Lucas Hartong (NI). – (NL) Signor Presidente, la collega Mathieu ha suggerito nella sua relazione che, per il momento, all’Accademia europea di polizia venga negato il discarico rispetto all’esecuzione del suo bilancio per l’esercizio 2008. Naturalmente il mio gruppo, la delegazione del Vrijheidspartij (PVV), ha ritenuto che tale approccio fosse corretto. Volendo essere precisi, il dossier sull’Accademia di polizia sembra dall’inizio alla fine un intricato giallo di Hercule Poirot. Gestione mediocre, un sistema contabile vulnerabile alle frodi, tante irregolarità finanziarie e, in particolare, una spesa di bilancio “creativa”, utilizzo di fondi non autorizzato, e l’elenco potrebbe continuare. Di fatto, la situazione era talmente disastrosa che, alla fine, l’OLAF, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode, è stato costretto a intervenire.
È positivo che sia in corso un’indagine e si stiano combattendo le frodi. Non sarebbe però stato meglio se le avessimo evitate sin dall’inizio? Come abbiamo potuto permettere che ciò accadesse? Perché i controlli esistenti erano così palesemente inadeguati? Ci ritroviamo in una situazione in cui i nostri cittadini, guardandoci, possono soltanto scuotere la testa. A nome dei cittadini olandesi, chiediamo espressamente che si ponga fine quanto prima a tutta questa commedia della polizia europea lasciando semplicemente il vero lavoro di polizia agli Hercule Poirot dei singoli Stati membri.
- Proposta di risoluzione: Carenze nella tutela dei diritti umani e della giustizia nella Repubblica democratica del Congo (RDC) (RC-B7-0524/2010)
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). – (ES) Signor Presidente, ho votato a favore dell’iniziativa per condannare le molteplici violazioni dei diritti umani e l’uso dello stupro come arma da guerra contro donne, ragazzi, ragazze e bambini, chiedere che le persone implicate siano chiamate a risponderne, domandare un maggiore impegno da parte delle Nazioni Unite a seguito del fallimento delle azioni intraprese dalla loro missione di stabilizzazione nella Repubblica democratica del Congo, sollecitare una soluzione politica del conflitto armato, soluzione che deve essere individuata riprendendo il dialogo sul processo di pace, ed esortare a un maggiore impegno da parte della regione dei Grandi Laghi per promuovere pace e stabilità nell’area.
- Proposta di risoluzione: Giornata mondiale contro la pena di morte (RC-B7-0541/2010)
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, sono stato lieto di votare a favore della proposta. In occasione dell’ultima plenaria, abbiamo votato per chiedere al governo iraniano di sospendere l’esecuzione con lapidazione di Sakineh Mohammadi-Ashtiani. Ciò è avvenuto in attesa di un riesame, ma tale riesame è a dir poco bizzarro. Ora Sakineh Mohammadi-Ashtiani è stata accusata di essere colpevole di omicidio, nonostante il reato fosse già stato attribuito a un’altra persona. La persona in questione ora è stata rilasciata sulla base del fatto che i figli di Ashtiani hanno perdonato il killer di suo padre.
Questa accusa di omicidio si fonda su documenti giudiziari inconsistenti. Dobbiamo adoperare la nostra influenza per esercitare maggiori pressioni sul governo iraniano affinché sospenda definitivamente l’esecuzione ed eventualmente le conceda l’asilo in Brasile offerto dal Presidente brasiliano.
- Proposta di risoluzione: Carenze nella tutela dei diritti umani e della giustizia nella Repubblica democratica del Congo (RDC) (RC-B7-0524/2010)
Lena Ek (ALDE). – (SV) Signor Presidente, secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite, sono stati commessi perlomeno 8 300 stupri come arma da guerra in Congo orientale nel 2009. Durante il primo trimestre del 2010, 1 244 donne sono state stuprate. Siamo a conoscenza di una media di 14 stupri al giorno, ai quali tuttavia si aggiungono molteplici altri casi di abusi non segnalati. Il fatto che tutto ciò sia proseguito senza una condanna inequivocabile da parte della comunità internazionale è sconvolgente e anche l’Europa ha una responsabilità specifica nel caso del Congo.
La violenza a sfondo sessuale e basata sul genere deve sempre essere vista come un crimine di guerra e contro l’umanità. È scandaloso che la comunità internazionale da troppo tempo abbia chiuso gli occhi sulle aggressioni che donne e bambini subiscono in Congo. Sono pertanto molto lieta di vedere l’impegno dimostrato dalla Rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Baronessa Wallström. Il suo lavoro contribuirà a rivolgere lo sguardo del mondo verso il Congo e la sua leadership. È giunto il tempo per noi tutti di aprire gli occhi. Per questo sostengo incondizionatamente l’odierna risoluzione votata dall’Aula. Non voltiamo mai più le spalle alle donne e ai bambini africani.
- Proposta di risoluzione: Azione dell'UE in materia di esplorazione ed estrazione del petrolio in Europa (RC-B7-0540/2010)
Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, ho votato a favore di questa risoluzione, sicuramente significativa perché innalza la soglia di protezione e di garanzia rispetto alle future trivellazioni in tutti i mari, ma soprattutto in quelli caratterizzati da fragilità e negli altri che hanno una specificità che deve essere tenuta in debito conto.
È altrettanto significativo il fatto che si è voluto richiamare la responsabilità e la capacità finanziaria degli operatori che svolgono questa attività lucrosa, che richiede quindi doverose cautele per evitare che possa accadere nei nostri mari ciò che è accaduto altrove, per esempio nel Golfo del Messico.
Protezione dell'ambiente non significa evidentemente negare il diritto all'iniziativa imprenditoriale ma occorre un approccio cautelativo – come lo ha definito il Commissario Oettinger – nella cooperazione con gli altri Stati terzi per garantire sicurezza nei nostri mari.
Licia Ronzulli (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo il tema dell'esplorazione petrolifera in Europa estremamente importante. Per questo motivo, lo scorso luglio ho presentato al riguardo un'interrogazione scritta. Il grave incidente verificatosi ad aprile nel Golfo del Messico è un campanello d'allarme che non possiamo permetterci di sottovalutare. Anche l'Europa corre, infatti, il rischio di incorrere in episodi simili.
Il 21 maggio una piattaforma nel Mare del Nord, da cui ogni anno si estraggono 200 milioni di tonnellate di petrolio, è stata evacuata a causa di un grave rischio di incidente. Non dobbiamo mai dimenticare, onorevoli colleghi, che se un disastro del genere dovesse verificarsi in un mare chiuso come il Mediterraneo, la sua inestimabile ricchezza in biodiversità risulterebbe compromessa a livelli inimmaginabili, come appena sottolineato dal collega Iacolino.
Secondo i dati della Commissione europea, le piattaforme nei nostri mari nel 2008 hanno prodotto circa 200 milioni di tonnellate di petrolio. Numeri ancora troppo importanti per un'economia che deve necessariamente affrancarsi dei combustibili fossili. È notizia di questi giorni l'impegno del governo danese di azzerare la propria dipendenza da tali fonti energetiche entro il 2050. Decisione questa che comporterà molte scelte difficili, ma che deve essere un riferimento importante per tutte le politiche ambientali future dell'Unione europea.
- Proposta di risoluzione: Conferenza sulla diversità biologica - Nagoya 2010 (B7-0536/2010)
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, vorrei sottolineare in particolare il mio sostegno all’emendamento n. 11 in cui si chiede che nelle future strategie della Commissione si includano misure che riconoscano ufficialmente i diritti dei popoli indigeni di gestire le risorse naturali dei propri territori e beneficino del loro utilizzo.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, ho votato contro questa relazione e mi appresto ad argomentarne le ragioni. Non v'è dubbio che l'iniziativa ha un suo pregio perché esprime grande attenzione nei confronti di un mondo, quello subsahariano in particolare, nel quale il diritto alla salute non è ancora affermato come dovrebbe.
Tuttavia, rispetto a temi più significativi – rappresentati a mio avviso dalla tutela materno-infantile, cioè la tutela della gestante e del nascituro – si è posta particolare enfasi sugli aspetti relativi alla salute riproduttiva, nei confronti dei quali abbiamo espresso perplessità.
Sono convinto, tuttavia, che nelle prossime attività del Parlamento vi possa essere un innalzamento dell'asticella dell'attenzione nei confronti di realtà nelle quali la mortalità infantile – lo ripeto – ha ancora limiti particolarmente ampi e non più sostenibili.
Anna Záborská (PPE). – (SK) Signor Presidente, non ho potuto votare a favore della relazione dell’onorevole De Keyser per il semplice motivo che non capisco che cosa si intenda per politica europea in materia di salute sessuale e riproduttiva pianificata.
Vorrei citare un esempio del quale sono personalmente a conoscenza. Un esimio professore, un ginecologo, ha abbandonato la carriera universitaria per un investimento finanziario e professionale volto a migliorare la salute nell’Africa sub-sahariana. Ha costruito cliniche nelle quali ha operato donne con fistole causate da un parto difficile. Dopo diversi anni, avendo già aiutato molte donne, ha chiesto un finanziamento all’Unione europea per ampliare il suo lavoro. La risposta è stata negativa e le motivazioni assurde. Sembra che nei suoi progetti non avesse ottemperato al requisito di sostenere la salute sessuale e riproduttiva. Non so cosa possa sostenere maggiormente la salute sessuale e riproduttiva che curare fistole nella zona degli organi genitali ed escretori. Per logica presumo dunque che, secondo le istituzioni europee, la salute sessuale e riproduttiva sia semplicemente una politica abortista e contraccettiva. Per questo non ho potuto votare a favore della relazione.
- Proposta di risoluzione: Politica regionale e di coesione dell’UE dopo il 2013 (B7-0539/2010)
Jan Březina (PPE). – (CS) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione sul futuro della politica di coesione. Desidero sottolineare che abbiamo lavorato intensamente sull’argomento, anche se i documenti ufficiali del programma non sono ancora disponibili. In tal modo, stiamo dando prova della nostra volontà di essere un interlocutore chiave, indispensabile, nel processo decisionale sulle nuove norme per i fondi strutturali nel periodo dopo il 2013.
Non appoggio tuttavia l’idea che sia necessario per il Fondo sociale europeo avere norme proprie. In ciò vedo il pericolo che si crei l’opportunità di escludere il Fondo sociale dalla politica di coesione per avvicinarlo ai paesi più ricchi, allontanandolo di conseguenza dalla portata di quelli più poveri. Non vorrei che lo sviluppo fosse questo, e non potrebbe volerlo neanche chiunque dipenda da una politica di coesione forte ed efficace. Concordo invece con l’idea che il Fondo sociale europeo abbia norme proprie nella misura in cui valgono per i compiti e la definizione tematica delle sue iniziative. D’altro canto, le norme nel campo dell’ammissibilità geografica, delle finalità, degli orientamenti e dei meccanismi concreti dovrebbero restare comuni.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, avendo votato a favore della risoluzione, vorrei formulare tre osservazioni. In primo luogo, sarà fondamentale collegare e adeguare la futura politica di coesione alla strategia UE 2020 perché soltanto questo legame può assicurare una crescita economica sostenibile e la creazione di posti di lavoro. Occorre altresì rafforzare il ruolo delle misure sociali nell’ambito della politica di coesione per affrontare la mutevole situazione democratica.
In secondo luogo, è assolutamente indispensabile una semplificazione delle norme in materia di finanziamento affinché i fondi comunitari siano maggiormente disponibili a livello locale e delle organizzazioni non governative. Spesso ci troviamo di fronte a un onere burocratico eccessivo che comporta un dispendio di tempo ed energia maggiore rispetto all’attuazione dei progetti.
In terzo luogo, nel predisporre il quadro per il prossimo periodo finanziario, sarà importante coinvolgere, per tempo e su base paritaria, rappresentanti delle regioni e del comparto aziendale.
Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, la proposta di regolamento, tesa a garantire ai cittadini dei paesi terzi l'applicazione delle stesse regole di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale che si applicano ai cittadini europei a partire dall'entrata in vigore del regolamento CE n. 883/2004 e del relativo regolamento di applicazione, rappresenta per l'Unione Europea la possibilità di garantire a tutti i cittadini, un giusto livello di protezione sociale. E' necessario ribadire l'importanza di assicurare a tutti i cittadini europei, e non europei, la parità di trattamento nelle prestazioni di sicurezza sociale, quale principio contenuto nella Carta dei diritti fondamentali e in quanto strumento utile al completamento del processo di semplificazione delle norme in materia. La condivisione, il mantenimento e lo sviluppo dei valori sui quali si fonda l'UE, quali il rispetto dei diritti umani, devono essere necessariamente accompagnati da norme condivise e applicate in modo identico, senza riserve o limitazioni di alcun genere. Perciò, sostengo con orgoglio e convinzione la nostra posizione italiana per l'approvazione del regolamento, che ci permetterà di giungere ad un sistema unico di applicazione del regolamento 883/2004 e mi auguro che anche tutti gli altri Stati membri possano rivedere le loro posizioni e integrare rapidamente le loro legislazioni nazionali con le nuove norme.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della raccomandazione presentata dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo perché con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e i cambiamenti intervenuti nelle basi giuridiche l’Unione europea è nuovamente tenuta a rivedere le norme applicabili ai cittadini di paesi terzi. La presente raccomandazione del Parlamento si riferisce al progetto di regolamento, volto a garantire che i cittadini di paesi terzi legalmente residenti nell’Unione europea che si trovano in una situazione transfrontaliera siano soggetti alle stesse norme per il coordinamento dei diritti previdenziali. La raccomandazione del Parlamento propone di approvare il regolamento presentato dal Consiglio e non rinviarlo oltre perché tale nuovo regolamento semplificherebbe l’amministrazione delle procedure e garantirebbe la parità di trattamento in campo previdenziale ai cittadini di paesi terzi legalmente residenti. Inoltre, in termini di lotta all’immigrazione legale in Europa, il regolamento chiarisce i diritti degli Stati membri per quanto concerne i loro poteri rispetto alla decisione di considerare un soggetto legalmente residente sul loro territorio.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) I cittadini di paesi terzi legalmente residenti in un paese dell’Unione la cui vita implica un rapporto con il sistema giuridico di un altro Stato membro spesso incorrono in situazioni in cui non sono tutelati o godono di diritti in conflitto. È urgente evitare tali situazioni. Affinché tali cittadini siano trattati con equità, occorre attribuire loro diritti e doveri che siano, per quanto ragionevolmente possibile, equivalenti a quelli dei cittadini dei paesi dell’Unione. Tale equivalenza può essere ampiamente giustificata, e il coordinamento tra sistemi giuridici può essere visto come una questione di giustizia, non da ultimo in tema di prestazioni sociali.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Lo scopo della risoluzione è garantire che i cittadini di paesi terzi legalmente residenti nel territorio di uno Stato membro che si trovano in una situazione transfrontaliera che coinvolge perlomeno due Stati membri siano soggetti alle medesime norme per il coordinamento dei diritti previdenziali dei cittadini comunitari secondo le norme riviste ora contenute nel regolamento (CE) n. 883/2004 e nel suo regolamento di esecuzione (regolamento (CE) n. 987/2009).
Quando la proposta della Commissione è stata presentata per la prima volta, il Parlamento europeo è stato consultato e ha concordato due emendamenti con i quali si sostituivano i riferimenti alla Carta dei diritti fondamentali, indicando peraltro un livello elevato di protezione sociale come obiettivo dell’Unione europea, obiettivo presente nel regolamento (CE) n. 859/2003 esistente. Ho votato a favore della risoluzione al fine di garantire l’adozione del nuovo regolamento per assicurare un pari trattamento in campo previdenziale ai cittadini di paesi terzi legalmente residenti.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Come sostiene la relazione Lambert, a mio parere è fondamentale che i cittadini extracomunitari e le loro famiglie legalmente residenti nell’Unione europea godano in campo previdenziale degli stessi diritti e delle medesime prestazioni dei cittadini europei. Con questa votazione, il Parlamento europeo pone fine a situazioni discriminatorie inaccettabili. Sono nondimeno delusa dal fatto che alcuni paesi come Danimarca e Regno Unito non stiano partecipando a tali programmi di coordinamento per cittadini extracomunitari. Come può l’Unione europea riuscire a istituire procedure semplificate e armonizzate per i cittadini extracomunitari se alcuni Stati membri preferiscono non seguire tale approccio comune? Esiste, occorre ammetterlo, un rischio tangibile di un’“Europa à la carte”; nondimeno, di fronte alla riluttanza di alcuni, trincerati dietro le proprie identità nazionali, dobbiamo agire.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) Il progetto di regolamento è volto a garantire che i cittadini di paesi terzi legalmente residenti nell’Unione europea che si trovano in una situazione transfrontaliera che coinvolge perlomeno due Stati membri siano soggetti alle medesime norme per il coordinamento dei diritti previdenziali applicabili ai cittadini comunitari in virtù di detti regolamenti. L’adozione di tale normativa rappresenta un passo importante per assicurare un pari trattamento ai cittadini di paesi terzi nell’intero territorio dell’Unione. Queste persone sono spesso vittime di profonde discriminazioni nel nostro territorio e, secondo tale normativa, i cittadini di paesi terzi potranno circolare nell’Unione con le stesse garanzie offerte, per quanto concerne i diritti previdenziali, ai cittadini comunitari.
Krzysztof Lisek (PPE), per iscritto. – (PL) Sono stato più che lieto dell’esito positivo dell’odierna votazione in Parlamento sulla liberalizzazione del regime dei visti per i paesi dei Balcani occidentali. Dopo aver abolito l’obbligo di visto per i cittadini di Serbia, Montenegro ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia nel dicembre 2009, analoghe decisioni per Bosnia-Erzegovina e Albania erano attese con ansia. Aprire l’Unione europea ad altre nazioni balcaniche porterà a molti risultati positivi per tutte le parti interessate. In primo luogo, questo è un miglioramento senza precedenti per i normali cittadini che ora possono vivere autonomamente l’Unione europea e spostarsi liberamente in tutti gli Stati membri. In secondo luogo, questo è un altro passo molto significativo compiuto verso il conseguimento dell’obiettivo di stabilizzare la situazione nella regione e creare un clima favorevole a ulteriori riforme e alla futura integrazione di tutti i paesi balcanici nell’Unione europea. Dovremmo però prendere decisioni corrispondenti in merito all’obbligo di visto per i cittadini del Kosovo. Gli abitanti di tale paese non dovrebbero restare l’unica nazione totalmente isolata nei Balcani e i privilegi legati alla libera circolazione in Europa dovrebbero essere estesi anche a loro. Mi compiaccio altresì per l’iniziativa intrapresa dal Parlamento europeo di abolire il regime dei visti per Bosnia-Erzegovina e Albania, che costituisce un passo ulteriore verso l’integrazione dei paesi balcanici in Europa, passo che gode del mio sostegno incondizionato.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Questo testo garantisce protezione sociale ai cittadini extracomunitari in tutta l’Unione europea e, in tal senso, rappresenta un passo avanti. È tuttavia deplorevole che si ignori completamente la situazione degli immigranti illegali. Anche coloro che vivono illegalmente hanno il diritto di essere protetti. In Europa come altrove, dovrebbe essere vietato dichiarare che un essere umano, chiunque sia, non verrà protetto.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Nessun cittadino di paesi terzi che viva nel territorio dell’Unione e ivi risieda legalmente dovrebbe essere oggetto di alcun tipo di discriminazione. Tali cittadini devono anche avere, ove del caso, accesso al regime previdenziale senza conflitti tra i vari sistemi giuridici degli Stati membri. Per questo è così importante adottare lo strumento giuridico oggi all’esame.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il progetto di regolamento è volto a garantire che cittadini di paesi terzi legalmente residenti nell’Unione che si trovano in una situazione transfrontaliera che coinvolge perlomeno due Stati membri siano soggetti alle medesime norme per il coordinamento dei diritti previdenziali dei cittadini comunitari secondo le norme riviste ora contenute nel regolamento (CE) n. 883/2004 e nel suo regolamento di esecuzione (regolamento (CE) n. 987/2009). Quando la proposta della Commissione è stata presentata per la prima volta, il Parlamento europeo è stato consultato e ha concordato due emendamenti con i quali si sostituivano i riferimenti alla Carta dei diritti fondamentali, indicando peraltro un livello elevato di protezione sociale come obiettivo dell’Unione europea, obiettivo presente nel regolamento (CE) n. 859/2003 esistente. Ambedue gli emendamenti sono stati inglobati nella posizione del Consiglio nella prima lettura del 26 luglio 2010 come considerando 4 e 7. Il Consiglio propone a sua volta qualche modifica. Ha infatti inserito una serie di considerando riguardanti la partecipazione di taluni Stati membri alla luce della base giuridica dell’articolo 79, paragrafo 2, lettera b), della proposta (considerando 17, 18 e 19). Purtroppo, la Danimarca non partecipa agli accordi di coordinamento per i cittadini di paesi terzi. Quanto all’Irlanda, ha deciso di prendervi parte, mentre il Regno Unito ha optato per il no, per cui continuerà ad applicare le norme esistenti.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Appoggio la nomina di Lazaros Stavrou Lazarou a membro della Corte dei conti europea. Le sue competenze nel campo dell’amministrazione pubblica, del programma fiscale internazionale e dell’economia sono eccellenti, come lo è la sua vasta esperienza nell’ambito della supervisione, della sorveglianza e della verifica dei conti pubblici, nonché della lotta alle frodi, sia nel suo paese sia a livello europeo. Considerando la sua audizione e il modo in cui ha assolto gli incarichi affidatigli, vorrei porre l’accento sul suo apprezzamento per i sistemi TI e i servizi di automazione, con l’importanza da lui attribuita alla loro attuazione che ne consegue, nonché per il decentramento delle procedure in maniera da rendere l’informazione pubblica e le istituzioni più efficienti, trasparenti e affidabili.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sebbene il voto fosse segreto, non ho alcuna difficoltà a riconoscere che, poiché Lazaros Stavrou Lazarou soddisfa le condizioni previste dall’articolo 286, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, abbiamo espresso parere favorevole alla sua nomina quale membro della Corte dei conti.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) La nomina di Gijs M. de Vries alla Corte dei conti rappresenterà sicuramente un valore aggiunto per l’istituzione, non da ultimo a livello di garanzia di cooperazione istituzionale nell’Unione europea e valutazione delle risorse delle autorità di vigilanza degli Stati membri. Considerando la sua esperienza con la Corte dei conti olandese, il governo olandese e il Parlamento europeo, vorrei porre l’accento sul suo impegno nel sovrintendere alla legalità dei processi di appalto pubblico e la sua risolutezza nella lotta alle frodi e alla corruzione, oltre che sulla sua garanzia di responsabilità, indipendenza e idoneità nei processi decisionali della Corte dei conti.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sebbene il voto fosse segreto, non ho alcuna difficoltà a riconoscere che, poiché Gijs M. de Vries soddisfa le condizioni previste dall’articolo 286, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, abbiamo espresso parere favorevole alla sua nomina quale membro della Corte dei conti.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La Corte dei conti è un’istituzione che ispeziona entrate e uscite dell’Unione europea per verificarne la legalità, nonché per accertare che la gestione finanziaria sia corretta. L’istituzione è totalmente indipendente. In tale spirito, la nomina dei membri che la compongono deve essere basata su criteri di indipendenza e competenza.
Pertanto, su iniziativa del Consiglio, sono state avanzate candidature per la Corte dei conti di persone provenienti da vari paesi dell’Unione. Tutte hanno presentato il proprio curriculum, risposto a un questionario scritto e partecipato a un’audizione dinanzi alla commissione per il controllo dei bilanci. La maggioranza di tali persone è stata in grado di difendere adeguatamente la propria candidatura tanto da giustificarne la nomina alla Corte dei conti, nel cui ambito assolveranno i rispettivi doveri in maniera capace e indipendente.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione. Anch’io come la relatrice sono persuaso che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione debba sostenere i lavoratori in esubero licenziati a seguito dei cambiamenti strutturali intervenuti nei modelli di commercio globale. Il fatto che l’autorità di bilancio abbia già approvato otto proposte per mobilitare il Fondo nel 2010 sottolinea la flessibilità delle procedure, dimostrando che abbiamo identificato con successo nuove risorse e le stiamo assegnando abbastanza rapidamente agli Stati membri. Apprezzo anche il fatto che la Commissione abbia individuato una fonte di stanziamenti di pagamento alternativa alle dotazioni inutilizzate del Fondo.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto. – (ES) Appoggio l’iniziativa volta ad aiutare i lavoratori in esubero licenziati delle 82 aziende galiziane a reinserirsi nel mercato del lavoro. Ciò tuttavia non si sostituisce in alcun caso alle responsabilità delle aziende derivanti dalla legislazione nazionale e dai contratti collettivi.
