi dobbiamo spiegarlo ai nostri cittadini – per mettere un certo ordine nel settore finanziario, in particolare, e in questo senso è tra i primi a compiere uno sforzo per organizzare tale settore, grazie al nostro lavoro.

Permettetemi di fare alcune brevi osservazioni. Sui servizi di interesse generale, in particolare, voglio dire chiaramente che dovremmo prendere in considerazione le specifiche situazioni nazionali; perché è vero che alcuni dei nostri concittadini sono un po’ allarmati – penso ad esempio ai francesi – quando immaginano, a torto, che l’Europa metta in pericolo i servizi pubblici che sono una tradizione francese. Allo stesso modo, in materia di appalti pubblici, si dovrebbe tener conto delle circostanze individuali e specialmente di quelle che consentono la collaborazione tra diversi enti pubblici.

Ma la politica sociale dipende dalla salute dell’economia e dalla crescita economica. Questo è l’obiettivo primario di una economia sociale di mercato.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE). (EN) Signor Presidente, a differenza di alcuni degli altri oratori io non credo che il trattato di Lisbona cambi poi molto sia nel campo della politica sociale che in alcune altre aree.

Da molti anni ormai abbiamo la codecisione nel campo dell’occupazione ma, secondo le disposizioni del titolo II di applicazione generale, l’articolo 9 fa un riferimento, tra l’altro, alla tutela della salute umana. Una direttiva che ha influenza su questa è la direttiva sui campi elettromagnetici e so che la Commissione ha condotto una riflessione in materia. Seguendo la direttiva sui campi elettromagnetici nell’intera procedura con la commissione per l’occupazione e gli affari sociali, dobbiamo garantire, e spero che gli Stati membri siano d’accordo, la possibilità di utilizzare scanner MRI di ultima generazione.

L’articolo 10 del titolo II riguarda la lotta alla discriminazione. Dobbiamo assicurarci, come indicato da molti altri oratori, che il Consiglio sblocchi la direttiva orizzontale in materia di accesso a beni e servizi, e che gli Stati membri che la stanno bloccando rimuovano le proprie obiezioni per poter avere una reale direttiva contro la discriminazione nell’accesso ai beni e ai servizi.

 
  
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  Patrick Le Hyaric (GUE/NGL) . – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, va detto che quanto predomina nell’applicazione del trattato di Maastricht non è affatto ciò che descrivete: né l’articolo 9 né l’articolo 14 proteggono i servizi pubblici. Si tratta invece dei principi di concorrenza, di libero scambio senza restrizioni, di indebolimento della protezione sociale, di abbattimento delle pensioni e dei salari, e di rifiuto di un’equa armonizzazione fiscale.

Il 2010, ad esempio, è stato dichiarato Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Mi permetto di osservare che quello che voi membri della Commissione e del Consiglio avete fatto è in netto contrasto con tale progetto. Le decisioni prese in questi ultimi giorni spingono verso una super-austerità, e la Commissione, ponendosi come un vero e proprio tribunale nel metterla in atto, è in conflitto con ogni singolo progetto sociale. Invece di pensare che l’austerità e la regressione sociale porteranno l’Unione europea fuori dalla crisi, ritengo che dobbiamo fare un ragionamento alquanto diverso: in effetti si tratta del ragionamento opposto. Il progresso sociale è una leva per uscire dalla crisi.

Vorrei quindi farvi una proposta che sottopongo al dibattito per un ulteriore esame. La proposta comporterebbe la creazione di un nuovo sistema che permetta alla Banca centrale europea – anche attraverso la creazione di moneta, come fanno al momento tutte le banche del mondo – di acquistare in tutto o in parte il debito degli Stati membri, se necessario, e al stesso tempo di istituire un fondo europeo per lo sviluppo umano, sociale ed ecologico.

Sostenuto dalla Banca centrale europea e dalla Banca europea per gli investimenti, tale fondo dovrebbe consentire l’ampliamento dei servizi pubblici – o, se preferite, dei servizi di interesse generale della comunità – e fornire un aiuto per l’industria, la ricerca e la formazione.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) La pressione esercitata dalla Commissione e i grandi poteri dell’Europa nei confronti dei paesi con economie più fragili e più elevati livelli di povertà cozzano contro tutti i principi della coesione economica e sociale di cui la Presidenza belga ha parlato fin qui in nome della cosiddetta “clausola sociale” di cui all’articolo 9 del trattato di Lisbona.

La verità è che è stato possibile spostarsi al di fuori dei criteri irrazionali del Patto di stabilità e crescita solo quando gli Stati membri hanno dovuto aiutare le banche per via dei problemi che stavano attraversando a causa dei rifiuti tossici da loro stesse prodotti. Ora che le banche hanno assorbito miliardi di euro di aiuti pubblici e che il debito pubblico dei paesi con le maggiori difficoltà è salito alle stelle, si è riaffacciata la pressione per ridurre i debiti e il deficit, senza darsi pensiero per l’occupazione, l’inclusione sociale o il diritto universale alla pubblica istruzione e all’assistenza sanitaria, all’alloggio o a salari e pensioni adeguati. In alcuni paesi, come la Grecia e il Portogallo, in nome della sostenibilità delle finanze pubbliche si moltiplicano le misure di austerità imposte, le ingiustizie sociali sono in aumento e la crescente disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale rappresentano una minaccia per 120 milioni di persone nell’Unione europea.

Se il nuovo programma di austerità che il governo portoghese ha appena annunciato andrà avanti, il Portogallo ripiomberà nella depressione, il che solleva alcune domande. Che razza di Europa sociale è questa? In questo Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale, dove sono le garanzie di reddito minimo con cui affrontare la povertà? Dove finisce l’integrazione tra gli obiettivi sociali e di sostenibilità sociale e la politica macro-economica? Dove sono la difesa e la promozione dei servizi pubblici? Quand’è che avremo un orientamento sociale trasversale e un’efficace valutazione dell’impatto sociale, delle politiche del Patto di stabilità e crescita, della politica di concorrenza, del mercato interno, delle politiche di bilancio e fiscali, e della politica monetaria? Questo è l’obiettivo delle lotte dei lavoratori che si stanno moltiplicando in tutta Europa.

 
  
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  Othmar Karas (PPE).(DE) Signor Presidente, gli obiettivi politici sono chiari. Vogliamo un’Europa con un’economia di mercato sociale sostenibile, con i diritti fondamentali, senza discriminazioni, con la piena occupazione, con una clausola sociale integrata, con la coesione sociale e con i servizi di interesse generale, che devono essere definiti attraverso la sussidiarietà. Questo è il nostro obiettivo. Ma per raggiungerlo disponiamo di troppi pochi strumenti a livello europeo. La maggior parte di questi sono in mano agli Stati membri. Se vogliamo realizzare questi obiettivi in tutta Europa dobbiamo trovare un equilibrio tra la politica economica, la concorrenza e gli strumenti sociali. Dobbiamo quindi estendere l’unione monetaria nel senso di un’unione economica e sociale. Dobbiamo anche affermare con chiarezza che servono più atti di solidarietà e che la formazione per creare persone qualificate, la crescita e l’occupazione non sono elementi in contrasto con l’aspetto sociale dell’Europa: sono invece un presupposto per combattere l’indigenza e l’esclusione e per porre fine alla piaga della povertà dei lavoratori.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, giungo or ora da una riunione dell’intergruppo Servizi pubblici. A volte mi chiedo se stiamo parlando alle stesse persone. Secondo voi è tutto a posto. La maggior parte dei soggetti interessati, nella migliore delle ipotesi non capisce nulla di legislazione europea o ne capisce fin troppo.

Parlate di misurare l’impatto sociale delle politiche dell’Unione europea. Quindi vorrei dirvi: è una buona area su cui lavorare, andate avanti, vi sfido! Se come affermate non vi è alcun problema con i servizi pubblici e, in particolare, con i servizi pubblici locali, allora vi esorto ad impegnarvi in una vera e propria revisione approfondita della liberalizzazione dei servizi pubblici in tutta l’Unione europea.

La libera e leale concorrenza avrebbe dovuto abbassare i prezzi. Io sono francese. Mi limiterò a fornire alcuni esempi che forse possono spiegare perché su questo argomento i francesi sono un po’ cauti nei confronti dell’Europa: i prezzi dei servizi postali, del trasporto ferroviario, aereo e dell’acqua, servizi consegnati alle aziende private, sono aumentati in modo esponenziale.

Il concetto di servizio universale avrebbe dovuto garantire che i servizi più elementari fossero accessibili a tutti. In realtà, per i più poveri sono appena sufficienti e i casi di discriminazione sono in aumento. Che ne è stato della vostra grande redistribuzione della ricchezza, visto che sappiamo che ovunque in Europa continuano ad aumentare le disuguaglianze tra i più ricchi e i più poveri?

Quindi sì, signor Commissario, come molti deputati le hanno già chiesto, quand’è che la Commissione deciderà di prendere in considerazione le conseguenze degli articoli 9 e 14 dei trattati, così come il protocollo sui servizi sociali di interesse generale? In altre parole, quand’è che la Commissione rispetterà i diritti del Parlamento? Scusate, ma di cosa avete paura?

 
  
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  László Andor, membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, la Commissione nel suo insieme, ed anche io, ritieniamo che il nostro obiettivo sia quello di sviluppare un’economia sociale di mercato. Posso dire, sia a titolo personale che per quanto riguarda il mio mandato, che in questa formulazione il termine “sociale” è più importante del termine “mercato”. Naturalmente, alla fine la Commissione deve presentare, rappresentare e attuare un approccio molto equilibrato. Tuttavia, ho sempre difeso gli obiettivi sociali e abbiamo sempre attribuito grande rilevanza a questo aspetto.

Nel corso della discussione ho notato anche che l’imminente Atto per il mercato unico sarebbe accolto con disappunto da parte del Parlamento se non dovesse comprendere una forte dimensione sociale. È su questo che abbiamo lavorato: garantire che questo importantissimo documento sia energico rispetto alle questioni sociali. Ho partecipato al competente gruppo di commissari e assicurato l’inserimento delle voci riguardanti le pensioni e degli altri importantissimi aspetti in termini di rafforzamento della dimensione sociale dell’economia europea.

Vi sono tuttavia molte altre questioni. Mi sarei certamente opposto a un approccio che avesse solo un particolare tipo di soluzione, ad esempio istituendo un organismo di alto livello per garantire che ci dedichiamo alle questioni sociali.

Non c’è nulla nella mia risposta che lasci intendere un’opposizione a un processo dinamico sui SSIG. In realtà, già nella preparazione della conferenza di ottobre della Presidenza belga ci troviamo in un processo dinamico sui SSIG. Sarò presente sia all’apertura sia alle conclusioni di questa conferenza, e sono molto fiducioso che ci faccia progredire su tutta una serie di questioni relative ai SSIG.

Nella prossima piattaforma europea contro la povertà che sarà pubblicata alla fine dell’anno i SSGI sono trattati molto seriamente. Anche il Presidente Courard, segretario di Stato per l’integrazione sociale e la lotta alla povertà, vi ha fatto riferimento nella sua introduzione.

Sono disponibile a compiere ulteriori passi avanti. Vorrei però prima tutto vedere ciò che questi eventi e documenti susciteranno nelle più svariate controparti europee. Vorrei sottolineare che, anche se ufficialmente vi è una certa ripresa, siamo in una fase molto difficile della crisi economica e abbiamo ancora una notevole sofferenza non provocata semplicemente dalla crisi stessa, ma anche dalle misure adottate per uscirne.

La Commissione ha regolarmente chiesto che fosse tenuto in considerazione l’interesse dei servizi sociali e dei gruppi vulnerabili. Nelle ultime settimane ho fatto molti interventi e ho invitato alla prudenza riguardo alle politiche macro-economiche degli Stati membri.

Il consolidamento fiscale è inevitabile perché i paesi hanno accumulato debiti ingenti. Tuttavia, l’austerità – soprattutto l’austerità irragionevole – e i tagli di spesa a senso unico non sono inevitabili. Tutti gli Stati membri, anche quelli messi sotto pressione dai mercati, hanno modo di riflettere su come approntare un moderato consolidamento fiscale. Ogni Stato membro ha la capacità di bilanciare le varie opzioni in termini di tagli di spesa o aumenti delle entrate, e può applicare l’equità; può prendere in considerazione gli interessi dei gruppi vulnerabili. Questo è quanto chiede la Commissione.

Chiediamo la consapevolezza sociale anche in questi momenti di difficoltà. L’Anno europeo ci ha aiutato considerevolmente in tal senso avviando una campagna di sensibilizzazione che si è rivelata un successo, perché ha contribuito a esprimere i due importantissimi obiettivi della strategia Europa 2020. Senza questa campagna non saremmo riusciti a porci gli obiettivi molto ambiziosi di incentivare l’occupazione e ridurre la povertà in Europa.

Naturalmente, nessuno crede che si possa realizzare tutto ciò dall’oggi al domani. Dobbiamo migliorare i nostri strumenti. Accetto quanto ha detto un deputato a proposito del Fondo sociale europeo. Non ha funzionato perfettamente, ma stiamo indagando su come migliorare il Fondo in termini di innovazione, di cosa debba occuparsi e come debba essere usato. Tutto ciò fa parte di un processo. Vi è tutta una serie di conferenze per discuterne, soprattutto su come gestire la situazione dei rom, tra le altre questioni. La Presidenza belga ha organizzato una specifica conferenza su come il Fondo sociale europeo potrebbe essere più utile al fine di ridurre la povertà.

Nutro dei dubbi in merito all’istituzione di un nuovo fondo. Credo che prima si debba esaminare come poter utilizzare il Fondo sociale con gli strumenti disponibili, al fine di migliorare le condizioni sociali. Vorrei qui sottolineare il ruolo svolto dalla Banca europea per gli investimenti al fine di sviluppare le infrastrutture e i servizi in Europa.

Nessuno chiede la privatizzazione dei servizi sociali che sono prevalentemente di competenza degli Stati membri. Tuttavia, se per esempio le norme dell’Unione europea in materia di appalti pubblici o di aiuti di Stato saranno applicate correttamente, tenendo conto di tutti i parametri importanti, esse garantiranno qualità, economicità e trasparenza. Si tratta di obiettivi molto importanti e quando cerchiamo di perseguire altri obiettivi, per quanto importanti o rilevanti possano essere, non dobbiamo comprometterli, in particolare riguardo alla trasparenza.

Spero che queste osservazioni risultino convincenti e che i prossimi appuntamenti, in particolare la prossima conferenza sui SSIG e sulla povertà, possa fornire ampie opportunità di discutere su come procedere. Vi posso assicurare che la riduzione della povertà e il miglioramento degli standard sociali in Europa sono ben al centro dei lavori della Commissione e del mio programma personale.

 
  
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  Philippe Courard, Presidente in carica del Consiglio.(FR) Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti i deputati per la qualità dei loro interventi.

Il Consiglio ha invitato la Commissione a sviluppare una piattaforma che non sia limitata alla povertà ma che favorisca anche una dinamica più ampia nella lotta contro l’esclusione e affermi l’importanza del benessere sociale.

Vorrei anche dire che all’interno delle misure di austerità di cui il Commissario ha appena parlato, è stato ovviamente importante considerare i provvedimenti da adottare al fine di garantire che l’austerità non impoverisca ancora di più le persone. Oggi la lotta contro la povertà non deve proprio essere dimenticata.

Desidero altresì ringraziare la Commissione per il suo impegno nel cercare di creare una maggiore certezza giuridica per i servizi sociali di interesse generale, e in particolare per quanto riguarda le loro caratteristiche specifiche.

Siamo sinceramente intenzionati a proseguire la discussione, in particolare nel Comitato di protezione sociale, nonché a migliorare il dialogo con i vari soggetti interessati, sia istituzionali che non. Come l’onorevole De Rossa ha sottolineato, è chiaro che nel dibattito sui SSIG il coinvolgimento del Parlamento europeo è e deve rimanere ampio. Anche l’articolo 14 è un elemento importante da utilizzare nelle discussioni sui SSIG. Sarà anzi uno degli argomenti importanti da discutere nel terzo forum del 26 e 27 ottobre.

Infine, come sapete, a causa delle restrizioni di bilancio è complesso discutere di affari sociali in seno al Consiglio. Ciò nondimeno, i servizi sociali adempiono compiti necessari, indispensabili, e perciò richiedono un’attenzione molto particolareggiata e sebbene se ne riconoscano le caratteristiche specifiche, ciò significa che occorre adottare uno specifico modo di affrontarle.

Concludo ringraziando il Commissario Andor per il suo dinamismo e il suo desiderio di compiere progressi per tutto quanto riguarda gli affari sociali.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) La crisi finanziaria ha contribuito ad un grave peggioramento della condizione sociale dei cittadini europei. La ripresa impiega molto tempo a farsi sentire: i tassi di disoccupazione sono elevati e la crescita economica è debole. La strategia Europa 2020 mira a definire un piano per agevolare una crescita economica che possa offrire maggiore occupazione e maggiore competitività nell’Unione. Le sue iniziative costituiscono la definizione di un percorso che dobbiamo seguire per creare un’Europa più inclusiva per i cittadini. Il trattato di Lisbona rafforza la dimensione sociale della politica europea. L’Europa appartiene ai cittadini europei, e parte della sua missione consiste nel contribuire alla promozione dell’occupazione e al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Vorrei sottolineare la centralità del dialogo tra le parti sociali e il ruolo delle piccole e medie imprese come forza trainante dell’economia. Dobbiamo realizzare gli obiettivi del trattato di Lisbona per quanto riguarda le questioni sociali, mediante le proposte specifiche incluse nella strategia Europa 2020: definendo per esempio iniziative come “Una politica industriale per l’era della globalizzazione” o “Un’agenda per nuove competenze e per l’occupazione”. L’Europa deve essere più competitiva e in grado di affrontare le sfide della globalizzazione, senza però astenersi dall’essere inclusiva e puntare ad uno sviluppo che sia sostenibile e garantisca l’integrazione sociale.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. (RO) Il trattato di Lisbona ribadisce l’impegno degli Stati membri per i diritti sociali fondamentali enunciati nella Carta sociale europea (del 1961) e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (del 1989). Il trattato di Lisbona ribadisce che l’Unione europea opera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa. L’economia europea è un’economia di mercato sociale che promuove un elevato grado di competitività. I suoi obiettivi comprendono la piena occupazione, il progresso sociale ed un elevato livello di tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente. L’Unione europea combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni: promuove la giustizia e la protezione sociale, la parità tra i sessi, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti dei bambini.

Nel mese di agosto il tasso di disoccupazione nell’Unione europea dei 27 Stati membri è stato del 9,6 per cento, con un tasso di disoccupazione giovanile del 20 per cento. La crisi economica e finanziaria ha avuto un impatto drammatico sul contesto sociale: oggi per i cittadini europei la principale preoccupazione è costituita dal lavoro e dalla qualità della vita. Unione europea significa innanzitutto 500 milioni di cittadini, ecco perchè l’Europa deve essere sociale. L’Europa sociale deve offrire ai cittadini europei posti di lavoro e una vita decorosa, un’istruzione di qualità elevata e una prospettiva di integrazione nel mercato del lavoro per i giovani, una vita dignitosa e servizi sanitari di qualità per i pensionati.

 

14. Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0256/2010), presentata dall’onorevole Fajon, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) N. 539/2001 che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo [COM(2010)0256 – C7-0134/2010 – 2010/0137(COD)].

 
  
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  Tanja Fajon, relatore.(SL) Signor Presidente, rappresentanti della Commissione europea, Commissario Malmström, rappresentanti del Consiglio e, naturalmente, onorevoli colleghi, tenterò di utilizzare quattro minuti per questo intervento e, se necessario, altri due alla fine.

L’Albania e la Bosnia-Erzegovina hanno soddisfatto tutte le condizioni e sono pronte a prendere parte alla liberalizzazione dei visti. La Commissione europea l’ha confermato, in linea con la decisione da noi presa la scorsa settimana in seno alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, senza nemmeno un voto contrario. I cittadini albanesi e bosniaco-erzegovini si aspettano legittimamente e si meritano che domani quest’Assemblea accolga tale richiesta.

Vorrei porgere il benvenuto a Sven Alkalaj, ministro degli Affari esteri per la Bosnia-Erzegovina, e a Jozefina Topalli, portavoce del parlamento albanese, che sono seduti in galleria e che stanno seguendo con attenzione la discussione. è tempo di trasmettere un messaggio a questi due paesi: siamo pronti ad accogliervi, avete soddisfatto le condizioni. Abbatteremo le barriere rappresentate dai visti che hanno diviso troppo a lungo i paesi dei Balcani occidentali.

Abbiamo combattuto a lungo per conseguire questo nostro obiettivo e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno preso parte al processo, in special modo la Commissione europea e il Consiglio. Mi fa piacere che il paese da cui provengo, la Slovenia, vi abbia svolto un ruolo molto importante.

Ai popoli della Bosnia-Erzegovina e dell’Albania, l’Unione europea sembra a volte molto più distante di quanto non sia veramente. Grazie alla liberalizzazione dei visti, compiremo un enorme passo in avanti verso la creazione della fiducia tra i popoli e il proseguimento delle riforme urgenti che i paesi devono ancora attuare per ottenere un’adesione a pieno titolo.

L’Albania e la Bosnia-Erzegovina hanno reso sicure le proprie frontiere, hanno adottato il sistema garantito dei passaporti biometrici, e hanno compiuto progressi ragguardevoli nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata.

Lo scorso anno l’Unione europea ha liberalizzato il regime dei visti a favore dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, della Serbia e del Montenegro e la loro gioia è stata indescrivibile. Si tratta di una misura logica in quanto, più o meno vent’anni prima, i cittadini dei Balcani occidentali non avevano bisogno di un visto per recarsi a occidente. A mio parere, questo non è un semplice regalo diplomatico. è ora nostro compito, il compito dell’Unione europea, mantenere la nostra promessa. Qui c’è in gioco la nostra credibilità e la credibilità dell’Unione europea.

Mi preme ricordarvi che lo scorso novembre è stato il Parlamento stesso, insieme al Consiglio europeo, a impegnarsi a favore di una liberalizzazione dei visti per l’Albania e la Bosnia-Erzegovina, processo che sarebbe stato avviato con procedura urgente non appena i due paesi avessero soddisfatto i criteri previsti.

Vi esorto pertanto ad appoggiare la mia relazione, per poter trasmettere un messaggio veramente positivo a entrambi i paesi. I loro cittadini non se lo sono mai meritato tanto, e ritengo che molto presto i nostri governi europei ci seguiranno.

Onorevoli deputati, rappresentanti della Commissione e del Consiglio, facciamo uno sforzo e magari un passo in più per far sì che i cittadini dell’Albania e della Bosnia-Erzegovina possano circolare liberamente prima del Natale cattolico, vale a dire prima della fine dell’anno, per permettere loro di andare a trovare la famiglia e gli amici durante le vacanze natalizie. L’abbiamo fatto lo scorso anno per FYROM, Serbia e Montenegro e sono del parere che, vista la dose di buona volontà di cui disponiamo, riusciremo a farlo anche quest’anno.

Vorrei aggiungere un’ultima osservazione, il nostro “sì” di domani in Parlamento sarà un riconoscimento del duro lavoro svolto da entrambi i paesi, Bosnia-Erzegovina e Albania. Hanno soddisfatto tutte le condizioni, il criterio di base per noi, e reputo che riconoscerlo rappresenterebbe un ottimo incentivo per tutti i paesi dei Balcani occidentali, in quanto dimostrerebbe loro che impegnarsi a fondo porta veramente a dei risultati.

 
  
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  Cecilia Malmström, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, vorrei esordire con un ringraziamento alla relatrice, onorevole Fajon, per la dedizione, l’entusiasmo e l’impegno con cui ha lavorato su questo fascicolo. è stato un grande piacere lavorare con lei – e anche con i relatori ombra – e adoperarci insieme per garantire un regime esente da visti ai cittadini di Albania e Bosnia-Erzegovina.

La proposta oggetto della discussione odierna conferma la volontà politica dell’Unione europea e il nostro impegno a favore della liberalizzazione dei requisiti di visto a breve termine per i cittadini di tutti i paesi dei Balcani occidentali. Fa parte dell’agenda di Salonicco e rappresenta una pietra miliare della nostra politica d’integrazione per i Balcani occidentali.

Il nostro sostegno a un’esenzione dai visti non ci consentirà solamente di trasmettere un messaggio politico. Tale messaggio è importante, ma noi agevoleremo anche in maniera concreta il contatto tra le persone, moltiplicheremo le opportunità commerciali e gli scambi culturali, e offriremo alle persone la possibilità di imparare a conoscersi – fornendo ai popoli della Bosnia e dell’Albania l’occasione di conoscere l’Unione europea e viceversa.

La situazione odierna è il risultato del duro lavoro svolto dalle autorità e dalle persone di questi due paesi, e vorrei rendere omaggio al loro operato. Mi congratulo con loro per gli sforzi compiuti e gli importanti risultati raggiunti. I dialoghi orientati ai risultati condotti dai due paesi e dalla Commissione europea sulla questione della liberalizzazione dei visti hanno rappresentato un’iniziativa e un incentivo molto forti, che hanno accelerato le riforme verso il raggiungimento degli standard comunitari nei settori chiave della giustizia, della libertà e della sicurezza.

I due paesi hanno compiuto progressi importanti nel miglioramento della sicurezza dei passaporti, nel rafforzamento dei controlli alle frontiere e del quadro istituzionale per combattere la criminalità organizzata e la corruzione, nonché nelle relazioni esterne e nei diritti fondamentali. La Commissione ha monitorato con estrema attenzione le misure adottate.

Nella nostra proposta dello scorso maggio, la Commissione ha individuato per entrambi i paesi un numero limitato di parametri ancora aperti e per i quali era richiesto un ulteriore monitoraggio. L’approccio seguito ha riprodotto esattamente quello adottato nel 2009 per Montenegro e Serbia.

Nel caso dell’Albania, la questione ancora aperta riguardava lo sviluppo di una politica a sostegno della reintegrazione dei cittadini albanesi rientrati in patria, il rafforzamento delle capacità per la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione e, infine, un’attuazione efficace della confisca dei beni della criminalità organizzata.

Per quanto riguarda la Bosnia-Erzegovina, i requisiti non ancora soddisfatti erano il rafforzamento delle capacità per la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione, misure per migliorare lo scambio elettronico di dati delle forze dell’ordine, e l’armonizzazione del codice penale tra i livelli statali e delle autorità locali.

Sulla scorta delle informazioni dettagliate fornite dai due paesi, delle missioni di esperti con la partecipazione preziosa di personale competente degli Stati Membri durante la scorsa estate e, successivamente, di altre informazioni disponibili, il 14 settembre la Commissione ha potuto presentare la nostra valutazione relativa al soddisfacimento dei parametri ancora aperti. Ne è emerso che entrambi i paesi avevano intrapreso tutte le misure necessarie per conformarsi a tutti i parametri ancora aperti elencati nella proposta del maggio di quest’anno.

Di conseguenza, la Commissione considera soddisfatti tutti i prerequisiti elencati nella tabella di marcia, e su tale base proponiamo di concedere l’esenzione dal visto. Mi preme sottolineare che l’esenzione dai visti dei due paesi comporta anche delle responsabilità. Per prevenire gli abusi, è necessario che l’Albania e la Bosnia-Erzegovina adottino tutte le misure necessarie per limitare un eccesso di richieste di asilo infondate. Tale aspetto è stato sottolineato con insistenza in tutti i contatti stabiliti tra la Commissione e i due paesi, e so che questi ultimi hanno già intrapreso qualche iniziativa in tal senso.

è importante proseguire le campagne di informazione, allo scopo di fornire ai vostri cittadini notizie e spiegazioni adeguate sul significato dei visti a breve termine e di quello che gli stessi comportano e, in particolare, per metterli in guardia da un eventuale uso scorretto per scopi non compatibili con l’esenzione dal visto.

Giunti a questo punto – e si tratta di una fase molto importante – auspico che il Consiglio possa perfezionare l’esame della proposta nelle prossime settimane in modo da poter procedere a un’adozione formale che verrà confermata per novembre.

 
  
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  Sarah Ludford, relatore per parere della commissione per gli affari esteri.(EN) Signor Presidente, vorrei associarmi ai ringraziamenti sinceri espressi dal Commissario Malmström all’onorevole Fajon per l’impegno e la pazienza profusi nel lavoro svolto. Ho fatto modestamente parte della squadra da lei guidata negli ultimi diciotto mesi per quello che io ho reputato – e che so che anche lei considera – un esercizio estremamente importante.

Si legge in una relazione – e cito dalla traduzione inglese del testo – che il ministro francese per gli Affari europei, Pierre Lellouche, ha definito la politica dei visti una questione di sicurezza. Pare che l’altro giorno abbia dichiarato all’Assemblée Nationale che “la mia posizione e quella del governo è che la problematica dei visti è una questione di sicurezza. Non si tratta solamente di un regalo diplomatico da noi offerto durante il processo”. Come vi dicevo, cito da una traduzione inglese.

Sì, siamo d’accordo, ma tornerò tra poco sulla questione della sicurezza. Naturalmente – e l’onorevole Fajon se n’è occupata – non si tratta di un regalo diplomatico. Ma a quanto pare il ministro ha proseguito affermando che la Francia avrebbe richiesto delle garanzie di sicurezza dai due paesi. Ma è esattamente quello che ha fatto la Commissione, nel quadro della consueta tabella di marcia, redatta con estrema attenzione, che ha ottenuto il pieno sostegno sia del Consiglio dei ministri sia del Parlamento.

Pertanto, tutti i punti sollevati dal Commissario Malmström erano assolutamente pertinenti, e giustamente il Commissario ha anche aggiunto che le autorità nazionali dei due paesi devono chiarire ai rispettivi cittadini, e sono certa che lo faranno, che si tratta di un diritto di cui non va abusato, che si tratta di un diritto per viaggi brevi, per turismo, per scambi, per affari e così via, e non per altri scopi, compreso il lavoro.

Vorrei ora tornare sul punto relativo alla sicurezza nel senso più ampio del termine. L’Unione europea stessa si fonda sulla sicurezza nel senso più generale del termine, e ciò fa parte dell’esercizio più ampio di aprire le menti, combattere il nazionalismo, opporsi al conflitto di natura etnica, costruire un continente sulla pace e la ricchezza, ed è su queste prospettive che vogliamo aprire gli occhi dei cittadini di quei paesi.

Siamo tutti coinvolti nel processo, e speriamo di prepararli a diventare membri dell’Unione europea, perché l’Unione europea è un progetto fondato sulla sicurezza. Abbiamo fatto questo patto. Abbiamo detto loro, se supererete queste difficoltà otterrete l’esenzione dai visti. Se la Francia o altri paesi membri avessero nutrito dei dubbi su questo processo, non avrebbero dovuto esprimere il proprio consenso alla tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti. Adesso non devono venir meno a questa promessa.

 
  
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  Anna Maria Corazza Bildt, a nome del gruppo PPE.(EN) Signor Presidente, sono felice che stasera possiamo finalmente dire ai cittadini albanesi e bosniaci: “Non vi abbiamo dimenticati”.

Mi auguro che la votazione in plenaria di domani dia prova del forte impegno di questo Parlamento nei confronti della liberalizzazione dei visti per Albania e Bosnia. Il gruppo del PPE esorta il Consiglio a rispettare l’impegno assunto nella dichiarazione congiunta adottata dalla Presidenza svedese per la concessione dell’esenzione dai visti il prima possibile.

Ora che i parametri sono stati soddisfatti – secondo la Commissione europea – i popoli di Albania e Bosnia dovrebbero poter vedere la luce in fondo al tunnel e ottenere entro Natale l’esenzione dai visti per lo spazio comunitario di Schengen.

Il PPE si è impegnato su tutta la linea per accelerare il processo di liberalizzazione dei visti, riservando un trattamento paritario a tutti i paesi dei Balcani occidentali. Abbiamo sempre seguito una linea coerente, realistica e credibile, sostenendo le autorità, assumendoci la responsabilità del processo di riforma e rispettando al contempo i timori legittimi espressi dai cittadini europei in merito alla sicurezza.

Francamente deploro che siano state sollecitate aspettative irrealizzabili con tempistiche poco realistiche, e sono lieta che il resto di quest’Assemblea abbia finalmente accolto la nostra linea realistica accettando che, purtroppo, non esistevano scorciatoie. Dovevamo adeguarci ai loro tempi. Adesso questi paesi sono pronti, e ci complimentiamo con le autorità bosniache e albanesi per i risultati conseguiti nella realizzazione delle riforme.

Il rafforzamento dello stato di diritto, la lotta contro la criminalità e la corruzione sono importanti per i popoli della regione e contribuiscono a colmare i divari con l’Unione europea. Come affermato dal Commissario Malmström, il contatto tra le persone e la rottura dello stato di isolamento sono importanti per promuovere la stabilità nella regione in una prospettiva europea.

Ho vissuto personalmente l’assedio di Sarajevo e la guerra in Bosnia per anni. L’appello dei cittadini che si sono sentiti isolati e abbandonati mi ha colpita personalmente e ha rappresentato la base del mio impegno da quando sono entrata a far parte di quest’Assemblea nell’estate del 2009.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová, a nome del gruppo S&D.(SK) Vorrei innanzi tutto ringraziare la mia collega, onorevole Fajon, per la relazione.

è innegabile che negli ultimi due decenni si sia innalzata una cosiddetta barriera dei visti tra l’Unione europea e determinati paesi dei Balcani occidentali. Una parte di questa barriera è stata fortunatamente abbattuta lo scorso anno, quando abbiamo abolito l’obbligo del visto per i cittadini di Macedonia, Montenegro e Serbia. Tuttavia, il lavoro deve continuare e i vantaggi di una circolazione esente da visti tra gli europei devono essere garantiti anche ai cittadini della Bosnia-Erzegovina, dell’Albania e, in futuro, magari anche del Kosovo.

Va detto innanzi tutto che nell’ultimo anno i governi di questi paesi hanno compiuto enormi progressi, conformandosi a quasi tutte le richieste della Commissione. In secondo luogo, onorevoli parlamentari, non possiamo essere così ingenui dal reputare che il sistema attuale impedisca ai criminali di valicare le frontiere. Sanno sempre trovare un modo per aggirarle. Ma oggi non parliamo di criminali, né di politici, uomini d’affari o imprenditori. Parliamo di cittadini comuni provenienti dai Balcani. Non parliamo di salvaguardare posti di lavoro o del diritto di residenza. L’argomento odierno è il diritto fondamentale dei futuri cittadini dell’Unione europea di circolare liberamente all’interno dei confini comunitari e di instaurare legami sociali e professionali con i partner del paesi membri dell’UE. In terzo luogo, la liberalizzazione dei visti contribuirà a stabilizzare i Balcani occidentali e a rafforzare la cooperazione politica ed economica, a incentivare il sostegno degli abitanti a favore dell’UE e delle prospettive di integrazione europea, nonché ad aprire gli orizzonti delle persone e a porre un freno alle forze dell’estremismo antieuropeista.

L’unica riserva che nutro nei confronti della relazione riguarda il Kosovo. Convengo con l’onorevole Fajon che la gente comune proveniente da questa regione non dovrebbe essere ostaggio della situazione politica attuale ma, al contempo, occorre formulare con chiarezza la decisione sull’eventuale libera circolazione dei kosovari, in modo tale che i loro leader non inizino a interpretarla erroneamente come una sorta di riconoscimento di fatto della loro proclamazione di sovranità. Ora dobbiamo adoperarci affinché l’esenzione dai visti per i cittadini della Bosnia-Erzegovina e dell’Albania venga introdotta il prima possibile. La Bosnia-Erzegovina ha messo a segno progressi radicali negli ultimi mesi, dopo che nel luglio dello scorso anno l’UE aveva sentenziato che tali paesi non soddisfacevano le condizioni per la liberalizzazione dei visti. Finché tali vantaggi saranno concessi solamente a determinate nazioni, correremo sempre il rischio di destabilizzare la regione, nonché il pericolo che il mosaico politico ed etnico si sgretoli in frammenti ancora più piccoli. Negli ultimi mesi i governi di questi paesi si sono impegnati a fondo per colmare le loro lacune, recuperare il tempo perduto e garantire livelli di qualità pari a quelli dei paesi limitrofi.

La consapevolezza che l’Unione europea concederà presto a entrambi i paesi – e in particolare alla Bosnia-Erzegovina – di circolare senza visto ridurrà il rischio di ulteriori instabilità etniche e politiche, rafforzerà la cooperazione politica ed economica, incentiverà il sostegno degli abitanti a favore dell’UE e delle prospettive di integrazione europea, allargherà gli orizzonti delle persone e porrà un freno alle forze dell’estremismo antieuropeista.

 
  
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  Nathalie Griesbeck, a nome del gruppo ALDE.(FR) Signor Presidente, Commissario, anch’io mi unisco ai complimenti rivolti all’onorevole Fajon per l’eccellente relazione, e aggiungerei anche che, benché si stia parlando di un primo passo o fase molto importanti, l’esenzione dai visti proposta nella relazione rappresenta comunque la pietra miliare del progresso sulla via che porta all’integrazione.

Come da lei ricordato, onorevole Fajon, si tratta effettivamente di un momento storico per tutti i cittadini coinvolti, e soprattutto per i giovani, per i quali la libertà di circolazione rappresenta un fattore imprescindibile della loro capacità di diventare cittadini aperti al resto del mondo. Condivido appieno il suo desiderio di veder adottata quanto prima la relazione per poter smuovere le cose entro Natale.

Non vorrei comunque che ci fermassimo qui, mi piacerebbe che il processo ci consentisse di andare oltre. Non possiamo permettere che i kosovari rimangano gli unici cittadini dei Balcani che non possono ancora circolare liberamente, e spero che la Commissione esamini senza indugio la questione.

Pertanto, pur non dimenticando i nostri requisiti europei – e, come francese, condivido appieno l’affermazione della baronessa Ludford secondo cui la posizione del governo non è l’unico punto di vista in Francia – propongo di procedere senza timore lungo la via che conduce alla liberalizzazione.

 
  
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  Marije Cornelissen, a nome del gruppo Verts/ALE.(NL) Signor Presidente, sono molto fiduciosa nel ritenere che domani una maggioranza consistente di quest’Assemblea voterà a favore dell’esenzione dai visti per la Bosnia-Erzegovina e l’Albania. E a ragione. Malgrado disordini politici di ogni genere, hanno lavorato con impegno per conformarsi ai criteri. Anzi, a essere sinceri hanno messo a segno più progressi di quanti non ne avessero realizzati la Serbia e FYROM quando è stata loro concessa l’esenzione dal visto. Di conseguenza, non ho dubbi sul nostro Parlamento. Abbiamo ripetuto che i criteri sono criteri, e che non appena un paese li soddisfa, i suoi cittadini sono autorizzati a circolare senza visto. è importante per i giovani, per gli uomini d’affari e per tutti.

Mi preoccupa invece il Consiglio dei ministri. Circola voce che alcuni paesi siano in preda ai dubbi. Mi auguro che tali voci siano infondate. Se il Consiglio non concederà quanto prima l’esenzione dai visti, trasmetterà il messaggio sbagliato. Ci potrebbero tacciare di voler applicare due pesi e due misure. Daremmo l’idea che i criteri non contano affatto, in quanto in realtà tutto dipende dai giochi politici, e che il Consiglio non si fida del parere della Commissione. E da qui dove arriveremo?

La questione è di fatto molto semplice. La Commissione ha affermato che la Bosnia-Erzegovina e l’Albania hanno soddisfatto i criteri e, pertanto, il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri devono prenderne atto il prima possibile. Potranno avere una loro opinione sulla Commissione e sui politici di questi paesi, ma la questione riguarda i cittadini che ci abitano.

 
  
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  Charles Tannock, a nome del gruppo ECR.(EN) Signor Presidente, la liberalizzazione dei visti è un passo importante per qualsiasi paese che sia alla ricerca di un rapporto più stretto con l’Unione europea. Consentire ai cittadini in buona fede dei paesi terzi di visitare l’UE per affari e per turismo costituisce un aspetto importante dell’integrazione di questi paesi nella nostra Unione.

L’esperienza positiva dell’estensione della liberalizzazione dei visti al Montenegro – nel qual caso ho avuto il privilegio di essere il relatore di questo Parlamento – alla Serbia e alla Macedonia ha conferito ulteriore slancio alle aspirazioni di questi paesi di aderire all’UE. Tuttavia, il nostro obiettivo ultimo dev’essere concedere a tutti i paesi dei Balcani occidentali la pari opportunità di acquisire questo status se ne soddisfano i criteri. Dopo tutto, non è nulla di più di quanto già accadeva ai tempi della ex Iugoslavia.

Estendere ora la liberalizzazione dei visti ad Albania e Bosnia-Erzegovina rappresenta pertanto una progressione naturale di una politica strategica di lunga data che riscontra il mio consenso e quello del mio gruppo. Dovremmo tuttavia insistere affinché tutti questi paesi raggiungano e mantengano standard elevati in termini di sicurezza biometrica dei passaporti. L’esenzione dai visti è un privilegio, e non un diritto automatico che può essere dato per scontato.

Per quanto riguarda il Kosovo, permangono le perplessità sulla qualità della sicurezza dei passaporti e sulla criminalità organizzata. Finché non saranno risolte appieno tali questioni, il Kosovo deve necessariamente essere escluso dalle nostre politiche. Ma personalmente io non mi oppongo, in linea di principio, alla concessione dell’esenzione dai visti al Kosovo come obiettivo finale. Benché cinque paesi membri dell’UE non riconoscano tale Stato, tale ragione da sola non basta per rifiutarsi di concedere al Kosovo come territorio il diritto alla libertà di circolazione nell’Unione europea. Nessun paese membro dell’UE riconosce Taiwan, un territorio per il quale io, guarda caso, rivesto la carica di presidente del gruppo parlamentare di amicizia, ma ciononostante la nostra Unione prevede a breve – e a ragione – di concedere ai cittadini taiwanesi i privilegi di una circolazione esente da visti. Pertanto il Kosovo, alla stregua di Taiwan, dovrebbe godere a tempo debito dei medesimi privilegi.

 
  
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  Cornelia Ernst, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei porgere i miei ringraziamenti all’onorevole Fajon per l’eccellente relazione, che ci ha veramente consentito di progredire sulla questione. Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica appoggia con molta convinzione la liberalizzazione dei visti in tutta la regione dei Balcani occidentali, e in questo caso siamo ovviamente anche a favore dell’abolizione dell’obbligo del visto per Bosnia-Erzegovina ed Albania, soprattutto per avviare l’apertura di questi paesi e per offrire opportunità migliori per il loro sviluppo generale. Auspichiamo che tali opportunità vengano effettivamente colte.

Personalmente, gradirei anche che tale accordo venisse presto esteso anche al Kosovo – o per lo meno vorrei che venissero avviati i primi colloqui. Sussiste una necessità urgente in tal senso, altrimenti il Kosovo rischia di diventare una piccola isola nei Balcani occidentali e di rimanere sostanzialmente tagliato fuori. La cosa che mi preoccupa, tuttavia – e mi preme sollevare questo punto – è che stiamo spingendo per l’introduzione simultanea dei dati biometrici. Vorrei chiarire con fermezza che l’impiego dei dati biometrici è quanto mai controverso e, soprattutto, non è sicuro. Mi esprimo in tal senso sulla scorta della notizia divulgata qualche giorno fa in Germania secondo cui i codici PIN possono essere decifrati, un’eventualità che si è già verificata. Occorre prendere atto della possibilità che ciò accada.

Cerchiamo di fare il possibile non solo per abolire l’obbligo del visto in questi paesi, ma anche per mettere in moto uno sviluppo sociale ed economico. Entrambi i paesi necessitano di tali misure, e i cittadini se le sono meritate. Noi dell’UE dovremmo anche impegnarci in tal senso.

 
  
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  Mario Borghezio , a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, voteremo contro questa relazione anche perché la relatrice propone di esercitare pressioni su Commissione e Consiglio per accelerare il processo di liberalizzazione dei visti con il Kosovo. Ma ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando? Ci rendiamo conto che il Kosovo trova difficoltà a reinserire le migliaia di Rom che avevano trovato rifugio in Germania? Si tratta di una situazione molto delicata per tutta l'Unione europea.

Vogliamo renderci conto che la liberalizzazione dei visti – che ho sentito dichiarare saranno utilizzati solo da studenti e persone perbene, benché personalmente non concordi affatto con questa affermazione ottimistica – significherà soltanto un viavai di Rom attraverso l'Europa? Non è proprio questo di cui abbiamo bisogno, considerati i gravi problemi che stiamo affrontando per l'integrazione e per la soluzione del gravissimo problema dei Rom.

Per quanto riguarda l'Albania, voglio ricordare che ancora a maggio la Commissione aveva proposto che Albania e Bosnia potessero far circolare i loro cittadini nell'area Schengen con passaporti elettronici. La proposta si era tuttavia fermata a causa delle lacune dell'Albania in merito alla reintegrazione degli albanesi rimpatriati.

Io credo che vi siano questioni di sicurezza e di controllo che gravano come macigni sulla liberalizzazione dei visti. Bisogna pensarci molto bene: i visti servono, eccome!

 
  
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  Daniël van der Stoep (NI).(NL) Signor Presidente, la delegazione del Partij voor de Frijheid (Partito per la Libertà) olandese si oppone all’abolizione dell’obbligo del visto per la Bosnia-Erzegovina e l’Albania, due paesi affiliati all’Organizzazione dei paesi della Conferenza islamica, con lo status rispettivamente di membro e di osservatore. Si tratta di un’organizzazione che pone la sharia alla base dei diritti umani e che con il suo evidente antisemitismo sta tenendo in ostaggio le Nazioni Unite. Come potete pensare di fare concessioni simboliche a paesi che sostengono che la sharia sia alla base dei diritti umani? La sharia è una legge che disciplina ogni aspetto della vita della società islamica, dal diritto civile e familiare al diritto penale. Prescrive cosa si deve mangiare, come ci si deve vestire e addirittura come usare il bagno. L’oppressione delle donne è consentita, il consumo di alcol è vietato. Non riesco proprio a capire.

Qualcuno mi può spiegare come questa legge possa convivere con i diritti fondamentali e umani che stanno tanto a cuore a quest’Unione europea? I due paesi in questione potrebbero essere quasi considerati i più corrotti d’Europa, eppure il Parlamento reputa necessario premiarli con un’esenzione dai visti solo perché sono stati meno corrotti dello Zimbabwe. La realtà delle cose viene celata dietro dichiarazioni quali “Suvvia, così potranno andare a trovare i familiari o completare il corso di studi”. Sono tutte sciocchezze, perché queste possibilità esistono già. Solo che prima devono farsi rilasciare un pezzo di carta che li autorizza a farlo. è totalmente insensato abolire l’obbligo del visto con la scusa che altrimenti rimarrebbero intrappolati nei loro miseri staterelli. Che ammasso di sciocchezze! Le città olandesi sono già state invase da orde di polacchi, rumeni e bulgari. Bastano a farci uscire di senno. L’esenzione dai visti non farebbe che peggiorare le cose. Che tristezza!

(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu, ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)

 
  
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  Emine Bozkurt (S&D).(NL) Signor Presidente, vorrei rivolgere una domanda all’onorevole van der Stoep. Lei ha affermato che questi paesi utilizzano la sharia come base per i diritti umani. Ci potrebbe spiegare quali proposte specifiche siano state discusse dai parlamenti di Bosnia-Erzegovina ed Albania allo scopo dell’introduzione della sharia e in quali date si sono svolte tali discussioni? Lei sta facendo un’affermazione non corroborata dai fatti, non è così? Spero che sia in grado di farlo, ma ci dica come.

 
  
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  Daniël van der Stoep (NI).(NL) Signor Presidente, l’onorevole Bozkurt sa ovviamente molto bene che non conosco i dettagli precisi di tutto quello che sta accadendo in Bosnia-Erzegovina e Albania, e che nemmeno mi interessa, a essere sincero. Mi preme rammentarle che la dichiarazione del Cairo sancisce espressamente che la sharia è la base dei diritti umani e che Bosnia-Erzegovina e Albania sono firmatari di tale dichiarazione. Mi potrebbe spiegare come non riesce a trovare nulla di sbagliato in tutto ciò? Bisogna essere pazzi per scegliere la sharia come base dei diritti umani, non è così? Non aggiungo altro.

 
  
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  Agustín Díaz de Mera García Consuegra (PPE).(ES) Signor Presidente, vorrei in primo luogo congratularmi con l’onorevole Fajon per aver prodotto con determinazione una relazione che ha comportato tanto impegno.

Vorrei inoltre estendere le mie congratulazioni alla mia onorevole collega e amica, Anna Maria Corazza Bildt, per la determinazione e la passione profusi nell’assumersi l’impegno a favore dell’esenzione dai visti per Bosnia-Erzegovina e Albania, due paesi che hanno un bisogno urgente di tale concessione.

Come lei, anch’io ero a Sarajevo e a Mostar durante la guerra, e anch’io ho assistito agli sfollamenti di massa di Milosevic e alla solidarietà degli albanesi. Per questo motivo oggi sono qui a esprimere la mia gioia, signor Presidente, perché finalmente è stata fatta giustizia. Dal vertice di Salonicco del giugno 2003, quando l’Unione europea ha finalmente compiuto il passo gradito di impegnarsi a esonerare i Balcani occidentali dall’obbligo del visto, dopo le prime fasi in cui i due paesi non soddisfacevano i requisiti, possiamo ora riaffermare e accogliere con favore l’impegno di garantire ad albanesi e bosniaci la libera circolazione nel territorio comunitario.

Signor Presidente, Commissario, l’esigenza di riportare la stabilità nei Balcani, e soprattutto in paesi che sicuramente aderiranno all’Unione in futuro, e di agevolare la mobilità di una popolazione attualmente isolata deve essere, a mio parere, uno degli obblighi politici del Parlamento.

 
  
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  Emine Bozkurt (S&D).(EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare la relatrice, onorevole Fajon. In Bosnia-Erzegovina i cittadini si sentono intrappolati i una gabbia dopo il conflitto degli anni novanta. Adesso si aprirà finalmente la porta e potranno uscire.

Domani il Parlamento europeo avrà la possibilità di lanciare un segnale chiaro e di far capire ai cittadini della Bosnia-Erzegovina e dell’Albania che sono visitatori graditi in Europa. La Commissione europea è giunta alla conclusione che entrambi i paesi hanno soddisfatto i parametri per la liberalizzazione dei visti. Le riforme sono importanti per tali paesi, ma anche per l’UE. Sono stati compiuti progressi rilevanti nel garantire la sicurezza delle frontiere e nel migliorare la cooperazione per la lotta contro la criminalità transfrontaliera – nonché contro il traffico degli esseri umani e lo spaccio di stupefacenti – e sarà inoltre possibile rimpatriare i cittadini che risiedono illegalmente in territorio europeo.

L’esperienza della liberalizzazione dei visti ha dimostrato che i leader della Bosnia-Erzegovina erano disposti ad accettare di effettuare celermente le riforme richieste e in grado di farlo. La speranza è che la cooperazione e l’efficacia di tali riforme possa servire da esempio per intraprendere ulteriori riforme necessarie per l’integrazione nell’UE, ma tale processo è anche enormemente importante per i cittadini, che potranno finalmente recarsi in visita dai familiari, soprattutto alla luce della diaspora considerevole di cittadini bosniaci in Europa. è inoltre essenziale per far sì che i giovani e gli studenti possano intravedere il loro futuro europeo. Avranno la possibilità di gettare lo sguardo oltre le barriere dei loro paesi. La speranza è che poi riferiranno ai loro nuovi leader che l’integrazione comunitaria deve occupare uno dei primi posti dell’agenda politica.

L’ultima cosa che vogliamo è un buco nero in Europa. La Commissione europea – e noi europarlamentari – vogliamo porre fine a questo isolamento. Abbiamo promesso ai paesi che i visti sarebbero stati liberalizzati contestualmente al soddisfacimento dei criteri. Con il consenso della Commissione e del Parlamento europeo, due terzi delle istituzioni europee riconosceranno i loro sforzi e i progressi compiuti. Vorrei che anche il Consiglio adempisse alla promessa per consentire finalmente ai cittadini bosniaci e albanesi di vedere la luce alla fine di un tunnel così lungo.

 
  
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  Jelko Kacin (ALDE).(SL) Complimenti Tanja. Commissario, onorevoli colleghi, ribadiamo con chiarezza il motivo per cui Albania e Bosnia-Erzegovina non sono riuscite a garantire ai loro cittadini la liberalizzazione dei visti lo scorso anno. è accaduto perché non hanno adempiuto a una parte dei loro compiti politici che avrebbe dimostrato la responsabilità nei confronti dei loro cittadini. Tuttavia, quest’anno i parlamenti e i governi di questi paesi hanno superato brillantemente gli esami di riparazione. L’hanno comunque fatto per il rotto della cuffia, visto che persistono ancora dei dubbi nelle menti di alcune persone di quei paesi.

Noi del gruppo attendiamo con impazienza la liberalizzazione dei visti e vorremmo ricordare ai cittadini di Albania e Bosnia-Erzegovina che sono nostri

amici, nostri partner e nostri amati vicini. Saranno i benvenuti quando verranno a trovare noi e i loro parenti che, con il loro duro lavoro e con la nostra collaborazione, stanno costruendo un’Unione europea unita, migliore, più ricca e più grande.

La decisione di liberalizzare i visti che verrà presa in questa sede è una nostra conquista comune, un messaggio politico importante e un messaggio umano sincero. La liberalizzazione dei visti è mirata ad avvantaggiare i cittadini di questi paesi, e non a premiare i loro politici. Tuttavia, i governi di entrambi i paesi devono persistere nei loro sforzi volti a persuadere i ministri degli Interni dei paesi membri dell’UE del loro impegno incondizionato all’attuazione e rispetto coerente delle norme e degli obblighi assunti.