Maria da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Visto che la Spagna ha chiesto assistenza per 703 casi di licenziamenti collettivi presso 82 aziende operanti nel quadro della divisione 14 della NACE revisione 2 (produzione di abbigliamento) nella regione NUTS II della Galizia, ho votato a favore della risoluzione in quanto concordo con la proposta della Commissione e gli emendamenti presentati al riguardo dal Parlamento. Convengo con l’idea che, in applicazione dell’articolo 6 del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), si debba garantire che il Fondo sostenga il reinserimento dei singoli lavoratori in esubero licenziati nel mercato del lavoro. Ribadisco inoltre che l’assistenza del FEG non deve sostituirsi ad azioni che rientrano tra le responsabilità delle aziende in virtù della legislazione nazionale o di contratti collettivi, né misure di riorganizzazioni di aziende o settori.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Complessivamente 702 licenziamenti collettivi presso 82 aziende tessili giustificano la richiesta delle autorità spagnole di mobilitare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Il numero crescente di licenziamenti collettivi nel settore galiziano del tessile e dell’abbigliamento si somma alla percezione esterna che tutte le sue controparti europee siano in un’analoga posizione di debolezza (non da ultimo nel mio paese dove il settore è stato colpito con particolare durezza) a causa dell’esposizione alla concorrenza internazionale, specialmente dei paesi in via di sviluppo dove i costi di produzione sono inferiori. Ora si ha l’impressione che la crisi internazionale abbia contribuito a esacerbare questo stato di cose. Spero che i lavoratori in esubero licenziati presto possano riprendere la propria vita lavorativa.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Di fronte all’impatto della crisi economica e finanziaria globale che colpisce il mercato del lavoro, vorrei sottolineare l’importanza di un corretto utilizzo del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Purtroppo, il Fondo è utilizzato pochissimo: dei 500 milioni di euro di finanziamenti messi a disposizione attraverso il Fondo quest’anno, soltanto l’11 per cento è stato richiesto per finanziare piani di assistenza ai lavoratori oggetto di licenziamenti collettivi. Visto l’elevato tasso di disoccupazione, la situazione è preoccupante e incomprensibile.
Vorrei inoltre sottolineare il fatto che, a seguito di successive segnalazioni di allarme e denunce, è stata istituita una fonte di stanziamenti di pagamento alternativa ai fondi inutilizzati del Fondo. Visti gli effetti della crisi, sentiti con particolare durezza nel settore del tessile, vorrei ribadire l’importanza di questo piano da 1 844 700 euro a sostegno dei 703 lavoratori in esubero licenziati presso 82 aziende del tessile galiziano. In contrasto con questa iniziativa del governo spagnolo, trovo deprecabile che il governo portoghese non sia intervenuto analogamente nei distretti Braga e Viana do Castelo, che confinano con la Galizia e registrano elevati tassi di disoccupazione a causa della successiva chiusura di aziende.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Sono state presentate tre ulteriori richieste di mobilitazione del Fondo di solidarietà, ciascuna corrispondente alla chiusura di uno stabilimento in Europa, tra cui quella di uno stabilimento tessile galiziano, in Spagna. Nel complesso diverse altre centinaia di lavoratori sono stati oggetto di licenziamenti collettivi. Vale nuovamente la pena di ricordare che tale settore sta anche vivendo una grave crisi in Portogallo, dove sta subendo gli effetti della liberalizzazione particolarmente intensa del commercio mondiale, senza che sia intrapresa alcuna delle azioni necessarie per salvaguardarlo. A seguito della decisione di intensificare le misure di liberalizzazione per i tessili asiatici, ora gli effetti potrebbero persino peggiorare. Tale passo è stato intrapreso con il pretesto di prestare assistenza umanitaria al Pakistan, mentre in realtà risponde ai desideri dei grandi importatori dell’Unione europea. Ogni nuova richiesta di mobilitazione del Fondo rende più urgenti le misure da noi promosse, intese a combattere efficacemente la disoccupazione, spronare l’attività economica, eliminare i posti di lavoro che non offrono alcuna sicurezza e ridurre l’orario lavorativo senza tagliare gli stipendi. Tali misure comportano anche la lotta alla delocalizzazione delle aziende e, soprattutto, impongono una rottura completa con le politiche neoliberali che stanno manifestamente provocando un disastro economico e sociale nei paesi dell’Unione.
Estelle Grelier (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Matera sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per i lavoratori dell’industria dell’abbigliamento in Spagna. Come ho detto in settembre durante la discussione sul futuro del Fondo dopo il 2013, sono delusa dal fatto che tale strumento, istituito per sostenere i lavoratori in esubero licenziati a causa della recessione o della globalizzazione, non benefici attualmente di alcuna garanzia finanziaria nel bilancio comunitario. Non credo infatti che attingere dalle risorse economiche di altri programmi europei per finanziare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione sia una soluzione sostenibile a lungo termine. Pertanto, quando la commissione per i bilanci ha votato a favore della mobilitazione del FEG per i dipendenti spagnoli di cui alla relazione Matera, ho puntualizzato, unitamente al collega socialista belga Daerden, la necessità di lavorare per la definizione di una linea di bilancio distinta per tale Fondo. Qui c’è in gioco la credibilità dell’Unione nel suo sostegno ai cittadini colpiti da instabilità economica.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Mi astengo pensando ai lavoratori dell’industria tessile spagnola sacrificati nel nome della sacrosanta globalizzazione. Nella situazione in cui sono sprofondati a causa delle politiche neoliberali promosse dall’Unione europea, si potrebbe votare contro l’elemosina derisoria che le élite europee concedono loro. Tuttavia, il poco concesso loro potrebbe alleviarne le difficoltà nella complessa congiuntura in cui versano, ma ciò non rende affatto meno intollerabile la logica del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Avalla la delocalizzazione della produzione tessile. Consacra la fame di utili di miliardari socialmente irresponsabili come Manuel Jove. Nel regno degli burocrati, la coscienza pulita costa solo alla collettività!
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea è uno spazio di solidarietà e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) ne fa parte. Tale sostegno è fondamentale per aiutare disoccupati e vittime di delocalizzazioni che avvengono nel contesto della globalizzazione. Un numero crescente di aziende viene delocalizzato per sfruttare il minor costo del lavoro in vari paesi, specialmente Cina e India, spesso a discapito dei paesi che rispettano i diritti dei lavoratori. Lo scopo del FEG è aiutare i lavoratori vittime della delocalizzazione delle aziende, ed è fondamentale per agevolare l’accesso, in futuro, a nuovi posti di lavoro. Il Fondo è già stato usato in passato da altri paesi dell’Unione, per cui ora dovremmo concedere questo aiuto ai 703 in esubero licenziati presso 82 aziende del settore dell’abbigliamento nella regione della Galizia, da cui il mio voto.
Miroslav Mikolášik (PPE), per iscritto. – (SK) Mi compiaccio nel vedere che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato utilizzato nelle regioni colpite prima citate e concordo pienamente con tale impiego. Ritengo in particolare che l’intero iter, dalla formulazione delle domande alla loro gestione e all’ottenimento della decisione finale dell’autorità di bilancio, sia stato sinora alquanto oneroso e complesso, secondo l’esperienza di molti paesi.
Per esempio, nel 2009 i contributi richiesti al Fondo sono stati pari in media a 5 552 700 euro e 30 domande presentate da 13 Stati membri riguardavano 17 comparti. Tuttavia, l’autorità di bilancio lo scorso anno ha approvato 10 contributi finanziari del FEG ammontanti complessivamente a 52 349 000 euro, ossia soltanto il 10,5 per cento della somma annua massima erogabile dal Fondo.
Uno dei motivi è principalmente legato a una mancanza di esperienza con le procedure del Fondo e al lungo periodo di incertezza finanziaria in attesa della decisione dell’autorità di bilancio.
Credo che le procedure semplificate introdotte per le valutazioni e l’iter decisionale alla fine del 2009 semplificheranno e accelereranno la presentazione delle domande di sostegno da parte del Fondo e, conseguentemente, presteranno un’assistenza efficace ai dipendenti che hanno perso il posto di lavoro a causa dei cambiamenti intervenuti nella struttura del commercio mondiale.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Per questo caso vale quanto affermato nel precedente caso danese. I dipendenti che hanno subito un licenziamento collettivo senza alcuna colpa da parte loro o a causa della crisi economica e finanziaria scatenata da speculatori statunitensi e britannici hanno bisogno urgentemente di aiuto. La Spagna ha già presentato domanda di assistenza finanziaria al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) il 5 febbraio 2010, a seguito di licenziamenti collettivi presso 82 aziende della divisione 14 della NACE revisione 2 (produzione di abbigliamento) in un’unica regione NUTS II, la Galizia (ES11) in Spagna e ha integrato la domanda con ulteriori informazioni fino all’11 maggio 2010. La richiesta è conforme ai requisiti per definire il contributo finanziario di cui all’articolo 10 del regolamento (CE) n. 1927/2006. La Commissione propone di mobilitare un importo di 1 844 700 euro. Il FEG dovrebbe pertanto essere mobilitato per offrire un contributo finanziario in risposta alla domanda presentata dalla Spagna, ragion per cui ho votato a favore della relazione Matera.
Vilja Savisaar-Toomast (ALDE), per iscritto. – (ET) Ho votato a favore della relazione, come pure delle due relazioni successive riguardanti la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Penso che l’Unione europea debba sostenere chi ha perso il posto di lavoro a causa della crisi economica e finanziaria. Le odierne relazioni hanno dimostrato che occorre prestare assistenza sia ai paesi che versano in difficoltà economiche come la Spagna sia a uno dei paesi più ricchi d’Europa, la Danimarca. Nel contempo, devo purtroppo aggiungere con rammarico che, sinora, non abbiamo avuto l’opportunità di votare per una relazione analoga riguardante l’Estonia. Spero che il nostro governo impari dalle iniziative di altri Stati membri e partecipi anch’esso al sostegno ai nostri disoccupati.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) Nel febbraio 2010, la Spagna ha presentato domanda di assistenza per avvalersi del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) in relazione ai licenziamenti collettivi avvenuti presso 82 aziende della regione galiziana operanti nel settore dell’abbigliamento. Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulla mobilitazione del Fondo per concedere assistenza ai lavoratori in esubero licenziati. La deregolamentazione degli scambi nel settore del tessile e dell’abbigliamento ha comportato profondi mutamenti nei modelli di scambio globale, il cui esito è stato una tendenza generalizzata alla delocalizzazione della produzione al di fuori dell’Unione europea in paesi in cui i costi di produzione sono inferiori, come Cina e Marocco. Inoltre, la crisi economica ha anche provocato moltissimi fallimenti nel comparto del tessile, con una marea di licenziamenti collettivi. Tra il 2007 e il 2009 vi sono stati 32 700 licenziamenti collettivi nella regione galiziana, di cui 4 414 nel settore del tessile, che hanno colpito per l’80 per cento le donne. Credo che la procedura per assegnare tali fondi debba essere semplificata per rendere il Fondo più facilmente accessibile alle imprese colpite dall’impatto della crisi economica e finanziaria e dai cambiamenti intervenuti nei modelli di scambio globale e non posso esimermi da sottolineare il ruolo importante svolto dal FEG per quanto concerne il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori in esubero licenziati.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) Come la Spagna e la Danimarca, la Lituania è consapevole del bene potenziale che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) può fare. La Lituania ha complessivamente ricevuto 2,9 milioni di euro di aiuti dal Fondo, destinati ai lavoratori del settore dell’edilizia e della produzione di beni per uso domestico, duramente colpiti dalla crisi. Il Fondo, tuttavia, deve ancora dare prova del suo valore. Istituito come contromisura rapida, ora il FEG ha subito un rallentamento ed è divenuto complicato a causa della burocrazia. Lo svantaggio principale consiste nella necessaria mobilitazione del Fondo. Ci vogliono in media 294 giorni per approvare una domanda. Come ha scritto il Financial Times questa settimana, più di 37 000 lavoratori in tutta Europa sono ancora in attesa di aiuti dal Fondo. A oggi, soltanto 140 milioni di euro dell’ammontare complessivamente a disposizione del FEG (2 miliardi di euro) sono stati versati. Inoltre, il denaro del Fondo è distribuito in maniera disomogenea. Soltanto il 6 per cento dei pagamenti è concesso a progetti in paesi in cui il prodotto interno lordo è inferiore alla media europea. Il FEG deve essere più flessibile se vogliamo evitare di sprofondare nell’incertezza. Molti Stati membri, tra cui la Lituania, sono candidati idonei per altri fondi, che richiedono meno cofinanziamento e burocrazia.
Maria da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Visto che la Danimarca ha chiesto assistenza per 1 443 casi di licenziamenti collettivi presso tre aziende del gruppo Danfoss operanti nel quadro delle divisioni 27 e 28 della NACE revisione 2 nella regione NUTS II del Syddanmark, ho votato a favore della risoluzione in quanto concordo con la proposta della Commissione e gli emendamenti presentati al riguardo dal Parlamento. Convengo con l’idea che il funzionamento e il valore aggiunto del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione debbano essere valutati nel contesto della valutazione dei programmi e dei vari altri strumenti creati dall’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 nell’ambito del processo di revisione a medio termine del quadro finanziario pluriennale 2007-2013.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Un ulteriore sostegno ai lavoratori in esubero licenziati si sta dimostrando necessario anche in un paese che nell’immaginazione di pochi sarebbe stato colpito così duramente poiché generalmente viene considerato più capace di competere sul mercato globale della maggior parte degli altri Stati membri. Nondimeno, anche la Danimarca ora subisce gli effetti della globalizzazione, che la sta colpendo in settori che si sarebbero potuti ritenere più immuni alla concorrenza, come la produzione elettrodomestici, macchinari e apparecchiature elettriche. Questa circostanza preoccupante è per noi un monito della gravità della crisi economica nella quale siamo immersi e della necessità di trovare modi sempre più efficaci e creativi per rafforzare la capacità dell’Europa di competere, aiutando nel contempo i lavoratori in esubero licenziati a reinserirsi nel mercato del lavoro. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è uno di questi meccanismi.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Vorrei sottolineare il potenziale contributo di questo piano di assistenza finanziato dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per reinserire i lavoratori in esubero licenziati e provvedere alla loro riabilitazione sociale in un caso particolarmente tragico come quello della chiusura di tre aziende del gruppo Danfoss. Tutte queste imprese erano ubicate nella regione del Syddanmark, in Danimarca, e tutte sono andate a rotoli nell’arco di tre mesi nel 2009 con gravissime conseguenze per 1 443 lavoratori in un settore, quello della produzione di macchinari e apparecchiature elettroniche, colpito con particolare durezza dall’odierna crisi.
Vorrei ribadire che, purtroppo, il FEG è stato utilizzato con estrema parsimonia visti gli alti tassi di disoccupazione in Europa. Dei 500 milioni di euro di finanziamenti messi a disposizione attraverso il Fondo quest’anno, soltanto l’11 per cento è stato richiesto per finanziare piani di assistenza per lavoratori in esubero licenziati come diretta conseguenza della crisi economica e finanziaria globale. Vorrei tuttavia sottolineare il fatto che, a seguito di successive segnalazioni di allarme e denunce, è stata istituita una fonte di stanziamenti di pagamento alternativa ai fondi inutilizzati del Fondo.
Estelle Grelier (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Matera sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per i lavoratori del gruppo Danfoss in Danimarca. Come ho detto in settembre, durante la discussione sul futuro del Fondo dopo il 2013, sono delusa dal fatto che tale strumento, istituito per sostenere i lavoratori in esubero a causa della recessione o della globalizzazione, non benefici attualmente di alcuna garanzia finanziaria nel bilancio comunitario. Non credo infatti che attingere dalle risorse economiche di altri programmi europei per finanziare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione sia una soluzione sostenibile a lungo termine. Pertanto, quando la commissione per i bilanci ha votato a favore della mobilitazione del FEG per i dipendenti danesi di cui alla relazione Matera, ho puntualizzato, unitamente al collega socialista belga Daerden, la necessità di lavorare per la definizione di una linea di bilancio distinta per tale Fondo. Qui c’è in gioco la credibilità dell’Unione nel suo sostegno ai cittadini colpiti da instabilità economica.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Mi sono astenuto pensando ai lavoratori danesi maltrattati dalla globalizzazione. Nella situazione in cui sono sprofondati a causa delle politiche neoliberali promosse dall’Unione europea, ci si potrebbe sentire legittimati a votare contro l’elemosina derisoria che l’eurocrazia sta riluttantemente concedendo loro. Tuttavia, il poco concesso loro potrebbe alleviarne le difficoltà nella complessa congiuntura in cui versano, ma ciò non rende affatto meno biasimevole la logica del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Avalla le delocalizzazioni che il gruppo Danfoss ha operato per incrementare i propri utili.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea è uno spazio di solidarietà e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) ne fa parte. Tale sostegno è fondamentale per aiutare disoccupati e vittime di delocalizzazioni che avvengono nel contesto della globalizzazione. Un numero crescente di aziende viene delocalizzato per sfruttare il minor costo del lavoro in vari paesi, specialmente Cina e India, spesso a discapito dei paesi che rispettano i diritti dei lavoratori.
Lo scopo del FEG è aiutare i lavoratori vittime della delocalizzazione delle aziende, ed è fondamentale per agevolare l’accesso, in futuro, a nuovi posti di lavoro. Il FEG è già stato utilizzato in passato da altri paesi dell’Unione, per cui ora dovremmo concedere questi aiuti ai 1 443 lavoratori in esubero licenziati presso tre aziende del gruppo Danfoss operanti nelle divisioni 27 e 28 della NACE revisione 2 nella regione NUTS II del Syddanmark, da cui il mio voto.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) L’Unione europea ha introdotto strumenti legislativi e di bilancio per offrire ulteriore supporto ai dipendenti colpiti dalle conseguenze dei profondi cambiamenti strutturali intervenuti nei modelli di scambio globale e aiutarli a reinserirsi nel mercato del lavoro. È inoltre possibile aiutare i dipendenti in esubero licenziati a causa della crisi economica e finanziaria globale. Credo che questo sia particolarmente importante.
Adesso la Danimarca ha presentato domanda per la mobilitazione di un importo complessivo di 8 893 336 euro che riguarda 1 443 licenziamenti (di cui 1 010 usufruirebbero del sostegno) verificatisi presso tre aziende del gruppo Danfoss operanti nelle divisioni 27 e 28 della NACE revisione 2 (produzione di apparecchiature elettriche e macchinari n.c.a.) nella regione NUTS II del Syddanmark durante il periodo di riferimento di quattro mesi dal 1° marzo 2009 al 30 giugno 2009. Ho votato a favore delle misure previste per garantire che il sostegno ai lavoratori interessati venga erogato rapidamente nell’ottica del principio della solidarietà europea tra Stati membri.
Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto. – (DA) Ho votato a favore della relazione perché il denaro del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è destinato ai lavoratori colpiti da licenziamenti collettivi. Ritengo tuttavia che tale Fondo presenti una serie di problemi. Per esempio, non vi è dubbio quanto al fatto che la maggior parte del denaro erogato dal Fondo vada ai paesi più ricchi dell’Unione. Il mio voto non va parimenti interpretato come appoggio alla politica della “sovvenzione facile” dell’Unione europea. Penso che per la Danimarca inviare denaro all’Unione per poi farselo restituire dopo aver attraversato i meandri del sistema burocratico sia soltanto uno spreco di soldi.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per il gruppo Danfoss danese perché ritengo che mobilitare il FEG sia un imperativo assoluto durante l’attuale crisi economica. L’8 settembre 2009, la Danimarca ha presentato domanda di assistenza finanziaria per mobilitare il Fondo nel caso del gruppo Danfoss, che aveva licenziato 1 443 dipendenti in esubero. La crisi economica e finanziaria ha portato a un crollo della domanda di apparecchiature elettroniche e attrezzature meccaniche. Nel quarto trimestre del 2008, l’andamento del settore della produzione di apparecchiature e macchinari si è modificato radicalmente, sia in Danimarca sia in Germania, dove si sono registrati cali di produzione superiori al 25 per cento. Nel 2008, le vendite di apparecchiature elettroniche e attrezzature meccaniche Danfoss sono diminuite persino del 52 per cento in Europa, del 48 per cento negli Stati Uniti e del 23 per cento nella regione Asia-Pacifico. A causa della concorrenza delle aziende asiatiche operanti nel settore, i cui costi retributivi sono notevolmente inferiori a quelli dell’Unione, il gruppo Danfoss ha progressivamente trasferito la propria produzione dalla Danimarca in paesi terzi, con gravi conseguenze sul mercato del lavoro. Esorto la Commissione a sviluppare un’ambiziosa politica industriale verde, in grado di garantire la competitività globale dell’Unione e preservare i posti di lavoro nella Comunità.
Maria da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Considerate le richieste di assistenza danesi per i 198 casi di licenziamento presso l’azienda Linak, parte del settore elettromeccanico della regione NUTS II del Syddanmark, ho votato a favore della risoluzione perché concordo con la proposta della Commissione e i corrispondenti emendamenti presentati dal Parlamento europeo. Nell’illustrazione delle motivazioni, concordo nell’affermare che la proposta della Commissione contiene informazioni chiare e dettagliate in merito alla richiesta, analizza i criteri di ammissibilità e spiega le ragioni che hanno condotto alla sua approvazione, in conformità delle richieste circostanziate del Parlamento.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Un’altra azienda elettromeccanica danese, Linak, è stata colpita dagli effetti della globalizzazione. I più gravemente colpiti sono i lavoratori meno qualificati, in una regione profondamente depressa che sta dando ai decisori politici motivo di particolare preoccupazione. In questo e altri casi, i lavoratori più anziani destano ulteriore apprensione e devono usufruire di misure di sostegno disegnate espressamente per loro.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Considerato l’impatto dell’attuale crisi economica e finanziaria sul mercato del lavoro, ho votato a favore dello svincolo di 1 213 508 euro del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per un piano a sostegno del reinserimento nel mercato del lavoro dei 198 lavoratori licenziati dall’azienda Linak A/S, azienda produttrice di apparecchiature elettroniche nella regione danese del Syddanmark. Ribadisco il mio monito in merito all’utilizzo estremamente scarso del FEG, nonostante gli elevati tassi di disoccupazione in Europa. Ribadisco inoltre la necessità che il FEG abbia fondi propri, rappresentati da un’apposita linea di bilancio istituita a tale scopo.
Estelle Grelier (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Matera sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per i lavoratori di Linak A/S in Danimarca. Come ho detto in settembre durante la discussione sul futuro del Fondo dopo il 2013, sono delusa dal fatto che tale strumento, istituito per sostenere i lavoratori in esubero licenziati a causa della recessione o della globalizzazione. non benefici attualmente di alcuna garanzia finanziaria nel bilancio comunitario. Non credo infatti che attingere dalle risorse economiche di altri programmi europei per finanziare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione sia una soluzione sostenibile a lungo termine. Pertanto, quando la commissione per i bilanci ha votato a favore della mobilitazione del FEG per i dipendenti danesi di cui alla relazione Matera, ho puntualizzato, unitamente al collega socialista belga Daerden, la necessità di lavorare per la definizione di una linea di bilancio distinta per tale Fondo. Qui c’è in gioco la credibilità dell’Unione nel suo sostegno ai cittadini colpiti da instabilità economica.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Mi astengo pensando ai lavoratori danesi del gruppo Linak sacrificati sull’altare della globalizzazione. Nella situazione in cui sono sprofondati a causa delle politiche neoliberali promosse dall’Unione europea, si potrebbe essere propensi a votare contro, visto l’importo derisorio di questa concessione. Tuttavia, il poco concesso loro potrebbe contribuire ad alleviarne le difficoltà nella complessa congiuntura in cui versano.
Ciò tuttavia non rende affatto meno intollerabile la logica del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Avalla la logica che induce un’importante società internazionale come Linak a delocalizzare le proprie attività per incrementare gli utili, di cui non ha neanche la decenza di rivelare l’entità.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L’Unione europea è uno spazio di solidarietà e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) si iscrive in tale ambito. Tale sostegno è fondamentale per aiutare disoccupati e vittime di delocalizzazioni che avvengono nel contesto della globalizzazione. Il numero di aziende che optano per la delocalizzazione sfruttando il vantaggio offerto da costi del lavoro ridotti in vari paesi, segnatamente Cina e India, è ancora maggiore, con conseguenti effetti deleteri per i paesi che rispettano i diritti dei lavoratori.
Lo scopo del FEG è assistere i lavoratori vittime di delocalizzazioni aziendali ed è fondamentale per agevolare l’accesso a nuovi posti di lavoro. Il FEG è stato utilizzato in passato da altri paesi dell’Unione e dovrebbe essere impiegato adesso per prestare assistenza ai 198 lavoratori licenziati presso Linak, operante nel settore elettromeccanico della regione NUTS II del Syddanmark, da cui il mio voto.
Miroslav Mikolášik (PPE), per iscritto. – (SK) Mi compiaccio nel vedere che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato utilizzato nelle regioni colpite prima citate e concordo pienamente con tale impiego. Ritengo in particolare che l’intero iter, dalla formulazione delle domande alla loro gestione e all’ottenimento della decisione finale dell’autorità di bilancio, sia stato sinora alquanto oneroso e complesso, secondo l’esperienza di molti paesi. Per esempio, nel 2009 i contributi richiesti al Fondo sono stati pari in media a 5 552 700 euro e 30 domande presentate da 13 Stati membri riguardavano 17 comparti. Tuttavia, l’autorità di bilancio lo scorso anno ha approvato 10 contributi finanziari del FEG ammontanti complessivamente a 52 349 000 euro, ossia soltanto il 10,5 per cento della somma annua massima erogabile dal Fondo. Uno dei motivi è principalmente legato a una mancanza di esperienza con le procedure del Fondo e al lungo periodo di incertezza finanziaria in attesa della decisione dell’autorità di bilancio. Credo che le procedure semplificate introdotte per le valutazioni e l’iter decisionale alla fine del 2009 semplificheranno e accelereranno la presentazione delle domande di sostegno da parte del Fondo e, conseguentemente, presteranno un’assistenza efficace ai dipendenti che hanno perso il posto di lavoro a causa dei cambiamenti intervenuti nella struttura del commercio mondiale.
Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto. – (DA) Ho votato a favore della relazione perché il denaro del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è destinato ai lavoratori colpiti da licenziamenti collettivi. Ritengo tuttavia che tale fondo presenti una serie di problemi. Per esempio, non vi è dubbio quanto al fatto che la maggior parte del denaro erogato dal Fondo vada ai paesi più ricchi dell’Unione. Il mio voto non va parimenti interpretato come appoggio alla politica della “sovvenzione facile” dell’Unione europea. Penso che per la Danimarca inviare denaro all’Unione per poi farselo restituire dopo aver attraversato i meandri del sistema burocratico sia soltanto uno spreco di soldi.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per sostenere i lavoratori licenziati dall’azienda familiare Linak A/S, ubicata a Sønderborg, in Danimarca. L’8 settembre 2009, la Danimarca ha presentato domanda per un contributo finanziario di 1 213 508 euro (il 65 per cento del bilancio totale necessario) a sostegno di 139 dipendenti in esubero licenziati presso Linak A/S. Tali licenziamenti collettivi sono coincisi con un’altra ondata di licenziamenti da parte del gruppo Danfoss a Sønderborg, nel sud della Danimarca. Credo che sia compito degli Stati membri sostenere il reinserimento di ogni lavoratore in esubero licenziato nel mondo del lavoro. Il FEG offre agli Stati membri l’opportunità di supportare i lavoratori colpiti dalla crisi economica e finanziaria globale e dai radicali cambiamenti intervenuti nei modelli di scambio globale. In Romania, 381 296 lavoratori hanno perso il posto di lavoro tra il marzo 2008 e il marzo 2010, di cui 13 667 nella sola contea di Galaţi. Penso che anche altri Stati membri, che sinora non hanno richiesto la mobilitazione del Fondo, tra cui la Romania, debbano analizzare e seguire l’esempio degli Stati che si sono avvalsi del FEG per sostenere i lavoratori in esubero licenziati a causa della crisi economica e finanziaria.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Apprezzo la votazione in plenaria sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione a favore di cittadini spagnoli e danesi. Creato nel 2006, tale Fondo europeo è volto a prestare assistenza ai dipendenti in esubero licenziati a seguito di un processo di riorganizzazione. Nel 2009 le norme sono state modificate per consentire un uso migliore delle dotazioni assegnate al Fondo che, da allora, non sono state completamente utilizzate. L’impegno ad aiutare più di 1 500 lavoratori spagnoli e danesi attraverso il Fondo è pertanto un’ottima notizia. Vale la pena di sottolineare l’importanza e la rilevanza di tale Fondo in questi tempi di recessione economica che stiamo vivendo. Nonostante la sua natura temporanea, il Fondo dovrebbe essere mantenuto in essere, perlomeno fintantoché è in grado di dimostrare la sua utilità.
David Casa (PPE), per iscritto. – (EN) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è uno strumento fondamentale nell’Unione, il cui scopo è stato ampliato per prestare assistenza a quanti, in esubero, sono stati licenziati a causa della crisi. È indispensabile che tali finanziamenti siano messi a disposizione di coloro che ne hanno realmente bisogno in maniera tempestiva ed efficace. Per questo concordo con la relatrice e ho votato a favore delle sue relazioni.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Con questa votazione importante, il Parlamento europeo chiede alle istituzioni coinvolte di compiere gli sforzi necessari per accelerare la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), richiamando l’impegno delle istituzioni a garantire una procedura rapida e snella per l’adozione delle decisioni in merito alla mobilitazione del FEG allo scopo di mettere a disposizione un sostegno individuale temporaneo, una tantum, inteso ad aiutare i lavoratori che hanno subito licenziamenti collettivi a causa della globalizzazione e della crisi economica e finanziaria, oltre che sottolineando il ruolo che il FEG può svolgere in vista del reinserimento nel mercato del lavoro dei dipendenti in esubero licenziati. Il Parlamento sottolinea che, in applicazione dell’articolo 6 del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), si dovrebbe garantire che il Fondo sostenga il reinserimento nel mercato del lavoro dei singoli lavoratori in esubero licenziati, ribadendo inoltre che l’assistenza del FEG non deve sostituirsi ad azioni che rientrano tra le responsabilità delle aziende in virtù della legislazione nazionale o di contratti collettivi, né misure di riorganizzazioni di aziende o settori.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Le tre relazioni dell’onorevole Matera oggi poste ai voti riguardano il sostegno a 82 aziende del settore dell’abbigliamento della regione della Galizia in Spagna e due aziende del settore dell’ingegneria e della meccatronica nella regione del Syddanmark in Danimarca. L’assistenza finanziaria autorizzata fornirà complessivamente sostegno a 2 344 persone aiutandole a reinserirsi nel mercato del lavoro.
Jean-Pierre Audy (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato per il diniego del discarico al direttore dell’Accademia europea di polizia rispetto all’esecuzione del bilancio dell’Accademia per l’esercizio 2008 sulla base dell’eccellente relazione della collega e amica Mathieu, membro della commissione per il controllo dei bilanci. Tutte le argomentazioni enunciate nella relazione giustificano tale decisione. Sono tuttavia sorpreso dal fatto che i conti annuali non siano stati approvati, sebbene non siano oggetto di particolari osservazioni da parte della Corte dei conti europea. Considerato che la relazione della collega Mathieu approvata dalla commissione per il controllo dei bilanci propone tre voti (diniego del discarico, chiusura dei conti e risoluzione), trovo curioso che di fatto siano stati sottoposti al voto della plenaria soltanto due punti: discarico e risoluzione. Strano davvero ... a mio parere, nulla ostava alla chiusura dei conti. Ci ritroviamo dunque in una situazione contabile bizzarra in cui nell’ottobre 2010 i conti del 2008 non sono chiusi, l’esercizio 2009 è terminato e quello del 2010 si concluderà tra poche settimane. Sfido chiunque a risolvere questo rebus!
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) La raccomandazione della commissione di esperti intesa a negare a questa istituzione europea il discarico è stata appoggiata da tutti, il che significa che la reputazione dell’“Accademia di polizia” sarà macchiata per sempre. Tale situazione tragicomica in cui l’Accademia europea di polizia non ottiene il discarico alla luce di talune attività finanziarie fraudolente ci dimostra che la corruzione non ha limiti. In altre parole, sotto accusa è proprio l’istituzione creata per tutelarci dai criminali (indirettamente, offrendo formazione professionale agli ufficiali di polizia).
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione per negare il discarico all’Accademia europea di polizia rispetto all’esecuzione del suo bilancio per l’esercizio 2008 perché l’indagine sull’utilizzo improprio di fondi non è ancora conclusa. Ho votato inoltre a favore perché convengo con l’idea che sia inaccettabile per un’organizzazione finanziata dall’Europa non avere una gestione solida e trasparente delle proprie finanze dopo così tanti anni. Il nuovo direttore dell’Accademia può aver presentato un piano di azione, ma non è sufficiente né dettagliato come dovrebbe essere. Infine, negare il discarico all’Accademia per il 2008 trasmetterà un segnale forte in merito alla necessità di migliorare il suo modus operandi per porre fine a una gestione inadeguata del denaro.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Alla luce delle irregolarità riscontrate e dell’incapacità dell’Accademia europea di polizia di rispondere della sua situazione finanziaria e di bilancio in Parlamento, concordo con la decisione della relatrice di negare il discarico al direttore dell’Accademia rispetto all’esecuzione del bilancio per l’esercizio 2008.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) L’Accademia europea di polizia ha avuto difficoltà nell’ottemperare alle norme di buon governo che ogni agenzia di regolazione è chiamata a rispettare. Dal 2006, diversi audit hanno riscontrato problemi nell’osservanza da parte dell’Accademia dei regolamenti finanziari, dello statuto del personale e del sistema contabile, oltre che inadeguatezze nella sua gestione del bilancio, nelle risorse umane, nelle procedure di appalto pubblico e nelle norme applicate alle spese nell’organizzazione dei corsi. Secondo la risoluzione, potremo presumibilmente osservare miglioramenti nell’Accademia soltanto nel 2014, quando il suo piano pluriennale sarà stato completamente attuato. Non concordo con l’idea che l’Accademia abbia bisogno di almeno nove anni (2006-2014) per raggiungere il livello accettabile di buon governo che ci si aspetta da un’agenzia di regolazione.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Considerati i dati concernenti l'attività e la cattiva gestione contabile del Collegio Europeo di Polizia, sostengo la proposta della collega Mathieu di rifiutare il discarico al suo direttore con riferimento all'esecuzione del bilancio dell'Accademia per l'esercizio 2008. Il CEPOL è, nel mare magnum delle numerose e a volte poco utili agenzie comunitarie, un organismo importante per la lotta alla criminalità e per il mantenimento della sicurezza e dell'ordine pubblico. Dati del 2007 informano che il CEPOL disponeva di una dotazione finanziaria annua di 7,5 milioni di euro. E' interesse di tutti i cittadini, soprattutto in un momento economicamente e finanziariamente difficile come quello attuale, poter contare su agenzie comunitarie efficienti, che sappiano utilizzare in maniera trasparente e responsabile il budget che viene loro accordato. Importante è il ruolo di controllo che svolge il Parlamento Europeo, ponendo, come in questo caso, un veto laddove vi siano gestioni poco chiare. Per questo voterò favorevolmente alla proposta della relatrice.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) L’Accademia europea di polizia (CEPOL), divenuta agenzia nel 2006, si è dovuta confrontare con gravi problemi dalla sua costituzione per quanto concerne il rispetto di norme minime di buon governo a cui tutte le agenzie dell’Unione sono sottoposte. Sebbene abbia votato a favore della relazione e della decisione di negare il discarico di bilancio per l’esercizio 2008, questa è la prima volta che un discarico viene usato contro una singola organizzazione. Contesto tuttavia questa interpretazione del discarico e la sua utilità come strumento a due anni di distanza dall’evento in circostanze in cui, come nella fattispecie, è possibile che direzione e personale siano cambiati. È dunque fondamentale analizzare se le agenzie molto piccole possano essere efficaci e rispondere ai requisiti amministrativi dei regolamenti finanziari con un personale estremamente ridotto.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) La scorsa settimana, la commissione per il commercio internazionale ha votato all’unanimità a favore del rinvio della concessione del discarico per il bilancio 2008 dell’Accademia europea di polizia (CEPOL) e contro la chiusura dei suoi conti per lo stesso esercizio. Viste le notevoli carenze riscontrate nel rispetto dei regolamenti finanziari e dello statuto del personale, anche il Parlamento europeo ha votato a schiacciante maggioranza contro la concessione del discarico alla CEPOL e, dunque, anche contro una chiusura con esito positivo dei conti relativi al bilancio 2008. È bello vedere che il Parlamento ha assolto il proprio compito in questa procedura di discarico e ha trasmesso un segnale chiaro contro una gestione inadeguata e negligente. Vorrei complimentarmi con l’onorevole Mathieu per la sua relazione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Tutte le istituzioni comunitarie che dipendono dal bilancio dell’Unione devono essere rigorosamente verificate dalla Corte dei conti e da tutte le entità che svolgono funzioni di audit. Tale verifica deve appurare se i fondi comunitari sono utilizzati in maniera appropriata, le istituzioni rispettano i loro obiettivi definiti e vi sono sprechi di risorse.
In termini generali, sulla base delle valutazioni emerse a seguito delle verifiche note, con rare eccezioni, possiamo affermare che le istituzioni in questione utilizzano i fondi disponibili in maniera corretta e nel rispetto dei loro obiettivi stabiliti. Nondimeno, secondo il giudizio della relatrice, ciò non avviene per l’Accademia europea di polizia, viste le varie irregolarità riscontrate e l’inadeguatezza emersa dai suoi audit, da cui il mio voto.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Con questo voto, il Parlamento europeo si rifiuta di concedere al direttore dell’Accademia europea di polizia il discarico rispetto all’esecuzione del bilancio dell’Accademia per l’esercizio 2008.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) La relatrice ha ragione nell’esprimere preoccupazione in merito alla mancanza di trasparenza nelle procedure di appalto dell’Accademia europea di polizia. Speriamo che l’indagine condotta dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) sia approfondito e scrupoloso e contribuisca a fare maggiormente luce sull’argomento. La questione, tuttavia, è legata a un problema molto più grave, vale a dire la frequente mancanza di integrità e professionalità nelle forze di sicurezza e polizia in tutta Europa. Amnesty International e Human Rights Watch hanno segnalato un numero particolarmente elevato di casi in Europa in cui la polizia ha travalicato i propri poteri e usato metodi di indagine illegali. Nella maggior parte dei casi, le istituzioni non hanno svolto inchieste né punito i trasgressori secondo le norme internazionali, innalzando in tal modo il livello di impunità. Spesso le vittime divengono facili bersagli per la loro condizione di inferiorità, dovuta all’appartenenza a una minoranza etnica o al loro credo politico. Corpi di polizia forti hanno bisogno di uno Stato di diritto solido e onesto, nonché di un’indipendenza giudiziaria consolidata. L’Accademia europea di polizia ha nobili obiettivi: promuovere norme comuni per le attività di polizia, incoraggiare la cooperazione transfrontaliera nella lotta alla criminalità, nonché sostenere lo Stato di diritto e la legalità sancita dal diritto. Attraverso tale istituzione o un’altra, ciò che conta è che tali obiettivi siano conseguiti.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) La presente risoluzione del Parlamento è determinante per abolire il regime dei visti per la Bosnia-Erzegovina e l’Albania. Un regime di esenzione dal visto conduce alla realizzazione di uno dei principali diritti fondamentali in Europa: la libertà di circolazione in tutti gli Stati membri. È estremamente importante profondere il massimo impegno per garantire quanto prima ai cittadini della Bosnia-Erzegovina e dell’Albania la possibilità di spostarsi senza obbligo di visto. La Bosnia-Erzegovina e l’Albania hanno compiuto progressi significativi negli ultimi mesi e con questi paesi sono state condotte trattative di notevole rilevanza. Una volta che tali paesi avranno ottenuto il regime di esenzione dal visto, i giovani potranno viaggiare, apprendere e studiare all’estero. Si ridurrebbe inoltre il rischio di un’instabilità etnica e politica ancora maggiore, la cooperazione economica e politica nella regione sarebbe rafforzata e crescerebbe il sostegno popolare all’Unione e alla prospettiva dell’integrazione europea.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Sono trascorsi ventun’anni dalla caduta del muro di Berlino, ma l’Europa rimane divisa e ancora alcuni cittadini hanno bisogno del visto per spostarsi liberamente nell’Unione. Provengo da un paese che ha vissuto per quasi mezzo secolo sotto il giogo del regime comunista senza alcun diritto di libera circolazione. Dopodiché, alla Romania sono serviti 15 anni per convincere l’Europa che i suoi cittadini non sono di seconda categoria e dovrebbero godere di un diritto umano fondamentale. L’Unione europea non ha mai creato divisioni artificiali né ha promosso tale idea. Ha invece invitato tutti gli europei allo stesso tavolo smantellando le frontiere. Il Parlamento europeo ha costantemente sostenuto il concetto di abolire il regime che impone la necessità del visto perché è consapevole dell’impatto psicologico che l’attuale situazione comporta su coloro che sono ancora costretti ad acquistare un visto per recarsi in visita presso propri familiari stabiliti in paesi dell’Unione, spostarsi per ragioni di studio o semplicemente viaggiare. È giunto il momento, trascorsi ormai ventun’anni dalla riunificazione dell’Europa, di porre fine ai visti per gli abitanti europei che vorrebbero spostarsi nell’Unione.
Maria da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore di questa proposta legislativa per riconoscere l’importanza di concedere ai cittadini dell’Albania e della Bosnia-Erzegovina il diritto di circolare liberamente nell’Unione europea attraverso un sistema di esenzione dal visto, la cui entrata in vigore è prevista quest’anno. È un processo che fa seguito ai recenti sviluppi con Serbia, Montenegro ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia. A mio parere, questo voto rappresenta un passo importante per l’integrazione europea e la cooperazione economica e politica nella regione. È tuttavia ancora importante orientare i nostri sforzi per procedere con la liberalizzazione del sistema di visti in Kosovo, che costituisce l’unica area nei Balcani occidentali in cui non è ancora previsto l’avvio di negoziati.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione perché credo nel diritto inalienabile alla libera circolazione per tutti i cittadini, nel diritto alla libera circolazione prescindendo dalla nazionalità. L’odierna relazione finalmente compie il passo successivo verso l’abolizione dell’obbligo di visto per i cittadini dell’Albania e della Bosnia-Erzegovina. Purtroppo, però, non dobbiamo sottovalutare il fatto che, per ottenere la liberalizzazione dell’obbligo di visto, gli Stati devono utilizzare passaporti biometrici, soluzione alla quale mi oppongo perché, a mio parere, viola il principio della protezione dei dati personali dei cittadini.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore dell’adozione della proposta di regolamento perché contribuirà ad attuare alcuni precedenti impegni dell’Unione in merito alla libera circolazione dei cittadini nell’intero continente. Ciò consentirà ai cittadini di taluni paesi dei Balcani occidentali di sentire che anche loro fanno parte del processo di riunificazione del continente europeo. Credo che non si possa progredire nel nostro desiderio di creare un’identità e una cittadinanza europea senza eliminare le barriere che impediscono la libera circolazione sul continente tra Stati membri dell’Unione e loro vicini. Apprezzo la ricettività dimostrata nei confronti dell’estensione di tale agevolazione all’Albania e alla Bosnia-Erzegovina. L’assimilazione dei cittadini di questi paesi a quelli dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, del Montenegro e della Serbia in termini di concessione del diritto di libera circolazione nell’Unione contribuirà anche a rimarginare alcune ferite del recente passato. Queste sono alcune delle argomentazioni che spiegano il mio voto.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) I Balcani, con la loro reputazione di “polveriera d’Europa” restano fondamentalmente, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, un potenziale focolaio di tensioni interetniche, cui si sommano l’instabilità politica e la crisi economica e sociale. La Bosnia-Erzegovina ne fornisce l’esempio più recente visto che, purtroppo, malgrado tutti gli sforzi profusi, la mentalità dello scontro permane tra comunità ancora divise dalle ferite della guerra.
Credo che smantellare i muri che ancora dividono il continente promuoverà il processo di riforma e riconciliazione in questa regione d’Europa. Dall’abolizione dell’obbligo di visto per Serbia, Montenegro e Macedonia lo scorso dicembre, Bosnia-Erzegovina e Albania hanno compiuto notevoli progressi, come si afferma nella relazione, ragion per cui il loro isolamento e la loro separazione non sono più giustificati. Resta però un problema irrisolto nella regione, quello del Kosovo, che non è neanche riconosciuto come Stato indipendente da molti paesi, tra cui l’Unione europea. In un prossimo futuro, tale aspetto dovrà essere al centro delle nostre preoccupazioni perché può creare un pericoloso precedente per azioni secessioniste intraprese sulla base di motivi etnici.
Mário David (PPE), per iscritto. − (PT) È con grande piacere che voto a favore del riconoscimento e della verifica da parte dell’Unione europea dell’esistenza di condizioni idonee per la liberalizzazione del sistema di visti per nuovi Stati del nostro continente, nella fattispecie Bosnia-Erzegovina e Albania. Mi rammarico tuttavia per il fatto che ad altri paesi, segnatamente Ucraina e Croazia, l’Unione non riservi la stessa accoglienza e non giudichi degni dello stesso riconoscimento paesi che sono emersi e hanno acquisito la propria sovranità e indipendenza dall’ex Unione sovietica soltanto per la loro passata appartenenza al blocco sovietico.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Fajon perché i risultati delle missioni di valutazione e le corrispondenti relazioni hanno dimostrato che Albania e Bosnia-Erzegovina hanno compiuto progressi nel rispetto dei requisiti imposti loro, il che ha permesso di inserirli nell’elenco di paesi terzi i cui cittadini sono esentati dall’obbligo di essere in possesso di visto per accedere allo spazio Schengen.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Chi ricorda le tensioni e i conflitti che hanno devastato i Balcani occidentali non possono non prendere atto dei progressi considerevoli ora compiuti verso la pacificazione e la stabilizzazione della regione. È più che naturale che fosse desiderio dell’Unione contribuire all’abbattimento delle barriere che la separano dalla maggior parte degli Stati balcanici consentendo ai loro cittadini di accedere alla Comunità senza obbligo di visto. Sono favorevole all’eliminazione delle barriere alla circolazione delle persone come questione di principio e, pertanto, avallo l’abolizione delle barriere in questione. Nel contempo, credo però che agevolare la circolazione dei cittadini balcanici nel territorio comunitario debba accompagnarsi a una maggiore cooperazione transfrontaliera e uno scambio di informazioni più fruttuoso con i loro paesi di origine per contrastare il dilagare delle attività criminali da parte di bande provenienti da tali paesi.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Sostengo fermamente l’obiettivo di abolire i visti per tutti i paesi dei Balcani occidentali. L’eliminazione del visto per i cittadini dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, del Montenegro e della Serbia nel dicembre 2009 ha rappresentato un passo importante per la loro integrazione in Europa. Il sistema di esenzione dal visto riveste grande importanza per la vita dei cittadini poiché rafforza le relazioni tra i popoli e consente il consolidamento del principio della libera circolazione come uno dei diritti fondamentali dell’Europa.
La garanzia che l’Unione europea estenderà l’esenzione dal visto ai due paesi, specialmente alla Bosnia-Erzegovina, in un futuro molto prossimo, all’inizio dell’autunno 2010, ridurrà il rischio di una maggiore instabilità etnica e politica, rafforzerà la cooperazione economica e politica nella regione e farà crescere il sostegno popolare per l’Unione e le prospettive di integrazione europea, oltre ad allargare gli orizzonti del suo popolo e placare sentimenti estremisti e antieuropeisti. Ho votato a favore della presente risoluzione per l’esenzione dal visto in maniera che Bosnia-Erzegovina e Albania possano usufruirne quanto prima.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Siamo favorevoli all’abolizione quanto prima dell’obbligo del visto per i cittadini della Bosnia-Erzegovina e dell’Albania, paesi che si sono visti negati questa opportunità nel 2009, quando si è iniziato ad abolire il regime dei visti per tutti i paesi dei Balcani occidentali.