 
  
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  Ulrike Lunacek (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, mi associo a nome del mio gruppo ai ringraziamenti rivolti all’onorevole Fajon per il lavoro eccellente, e vorrei inoltre ringraziare il Commissario Malmström, in quanto ritengo che abbiano svolto entrambe un ruolo prezioso e che abbiano intrapreso la strada giusta. La votazione di domani in Parlamento renderà più concreta la promessa di un futuro europeo per i cittadini dell’Albania e della Bosnia-Erzegovina. Finalmente potranno avere la certezza di godere degli stessi diritti concessi lo scorso anno ai popoli della Serbia, del Montenegro e della Macedonia. L’ampio consenso che verrà raggiunto domani in seno al Parlamento europeo porrà anche una sfida chiara al Consiglio, che in occasione della prossima riunione prevista per novembre dovrà concedere anch’esso il via libera a tale processo, come ha già fatto la Commissione e come farà domani il Parlamento.

Come già ricordato, non possiamo permettere che alcuni Stati membri comincino ora a tentennare e ad avanzare nuove argomentazioni, quali l’esigenza di nuove garanzie di sicurezza, quando sappiamo perfettamente che l’unica ragione per cui si comportano così è riconducibile a dibattiti politici interni – non c’è giustificazione se si parte dalla realtà dei criteri, già soddisfatti da Albania e Bosnia-Erzegovina. In altre parole, domani sfideremo il Consiglio a dare il via libera, come già fatto da Commissione e Parlamento.

In qualità di relatrice per il Kosovo, devo tuttavia anche rammentarvi – e tale osservazione è in parte rivolta all’onorevole Flašíková Beňová, che credo abbia già lasciato l’Aula, purtroppo – che il Kosovo è uno Stato indipendente. è la realtà dei fatti, malgrado cinque Stati membri dell’UE non l’abbiano ancora riconosciuto e si rifiutino di guardare in faccia alla realtà. è un dato di fatto; è la realtà. Come relatrice per il Kosovo, esorto inoltre la Commissione a dotare il governo del Kosovo di una tabella di marcia per poter iniziare a lavorare e far così finalmente intravedere anche ai cittadini del Kosovo la libertà dai visti e la libertà di viaggiare.

 
  
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  Jaroslav Paška (EFD). (SK) La proposta in esame – un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio – consentirà ai cittadini dell’Albania e della Bosnia-Erzegovina di recarsi senza visto in tutti i paesi dell’Unione europea.

In un periodo in cui diverse organizzazioni di matrice islamica stanno minacciando l’Europa di attacchi terroristici, si tratta a mio parere di un gesto sorprendente e positivo, mirato forse a tutto il mondo islamico. Tuttavia, al di fuori del quadro del regolamento, viene fatto riferimento al Kosovo, citato nella relazione. Secondo quasi due terzi dei paesi membri delle Nazioni Unite, ai sensi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1244 e dell’articolo 2.7, capitolo 1 della Carta dell’ONU, il Kosovo fa oggi formalmente e legittimamente parte della Repubblica serba, anche se regolato da una sorta di protettorato speciale. Reputo pertanto, signora Commissario, che occorra attenersi rigorosamente al diritto internazionale nel caso del Kosovo e non fare distinzioni di residenza o di etnia tra i cittadini della Serbia, bensì consentire agli abitanti della provincia serba del Kosovo di circolare liberamente in tutti i paesi dell’Unione europea con un passaporto serbo, analogamente a quanto già fanno gli altri cittadini della Serbia.

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, è un’idea particolarmente poco saggia liberalizzare i visti per paesi quali la Bosnia-Erzegovina e l’Albania. Nella sua motivazione, l’onorevole Fajon ha dichiarato, e cito letteralmente, che si tratta principalmente di studenti e giovani che si recherebbero a visitare amici e parenti. Siamo di fronte a ingenuità vera o si sta semplicemente fingendo ingenua nel tentativo, per così dire, di negare perentoriamente la realtà? A titolo d’esempio, lei sostiene nella sua relazione che abolire l’obbligo del visto contribuirà a eliminare l’instabilità etnica e politica. Guardiamo in faccia alla realtà: l’unico risultato che otterremmo è semplicemente importare gran parte di tale instabilità nell’Unione europea.

Permettetemi ora di leggervi un estratto di una relazione di Europol, Eurojust e Frontex sullo stato della sicurezza interna nell’UE. Si tratta di un documento del 7 maggio 2010. “L’Albania, il Kosovo, la Serbia, il Montenegro e FYROM sono paesi di transito verso l’UE per immigrati clandestini e vittime del traffico di esseri umani per lo sfruttamento sessuale, di prodotti della cannabis, eroina, cocaina, sigarette, droghe sintetiche e precursori, euro contraffatti e armi da fuoco. I gruppi della criminalità organizzata di lingua albanese svolgono un ruolo primario, soprattutto per il traffico dell’eroina e di donne destinate allo sfruttamento sessuale”. Fine della citazione. Pertanto, invece di intensificare i controlli, adesso aboliamo i visti, spalanchiamo le porte e peggioriamo ulteriormente il problema della criminalità importata.

 
  
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  Andrey Kovatchev (PPE).(BG) Accolgo con favore la relazione dell’onorevole Fajon e la proposta della Commissione di abolire l’obbligo del visto per l’Albania e la Bosnia-Erzegovina. L’esperienza ha dimostrato che, purtroppo, i visti non sono sempre il metodo più efficace per fermare l’immigrazione clandestina e la criminalità organizzata. I più penalizzati dalle restrizioni della libertà di movimento sono i cittadini comuni, in particolare i giovani. Tali restrizioni impediscono ai futuri cittadini dell’Unione europea di vedere con i loro occhi e apprezzare tutto ciò che abbiamo conquistato insieme in Europa, e di incontrare e creare legami di amicizia con altri europei della loro età. Ci tengo a precisare, a beneficio di coloro che hanno appena espresso parere critico, che l’esenzione dai visti concessa a Macedonia, Montenegro e Serbia non ha mai sortito effetti avversi. L’Unione europea si è assunta l’impegno di dare ai Balcani occidentali una prospettiva europea chiara, per cui facciamo la nostra parte e concediamo a questi paesi l’esenzione dai visti.

Naturalmente non possiamo scendere a compromessi sulle misure per combattere la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro, il traffico di esseri umani e lo spaccio di stupefacenti. Altrettanto importante è intensificare le riforme legali e amministrative e migliorare lo stato di diritto di tali paesi. Nessuno in Europa dovrebbe sentirsi isolato ed escluso, senza la possibilità di viaggiare. L’Unione europea poggia su valori che condividiamo con i nostri vicini e con i paesi che hanno imboccato la via dell’integrazione europea. Sono lieto che siamo in procinto di aprire le porte ad albanesi e bosniaci, visto che prevediamo che anch’essi diventino un giorno cittadini comunitari. L’abolizione dei visti nei Balcani occidentali andrà a vantaggio della sicurezza e della libertà dei cittadini di tali paesi e di tutta l’Unione europea. Anche il Kosovo dev’essere incluso nel regime di liberalizzazione dei visti. Dopo l’abolizione delle restrizioni vigenti in Albania e Bosnia-Erzegovina, i cittadini del Kosovo saranno l’unico popolo balcanico che ancora necessiterà di un visto per viaggiare in Europa. Indipendentemente dalle nostre divergenze di opinione in merito al Kosovo, i leader europei devono dare a questo paese una tabella di marcia che conduca all’abolizione dei visti. A mio parere, sarà l’occasione per allentare la tensione etnica nei Balcani, che non saranno più la polveriera storica dell’Europa, bensì diventeranno un modello di rispetto della legge, libertà civili e garanzia di prosperità.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D).(RO) Vorrei esordire congratulandomi con l’onorevole Fajon per la relazione.

Come parte dell’agenda di Salonicco, il processo di liberalizzazione dei visti che riguarda Albania e Bosnia-Erzegovina tiene conto dei progressi compiuti durante i dialoghi degli ultimi sette mesi. è stata condotta una valutazione approfondita caso per caso al fine di produrre un insieme di criteri relativi all’immigrazione clandestina, all’ordine pubblico e alla sicurezza, oltre che alle relazioni esterne dell’Unione europea con i paesi terzi.

In tale contesto, occorre naturalmente prestare particolare attenzione anche alla sicurezza dei documenti di viaggio rilasciati dai paesi terzi in questione. L’esenzione dai visti è stata redatta sulla base delle tabelle di marcia personalizzate per ogni paese. In questo frangente occorre rammentare il destino europeo di entrambi i paesi e il fatto che gli stessi hanno già abolito l’obbligo del visto per tutti i cittadini dell’Unione europea.

Mi preme infine precisare che l’esenzione dai visti dovrebbe essere applicata solamente ai titolari di passaporti biometrici emessi da ciascuno dei due paesi in questione.

 
  
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  Kinga Gál (PPE). (HU) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, accogliamo con favore la notizia che finalmente, quasi un anno dopo l’adozione della nostra posizione su Serbia, Montenegro e Macedonia, siamo ora in grado di pervenire a una posizione nella questione dell’esenzione dai visti anche per la Bosnia-Erzegovina. Un riconoscimento speciale va alla relatrice, l’onorevole Fajon, e alla mia collega Anna Maria Corazza Bildt per il lavoro svolto.

La concessione dell’esenzione dai visti in Europa non può essere considerata né un privilegio, né un gesto diplomatico. Si basa su impegni reciproci, il che significa che i timori in merito alla sicurezza non possono pregiudicare i nostri obiettivi politici. Vorrei pertanto ringraziare sentitamente la Commissione e il Commissario Malmström in persona per il lavoro svolto al fine di garantire la sostenibilità delle tempistiche previste per la liberalizzazione dei visti per i Balcani occidentali.

Il fatto che siano trascorsi soltanto pochi giorni dalle elezioni in Bosnia-Erzegovina rende la questione particolarmente rilevante. I risultati delle elezioni dimostrano inoltre che le divisioni profonde motivate dalle etnie non possono essere cancellate con un colpo di spugna. Grazie all’abolizione dei visti, le prossime generazioni, i giovani, potranno avere accesso a una prospettiva europea, che li potrà aiutare a perseguire la riconciliazione. Anche per questa ragione occorre l’abolizione dei visti in questa regione. La strada che porta alla creazione delle condizioni necessarie alla convivenza pacifica passa per l’Unione europea, e appoggiando l’esenzione dai visti offriamo il nostro personale contributo a tale obiettivo. Per questo non dovremmo dimenticarci nemmeno del Kosovo, e occorre anzi redigere quanto prima un calendario di scadenze anche per tale regione.

 
  
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  Victor Boştinaru (S&D).(EN) Signor Presidente, sono del parere che dovremmo appoggiare l’esenzione dai visti di Albania e Bosnia-Erzegovina, e accolgo con molto favore la relazione Fajon, mentre per quanto riguarda l’Albania dovremmo accertarci di trasmettere il messaggio secondo cui una votazione positiva in seno al Parlamento europeo non rappresenta affatto un riconoscimento per il governo albanese. Si tratta invece e soltanto di andare incontro ai cittadini albanesi che, per oltre un anno, sono stati costretti a subire le conseguenze di una crisi politica infinita. è comunque chiaro che un esito positivo in Parlamento significa essere soltanto a metà dell’opera per l’Albania in quanto, a meno che non vengano messi a segno progressi concreti, alcuni membri del Consiglio finiranno per esprimere delle riserve.

Finora il governo albanese non sembra aver compiuto alcun progresso né aver messo in campo alcuno sforzo per risolvere la crisi politica, malgrado la risoluzione adottata dal Parlamento europeo in giugno. L’unico settore in cui sono stati realizzati passi in avanti visibili è l’area della corruzione, ma purtroppo in senso contrario rispetto alle nostre aspettative, in quanto negli ultimi mesi si sono verificati casi in cui membri di spicco del governo albanese sono stati quotidianamente portati all’attenzione pubblica.

Non è la maniera giusta di comportarsi nei confronti dell’UE e l’Albania dovrebbe dare ascolto a tale monito prima che sia troppo tardi.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE).(EL) Signor Presidente, l’abolizione dell’obbligo dei visti per i cittadini provenienti da tutti i paesi dei Balcani occidentali è una dimostrazione concreta delle prospettive europee delle loro popolazioni. adesso è molto importante che Albania e Bosnia-Erzegovina soddisfino i termini e le condizioni richieste per ottenere l’esenzione dai visti.

Vorrei tuttavia aggiungere qualche commento alle osservazioni già espresse e richiamare la nostra attenzione sui tre punti seguenti: in primo luogo, d’ora in poi occorrerà prestare particolare cautela e rigore in termini di conformità agli obblighi nel settore dell’immigrazione clandestina. Punto ancor più importante, mi preme ricordare all’Assemblea che nel 2009 il confine di Stato tra la Grecia, l’Albania e FYROM è stato il punto in cui è stata arrestata la percentuale più elevata di immigrati clandestini di tutta l’Unione europea, pari al 34 per cento.

In secondo luogo, non dobbiamo ignorare i timori di un possibile incremento del numero di immigrati economici provenienti da queste nazioni e diretti ai paesi del resto dell’Unione europea per una ragione aggiuntiva: qui a Bruxelles è ancora viva l’esperienza di circa un anno fa, quando si è registrato un aumento del numero di domande di asilo politico provenienti da FYROM, Serbia e Montenegro. Come ci è stato ricordato, allora è stato necessario che il governo belga intraprendesse misure speciali immediatamente dopo l’abolizione dell’obbligo del visto.

Infine, gli interrogativi sollevati in questa sede da alcuni Stati membri devono ottenere una risposta, e la Presidenza deve mantenere la propria promessa e organizzare una riunione di esperti per esaminare i punti che secondo alcuni parlamentari sono ancora in sospeso. Si tratta di questioni aperte che devono essere risolte se vogliamo che la procedura avanzi senza intoppi.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE).(PT) Vorrei esordire congratulandomi con l’onorevole Fajon per l’eccellente relazione e con la mia collega, onorevole Bildt, che ha svolto funzioni di relatrice ombra per il gruppo del partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano), per il lavoro svolto sul documento. Qualcuno ci ha già rammentato che, quando nel novembre del 2009 abbiamo adottato l’esenzione dai visti per Serbia, Montenegro e FYROM, non abbiamo potuto fare lo stesso anche per Albania e Bosnia-Erzegovina per la semplice ragione che tali paesi non soddisfacevano i criteri. Di fatto, la liberalizzazione dell’obbligo di visto per accedere allo spazio Schengen è soggetta a una valutazione rigorosa, caso per caso. Tale valutazione si basa su criteri relativi al rafforzamento dello stato di diritto, al’ordine pubblico e alla sicurezza, in particolare alla lotta contro la criminalità organizzata, la corruzione e l’immigrazione clandestina, e alle relazioni esterne dell’Unione europea con i paesi terzi. La valutazione tiene inoltre in considerazione le implicazioni a livello di coerenza regionale e reciprocità.

La proposta presentata dalla Commissione ci fa giungere alla conclusione che attualmente, sulla base delle relazioni di valutazione, questi due paesi soddisfano la maggior parte dei criteri per il trasferimento dall’allegato I (il cosiddetto elenco “negativo”) all’allegato II ((il cosiddetto elenco “positivo”). Rimangono ancora pochissimi criteri che sono ancora in fase di attuazione e che sono tuttora oggetto di monitoraggio da parte della Commissione. La speranza è che questo processo venga completato al più presto.

Il Parlamento europeo e il Consiglio si sono impegnati a prendere una decisione il prima possibile, non appena si avrà la conferma del soddisfacimento di tutti i criteri in questione. Noi stiamo onorando tale impegno e auspichiamo che il Consiglio faccia lo stesso. Come precisato dalla mia collega, onorevole Bildt, è tempo di lanciare un segnale e di porre fine all’isolamento. Speriamo che questi due paesi riescano addirittura a beneficiare dell’esenzione durante il periodo natalizio, in quanto tale misura rafforzerebbe la cooperazione politica ed economica con la regione e contribuirebbe a eliminare il senso di isolamento della popolazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DURANT
Vicepresidente

 
  
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  Lena Kolarska-Bobińska (PPE).(PL) Signora Presidente, l’abbattimento delle barriere e la rimozione degli ostacoli rappresentati dalle restrizioni sui visti costituiranno un momento di gioia non solo per gli abitanti di Albania e Bosnia-Erzegovina, ma anche per noi cittadini dell’Unione europea, in quanto si tratta di una conferma della nostra fedeltà ai valori dell’apertura nei confronti dei nostri vicini. Inoltre, ci darà la certezza di vivere in un territorio più sicuro.

Pur accogliendo con favore il fatto che si siano compiuti notevoli sforzi per garantire l’esenzione dai visti e abbattere tali barriere per alcune zone dei Balcani occidentali, è comunque opportuno rivolgere un’enorme richiesta e un appello alla Commissione europea, al Commissario e anche ai nostri onorevoli colleghi: ricordiamoci dei paesi del partenariato orientale, cogliamo quest’occasione per non dimenticare l’Ucraina, la Repubblica moldova e la Georgia. Altre sfide ci attendono. Abbiamo concluso una prima fase, dobbiamo pensare immediatamente alla prossima. Questi paesi – Ucraina, Repubblica moldova e Georgia – non hanno nemmeno ricevuto una tabella di marcia ufficiale, una richiesta che abbiamo già avanzato durante l’attuale legislatura del Parlamento europeo.

L’Unione europea si è sentita in obbligo nei confronti degli Stati dei Balcani occidentali, e dovrebbe avvertire il medesimo impulso anche verso i suoi – e nostri – vicini orientali. La situazione in entrambi i casi è simile – parliamo di cittadini che, fino a poco tempo fa, potevano recarsi liberamente in alcuni dei paesi dell’Unione europea. Adesso sono purtroppo vittima di restrizioni, e si tratta principalmente di giovani e studenti, in quanto l’elite riesce comunque a muoversi liberamente. Stiamo tuttavia parlando del futuro dell’Europa, di studenti e giovani lavoratori. Non è solamente la vita di queste persone che potrebbe essere interessata dalla liberalizzazione dei visti, ma anche la qualità della democrazia nei paesi coinvolti, che si tradurrebbe in un rafforzamento dei nostri vicini più prossimi e, a propria volta, in un potenziamento dell’Unione europea. Ribadisco pertanto l’appello rivolto alla Commissione europea e al Commissario di accogliere queste ulteriori sfide e di presentare una tabella di marcia per i paesi del partenariato orientale.

 
  
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  Eduard Kukan (PPE).(EN) Signora Presidente, vorrei complimentarmi con la Bosnia-Erzegovina e l’Albania per aver soddisfatto tutti i parametri richiesti per l’esenzione dai visti. Vorrei inoltre congratularmi con la mia onorevole collega Fajon per il suo lavoro ammirevole, dedicato ed entusiasta.

La libertà di circolazione rappresenta una delle libertà più importanti su cui poggia l’Unione europea. Mi fa piacere che tale principio venga ampliato e applicato anche ai paesi limitrofi dell’Europa sudorientale. Si tratta di un passo importante e di uno sviluppo positivo sulla via che conduce alla loro integrazione europea.

Ho constatato personalmente l’effetto positivo sortito dall’esenzione dai visti applicata lo scorso anno ai cittadini di Serbia, Montenegro e Macedonia. La possibilità di recarsi liberamente nell’UE non costituisce solamente un vantaggio di ordine pratico, ma in molti casi ha anche eliminato barriere psicologiche e riavvicinato le persone. Inoltre, ha dimostrato che il principio di condizionalità applicato dall’Unione europea per la liberalizzazione dei visti ha funzionato a dovere e ha prodotto risultati positivi.

L’UE deve tuttavia anche continuare a promuovere la propria credibilità e il proprio impegno. è importante assicurare che l’attuazione del regime di liberalizzazione dei visti per Albania e Bosnia-Erzegovina non subisca ulteriori ritardi. Non si tradurrà soltanto in vantaggi per i cittadini di altri paesi, ma rafforzerà anche la credibilità dell’Unione europea.

Infine, per apportare ancor più stabilità alla regione, la politica di apertura dell’UE nei confronti dei Balcani occidentali non dovrebbe fermarsi qui. Sarei pertanto lieto se nel prossimo futuro venisse proposta anche al Kosovo una strategia e una soluzione per l’esenzione dai visti.

 
  
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  Cecilia Malmström, membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, vi ringrazio sentitamente della discussione. Ho avvertito un consenso molto deciso nei confronti della proposta della Commissione di concedere l’esenzione dai visti ai cittadini di Bosnia e Albania, e penso che si tratti di uno sviluppo molto positivo. La speranza è che domani in plenaria ci sia una maggioranza molto forte, capace di trasmettere alle popolazioni di questi due paesi il messaggio che i deputati eletti del Parlamento europeo sostengono con determinazione il loro desiderio di viaggiare più liberamente nell’Unione europea.

Posso riconfermarvi che i parametri sono stati soddisfatti. Il nostro monitoraggio è molto attento. Resteremo comunque in contatto e continueremo a vigilare, ma i criteri sono stati soddisfatti. Tutti i paesi devono essere trattati in maniera equa. I parametri sono chiari e molto trasparenti. Il processo è stato quanto mai trasparente.

Qualche parola sul Kosovo prima di concludere. Il Kosovo non è stato dimenticato. Anche il Kosovo rappresenta naturalmente un partner molto importante in tal senso. Sono stati compiuti notevoli progressi ma la Commissione, per essere credibile, deve ancora vigilare su tutti i parametri e tutte le condizioni se vuole garantire credibilità e legittimità al processo. Il Kosovo non è pronto. Stiamo collaborando con questo paese. So che il governo sta compiendo sforzi ingenti sul fronte della riammissione e della reintegrazione delle persone che sono state obbligate a rimpatriare. Deve fare di più. Una volta soddisfatte tali condizioni, saremo naturalmente disponibili ad avviare un dialogo sui visti più formale. Nel frattempo, possiamo soltanto incoraggiare gli Stati membri a ricorrere a tutte le agevolazioni previste dal codice rivisto in materia di visti nel momento in cui elaborano le domande di visto presentate dai kosovari.

Onorevole relatrice, la ringrazio di questa discussione così utile e incoraggiante e attendo con impazienza un voto molto deciso domani in plenaria.

 
  
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  Tanja Fajon, relatore.(SL) Mi fa molto piacere che, con qualche rara eccezione di oratori che hanno ammesso di non conoscere affatto la situazione nei paesi dei Balcani, la stragrande maggioranza di quest’Assemblea convenga che sia giunto il momento di appoggiare l’abbattimento delle barriere dei visti nei Balcani occidentali.

Come è stato ribadito più volte, è vero che i criminali e chi non ha problemi di liquidità hanno già individuato dei modi per spostarsi liberamente, ma domani al Parlamento europeo decideremo del destino dei cittadini comuni e della loro mobilità, soprattutto quella di giovani e studenti.

Un’intera generazione è cresciuta imprigionata dalle barriere dei visti e, come abbiamo rilevato, il Kosovo resterà un problema grave. Dobbiamo individuare quanto prima una soluzione per queste persone, in quanto il loro isolamento e la loro frustrazione sono comprensibilmente destinati ad acuirsi. Commissario, ci servono orientamenti chiari per mettere al lavoro le autorità del Kosovo.

Un altro aspetto è il fatto che oggi i cittadini albanesi e bosniaci sono molto più informati grazie alla nostre campagne capillari. Sanno cosa significhi la liberalizzazione dei visti, sanno anche che, abolendo i loro visti nell’Unione europea, non regaleremo posti di lavoro, diritti di asilo, di cittadinanza o simili. Ciò che offriamo loro, tuttavia, è il diritto fondamentale di ogni cittadini europeo, il diritto di circolare liberamente. Per i cittadini di Bosnia-Erzegovina e Albania, e per le popolazioni dei Balcani occidentali in generale, si tratterà di un passo ragguardevole e importante lungo la strada che conduce all’Unione europea.

Per concludere, vorrei aggiungere che quello che faremo domani e ciò che abbiamo fatto lo scorso novembre sarà importante per tutti noi, per il rafforzamento della cooperazione economica e politica non solo nella regione, ma anche nell’Unione europea. In particolare, sarà soprattutto importante per i rapporti con le popolazioni che, per così dire, vivono a qualche chilometro di distanza da noi. Il messaggio che trasmetteremo è che facciamo sul serio e che indubbiamente prospettiamo loro un futuro europeo. I cittadini di Albania e Bosnia-Erzegovina se lo aspettano. Credo che sia questo il messaggio che si attendono per domani.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, come da programma.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Appoggio l’iniziativa comunitaria della liberalizzazione dei visti a favore di Bosnia-Erzegovina e Albania. Vorrei cogliere l’occasione per sollevare la questione della liberalizzazione dei visti per la Repubblica moldova, un paese che ha compiuto progressi ingenti nel quadro del partenariato orientale. Analogamente ad Albania e Bosnia-Erzegovina, durante lo scorso anno la Repubblica moldova ha compiuto sforzi straordinari per conseguire l’esenzione dai visti. Il governo ha già iniziato ad attuare le misure richieste dall’UE ai paesi dei Balcani occidentali come parte delle tabelle di marcia, promuovendo una politica di “attuazione preliminare”. Tra le prime misure in tal senso figurano l’approvazione della legge in materia di stranieri e un lavoro preliminare sull’elaborazione del concetto di gestione integrata delle frontiere.

è stata inoltre presa la decisione di rilasciare esclusivamente passaporti biometrici e si è proceduto alla ratifica dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale. La “barriera” dei visti intacca notevolmente l’immagine dell’UE nella Repubblica moldova. Il primo passo che dovrebbe compiere l’Unione europea per porvi rimedio è l’elaborazione celere di una tabella di marcia per l’esenzione dai visti. Nel contesto delle elezioni imminenti, tale misura trasmetterebbe un forte messaggio di sostegno alle forze europeiste presenti nel paese.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto.(RO) Convengo con la relatrice quando afferma che il processo di riunificazione dell’Europa come continente sarà completo soltanto quando tutti gli europei potranno recarsi liberamente nell’Unione europea. Personalmente la discussione sul tema dei Balcani occidentali mi tocca molto sul vivo, e in particolare i problemi dell’Albania e i progressi che consentono all’Unione europea di esimere dall’obbligo dei visti i cittadini che viaggiano entro i confini dell’UE. Una parte della mia famiglia è originaria dell’Albania. Un anno fa ho accolto con favore l’adozione di questa stessa misura per Macedonia, Montenegro e Serbia. Voterò pienamente convinto del diritto concreto alla libera circolazione per i cittadini europei provenienti da Albania e Bosnia-Erzegovina. Sappiamo tutti quanto siano stati crudeli i conflitti che hanno portato allo smembramento della Iugoslavia e alla divisione della regione. Sappiamo anche che i giovani di questa zona hanno difficoltà ad accettare l’isolamento dalla ricca UE. A noi spetta incoraggiarli. Il diritto a circolare liberamente senza visti ci aiuterà a conseguire tale obiettivo.