Tale decisione ricompensa la capacità di questi paesi di “attuare le riforme necessarie”. Pertanto, si afferma, apriamo la porta ai paesi che “fanno quanto in loro potere per accontentare le richieste dell’Europa”. L’interrogativo che si pone è il seguente: quale prezzo pagano i popoli di questi paesi per conseguire tale obiettivo? Coloro che oggi sostengono di ricompensare i paesi balcanici sono gli stessi che ieri facevano il possibile per distruggere la Iugoslavia e smontare i risultati raggiunti dai suoi cittadini. Le mani delle principali potenze dell’Unione e della NATO sono macchiate dei crimini ivi commessi in un’operazione che è riuscita a suscitare odio e bellicosità tra popoli che molto tempo prima avevano deciso di unire le proprie volontà per costruire il loro paese. Non appoggiamo, pertanto, lo smantellamento di ciò che resta della Iugoslavia, promosso da quanti vogliono mettere le mani sulla sua ricchezza, sfruttarne i popoli e trarre vantaggio dalla sua posizione geostrategica, vecchio sogno del grande capitale nell’Unione. Si è già annunciato che la prossima area da includere nel regime sarà il Kosovo, il protettorato UE-NATO nella regione.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Gentile Presidente, onorevoli colleghi, la proposta della collega Fajon in merito all'eliminazione dell'obbligo di visto per i cittadini della Bosnia-Erzegovina e dell'Albania, al momento dell'attraversamento delle frontiere esterne dell'Unione Europea, trova me e il movimento a cui appartengo in totale disaccordo. Ritengo irresponsabile e pericoloso per la sicurezza dei cittadini europei tale provvedimento, poiché sottovaluta i problemi e le difficoltà politiche di tali Paesi, mentre sopravvaluta i deboli e insufficienti progressi registrati negli ultimi anni. In Albania non è ancora stato attuato un sistema normativo di contrasto alla criminalità organizzata e agli elevatissimi livelli di corruzione. La giustizia penale registra problemi simili anche in Bosnia-Erzegovina, dove la cooperazione tra polizia e autorità giudiziaria è molto scadente. La politica dei visti consente un certo monitoraggio e una selezione di chi entra da Paesi terzi. Senza il controllo che fornisce tale sistema si rischia di incorrere in situazioni pericolose per la sicurezza dei nostri cittadini.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Questo voto è un segnale forte che il Parlamento europeo trasmette ad Albania e Bosnia-Erzegovina, segnatamente la prospettiva di una futura adesione all’Unione europea. Permettere l’abolizione dei visti per i cittadini di questi due paesi senza dubbio incoraggerà, di fatto, la mobilità dei giovani studenti e rafforzerà la cooperazione economica e politica con la regione balcanica, dove alcuni paesi come Serbia, Montenegro ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia stanno già usufruendo di un siffatto regime. Ma non illudiamoci: questo voto del Parlamento non significa in alcun caso un avvallo delle politiche dell’attuale governo albanese per il quale confermiamo i requisiti già enunciati in luglio. Tale misura è principalmente intesa a creare un legame tra nazioni. È ovviamente un peccato che il Kosovo, a causa di disaccordi tra Stati membri in merito al riconoscimento della sua indipendenza, non rientri in tale processo in atto tra l’Unione europea e i paesi balcanici. Dobbiamo lavorare verso tale obiettivo.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Il Parlamento Europeo ha oggi dato un forte segnale dimostrando il proprio sostegno alla politica di abolizione dei regime dei visti di ingresso per i Paesi dei Balcani occidentali, continuando il percorso intrapreso l'anno scorso con la dispensa dall'obbligatorietà del visto per i cittadini di Serbia, Montenegro e dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Tale decisione ha rappresentato un passaggio importante verso l'integrazione europea di questi Paesi, che hanno dato dimostrazione di poter avviare dei seri processi di riforma. Il voto odierno sulla relazione della collega Fajon, ha accolto l'invito della Commissione ad abolire gli obblighi anche per l'Albania e la Bosnia-Erzegovina. Ritengo, infatti, che un approccio differenziato avrebbe rischiato di accentuare le divisioni etniche e politiche che caratterizzano l'area. L'unica zona non ricompresa nel processo di liberalizzazione dei visti é il Kosovo, ed é un'esclusione sostanzialmente dovuta ai problemi esistenti in merito al riconoscimento dell'indipendenza del paese, che mi auguro possano essere prontamente risolti. Mi preme, infine, ricordare che l'abolizione dei visti, obiettivo della presente relazione, concerne un aspetto cruciale della vita delle persone, che consente loro di realizzare in concreto il diritto alla libera circolazione.
Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Una relazione stilata da Europol, Eurojust e Frontex ha stimato che ogni anno in Europa entrano 900 000 immigranti illegali. Tale documento descrive gli immigranti illegali provenienti dai Balcani come portatori di un forte elemento di criminalità in termini di stupefacenti, armi e traffico di esseri umani.
Sebbene alcuni di questi paesi restino fortemente instabili per motivi geopolitici, religiosi o persino etnici, la relazione della socialista Fajon non raccomanda nulla di meno che l’abolizione del sistema dei visti per tutti i paesi dei Balcani occidentali. Prescindendo dal fatto che tale privilegio contrasta con gli accordi di Schengen e gli stessi principi del funzionamento dell’Unione europea e del meccanismo per aderirvi, a mio parere è fuori questione autorizzare la libera circolazione di persone provenienti da paesi come Bosnia-Erzegovina o Albania.
Invocare questo “diritto fondamentale” è in realtà soltanto un utopico guazzabuglio. L’Unione europea deve già confrontarsi con un’immigrazione massiccia e incontrollata che sta arrecando grave danno all’identità, all’economia e alla società delle nazioni che la compongono. Dovremmo invece schierarci per la salvaguardia del diritto fondamentale di un popolo di mantenere il controllo delle proprie frontiere e prendere una decisione sovrana su chi possa o meno entrare nel proprio paese.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. − La Relazione della collega Fajon sulla proposta di regolamento che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo merita di essere valutata positivamente in quanto costituisce un corretto seguito degli accordi per la facilitazione delle procedure di rilascio dei visti che l’Ue aveva concluso nel 2007 con Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Serbia. Fermo restando la necessità di continuare l’attività di controllo sistematico anche dopo la liberalizzazione, è opportuno sottolineare che questo provvedimento avrà senza dubbio un’importante funzione di stabilizzazione. Mi trovo inoltre concorde con la relatrice sul fatto che le conseguenze dirette di tale fenomeno sulla qualità della vita dei cittadini contribuiranno a incoraggiare le istituzioni statali e governative e i politici nei loro sforzi volti ad attuare le riforme necessarie per aderire all'Unione europea.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Se si tratta di estendere l’esenzione dall’obbligo di visto ai cittadini dell’Albania e della Bosnia-Erzegovina, potremmo discutere l’ipotesi secondo cui l’Albania avrebbe compiuto progressi nell’eliminazione dell’influenza della criminalità organizzata. Non è cosi. Nondimeno, la motivazione della relatrice e il parere della commissione per gli affari esteri, che chiedono entrambi a gran voce la liberalizzazione dei visti per il Kosovo, sono una provocazione inaccettabile. Voto pertanto contro.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L’Unione europea si è sempre preoccupata del fatto che i cittadini entro i suoi confini geografici possano circolare liberamente negli Stati membri, agevolazione progressivamente estesa a paesi non membri, per cui ora vari cittadini di paesi extracomunitari possono spostarsi nell’Unione senza obbligo di visto.
L’obiettivo dell’attuale risoluzione è l’esenzione dal visto per i cittadini di Albania e Bosnia-Erzegovina, seguendo l’esempio dato in altri paesi dei Balcani occidentali, segnatamente ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Montenegro e Serbia. I progressi compiuti dai due paesi negli ultimi mesi hanno indotto l’Unione ad abolire l’obbligo di visto di ingresso per i loro cittadini, il che contribuirà a ridurre il rischio di una maggiore instabilità etnica e politica, rafforzerà la cooperazione economica e politica nella regione, farà crescere il sostegno popolare per l’Unione e le prospettive di integrazione europea, allargherà gli orizzonti delle loro popolazioni e placherà sentimenti estremisti e antieuropeisti. Per questi motivi ho votato a favore.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Appoggio la proposta della Commissione di abolire il regime dei visti per i cittadini di Albania e Bosnia-Erzegovina. Il regime dei visti non dovrebbe in alcun caso isolare i cittadini dei Balcani occidentali né allontanarli dall’Unione europea, il loro immediato vicino. La decisione di liberalizzare il regime dei visti è frutto dei progressi compiuti dai due paesi, soprattutto in termini di rafforzamento della lotta alla criminalità organizzata, decisione che avrà un importante impatto psicologico sulla popolazione, per esempio gli studenti, che sinora hanno dovuto fare code nei consolati.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Ho votato a favore della versione finale della relazione dell’onorevole Fajon. In proposito, vorrei affermare con chiarezza che sono contrario a un regime di abolizione dei visti per i cittadini del Kosovo perché ritengo che la questione debba essere concordata con la parte serba. Concordo invece pienamente con la posizione assunta dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, che non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Credo inoltre che fino al momento in cui la Serbia non riconoscerà l’indipendenza del Kosovo, non abbiamo il diritto di compiere alcun passo neanche verso il riconoscimento indiretto di tale regione. Come è noto, molti Stati membri dell’Unione non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Sono convinto che dobbiamo adottare un approccio più cauto alla questione.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La liberalizzazione dei visti nel 2009 ha dimostrato a tutti gli effetti che molti cittadini dei Balcani equiparano l’opportunità di circolare senza visto alla concessione di carta bianca. Innumerevoli persone hanno sfruttato i requisiti più liberali in materia di visto per recarsi nell’Unione europea. Quante di queste persone sono effettivamente rientrate nel paese di origine una volta scaduto il periodo di permanenza concesso? Nessuno lo sa. Non sembra esser chiaro alle persone in questione che la liberalizzazione dei visti non ha nulla a che vedere con i posti di lavoro o il diritto di residenza. La logica di arginare l’ingresso illegale nell’Unione europea attraverso un accordo di riammissione non può andare d’accordo con un continuo abuso della liberalizzazione dei visti. Questo è un concetto che dobbiamo fare nostro. Il Kosovo, in particolare, rappresenta un problema importante al riguardo. L’Unione europea non è mai stata capace di decidere ciò che ritiene essere più importante o ciò che ritiene sia giusto e corretto – integrità territoriale o il diritto all’autodeterminazione dei popoli – e poiché abbiamo ignorato troppo a lungo il problema degli Stati multinazionali, ora abbiamo uno Stato balcanico diviso. Utilizzare un accordo sui visti quasi per costringere, indirettamente, al riconoscimento del Kosovo, pur sapendo che alcuni Stati membri non lo hanno riconosciuto, contraddice il principio della sussidiarietà e viola i diritti nazionali, il che dovrebbe essere respinto nella maniera più recisa possibile. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, ho votato contro la relazione Fajon.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della presente relazione perché so benissimo, come cittadino rumeno, quanto sia importante la libertà di circolazione. È la libertà più importante su cui si basa l’Unione europea e il più grande diritto di cui gode un cittadino europeo. Estendere tale principio all’Albania e alla Bosnia-Erzegovina è un passo importante nel cammino verso l’integrazione europea.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Appoggio pienamente la proposta formulata dal Parlamento europeo e dal Consiglio in merito alla rinuncia all’obbligo del visto a breve termine per i cittadini dell’Albania e della Bosnia-Erzegovina quando attraversano frontiere esterne. Detti paesi hanno compiuto grandi progressi nel rispetto dei requisiti dell’Unione europea, Conformemente alla proposta della Commissione, nel momento in cui sarà stato eliminato l’obbligo del visto, la Commissione intraprenderà in questi due paesi, come in tutti i paesi dei Balcani occidentali già depennati dall’“elenco negativo” e aggiunti all’“elenco positivo”, un monitoraggio appropriato dell’efficacia del processo in virtù del quale sono attuate in maniera permanente le misure previste da tali paesi nel quadro della liberalizzazione dei regolamenti in materia di visto. La Commissione sottolinea anche che il requisito fondamentale per il completamento del processo di liberalizzazione dei visti in tali paesi è l’introduzione di passaporti biometrici, che garantiranno sicurezza e impediranno l’immigrazione illegale.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. − Ho votato contro una conclusione favorevole del processo di liberalizzazione dei visti per Albania e Bosnia Erzegovina. Sostengo la posizione critica della Francia che, durante la riunione del COREPER del 29 settembre scorso, lamentando il lasso di tempo troppo breve intercorso tra la proposta della Commissione e l’assessment ha posto una riserva parlamentare e chiesto più tempo per valutare i "benchmarks". Ci sono ancora troppi punti in sospeso per consentire la soppressione del visto d'ingresso nell'Ue ai cittadini dell'Albania e della Bosnia. Questi punti riguardano in particolare la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, la mancanza del passaporto biometrico e la gestione dell'immigrazione e delle frontiere. Su quest'ultimo punto, ricordo che nello scorso marzo il Belgio rimpatriò alcune centinaia di serbi e macedoni di etnia albanese che avevano chiesto asilo all’Europa dopo che a dicembre le restrizioni sui visti erano state tolte a Serbia, Macedonia e Montenegro.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il voto odierno apre la vita all’inserimento tardivo, ma accolto con estremo favore, della Bosnia e dell’Albania nel programma di esenzione dall’obbligo di visto dell’Unione europea e ovviamente incoraggerà i loro cittadini, conferendo loro gli stessi diritti e privilegi dei loro vicini. Il Consiglio ora dovrebbe procedere rapidamente all’approvazione del loro inserimento. Siamo tuttavia preoccupati dalla riluttanza di alcuni Stati membri, segnatamente la Francia, ad agire in tal senso. Il rispetto da parte di Bosnia e Albania dei criteri dell’Unione per l’abolizione dell’obbligo di visto è di fatto più evidente di quanto lo fosse quello di Serbia e Macedonia all’epoca in cui hanno ottenuto l’esenzione dal visto un anno fa. Se il Consiglio non seguirà la posizione del Parlamento e della Commissione europea, si trasmetterà un segnale completamente sbagliato ai cittadini bosniaci e albanesi.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Questa relazione ci vede contrari perché prevedere per l'Albania e per la Bosnia-Erzegovina l'esonero dall'obbligo di visto per attraversare le frontiere esterne degli Stati membri é un provvedimento azzardato. Riteniamo specie per l'Albania dove é radicata una criminalità organizzata, che questa possa estendersi in tutto il resto dell'UE. Nonostante questo il Ministro Frattini si é dichiarato favorevole a liberalizzare i visti, scelta non condivisibile come anche indicato dalla Francia, dai Paesi Bassi e dalla Danimarca.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Il Montenegro, la Serbia e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia sono stati recentemente aggiunti all’elenco positivo del regolamento in questione, il che significa che i loro cittadini sono esentati dall’obbligo di visto per poter accedere al territorio dell’Unione europea. Anche l’Albania e la Bosnia-Erzegovina hanno compiuto progressi, per cui nel momento in cui avranno soddisfatto i criteri di esenzione, potranno usufruire dell’abolizione dell’obbligo ed essere depennati dall’elenco negativo. È fondamentale decidere che un futuro cittadino dell’Unione goda del diritto fondamentale di circolare nell’Unione europea. Per tradurre nel concreto tale liberalizzazione, è ancora necessario rafforzare la lotta alla criminalità organizzata in ambedue i paesi e sviluppare una strategia a sostegno dell’integrazione dei cittadini rimpatriati nel caso dell’Albania e l’armonizzazione del diritto criminale secondo il codice penale federale nel caso della Bosnia-Erzegovina. La possibilità di circolare senza obbligo di visto in un prossimo futuro contribuirà al rafforzamento della cooperazione economica e politica e ridurrà il rischio di tensioni nella regione. Inoltre, il sostegno dell’Unione sicuramente contribuirà ad allargare gli orizzonti della popolazione. Voto a favore del documento per i motivi prima esposti.
- Proposta di risoluzione: Carenze nella tutela dei diritti umani e della giustizia nella Repubblica democratica del Congo (RDC) (RC-B70524/2010)
Damien Abad (PPE), per iscritto. – (FR) Alla luce del fatto che non si sono registrati miglioramenti nella situazione dei diritti umani della Repubblica democratica del Congo, che sta in realtà peggiorando, nonché del fatto che vengono quotidianamente perpetrate violazioni sistematiche dei diritti umani, specificamente sotto forma di esecuzioni illegali, sequestri, aggressioni sessuali e atti di tortura, personalmente penso che sia essenziale votare a favore di questa risoluzione presentata dal Parlamento europeo. Utili, economia, risorse estrattive e naturali sono sotto il controllo di gruppi armati e da anni sono in corso conflitti, nonostante la presenza nella Repubblica democratica del Congo della missione delle Nazioni Unite. È dunque fondamentale chiedere al governo congolese di riconquistare la stabilità e la sicurezza nel paese e, partendo da tali basi, avviare il processo di pace.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Oggi in plenaria, abbiamo adottato a stragrande maggioranza una risoluzione di condanna delle carenze riscontrate nella protezione dei diritti umani nella Repubblica democratica del Congo (RDC). Abbiamo pertanto condannato la violenza e, in particolare, gli stupri collettivi perpetrati nel paese durante l’estate. Dobbiamo urgentemente rafforzare la lotta all’impunità e, soprattutto, porre fine a tutte le violazioni dei diritti umani, di qualsiasi natura. È necessario condurre indagini indipendenti per portare i colpevoli dinanzi alla giustizia. Deploriamo inoltre il fatto che le forze di pace delle Nazioni Unite presenti sul campo non siano state in grado di arrestare questa violenza. La loro presenza è tuttavia essenziale e dobbiamo consentire loro di portare a termine il proprio mandato in Congo.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) La Repubblica democratica del Congo deve agire immediatamente per assolvere gli impegni assunti nel campo della violazione dei diritti umani. Oggi, la maggior parte dei movimenti armati si serve dello stupro e della violenza come mezzo per conseguire obiettivi economici e militari. A causa di tali atti violenti, spesso le donne perdono il proprio posto nella società, la loro capacità di prendersi cura dei figli, persino la vita. I civili continuano a soffrire indicibilmente e vivere nell’indigenza. La Repubblica democratica del Congo deve adottare tutte le misure possibili per prevenire eventuali ulteriori attacchi contro i civili e garantire un rafforzamento della responsabilità in caso di violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Nel contempo, è essenziale promuovere pace e stabilità nell’area applicando gli strumenti regionali esistenti e profondendo maggiore impegno per sviluppare l’economia regionale. È estremamente importante che il piano di azione adottato dal Consiglio per la parità di genere nel campo della cooperazione allo sviluppo garantisca che la dimensione della qualità di genere sia tenuta presente in tutti gli ambiti politici.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) La Repubblica democratica (?) del Congo è lo scenario di una tragedia umanitaria che si dipana lontano dai nostri occhi, ma ciò non la rende in alcun modo meno straziante. Spero che l’iniziativa del Parlamento europeo di pubblicare una dichiarazione di forte condanna di tutte le parti coinvolte nel conflitto nella Repubblica democratica del Congo e diffonderla più ampiamente, anche al Segretariato generale delle Nazioni Unite, porterà a un miglioramento della situazione della popolazione civile, reale vittima di questa guerra insensata. Le informazioni sulla situazione nella Repubblica democratica del Congo sono particolarmente allarmanti in quanto gli atti di eccezionale brutalità perpetrati hanno luogo nelle vicinanze del campo della forza di pace dell’ONU. Le 1 244 donne stuprate in soli tre mesi di quest’anno da rappresentanti di tutte le forze implicate nel conflitto non sono affatto semplici dati statistici. Ciascuna di loro sta vivendo il proprio dramma. Ciò che è ancora più sconvolgente è che la situazione può manifestarsi nuovamente in qualunque momento senza che nessuna di loro percepisca alcun senso di protezione. La situazione nella Repubblica democratica del Congo fornisce un’ulteriore argomentazione a favore del riconoscimento ufficiale di qualunque forma di violenza basata sul genere come crimine di guerra o contro l’umanità.
Maria da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Nonostante gli sforzi guidati dalla missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (RDC) e il lavoro estremamente difficile svolto dalle organizzazioni umanitarie, permangono ancora violazioni dei diritti umani. La situazione, allarmante, sta dando luogo a stupri collettivi di civili da parte di membri della milizia armata, sofferenze inaccettabili, povertà, sfollati e degrado nei campi profughi, oltre al reclutamento forzato di civili e soldati bambini.
L’esercito congolese ancora difetta delle risorse umane, tecniche e finanziarie per assolvere la propria missione. La presente risoluzione rafforza quali priorità l’addestramento e una retribuzione adeguata per riformare l’esercito congolese e migliorarne l’apparato, sottolineando peraltro la necessità di raddoppiare gli sforzi per porre fine all’attività dei gruppi armati e chiamare i responsabili delle violazioni dei diritti umani a rendere conto del proprio operato, oltre a ribadire la necessità di sviluppare una stretta collaborazione tra governo congolese e comunità internazionale tenuto conto della partecipazione delle donne nella risoluzione del conflitto. Occorre riprendere immediatamente il dialogo per il bene del processo di pace, ragion per cui ho votato a favore della risoluzione.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) È fondamentale porre fine all’escalation della violenza contro le comunità locali e agli atti di distruzione di massa come incendi di case, scuole, chiese o persino interi villaggi, come è accaduto nella Repubblica democratica del Congo. Stupri e altre forme di violenza sessuale contro donne e bambini (circa 14 casi di stupro al giorno secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) sono stati usati come arma da guerra. Non possiamo tollerare che si sviluppi un senso generalizzato di impunità rispetto a crimini che, di fatto, sono violazioni estremamente gravi dei diritti fondamentali. Gli esecutori di tali crimini devono essere portati dinanzi alla giustizia e condannati per crimini di guerra e contro l’umanità. Ribadisco l’esortazione rivolta alle Nazioni Unite e al governo congolese affinché avviino indagini. Spero inoltre che il Consiglio di sicurezza dell’ONU adotti urgentemente misure per prevenire in maniera efficace ulteriori attacchi alla popolazione civile e fornire alle vittime tutta l’assistenza di cui hanno bisogno. Apprezzo l’adozione della legge sui minerali provenienti da regioni in conflitto negli Stati Uniti e mi auguro che l’Unione possa introdurre una normativa analoga.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho seguito con preoccupazione e inquietudine la situazione sviluppatasi nella Repubblica democratica del Congo, gli abusi perpetrati ai danni di civili, specialmente donne, e l’uso dello stupro come arma negli scontri tra i vari gruppi militari coinvolti in una vera e propria guerra civile. Ho partecipato all’elaborazione di questa risoluzione del Parlamento europeo sulle carenze nella protezione dei diritti umani e della giustizia nella Repubblica democratica del Congo nel desiderio di trovare un modo affinché i responsabili di tali azioni rispettino le libertà e i diritti civili, nonché la dignità umana e gli impegni internazionali sottoscritti dal paese.
Apprezzo l’iniziativa intrapresa dagli Stati Uniti, dove di recente è stata adottata la legge sui minerali provenienti da regioni in conflitto, e la richiesta naturale dei proponenti la presente risoluzione, i quali chiedono a Commissione e Consiglio di prendere in esame la possibilità di introdurre un’iniziativa legislativa analoga come ulteriore strumento utilizzabile per influire sulle decisioni dei responsabili di tali atti reprensibili e barbari. Ho pertanto votato a favore dell’adozione della risoluzione.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Dobbiamo trovare urgentemente una soluzione politica al conflitto armato in atto nella Repubblica democratica del Congo (RDC) in maniera che finalmente la popolazione del Congo orientale possa avere sicurezza e stabilità. Questo è lo scopo della risoluzione che il Parlamento europeo ha adottato a seguito della pubblicazione della relazione dell’Alto commissario per i diritti umani il 1° ottobre, in cui si elencano 617 delle violazioni più gravi dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale perpetrate nell’arco di 10 anni da elementi appartenenti e non allo Stato nella Repubblica democratica del Congo. Decine di migliaia di persone sono rimaste uccise e molte altre sono state stuprate, mutilate o hanno subito altre forme di violenza durante quel decennio. L’Unione europea intende sostenere tutti gli sforzi profusi dal governo congolese e dai paesi della regione dei Grandi Laghi per promuovere insieme pace e stabilità nell’area, ponendo l’enfasi sulla riconciliazione, la sicurezza personale, un sistema giudiziario migliore e riformato, nonché il rientro e il reinserimento di rifugiati e sfollati nel paese.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della presente risoluzione perché condanno la violenza contro donne e bambini nella Repubblica democratica del Congo. Nel paese vi è l’urgente necessità di intensificare la lotta contro l’impunità e porre fine immediatamente alla violenza e alle violazioni dei diritti umani.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La Repubblica democratica del Congo ha vissuto una profonda instabilità derivante dalla natura artificiale dei suoi confini e dalle animosità interne. La proliferazione dei movimenti belligeranti e le atrocità da loro commesse rappresentano alcune delle pagine più tristi della storia dell’Africa. Le tragedie e le violazioni dei diritti umani e della giustizia si succedono così rapidamente che persino gli osservatori meglio informati non riescono a sostenerne il ritmo. Alla comunità internazionale è stata recentemente segnalata un’ondata di stupri collettivi, che possiamo soltanto definire ripugnanti e meritano la nostra condanna e il nostro più fermo rifiuto. L’uso di questo genere di violenza come arma da guerra, che purtroppo non rappresenta una novità, deve comunque portarci perlomeno a una condanna incondizionata e all’effettiva incriminazione di coloro che ne sono fisicamente e moralmente responsabili. Il Congo ha bisogno di pace e stabilità, obiettivi che però non saranno conseguiti, a meno che gli autori delle violazioni più oscene dei diritti umani, che hanno goduto di un’impunità scandalosa, non siano inequivocabilmente identificati e puniti per dare l’esempio ad altri.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Atul Khare, Sottosegretario generale delle Nazioni Unite responsabile delle operazioni per il mantenimento della pace, ha segnalato al Consiglio di sicurezza dell’ONU che dal 30 luglio al 4 agosto oltre 500 persone sono state vittime di stupri collettivi perpetrati nella provincia del Kivu Nord dalle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FDLR), gruppo di ribelli hutu, e dalla milizia Mai Mai.
Condanno fortemente questi stupri di massa, come altre violazioni dei diritti umani, e accolgo con favore la richiesta formulata alle Nazioni Unite e al governo congolese affinché si avvii un’indagine imparziale e approfondita su tutti gli incidenti e si garantisca che i responsabili delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale vengano portati dinanzi alla giustizia per rispondere delle proprie azioni incriminandoli secondo i termini del diritto internazionale.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Condanniamo fermamente gli stupri di donne e bambini e tutte le violazioni dei diritti umani commessi nella Repubblica democratica del Congo (RDC). Sarà possibile porre fine a tali atti soltanto quando la presenza militare straniera e l’interferenza esterna nel paese avranno termine perché questi sono fattori che alimentano il conflitto. Le missioni delle Nazioni Unite e dell’Unione europea hanno già dimostrato che non rappresentano la soluzione, bensì parte del problema. Il nostro gruppo politico ha proposto di richiedere che “si ponga fine alle missioni EUPOL e EUSEC nella RDC, le quali hanno in effetti contribuito negativamente all'acuirsi delle violenze e al deterioramento della situazione nel paese, addestrando le forze di sicurezza che hanno perpetrato crimini contro la propria popolazione civile”.
La maggioranza di questa Camera ha preferito respingere la proposta e si è schierata con coloro che vogliono mantenere in essere il conflitto e trarne vantaggio. La pace potrà essere ottenuta unicamente attraverso un accordo politico tra i vari interlocutori, sia all’interno sia all’esterno del paese, accordo che deve ovviamente includere i paesi della regione, specialmente Rwanda e Uganda, che stanno violando la sovranità e l’indipendenza del Congo e svolgendo un ruolo attivo nel conflitto. Soprattutto, però, deve coinvolgere Stati Uniti e Unione europea, che sono i principali beneficiari di un’economia bellica che si autosostenta vendendo importanti minerali usati da società americane ed europee per produrre componenti di computer e cellulari.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Le gravi violazioni dei diritti umani, tra cui stupri collettivi e sistematici, avvenute nella Repubblica democratica del Congo sono veramente sconvolgenti. Benché i poteri di quest’Aula siano limitati in tale ambito, è importante essere uniti nel condannare queste atrocità e, pertanto, ho appoggiato l’odierna risoluzione.
Sabine Lösing (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) Condanno gli stupri collettivi e le gravi violazioni dei diritti umani avvenuti nella Repubblica democratica del Congo con la massima fermezza. Apprezzo moltissimo l’inserimento e l’adozione di tale condanna nella proposta di risoluzione comune. Ho votato però contro la proposta perché le unità militari e di polizia congolese addestrate dalle missioni EUPOL ed EUSEC dell’Unione europea dal 2005 sono state e sono tuttora coinvolte anch’esse in larga misura in tali crimini. La proposta di risoluzione comune espressamente manifesta sostegno e apprezzamento per queste missioni di addestramento. Sono favorevole all’immediato ritiro di tali missioni perché hanno contribuito in maniera negativa all’escalation della violenza e alla situazione creatasi nel paese addestrando forze di sicurezza che sono state ripetutamente implicate nelle gravi violazioni dei diritti umani del popolo congolese. Inoltre, l’esercito e la polizia addestrati dall’Unione appoggiano l’apparato repressivo del regime corrotto di Kabila.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L’Unione europea non può restare estranea ai vari conflitti armati che scoppiano un po’ ovunque nel mondo. La violenza nella Repubblica democratica del Congo è un fenomeno che si trascina da diversi anni con milioni di morti, sfollati e senza tetto.
È dunque fondamentale esortare tutti coloro che sono coinvolti nel conflitto a cessare le ostilità in maniera che la popolazione di queste regioni possa tornare a vivere in pace. È molto importante continuare a sostenere le missioni delle Nazioni Unite sul campo in maniera da arginare la sofferenza dell’intera popolazione, specialmente anziani, donne e bambini.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Di recente, oltre 500 persone nella Repubblica democratica del Congo sono state vittime di uno stupro collettivo, atto del quale sono colpevoli gli appartenenti a vari gruppi armati nel Congo orientale. Sono pienamente a favore della risoluzione del Parlamento europeo. Nel contempo, alla luce del fatto che nonostante il campo dei caschi blu dell’ONU fosse ubicato in prossimità della città in cui questi assalti a sfondo sessuale hanno avuto luogo, l’ONU non ha fatto alcunché per evitare questo sconvolgente incidente, vorrei aggiungere che dobbiamo assumere una posizione sulle azioni della base dell’ONU in Congo orientale, identificando i nomi dei comandanti delle Nazioni Unite responsabili e appurando anche se ufficiali e truppe della base siano a conoscenza del motivo per cui sono di stanza lì. Mi sembra che non ne siano consapevoli, e proprio a causa del loro silenzio questo crimine collettivo, questa derisione del diritto internazionale ha potuto avere luogo. È un crimine da parte delle Nazioni Unite non aver assolto la sua missione diretta.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Non esistono parole per descrivere le violente atrocità che continuano ad aver luogo nella Repubblica democratica del Congo. Tutto ciò che possiamo fare è nominarle una per una. Stupro collettivo, mutilazione, violenza gratuita, razzie, sordidi assassini, per non parlare della quotidiana derisione delle libertà più fondamentali in uno Stato in totale degrado. Possiamo aggiungere l’impunità all’assenza di qualunque azione o reazione, esito di un sistema giudiziario inesistente, per non dire delle autorità congolesi che si dimettono anziché confrontarsi con il loro dovere essenziale: proteggere i loro cittadini. Questa risoluzione, la terza del genere, è rivolta alle autorità congolesi, ma anche alle autorità europee e internazionali che non possono più rifiutarsi di essere coinvolte. Hanno il dovere di agire e proteggere la popolazione, segnatamente attraverso la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (MONUSCO), presente in loco. Devono agevolare il ritorno della pace e della stabilità nella regione e contribuire alla creazione di uno Stato che possa esercitare pienamente le proprie funzioni fondamentali per essere in grado, infine, di garantire il rispetto dello Stato di diritto.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Spero che i principali interlocutori sul campo prendano atto di quanto abbiamo appena votato. Condanniamo con fermezza gli stupri collettivi e altre violazioni dei diritti umani che hanno avuto luogo tra il 30 luglio e il 4 agosto ai danni di almeno 500 donne e bambini nella provincia del Kivu Nord per mano delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FDLR), gruppo di ribelli hutu, e della milizia Mai Mai, come quelli in altre regioni del Kivu Nord e Sud. Esortiamo tutte le parti in causa a intensificare la lotta contro l’impunità e porre fine immediatamente alla violenza e agli abusi dei diritti umani nella Repubblica democratica del Congo, specialmente nel Kivu Nord. Sottolineiamo la necessità di profondere ulteriore impegno per far cessare l’attività di gruppi armati locali e stranieri nella parte orientale del Congo. Esortiamo altresì le Nazioni Unite e il governo congolese a condurre un’indagine imparziale e approfondita sugli eventi per garantire che i responsabili delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale siano chiamati a rispondere e vengano incriminati conformemente al diritto congolese e internazionale.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Purtroppo molti paesi nel mondo non rispettano i fondamentali diritti umani, anzi si macchiano di crimini contro l'umanità, guerre, violenze sessuali e di ogni altro tipo contro bambini, donne e uomini. In Congo tra luglio e agosto nel solo distretto minerario del Congo Orientale oltre 500 persone, fra cui bambini, ragazze donne di addirittura 75 anni, sono state vittime di stupri collettivi. Tutto questo é accaduto vicino al campo dell'ONU che non solo non é intervenuto ma addirittura ha fatto finta di non sapere di quanto successo per settimane. Ad oggi per scontri interni sono morte circa 6 milioni di persone. Non posso che esprimere convintamente il mio voto favorevole su questa risoluzione che vede il Parlamento schierato da parte dei più deboli e indifesi.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Ho appoggiato la risoluzione sulle carenze nel settore della protezione dei diritti umani e della giustizia nella Repubblica democratica del Congo. Credo infatti che debba essere adottata urgentemente come questione prioritaria. All’inizio di dicembre si terrà un’assemblea parlamentare congiunta ACP-UE a Kinshasa. La presente risoluzione potrebbe trasmettere un messaggio importante alle autorità e agli abitanti del Congo. Sarà un segnale dell’intenzione dell’Unione europea di intensificare il proprio impegno per stabilizzare la situazione nella regione, verificare i meccanismi di assistenza attualmente in essere, porre maggiormente l’accento sulle riforme giudiziarie e, soprattutto, ergersi con fermezza contro la violenza subita da donne e bambini ponendo fine all’impunità dei responsabili.
Marc Tarabella (S&D), per iscritto. – (FR) Sono molto lieto dell’adozione della risoluzione sulle carenze nel settore della protezione dei diritti umani e della giustizia nella Repubblica democratica del Congo. La presente risoluzione fa luce, condannandole, sulle numerose violazioni commesse contro le donne congolesi e usate come arma da guerra. Tali atrocità devastano il paese da tempo. Ribadisco ancora una volta la necessità di combattere l’impunità che regna nella regione e chiedo alla Commissione di predisporre quanto prima un’iniziativa legislativa sulla falsariga della legge americana relativa ai minerali provenienti da regioni in conflitto.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) Sono molto preoccupato dagli eventi verificatisi nella Repubblica democratica del Congo, nei quali centinaia, se non addirittura migliaia, di donne e bambini hanno subito stupri negli ultimi mesi. Come politico sono ammutolito. Ancor più lo sono come padre e come uomo. E’ terribile. I colpevoli devono essere individuati, incriminati e puniti secondo il diritto internazionale. Noi, comunità internazionale, abbiamo fallito. Abbiamo fallito, però, molto più vicino a noi, nel nostro territorio. Ci affrettiamo sempre a condannare le violazioni dei diritti umani al di fuori dell’Unione europea e chiediamo che si agisca con urgenza. Quando invece l’attenzione si appunta sulle violazioni dei diritti umani nell’Unione europea, la reazione è perlopiù misurata. L’Unione sarà colpita da una profonda crisi di fiducia se non riuscirà a colmare il divario tra le sue lodevoli condanne dei crimini commessi al di fuori dell’Unione e gli interventi intrapresi sul suo territorio nel campo dei diritti umani. Non dovrebbe essere così. Il trattato di Lisbona ha schiuso nuove opportunità per rafforzare i diritti umani, e mi riferisco in particolare alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ora obbligatoria non soltanto per le istituzioni comunitarie, bensì anche per gli Stati membri. È dunque nelle nostre possibilità colmare questo vuoto in materia di diritti umani a livello di Unione, ma dobbiamo agire adesso.
Anna Záborská (PPE), per iscritto. – (SK) Tra il 30 luglio e il 4 agosto 2010, nella parte orientale del Congo si sono verificate massicce violazioni dei diritti umani e abusi sessuali ai danni di bambini, donne e anche uomini. La violazione dei diritti umani e del diritto internazionale prosegue ancora oggi e sta dilagando nella regione a un ritmo allarmante. L’Unione europea ha assunto un impegno a lungo termine nei confronti dell’intera regione africana dei Grandi Laghi, parte della quale rientra nel territorio della Repubblica democratica del Congo. I nostri sforzi verso la pace e la stabilità nella regione non hanno però portato a risultati tangibili. La nostra odierna risoluzione è un altro appello del Parlamento affinché si ponga fine agli attacchi ai danni delle popolazioni civili delle province orientali del Congo e le vittime possano usufruire di un’assistenza sanitaria, sociale, umanitaria e legale di base. Ogni conflitto armato ha una soluzione politica, ma è necessario che vi sia la volontà di trovare una siffatta soluzione. La sicurezza e la stabilità del Congo orientale poggiano pertanto principalmente sulle spalle del governo congolese. L’assistenza economica e umanitaria è importante, ma da sola non basta. Sono lieta che il Parlamento, attraverso il voto dei suoi deputati, abbia nuovamente ribadito a chiare lettere che il nostro impegno nei confronti del Congo comprende una dichiarazione inequivocabile sulla difesa dei diritti umani ogni qual volta vengono violati nella regione. Ho pertanto appoggiato la risoluzione sottoposta alla nostra attenzione e confido nel fatto che la Commissione europea individui meccanismi efficaci per tradurre nel concreto le raccomandazioni ivi enunciate.
- Proposta di risoluzione comune sulla Giornata mondiale contro la pena di morte (RC-B7-0541/2010)
Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – in queste settimane il Parlamento Europeo e tutta la comunità internazionale si stanno mobilitando in favore di Sakineh, ma anche in difesa di tutte le donne e gli uomini che vivono nella stessa condizione in Iran come in ogni altra parte del mondo, dove continuano ad essere violati i diritti fondamentali. Attualmente nel mondo sono 154 i Paesi che hanno abolito la pena di morte: 96 di essi l'hanno abolita per tutti i tipi di reati, 8 l'hanno mantenuta solo per reati eccezionali, come quelli commessi in tempo di guerra, 6 hanno decretato una moratoria delle esecuzioni e 44 sono abolizionisti di fatto, ossia sono paesi in cui non si registrano esecuzioni da almeno 10 anni o paesi che si sono impegnati in modo vincolante a non applicare la pena capitale. In molti Paesi non esiste alcuna differenziazione tra i condannati, infatti in un piccolo numero di paesi si continuano a giustiziare i bambini autori di reati. Tutto ciò avviene in flagrante violazione del diritto internazionale, come sancito dal Patto internazionale sui diritti civili e politici. Pertanto, ribadisco la mia opposizione alla pena di morte, in tutti i casi e in tutte le circostanze, sperando che venga abolita il prima possibile.
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Nel corso degli ultimi anni sono stati compiuti incoraggianti passi in avanti verso l’abolizione della pena capitale e il numero dei paesi in cui non si ricorre più a questo tipo di pena è fortunatamente salito a 95. L’applicazione regolare di questa pena è ora circoscritta a due regioni del mondo, l’Asia e il Nord Africa. La risoluzione delle Nazioni Unite sull’attuazione di una moratoria universale ha notevolmente contribuito al raggiungimento di questi risultati. L’Unione europea, dal canto suo, continua a rappresentare un’importante fonte di finanziamento per quelle organizzazioni che si battono contro la pena capitale. Ritengo, tuttavia, che le iniziative specifiche di queste organizzazioni debbano ricevere un adeguato sostegno politico e, visto che la risoluzione del Parlamento europeo fornisce un notevole contributo in tal senso, ho votato a favore del testo. Nonostante i risultati positivi raggiunti, sono ancora 58 i paesi che mantengono la pena di morte e le statistiche del numero di condannati alla pena capitale sono preoccupanti: lo scorso anno sono state giustiziate 700 persone, senza tenere in conto le diverse migliaia di persone condannate a morte in Cina. Desidero dunque porre l’accento sulla necessità di aumentare gli sforzi volti a sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale. Perfino in alcuni Stati membri dell’UE, una consistente porzione di cittadini sarebbe d’accordo con la reintroduzione della pena capitale.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) In occasione dell’ottava Giornata mondiale contro la pena di morte, il 10 ottobre, noi europarlamentari vogliamo adottare una risoluzione che sottolinei il nostro impegno a favore dell’abolizione della pena capitale e la nostra volontà che tale principio sia universalmente riconosciuto. Nonostante in 43 paesi nel mondo si continui ad applicare la pena di morte, questo testo esorta gli Stati membri che ancora la praticano a dichiarare una moratoria sulle esecuzioni. L’obiettivo è di raggiungerne la completa abolizione a livello mondiale e rappresenta una delle priorità della politica comunitaria in materia di diritti dell’uomo.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Molti sono ancora i Paesi nel mondo che applicano la pena di morte, e tra questi tanti che con l´Europa hanno sottoscritto accordi commerciali ed economici con le cosiddette clausole diritti umani. Pensando ai Paesi in cui le esecuzioni capitali avvengono in pubblico, per impiccagione, per lapidazione o con metodi prossimi alla tortura, dobbiamo essere animati dalla speranza che testi come quello che abbiamo votato servano come pungolo all´Europa intera, che troppo spesso si dimentica del suo potere economico e politico e rinuncia ad esercitarlo sul piano internazionale per promuovere nei Paesi terzi il rispetto della dignità umana.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) La pena di morte, tuttora in vigore in alcuni paesi, è una delle più antiche condanne inflitte per reati gravi ed è sicuramente una punizione estrema, crudele, inumana e degradante, che viola il diritto alla vita sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Attualmente sono 43 i paesi al mondo che mantengono la pena di morte e il Parlamento europeo esorta questi paesi ad adoperarsi rapidamente per porre fine a questa pratica. L’imposizione della pena di morte ai minori e alle persone con disabilità mentali è causa di viva preoccupazione e l’applicazione di questa pena alle persone più vulnerabili deve essere abolita nel più breve tempo possibile. È di fondamentale importanza che le istituzioni governative si impegnino a controllare le questioni relative alla pena di morte in modo da poter discutere dei casi specifici con le autorità nazionali e di possibili iniziative per l’abolizione della pena capitale.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) L’Unione europea è impegnata per il raggiungimento di una delle sue priorità in materia di diritti umani, ossia la totale abolizione a livello mondiale della pena di morte, come conferma l’adozione da parte della plenaria della dichiarazione sulla Giornata mondiale contro la pena di morte. Esula da ogni logica il fatto che molti Stati applichino ancora la pena capitale, la peggiore, più crudele, inumana e degradante di tutte le forme di punizione, in particolar modo se contro donne e minori. L’assenza di prove a dimostrazione del fatto che la pena di morte sia un miglior deterrente contro il crimine rispetto ad altri tipi di pena rende la sua applicazione ancora più difficile da comprendere. È importante che l’Unione porti avanti le misure intraprese a sostegno della cooperazione tra gli Stati poiché solo attraverso la collaborazione, l’istruzione e la sensibilizzazione sarà possibile realizzare il nostro desiderio di abolire la pena di morte a livello universale. La chiave per il raggiungimento del più ambito obiettivo dell’Unione europea in materia di diritti umani risiede anche nelle attività del settore non governativo che denuncia lo svolgimento di processi non equi e con sentenze molto dure, come nel caso della condanna in Iran di un ragazzo che all’epoca del reato aveva solo sedici anni.
David Campbell Bannerman e Nigel Farage (EFD), per iscritto. – (EN) L’UKIP riconosce l’esistenza di punti di vista legittimi sia a favore che contro la pena di morte, ma ritiene che la decisione circa l’adozione o meno della condanna capitale ricada nelle competenze del singolo Stato e non dell’antidemocratica Unione europea. L’UKIP intende sottolineare i tentativi compiuti dall’UE per interferire con le politiche degli altri paesi in quest’ambito e ritiene che non sia compito dell’UE costringere un paese a mantenere o abolire la pena capitale. Inoltre, l’UKIP intende far notare che l’Unione ha chiuso qualsiasi tipo di discussione sulla questione nel contesto europeo, nonostante il parere dell’opinione pubblica: il mantenimento o meno della pena di morte è, e deve rimanere, una decisione di esclusiva competenza nazionale, presa attraverso mezzi democratici. Gli Stati che applicano la pena capitale devono garantire il ricorso a procedure adeguate nel raccogliere le prove, interrogare i detenuti e svolgere processi equi.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) In un mondo in cui 43 paesi mantengono la pena di morte e i bambini sono costretti ad assistere alle esecuzioni pubbliche, l’Europa deve continuare ad appellarsi affinché venga messa la parola “fine” all’applicazione di questa pratica, che rappresenta una crudele e inaccettabile violazione del diritto alla vita. Mi sono espressa a favore di questa risoluzione perché ritengo che l’Unione europea debba utilizzare strumenti diplomatici per contribuire all’abolizione della pena di morte, esercitando pressioni sulle autorità governative affinché impongano una moratoria sulla pena capitale, in vista della sua piena abolizione. La risoluzione sollecita il Consiglio e la Commissione a fornire orientamenti per una politica europea globale per le decine di cittadini europei condannati a morte in paesi terzi e a fornire informazioni e assistenza legale, due aspetti che considero di pari importanza. Inoltre, riconosco l’importanza di approvare la Giornata mondiale contro la pena di morte e la Giornata europea contro la pena di morte.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Il valore della vita e i molteplici casi di errori giudiziari avvenuti nella storia rappresentano due ottimi motivi per lottare contro la pena di morte, la cui abolizione universale è una delle priorità dell’Unione europea. Il 10 ottobre di ogni anno si celebra la Giornata europea contro la pena di morte. Siamo tenacemente impegnati per l’abolizione della condanna capitale ovunque nel mondo e ci adoperiamo affinché tale principio sia universalmente riconosciuto. Secondo Amnesty International, nel mondo 58 paesi non l’hanno ancora abolita e in 18 di questi paesi si sono tenute esecuzioni nel 2009. Nella sola Cina si è registrato un numero di esecuzioni superiore al totale delle esecuzioni in tutti gli altri Stati; la Bielorussia è l’unico paese in Europa che ancora continua ad applicare la pena di morte. Il Parlamento europeo è stata la prima istituzione comunitaria a lanciare questa campagna agli inizi degli anni Ottanta e l’Unione rappresenta attualmente il principale attore istituzionale nella lotta contro la pena di morte e la principale fonte di finanziamento a questo scopo. Dobbiamo continuare a lottare a favore dell’adozione di moratorie sulle esecuzioni fino a quando la pena capitale non sarà universalmente eliminata.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Una delle prime misure adottate dalle autorità provvisorie di Bucarest dopo la caduta del regime di Ceauşescu e le sommosse di Timişoara e Bucarest, fu proprio l’abolizione della pena di morte. Fu, questo, un gesto risanatore soprattutto nei confronti delle vittime politiche dei regimi totalitari che si sono succeduti in Romania fin dall’inizio degli anni Trenta. Ho ricordato questo evento della recente storia europea perché la risoluzione del Parlamento sulla Giornata mondiale contro la pena di morte rappresenta una risposta a questa pratica ormai antiquata nel XXI secolo. La pena capitale è ancora presente nell’ordinamento nazionale di molti paesi, alcuni dei quali sono attivamente impegnati nella promozione dei diritti e delle libertà civili a livello mondiale.
Questa pena non solo non è un deterrente e non contribuisce a ridurre il livello dei reati, ma solleva anche la reale problematica di possibili errori giudiziari che potrebbero condurre all’esecuzione di persone innocenti. L’invito che gli Stati membri dell’Unione hanno rivolto ai paesi che ancora adottano questa pratica per l’adozione di una moratoria per le sentenze di questo tipo rappresenta, dal mio punto di vista, il maggior punto di forza di questa risoluzione. Proprio per questo ho votato a favore della sua adozione.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Quest’anno 12 Stati hanno applicato la pena capitale nonostante la condanna da parte della maggior parte dei paesi a livello globale e dalle istituzioni internazionali, incluse le Nazioni Unite. Ritengo che esercitare pressioni sui 43 paesi i cui ordinamenti nazionali ancora contemplano l’applicazione della pena di morte affinché l’aboliscano debba diventare una priorità della politica comune per la promozione dei diritti umani e, in particolar modo, debba essere parte integrante dell’operato del nuovo servizio europeo per l’azione esterna.
Mário David (PPE), per iscritto. − (PT) In quanto cittadino portoghese, uno dei primi paesi ad abolire la pena di morte nel 1867, ritengo che questa condanna sia inumana e rappresenti la forma più estrema di negazione dei diritti umani. Voto pertanto con soddisfazione a favore della risoluzione. La promozione della dignità umana e la conseguente lotta a favore dell’abolizione della pena capitale sono e devono rimanere tra gli obiettivi della politica comune in materia di diritti umani. L’Unione, nell’interesse di una politica europea completa ed efficace in merito alla pena di morte, deve parlare ad una sola voce attraverso le proprie istituzioni e in particolare attraverso l’Alto rappresentante. L’istituzione di una moratoria universale sul ricorso e l’applicazione della pena di morte in ogni regione del mondo non solo rappresenta un fondamentale passo in avanti nel percorso verso la sua piena abolizione, ma rappresenta soprattutto un passo di vitale importanza verso un maggiore rispetto per la dimensione umana .