 
  
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  Kinga Göncz (S&D), per iscritto. (HU) Il Parlamento europeo può dimostrare ancora una volta il proprio sostegno al processo di avvicinamento e adesione all’UE dei paesi dei Balcani occidentali. Reputo estremamente significativo che la liberalizzazione del regime dei visti per i cittadini di Albania e Bosnia-Erzegovina significherà che quasi tutti gli abitanti dell’ex Iugoslavia potranno recarsi nell’Unione europea senza aver bisogno di un visto. Né la concessione dell’esenzione dai visti né l’adesione possono implicare requisiti diversi dal soddisfacimento dei criteri. Entrambi i paesi si sono conformati ai parametri rigorosi imposti alle loro istituzioni preposte agli affari interi e alla giustizia, e hanno dimostrato di essere pronti e capaci di soddisfare le varie aspettative in loro riposte. Anche gli esperti comunitari che hanno condotto sopralluoghi in loco hanno accertato che i rischi di sicurezza possono essere eliminati. è inaccettabile che i governi permettano che il loro operato venga influenzato da considerazioni di politica interna invece che da una valutazione imparziale del soddisfacimento dei criteri di idoneità. La concessione dell’esenzione dai visti trasmette inoltre ai paesi interessati il messaggio che possono superare con successo gli ostacoli se i loro preparativi vengono sostenuti dall’accordo politico. Ho appreso con piacere che i poteri politici in Albania e Bosnia-Erzegovina hanno unito le forze per conseguire tale obiettivo. Spero vivamente che la possibilità di aderire all’UE, come dimostrato dai risultati tangibili conseguiti oggi, acceleri il processo di avvicinamento e aiuti tali paesi a tenere a bada le forze divisorie e nazionalistiche che non possono che ostacolare tale processo.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto.(DE) Come abbiamo constatato con la liberalizzazione dei visti dello scorso anno, per molte persone l’autorizzazione a spostarsi senza visto equivale a una sorta di carta bianca. Innumerevoli persone si sono avvalse delle condizioni più liberali in materia di visti per entrare nell’Unione europea. Quante di queste persone siano poi effettivamente rientrate nei paesi d’origine una volta scaduto il periodo per il quale era stato concesso il soggiorno, nessuno lo sa. Per noi, è evidente che la liberalizzazione dei visti non ha nulla a che vedere con i posti di lavoro e il diritto di residenza, ma le persone in questione non sembrano aver recepito chiaramente questo messaggio. Il Kosovo, in particolare, rappresenta un problema di rilievo per noi in tal senso. L’UE non è mai stata in grado di decidere cosa ritiene che sia più importante o cosa pensa che sia corretto e opportuno – l’integrità territoriale o il diritto di autodeterminazione dei popoli – e proprio perché abbiamo a lungo ignorato il problema degli Stati multinazionali, adesso ci ritroviamo con un paese balcanico diviso.

Il calcolo di contenere l’immigrazione clandestina nell’UE mediante un accordo di riammissione non può tornare se si continua ad abusare della liberalizzazione dei visti. Tale questione dev’essere risolta definitivamente. L’importanza delle norme sui visti è dimostrata anche dal fatto che Ankara sembra pronta a sottoscrivere finalmente l’accordo di riammissione in cambio della liberalizzazione dei visti per gli uomini d’affari turchi. Tali accordi sono obbligatori per i paesi candidati all’UE. Insieme all’inadempienza dell’accordo sull’unione doganale, ciò dimostra la completa impreparazione all’adesione della Turchia ed è un ulteriore schiaffo per l’Unione europea. Occorre porre fine ai negoziati, una volta per tutte. Lo scopo dovrebbe essere invece rappresentato dalla creazione di un partenariato privilegiato.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE), per iscritto.(ET) L’esenzione dai visti è estremamente importante per la vita delle persone, in quanto intensifica i contatti umani e contribuisce a realizzare il concetto di libera circolazione, uno dei diritti fondamentali dell’Europa. Già nel quadro del piano d’azione di Salonicco l’Unione europea ha espresso il desiderio politico di abolire l’obbligo dei cittadini di tutti i paesi dei Balcani occidentali di farsi rilasciare visti a breve termine. La certezza che nel prossimo futuro l’Unione europea concederà a Bosnia-Erzegovina e Albania, oltre che ai cittadini di Macedonia, Montenegro e Serbia, la possibilità di viaggiare esenti da visto ridurrà il rischio di instabilità etnica e politica, rafforzerà la cooperazione politica ed economica nella regione, rinfocolerà il sostegno dei cittadini a favore dell’Unione europea e migliorerà le prospettive di integrazione europea. Al contempo, allargherà gli orizzonti delle persone e ostacolerà le forze estremiste e antieuropee. C’è tuttavia un aspetto che non mi soddisfa, vale a dire il fatto che il Kosovo sia l’unico paese che, a causa di divergenze private, gli Stati membri hanno escluso dall’abolizione dei requisiti in materia di visto per i cittadini dei paesi dei Balcani occidentali. Non vogliamo penalizzare il Kosovo per divergenze private tra cittadini dei paesi membri, per questo la Commissione europea e il Consiglio dovrebbero introdurre celermente delle misure per coinvolgere il Kosovo nel processo di abolizione dell’obbligo del visto; ciò incoraggerebbe gli organi governativi e statali del Kosovo, e gli stessi politici, a intraprendere le riforme strutturali necessarie, e rafforzerebbe la cooperazione politica ed economica con l’Unione europea.

 

15. Basilea II e revisione della direttiva sui requisiti patrimoniali (DRC 4)(discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0251/2010), presentata dall’onorevole Karas, a nome della commissione per gli affari economici e monetari, su Basilea II e la revisione della direttiva sui requisiti patrimoniali (DRC 4) [2010/2074(INI)].

 
  
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  Othmar Karas, relatore.(DE) Signora Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, con questa relazione su Basilea III il Parlamento europeo denota di avere una posizione chiara sulle delibere del comitato di Basilea. Ci preme richiamare l’attenzione alle questioni e problematiche in sospeso e sui problemi che si trova a dover affrontare l’Europa, e vogliamo sottoporre alla Commissione un insieme di richieste per l’elaborazione del progetto di direttiva. Benché – e a tale proposito vorrei ringraziare tutti i relatori ombra – la relazione sia stata adottata con 38 voti a 0 in sede di commissione, io, come relatore, sento comunque il bisogno di presentare sei emendamenti aggiuntivi, tre dei quali si riferiscono a quanto accaduto nel corso delle riunioni del comitato di Basilea e servono ad aggiornare la relazione, mentre gli altri tre riguardano l’indice di leva finanziaria e le norme in materia di liquidità.

Riteniamo che non sia opportuno incorporare automaticamente l’indice di leva finanziaria nel pilastro 1 a decorrere dal 2018, bensì che ciò debba essere preceduto da un processo di valutazione. In secondo luogo, nella legislazione di Basilea sussistono alcune questioni irrisolte in merito alle norme sulla liquidità, problematiche che devono essere affrontate ai fini dell’aggiornamento.

Sono rimasto un po’ sorpreso dai nove Stati membri dell’UE che fanno parte del comitato di Basilea, in quanto hanno permesso che il processo venisse dichiarato concluso malgrado il fatto che non si riesca a capire come ci possano essere condizioni paritarie tra la struttura economica degli Stati Uniti e la struttura economica e bancaria europea, nonché tra le attività bancarie classiche per il pubblico e quelle d’investimento. Inoltre, continuiamo a non avere una definizione di liquidità.

La crisi economica ha ovviamente dimostrato che ci occorre un cambiamento a livello di condizioni quadro. Pertanto, è giusto affrontare tale questione e formulare proposte. La crisi ha tuttavia anche dimostrato con chiarezza che ci trovavamo principalmente di fronte a una crisi di liquidità e non di risorse patrimoniali, anche se è innegabile l’utilità di un incremento delle risorse patrimoniali – per rendersene conto, basti solo pensare a Lehman Brothers, che deteneva solamente l’11 per cento del capitale.

Dal nostro punto di vista, sussistono ancora cinque questioni irrisolte. La prima è che non esiste alcuno studio sull’impatto delle cifre che sono state ora concordate per la crescita e l’occupazione nell’Unione europea. Vorrei chiedere alla Commissione di produrre e presentare tale studio con una certa urgenza. In secondo luogo, non abbiamo esaminato nel dettaglio gli effetti cumulativi di tutte le norme che stiamo attualmente valutando. Esempi illuminanti in tal senso sarebbero Basilea III, la tutela dei depositi, il prelievo a carico delle banche e l’imposta sulle transazioni, giusto per citarne alcuni. In terzo luogo, non siamo in presenza di condizioni di parità tra l’UE e gli Stati Uniti, ad esempio quando si tratta di norme contabili, e non si è ancora raggiunto un accordo sulle tempistiche di attuazione. Quarto punto, per quanto riguarda la definizione di patrimonio non esistono condizioni di parità tra le banche per il pubblico e le banche d’investimento. In quinto luogo, permangono questioni irrisolte, quali quelle dell’indice di leva finanziaria, della definizione di liquidità e del ruolo delle agenzie di rating alla luce delle decisioni prese dagli Stati Uniti.

Tali questioni devono essere risolte prima che la Commissione produca un progetto di direttiva, e non dovrebbero venir decise dal G20, bensì chiarite prima di essere perfezionate dal comitato di Basilea. Terremo gli occhi aperti.

 
  
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  Michel Barnier, membro della Commissione.(FR) Signora Presidente, onorevole Karas, onorevoli deputati, a pochi giorni di distanza dall’accordo raggiunto in seno al comitato di Basilea, ritengo sia molto importante che il Parlamento dimostri il proprio impegno nei confronti delle riforme bancarie e chiarisca che l’Europa si comporta e si deve comportare in maniera consona alla posizione globale che occupa. Vorrei ringraziare l’onorevole Karas e i membri della commissione per gli affari economici e monetari per l’impegno profuso in questa relazione eccellente.

Onorevole Karas, lei solleva tutta una serie di punti critici che verranno sottoposti a un esame molto attento prima dell’adozione della nostra proposta di revisione della direttiva sui requisiti patrimoniali prevista per la prossima primavera.

Onorevole Karas, vorrei dire innanzi tutto che condivido la sua convinzione dell’importanza dei problemi che sono specificamente europei – la nostra economia bancaria europea non assomiglia in tutto e per tutto a quella delle altre regioni del mondo – e della necessità, onorevole Karas, di una valutazione d’impatto approfondita e dell’esigenza di mantenere condizioni di parità a livello internazionale.

Occorre ovviamente sottolineare che l’aumento della capitalizzazione delle banche rappresenta un requisito imprescindibile per rendere il settore finanziario più stabile e robusto, ma non sarà sufficiente. Come saprete, onorevoli colleghi, visto che è l’oggetto del vostro lavoro, dobbiamo anche garantire una vigilanza più rigorosa, una governance d’impresa più forte, la supervisione delle attività finanziarie speculative e un quadro per la gestione delle crisi e la risoluzione delle crisi bancarie. Ecco la nostra tabella di marcia. Grazie soprattutto a voi, sono stati già compiuti ragguardevoli progressi in tal senso. Penso all’accordo sulla vigilanza e al Libro verde sulla governance delle istituzioni finanziarie.

La Commissione, da parte sua, sta facendo il suo lavoro, e continuerà a farlo in modo tale che entro la fine della prossima primavera avremo presentato a voi e al Consiglio tutti i testi di cui ci compete l’elaborazione per attuare le raccomandazioni del G20. è in questo spirito che, qualche giorno fa, ho presentato i progetti di regolamento sui derivati e sulle vendite allo scoperto. Tra qualche giorno presenteremo un nuovo documento sulla risoluzione bancaria e gli strumenti per la gestione della crisi.

Tuttavia, tornando alla discussione odierna, mi preme soffermarmi su tre punti, sui quali condivido i timori espressi dall’onorevole Karas. Il primo è il riconoscimento degli strumenti di capitale emessi dalle banche cooperative, o banche del settore mutualistico, nel contesto della definizione di capitale di prima qualità (tier one capital). L’accordo raggiunto a Basilea ci consentirà di tener conto delle circostanze specifiche di queste banche non quotate, che svolgono un ruolo essenziale nel finanziare le imprese europee. I miei servizi stanno attualmente collaborando con esperti degli Stati membri per definire le modalità tecniche per un’attuazione adeguata di questi nuovi principi in seno alla legislazione europea.

In secondo luogo, per quanto riguarda le norme in materia di liquidità e la definizione di “riserve di liquidità”, la Commissione si rende perfettamente conto del problema sollevato in particolare per Danimarca e Austria. In effetti, le gravi perplessità espresse in tal senso dalla Commissione costituiscono l’unico motivo per cui non è ancora stato raggiunto un accordo sulla questione. Avevamo delle riserve, e i miei servizi continueranno a collaborare con i nostri partner a Basilea per individuare una soluzione, soprattutto per il riconoscimento delle obbligazioni coperte.

Il terzo punto riguarda l’indice di leva finanziaria. Non possiamo ritrattare gli impegni assunti sul tema in occasione del G20. Siamo comunque soddisfatti dell’accordo raggiunto a Basilea, che fa rientrare l’indice di leva finanziaria nel pilastro 2 durante un periodo di osservazione, come ricordato poco fa dall’onorevole Karas, in vista di trasferirlo poi nel pilastro 1. Tale trasferimento non sarà automatico e noi inseriremo una clausola di revisione in merito nella nostra bozza di proposta per la DRC 4.

Mi preme ora trattare brevemente la questione dell’attuazione dell’accordo di Basilea nell’Unione europea. La crisi finanziaria ha scosso il mondo intero. Ci ha trasmesso degli insegnamenti che dobbiamo fare nostri. Le norme prudenziali globali non erano adatte alle condizioni reali. Oltre alle riforme già intraprese per rafforzare le norme esistenti, disponiamo ora dell’accordo recentemente elaborato a Basilea dal gruppo di governatori delle banche centrali e dai responsabili della vigilanza bancaria.

A mio parere, tale accordo va accolto con favore. Si tratta di un passo importante sulla via del rafforzamento delle norme e della stabilità finanziaria globale, e contribuirà a fissare norme comuni per il settore bancario internazionale, un fatto determinante. L’accordo prepara inoltre il terreno a una soluzione equilibrata: le imprese possono beneficiare di un periodo di adeguamento sufficientemente lungo per soddisfare i nuovi requisiti, che consentiranno un graduale miglioramento della salute del sistema bancario senza compromettere la crescita economica, a nostro avviso.

Onorevoli parlamentari, i miei servizi e i miei colleghi – a cui va il mio ringraziamento – si sono impegnati a fondo a Basilea per individuare soluzioni comuni con i nostri partner non europei. Auspico che i capi di Stato o di governo del G20 approvino questo nuovo accordo di Basilea nel corso del prossimo vertice che si terrà a Seoul in novembre. Ma non ci fermeremo qui.

Il prossimo passo sarà la riforma della base del sistema bancario a livello di Unione. Teniamo sempre in considerazione le circostanze specifiche della nostra Unione quando applichiamo norme internazionali e, onorevoli deputati, la direttiva DRC 4 non farà eccezione; anche in questo caso terremo conto delle circostanze specifiche dell’Unione europea. Inoltre, in questo contesto, condurremo un’analisi macroeconomica e microeconomica specifica che fa parte dell’accordo di Basilea, e naturalmente terremo sempre aggiornati lei e i suoi colleghi, onorevole Karas.

Ci proponiamo di adottare la proposta di direttiva nel primo trimestre del 2011. Ciò significa che gli Stati membri dovranno trasporla entro il 1° gennaio 2013, un tempo congruo per conformarsi alle nuove disposizioni.

E comunque dobbiamo continuare a essere realisti. L’accordo raggiunto a Basilea segna un progresso molto significativo, ma ci tengo a ripetere che c’è ancora molto lavoro da fare. Nei mesi a venire collaboreremo con voi e con gli Stati membri per l’attuazione di una delle riforme essenziali del periodo successivo alla crisi. Anche su questo punto vorrei ribadire con estrema chiarezza che saremo molto solleciti e vigili nell’accertarci che anche i nostri partner globali principali – soprattutto gli americani, ma non solo loro – attuino tale riforma essenziale in maniera corretta e puntuale. Solleverò la questione durante la mia seconda e imminente visita negli Stati Uniti, alla fine di questo mese.

Infine, convengo con lei, onorevole Karas, che è essenziale che il Parlamento europeo ricopra un ruolo ancor più significativo in questo processo. Per questo vorrei concludere impegnandomi a tenervi regolarmente informati – e mi riferisco alla commissione e alla sessione plenaria – su tutti gli sviluppi futuri in seno al comitato di Basilea.

 
  
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  Jean-Paul Gauzès, a nome del gruppo PPE.(FR) Signora Presidente, Commissario, gradirei iniziare elogiando brevemente il lavoro eccellente dell’onorevole Karas. Ero tra quelli che hanno spinto per la produzione di una relazione di iniziativa prima che la Commissione formulasse le proprie proposte sul quadro per la trasposizione dell’accordo di Basilea, e sono lieto che il lavoro svolto dall’onorevole Karas con l’ausilio dei vari relatori ombra abbia messo in luce i punti principali su cui concentrare la discussione.

Non intendo ripeterli in questa sede, Commissario, e accolgo naturalmente con favore i punti da lei sollevati e la determinazione di cui ha dato prova nel volersi assicurare che il quadro normativo sia efficace e fruibile e soprattutto che non dia luogo a distorsioni della concorrenza a livello internazionale.

Passando a un altro argomento, non posso fare a meno di rilevare che spesso sussiste un’enorme discrepanza tra le dichiarazioni rilasciate pubblicamente e l’impegno a tradurle in pratica. Ho inoltre notato che i paesi al di fuori dell’Unione europea, e penso in particolare agli Stati Uniti, hanno la fastidiosa tendenza a esprimere giudizi di valore sul nostro operato, pur non mettendo essi stessi in pratica i sistemi così come dovrebbero.

Per quanto riguarda Basilea, è imprescindibile che le aziende europee beneficino di condizioni di parità e non siano penalizzate rispetto alle imprese americane. Negli Stati Uniti ben poche banche prestano attenzione a queste direttive o al comitato di Basilea e, al momento, non stanno praticamente attuando nessuna disposizione. Non vorrei che le disposizioni adottate in giugno per disciplinare il mondo finanziario americano – le dichiarazioni rilasciate in proposito esagerano il loro effettivo impatto – venissero utilizzate quale base giuridica per non applicare le disposizioni che potrebbero essere introdotte da entità esterne agli Stati Uniti.

Commissario, confido in quella che ritengo la sua incrollabile determinazione e vigilanza per garantire che tali sviluppi non conducano a una distorsione della concorrenza per le banche francesi, per le banche europee, e per coloro che in generale finanziano l’economia. è vero che dovremmo riportare le banche al loro ruolo primario di finanziatori dello sviluppo economico, ma dobbiamo anche accertarci che non vengano penalizzate in maniera esagerata.

 
  
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  Udo Bullmann, a nome del gruppo S&D.(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, vorrei precisare soltanto una cosa prima di iniziare. Il comitato di Basilea è un gruppo composto da banchieri centrali e ispettori più o meno intelligenti, ma non è certamente un consiglio infallibile di saggi e non rappresenta sicuramente la legge. Quest’Assemblea è l’organo legislativo – Commissario, lei lo sa, e noi sappiamo che lo sa – e quest’organo legislativo presterà molta attenzione alle proposte presentate in generale e, laddove ragionevolmente richiesto, anche alle proposte formulate in questa sede.

Non vogliamo chiaramente che si proceda a un irrigidimento delle norme sui requisiti patrimoniali. Come possiamo non volerlo, alla luce della crisi economica in cui ancora ci dibattiamo? Dal 20 al 30 per cento del prodotto nazionale lordo delle nostre economie nazionali è stato dato in garanzia come pacchetto di salvataggio per le banche. I cittadini si aspettano da noi norme decorose in ambito bancario, per non incappare nuovamente in una crisi come quella attuale. Desideriamo che le salvaguardie bancarie prevedano elementi anticiclici come quelli che da anni stanno dimostrando la propria efficacia in Spagna, ad esempio. Benché la loro introduzione abbia incontrato molta resistenza anche in quel paese, adesso stanno producendo effetti benefici, in quanto sono stati attuati con debito anticipo e non hanno acuito la situazione del sistema bancario, anzi, l’hanno rafforzato.

Sussistono ancora questioni chiave irrisolte, e sono sinceramente grato al relatore, onorevole Karas, per averle poste al centro della sua relazione di iniziativa, che riscontra il nostro totale e assoluto consenso. La prima di tali questioni è che effettivamente ci serve una valutazione d’impatto, uno studio specifico e complesso per chiarire quali possano essere le ripercussioni sul settore finanziario nel suo complesso, come prima cosa, ma anche naturalmente sull’economia reale. Qual è l’impatto a livello di evoluzione futura delle condizioni di finanziamento del credito per le piccole e medie imprese?

La seconda questione è che stavolta, a differenza di quanto accaduto in precedenza, dobbiamo accertarci che gli accordi vengano attuati anche in altri territori. Dobbiamo saperlo prima di legiferare, altrimenti daremmo luogo a una nuova asimmetria per la quale non possiamo essere ritenuti responsabili.

La terza problematica è che non ci possono essere discriminazioni in termini di forme giuridiche: le forme giuridiche che, nel variegato panorama del sistema bancario europeo, hanno dimostrato il loro valore durante la crisi finanziaria – e parlo delle banche che hanno prestato attenzione al settore delle PMI e di quelle che si sono focalizzate sulla clientela privata e non hanno pertanto corso rischi transfrontalieri – non devono essere penalizzate per solidarietà al sistema. La proposta attualmente in esame non offre garanzie sufficienti in tal senso. Riteniamo pertanto che occorra migliorare subito le proposte e valutare come affrontare la questione in termini pratici. L’attività bancaria pubblica nel suo complesso riveste un enorme valore, se gestita in maniera ragionevole. Dobbiamo inoltre chiederci – e mi riferisco in particolare ai conferimenti taciti – come verranno gestite tali istanze in futuro se accetteremo le disposizioni così come sono state elaborate a Basilea. Non può essere questa l’ultima parola, né la versione definitiva che noi accetteremo.

Occorre misurare gli strumenti di capitale per capire in che misura possano garantire una qualità coerente senza condizioni fallaci, siano in grado di assorbire le perdite e siano durevoli e flessibili in termini di pagamento, come sostiene anche il relatore nel proprio documento. Per noi si tratta di una posizione di partenza ragionevole. Vogliamo che gli effetti della leva finanziaria siano limitati e che si tenga debitamente conto dei diversi profili di rischio. Pertanto esamineremo la sua proposta, Commissario, e auspichiamo la miglior cooperazione possibile con il Parlamento.

 
  
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  Sharon Bowles, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signora Presidente, vorrei dire al signor Commissario che quando abbiamo votato sulla vigilanza, io ho commentato che la nostra legislazione assomigliava a un pezzo di formaggio Emmenthal, pieno di buchi, di carenze che il regolamento comune non sarebbe stato in grado di colmare.

E poi la scorsa settimana, in occasione di Eurofi, si sono riuniti i banchieri di tutta l’UE per parlare di Basilea III. Il termine ricorrente sulla bocca di tutti è stato “nazionale”: flessibilità nazionale, norme nazionali, deroghe nazionali; la malattia degli incentivi perversi ha contagiato tutti. Non appena viene concordato un quadro per l’armonizzazione e la stabilità, iniziano le contorsioni e le lusinghe per garantire deroghe ed eccezioni, e francamente in questo caso le cose non sono andate meglio. Mi sono stufata. Perché l’Europa dev’essere la piagnucolona di Basilea? Non era questo che intendevamo con architettura di vigilanza. Non è questo il fine di Basilea III. I fatti sono chiari. Il G20 non ha lasciato adito a dubbi. Le banche devono riuscire a resistere al genere di crisi che ci ha appena travolti e in tal senso il capitale è cruciale.

Non sono insensibile ai problemi dell’economia reale né all’esigenza delle banche di impiegare i fondi e, come altri oratori, attendo con impazienza le valutazioni macroeconomiche e d’impatto cumulativo non soltanto di Basilea, bensì di tutte le norme finanziarie postcrisi che lei, Commissario, e il Commissario Rehn mi avete promesso nel corso delle vostre audizioni di competenza.

Il mio messaggio per le banche è il seguente: non possiamo accogliere le vostre lamentele quando i vostri dati aggregati sono avvolti dal segreto e quando apponete il timbro “riservato” su ogni vostro documento. Pertanto, per quanto mi riguarda, l’ampia tempistica garantita da Basilea genera già un ritardo sufficiente: basta così.

Ebbene, Commissario, le misure in materia di liquidità – come rilevato da altri oratori – non sono state interamente risolte, e io temo la comparsa di altri incentivi perversi, vista la concentrazione crescente sul debito sovrano e gli strumenti a breve termine. Dobbiamo prestare molta attenzione; dobbiamo riflettere e non applicare le stesse identiche misure in tutte le singole norme prudenziali, in quanto potrebbero non essere opportune e segnare il tracollo degli investimenti azionari e dell’economia reale.

 
  
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  Philippe Lamberts, a nome del gruppo Verts/ALE. (FR) Signora Presidente, Basilea III dovrebbe costituire una base di partenza e non può dunque in nessun caso rappresentare il limite più lontano al quale è disposta a spingersi l’Unione europea. A coloro che affermano che se ci spingessimo oltre Basilea potremmo pregiudicare la competitività delle nostre banche sulla scena internazionale, rispondo che la nostra preoccupazione principale è e dovrebbe essere l’autosufficienza della nostra economia. E se questo significa norme più severe, ben vengano. Mi preme inoltre aggiungere che sentiamo sempre parlare di condizioni di parità, eppure gli Stati Uniti non esitano affatto a giocare al cavaliere solitario ogni volta che possono e quando lo ritengono conveniente. Non voglio pertanto che l’Europa si limiti a stare ad aspettare una sorta di consenso che non si materializzerà mai.

In secondo luogo, tutti i periodi di transizione devono necessariamente essere limitati nel tempo, e vi posso dire che gli otto anni che contiamo di applicare nel nostro caso sono troppi. Per di più, un fattore che non è stato considerato, in questo periodo di transizione vanno introdotte condizioni rigorose per quanto riguarda la distribuzione di dividendi e la corresponsione di bonus. A nostro avviso, sarebbe indecoroso e inaccettabile constatare che le banche si lamentano della difficoltà di costituire le riserve patrimoniali imposte dalle nuove norme mentre i loro azionisti e dirigenti continuano ad attingere allegramente alla cassa.

Il mio ultimo messaggio è indirizzato direttamente alle banche. A quelle banche che si lamentano che non potranno più realizzare gli stessi profitti degli anni d’oro, rispondo che tutte le imprese che operano nel settore industriale o al dettaglio sono costrette ad accontentarsi di utili annuali netti compresi tra il due e il cinque per cento – e che non c’è nulla da vergognarsi. è giunto pertanto il momento di rendersi conto che la festa è finita.

 
  
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  Vicky Ford, a nome del gruppo ECR.(EN) Signora Presidente, mi rendo perfettamente conto che la crisi economica è lungi dall’essersi conclusa e che nell’economia generale abbiamo urgentemente bisogno di credito. Tuttavia, la settimana scorsa abbiamo constatato come in Irlanda le banche si stiano ancora rivolgendo ai contribuenti per essere salvate.

Non possiamo continuare a permettere che siano i contribuenti a salvare le banche. Servono banche pronte ad assumersi i rischi, ma per farlo necessitano del patrimonio e della liquidità necessari a garantire autonomamente la propria sopravvivenza quando tali rischi danno luogo a catastrofi. Si tratta di una questione complicata, e per questo vorrei ringraziare l’onorevole Karas, ma c’è ancora del lavoro da fare e ci occorrono anche i meccanismi di risoluzione adeguati.

Dal numero di emendamenti presentati è evidente che gli eurodeputati sono desiderosi di approfondire la questione nei dettagli e di capirne l’impatto. Dobbiamo assicurarci che venga adottato un approccio analogo alle garanzie collaterali nel linguaggio dei derivati. In primo luogo, esiste una valutazione d’impatto – è stata fatta per Basilea – ma è così avvolta dalla segretezza che non riusciamo nemmeno a vederla. Rendiamola pubblica e utilizziamola.

Quando stipuliamo un accordo internazionale, dobbiamo assicurarci che venga attuato a livello globale – non soltanto qui e a Wall Street, bensì in tutto il mondo. Il testo in esame presenta numerosi punti che si prestano a interpretazioni contraddittorie – il paragrafo 24, sugli interessi di minoranza e il trattamento dei crediti fiscali, il paragrafo 40 con la sua descrizione dei Pfandbriefe, e il nuovo paragrafo 43A.

Sì, Basilea dovrebbe valutare l’opportunità delle reti di piccole banche che si sostengono a vicenda. Lo stanno facendo. Tuttavia, secondo la mia interpretazione della versione inglese, rischiamo in un certo senso di essere visti come coloro che desiderano anticipare le loro conclusioni.

Si è inoltre convenuta una migrazione verso un’interpretazione completa e vincolante dell’indice di leva finanziaria. Non discostiamoci da tale obiettivo. Sono d’accordo sul fatto che le buone prassi a livello locale dovrebbero poter essere mantenute, ma cerchiamo di esaminarle pubblicamente e di non imporre poi deroghe introducendole dalla porta di servizio. Il mercato non potrà che giungere alla conclusione che tale porta di servizio rappresenti un modo di promuovere le cattive pratiche, e non le buone.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE).(FR) Signora Presidente, vorrei esordire ringraziando il relatore, onorevole Karas, per il lavoro eccellente, e appoggio appieno il suo approccio a questa problematica complessa. Ritengo tuttavia che sia importante sfruttare i due minuti che ho a disposizione per porre l’accento su una questione citata nella relazione ma che merita una disamina più attenta. Mi riferisco alla questione delle obbligazioni ipotecarie, o Pfandbriefe in tedesco, nel contesto degli standard di liquidità.

Il nuovo regime europeo di liquidità che ci stiamo apprestando a ridefinire dovrebbe riconoscere in maniera più puntuale la loro specificità economica, giuridica e operativa. Le obbligazioni ipotecarie vengono utilizzate per i finanziamenti a lungo termine e gli investimenti nell’economia nel senso più ampio del termine. Tuttavia, la proposta attuale del comitato di Basilea su tali titoli sortirebbe un impatto negativo e sproporzionato sull’economia europea rispetto ad altri importanti spazi economici, quali gli Stati Uniti.

Accolgo sicuramente con favore il fatto che l’accordo del comitato di Basilea del 26 luglio 2010 consideri le obbligazioni ipotecarie alla stregua di attività altamente liquide nel contesto del calcolo dell’indice di copertura della liquidità. Esorto tuttavia il comitato di Basilea e la Commissione, il signor Michel Barnier, ad attribuire maggiore riconoscimento a tale strumento finanziario, al fine di promuovere una diversificazione adeguata delle attività-riserve di liquidità idonee e di evitare distorsioni sui mercati. Tale strumento finanziario a basso rischio deve beneficiare di un contesto favorevole al proprio sviluppo.

 
  
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  Anni Podimata (S&D).(EL) Signora Presidente, sappiamo tutti che la discussione odierna sull’accordo raggiunto dal comitato di Basilea rappresenta l’ennesima misura dettata dalla crisi recente, una recessione che ha messo radicalmente in evidenza le lacune e le debolezze della regolamentazione e vigilanza del sistema bancario, ha sconfessato quella che fino ad allora aveva rappresentato la dottrina dominante della deregolamentazione dei mercati e ha posto l’accento sulla necessità di norme più severe sia sull’adeguatezza patrimoniale sia sulla vigilanza delle istituzioni finanziarie.

In tale contesto, il comitato di Basilea ha elaborato un accordo che comprende determinati principi di base e prevede di apportare modifiche necessarie alle norme in materia di adeguatezza patrimoniale, allo scopo di migliorare le salvaguardie del sistema bancario. Per quanto riguarda l’attuazione di tale accordo in Europa, la relazione Karas evidenzia numerosi aspetti importanti che devono essere presi seriamente in considerazione, quali la peculiarità del mercato europeo, nel quale l’80 per cento dell’attività di impiego si basa su crediti bancari, la necessità di democratizzare il processo di Basilea con un coinvolgimento più attivo del Parlamento europeo, solo per citarne alcuni, e, naturalmente, la proposta di includere tutto il debito sovrano dell’area euro come attività liquide di alta qualità indipendentemente dal loro rating del credito, in modo da ridurre l’influenza delle agenzie di rating.

Mi preme tuttavia ribadire che le nuove misure in materia di adeguatezza patrimoniale rappresentano una revisione minima e richiedono una riforma più generale in un arco di tempo più lungo. Come ricordato dal Commissario, l’Europa ha già compiuto un passo importante con l’adozione del nuovo sistema europeo di vigilanza. Stiamo cambiando rotta e promuovendo un maggiore coordinamento come strumento preventivo di base. Ma non ci dobbiamo fermare qui. Occorrono misure ulteriori, quali l’introduzione di un quadro normativo e di vigilanza per le agenzie che fino ad ora hanno operato senza essere soggette a controlli, quali le agenzie di rating del credito e i fondi alternativi.

Come sottolineato dalle proposte da lei recentemente presentate, signor Commissario, occorre adottare norme per disciplinare le transazioni poco chiare e, come tali, soggette a rischi sistemici crescenti, quali il mercato dei derivati fuori borsa e le opzioni scoperte. Infine, signor Commissario, come da lei riferito riguardo al vertice del G20 di Seoul, dobbiamo adoperarci per introdurre un’imposta sulle transazioni finanziarie, non per vendicarci delle banche o per punirle, bensì per limitare le speculazioni e trasmettere ai cittadini dell’UE che stanno attualmente pagando lo scotto della crisi un messaggio incisivo, vale a dire che ci attendiamo una distribuzione più equa degli oneri.

 
  
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  Wolf Klinz (ALDE).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, se le banche verranno costrette a detenere un patrimonio maggiore per i prestiti e gli strumenti finanziari, avranno una maggiore possibilità di assorbire le perdite. Le proposte più recenti formulate dal comitato di Basilea partono da tale presupposto basato sulla stabilità. Purtroppo, finora il comitato di Basilea non ha affrontato in maniera soddisfacente il problema delle banche rilevanti per il sistema. Accolgo pertanto con favore la richiesta dell’onorevole Karas di rendere gli standard di liquidità indipendenti dalla rilevanza a livello di sistema. In altre parole, occorre applicare condizioni giustamente più severe alle banche che, per questioni di dimensioni o per la loro interconnessione al sistema finanziario globale, in situazioni di crisi devono essere salvate dai fondi dei contribuenti.

Dovremmo adottare un approccio più differenziato al fattore della leva di indebitamento. Dovremmo valutarne l’introduzione permanente nel primo pilastro solamente quando verrà dimostrato dai fatti che tale strumento non porta ad arbitraggi e a distorsioni della concorrenza e contrasta efficacemente l’eccessiva concessione di crediti.

In ogni caso, tali proposte vanno attuate a livello globale. Non possiamo permettere che le autorità americane esercitino un’influenza determinante sulle proposte di Basilea per poi non attuarle. Il vertice del G20 che si terrà il mese prossimo a Seoul ci dirà se e in quale misura conseguiremo tale obiettivo.

 
  
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  Sławomir Witold Nitras (PPE).(PL) Signora Presidente, mi preme innanzi tutto esprimere la mia soddisfazione per il fatto che il Parlamento europeo abbia sollevato tale questione, soprattutto perché la relazione è stata il frutto di un’iniziativa parlamentare. Vorrei complimentarmi sentitamente con l’onorevole Karas.

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a uno sviluppo senza precedenti delle diverse tipologie di innovazione finanziaria e dei nuovi strumenti disponibili. Di fatto, sono spesso questi stessi strumenti a determinare la natura del mercato odierno. A mio parere, un requisito essenziale per esercitare una vigilanza efficace nella situazione attuale è quello di possedere informazioni veramente affidabili su quello che sta accadendo in questi mercati. Nel frattempo, gli strumenti finanziari che si sono diffusi in maniera capillare hanno raggiunto un livello di complicazione tale da costituire un ostacolo insormontabile per gli addetti alla supervisione che devono valutare adeguatamente i rischi ad essi connessi.

A parte i nuovi strumenti, dobbiamo renderci conto che il mercato sta cambiando e si sta rapidamente globalizzando e che, quando gli ispettori nazionali si trovano di fronte al mercato globale e in perenne evoluzione, non possono che constatare l’inadeguatezza di tali strumenti e l’inefficacia della supervisione. La crescita delle istituzioni finanziarie sta inoltre causando, in un certo senso, una carenza di controlli a livello di vigilanza, e di conseguenza anche la vigilanza stessa ne risulta ostacolata.

Con tutto ciò intendo dire che di fatto manca una visione generale del settore, in termini sia geografici sia di l’attività stessa del settore. A mio parere, essere consapevoli dei soggetti attivi nel settore, nonché del costante cambiamento dell’attività stessa, è cruciale per la sicurezza del sistema finanziario su scala globale. Mi pare che finora ciò sia mancato.

Le attuali norme di Basilea riguardano di fatto il capitale, e sono lieto che le nuove misure attuino i requisiti associati agli aspetti della liquidità, oltre che i meccanismi di una politica anticiclica. Le misure proposte in questo settore andrebbero caldeggiate. Alla luce dell’efficacia ridotta degli indicatori patrimoniali quale misura diagnostica preventiva, la stabilità del sistema e il tentativo di standardizzare gli indici di copertura della liquidità andrebbero valutati positivamente nella prospettiva sia a breve, sia a lungo termine; infatti, sono stati proprio i problemi di liquidità a richiedere le misure per salvare le banche a cui abbiamo assistito.

 
  
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  Olle Ludvigsson (S&D).(SV) Signora Presidente, sotto molti punti di vista il fatto che vada avanti il lavoro sulle nuove norme di adeguatezza patrimoniale è un buon segno. La conclusione soddisfacente del processo di Basilea III è una condizione imprescindibile per poter riuscire a ripristinare la stabilità del settore finanziario. La relazione su cui ci apprestiamo a votare è equilibrata e ben formulata, ma mi preme comunque sottolineare tre punti su cui avrebbe potuto essere più chiara.

In primo luogo, è di per sé importante non mettere eccessivamente sotto pressione le banche concedendo loro un periodo di attuazione troppo breve ma, al contempo, è altrettanto essenziale che l’attuazione non proceda troppo lentamente. Lo scopo dovrebbe essere garantire alle banche una stabilità sufficiente per riuscire a far fronte alla prossima recessione. Con un obiettivo lontano come quello del 2017/2018, si corre il rischio che molte banche non riescano nell’intento.

In secondo luogo, dobbiamo adoperarci affinché l’attuazione venga condotta cooperando strettamente e positivamente con gli Stati Uniti e altri soggetti. La finalità evidente dovrebbe essere quella di stabilizzare l’intero settore bancario internazionale, non soltanto una parte dello stesso. Eventuali aree con regolamentazione più lasca o con un tasso di attuazione più lento potrebbero esporre a rischi l’intero sistema globale.

In terzo luogo, le simulazioni di crisi periodiche rappresentano un metodo eccellente per garantire continuamente la stabilità del sistema bancario. Dovremmo utilizzarle come strumento efficace a complemento delle norme patrimoniali. Si potrebbero tranquillamente aumentare sia la frequenza sia i requisiti di tali simulazioni. La crisi ha dimostrato che certe cose possono accadere con una celerità sorprendente. Nel settore finanziario è quindi importante monitorare sempre e con molta attenzione tutti gli sviluppi.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE).(SV) Signora Presidente, Commissario, le nuove norme di Basilea fisseranno le condizioni essenziali per la stabilità e la crescita sostenibile. La crisi ci ha insegnato che le banche devono disporre di capitali più ingenti e di migliore qualità e che la normativa deve garantire attività bancarie solide e assunzione di rischi sana. Le norme in materia di indice di leva finanziaria devono essere formulate in modo tale che le banche che prestano capitale a basso rischio non vengano penalizzate. C’è il rischio che le norme infieriscano soprattutto sulle banche dei paesi nordici, in quanto tali istituti dispongono di ampi portafogli di mutui fondiari a basso rischio. Ciò è per noi motivo di preoccupazione.

Tutte le direttive e le nuove norme devono essere il frutto di riflessioni adeguate ma, in generale, rischiamo di avere troppe regole che, a propria volta, potrebbero andare a discapito della crescita. Convengo con l’onorevole Bowles, la Commissione deve presentare un’analisi degli effetti sulla crescita di tutte queste nuove norme bancarie. Norme e nuove leggi non rappresentano sempre la risposta. Non accontentiamoci di un risultato buono se possiamo conseguirne uno eccellente.

 
  
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  Antonio Cancian (PPE) . – Signora Presidente, signor Commissario, ringrazio il collega Karas per l'ottimo lavoro svolto. Ritengo di aver assistito impotenti di fronte a questa grave crisi economica finanziaria globale in questi ultimi due anni, anche se qualcuno afferma che poteva andare ancor peggio.

Oggi l'Unione europea è in prima linea e Lei, signor Commissario, sta conducendo una rivoluzione, mirata alla stabilità, che dia le dovute garanzie. Nell'ultima plenaria abbiamo dato uno scossone positivo al potere economico, a salvaguardia dell'Europa stessa. Come Lei diceva poc'anzi, sono già state approntate le proposte sui prodotti derivati e le vendite allo scoperto, così come è in discussione la tassazione alle banche e il prelievo sulle transazioni finanziarie, in attesa della proposta di revisione definitiva della Commissione.

Signor Commissario, occorre prestare attenzione a che, come spesso succede, non si passi da un estremo all'altro, con norme e leggi che potrebbero imbrigliare o frenare lo sviluppo e il rilancio economico. Credo che rigidità e burocrazia siano sempre in agguato. È vero che in questo momento occorre stabilità ma è ancor più vero che abbiamo molto bisogno di crescita, crescita e crescita – come ha affermato in quest'Aula il Presidente Barroso.

Con Basilea III si avvia un percorso che richiede la responsabilità di tutti ma è necessario salvaguardare la competitività e la parità di condizioni e prestare attenzione alle PMI, da una parte, e alle banche di risparmio e di credito cooperativo, dall'altra, che sono vicine al territorio.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signora Presidente, credo che conveniamo tutti sul fatto che occorre rafforzare la capacità di resistenza del sistema bancario. Grazie all’onorevole Karas, adesso sappiamo che, stando alle proposte di Basilea, non disponiamo di condizioni di parità e, in presenza di condizioni non paritarie, è impossibile competere. Anzi, c’è il pericolo di segnare molte autoreti.

è stata sollevata la questione, che però va approfondita, della totale diversità tra gli USA e l’Europa. L’economia statunitense viene prevalentemente finanziata attraverso i mercati dei capitali. L’Europa dipende principalmente dalla capacità di credito del settore bancario e noi in Irlanda lo sappiamo bene. Le nostre banche non sono semplicemente in grado di fornire credito alle PMI, e piccole e medie imprese altrimenti fiorenti finiscono giornalmente in bancarotta semplicemente perché affamate di credito. E, come faceva notare Vicky, sono i contribuenti che stanno salvando le banche e finanziando gli incentivi alle dimissioni, i fondi pensione, le sostanziose liquidazioni dei regolatori poco attivi, eccetera.

C’è ancora molto lavoro da fare per giungere a una soluzione equilibrata, e ritengo che sia proprio questa la chiave. Trovo incoraggiante la risposta del Commissario, che ha effettivamente promesso di collaborare con noi e di cercare di trovare un equilibrio e stabilire condizioni di parità. Solo allora segneremo dei goal e non subiremo delle autoreti.

 
  
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  Michel Barnier, membro della Commissione. (FR) Grazie, signora Presidente, e grazie a tutti voi per le proposte, l’incoraggiamento, i suggerimenti e le richieste, di cui io e la mia squadra abbiamo preso attentamente nota.

L’onorevole Gauzès è stato il primo a citare la necessità di trovare un equilibrio adeguato, imitato poi dagli onorevoli Schmidt, Klinz, Ludvigsson e adesso anche Kelly. Sì, ci proponiamo di trovare il giusto equilibrio, anzi, ci sono tre aree specifiche alle quali dedicherò particolare attenzione in tal senso:

Occorre calibrare con intelligenza e precisione le misure stesse di Basilea e il modo in cui verranno trasposte nella nostra legislazione. Sfrutterò al meglio i periodi di transizione e gli spazi di manovra che ci concede l’accordo di Basilea, e poi voi offrirete anche il vostro contributo.

La seconda area per la quale occorre un equilibrio adeguato è tra le misure di Basilea e tutti gli altri provvedimenti che stiamo introducendo nel contesto dell’agenda del G20 nel campo della prevenzione e gestione delle crisi, e tornerò su questo punto tra un attimo.

La terza area, testé citata dall’onorevole Kelly, riguarda gli Stati Uniti. Onorevole Kelly, so bene che il settore bancario europeo è più partecipe del finanziamento dell’economia rispetto agli Stati Uniti, e noi terremo conto di tale differenza. Dobbiamo occuparci della questione – e mi rivolgo in particolare all’onorevole Lamberts – senza aspettare gli Stati Uniti. Ritornerò negli Stati Uniti per incontrare Tim Geithner e gli altri supervisori, e non ci andrò per procrastinare le decisioni, bensì per accertarmi che ci stiamo muovendo tutti nella stessa direzione su Basilea II, Basilea II e mezzo, Basilea III, Basilea IV – mi correggo, Basilea III e la DRC 4 – e su un altro tema estremamente sensibile che potrebbe dare luogo a divergenze tra americani ed europei, vale a dire le norme contabili. Non ci poniamo pertanto in maniera ingenua nel nostro rapporto con gli Stati Uniti, ma non vogliamo nemmeno fare il processo alle intenzioni.

Posso pertanto rassicurare l’onorevole Gauzès e gli altri europarlamentari che presteremo particolare attenzione a questo triplice equilibrio. Inoltre, l’onorevole Cancian ha giustamente citato l’instabilità finanziaria, che di fatto è il peggior nemico della crescita. Per tale ragione dobbiamo stabilire condizioni che promuovano una maggiore stabilità finanziaria e, alla luce del dibattito attualmente in corso con la Cina, aggiungerei anche la stabilità monetaria.

Ho preso debitamente nota delle osservazioni dell’onorevole Bullmann, che ci esortava a condurre analisi microeconomiche e macroeconomiche. Sfrutteremo in maniera costruttiva i periodi di transizione, che non sono a tempo indeterminato, e lei ha ragione, onorevole Bullmann, quando afferma che è in questa sede e in seno al Consiglio che vengono elaborate le leggi, e non altrove, non a Basilea. è qui che si trova il legislatore europeo, ed è proprio per questo che vogliamo elaborare una proposta per la DRC 4, una proposta legislativa per la quale cercheremo la vostra approvazione persino prima delle fasi di discussione e proposte.

Onorevole Bowles, lei fa benissimo a interpellarci e ad affermare che le cose non possono andare avanti come se niente fosse. Mi capita anche di sentire qualche banchiere che ha la memoria corta e ci viene a dire che la crisi economica è finita e che tutto può ricominciare come prima. Non ci possiamo permettere di avere la memoria corta, e le cose non possono andare come prima. Siamo serissimi nella nostra volontà di avviare delle riforme.

Signora Presidente, mi preme anche aggiungere che la capitalizzazione migliore di cui stiamo discutendo a Basilea e per la DRC 4 non è l’unico strumento né l’unica soluzione. Esistono molte altre alternative per la gestione delle crisi, e che io ho citato prima nel mio primo intervento: ci sono ovviamente tutte le misure che stiamo intraprendendo per disciplinare i fondi hedge, che spero completeremo nei prossimi giorni; ci sono poi i nostri interventi a livello di private equity, derivati e vendite allo scoperto. Ci sono altri strumenti altrettanto importanti. Poco fa l’onorevole Ludvigsson ha citato le simulazioni di crisi, che devono essere condotte periodicamente. Al momento è questo il nostro approccio.

Onorevole Lamberts, citerò soltanto un altro punto da lei sollevato: il pagamento dei dividendi da parte di banche che non mettono in pratica i requisiti di capitalizzazione minima. Tale problema è stato chiaramente considerato nel caso di uno dei cosiddetti cuscinetti, in questo caso il cuscinetto per la conservazione del capitale, che sancisce che una banca non è autorizzata a distribuire dividendi se non ha soddisfatto il requisito di capitalizzazione minima. Si tratta di una delle disposizioni che inseriremo naturalmente nella nostra proposta legislativa.

Onorevole Ford, è vero, dobbiamo tutelare i contribuenti. Sono certo che presterete particolare attenzione alle proposte che pubblicheremo tra qualche giorno in materia di gestione e prevenzione delle crisi, e sull’istituzione – è la nostra speranza – di un fondo di risoluzione in ogni paese membro, in modo da garantire che siano le banche, e non i contribuenti, a pagare per le banche.

L’onorevole Lulling ha posto una domanda molto specifica. Sì, nei colloqui di Basilea io e i miei colleghi ci siamo concentrati su questo punto e abbiamo ottenuto un accordo ai sensi del quale il 40 per cento delle riserve di liquidità possono essere costituite da Pfandbriefe, o obbligazioni ipotecarie, oggetto della sua domanda. Ritengo sia un risultato positivo, e siamo decisamente a favore della diversificazione delle attività liquide.

L’onorevole Klinz ha sollevato la questione degli istituti “troppo grandi per fallire”. Anche in questo caso, quando è stato intavolato questo tema con gli Stati Uniti, ho risposto che era impossibile fare confronti, visto che i sistemi bancari statunitensi ed europei sono diversi, in termini sia di contributo all’economia, sia di struttura. Tuttavia, onorevole Klinz, è una questione non ancora risolta a livello internazionale, a livello sia di G20 sia di Consiglio di stabilità finanziaria. Seguiamo con attenzione la situazione per accertarci che i contribuenti non debbano né possano essere coinvolti.

Onorevole Nitras, per quel che concerne gli strumenti finanziari complessi, ci occorre una vigilanza più puntuale. Per questa ragione la nuova autorità europea, l’ESMA, svolgerà un ruolo chiave, grazie soprattutto a questo Parlamento, nel valutare l’opportunità di bandire determinati prodotti tossici, e assisterete a un ulteriore rafforzamento del ruolo dell’ESMA nel prossimo futuro.

Vorrei infine informare l’onorevole Podimata che, nel caso delle agenzie di rating, anche in questo frangente adotteremo una terza serie di provvedimenti. Quello che abbiamo fatto finora con voi non è sufficiente, e al momento mi sto dedicando a questa terza ondata di misure volte a disciplinare le agenzie di rating e a diversificare il mercato delle stesse che, per usare un eufemismo, è in mano a un numero troppo esiguo di soggetti. Venerdì scorso abbiamo interpellato i ministri di Ecofin e alla riunione ha presenziato anche il vostro presidente di commissione, onorevole Bowles. Preparerò una consultazione volta a rafforzare tale regolamentazione.

L’onorevole Schmidt ha poi citato la problematica dell’effetto cumulativo; penso di aver risposto alla domanda quando ho parlato del triplice equilibrio, che seguiremo molto da vicino.

 
  
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  Othmar Karas, relatore.(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi. La discussione è stata lucida, chiara, competente e responsabile. Abbiamo dato di noi un’immagine eccellente, di coesione e determinazione. Commissario, vorrei anche ringraziare tutti coloro che hanno preso parte al dibattito, lei compreso. Non stiamo mettendo in dubbio il processo, diciamo soltanto che non è concluso. Abbiamo anche sollevato una questione spinosa. Il punto dolente in questione consiste principalmente nelle differenze che sussistono tra le strutture bancarie ed economiche europee e statunitensi. A questo punto ci preme fare chiarezza su un punto, cioè che mentre il processo legislativo non è ancora iniziato, il processo di Basilea pregiudica e limita la nostra libertà di manovra al momento di prendere decisioni politiche. Cosa sarebbe successo se non avessimo prodotto spontaneamente una relazione di iniziativa? Oggi non ci sarebbe stata alcuna discussone. Dobbiamo pertanto instillare democrazia e parlamentarismo nel processo di Basilea, nel processo del G20, nelle nuove istituzioni globali in via di creazione e, al contempo, dobbiamo essere coinvolti nel processo per non essere sempre messi di fronte al fatto compiuto.

Occorre collegare tra loro Basilea III e la protezione dei depositi, in quanto le due cose sono interconnesse. Bisogna far sì che le nostre decisioni vengano attuate a livello globale, soprattutto negli Stati Uniti. Ci serve una definizione di liquidità prima di avere sul tavolo il progetto di direttiva. Nel frattempo, la legge Dodd-Frank negli Stati Uniti solleva un ulteriore problema. Dato che gli americani avranno difficoltà ad attuare le norme in materia di liquidità, stanno nuovamente tentando di introdurre criteri aggiuntivi oltre ai rating esterni. Dobbiamo insistere sul fatto che la base della valutazione deve essere rappresentata o dai rating esterni oppure da criteri alternativi quali la stabilità dei prezzi. Non dobbiamo assolutamente ammetterli entrambi per l’Europa e accettarne soltanto uno per gli Stati Uniti.