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) L’ottava Giornata mondiale contro la pena di morte del 10 ottobre 2010 rappresenta una possibilità per il Parlamento europeo di ribadire che l’abolizione universale della pena capitale rimane una priorità per l’Unione europea, nonostante sia ancora praticata in 18 paesi. Nel 2009 sono state giustiziate oltre 700 persone, senza tenere conto delle migliaia di esecuzioni in Cina. Le esecuzioni o le condanne a morte non hanno mai portato a una riduzione del numero dei reati commessi e pertanto l’Unione europea deve proporre condanne alternative che i sistemi giudiziari penali dei paesi che ancora applicano questa pena (in netta opposizione a quanto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) possano impiegare. Il Parlamento ha inoltre espresso la sua viva preoccupazione per l’imposizione della pena di morte a minori e a persone con disabilità mentale o intellettuale e ne ha richiesto l’immediata e definitiva cessazione.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché prevede che l’Unione europea si avvalga di tutti gli strumenti diplomatici e di assistenza alla cooperazione di cui dispone in vista dell’abolizione della pena di morte. Il Portogallo rappresenta un modello esemplare, dal momento che è stato il primo paese europeo a includere l’abolizione della condanna a morte nella propria costituzione, oltre 140 anni fa. Purtroppo non è così in oltre 40 paesi al mondo, dove sono ancora perpetrate violazioni al diritto alla vita sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La pena di morte rappresenta un’inaccettabile violazione della dignità intrinseca di ogni essere umano e del valore unico e inalienabile della vita; per questo merita la nostra più veemente condanna e l’impegno incondizionato da parte di tutti a favore della sua abolizione totale. Mi auguro che sempre più paesi entrino a far parte del gruppo di Stati che hanno abbandonato per sempre questa pratica. A prescindere dalla gravità delle azioni individuali, che, in teoria, motiverebbero o addirittura giustificherebbero una condanna del genere, ritengo che l’abolizione della pena capitale rappresenti un passo in avanti di enorme importanza per la civiltà e un tratto distintivo dei sistemi giudiziari che, come negli Stati membri, cercano di scindere la giustizia dalla vendetta. È essenziale mantenere questo tratto non-vendicativo e assicurarsi che perfino i peggiori criminali siano trattati con dignità, anche se non lo meritano. Il ricorso al principio della legge del taglione sarebbe indegno nei confronti del nostro patrimonio comune del rispetto della vita umana, su cui spesso i nostri politici chiudono un occhio. Desidero esprimere la mia vicinanza a quanti non si vedono garantita nemmeno una parvenza di processo equo e sono uccisi, casualmente o deliberatamente, nel modo più barbaro possibile e nelle più crudeli circostanze.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. –Il 10 ottobre si celebrerà l'ottava giornata contro la pena di morte. Accolgo con favore questa risoluzione del Parlamento europeo, considerandola un giusto seguito alle recenti risoluzioni relative alla pena di morte in Cina, Nigeria, Corea del Nord e Iran. La diffusione della pena capitale nel mondo preoccupa, ed è difficile, soprattutto in questi ultimi Paesi, dove la democrazia è assente o fortemente limitata, stabilire le cifre reali di tale fenomeno. E' importante che l'Unione europea assuma una posizione forte sulla questione e utilizzi ogni possibile strumento legislativo e, in generale, politico per attirare l'attenzione mondiale sulla questione e denunciare le violazioni del diritto internazionale. Per questi motivi esprimerò un voto favorevole alla proposta di risoluzione.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mentre l’Unione europea riveste il ruolo di leader globale nella campagna contro la pena di morte, vi sono ancora troppi paesi, compresi molti con cui intratteniamo delle strette relazioni economiche, sociali e culturali, che continuano a giustiziare le persone. Ritengo che non vi sia posto per la pena capitale nel XXI secolo e mi esprimo a favore dell’appello di oggi a favore di una moratoria sulle esecuzioni.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) L’abolizione universale della pena di morte rappresenta una priorità per questa Camera e in particolare per il gruppo dei Socialisti e Democratici. Si tratta di una violazione dei diritti umani e non può essere accettata in nessuna circostanza; sono lieto che il Parlamento abbia approvato questo testo con un così ampio consenso. In quanto sostenitore più attivo e di maggior rilievo per l’abolizione universale della pena capitale, l’Unione ha la responsabilità di sostenere la società civile e le organizzazioni che in tutto il mondo lottano per questo diritto umano fondamentale. Vi è ancora molto lavoro da compiere per sostenere gli Stati abolizionisti di fatto nel codificare questa pratica in legge, per ridurre il numero delle condanne a morte e delle esecuzioni negli altri paesi e per sostenere le campagne per la revoca delle condanne capitali, in particolare nei casi in cui gli esiti dei processi non sono ritenuti affidabili da un punto di vista legale. Questi sono valori fondamentali della nostra Unione che dobbiamo difendere pubblicamente, ogniqualvolta sia possibile.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. – La giornata mondiale contro la pena di morte, indetta per il prossimo 10 ottobre, costituisce un’ulteriore dimostrazione del ruolo guida europeo in questa battaglia di civiltà. La risoluzione merita un voto favorevole in quanto evidenzia le innumerevoli problematiche e le aberrazioni che ancora oggi si compiono in 43 paesi del mondo. Sottolinea giustamente che le battaglie fin qui compiute hanno portato a risultati tangibili, le numerose convenzioni internazionale in materia sono ratificate da un numero di paesi sempre crescente. Questo comporta un’attenzione crescente ai diritti umani a livello globale. Condivido infine la richiesta all’Alto rappresentante Catherine Ashton affinché ricordi che il contenuto politico di fondo della risoluzione deve essere l’adozione di una moratoria mondiale quale passo fondamentale verso l'abolizione della pena di morte.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Nel corso degli ultimi anni l’Unione europea è stata il principale attore istituzionale nel contesto della lotta contro la pena di morte, che ha da sempre rappresentato una priorità per la sua politica estera in materia di diritti umani. In realtà vi sono ancora oltre 40 paesi al mondo che applicano la pena capitali e uno di questi, la Bielorussia, si trova in Europa. Riteniamo pertanto necessario compiere ogni sforzo possibile per raggiungere l’abolizione universale della pena di morte, poiché rappresenta una punizione crudele, inumana e degradante e viola il diritto alla vita sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il mio voto si basa sulle motivazioni fin qui esposte.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho sostenuto questa risoluzione poiché la mia coscienza di essere umano mi porta a lottare a favore dell’abolizione della pena di morte, una lotta condotta da tutti gli umanisti. Con l’abolizione della pena capitale sarà possibile rafforzare la dignità umana e compiere significativi progressi in materia di diritti umani. Nulla giustifica la relativizzazione del valore della vita umana e a tal proposito desidero ricordare che l’Europa, uno spazio di democrazia, è stata la prima a intraprendere la lotta a favore dell’abolizione della pena di morte ed è quindi suo dovere attribuire priorità a questa legittima sfida.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Mi sono espresso a favore di questo testo perché ritengo che la pena di morte sia una punizione poco severa per quanti si sono macchiati di gravi e inumani crimini. Non sono convinto che la Lettonia, in quanto Stato membro dell’Unione europea, attui questa risoluzione alla luce di una precedente esperienza negativa. La Repubblica di Lettonia non ha ancora trasposto il paragrafo 74 della risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2004 sulla situazione dei non cittadini nel paese. In Lettonia vi sono oltre 330 000 persone rimaste senza uno status e questo significa che uno Stato membro attribuisce scarsa attenzione al parere del Parlamento europeo e dell’Unione nel complesso. Dal canto loro, la Commissione e il Parlamento continuano a comportarsi come se nulla fosse: un atteggiamento strano, dal mio punto di vista, che è prova dell’applicazione di doppi standard nell’Unione. L’UE esprime le sue preoccupazioni a riguardo della violazione dei diritti umani nella Repubblica democratica del Congo, mentre le violazioni dei diritti umani perpetrate all’interno del suo territorio sembrano essere un normale stato di cose.
Gay Mitchell (PPE), per iscritto. – (EN) A nome della delegazione irlandese del PPE, esprimiamo il nostro sostegno all’abolizione della pena di morte e il nostro voto a favore della risoluzione sulla Giornata mondiale contro la pena di morte. Tuttavia, abbiamo votato contro gli emendamenti al testo perché riteniamo si tratti di uno strumento approssimativo, privo di effetti sulla pena di morte e che potrebbe portare molte persone a perdere la propria vita a causa del commercio illegale di sostanze stupefacenti.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) La pena di morte è la forma di punizione più inumana e selvaggia e costituisce la violazione del più importante dei diritti umani: il diritto alla vita. Ritengo che la sua abolizione debba essere una delle priorità dell’Unione europea al fine di promuovere la democrazia e i diritti umani in tutto il mondo. Il divieto della pena capitale ha solide basi in Europa, poiché è garantito dai protocolli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’Unione si oppone fermamente all’applicazione della pena di morte, a prescindere dalle circostanza, e il suo operato in quest’ambito rappresenta la priorità della sua politica estera in materia di diritti umani. L’Unione europea ha ripetutamente richiesto l’abolizione universale della pena capitale e pertanto, al massimo delle sue possibilità, fornisce sostegno finanziario alle organizzazioni della società civile che lottano per il raggiungimento di questo obiettivo. A partire dal 1994, a titolo dello Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, sono stati stanziati oltre 15 milioni di euro a sostegno di progetti di questo tipo.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. − (PT) Il tempo che dedichiamo alle diverse cause sociali rappresenta sempre una possibilità per riflettere sulle questioni importanti e, soprattutto, per volgere l’attenzione a imminenti cambiamenti di comportamento alla luce dell’adozione di nuovi valori o della nuova interpretazione di valori già noti, che diventano determinanti per costruire la società in cui desideriamo vivere.
La pena di morte è il più atroce tra gli atti legalizzati e la sua applicazione non può essere giustificata da nessun tipo di azione. Perfino un omicidio non giustifica l’imposizione della pena capitale, che equivarrebbe a punire un crimine con crimine identico; questo, se decretato dalla sentenza di una corte, è legale dal punto di vista giuridico ma illegittimo da quello etico.
In questo contesto, accolgo di buon grado la risoluzione sulla Giornata mondiale contro la pena di morte, nella speranza che possa rappresentare un ulteriore passo in avanti verso la sua abolizione universale.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il Parlamento europeo ribadisce la sua irremovibile posizione contro la pena di morte in tutti i casi e in ogni circostanza e sottolinea, ancora una volta, che la sua abolizione contribuisce al miglioramento della dignità umana e al progressivo sviluppo dei diritti umani. Questa Camera condanna tutte le esecuzioni, ovunque avvengano, e chiede energicamente all'Unione europea e agli Stati membri di assicurare l'applicazione della risoluzione delle Nazioni Unite su una moratoria universale delle esecuzioni, in vista della piena abolizione della pena di morte in tutti gli Stati che ancora la praticano. Il Parlamento invita inoltre il Consiglio e la Commissione ad attivarsi per limitare progressivamente l'applicazione della pena capitale, insistendo sul fatto che le esecuzioni dovrebbero avvenire nel rispetto di norme minime internazionali; esprimiamo viva preoccupazione per l’imposizione della pena di morte ai minori e alle persone colpite da disabilità mentale o intellettuale e ne chiediamo l’immediata e definitiva cessazione.
Charles Tannock (ECR), per iscritto. – (EN) La delegazione del partito conservatore britannico, come di consuetudine, ha lasciato votazione libera ai suoi deputati in merito alla pena di morte. Riteniamo che l’applicazione di questa condanna sia una questione di coscienza individuale.
Tuttavia, desideriamo precisare che, anche quando i singoli deputati si esprimono a favore della pena capitale, noi siamo dell’avviso che questa debba essere riservata solo per il più atroce dei reati capitali e che condanniamo categoricamente la sua imposizione sui minori.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) L’adozione di questa risoluzione, oggi, a pochi giorni dall’ottava Giornata mondiale contro la pena di morte di domenica prossima, lancia nuovamente l’appello del Parlamento europeo per una completa moratoria delle esecuzioni rivolto a quei paesi che ancora applicano questa barbara forma di pena e, inoltre, rafforza il punto di vista di questa Camera secondo cui i cittadini europei devono essere liberi dalla minaccia delle esecuzioni.
Proposta di risoluzione sull’azione UE in materia di prospezione ed estrazione di petrolio in Europa (B7-0540/2010)
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) La fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico della scorsa primavera è il motivo di questa risoluzione della commissione del Parlamento europeo per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. La risoluzione mira ad attirare l’attenzione sul problema urgente di prevenire fuoriuscite di petrolio. Ho pertanto votato a favore della risoluzione perché reputo essenziale che l’Unione europea si dia regole severe per evitare incidenti sulle piattaforme petrolifere e inasprisca le norme sulla responsabilità ambientale. Deploro, però, che il riferimento a una moratoria su tutte le nuove trivellazioni petrolifere e a nuovi standard non sia stato applicato in tutta l’Unione e che la maggioranza dei deputati lo abbia anzi respinto durante la votazione odierna. L’introduzione di una moratoria sarebbe stata, in effetti, coerente con la politica di prevenzione e con il rafforzamento delle misure di sicurezza per le piattaforme petrolifere, oltre che con la volontà politica del Presidente Obama di introdurre una simile moratoria negli Stati Uniti fino al dicembre 2010.
Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Il recente disastro nel Golfo del Messico, che ha causato la fuoriuscita in mare di milioni di barili di petrolio, ha riportato l'attenzione del mondo su di una tematica fondamentale per l'Unione Europea. Quanto accaduto ha dimostrato che nell'estrazione petrolifera in alto mare bisogna attenersi a misure severe in grado di tutelare adeguatamente anche l'ambiente. E' però necessario che l'Europa continui ad essere competitiva in questo settore e prosegua le prospezioni di gas utili a diversificare il suo fabbisogno energetico. Condivido quindi l'adozione di nuovi principi di sicurezza e l'applicazione di rigidi e rigorosi standard comuni e l'istituzione di fondi di solidarietà come risarcimento per le vittime in caso di eventuali danni. L'urgenza di tali misure é dettata anche dalla natura geomorfologica di alcuni nostri mari come il Mar Mediterraneo e dalle attuali trivellazioni in corso sulle sue coste libiche ed egiziane. In caso di fuoriuscita di petrolio assisteremmo a un disastro ambientale difficilmente sanabile con conseguenze gravissime per l'economia e per l'ambiente di molti paesi europei. Non condivido infine la proposta di moratoria perché ritengo più efficaci accordi con paesi terzi e le loro compagnie petrolifere. In questo modo risulterebbe più agevole esportare standard di sicurezza e investire in prevenzione e ricerca tecnologica.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) È importante che l’Unione europea garantisca la tutela delle proprie coste attraverso la sua capacità di prevenire e reagire a problemi di questo tipo. Ed è effettivamente importante che la legislazione elevi il livello di sicurezza delle prospezioni e trivellazioni petrolifere. L’Agenzia europea per la sicurezza marittima, che ha sede a Lisbona, fornisce sostegno e assistenza tecnica alla Commissione europea e agli Stati membri in materia di sviluppo e applicazione della legislazione comunitaria sulla sicurezza e la protezione marittima, nonché sull’inquinamento causato dalle navi.
Nel giugno scorso ho sottoposto ai Commissari Oettinger, Kallas e Georgieva una proposta scritta per allargare l’ambito di responsabilità dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima e per introdurre meccanismi di controllo della sicurezza delle piattaforme petrolifere europee nel Mare del Nord, nel Mar Nero e nel Mediterraneo. Ho suggerito inoltre che l’Agenzia si assuma la responsabilità della prevenzione di disastri ambientali collegati alle perforazioni petrolifere. In tal modo si potrebbero realizzare economie di scala dal punto di vista delle risorse finanziarie, umane e tecniche. Accolgo con favore la risposta della Commissione, che dimostra la sua volontà di rivedere il regolamento sull’Agenzia europea per la sicurezza marittima, e invito la Commissione stessa a rafforzare l’impegno necessario a conseguire tale obiettivo.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Il recente incidente nel Golfo del Messico, causato da un’esplosione su una piattaforma di trivellazione petrolifera in alto mare, sarebbe già di per sé un motivo sufficiente di riflessione per tutti coloro che devono esaminare e votare la risoluzione del Parlamento europeo sull’azione dell’Unione europea in materia di prospezione ed estrazione di petrolio in Europa. Come si sottolinea nella risoluzione, nemmeno l’Europa è al riparo da incidenti di questo genere e dalle loro devastanti conseguenze ambientali, perché la maggior parte delle attività di trivellazione ed estrazione avvengono nel Mare del Nord. Esse si stanno ora estendendo alla regione del Mar Nero, dove pure ci sono una serie di problemi dovuti alle attività umane. Come previsto dalla risoluzione, spetta alla Commissione, nell’ottica di prevenire incidenti sulle piattaforme petrolifere, definire politiche severe che siano applicabili a livello comunitario e rappresentino un importante passo avanti verso la prevenzione di possibili incidenti ed eventi. Queste sono alcune delle considerazioni che motivano il mio voto favorevole alla risoluzione.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) L’Unione europea deve trarre insegnamento dal disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon e garantire il rispetto di elevati standard di sicurezza in tutti i siti delle prospezioni petrolifere sul fondo del mare. Alla luce dei rischi delle trivellazioni in alto mare e dei dubbi sulla gestione e sulle potenziali conseguenze di un incidente di questo tipo in Europa, la risoluzione, che abbiamo appoggiato, chiede “una moratoria su tutte le nuove trivellazioni petrolifere in alto mare nelle acque UE”. Chiediamo altresì alla Commissione di compiere una valutazione specifica e di elaborare, in collaborazione con gli Stati membri, un piano d’azione per migliorare gli standard di sicurezza delle piattaforme esistenti. Infine, vogliamo avere una garanzia sul fatto che i responsabili di casi di inquinamento ne saranno chiamati a rispondere di fronte alla legge e che le vittime, come i pescatori, potranno ottenere giusti risarcimenti.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato per la risoluzione sull’azione dell’Unione europea in materia di prospezione ed estrazione di petrolio in Europa perché reputo necessario migliorare le condizioni di sicurezza e di lavoro sulle piattaforme petrolifere in alto mare nell’Unione europea, al fine di prevenire disastri ambientali come quello avvenuto nel Golfo del Messico.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Data l’importanza dell’estrazione di petrolio per i paesi che la praticano e visti i pericoli correlati (come dimostrano le terribili conseguenze delle fuoriuscite accidentali di petrolio), è essenziale che l’Unione crei le condizioni per rendere le prospezioni petrolifere quanto più sicure possibile. A tal fine sono necessarie norme apposite, che stabiliscano standard di sicurezza di base per l’estrazione di petrolio e gas in alto mare, al fine di garantire la sicurezza delle estrazioni e degli approvvigionamenti in Europa. In proposito, essendo portoghese non posso dimenticare il disastro della Prestige, che ha avuto un pesante impatto sulla costa galiziana e conseguenze fin sulle coste portoghesi e francesi. Chiedo pertanto che le misure proposte non siano limitate alla prospezione ed estrazione ma comprendano anche il trasporto e la fornitura di petrolio. Purtroppo, gli incidenti alle petroliere sono più comuni di quanto vorremmo ed è perciò importante rivedere gli standard di sicurezza anche a tale proposito per ridurre la probabilità di simili disastri.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) La fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico è stata un campanello d’allarme che ha dimostrato all’Unione europea e agli Stati membri l’urgente necessità di rivedere tutti gli aspetti della prospezione ed estrazione di petrolio nell’Unione europea e di adottare tutte le misure necessarie a garantire che simili disastri ambientali non si possano mai verificare nelle nostre acque. È dunque necessario e imprescindibile introdurre a livello transfrontaliero un sistema comune europeo di prevenzione e risposta alle fuoriuscite di petrolio.
Desidero ribadire l’invito alla Commissione affinché presenti una relazione che valuti il livello di inquinamento ambientale e lo stato biologico del Golfo del Messico, oltre a esaminare la capacità dell’Unione europea di reagire immediatamente a incidenti che coinvolgano impianti offshore, ed elabori un piano d’azione europeo in collaborazione con gli Stati membri. Accolgo con favore la richiesta di una proposta legislativa volta ad assicurare l’applicazione di standard di sicurezza più elevati su tutte le piattaforme petrolifere e in tutte le attività estrattive nell’Unione. Non condivido, invece, la proposta di una moratoria su nuove trivellazioni petrolifere in alto mare nelle acque comunitarie, anche se questi standard saranno garantiti in tutta l’Unione, perché sarebbe una misura sproporzionata rispetto all’impatto che potrebbe avere su questo settore dell’economia.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’impianto generale della risoluzione è positivo perché richiama l’attenzione sulla necessità di prevenire e fornire gli aiuti necessari in caso di disastri ambientali causati da fuoriuscite di petrolio. Garantire l’indipendenza e la qualità delle valutazioni d’impatto ambientale e accertare le responsabilità sono fattori importanti per assicurare un elevato livello di tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente, per evitare che attività potenzialmente pericolose condotte sul fondo del mare possano danneggiare gli ambienti marini e costieri, per tutelare la biodiversità e salvaguardare la redditività delle attività agricole e ittiche locali per le comunità costiere. Deploriamo, però, che una risoluzione su questo tema ignori del tutto le questioni dei limiti fisici delle riserve petrolifere, dell’eccessiva e preoccupante dipendenza dell’umanità da questa fonte primaria di energia, della necessità di una gestione corretta e attenta delle riserve esistenti e dell’esigenza di cercare altre fonti, alternative, di energia.
Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. – (FR) I livelli massimi di precauzione, tutela ambientale, sicurezza e protezione delle attività petrolifere in Europa sono principi di assoluta preminenza, non negoziabili. In particolare, dobbiamo trarre le debite conclusioni dalla catastrofe nel Golfo del Messico per evitare che eventi del genere avvengano nelle acque marittime e costiere dell’Unione europea.
Nondimeno il Parlamento oggi ha dato prova di buon senso respingendo la posizione massimalista favorevole a una moratoria su tutte le nuove trivellazioni petrolifere offshore nell’Unione europea. A essere in gioco sono la sopravvivenza e il futuro dell’industria petrolifera europea in un momento di crisi, oltre che la nostra esigenza di indipendenza energetica.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) La proposta di risoluzione chiede il rafforzamento degli standard di sicurezza e protezione delle piattaforme petrolifere dell’Unione europea e la creazione di un sistema comunitario anticatastrofi che possa intervenire in caso di fuoriuscita di petrolio in acque comunitarie. Questo è un evento molto preoccupante alla luce del recente disastro ambientale causato nel Golfo del Messico dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon e dalla conseguente fuoriuscita di petrolio. Nella risoluzione si chiede una moratoria su nuove operazioni di trivellazione in alto mare fino a quando gli standard di sicurezza non saranno stati migliorati e rispettati. Credo fermamente che le imprese che si occupano di trivellazioni petrolifere debbano migliorare le condizioni di lavoro, e un modo per farlo è quello di garantire un livello di sicurezza uniformemente elevato su tutte le piattaforme offshore operanti nell’Unione europea.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione perché credo indispensabile una disamina di tutti gli aspetti connessi alle attività di estrazione e prospezione di petrolio nell'Unione Europea. Ritengo, infatti, necessaria l'adozione di misure normative idonee ad evitare che si ripetano nei nostri mari le catastrofi ambientali che hanno di recente colpito gli Stati Uniti. Ed in effetti, qualora simili accadimenti dovessero verificarsi nel Mar Mediterraneo, notoriamente caratterizzato da un ricambio dell'acqua estremamente lento, si registrerebbe un disastro ambientale con conseguenze di grave portata. Alla luce dell'analisi dell'attuale normativa europea in materia, che risulta essere carente sotto più profili, diventa fondamentale un intervento rivolto ad assicurare massimi standard di sicurezza. Ed é per questa ragione che mi associo all'invito rivolto alla Commissione di seguire da vicino le indagini effettuate dalle autorità americane, al fine di poter meglio delineare ed implementare azioni che abbiano alti livelli precauzione e che assicurino la protezione della biodiversità nell'ambiente marino e costiero.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione perché penso che l’Europa abbia urgente bisogno di un sistema comune europeo a livello transfrontaliero di prevenzione e risposta alle fuoriuscite di petrolio. Posto che le acque comunitarie confinano anche con paesi che non fanno parte dell’Unione e nei quali, pertanto, non si possono applicare le norme della legislazione comunitaria che disciplinano la responsabilità e il risarcimento di danni, la Commissione europea deve predisporre politiche di prevenzione degli incidenti su piattaforme petrolifere ed estendere ad esse l’ambito di applicazione della direttiva Seveso II. Dato che l’attuale normativa sulla responsabilità ambientale è viziata da numerose e rilevanti lacune, ritengo necessaria l’adozione di provvedimenti legislativi nuovi per tener conto di tutti i rischi inerenti allo sfruttamento di giacimenti in alto mare e per regolamentare in maniera adeguata la responsabilità in caso di incidenti petroliferi. Stante la mancanza di un fondo di risarcimento per disastri petroliferi, la Commissione deve inserire nella direttiva sulla responsabilità ambientale disposizioni concernenti una garanzia finanziaria obbligatoria.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Sono senz’altro a favore di elevati standard di sicurezza nel campo delle trivellazioni petrolifere in tutta l’Unione europea e appoggio in particolare la richiesta che le compagnie petrolifere mantengano standard uniformemente elevati in tutti i paesi in cui operano. Le disparità esistenti attualmente tra gli Stati membri sono inaccettabili e inique. I risultati delle indagini condotte sulla tragedia della Deepwater Horizon dovranno essere analizzati con cura dopo la loro pubblicazione, e un’attenzione speciale va riservata alla revisione degli standard di sicurezza per la concessione di licenze relative a nuove perforazioni. Alla luce degli standard elevati delle perforazioni petrolifere in Scozia, non penso che una moratoria uniforme sulle nuove trivellazioni sia il modo migliore per affrontare la questione; ritengo invece che, in qualsiasi decisione relativa alla concessione di nuove licenze, si debba attribuire la massima importanza a controlli dettagliati della sicurezza.