Dobbiamo essere vigili e vi esorto ad agire insieme, signor Commissario, per assicurarci che i ministri nazionali delle Finanze e dell’economia informino i parlamenti nazionali delle conclusioni che la Commissione raggiungerà nella sua valutazione d’impatto. I parlamenti nazionali sono meno consapevoli di noi riguardo a quello che stiamo facendo e alle ripercussioni e cause a livello di Stati membri. Dobbiamo anche giocare d’attacco. Cerchiamo di coinvolgere i parlamenti nazionali in questo processo di comunicazione.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Ritengo che la recente crisi economico-finanziaria, ovvero la più grande recessione dai tempi della grande depressione, abbia messo in luce la necessità di una profonda revisione dell'attuale quadro normativo di Basilea II. Ricordo in questa sede, che l'accordo di Basilea II definisce i criteri di accessibilità al credito, inducendo le banche a valutare oggettivamente il merito di credito di un'impresa tenuto conto dei rischi connessi al loro possibile stato d'insolvenza, delle garanzie e dell'esposizione al momento del fallimento. Tali criteri, benché abbiano come obiettivo quello di migliorare la competitività delle imprese e di rafforzare la solidità del sistema finanziario, sono eccessivamente punitivi nei confronti delle piccole e medie imprese, motore dell'economia dell'Unione. Concretamente, l'applicazione dell'accordo, a causa della minore solidità finanziaria delle imprese europee si traduce spesso in un minor accesso al credito e in tassi d'interesse più elevati. Pur valutando positivamente gli sforzi intrapresi dal Comitato di Basilea volti ad aggiornare il quadro normativo generale, nutro forte preoccupazione per le carenze emerse nel corso del processo negoziale e, pertanto, concordo nel ritenere opportuno un maggiore coinvolgimento del Parlamento nei negoziati al fine di apportare le modifiche necessarie affinché l’industria e l’economia europee non risultino svantaggiate.

 
  
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  Giovanni Collino (PPE) , per iscritto. – Un nuovo patto di stabilità per l'Europa passa necessariamente attraverso il sistema bancario, che rappresenta l'altro terminale di utilizzo di quelle risorse proprie che sono il cuore pulsante dell'economia europea. In altre parole, il debito che gli Stati membri dell'Unione europea accumulano nel tempo per produrre ricchezza nazionale e distribuirla ai propri cittadini viene finanziato e gestito dalle banche, che dovrebbero poi riuscire a farlo fruttare.

Se è vero che gli Stati avranno ancora bisogno di molto tempo per adeguarsi alla standardizzazione delle proprie leggi finanziarie, nonché per raggiungere un livello di uniformità adeguato all'interno dei propri sistemi fiscali, stabilire dei giusti margini di liquidità e richiedere effetti leva affidabili a garanzia del monte risparmi e dei suoi andamenti nel tempo diventa necessario per fare in modo che anche nel breve periodo si riesca trovare una giusta risposta alla crisi.

I fondi propri, che l'Unione europea avrà a disposizione in misura sempre maggiore, faranno in modo che la gestione delle risorse dell'Unione vada sempre meno ad arginare rischi sistemici e sempre più a creare un insieme di stimoli a vantaggio delle economie nazionali, non soltanto gelosamente custodite all'interno dei propri confini, ma integrate per ottimizzare l'utilizzo dei rispettivi vantaggi comparati.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Istituzioni finanziarie forti e stabili sono essenziali per la sostenibilità del mercato dei capitali, l’accesso al credito, la competitività, e la stabilità economica e finanziaria. Accolgo pertanto con favore l’adozione di questa relazione, soprattutto perché prevede misure cruciali da me presentate in merito alla gestione della situazione delle istituzioni finanziarie nazionali. In particolare, mi riferisco a: l’esigenza che il comitato di Basilea e la Commissione chiariscano il trattamento degli accordi di partecipazione finanziaria reciproca; l’importanza della definizione di criteri relativi alle attività liquide di alta qualità, in conformità alla definizione attuale della Banca centrale europea delle attività idonee per le operazioni di politica monetaria (sistema di operazioni pronti contro termine); e l’inclusione di tutto il debito sovrano della zona euro come attività liquide di alta qualità, indipendentemente dal rating, riducendo pertanto l’impatto sproporzionato delle pratiche delle agenzie di rating.

 
  
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  Jiří Havel (S&D), per iscritto. (CS) La relazione presentata è stata formulata in termini relativamente precisi. Analizza con chiarezza la questione della nuova proposta di regolamentazione bancaria attualmente in fase di revisione (Basilea II), e fornisce un’analisi dettagliata dei punti principali che sono attualmente oggetto di discussione a livello pratico e accademico. In termini concreti, riguarda l’introduzione di misure tese a contribuire a una maggiore stabilità finanziaria del settore bancario e a ridurre le probabilità di un’ulteriore crisi mediante la concentrazione sulle seguenti cinque aree: la qualità del capitale (elevare la qualità del capitale bancario è indubbiamente auspicabile), norme di liquidità più severe (il rischio di liquidità si è rivelato determinante durante la crisi), misure anticicliche (la creazione di un patrimonio bancario aggiuntivo nei periodi di bonaccia dovrebbe limitare l’esplosione eccessiva del credito e la conseguente creazione di bolle dei prezzi, come è accaduto in Spagna, giusto per fare un esempio), l’introduzione di un indice di leva finanziaria (tale nuovo indicatore dovrebbe aumentare la stabilità delle banche, ma dovrebbe comprendere non solo le voci finanziarie contenute nei bilanci delle banche, ma anche le voci fuori bilancio, quali derivati e passività contingenti della banca stessa) e, infine ma non da ultimo, la creazione di una controparte centrale per la gestione delle transazioni fuori borsa, in particolare in relazione alla maggiore trasparenza dei derivati. Sulla base di ciò, ritengo che la relazione presentata contenga un’analisi dettagliata unita a raccomandazioni pertinenti nell’area della regolamentazione bancaria proposta, e ne consiglio pertanto l’approvazione.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) Sono del parere che operare su mercati finanziari dinamici e chiaramente definiti, in grado di finanziare investimenti massicci, rappresenti una condizione imprescindibile per la ripresa dell’economia europea. Sostengo con convinzione l’impegno assunto durante il vertice del G20 di generare un volume più ingente di capitali e di redigere norme per la gestione della liquidità. Norme valide in materia di liquidità sono essenziali per rispondere alla crisi.

Ritengo inoltre che un livello maggiore di flessibilità per quanto riguarda le attività idonee disponibili nell’Unione europea, flessibilità che può essere conseguita identificando fonti di finanziamento affidabili e individuandone le caratteristiche specifiche, si tradurrà in stabilità finanziaria in situazioni di crisi, sia a breve sia a lungo termine.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto.(PL) La crisi finanziaria ed economica degli ultimi anni ha vanificato l’illusione secondo cui le banche sarebbero in grado di conoscere da sole i propri rischi e di fissare autonomamente i propri requisiti in materia di sicurezza. I peccati capitali del settore bancario che hanno scatenato direttamente la recessione mondiale sono stati la profonda ignoranza di alcuni dei soggetti responsabili delle banche stesse, l’importanza suprema attribuita ai piani di vendita e la mancata consapevolezza dei fattori di rischio, accompagnate dalla passività del sistema di vigilanza finanziaria.

Basilea II non si è dimostrato molto efficace come meccanismo di prevenzione delle crisi. Viste le circostanze, è cruciale elaborare quanto prima un nuovo codice di norme – Basilea III – che non parta più dal presupposto ottimista che le banche siano in grado di autoregolamentarsi.

L’innalzamento dei requisiti patrimoniali contribuirà certamente ad aumentare la sicurezza del settore bancario grazie a un incremento della liquidità. Tuttavia, tali misure comportano anche il rischio di trasferire i costi ai clienti delle banche – in termini di aumento dei prezzi del credito e di altri servizi finanziari – a discapito dell’economia. Occorre pertanto garantire una tutela adeguata che ci protegga da tale effetto indesiderato, o che per lo meno lo minimizzi. D’altro canto, dobbiamo anche renderci conto che la sicurezza finanziaria costa. La domanda è, quanto siamo disposti a pagare per ottenerla?

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) La crisi ha dimostrato con chiarezza che persino il patrimonio bancario si è rivelato insufficiente in termini di solvibilità. Il quadro normativo esistente necessita pertanto di una revisione approfondita, e di conseguenza sono da considerarsi pregevoli gli sforzi compiuti dal comitato di Basilea per aggiornare tale quadro mediante norme uniformi, chiare e trasparenti. Vi sono tuttavia alcune lacune e, nella sua forma attuale, il quadro normativo si tradurrebbe in uno svantaggio competitivo per l’economia europea. Le imprese europee dipendono dal credito concesso dalle banche. L’80 per cento delle attività di investimento e prestito in Europa si basa su crediti bancari. In tal senso, è particolarmente importante garantire i finanziamenti alle PMI. Occorre tener conto delle differenze evitando di penalizzare determinati modelli imprenditoriali, altrimenti si rischia di danneggiare l’economia europea.

 

16. Ammende della Commissione in casi di violazione delle norme antitrust (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L'ordine del giorno reca la discussione sulle ammende della Commissione in casi di violazione delle norme antitrust.

 
  
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  Michel Barnier, membro della Commissione.(FR) Signora Presidente, come di consueto, è un vero piacere essere qui con lei giorno e notte, e lo dico a nome dell'amico e collega Commissario Almunia, che in questo momento è impegnato alla cena di lavoro tra Cina e Unione europea. Quest'Aula ha chiesto alla Commissione di presentare la propria politica in materia di ammende previste nel quadro della lotta all'attività anticoncorrenziale ed è quindi in sua vece che mi accingo, con piacere, a illustrarla.

Com'è noto, la Commissione ha assunto l'impegno di contrastare le pratiche anticoncorrenziali e sanzionarle qualora rechino pregiudizio alle aziende e ai consumatori del mercato interno.

Il principale strumento a nostra disposizione è la facoltà di comminare ammende alle aziende qualora entrino a far parte di cartelli, adottino pratiche commerciali restrittive oppure abusino della propria posizione dominante. Tali misure sono determinate sulla base degli orientamenti per il calcolo delle ammende, la cui versione attualmente in vigore è stata approvata soltanto quattro anni fa.

Esiste inoltre la possibilità di applicare ammende ridotte alle aziende disposte a collaborare alle inchieste, per esempio nel caso in cui segnalino l'esistenza di un cartello, oppure accettino di pervenire a un compromesso con la Commissione, consentendo in tal modo un notevole risparmio di tempo e risorse per tutte le parti coinvolte. In ogni caso, le aziende non possono essere obbligate a versare più del 10 per cento del fatturato annuale totale, che costituisce il tetto massimo per le ammende.

È pertanto evidente, onorevoli deputati, che le ammende costituiscono il nostro strumento principale. Ciò non esclude, tuttavia, la possibilità che in futuro vengano introdotte sanzioni, specie di natura amministrativa, nei confronti dei singoli individui. Alcuni Stati membri in effetti consentono l'applicazione di sanzioni agli individui; intendiamo pertanto vagliare attentamente le implicazioni giuridiche e politiche di questa possibile evoluzione.

Esiste la necessità di un quadro giuridico formale? L'articolo 23 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio costituisce la base giuridica per l'imposizione di ammende da parte della Commissione, ma non fornisce gli orientamenti necessari per il calcolo dei provvedimenti. L'articolo 23 delinea i principi essenziali, tra cui il tetto massimo del fatturato, come detto, mentre gli orientamenti forniscono ulteriori informazioni sull'applicazione.

In molti sistemi giuridici europei, è prassi pressoché assodata disporre di un ampio ventaglio di possibili sanzioni stabilite per legge nonché di linee guida amministrative relative al metodo applicabile per la definizione della sanzione finale. È questo il caso di Germania, Regno Unito e Paesi Bassi per quanto riguarda l'applicazione delle norme sulla concorrenza; non riteniamo quindi giustificato proporre una nuova normativa sulle ammende comminate dall'Unione europea in materia di concorrenza.

La seconda questione riguarda la necessità di rivedere gli orientamenti prima di considerare il livello delle ammende comminate. Vorrei darvi un'idea di quanto costano i cartelli all'economia europea: secondo le nostre stime, il danno provocato dai 18 cartelli smantellati tra il 2005 e il 2007 ammontava a poco meno di 8 miliardi di euro. Dalle ricerche condotte è emerso che i cartelli hanno determinato un incremento dei prezzi che oscilla tra il 10 e il 30 per cento; prospettiva allettante a cui sarebbe difficile resistere, se non fosse per la rigorosa applicazione delle norme sulla concorrenza da parte della Commissione.

Le ammende sono fissate a un livello tale da sanzionare equamente la condotta illecita passata. Sono elevate, nondimeno proporzionate al pregiudizio arrecato e agli utili illeciti realizzati dai membri del cartello. Le ammende devono inoltre fungere da deterrente al comportamento anticoncorrenziale delle aziende. È per questi motivi che − lo ripeto − non vediamo la necessità di apportare modifiche agli orientamenti 2006 per il calcolo delle ammende.

L'ultima questione riguarda l'eventuale necessità di ridurre le ammende in periodi di crisi. Posso assicurare che la Commissione valuta molto attentamente la situazione finanziaria delle aziende che, talora, si dichiarano impossibilitate a pagare e in numerosi casi le sanzioni sono state sensibilmente ridotte. Per esempio, in casi recenti che riguardavano attrezzature sanitarie per bagno e alluminio ad alta resistenza, le ammende sono state decurtate di una quota variabile dal 25 al 75 per cento.

Non è nostro interesse, onorevoli deputati, spingere le aziende fuori dal mercato, anzi: le norme sulla concorrenza vengono spesso applicate in maniera tale da consentire a nuove aziende di accedere al mercato e condurre la propria attività in condizioni di parità.

 
  
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  Klaus-Heiner Lehne, a nome del gruppo PPE.(DE) Signora Presidente, signor Commissario, vorrei innanzi tutto ringraziare la Commissione per la flessibilità appena dimostrata. Il Commissario Barnier ha appena dichiarato che nei confronti di alcuni settori, come quello edile, in ragione della pesante recessione economica da cui è stato colpito, si è speso un notevole impegno nel definire le ammende e assicurare, se non proprio indennità, almeno dilazioni di pagamento. Trovo che sia una risposta ragionevole da parte della Commissione, alla luce della particolare situazione economica in cui si trovano molte aziende. A prescindere da questa apprezzabile flessibilità dimostrata dalla Commissione, dobbiamo tuttavia chiederci se l'attuale metodo di calcolo delle ammende sia ancora conforme allo stato di diritto.

Oserei dire che vi sono dubbi in proposito. Nel definire un quadro di calcolo talmente ampio senza che lo strumento giuridico stesso preveda criteri specifici, il regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio concede alla Commissione una tale libertà di manovra che si potrebbe quasi sospettare che le decisioni a monte non siano basate necessariamente sulla normativa, ma si affidino in una certa misura al caso. Fino ad ora, il Tribunale di primo grado ha purtroppo avallato questo metodo di calcolo senza criticarlo.

Di fatto ci troviamo davanti a una situazione diversa, ora che ci accingiamo ad aderire alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e che il trattato di Lisbona ha conferito carattere vincolante alla Carta dei diritti fondamentali; immagino che alla luce di tutto ciò, la giurisprudenza potrebbe cambiare. Ritengo quindi necessario soffermarci su questi sviluppi e sono lieto che la Commissione stia valutando la possibilità di modificare le relative disposizioni del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio per quanto riguarda i criteri e altri tipi di sanzioni, rendendole più specifiche e delineando criteri più rigorosi anche rispetto alle sanzioni da definire. Personalmente, ritengo questo intervento necessario per colmare le lacune che molti esperti rilevano nello stato di diritto europeo.

 
  
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  Antolín Sánchez Presedo, a nome del gruppo S&D.(ES) Signora Presidente, signor Commissario, la questione delle ammende è estremamente rilevante, dal momento che riguarda la reazione ai comportamenti anticoncorrenziali, che deve essere efficace e decisa. Una risposta debole e inadeguata sarebbe invece un incentivo a commettere infrazioni. Le ammende devono pertanto esercitare un effetto dissuasivo nei confronti di quanti contravvengono alle regole, nonché fungere da deterrente per tutti gli operatori. Deve essere chiaro che la concorrenza illecita non fornirà alcun vantaggio né beneficio a chi la pratica.

È vero che la Commissione dispone di un ampio margine discrezionale nell'applicare le ammende, ma questo non significa che possa agire arbitrariamente, dal momento che esistono regole, limiti, criteri, una procedura che prevede le dovute garanzie e, in ogni caso, il controllo giudiziario.

Il trattato, il regolamento (CE) n. 1/2003, gli orientamenti del 2006 e la comunicazione sul trattamento favorevole, sempre del 2006, costituiscono un quadro di riferimento che funziona in maniera soddisfacente.

Il sistema potrebbe tuttavia essere migliorato, dal momento che l'esperienza maturata nell'applicazione del sistema, le raccomandazioni degli esperti e i timori legittimamente espressi dalle istituzioni e da alcuni operatori ci incoraggiano ad affrontare determinate questioni. Si potrebbe discutere la possibilità di migliorare trasparenza e prevedibilità e le relative conseguenze per le piccole e medie imprese, l'occupazione e la sostenibilità delle imprese. Dovremmo discutere anche della flessibilità relativa agli importi e ai pagamenti, nonché del nesso con i programmi per il trattamento favorevole e delle modalità per superare le differenze tra i sistemi vigenti nei vari Stati membri.

Altri strumenti pertinenti potrebbero inoltre servire a completare il sistema: si potrebbe, per esempio, porre in evidenza la responsabilità individuale, prendendo in considerazione altri tipi di misure correttive, volte non solo a mettere fine al comportamento anticoncorrenziale, ma anche a prevenire eventuali recidive, e lanciare iniziative private mirate a ottenere il risarcimento sia per i singoli individui che per i gruppi.

Tutte queste questioni vanno affrontate in maniera rigorosa, sistematica e positiva, evitando di mettere in dubbio il funzionamento della politica sulla concorrenza.

 
  
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  Sophia in 't Veld, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signora Presidente, concordo con gran parte di quanto affermato dai colleghi che hanno preso la parola prima di me. Sono lieta di quanto dichiarato dal Commissario, dal momento che, se ho capito bene, la Commissione è di fatto aperta verso la richiesta del Parlamento, inclusa nella relazione dell'anno scorso sulla politica per la concorrenza, per l'elaborazione di una serie di strumenti più sofisticati per le politiche antitrust.

Si è parlato molto delle ammende e dei relativi importi, ma dobbiamo evitare che questa discussione sfoci nell'ideologia, mentre riguarda invece la necessità di adottare strumenti in grado di esercitare un efficace effetto dissuasivo contro le pratiche anticoncorrenziali. Come giustamente puntualizzato, il pregiudizio arrecato alla nostra economia e ai consumatori è notevole. Le ammende devono essere ragionevoli ma, nel caso in cui le aziende se ne lamentino, l'unica cosa che devono evitare di fare è entrare a far parte di cartelli: è questo il miglior modo per evitare di incorrere in sanzioni esorbitanti.

L'anno scorso avevamo chiesto alla Commissione di presentare proposte per strumenti più sofisticati, che toccassero i temi della responsabilità individuale, già menzionata, della trasparenza e della responsabilità delle aziende, che prevedessero procedure più rapide, il diritto alla difesa e al giusto processo, nonché meccanismi atti ad assicurare l' efficace applicazione delle misure per il trattamento favorevole, ma anche programmi sulla conformità delle aziende e l'elaborazione di standard europei. Vorrei sapere se la Commissione intende presentare proposte in tal senso. Comprendiamo che si tratta di un intervento molto complesso, dal momento che sono coinvolte competenze sia nazionali che comunitarie; cionondimeno, credo che condividiamo l'obiettivo comune di far funzionare al meglio il mercato.

 
  
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  Jean-Paul Gauzès (PPE).(FR) Signora Presidente, signor Commissario, qualche anno fa avevo chiesto all'allora Commissario per la concorrenza se fosse a conoscenza di eventuali valutazioni in corso circa l'efficacia per i consumatori delle ammende stabilite; all'apertura della riunione in commissione, dichiarò che le ammende avevano permesso di recuperare un certo numero di milioni di euro. La risposta alla mia domanda, pertanto, era che tale aspetto non era stato preso in considerazione. Sembrerebbe che da allora siano stati condotti studi per accertare i danni effettivamente subiti.

Desidero nondimeno attirare la vostra attenzione su due questioni. La prima è la determinazione dei prezzi sulla base del fatturato di gruppo. La dimensione dell'azienda che abbia violato le norme sulla concorrenza − e con questo non intendo fornire giustificazioni − può tuttavia essere relativamente piccola all'interno del gruppo. È questo l'aspetto che mi preoccupa, soprattutto quando sono coinvolte persone giuridiche distinte.

In secondo luogo, Commissario, e sono affermazioni sue, non della sua collega, ha ribadito spesso la necessità di un'azione preventiva, sostenendo che prevenire è meglio, e in ogni caso più efficace, che reprimere. Mi domando pertanto se queste ammende esorbitanti, che finiscono sulle prime pagine dei giornali ogniqualvolta vengono comminate, siano veramente efficaci in termini di prevenzione. Non sarebbe forse più utile concentrarci sul numero di controlli, anziché sull'ammontare delle ammende?

Com'è avvenuto di recente in Francia, è chiaro che si possono emettere condanne per importi tali che richiederebbero dai 4 ai 5 000 anni per essere saldate. Non dovremmo fissarci su queste cifre, bensì considerare in maniera specifica le ripercussioni per le aziende, in questo periodo di incertezza economica.

Distorcere le regole della concorrenza non è giusto. È giusto applicare una sanzione, ma deve essere veramente proporzionata; vorremmo pertanto sapere se la Commissione intende modificare le proprie regole. Credo lei abbia detto che non sarà questo il caso, ed è un peccato.

 
  
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  Peter Skinner (S&D).(EN) Signora Presidente, non sono a conoscenza di aziende che hanno 400 anni per pagare le ammende, ma tutto ciò delinea una situazione alquanto drastica. Cionondimeno, signor Commissario, mi rendo conto che stasera non siete nella posizione di elaborare una politica su due piedi. A questo scopo, presenterò al Commissario Almunia una serie di interrogazioni sui temi di cui stiamo discutendo.

Vorrei toccare rapidamente due questioni. Vorrei innanzi tutto che la Commissione riferisse sulle valutazioni d'impatto per gli orientamenti del 2006. Lo staff del Commissario Almunia aveva indicato la possibilità di procedere a questa verifica e spero sia possibile esaminarne i risultati quanto prima. Forse mi serve soltanto un aggiornamento in tal senso, ma sarei più tranquillo se fosse questo il caso.

Come abbiamo sentito, tutta l'attenzione è puntata sulle ammende che vengono comminate alle aziende che violano le regole della concorrenza. Possono essere applicate in maniera graduale, ma comunque non sembrano rappresentare un valido deterrente: le aziende continuano a infrangere le regole.

Dobbiamo agire in maniera più creativa. Nel caso della fissazione del prezzo, per esempio, molto spesso le piccole aziende a valle del processo produttivo pagano le conseguenze al posto di quelle che prima di loro l'hanno attuata e, senza averne colpa, s'imbattono in queste particolari ammende.

E se per un attimo la Commissione prendesse in considerazione l'impatto sociale? E se provasse a pensare di adottare impostazioni diverse? Nel Regno Unito, per esempio, è possibile colpire gli amministratori, anziché comminare ammende, punendo così i principali responsabili e consentendo ai lavoratori e alle aziende di sopravvivere. È una filosofia intelligente, che potremmo prendere ad esempio o almeno trarne uno spunto di riflessione.

Come abbiamo sentito dai vari interventi, provenienti da vari paesi, esistono altri esempi cui potremmo senz'altro attingere. Agendo con intelligenza, possiamo fare molto perché i lavoratori delle aziende non paghino le conseguenze della condotta deprecabile degli amministratori che adottano questa filosofia dei cartelli.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D).(EN) Signora Presidente, sarò breve. Accolgo con favore le osservazioni formulate dai colleghi stasera. L'autorità che ci è stata attribuita con le ammende in materia di antitrust ci consente realmente di mettere fine ai cartelli, prevenire i comportamenti anticoncorrenziali e porre i consumatori al primo posto.

Ci sono tre interrogativi che vorrei rivolgere alla Commissione, come l'onorevole Gauzès e altri. Primo: che cosa possiamo migliorare in termini di prevenzione? Secondo: stiamo considerando – come ha osservato l'onorevole Skinner – le buone prassi adottate nei vari Stati membri? Quanto suggerito dall'onorevole Skinner riguardo alla connivenza dei consigli di amministrazione e alle possibili azioni nei confronti degli amministratori è fondamentale. Terzo: è possibile avere una tempistica per le proposte future?

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signora Presidente, gli articoli 81, 101 e 102 trattano tutti queste questioni sotto le voci cartelli, fissazione dei prezzi, pratiche predatorie, eccetera. Si tratta indubbiamente di temi preoccupanti, ma spesso è difficile persino dimostrarne l'esistenza. Per esempio, ho qui un titolo che recita: "Antitrust: prezzi delle autovetture solo in lieve ribasso nel 2009", mentre i prezzi per riparazioni e manutenzione continuano a salire nonostante la crisi, nonostante la riduzione delle retribuzioni e nonostante la deflazione, anziché l'inflazione. Ci troviamo forse davanti a un cartello?

Nel mio paese, basta uno scroscio di pioggia per far calare automaticamente il prezzo del bestiame. Credo sia senz'altro necessario fare riferimento agli orientamenti, sia per stabilire tendenze sul lungo periodo, sia per le effettive pene da applicare. Trovo molto interessante la proposta avanzata dall'onorevole Skinner di far pagare gli amministratori per le proprie azioni e al contempo suggerirei di infliggere anche un'ammenda. C'è indubbiamente molto da fare, ma ci stiamo muovendo nella direzione giusta.

 
  
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  Michel Barnier, membro della Commissione.(FR) Signora Presidente, ho ascoltato tutti i commenti e le richieste e li riporterò al Commissario Almunia, il quale vi ha fatto sapere, per mio tramite, che non ritiene motivato proporre nuove norme sulle ammende, dal momento che l'attuale regolamento (CE) n. 1/2003, che ho già menzionato, potrà esserci estremamente utile nel prossimo futuro.

Per quanto riguarda gli orientamenti, la Commissione ne verifica costantemente l'applicazione ed è aperta a eventuali suggerimenti per migliorare; sotto questo aspetto, alcune delle osservazioni formulate oggi sarebbero molto utili.

Onorevole Lehne, Onorevole Gauzès, Onorevole Skinner, non abbiamo nulla in contrario ad osservare una certa flessibilità nelle procedure volte a verificare l'applicazione della normativa, nei limiti imposti dagli orientamenti della giurisprudenza, al fine di tenere conto della situazione economica che è ancora impegnativa. Per il momento, tuttavia, come ho già detto, il Commissario Almunia non vede la necessità di rivedere gli orientamenti del 2006 e ritiene che funzionino in maniera soddisfacente. Si sono dimostrati sufficientemente flessibili durante l'attuale crisi, in quanto hanno consentito di tenere in considerazione la difficile situazione finanziaria di alcune aziende, come osservato da alcuni deputati.

La Commissione è vincolata da questi orientamenti per il calcolo delle ammende, il cui scopo è assicurare alle aziende certezza giuridica, dal momento che la Commissione non può discostarsene senza valide motivazioni. In caso opti per questa possibilità, rischia di vedere le proprie decisioni annullate dai tribunali.

Onorevole in ’t Veld, per quanto riguarda le sanzioni diverse dalle ammende, dovremo valutare in che misura sarebbe possibile integrarle, se necessario, nell'attuale quadro giuridico. Seppure gli Stati membri prevedano sanzioni alternative, pare se ne faccia ricorso in casi limitati e che le ammende rimangano il principale provvedimento sanzionatorio.

La nostra discussione deve essere guidata da due principi. Primo: le sanzioni individuali non devono mettere in discussione l'attuale sistema per il controllo delle infrazioni, specie per quanto riguarda il programma sul trattamento favorevole. Secondo: il fatto che amministratori o dipendenti di un'azienda siano stati penalizzati su base individuale, che quindi rappresenta un intervento possibile, non riduce in alcun modo la responsabilità dell'azienda laddove abbia infranto le regole della concorrenza.

La Commissione ritiene infine che l'attuale importo delle ammende e l'applicazione uniforme della normativa comunitaria sulla concorrenza rappresentino un valido deterrente contro il comportamento anticoncorrenziale nel mercato interno.

Un commento, onorevole Lehne: disponiamo di un sistema amministrativo per assicurare la corretta applicazione delle regole sulla concorrenza, che presenta peraltro numerosi vantaggi ed è supportato dalla giurisprudenza della Corte.

L'onorevole Sánchez Presedo ha toccato il tema della trasparenza, e non mi sorprende, viste le precedenti discussioni sulla sorveglianza. C'è margine di miglioramento: possiamo contare su orientamenti flessibili, come appena detto, e quest'anno, in particolare, sono state introdotte le pratiche migliori.

Infine, le onorevoli in ’t Veld e Stihler hanno menzionato la possibilità di elaborare programmi e strumenti più sofisticati. Possiamo sollevare la questione tramite i programmi di adempimento, cui guardiamo con favore. So bene che le aziende prendono molto sul serio questi programmi di adempimento, una tendenza che di fatto, onorevole Gauzès, ha costi ancora inferiori rispetto alla compensazione o alla repressione.

Per concludere, gli onorevoli Skinner e Kelly hanno ricordato come alcune aziende risentano dell'imposizione di misure repressive e i possibili problemi sociali che ne conseguono. Seguiamo attentamente gli sviluppi negli Stati membri, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese, e abbiamo deciso di proporre, come indicato dal Libro bianco, un intervento sui risarcimenti, volto a verificarne l'efficacia e a valutarne l'impatto. A tale scopo, la Commissione intende lanciare a breve una consultazione pubblica sulla questione.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto.(RO) Con sempre maggiore frequenza, la Commissione europea infligge ammende sempre più elevate ai cartelli e alle aziende che abusano della propria posizione di mercato: nel 2009, il totale delle ammende comminate superava i 2 miliardi di euro. Apprezzo la tempestiva reazione dell'esecutivo europeo, ma al contempo dobbiamo chiederci se l'attuale sistema di sanzioni sia sufficientemente ampio. La Commissione riveste il doppio ruolo di procuratore e giudice. Uno degli effetti negativi delle ammende è che i dipendenti delle aziende penalizzate perdono il proprio posto di lavoro e, in questo modo, persone che non hanno infranto la legge diventano loro malgrado vittime. Ritengo quindi necessario elaborare una serie di misure più articolate per i casi di antitrust, volte da un lato a promuovere procedure più trasparenti, attraverso la nomina di un'autorità giudiziaria indipendente, e dall'altro a introdurre la possibilità di punire su base individuale gli amministratori responsabili della condotta illecita delle aziende.

 

17. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.

 
  
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  Artur Zasada (PPE).(PL) Signora Presidente, vorrei fare riferimento alle difficoltà incontrate all’interno degli aeroporti europei da madri che viaggiano con bambini piccoli e dagli anziani. Sulla base del regolamento (CE) n. 1107/2006, queste persone dovrebbero ricevere assistenza in aeroporto, ma, sfortunatamente, in gran parte dei casi le disposizioni del regolamento non vengono rispettate. Persino in uno spot televisivo, prodotto quest’anno con grande clamore su richiesta della Commissione europea, non si fa menzione di madri o padri in viaggio da soli con bambini piccoli.

La soluzione al problema è semplice: si deve agire efficacemente per informare i cittadini dei loro diritti. Innanzi tutto, va modificato il titolo del regolamento, specificando che riguarda anche le madri o i padri in viaggio da soli con bambini piccoli. In secondo luogo, si deve proporre un nuovo simbolo per questa categoria di viaggiatori da rendere obbligatorio in tutti gli aeroporti degli Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Teresa Jiménez-Becerril Barrio (PPE). (ES) Signora Presidente, come membro della commissione per i diritti dell’uomo, come cittadina spagnola ed europea e come vittima del terrorismo, dato che l’ETA ha ucciso mio fratello e mia cognata a Siviglia, oggi prendo la parola per deplorare la possibilità concessa dal governo e dal Presidente venezuelani ai terroristi dell’ETA di addestrarsi sul territorio nazionale agli ordini del presunto terrorista Arturo Cubillas che, nonostante il mandato d’arresto internazionale nei suoi confronti, lavora per il governo di Hugo Chávez. Questa è una seria violazione del fondamentale diritto alla sicurezza di tutti i cittadini europei.

Chiedo al governo spagnolo un’azione decisa in risposta a questa grave umiliazione per tutti i cittadini spagnoli. Il Presidente Zapatero non può continuare a tacere mentre l’ambasciatore venezuelano dipinge i membri delle forze dell’ordine spagnole come torturatori, quando sono stati, e saranno sempre, un esempio di coraggio nella lotta contro l’ETA. Non può ignorare la crescente collaborazione in territorio venezuelano tra l’ETA e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, già denunciata dal giudice Eloy Velasco. Il Presidente Zapatero non può stringere la mano a un leader come il Presidente Chávez, che sta facendo del Venezuela un rifugio per terroristi.

Il Primo ministro di un paese come la Spagna, dove il terrorismo ha causato tanto dolore, non può continuare a ignorare il problema e deve dare la risposta adeguata a una simile situazione, la risposta che ciascun comune cittadino darebbe se ne avesse la possibilità.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D).(EN) Signora Presidente, quest’oggi vorrei parlare dell’onorificenza conferita il giorno 18 settembre a 36 membri del Parlamento, tra cui la sottoscritta, dalla European Lung Foundation per il nostro operato contro il fumo.

Il 2010 è l’Anno europeo del polmone e invito i colleghi interessati alle nostre attività di contrasto dell’industria del tabacco e di lotta contro il tabagismo a firmare la petizione.

Attualmente, solo in 10 dei 27 Stati membri è in vigore il totale divieto di fumo nei luoghi pubblici e sono orgogliosa che la Scozia sia stata uno dei primi paesi ad adottare tale divieto. Dati recenti dimostrano che, grazie al divieto di fumo nei luoghi pubblici, si è registrato un calo del 18 per cento del numero di bambini ricoverati per problemi di asma: è un risultato che dobbiamo raggiungere in tutti gli Stati membri.

Vorrei chiedere all’Assemblea di congratularsi con i 36 colleghi che hanno ricevuto questa onorificenza dalla European Lung Foundation il 18 settembre.

 
  
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  Nessa Childers (S&D).(EN) Signora Presidente, accolgo con favore il voto della scorsa settimana della commissione per i bilanci per congelare retribuzioni e indennità dei Commissari europei, a meno che non si modifichi il loro Codice di condotta. Il voto dimostra che il Parlamento non tollererà il ripetersi di un caso come quello del precedente Commissario per il mercato interno Charlie McCreevy, il cui nuovo incarico dirigenziale è oggetto di indagine da parte della Commissione per timori di un possibile conflitto di interessi.

Sono state avanzate 201 richieste di intraprendere nuovi lavori dopo l’incarico presso la Commissione e di queste solo una è stata respinta. Il Codice va sottoposto a un riesame e non deve costituire un semplice insieme di linee guida da interpretare liberamente.

 
  
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  Sergej Kozlík (ALDE). (SK) L’attuale governo slovacco ha proposto una serie di disegni di legge che minano l’indipendenza dei tribunali e dei giudici, garantita dalla costituzione.

Una proposta di emendamento costituzionale che mira a limitare l’immunità dei giudici è stata presentata in Parlamento senza una previa richiesta di commenti e senza aprire un dibattito dedicato. La deriva della Slovacchia verso una distorsione della democrazia e della legalità è dimostrata anche dal fatto che per due volte si è impedito al presidente della Corte suprema e al presidente del Consiglio giudiziario slovacchi di prendere la parola in una seduta plenaria del Consiglio nazionale durante la discussione di leggi riguardanti il potere giudiziario, tra cui una legge sul Consiglio giudiziario. L’emendamento alla legge sul Consiglio giudiziario è finalizzato a modificare la composizione del Consiglio prima del termine del mandato, mentre l’emendamento alla legge sui giudici determinerà un aumento da una a tre delle nomine politiche nelle commissioni preposte alla selezione e all’avanzamento di carriera dei giudici. Questo è solo un capitolo di una storia che dimostra chiaramente come l’attuale potere esecutivo e governativo slovacco stia tentando di interferire nelle competenze dei tribunali.

 
  
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  Csaba Sógor (PPE). (HU) La data odierna, il 6 ottobre, è molto importante nella storia dell’Ungheria. Oltre 150 anni fa, i rivoluzionari ungheresi presero le armi per affrontare i due eserciti europei più forti in nome dei valori fondamentali di libertà, uguaglianza e fratellanza, che all’epoca emergevano in tutta Europa. I tredici generali della lotta per la libertà furono sconfitti e giustiziati ad Arad, una cittadina ora in territorio rumeno. Il popolo ungherese ha manifestato il proprio desiderio di libertà in maniera altrettanto decisa contro il comunismo, il regime oppressivo del XX secolo, come ampiamente dimostrato dagli eventi del 1956. Solo quattro dei 36 martiri giustiziati ad Arad nel 1848 erano ungheresi, a dimostrazione che i valori universali travalicano le differenze nazionali. Per noi ungheresi, questo è il simbolo dell’eterno desiderio di libertà e unità della nazione ungherese nonché della riconciliazione e della solidarietà tra nazioni.

 
  
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  Agustín Díaz de Mera García Consuegra (PPE).(ES) Signora Presidente, desidero cogliere l’occasione per denunciare il trattamento degradante e antidemocratico riservato dal governo di Hugo Chávez a coloro che difendono la libertà e i diritti umani.

Il fermo del mio collega, l’onorevole Iturgaiz, presso l’aeroporto di Caracas non può essere passato sotto silenzio. Non è la prima volta che i membri del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) sono oggetto di attacchi da parte del regime. La nostra missione come membri di questa Assemblea non si esaurisce all’interno dell’Unione europea, ma comprende la promozione dei valori fondamentali dell’Unione, quali libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani.

È evidente che questo compito non è ben accetto da quanti tentano di imporre ideologie totalitarie ai cittadini.

L’esito delle elezioni parlamentari tenutesi il 27 settembre apre la porta alla speranza, nonostante dovremmo essere tutti preoccupati dalla reazione ai progressi compiuti dall’opposizione venezuelana.

Che cosa possiamo mai aspettarci da un governo che offre riparo a membri della cellula terrorista Oker, da un esecutivo che conta tra i propri membri un presunto assassino dell’ETA nel ruolo di responsabile della sicurezza dell’Instituto Nacional de Tierras (istituto nazionale delle terre venezuelano), da un governo che ignora le richieste di estradizione di numerosi terroristi sfuggiti alla giustizia?

Come è ovvio, non possiamo aspettarci nulla.

Signora Presidente, atteggiamenti tanto spregevoli meritano una reazione forte e la più ferma condanna da parte del Parlamento.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (S&D). (HU) Una Germania divisa in due è stata il simbolo più tangibile dell’assurdità e della barbarie di un mondo bipolare. Senza la riunificazione della Germania, neppure la riunificazione dell’Europa e l’allargamento del 2004 e del 2007 sarebbero stati possibili. Nessun altro popolo europeo quanto quello ungherese ha compreso profondamente l’artificiale e assurda divisione della Germania. La riunificazione dell’Europa è iniziata con la riunificazione della nazione tedesca: il crollo del muro di Berlino ha determinato anche il crollo del muro che divideva un’Europa separata dalla Guerra fredda. Come cittadino ungherese, sono particolarmente orgoglioso che i leader di allora del mio paese abbiano preso la coraggiosa decisione di consentire alle decine di migliaia di cittadini della Repubblica Democratica Tedesca rifugiatisi in Ungheria di attraversare la cortina di ferro verso l’Austria. Cancellarono il trattato tra l’Ungheria e la RDT, dando inizio all’abbattimento del muro di Berlino. Gyula Horn, allora ministro degli Affari esteri, e Miklós Németh, il Primo ministro, compirono un atto storico, che non sarebbe stato possibile senza gli sforzi riformisti di Mikhail Gorbaciov.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE).(EN) Signora Presidente, sono di ritorno dall’Islanda, dove ho partecipato alla prima riunione della commissione parlamentare mista UE-Islanda. Nel corso della visita di due giorni, la nostra delegazione ha avuto uno scambio di vedute estremamente informativo con i membri del governo e del parlamento dell’Islanda sulla domanda di adesione all’Unione europea.

Durante l’incontro con il ministro islandese della Pesca, ho colto l’occasione per sollevare il problema del sostanziale incremento del totale ammissibile di cattura di sgombri. Noi tutti abbiamo la responsabilità di sostenere questa attività di pesca, come tutte le altre, ma ho voluto fare riferimento alla pesca dello sgombro in particolare. Sono lieto di osservare che il 12 ottobre a Londra, l’Islanda avvierà negoziati con gli stati costieri e confido nel raggiungimento di una soluzione soddisfacente.

Gli effetti della crisi finanziaria sono ancora ben evidenti nel paese ed è per questo che la disputa sul caso Icesave deve restare una questione bilaterale tra l’Islanda, il Regno Unito e i Paesi Bassi. È essenziale che i negoziati tra le parti coinvolte proseguano in vista dell’ottenimento di un risultato soddisfacente.

 
  
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  Georgios Koumoutsakos (PPE).(EL) Signora Presidente, sono particolarmente lieto della presenza in aula del Commissario Barnier perché so quanto gli stia a cuore la questione che intendo sollevare oggi. Le catastrofi naturali hanno un costo incalcolabile in termini di vite umane e infrastrutture economiche; affrontarle è una sfida comune che richiede un’azione congiunta. L’Unione europea deve urgentemente rendersi capace di rispondere con efficacia a tali emergenze; per conseguire questo obiettivo, l’Europa deve fare un miglior uso del proprio potenziale e chiamare all’azione i cittadini.

La lunga tradizione europea del lavoro volontario e il principio di solidarietà forniscono una solida base per ottenere tale risultato. È giunto il momento di istituire un corpo volontario europeo, esattamente come disposto dall’articolo 214, paragrafo 5, del trattato di Lisbona. Vorrei inoltre ricordare a tutti voi che il 2011 sarà l’Anno europeo del volontariato. La creazione di un corpo volontario europeo rafforzerebbe il ruolo e l’immagine dell’Europa e conquisterebbe i cuori e le menti dei cittadini europei e del mondo.

Il Parlamento europeo ha il dovere di agire tempestivamente per istituire un corpo volontario europeo.

 
  
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  Zbigniew Ziobro (ECR).(PL) Signora Presidente, a partire dal 2013 nell’Unione europea entreranno in vigore specifici limiti sulle emissioni di CO2. La recente intenzione dell’Unione europea di portare il limite a un tetto inferiore rispetto a quello precedentemente previsto, nello specifico al livello di 0,688 tonnellate di CO2 per tonnellata di prodotto finito, potrebbe determinare una situazione disastrosa per i produttori di cemento in numerosi paesi europei, tra cui la Polonia.

Come riferito da alcuni mezzi di comunicazione, per esempio il quotidiano Gazeta Prawna, si calcola che i prezzi del cemento aumenteranno almeno del 30 per cento. L’aumento si ripercuoterà sui consumatori al dettaglio che vogliono costruire una casa o un appartamento e rallenterà lo sviluppo economico laddove il cemento è una risorsa fondamentale per la produzione. La situazione è particolarmente pericolosa per i nuovi Stati membri dell’Unione impegnati a colmare il divario rispetto ai paesi più ricchi, per esempio la Francia e la Germania, che hanno costruito infrastrutture come le autostrade tanti anni fa, quando non vi era alcun limite in vigore in questo settore. Un altro effetto negativo di tale decisione è che parte della produzione sarà trasferita oltre i nostri confini orientali: si continuerà comunque a emettere CO2 e saranno le nostre economie a risultare perdenti.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL).(EL) Signora Presidente, la risoluzione antidemocratica approvata ieri, 5 ottobre, dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa identifica la lotta della classe lavoratrice e popolare con l’estremismo e, per contrastare l’estremismo, propone la restrizione e l’abolizione di diritti democratici fondamentali, come il diritto alla libertà di espressione, il diritto di assemblea e di associazione e persino un divieto all’azione dei partiti politici.

Questa deprecabile risoluzione merita un particolare commento in relazione alla Grecia e alla grande lotta della classe lavoratrice e popolare sviluppatasi di recente contro la barbara politica antipopolare propugnata dall’Unione europea, dal governo greco e dai governi di altri Stati membri. La lotta di classe non verrà fermata da risoluzioni e leggi reazionarie. È una leva della storia, l’inevitabile prodotto del sistema, nato dalla barbarie e dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. La lotta, la ricostruzione e il contrattacco del movimento della classe lavoratrice e popolare in tutta Europa possono relegare queste risoluzioni al luogo cui appartengono: la pattumiera della storia.

Il Kommounistikó Kómma Elládas (partito comunista greco) chiama i lavoratori e il popolo a condannare questa risoluzione reazionaria nella pratica, intensificando il contrasto agli attacchi antipopolari del capitale nell’Unione europea e nei governi borghesi, contribuendo così agli sforzi volti a costruire un’alleanza socio-politica delle classi lavoratrici e dei lavoratori autonomi che esigerà cambiamenti a beneficio del popolo.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE). (LT) Oggi a Bruxelles è in corso il vertice UE-Cina. Assieme al cambiamento climatico e al commercio, tra gli argomenti di discussione vi è la situazione dei difensori dei diritti umani in Cina, la pena di morte e i laogai, i campi di lavoro forzato. Sono argomenti senza dubbio molto importanti, ma vorrei ricordare un altro grave problema cinese: il Tibet. È deplorevole che il dialogo tra i rappresentanti del Dalai Lama e i rappresentanti del governo della Repubblica popolare cinese, che sembrava offrire qualche speranza, stia procedendo molto lentamente. Il nono ciclo di colloqui si è tenuto lo scorso novembre. Gli incontri non hanno una programmazione regolare e sono segnati da un’atmosfera di diffidenza, nonostante il Dalai Lama abbia da tempo rinunciato non solo all’obiettivo dell’indipendenza, ma anche alla sovranità tibetana.

Chiedo ancora una volta ai leader cinesi di risolvere la questione del Tibet ricorrendo al dialogo, escludendo l’uso della forza e senza ignorare il Dalai Lama. L’Unione europea accoglierebbe con favore un dialogo di questo tipo ed è pronta a contribuire, mediare e fornire assistenza in tutti i modi possibili.

 
  
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  Corneliu Vadim Tudor (NI).(RO) Sfortunatamente, in Romania è in vigore un sistema di censura draconiana che non ha paragoni in nessun altro Stato membro dell’Unione europea: mi riferisco a un’istituzione assurda denominata Consiliul Naţional al Audiovizualului (Consiglio nazionale dell’audiovisivo).

È una mostruosità stalinista che irragionevolmente metterebbe al bando grandi scrittori come Cervantes, Goethe, Byron, Balzac, Cesare Pavese Adam Mickiewicz, se oggi fossero ancora in vita; è gentaglia che riesce molto bene a intimidire le emittenti televisive indipendenti. Paragonerei questo Consiglio a un cimitero degli elefanti dal quale emergono zombie comandati politicamente a distanza da una dittatura in declino che impone rovinose sanzioni pecuniarie a quei programmi che consentono ai partiti dell’opposizione di dare voce a certe verità.

Aiutateci a sbarazzarci dei dispotici burocrati del Consiliul Naţional al Audiovizualului e a ristabilire in Romania la libertà di stampa, la più grande vittoria ottenuta nel 1989, l’anno della rivoluzione.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE).(EN) Signora Presidente, questa sera abbiamo discusso delle disposizioni sociali del trattato di Lisbona, che obbliga l’Unione a considerare le conseguenze sociali di una decisione al momento di definire le proprie politiche. L’Unione europea – o forse dovrei dire, la Commissione – sta prendendo in considerazione le conseguenze sociali ed economiche della richiesta che l’Irlanda rispetti il Patto di stabilità e crescita entro il 2014?

Il risanamento dei conti pubblici è senza dubbio molto importante, ma si percepisce chiaramente che è questo il solo aspetto che conta. “Rientrate al di sotto del 3 per cento entro il 2014, altrimenti…”: è questo il messaggio molto forte inviato dall’Unione europea. Precedentemente, la Presidenza belga ha affermato che l’austerità insensata non è inevitabile, eppure è a questo che andiamo incontro: austerità insensata, risanamento dei conti a qualunque costo. E la necessità di ricostruire la nostra economia? Certo, dobbiamo tornare a rispettare il limite del 3 per cento, ma abbiamo bisogno di più tempo.

Sono pronta ad ammettere che siamo responsabili di molte delle nostre difficoltà e non cerco compassione, ma ritengo che l’austerità insensata distruggerà la nostra piccola economia aperta che, in crisi da due anni, registra ancora la chiusura di quattro imprese ogni giorno.

 
  
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  Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE).(PL) Signora Presidente, negli ultimi giorni sono state presentate numerose relazioni sugli effetti letali dell’uso di sostanze psicotrope, anche note come droghe sintetiche. La crescente ondata di intossicazioni e morti, specie tra i giovani, ha reso evidente questo problema anche in Polonia.

La creatività di produttori e rivenditori di droghe sintetiche sta avendo la meglio sulle normative degli Stati membri. Droghe letali vengono immesse sul mercato molto prima che gli Stati membri riescano a vietarne la vendita mediante le leggi nazionali e chi le acquista si convince che le droghe sintetiche, non essendo vietate, non sono pericolose. Niente di più falso: le droghe sintetiche sono dannose quanto quelle illegali, se non di più, perché conducono alla dipendenza più rapidamente.

In considerazione del problema sociale molto grave delle droghe sintetiche in continua crescita, dobbiamo adottare un’azione risoluta ed efficace nel più breve tempo possibile. La Commissione europea, preoccupandosi della salute di migliaia di giovani, deve intraprendere una vasta gamma di attività per informare i cittadini sui pericoli delle droghe sintetiche e del loro consumo e mettere a punto nuove misure legali.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signora Presidente, come riportato dal Financial Times il 6 ottobre, il Commissario per la ricerca Geoghegan-Quinn ha segnalato un’emergenza per l’innovazione in Europa.

Dobbiamo stimolare il finanziamento della ricerca da parte del settore privato attraverso misure diverse, come iniziative di finanziamento mediante capitali di rischio. Le proposte dell’Unione europea, mirate a prevenire il ripetersi di una crisi economico-finanziaria, associano tuttavia il capitale di rischio – fondamentale per stimolare le piccole e innovative start-up nell’Unione – a fondi di speculazione come i fondi hedge.

Il capitale di rischio è l’ape mellifera dei fondi alternativi perché è in grado di far fruttare le attività emergenti e stimolare la crescita dell’economia globale, come esemplificato dai casi di Google, Facebook e Skype. I capitali di rischio forniscono accesso a capitale, competenze economiche e in molti casi al mercato stesso alle start-up innovative private e alle PMI. Forniscono sostegno e investimenti stabili per un periodo da tre a sette anni, in media.

Dobbiamo colmare il divario tra Europa, Stati Uniti e Giappone e ritengo che dovremmo prestare molta attenzione alle parole del Commissario per la ricerca Geoghegan-Quinn.

 
  
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  Sonia Alfano (ALDE). – Signora Presidente, desidero denunciare a questo Parlamento che domenica scorsa, durante la visita del Papa a Palermo, la Costituzione italiana e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sono state sospese. La libertà di espressione e di pensiero e la stessa inviolabilità del domicilio privato sono state calpestate

In quell'occasione le Forze dell'ordine italiane hanno fatto rimuovere uno striscione sul quale era riportata la frase del Vangelo: "La mia casa è casa di preghiera, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri", mentre le stesse forze dell'ordine hanno lasciato affissi manifesti omofobici e contro le coppie di fatto. All'interno della libreria "Altro quando", il titolare aveva esposto uno striscione con la frase "I love Milingo". Le Forze dell'ordine sono entrate nel locale privato e hanno sequestrato lo striscione senza alcun mandato giudiziario e con metodi poco edificanti per le stesse Forze dell'ordine.

È paradossale che in uno Stato laico e democratico, quale dovrebbe essere l'Italia, la libertà di espressione dei cittadini venga soppressa dalle autorità per non offendere la sensibilità papale, mentre il Presidente del Consiglio Berlusconi può bestemmiare pubblicamente senza che questo rappresenti un problema per la Chiesa. Anche stavolta la democrazia in Italia viene calpestata da tutte le istituzioni laiche e religiose, incrementando il divario incolmabile che ormai si è creato fra istituzioni e cittadini.

 
  
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  Claudiu Ciprian Tănăsescu (NI).(RO) Nonostante le misure di rilancio adottate dai governi dei paesi europei, le recenti manifestazioni e gli scioperi evidenziano che la situazione è lungi dal migliorare.

Sfortunatamente, sono proprio queste misure per la ripresa, che i governi mirano a utilizzare per colmare i buchi nei bilanci e restituire gli ingenti prestiti contratti con le banche, a causare una nuova crisi, rispecchiata dalla repentina riduzione dei redditi e dal calo della qualità della vita dei cittadini europei.

Potrebbe essere giunto il momento per i governi degli Stati membri dell’Unione europea di modificare il proprio atteggiamento, ponendo gli interessi dei cittadini, le cui tasche sono sempre più vuote, al di sopra di quelli delle banche, che grazie a chissà quale miracolo riescono ancora a incassare ingenti profitti. In sostanza, se qualcuno dovrà risultare perdente, non c’è motivo per cui debba toccare sempre al normale cittadino.

 
  
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  Gabriel Mato Adrover (PPE).(ES) Signora Presidente, anche io ho intenzione di parlare del Venezuela perché alcuni sembrano non comprendere che la democrazia non si riduce alla possibilità di esprimere un voto. La democrazia equivale al poterlo fare in un clima di sicurezza, libertà e uguaglianza; inoltre, in una democrazia e in un regime di libertà, anche la proprietà privata deve essere rispettata.