Barbara Matera (PPE), per iscritto. − La stretta connessione tra le attività di prospezione ed estrazione del petrolio e i cambiamenti ambientali avvenuti e a divenire è provata ed è costantemente oggetto di ricerche scientifiche. Dimostrare per tempo cosa accadrà nel 2080 a causa di queste attività può servire solo quale monito per stoppare il timer dei disastri ambienta in tutto il mondo, nessuno escluso, neanche noi. E’ indubbio che ci siano responsabilità per le attività perforative a profondità che fino a poco tempo fa non sarebbero mai state prese in considerazione, ma la minaccia di disastri simili a quello del Golfo del Messico non può lasciarci indifferenti. E' fondamentale oggi che l’Unione europea rafforzi e uniformi in tutti i 27 Paesi Membri i livelli di sicurezza dell’attività di prospezione ed estrazione petrolifera e non solo per le piattaforme esistenti, bensì anche per quelle che saranno dismesse. In secondo luogo individuare e normare in merito alle responsabilità dei gestori, incominciando ad escludere la possibilità di affitto degli impianti a terzi. Concordo perciò con quanto manifestato dal relatore e auspico un intervento diretto della Commissione e del Consiglio a portare chiarezza, trasparenza, uniformità e quindi sicurezza nel nostro territorio e su questa specifica tematica su cui noi, cari colleghi, non dobbiamo mai far calare l’attenzione.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Mi sono astenuto perché la risoluzione non contiene alcun riferimento a un futuro post-petrolio.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) I numerosi incidenti che si sono verificati nel settore delle prospezioni ed estrazioni petrolifere nel corso degli anni sono stati un campanello d’allarme riguardo ai pericoli di queste operazioni. Ma è stato il recente, gravissimo incidente nel Golfo del Messico a rivelare effettivamente quanto sia necessario applicare metodi nuovi e diversi per evitare il ripetersi in futuro di simili situazioni, che possono mettere a rischio l’equilibrio ambientale e la biodiversità di intere regioni, con conseguenze dannose per tutti. L’Unione europea deve perciò adottare le misure necessarie per garantire che le attività di prospezione ed estrazione di petrolio in Europa siano eseguite in conformità delle migliori norme di sicurezza, prevenendo così futuri disastri ambientali e umani.
Alexander Mirsky (S&D) , per iscritto. – (LV) A questa proposta di risoluzione ho dato il mio pieno appoggio. Credo che sia necessario aumentare la responsabilità delle società che si occupano di estrazioni petrolifere in modo tale che, in caso di incidente, il fondo di assicurazione e riserva per la prevenzione di incidenti possa tranquillamente coprire tutti i costi delle operazioni di ripulitura e risarcire tutti i danni all’ambiente. Sono essenziali inoltre una garanzia bancaria totale e regole più severe per le autorizzazioni degli impianti di prospezione ed estrazione petrolifera.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Il disastro petrolifero nel Golfo del Messico dimostra chiaramente come fin troppo spesso le norme di sicurezza vengano violate e il comune buon senso calpestato a causa di interessi finanziari. Nell’Atlantico nordorientale le condizioni sul fondo marino sono simili a quelle del Golfo del Messico e, di conseguenza, sono simili anche i rischi. La discussione sulla sicurezza che è in corso in Europa diventa tanto più importante se consideriamo che la maggior parte delle attività di prospezione e perforazione petrolifera avvengono nelle acque del Mare del Nord e che, in vista dell’inasprimento dei requisiti di sicurezza negli Stati Uniti, e in contrasto con gli obblighi previsti dalla convenzione OSPAR, i paesi confinanti non sono riusciti a trovare un accordo. È tanto più importante perché, in tempi di alti prezzi del petrolio, diventa particolarmente redditizio sfruttare giacimenti petroliferi difficilmente accessibili ed estrarre il petrolio anche nelle condizioni più avverse, ad esempio da profondità sempre maggiori. Valuto quindi positivamente che si sia deciso di fissare a livello comunitario standard di sicurezza adeguati, e pertanto ho votato a favore della proposta di risoluzione.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato per la relazione perché essa si occupa di un tema estremamente importante; voglio però rilevare che lo si sarebbe dovuto affrontare in riferimento a un contesto più ampio. La Commissione europea è attualmente impegnata nella revisione della normativa comunitaria in materia di responsabilità ambientale e,a tale proposito, dovrebbe proporre provvedimenti volti a prevenire catastrofi ecologiche, come quella avvenuta di recente in Ungheria a seguito dello sversamento di una grande quantità di fanghi rossi.
Teresa Riera Madurell (S&D), per iscritto. – (ES) Alla luce delle conseguenze del disastro nel Golfo del Messico, penso che la risoluzione adottata oggi dal Parlamento sull’azione UE in materia di prospezione ed estrazione di petrolio in Europa sia estremamente importante.
In qualità di membro della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, devo sottolineare che l’estrazione di petrolio e gas in alto mare è rilevante ai fini della sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Unione europea. L’estrazione di petrolio e gas da giacimenti a grandi profondità non avviene in condizioni così estreme come quelle del Golfo del Messico; nondimeno bisogna prendere tutte le precauzioni. Ecco perché dobbiamo darci da fare sotto il profilo della prevenzione e dotarci di una legislazione aggiornata che sia applicata concretamente ed eviti l’insorgere di catastrofi naturali. Non possiamo però trascurare il fatto che questo tipo di estrazione e produzione comporta sempre dei rischi. Dobbiamo quindi pensare anche alla creazione di un vero e proprio sistema di risposta a possibili incidenti del tipo di quello verificatosi nel Golfo del Messico.
Questa risoluzione è un passo nella giusta direzione perché incoraggia l’Unione europea a fare progressi in termini sia di prevenzione sia di risposta.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo è intenzionato a imporre una moratoria su tutte le nuove perforazioni petrolifere in alto mare? È questa la lezione da trarre dalla tragedia umana ed ecologica causata dalla catastrofica fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico il 20 aprile: 11 morti, 800 milioni di litri di petrolio sversati e la distruzione della biodiversità. Questa è l’unica questione di carattere prettamente politico in votazione oggi. Respingendo la richiesta di una moratoria, la Plenaria ha lanciato un messaggio chiaro che non tiene affatto conto dei timori dei cittadini. Nondimeno è del tutto evidente che le trivellazioni in alto mare sono attività rischiose e che sono state prese tutte le precauzioni, quali il rafforzamento del principio della responsabilità ambientale e l’istituzione di un apposito fondo europeo finanziato con i contributi obbligatori dei gestori degli impianti offshore, soprattutto quando l’attività estrattiva avviene nell’Artico, in condizioni di freddo estremo e a grandi profondità. Una cosa è certa: rifiutandosi di approvare la sospensione di nuove trivellazioni in alto mare, il Parlamento europeo non si dimostra all’altezza della posizione assunta dalla Commissione europea, cioè una moratoria de facto, come annunciato dal Commissario Oettinger nel suo discorso del 7 luglio.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) Quasi cinque milioni di barili di petrolio sono fuoriusciti nelle acque del Golfo del Messico tra aprile e settembre 2010 a seguito dell’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, danneggiando gravemente sia l’economia sia l’ecosistema della regione. Complessivamente, sono minacciate oltre 400 specie, tra balene, delfini, lamantini, aironi, egrette, ecc. Poiché l’Unione europea ha molte piattaforme petrolifere – ce ne sono oltre 500 nel Mare del Nord – occorre fare di tutto, a livello europeo, per evitare che una catastrofe del genere si verifichi nel nostro territorio. Con il mio voto a favore della risoluzione chiedo l’adozione di norme comunitarie severe per la prevenzione di incidenti su piattaforme petrolifere, nonché di norme per garantire l’applicazione di standard di sicurezza uniformemente elevati in tutte le piattaforme e durante tutte le operazioni di perforazione nell’Unione europea, dalle sponde atlantiche al Mar Nero. Inoltre, accolgo con piacere la decisione della Commissione su uno stress test delle perforazioni petrolifere in acque comunitarie.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Il rischio di gravi incidenti nelle acque dell’Unione europea è elevato e l’Europa, molto semplicemente, non è equipaggiata per affrontare le devastanti conseguenze di eventi del genere, come ha riconosciuto la Commissione stessa durante le consultazioni. Le prospezioni e perforazioni petrolifere in alto mare sono cresciute in misura esponenziale e di conseguenza sono aumentati anche i rischi, mentre, dall’altro canto, le condizioni di sicurezza restano largamente insufficienti. In tale contesto, solo l’introduzione di una moratoria su tutte le nuove operazioni di perforazione in alto mare nelle acque comunitarie avrebbe potuto ridurre tali rischi, e avrebbe anche mandato un chiaro segnale della nostra dipendenza dai combustibili fossili. Quindi, ancora una volta dovremo fare affidamento sulla scarsa credibilità e affidabilità dell’industria petrolifera.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Dopo quanto successo alla famigerata piattaforma nel Golfo del Messico che ha provocato un disastro ambientale a seguito della rottura di una tubazione del pozzo petrolifero, la Commissione ambiente chiede alla Commissione Europea di porre attenzione rispetto le trivellazioni in mare con particolare riguardo verso le piattaforme nelle acque dell'UE. Avrei preferito che la Commissione Ambiente si spingesse più in la chiedendo analoghe garanzie anche agli altri stati europei non membri come ad esempio la Norvegia il cui PIL é legato per il 90% all'estrazione di petrolio dal mare. L'UE é una potenza economica mondiale e deve essere in grado di pretendere il rispetto della protezione di attività sul fondale marino pericoloso anche da parte di paesi, che non membri, vedono nell'UE il loro partner principale.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) La catastrofe naturale avvenuta nel Golfo del Messico a causa dell’affondamento della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon ci offre l’occasione ideale per valutare il piano d’azione dell’Unione europea sulla prevenzione di simili eventi. Il danno inimmaginabile subito dall’ecosistema del Golfo del Messico e della costa meridionale degli Stati Uniti a causa della fuoriuscita di petrolio dovrebbe essere per noi un forte stimolo ad agire. In primo luogo, l’Unione deve rafforzare la propria capacità di reagire prontamente in caso di incidenti del genere. Dobbiamo garantire la disponibilità di un idoneo sistema di coordinamento dei servizi nazionali che renda più efficiente la loro azione di contrasto di fuoriuscite e di eliminazione dei danni conseguenti. In secondo luogo, è vitale potenziare i controlli di sicurezza degli impianti esistenti e di quelli in via di costruzione. Ad esempio, dovremmo sottoporre a maggiori controlli le procedure di concessione di licenze per trivellazioni petrolifere e di affitto d’impianti a terze parti. In terzo luogo, va creato un adeguato quadro giuridico per disciplinare le questioni della responsabilità e del risarcimento dei danni, perché le norme vigenti presentano un gran numero di rilevanti lacune giuridiche. Dobbiamo altresì valutare l’ipotesi di istituire un fondo di risarcimento per finanziare misure anticrisi in situazioni del genere.
Dominique Vlasto (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa risoluzione equilibrata, che non vieta future prospezioni petrolifere in alto mare ma le disciplina in modo tale da garantire il rispetto degli standard europei di sicurezza, che sono tra i più severi al mondo. A mio parere, questi standard devono assicurare sia un sostenibile approvvigionamento energetico dell’Europa sia la sicurezza e la durata delle attività offshore. Ricordiamo tutti le terribili immagini della marea nera che ha invaso il Golfo del Messico, l’atroce perdita di vite umane, l’angoscia delle persone colpite dal disastro e i gravi danni arrecati dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon. È alla luce di questi fatti che rinnovo il mio appello alla creazione di una vera struttura europea di protezione civile in grado di essere dispiegata rapidamente ed effettivamente in caso di disastri di questa gravità. Lo sfruttamento e l’estrazione in alto mare a grandi profondità sono essenziali a causa della minore disponibilità di risorse petrolifere; è però necessario monitorare il loro impatto sull’ambiente e garantire che non costituiscano una minaccia futura per le aree marine e costiere e per la biodiversità. Si tratta di una grande sfida per l’immagine internazionale e ambientale dell’Unione europea, che sta ottenendo risultati molto positivi in questo campo.
Proposta di risoluzione sugli obiettivi strategici dell’UE per la decima riunione della Conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica che si terrà a Nagoya (Giappone) dal 18 al 29 ottobre 2010 (B7-0536/2010)
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione dopo la discussione che abbiamo avuto con il Consiglio e la Commissione sui piani e sui principali obiettivi strategici dell’Unione europea per arrestare la perdita di biodiversità alla vigilia della conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica. Mi auguro quindi che l’Unione adotti una posizione forte e coerente riguardo a questa conferenza e proponga idee sulle misure concrete da prendere per assicurare che la tutela della biodiversità contribuisca a uno sviluppo sostenibile. Vi ricordo che la conservazione della biodiversità è fondamentale per la qualità degli ecosistemi, ha effetti diretti su funzioni essenziali quali la produzione di alimenti e la fornitura di acqua e previene frane e inondazioni. Spero altresì che le risposte politiche mirate a garantire l’integrazione della biodiversità nelle attività economiche come l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca e il turismo siano abbastanza coraggiose e ambiziose da tutelare questo patrimonio inestimabile ma, purtroppo, estremamente fragile – come nel caso della mia regione, le Azzorre – da altri, miopi interessi esterni che potrebbero minacciarlo.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sugli obiettivi dell’Unione europea in materia di biodiversità. Di fronte alla progressiva perdita di specie e, quindi, di ricchezza biologica sulla Terra, è importante porsi obiettivi ambiziosi per la tutela della flora e della fauna, garantendo nel contempo che l’umanità possa continuare a sfruttare le loro ricchezze. Stando così le cose, il Parlamento ha approvato obiettivi che permetteranno la conservazione delle risorse nel rispetto di un severo quadro normativo e promuovendo nuove tecnologie.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) Ho votato a favore della risoluzione concernente la decima conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica, che si terrà in Giappone, a Nagoya, questo mese. Si stima che il tasso globale di estinzione sia tra 100 e 1 000 volte superiore al tasso naturale normale, e questo fatto è dovuto principalmente all’intervento umano. È molto deludente che non siano stati raggiunti gli obiettivi fissati per il 2010 per la lotta contro la perdita di biodiversità. Il 45 per cento del territorio dell’Unione europea consiste di aree agricole, che rappresentano un habitat prezioso in cui vivono tantissime specie biologiche. Il settore agricolo ha contribuito alla biodiversità dell’Unione europea e molte specie animali e vegetali dipendono dall’agricoltura e dalle pratiche agricole. Ad esempio, sono le pecore e i bovini al pascolo che garantiscono la diversità della flora delle praterie. Nell’applicazione di pratiche agricole si devono considerare le questioni legate alla biodiversità. Bisogna sostenere e aiutare le misure agro-ambientali volte a favorire un utilizzo sostenibile della biodiversità. A Nagoya si dovrà tener conto dell’importanza del settore agricolo per l’ambiente, una questione che d’ora in avanti dovrà anche essere al centro delle discussioni sul futuro e sul bilancio della politica agricola comune.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Sono favorevole a questa risoluzione. Viste la situazione attuale, con una perdita di biodiversità pari al 30 per cento negli ultimi quarant’anni, e le previsioni secondo cui la velocità della perdita di biodiversità decuplicherà, è necessario adottare provvedimenti decisivi per conservare la biodiversità e promuoverne un uso sostenibile. La perdita di biodiversità rappresenta una minaccia per la sicurezza alimentare e aggrava lo sfruttamento dell’energia e il cambiamento climatico. Per evitare gli effetti negativi di questi processi, la Commissione e gli Stati membri devono collaborare elaborando una strategia comunitaria sostenibile di conservazione della biodiversità che sia compatibile con gli obiettivi di lotta contro la povertà, di una gestione sostenibile dei rifiuti e di contrasto del cambiamento climatico. Ci sarà inevitabilmente bisogno di finanziamenti adeguati per dare attuazione alle azioni e strategie pianificate. Poiché è probabile che il sostegno del settore pubblico si riveli insufficiente, sarà necessario sollecitare investimenti da parte del settore privato e trovare nuove risorse di finanziamento. Inoltre, in sede di approvazione del nuovo quadro finanziario pluriennale si dovrà tener conto dei piani predisposti e garantire loro i finanziamenti necessari.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) La risoluzione sugli obiettivi strategici dell’Unione europea per la decima conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica, che si terrà a Nagoya, assume un’importanza particolare quest’anno, che le Nazioni Unite hanno proclamato Anno internazionale della biodiverstità, considerato anche che non sono stati raggiunti né l’obiettivo globale di ridurre significativamente il tasso di perdita di biodiversità entro il 2010 né l’obiettivo comunitario di arrestare la perdita di biodiversità.
Dobbiamo continuare a garantire la conservazione della biodiversità insieme con un uso sostenibile e un’equa distribuzione dei benefici derivanti dalle risorse genetiche, e credo che la risoluzione affermi proprio questo. La Commissione e gli Stati membri devono parlare con una voce sola alla COP 10 e devono accelerare le rispettive procedure decisionali interne. Particolarmente importante è intensificare gli sforzi diplomatici nei confronti dei paesi terzi.
Infine, credo che per la Commissione e gli Stati membri sia vitale integrare l’elemento ambientale nelle loro relazioni con i paesi terzi, sottolineando in particolare l’importanza di perseguire un approccio integrato e di praticare una “diplomazia verde”.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione sugli obiettivi strategici dell’UE per la decima riunione della Conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica che si terrà a Nagoya principalmente perché sono convinta che la conservazione della biodiversità contribuisca alla crescita sostenibile dei paesi in via di sviluppo. Il fatto che non siano stati conseguiti né l’obiettivo globale di ridurre considerevolmente entro il 2010 il tasso di perdita di biodiversità né l’obiettivo comunitario di arrestare la perdita di biodiversità rende ancora più urgenti le azioni complementari mirate all’ottenimento di queste finalità.
Un’altra questione preoccupante è l’uso illegale delle risorse genetiche, che nella maggior parte dei casi ha effetti negativi sui paesi destinatari di tali pratiche. Sono d’accordo che nelle discussioni pubbliche le questioni inerenti alla conservazione della biodiversità sono affrontate solo sporadicamente. Per tale motivo appoggio la proposta formulata nella risoluzione di compiere uno sforzo più forte e mirato per promuovere misure di conservazione della biodiversità tra i comuni cittadini. Dobbiamo comprendere e sostenere queste tematiche. Altrettanto importante è, secondo me, impegnarci affinché la conservazione della biodiversità diventi parte dell’educazione civica nei nostri paesi.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Poiché arrestare la perdita di biodiversità non è un tema urgente per l’agenda politica europea e internazionale, sono favorevole all’adozione e applicazione di una serie di indicatori specifici fondati su dati scientifici per misurare i progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi e dei fini strategici dell’Unione europea in materia di biodiversità.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) In una materia tanto delicata quanto essenziale come la conservazione della biodiversità in quanto patrimonio naturale sia europeo che mondiale, è importante che gli Stati membri e la Commissione trovino un accordo sulla posizione che l’Unione europea dovrebbe assumere alla COP 10, e per tale motivo sono favorevole a questa proposta di risoluzione. La complessità insita nella conservazione della biodiversità rende necessari una pluralità di meccanismi, soluzioni e sforzi.
Credo pertanto che la promozione di sinergie tra le varie organizzazioni mondiali, gli Stati membri e le ONG permetterà l’individuazione di strumenti atti a tutelare la biodiversità all’interno delle politiche di protezione ambientale che perseguono questo obiettivo. Desidero infine sottolineare che occorre mettere in luce i benefici derivanti dall’intervento del mercato nella conservazione della biodiversità e dall’integrazione delle questioni ambientali nell’agenda degli Stati membri e della Commissione per le loro relazioni con i paesi terzi, nota anche come “diplomazia verde”.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) È deplorevole che, nonostante gli impegni assunti dall’Unione europea al vertice UE di Göteborg nel 2001, la perdita di biodiversità non sia stata ancora arrestata. Questa risoluzione ci ricorda che la biodiversità svolge un ruolo decisivo nella lotta contro la fame nel mondo e per la sicurezza alimentare ed è un requisito essenziale per qualsiasi tentativo di ridurre il cambiamento climatico e adattarvisi. È ora che tutti gli Stati membri applichino pienamente la normativa Natura 2000 e le direttive Habitat e Uccelli e adottino iniziative per preservare la biodiversità marina. Questa politica a favore della biodiversità va portata avanti a livello sia europeo sia internazionale per integrare tali questioni problematiche in particolare nella politica di cooperazione allo sviluppo e nelle attività esterne dell’Unione, oltre che in tutti gli accordi futuri conclusi nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Come ho già avuto modo di affermare in merito alla relazione dell’onorevole de Lange: “Concordo sulla necessità che l’Unione europea, nel suo insieme, trovi, in particolar modo nei settori interessati da politiche comunitarie, una strategia sostenibile per la tutela della biodiversità e la conservazione degli ecosistemi. Ritengo che questo aspetto assuma particolare importanza nel settore agricolo e della pesca, ragion per cui seguo con particolare attenzione le future riforme della Politica comune della pesca e della Politica agricola comune. Una tutela della biodiversità adeguata e sostenibile, infatti, sebbene fondamentale ed auspicata, non deve rallentare la sostenibilità e lo sviluppo delle attività agricole e di pesca”.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2010 Anno internazionale della biodiversità. Purtroppo l’Unione europea non raggiungerà l’obiettivo che si era data in questo campo per il 2010. La perdita di biodiversità continua a un tasso allarmante e, secondo le proiezioni, la sua velocità decuplicherà entro il 2050. La perdita di biodiversità è inaccettabile da un punto di vista non soltanto etico ma anche ecologico ed economico perché impedisce alle future generazioni di godere dei vantaggi di una sana biodiversità. È essenziale che la Commissione e gli Stati membri parlino con una voce sola e rendano più veloci e più efficienti le rispettive procedure decisionali interne, per giungere rapidamente a un accordo sulla posizione che l’Unione europea assumerà alla COP 10, e che dedichino maggiori risorse e maggior tempo agli sforzi diplomatici nei confronti dei paesi terzi.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La risoluzione contiene alcuni punti positivi e importanti, altri che sono ambigui e poco chiari, altri ancora che sono negativi e persino preoccupanti. Condividiamo le preoccupazioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi comunitari e mondiali di una significativa riduzione del tasso di perdita di biodiversità. Guardiamo con favore ad aspetti quali la condivisione dei benefici delle risorse genetiche, il rifiuto di assoggettare a brevetti forme di vita e processi vitali, la tutela delle conoscenze tradizionali e delle pratiche delle popolazioni indigene, il collegamento tra diversità genetica e sicurezza alimentare globale, la valutazione dell’impatto dei biocarburanti e l’attenzione per i problemi delle specie esotiche. Siamo invece recisamente contrari e condanniamo l’intenzione di andare verso nuove forme di appropriazione privata della natura e di risorse naturali, come l’introduzione di un “pagamento per i servizi ecosistemici”, che la risoluzione invoca più volte. Non vanno poi dimenticati gli aspetti ambigui e poco chiari, quali la richiesta che “i valori della biodiversità e le opportunità derivanti dalla sua conservazione e da un suo utilizzo sostenibile siano integrati nei bilanci nazionali”.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. − Il voto favorevole alla proposta di risoluzione comune sugli obiettivi strategici dell'UE per la decima riunione della Conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica (CBD) che si terrà a Nagoya (Giappone) dal 18 al 29 ottobre 2010 è dovuto principalmente alla necessità di arrivare a questo importante appuntamento con una posizione comune europea che sia condivisibile il più possibile dagli altri paesi partecipanti. Solo con le idee chiare su obiettivi e proposte il nostro ruolo sarà realmente decisivo per gli accordi globali che saranno raggiunti. In particolare, la risoluzione giustamente pone l’accento sulla necessità di interventi urgenti che vadano a soddisfare l’obiettivo di conseguire una più consistente riduzione della perdita di biodiversità, attraverso l’utilizzo delle risorse già disponibili.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il ritmo velocissimo della perdita di biodiversità causata dall’uomo è preoccupante. La biodiversità andrebbe vista come il barometro più affidabile dello stato dell’ambiente. Quindi, considerato che l’Unione europea registra tassi allarmanti di perdita di biodiversità, al punto che il 42 per cento dei mammiferi, il 43 per cento degli uccelli, il 45 per cento delle farfalle, il 30 per cento degli anfibi, il 45 per cento dei rettili e il 52 per cento dei pesci di acqua dolce sono minacciati di estinzione, credo che le norme che sono state appena applicate siano essenziali e vitali ai fini della conservazione della biodiversità e persino del suo incremento. Dobbiamo dunque essere ambiziosi riguardo alla biodiversità per poter conseguire gli obiettivi strategici fissati per il 2020. Si spiega così il mio voto.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Visto che la biodiversità costituisce la base della vita per l’intera umanità, dobbiamo conservare la biodiversità e gli habitat naturali. La riduzione della biodiversità e la perdita di ecosistemi colpisce in modo particolare i ceti più poveri della società perché spesso la loro sopravvivenza dipende dai prodotti naturali. Dovrebbe essere nell’interesse dei governi occidentali conservare tale diversità e adoperarsi per una maggiore sensibilizzazione su questo tema perché, a lungo termine, la conservazione della biodiversità non può che essere vantaggiosa anche in termini economici. Mi astengo dal voto perché sono stati fissati obiettivi troppo ambiziosi e l’Unione europea, che svolge un ruolo guida a questo riguardo, potrà conseguire il suo scopo solamente se le grandi nazioni come la Cina saranno disposte anch’esse a cambiare il loro modo di pensare.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) L’Unione europea è preoccupata per il rapido tasso di perdita di biodiversità e per il mancato conseguimento dell’obiettivo globale di ridurre in misura significativa la perdita di biodiversità entro il 2010. Al fine di raggiungere obiettivi ambiziosi è necessario adottare quanto più velocemente possibile indicatori concreti basati su dati scientifici, per misurare i progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi strategici. Secondo gli studi eseguiti finora, la perdita di benessere derivante dalla perdita di biodiversità si attesta attualmente intorno ai 50 miliardi di euro l'anno (leggermente inferiore all'1 per cento del prodotto interno lordo) e nel 2050 raggiungerà i 14 000 miliardi di euro. Pertanto l’Unione europea ritiene che questo problema sia estremamente urgente. Condivido il convincimento che esistono molti legami tra la tutela del clima, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio e l’arresto della perdita di biodiversità. I passi compiuti per proteggere la biodiversità hanno un effetto positivo sull’adattamento al cambiamento climatico e sulle strategie di mitigazione. Mi associo all’appello contenuto nella risoluzione a sostenere gli sforzi volti a potenziare le sinergie e i legami tra la biodiversità e le politiche per il clima. Ma, per contribuire alla prevenzione di questi problemi di portata globale, si devono aumentare drasticamente in tutto il mondo i finanziamenti per la protezione della biodiversità, in particolare sia con le fonti di finanziamento esistenti che con fonti nuove e innovative, compresi gli strumenti nuovi e innovativi basati sul mercato.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La biodiversità è un patrimonio ricco che abbiamo ereditato dalle generazioni passate e che dovremmo lasciare alle generazioni future. A prescindere da qualsiasi concezione antropologica, è importante anche riconoscere il valore intrinseco della biodiversità.