Purtroppo, attualmente in Venezuela i cittadini e le loro imprese sono minacciati. A tal proposito, vorrei citare l’azienda Agroisleña, fondata da cittadini delle Isole Canarie, dalla quale dipendono oltre 1 000 famiglie. È stata ingiustamente espropriata e, come numerose altre aziende, dopo anni di duro lavoro sta fallendo per via delle decisioni capricciose di chi è convinto che tutto possa andare bene. All’inizio è stata confiscata la terra, ora si è passati alle aziende e chissà a che cosa toccherà in futuro.

È tempo che il popolo venezuelano si senta libero e che gli imprenditori smettano di sentirsi inermi e oggetto di costanti minacce. Come è stato affermato, è tempo che il Venezuela diventi un’autentica democrazia, dove senza dubbio i terroristi non troveranno rifugio.

 
  
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  Evelyn Regner (S&D).(DE) Signora Presidente, desidero richiamare l’attenzione sulla settimana d’azione della Federazione internazionale dei trasporti (ITF), che si terrà a Istanbul questo fine settimana. La Giornata internazionale della solidarietà è stata organizzata per via dell’atteggiamento aggressivo di un corriere espresso globale verso i dipendenti, desiderosi di formare un sindacato. Purtroppo, il diritto del lavoro turco non è ancora al livello degli standard europei e spesso i datori di lavoro sfruttano al massimo la situazione. Secondo la legge del lavoro attualmente in vigore in Turchia, un sindacato può essere attivo all’interno di un’azienda solo una volta raggiunto un tasso di sindacalizzazione di oltre il 50 per cento. Ripeto: oltre il 50 per cento.

UPS, il corriere espresso statunitense, ha brutalmente posto fine alla campagna di sindacalizzazione, licenziando senza preavviso 157 dipendenti che si erano organizzati nel sindacato dei trasportatori Tümtis e si stavano impegnando per ottenere il riconoscimento come sindacato da parte di UPS. Migliaia di dipendenti UPS rivendicano da maggio il reintegro dei colleghi e migliori condizioni di lavoro. Questo diritto del lavoro sbilanciato a favore delle aziende e i metodi brutali che lo caratterizzano fanno della Turchia un’area desindacalizzata.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE).(ES) Signora Presidente, il 18 ottobre, nella città turca di Diyarbakir inizierà il processo di 28 leader del Demokrat Parti (DP) turco.

Tra loro vi sono 14 rappresentanti eletti dai cittadini: 12 sindaci e due consiglieri comunali. Il crimine che hanno commesso è la difesa pacifica delle proprie posizioni politiche e potrebbe costare loro da 15 anni di prigione all’ergastolo.

La messa al bando del DP e gli arresti che ho menzionato sono un altro esempio delle persecuzioni inflitte in Turchia alla minoranza curda. Questi eventi sono stati espressamente condannati nella risoluzione che abbiamo adottato il 10 febbraio concernente i progressi compiuti dalla Turchia nel 2009 nell’avvicinamento all’Unione europea, progressi che non riteniamo siano stati sufficienti.

Se siamo coerenti e desideriamo aiutare le vittime e aiutare la Turchia a proseguire nella giusta direzione, possiamo farlo. Durante questo periodo, sosteniamo il movimento di solidarietà verso la causa curda.

Chiedo pertanto alla Commissione e al Parlamento di inviare un rappresentante ufficiale al processo di Diyarbakir.

 
  
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  Corina Creţu (S&D).(RO) Quanto di peggio può accadere durante una crisi economica è che ad essa si associ una crisi politica. È quello che sta succedendo in Romania, il paese che vive il declino economico più marcato in un’Europa che sta emergendo dalla crisi.

Misure di austerità di una durezza senza precedenti vengono messe in atto da un governo indifferente alle avversità sopportate da milioni di rumeni, virtualmente condannati a soffrire il freddo e la fame e impossibilitati ad acquistare farmaci. Le proteste sociali osservate di recente rispecchiano lo stato d’animo di cittadini disperati al pensiero di dover affrontare il rigido inverno disponendo di un reddito drammaticamente ridotto. Nel contempo, si verificano terribili violazioni del diritto alla libertà di espressione, come è stato già affermato in plenaria in questa Assemblea.

L’applicazione fraudolenta di una legge sulle pensioni indirizzata alle fasce più povere della popolazione mi costringe a chiedere alle istituzioni europee di dedicare la dovuta attenzione alla profonda crisi che attanaglia la Romania e di respingere gli abusi antidemocratici in corso nel paese.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE).(PT) Desidero porre in evidenza un evento tenutosi ieri in Portogallo di grande importanza per il paese, per l’Europa e per il futuro dell’umanità.

La Fundação Champalimaud ha inaugurato un centro di ricerca sul cancro e le neuroscienze. Il signor Champalimaud era un imprenditore che ha destinato un terzo del suo patrimonio personale, 500 milioni di euro, alla ricerca scientifica in questi settori. Rendo omaggio alla presidente della Fundação Champalimaud, la dottoressa Leonor Beleza, che ha previsto rigorosi criteri per unire l’eccellenza nella ricerca scientifica alla pratica clinica. Sono certa che l’obiettivo di portare il Portogallo e l’Europa all’eccellenza in questo settore della ricerca scientifica sarà pienamente raggiunto.

La Fundação Champalimaud richiamerà in Portogallo e in Europa scienziati di fama mondiale. Dall’estuario del Tago, aprirà un nuovo capitolo nella ricerca scientifica portoghese ed europea che consentirà al mondo di scoprire nuovi mondi.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE). (SK) Domani, presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa si voterà su una relazione presentata dalla parlamentare socialista britannica Christine McCafferty intitolata Women’s Access to Lawful Medical Care: the Problem of Unregulated Conscientious Objection (Accesso delle donne a cure sanitarie legittime: il problema dell’obiezione di coscienza non regolamentata).

Dobbiamo condannare senza appello questa relazione, che rappresenta una grave e inaudita interferenza, oltre che una minaccia, alla sovranità degli Stati membri, al principio di sussidiarietà e al diritto fondamentale di libertà di pensiero, di coscienza e di religione. La relazione è incentrata in particolare sul settore della cosiddetta salute riproduttiva per le donne, sull’aborto, la sterilizzazione e anche sul sollievo dal dolore per i pazienti terminali mediante metodi di accorciamento della vita, il che significa eutanasia attiva. Questo documento del Consiglio d’Europa chiede persino che gli Stati membri obblighino gli operatori sanitari a fornire un trattamento richiesto cui il paziente ha diritto per legge, a prescindere dalle proprie obiezioni di coscienza. Chiede inoltre la creazione di una sorta di registro degli individui che esercitano l’obiezione e propone che vengano in qualche modo perseguitati. È inaccettabile cedere a questo tentativo di regolamentare l’obiezione di coscienza in Europa.

 
  
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  María Muñiz De Urquiza (S&D).(ES) Signora Presidente, è sconsiderato mettere in discussione la fermezza della politica estera spagnola nell’ambito della lotta al terrorismo ed è sbagliato accusare il governo venezuelano di essere colluso nell’addestramento di terroristi dell’ETA all’interno del territorio nazionale perché non vi sono prove di tale collusione.

La coraggiosa lotta della Spagna contro il terrorismo dentro e fuori i confini nazionali è caratterizzata da dialogo internazionale e cooperazione, anche con il Venezuela, cui è stato chiesto di adottare specifici provvedimenti in questo caso.

Anziché esigere rotture e scontri, lasciamo che la polizia, la magistratura e la diplomazia facciano il proprio lavoro, che ha portato a successi e risultati senza precedenti nella lotta contro il terrorismo in Spagna.

 
  
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  Presidente. – La discussione su questo punto è chiusa.

 

18. Sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e sanità nel mondo (breve presentazione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0245/2010), presentata dall’onorevole De Keyser a nome della commissione per lo sviluppo, sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità nel mondo [2010/2070(INI)].

 
  
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  Véronique De Keyser, relatore.(FR) Signora Presidente, Signor Commissario, vi ringrazio per essere rimasti fino ad ora. Questa relazione risponde a una comunicazione della Commissione sulla sanità mondiale, ma abbiamo voluto adottare una prospettiva leggermente diversa concentrandoci in particolare sulla mutualità sociale che oggi si sta diffondendo in Africa. Concedetemi una breve digressione.

Nonostante gli aiuti internazionali, la situazione della sanità in Africa è drammatica a causa di una serie di fattori, dal cambiamento climatico, la crisi finanziaria, la guerra, il malgoverno in alcuni Stati all’avidità scatenata dalle ricchezze stesse che vi si trovano. Se a questo si aggiungono pandemie quali l’Aids, la malaria, la tubercolosi, eccetera, il quadro che ci troviamo dinanzi è quello di un vero e proprio disastro.

Desidero innanzi tutto rendere omaggio al lavoro delle ONG nonché di alcune chiese, che svolgono un ruolo veramente lodevole in condizioni di emergenza, in zone di conflitto. Questa tuttavia non può essere una risposta a lungo termine, non è una risposta sostenibile.

Esistono per esempio i così detti fondi verticali, a cui si è accennato e che vengono utilizzati per combattere le grandi patologie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. Attraggono molto denaro e hanno successo in termini di attrattività per gli aiuti privati, perché la gente sente di contribuire a una causa la cui gestione è ben controllata. In realtà, anche questi fondi, per quanto efficaci, coprono solo una minima parte del problema, perché, purtroppo, la mancanza di infrastrutture sanitarie, la scarsità d’acqua potabile (i bambini muoiono di dissenteria) e la mancanza di ambulatori locali, ahimè, causano ancor oggi in Africa più morti dell’Aids o della malaria.

Da qui l’attenzione per un movimento che è emerso fin dagli anni ’90, rappresentato da iniziative quali sistemi assicurativi, ma soprattutto dalla mutualità sociale, che si è moltiplicata un po’ ovunque in diversi Stati africani. L’obiettivo di questa mutualità sociale è ovviamente di coinvolgere le persone nella gestione della propria salute. Non chiudiamo gli occhi: non saranno autosufficienti, non riusciranno a procurare tutte le risorse necessarie a garantire le cure mediche o l’accesso alle medicine, ma insieme ad altri fondi, con altri sussidi, consentono in effetti di fornire cure mediche e farmaci, contribuendo al contempo al radicarsi di una certa dinamica sociale.

Ne esistono centinaia, in paesi e in settori diversi. Esistono mutue di donne, di proprietari di bar e così via. Per noi dunque la sfida consiste nel sostenere questa dinamica sociale, finanziarla e coordinarla, dicendoci nel frattempo che forse un giorno sarà autosufficiente, ma che oggi non lo è ancora.

Sebbene queste mutue possano esistere, ovviamente sono in grado di sopravvivere solo se affiancate dai così detti sistemi orizzontali, ovvero perché assicurarsi o pagare per una qualunque malattia o per un intervento chirurgico, se non c’è l’ospedale, non c’è il dottore, non ci sono le medicine? Ecco perché, a corollario, riteniamo che l’Unione europea dovrebbe non solo sostenere, coordinare e appoggiare queste mutue, ma anche dare grande risalto ai sistemi orizzontali, alla sanità di base, anche se ciò significa chiedere ai fondi verticali di finanziare parzialmente questa sanità “orizzontale”, quest’importante elemento della sanità di base che garantisce l’equilibrio che permette alle mutue di esistere.

Questi sono i problemi affrontati nella relazione. Ho esaurito il tempo a mia disposizione, ma forse riuscirò a rispondere agli onorevoli colleghi che si interrogano sulla salute riproduttiva, un argomento cui la relazione fa riferimento e che mi sta molto a cuore.

 
  
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  Niccolò Rinaldi (ALDE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole De Keyser ha già detto quasi tutto quel che c’era da dire. Io vorrei dedicare questo minuto a un bambino che ho conosciuto il 1° dicembre 2009 a Luanda, quando eravamo in Angola per l’Assemblea parlamentare ACP-UE. Questo bambino era in fin di vita, stava morendo per denutrizione fra le braccia della mamma nell’Ospedale della Divina Provvidenza, nel centro di Luanda, vicino al luogo dove si tenevano i nostri lavori e nei pressi dello stadio in fase di costruzione per la Coppa d’Africa, accanto quindi a tutti quei fasti.

Ma non era un caso isolato: ogni giorno a Luanda vi sono bambini che muoiono ancora di fame, per denutrizione, fra le braccia di giovani madri a cui nessuno ha insegnato qualcosa sulla nutrizione, che sono spesso abbandonate a se stesse.

Per un cristiano spettacoli come questo costituiscono un peccato – un peccato grave; per un politico sono l’emblema del fallimento delle nostre politiche e per la classe dirigente di quel paese, l’Angola, anche il segno dell’avidità e di un’iniqua distribuzione delle ricchezze. Ritengo ci sia molto da riflettere sulle cause per le quali quel bambino abbia avuto un passaggio così breve sulla terra e spero che la mia testimonianza contribuisca alla riflessione.

 
  
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  Anna Záborská (PPE). (SK) Nonostante nutra qualche riserva nei confronti di questa relazione, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole De Keyser. Ha dimostrato, così come in numerose altre occasioni, la sua padronanza della politica per lo sviluppo e il suo interesse per le condizioni di vita in diverse parti del mondo.

Il livello della sanità nell’Africa subsahariana è deplorevole. Mi preoccupa tuttavia che l’onorevole De Keyser non abbia accolto almeno alcune delle proposte di emendamento che ho presentato. Non possiamo riferirci positivamente ai documenti definitivi del Cairo e di Pechino, quando ancora, mentre ne sto parlando, non sono stati accettati. Questo solo perché alcuni deputati ritengono che certi paragrafi non siano in linea con la politica europea sulla salute riproduttiva. È deplorevole che non siamo disposti ad accettare l’importanza delle peculiarità nazionali e regionali nonché la diversità storica, culturale e religiosa degli stati dell’Africa subsahariana. La salute degli abitanti locali non potrà che risentirne di conseguenza.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE). (SK) La dichiarazione generale dei diritti umani riconosce la salute come uno dei diritti umani fondamentali. Personalmente ritengo che questo diritto debba essere considerato in stretta relazione con il diritto alla vita.

Nell’Africa subsahariana questi diritti sono inseriti in un contesto molto specifico e precario e desidero quindi sottolineare che l’Unione europea deve adottare un approccio responsabile e umano nell’ambito della sanità. Innanzi tutto vorrei dire che l’Unione europea non dovrebbe promuovere l’interruzione di gravidanza come un diritto, dal momento che questo “diritto” non è riconosciuto in nessun documento ufficiale come un diritto umano fondamentale. Al contrario l’Unione europea, in qualità di difensore dei diritti umani nel mondo, dovrebbe agire sempre di più a sostegno di programmi che tutelano le madri con figli nell’ambito delle sue politiche di sviluppo, nonché promuovere obiettivi che siano compatibili con il diritto alla vita e la protezione del feto. In secondo luogo, desidero ribadire che l’Unione europea e gli Stati membri non dovrebbero inserire negli accordi commerciali disposizioni sui diritti di proprietà intellettuale che impediscano agli indigenti dei paesi in via di sviluppo di avere accesso alle medicine di base e che contribuiscano all’elevato tasso di mortalità in queste regioni.

 
  
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  Michel Barnier, membro della Commissione.(FR) Signora Presidente, il collega Pielbags non ha potuto essere qui di persona ed è a suo nome che intendo esprimere alcuni commenti e osservazioni. Per dire la verità, ancora una volta, la Commissione è sempre a disposizione del Parlamento e sono molto lieto di aver ascoltato l’onorevole De Keyser e gli altri deputati su un tema che da molto tempo è di mio personale interesse. Inoltre, onorevole De Keyser, in qualità di Commissario per il mercato interno e i servizi finanziari, non è un caso che, oltre alle visite settimanali che ora effettuo in tutte le capitali dell’Unione e dopo la mia prima visita negli Stati Uniti (doverosa dal momento che la maggior parte delle nostre transazioni è di carattere transatlantico), fossi particolarmente ansioso di compiere la mia seconda visita al di fuori dell’Unione ad Addis Abeba, alla fine di luglio, per incontrare i leader dell’Unione Africana. Ciò in ragione del fatto che i nostri destini sono legati e ormai da molti anni sostengo la necessità di una nuova politica di partenariato tra i nostri due grandi continenti.

Rispetto a molte questioni legate alla crisi, che in ogni caso riguardano o sono connesse alle nostre stesse preoccupazioni (quali per esempio, la cooperazione tra i nostri mercati, la lotta al riciclaggio di denaro, il regolamento finanziario, la lotta che intendo dichiarare implacabilmente all’eccessiva speculazione sui prodotti agricoli di base, soprattutto in Africa dove molti paesi dipendono dalle importazioni per il cibo) in seguito a quella visita, io e i miei colleghi abbiamo deciso di riprendere e intensificare la cooperazione.

Nel congratularmi con lei a nome del collega Pielbags e da parte mia per la qualità della sua relazione, nella quale descrive la situazione della sanità nei paesi in via di sviluppo, vorrei aggiungere che non stiamo parlando solo dell’Africa. Alcune settimane fa mi sono recato ad Haiti per dar seguito alle visite compiute dai colleghi Baronessa Ashton, Georgieva e Pielbags e si è visto bene che, anche al di fuori dell’Africa, sono molte le sfide da cogliere sul piano della prevenzione delle malattie e della sanità pubblica nei paesi più poveri.

Come ha affermato l’onorevole Rinaldi, è un dato di fatto che ogni anno nei paesi in via di sviluppo muoiano prematuramente quasi 30 milioni di persone, per cause che potrebbero essere curate solo con l’equivalente del denaro speso nell’Unione europea o negli Stati Uniti per il cibo per animali da compagnia o, volendo fare un altro paragone, con circa il 2 per cento della spesa militare mondiale. Trovo questa situazione semplicemente inaccettabile.

Politiche sociali attuabili, comprese quelle per la salute, dovrebbero essere al centro delle funzioni fondamentali dello Stato, nell’ambito di una crescita sostenibile e inclusiva. La salute non è solo un diritto fondamentale, ma è anche parte dello sviluppo economico. Sistemi sanitari basati su una spesa pro capite inferiore a 30 euro all’anno, vale a dire di 50 volte inferiore alla media europea, non saranno mai in grado di mantenere in servizio gli operatori sanitari, garantire la disponibilità di medicine essenziali od offrire alle persone un accesso equo alle cure.

A questo proposito, a nome del collega Piebalgs, desidero ribadire che continueremo a insistere affinché l’Unione europea mantenga i propri impegni in termini di livello e qualità degli aiuti pubblici per lo sviluppo per i paesi terzi che più ne hanno bisogno. Per quanto concerne la Commissione, il sostegno ai sistemi sanitari resta prioritario nella nostra politica estera, nonché una componente significativa del dialogo politico con i paesi terzi. Facendo eco alla preoccupazione dell’onorevole Záborská, i paesi terzi, in effetti, non sono tutti nella stessa situazione. Come lei ha affermato, per esempio, c’è una grande differenza tra i paesi in via di sviluppo e i paesi meno sviluppati in Africa.

Inoltre, stiamo tentando di promuovere questo concetto mediante la partecipazione attiva della Commissione alle iniziative globali quali il Fondo globale di lotta all’AIDS, alla tubercolosi e alla malaria, nonché interagendo con altri soggetti pubblici e privati attivi nel settore. Onorevole De Keyser, lei ha giustamente reso omaggio al lavoro, che ritengo esemplare, delle ONG. Ancora una volta, pochi giorni fa ad Haiti, ho constatato che queste organizzazioni svolgono un lavoro notevole oltre che decisivo sotto il profilo amministrativo o pubblico delle varie azioni intraprese dall’Unione, dai donatori o dalla Banca mondiale.

Sono essenziali politiche sociali e sanitarie adeguate per ottenere risultati concreti, tanto in Europa quanto nei paesi in via di sviluppo. Non è sufficiente limitarsi ad assicurarsi che vengano destinate ingenti quantità di risorse al sostegno dei nostri partner europei. Dobbiamo anche assicurarci che le nostre politiche interne siano coerenti, per esempio quella sulla migrazione degli operatori sanitari o sul commercio dei farmaci, in modo tale che le conseguenze globali delle politiche interne siano vantaggiose, o per lo meno non dannose, anche per i più bisognosi.

Per quanto concerne la mia sfera di competenza, vorrei soffermarmi su due punti che potrebbero essere di suo interesse, onorevole De Keyser. Innanzi tutto nella bozza dell’Atto per il mercato unico, che stiamo preparando per il 27 Ottobre, intendo dare priorità al grande settore del social business e lavorare a uno statuto della Fondazione europea. Inoltre, dovremmo incoraggiare qui da noi, in Europa, le strutture, le ONG e le imprese sociali e sostenerle nel loro impegno per aiutare i paesi poveri o in via di sviluppo, segnatamente nell’ambito della sanità.

Poi, un secondo aspetto che in questo momento mi preoccupa è la contraffazione. Nel piano che vi presenterò in autunno sulla pirateria e la contraffazione, ho disposto che vengano finanziati e sostenuti diversi capitoli: sulla tecnologia per individuare merci contraffatte, sulla comunicazione con i cittadini europei e sulla formazione del personale doganale o alle frontiere esterne dell’Unione.

Vorrei tuttavia che venisse incluso anche un capitolo – e l’ho chiesto ai miei colleghi – sulla cooperazione con i paesi da cui provengono le merci contraffatte e che potrebbero provocare notevoli danni alla salute, soprattutto nel caso di farmaci contraffatti. Ritorneremo su questo tema a tempo debito.

Sulla base dell’analisi che vi ho brevemente delineato, l’Unione ha adottato le conclusioni sul proprio ruolo nell’ambito della sanità mondiale. Esse sono il nostro punto di riferimento quando interveniamo su questioni relative alla salute. Come ho detto, le risorse per gli aiuti ufficiali allo sviluppo non sono sufficienti e su un punto in particolare l’analisi della sua relazione si dimostra particolarmente opportuna. In Europa esistono numerose modalità di finanziamento dei servizi sanitari, ciascuna con i suoi pregi e i suoi difetti. Non esiste un’unica soluzione che sia perfetta e valida per tutte le situazioni locali. È chiaro che nemmeno un sistema assicurativo puramente volontario, basato su meccanismi di finanza privata, sarebbe sufficiente a garantire l’accesso equo e universale alle cure sanitarie. Da qui discende il ruolo essenziale che le amministrazioni pubbliche devono svolgere nel regolamentare e finanziare i servizi sanitari al fine di definire o garantire principi di equità e inclusione.

Confidiamo nel contributo del Parlamento per rafforzare e migliorare la solidarietà dei cittadini dell’Unione europea e degli altri attori europei di questo settore, in particolare le ONG. Credo che l’Unione abbia molto da imparare, ma anche molto da condividere con il resto del mondo e che possiamo conferire un valore aggiunto in questo ambito. Tutto questo deve essere naturalmente trasposto nel nostro approccio alla politica sanitaria nei paesi in via di sviluppo, e, da parte mia, sono lieto di potervi rispondere e di cogliere questa opportunità per esprimere il mio personale impegno su questi temi.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) L’incapacità degli Stati africani (paesi deboli che spesso escono da situazioni di conflitto, o che non dispongono di istituzioni sufficientemente solide o di risorse adeguate) di attuare politiche sanitarie pubbliche efficaci e, soprattutto, di garantire l’accesso ad adeguati servizi sanitari costituisce una sfida importante e una responsabilità globale. Per questo motivo l’Unione deve avere una visione globale sulla salute, con principi guida che devono essere applicati in tutti i settori strategici pertinenti. Investire nell’istruzione e nella costruzione della capacità produrrà effetti positivi sulla salute in tutto il mondo. Esorto l’Unione europea a sostenere attivamente la formazione di operatori sanitari qualificati. È essenziale che gli Stati membri garantiscano che le proprie politiche in tema di immigrazione non pregiudichino la disponibilità di operatori sanitari nei paesi terzi. Chiedo che gli impegni presi nel quadro della strategia europea per far fronte alla crisi delle risorse umane nella sanità nei paesi in via di sviluppo vengano mantenuti. L’Unione europea deve facilitare la migrazione circolare come strumento per ridurre la fuga di cervelli dai paesi in difficoltà.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) La situazione della salute della popolazione nell’Africa subsahariana costituisce una delle sfide più ardue per la politica umanitaria e di sviluppo dell’Unione europea. Credo che la tragedia di tale situazione sia ben esemplificata dal fatto che gli abitanti di questa regione hanno un’aspettativa di vita circa della metà rispetto a quella di un cittadino europeo. La relazione illustra molto chiaramente quali ne siano le cause e sottolinea le soluzioni necessarie, così come la nostra parte di responsabilità in tutto questo. I fondi internazionali stanziati per la sanità sono la metà di quelli destinati all’istruzione. Senza voler minimamente sminuire quest’ultima, ritengo che tale sproporzione rifletta una svista che deve essere corretta in futuro.

Inoltre, l’incoraggiamento da parte dei paesi sviluppati dell’esodo di medici e infermieri dagli Stati africani protrae l’attuale disastro. Credo che un maggior discernimento, soprattutto da parte dei paesi dell’Unione, nel reclutare esperti in un settore chiave come questo, potrebbe promuovere progressi significativi nel miglioramento del sistema sanitario africano.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Purtroppo, il diritto universale alle cure sanitarie è ancora ben lungi dall’essere una realtà. Milioni di persone ancora non hanno accesso alla sanità di base, in molti paesi l’aspettativa di vita è scandalosamente bassa, milioni di bambini muoiono ancora per malattie che possono essere prevenute e curate. La situazione è ancora più seria, perché la possibilità che essa prosegua o vi si possa porre fine dipende dalle decisioni politiche. La forza predominante in queste decisioni è stata quella degli interessi di grandi gruppi economici e finanziari. Le multinazionali farmaceutiche continuano a impedire la produzione a costi minori di farmaci che consentirebbero di salvare la vita di milioni di persone. Le istituzioni finanziare internazionali continuano a imporre “aggiustamenti strutturali”, mantenendo l’odioso debito estero di paesi del mondo in via di sviluppo e imponendo tagli e privatizzazioni sul settore della sanità nel quale le carenze sono già enormi. Un vero contributo al miglioramento dei sistemi sanitari di questi paesi richiederebbe, innanzi tutto, l’immediato rifiuto dei cosiddetti “accordi di partenariato economico”, la cui implementazione, secondo le modalità che l’Unione sta cercando di imporre, peggiorerà i rapporti di dipendenza e avrà conseguenze ancora maggiori sulle priorità di questi paesi, nonché l’eliminazione del loro debito estero e un’adeguata politica di aiuti allo sviluppo e di cooperazione.

 

19. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

20. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
Video degli interventi

21. Chiusura della seduta
Video degli interventi
  

(La seduta termina alle 23.25)

 
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