Al momento attuale, una specie su cinque è a rischio di estinzione. Si tratta di una cifra impressionante che ci sollecita a compiere azioni adeguate a difendere e proteggere la biodiversità.
Stando così le cose, sono favorevole a questa risoluzione che mira fondamentalmente a promuovere il raggiungimento effettivo e decisivo dell’obiettivo già fissato per il 2010 di ridurre in maniera significativa il tasso di perdita di biodiversità e che sistematizza i diversi percorsi per arrivare a un’azione urgente di tutela della biodiversità fissando nuovi obiettivi per il 2020.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Riguardo alla tutela della biodiversità, l’Unione europea deve avere sul palcoscenico internazionale lo stesso approccio aggressivo che ha nella lotta contro il cambiamento climatico. Tutto fa pensare che a Nagoya il compito di conservare la biodiversità sarà altrettanto difficile di quello di invertire a Cancun la rovinosa tendenza al riscaldamento globale. Le cifre ci ricordano quali sono le dimensioni di questa sfida: dal 1970 a oggi è scomparso il 30 per cento delle specie animali e vegetali. In Europa, la perdita di biodiversità prosegue nonostante la creazione delle zone ecologiche denominate Natura 2000, che sono il frutto di una crescente consapevolezza del problema e coprono quasi il 18 per cento del territorio europeo. Cosa dobbiamo aspettarci che accada a Nagoya tra il 18 e il 29 ottobre 2010? Al massimo, che l’Unione europea parli con una voce sola. Ma l’UE deve avere anche il coraggio di sollevare questioni suscettibili di suscitare contrasti persino con il paese ospitante, il Giappone, che non può più continuare impunemente a utilizzare metodi insostenibili e particolarmente barbari per la pesca alle balene e ai delfini. L’Unione deve altresì lanciare un messaggio positivo: il modo migliore di proteggere la diversità delle specie è quello di integrare orizzontalmente questa problematica nelle attività economiche come il commercio, il turismo e i trasporti.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La nostra intenzione iniziale era di votare a favore del testo, ma l’emendamento n. 1 al paragrafo 16, presentato dai gruppi del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) e dei Conservatori e Riformisti europei, ha infine convinto il nostro gruppo ad astenersi.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) La biodiversità tocca la vita di ognuno di noi, ma, a causa dell’attività dell’uomo, il processo di perdita di biodiversità sta avanzando in tutto il mondo sempre più velocemente, come dimostrano, tra l’altro, la deforestazione di massa, il calo degli stock ittici e la continua scomparsa di specie. Secondo le stime degli scienziati, tra il 15 e il 40 per cento delle specie potrebbero scomparire entro la fine del XXI secolo. Dovremmo essere consapevoli del fatto che la perdita di biodiversità ha un effetto negativo sull’azione degli ecosistemi e sui servizi che essi offrono, come la fornitura di cibo, la purificazione dell’acqua, la fertilizzazione del terreno, la protezione da inondazioni e la produzione di energia. La biodiversità è messa a rischio da numerosi fattori, come, per esempio, il cambiamento climatico, lo sviluppo suburbano incontrollato e l’insediamento di specie esotiche invasive. Vorrei tuttavia concentrarmi su una questione specifica, ossia l’agricoltura. Spesso l’agricoltura è citata come un fattore di rischio per la biodiversità. Certo, si può concordare sul fatto che l’agricoltura industriale non è ecocompatibile. Penso, però, che una minaccia molto più grave per l’ambiente sia rappresentata dalla cessazione delle attività agricole, e di recente abbiamo assistito a un’intensificazione di tale tendenza. Il continuo calo della redditività della produzione agricola, dovuto, tra l’altro, alle fluttuazioni dei prezzi, porta all’abbandono dell’agricoltura e, conseguentemente, alla scomparsa della vita in aree molto ampie.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Dal 18 al 29 ottobre si terrà in Giappone la conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica. Sia a livello globale che a livello europeo non è stato conseguito l’obiettivo fissato per il 2010 di arrestare la perdita di biodiversità.
Come si sottolinea nella risoluzione del Parlamento, a meno che non si faccia rapidamente qualcosa per invertire tale fenomeno, la perdita di biodiversità diventerà significativa e incontrollabile a medio e lungo termine.
Il Parlamento chiede che gli esseri viventi non siano assoggettati a brevetti e che si ponga fine allo sfruttamento delle risorse genetiche da parte delle imprese e dell’industria, specialmente nei paesi in via di sviluppo.
La tutela della biodiversità è essenziale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Ho quindi votato a favore della risoluzione, inclusi gli emendamenti proposti dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica e dal gruppo Verde/Alleanza libera europea.
Tra qualche settimana si svolgerà a Cancún la conferenza sul cambiamento climatico ed è quindi ora che la comunità internazionale e, soprattutto, l’Unione europea, dato il suo impegno a favore della protezione dell’ambiente, alla conferenza di Nagoya tengano conto del rapporto intitolato “L’economia degli ecosistemi e della biodiversità” (TEEB) e delle sue raccomandazioni.
È estremamente urgente ribadire che la lotta per la biodiversità, la lotta contro il cambiamento climatico e la lotta contro la povertà sono strettamente legate tra loro, così come lo sono le risposte per affrontare queste tematiche.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Sebbene gli studi abbiano stimato i costi economici attuali della perdita di biodiversità in circa 50 miliardi di euro l’anno, questo problema non è iscritto nell’agenda politica internazionale. A livello europeo esistono già strumenti eccellenti, che dobbiamo potenziare in modo finalizzato e coordinare con l’azione politica in favore del clima al fine di ottenere il massimo beneficio dagli investimenti. L’investimento nella conservazione della biodiversità darà buoni frutti.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Gli accordi Basilea II disciplinano l’attività bancaria e, in particolare, i fondi che le banche devono accantonare per garantire la solvibilità. Nella risoluzione in esame, il Parlamento europeo promuove la gestione a lungo termine dei rischi e dei profitti e alcuni regolamenti che dipendono dalla dimensione delle banche, in modo che le più importanti non si sentano abbandonate; sostiene inoltre che non si dovrebbero trasferire ai privati i costi dell’adeguamento alla nuova normativa. Il Parlamento teme che, a livello globale, gli accordi Basilea II non vengano rispettati in modo uniforme ed esorta la Commissione a prendere provvedimenti per una maggiore armonizzazione. Ritengo che tali raccomandazioni muovano nella giusta direzione: ridurre il rischio di una nuova crisi e difendere i privati. Ho pertanto votato con convinzione a favore della risoluzione in oggetto.
Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Mi congratulo per l'ottimo lavoro svolto dal relatore e collega Karas nell'elaborazione di una preziosa relazione di iniziativa in vista della riforma di Basilea II per rafforzare il sistema bancario alla luce della crisi finanziaria. E', infatti, necessario un maggior coinvolgimento dell'Europa in questa fase di trattativa negoziale al fine di evitare eventuali penalizzazioni del sistema economico europeo e distorsioni della concorrenza. Rispetto al sistema americano, quello europeo è finanziato principalmente dai crediti delle banche, ma la crisi finanziaria degli ultimi anni in Europa e la conseguente carenza di liquidità ha generato una drastica riduzione di credito per le PMI, spina dorsale della nostra economia. Ho votato a favore di questo documento perché sono convinto che nelle trattative di modifica di Basilea II l'UE debba battersi per ottenere condizioni eque con l'America sugli standard contabili; parità di obblighi tra le banche commerciali e le banche di investimento; definizione univoca di liquidità e maggiore chiarezza sul ruolo delle agenzie di rating. Per fronteggiare futuri periodi di stress dobbiamo dotarci, fin d'ora, di maggiori e migliori capitali e di una maggiore liquidità. Al contempo, è opportuno implementare misure anticicliche e creare accantonamenti economici.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione perché concordo sulla necessità di affrontare la questione degli istituti finanziari “troppo grandi per fallire”. Secondo tale principio, i requisiti patrimoniali e gli ammortizzatori anticiclici dovrebbero essere proporzionati a dimensione, rischiosità e modello imprenditoriale dell’istituto finanziario. Sollecito un’analisi approfondita dello stato degli strumenti patrimoniali prima e dopo la crisi, al fine di valutare l’efficacia e il peso degli specifici strumenti patrimoniali nell’eventualità di un’altra crisi. La futura autorità bancaria europea dovrà svolgere un ruolo di primo piano nella definizione e messa in atto delle misure relative ai requisiti dei fondi propri e alle norme relative alle riserve anticicliche di fondi propri a livello di Unione.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Mi sono astenuto dalla votazione sulla relazione in oggetto perché, malgrado si riconosca il problema in linea teorica e si sostenga la necessità di rivedere le linee guida Basilea II e di intensificare la supervisione del sistema finanziario e delle banche, si esita ad adottare provvedimenti rigorosi. La relazione sottovaluta le responsabilità che le banche hanno avuto nel determinare la crisi, da identificarsi nella loro tendenza a un’eccessiva condiscendenza e alla speculazione, specialmente negli ultimi anni. Abbiamo bisogno di un nuovo concetto della natura e del ruolo del sistema finanziario se vogliamo che le politiche economiche europee promuovano una crescita sostenibile e, essenzialmente, affrontino le questioni sociali.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della maggior parte delle misure proposte nella relazione in esame. La regolamentazione anticiclica richiede criteri armonizzati per garantire completo una vigilanza globale e attenta dei mercati finanziari e dell’ambiente dei mercati da parte delle autorità di vigilanza. In particolare, è necessario uno scambio completo di informazioni, la sincronizzazione delle misure di regolamentazione e il controllo in tempo reale dell’esposizione e del rischio, che comprenda l’obbligo di tenere traccia della revisione per tutte le transazioni dei mercati finanziari. Lo sviluppo di standard di liquidità di alta qualità costituisce, dunque, una parte fondamentale della risposta alla crisi, ma tali standard devono essere abbastanza differenziati da tenere conto delle particolarità dei modelli imprenditoriali delle banche e dei loro rispettivi profili di rischio. In considerazione di ciò, la futura autorità bancaria europea dovrà svolgere il ruolo di primo piano nella definizione e nella messa in atto delle misure relative ai requisiti dei fondi propri e alle norme relative alle riserve anticicliche di fondi propri a livello di Unione.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione perché ritengo che la vigilanza e la regolamentazione degli attori nei mercati finanziari siano indispensabili per tutelare gli interessi del pubblico e la stabilità finanziaria ed economica necessaria allo sviluppo e al progresso. Inoltre, il periodo di crisi che stiamo attualmente attraversando ha dimostrato come il capitale bancario fosse chiaramente insufficiente in termini di ripresa e di solvibilità. I requisiti patrimoniali e gli ammortizzatori anticiclici devono essere proporzionati a dimensione, rischiosità e modello imprenditoriale dell’istituto finanziario. Evidenzio peraltro la sollecitazione rivolta al Comitato di Basilea a considerare l’importanza delle modifiche che è necessario apportare al quadro normativo affinché l’economia europea e il settore bancario, caratterizzati da una forte interdipendenza, non subiscano danni e non si trovino in una condizione di svantaggio competitivo sul mercato globale.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Mi sembra che i tentativi di migliorare il sistema finanziario internazionale nell’ambito del comitato Basilea, del G20 e a livello comunitario siano del tutto inutili.
L’accordo raggiunto a settembre sulla quantità e sulla qualità del capitale che le banche sono obbligate a detenere è stato accolto come un progresso e una vittoria formidabili in un settore che si era schierato contro tali misure e che minacciava di tagliare le concessioni dei crediti. Sembra si sia trattato di una vittoria di Pirro poiché, in seguito all’accordo, le quotazioni in borsa del settore hanno avuto un incremento trascurabile, il che non è stato un buon segno.
Le banche avranno tempo fino al 2019 per adeguarsi alle nuove disposizioni e, nel frattempo, tutto può succedere. L’analisi del rischio, che già sappiamo essere del tutto inutile, resta alla base del sistema. Non hanno trovato soluzione né i problemi della liquidità e degli indici di leva finanziaria, né quelli delle attività non iscritte a bilancio e della cartolarizzazione. Le nuove disposizioni non riguardano gli istituti finanziari che non ricevono finanziamenti dal settore pubblico, come i fondi hedge, malgrado la loro pericolosità e le anomalie nel loro modo di operare.
In breve, non si è risolto nulla e nulla si risolverà finché non si cambierà il sistema dalle fondamenta invece di cercare soluzioni temporanee.
Anne E. Jensen (ALDE), per iscritto. – (DA) I parlamentari europei appartenenti al partito liberale danese hanno votato a favore della relazione Karas (A7-0251/2010), che analizza diverse questioni fondamentali e richiede che Basilea III sia attuata nel modo più adeguato, tenendo presenti le differenze nei sistemi finanziari. I parlamentari europei del partito liberale danese, tuttavia, deplorano che le raccomandazioni dei danesi per la protezione del modello di credito ipotecario danese non siano state prese in maggior considerazione. Alcune proposte avanzate per la convenzione Basilea possono provocare danni ingenti a modelli di credito ipotecario efficaci in Europa, compreso quello danese.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) Il Comitato di Basilea ha come obiettivo la riforma di Basilea II per aumentare la stabilità del sistema bancario. Le proposte del Comitato sono volte a migliorare la qualità della base patrimoniale e a estendere e rafforzare la copertura dello schema di regolamentazione patrimoniale. Il Comitato vuole, inoltre, introdurre sia un indice di leva finanziaria, per limitare il costituirsi di leve finanziarie troppo elevate nel sistema, sia altre misure anticicliche supplementari, come le riserve di capitale da accantonare nei periodi di crescita. Si propongono anche standard globali di gestione della liquidità.
Benché esista un forte impegno a livello internazionale per rivedere l’accordo Basilea, è fondamentale che, nella revisione, si trovi l’equilibrio giusto tra i diversi modelli imprenditoriali, la tradizionale attività bancaria al dettaglio e l’attività delle banche d’investimento, le diverse forme giuridiche e il finanziamento del settore societario europeo che avviene principalmente attraverso il prestito bancario.
Il Parlamento europeo deve mantenere un ruolo attivo e una forte influenza nell’ambito della revisione delle linee guida già in fase di negoziazione in seno al Comitato di Basilea. Il Parlamento europeo, nella sua qualità di organo comunitario democraticamente eletto che fungerà da colegislatore sulla proposta della Commissione concernente la direttiva sui requisiti patrimoniali (direttiva CRD 4), dovrà essere coinvolto nel processo di negoziazione sin dalle fasi iniziali.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. − Il voto favorevole alla relazione Karas è dovuto alla puntualità con la quale il collega ha evidenziato i progressi portati dalla direttiva sui requisiti patrimoniali, ma anche le criticità che ci spingono ad una riforma in tempi brevi. Concordo innanzitutto sulla necessità di garantire un ruolo attivo e soprattutto “precoce” al Parlamento europeo nei negoziati, al fine di garantire una sorta di “controllo democratico” per adottare misure che siano il più possibile corrispondenti alle esigenze di tutte le realtà produttive. Dobbiamo fare di tutto affinché vadano salvaguardati gli utenti finali dei servizi finanziari, per fare questo occorre che il nuovo accordo preveda un sistema che non costringa le banche a scaricare su di essi i costi dell’operazione.
Arlene McCarthy (S&D), per iscritto. – (EN) Le banche che si sono esposte a rischi eccessivi senza detenere capitali sufficienti per farvi fronte hanno avuto un ruolo centrale nell’origine della crisi finanziaria. Gli squilibri del settore bancario hanno generato una crisi che continua a ripercuotersi gravemente sui cittadini di tutto il mondo. La popolazione ha pagato due volte: prima con il salvataggio a spese dei contribuenti, poi con i sacrifici imposti dalla recessione e dai tagli alle spese. Per prevenire il ripetersi di una simile crisi è necessaria una revisione generale del quadro normativo in materia di finanza, che comprenda anche una regolamentazione patrimoniale più rigorosa per le banche. Le proposte volte a migliorare la direttiva sui requisiti patrimoniali sono, pertanto, essenziali per creare banche stabili e responsabili. La relazione sostiene gli obiettivi e le proposte stabiliti dal G20 e dal Comitato di Basilea, ossia garantire che le banche dispongano di capitali sufficienti e di qualità adeguata nonché della liquidità e dei finanziamenti stabili necessari a far fronte a condizioni di mercato difficili. Gli europarlamentari laburisti voteranno a favore della relazione in esame perché sostiene il processo di riforma, ma non appoggeranno alcun tentativo di indebolire le proposte adottate con l’accordo Basilea. Esortiamo a compiere ricerche più approfondite sull’impatto di queste misure laddove opportuno, tenendo conto della necessità di garantire un’attuazione completa, rigorosa e puntuale a livello internazionale.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Il testo in esame non è all’altezza della sfida rappresentata dall’attuale crisi e dalle sue conseguenze in campo economico e finanziario. È urgente cambiare in modo radicale le regole del sistema bancario e non adottare delle mezze misure per mantenerle. L’accordo Basilea stabilisce un livello irragionevolmente basso per i requisiti patrimoniali e non vieta nessuno strumento di speculazione. Ho votato contro questo contributo alla speculazione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La crisi finanziaria globale che continua a creare problemi alle economie nazionali ha dimostrato la fondamentale importanza di un settore bancario solido per evitare situazioni simili nel futuro. Basilea II e la modifica della direttiva sui requisiti patrimoniali contribuiranno a creare un sistema bancario solido che ci permetta, in futuro, di far fronte a eventuali crisi analoghe a quella che abbiamo attraversato recentemente.
L’obiettivo della relazione in oggetto è migliorare la qualità della base patrimoniale ed estendere e rafforzare i requisiti patrimoniali per far fronte ai rischi (come il rischio di credito della controparte dovuto a derivati, pronti contro termine, eccetera). Si vuole, inoltre, introdurre un indice di leva finanziaria per limitare l’uso eccessivo della leva finanziaria nel sistema bancario e istituire altre misure anticicliche supplementari, come la costituzione di riserve di capitale nei periodi economici favorevoli. Ultimo, ma non meno importante, la relazione propone standard globali di gestione della liquidità. Questo spiega il mio voto.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione in esame perché, a mio parere:
– gli istituti finanziari “troppo grandi per fallire” devono essere in grado di attingere a fondi anticiclici proporzionali alla dimensione e al livello del rischio imprenditoriale;
– il Comitato di Basilea e la Commissione devono chiarire il trattamento dei reciproci accordi di partecipazione finanziaria incrociata;
– è necessaria un’analisi approfondita dello stato degli strumenti di capitale prima e dopo la crisi al fine di valutare l’efficacia degli specifici strumenti patrimoniali e il loro peso nell’eventualità di una futura crisi;
– un’alta qualità degli standard di liquidità è parte essenziale della risposta alla crisi;
– è necessario definire i criteri per le attività liquide di alta qualità;
– la Commissione deve includere il debito pubblico di tutta la zona euro tra le attività liquide di alta qualità, senza tener conto del rating specifico;
– la futura autorità bancaria europea dovrà svolgere un ruolo di primo piano nella definizione e messa in atto delle misure relative ai requisiti dei fondi propri e alle norme relative alle riserve anticicliche di fondi propri;
– la regolamentazione anticiclica richiede criteri armonizzati per garantire una vigilanza globale e attenta dei mercati finanziari e dell’ambiente dei mercati da parte delle autorità di vigilanza.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione definisce la posizione del Parlamento europeo in merito sia agli impegni presi dal G20, sia alla prossima revisione degli standard internazionali e delle linee guida in materia di requisiti patrimoniali e di liquidità per il sistema bancario che il Comitato di Basilea (il forum internazionale al quale prendono parte le banche centrali e le autorità di vigilanza del settore bancario) sta adottando. Questi standard devono essere trasposti e riadattati al quadro giuridico europeo grazie alla revisione della direttiva sui requisiti patrimoniali. Per il primo trimestre del 2001 è prevista una proposta di legge della Commissione.
Peter Skinner (S&D), per iscritto. – (EN) Confermo il mio sostegno alla relazione in esame. Come è noto alla Commissione, il Parlamento ritiene da sempre che la pianificazione per l’accordo Basilea II rifletta in maniera inadeguata il processo parlamentare. Con una posta in gioco così alta tra le maggiori potenze finanziarie è necessario che il Parlamento vigili più attentamente sulla riorganizzazione di questioni quali l’indice di liquidità e la leva finanziaria. La Commissione deve riconoscere che la presente relazione ha contribuito a sanare lo squilibrio nella partecipazione istituzionale del Parlamento europeo.
Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto. – (DA) Appoggio con convinzione il fatto che la relazione riconosca l’esistenza di obbligazioni ipotecarie e altri tipi di titoli la cui liquidità e sicurezza sono, in effetti, pari a quelle dei titoli di Stato. Sostengo, quindi, con altrettanta convinzione, il supporto indiretto che la relazione garantisce al modello di credito ipotecario danese, benché sarebbe stato opportuno menzionare la Danimarca in modo più esplicito. Il motivo per cui mi astengo dal voto è che, per difendere la competitività dell’Unione europea, la relazione non richiede l’introduzione di un regolamento finanziario più rigoroso rispetto a quelli adottati nel resto del mondo occidentale, compresi gli Stati Uniti.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) L’adozione del pacchetto sulla vigilanza finanziaria europea a settembre ha comportato, in particolare, la creazione di organismi e meccanismi di vigilanza microprudenziale nel settore bancario, in collaborazione con le reti di vigilanza nazionali. La relazione d’iniziativa che abbiamo votato oggi si concentra su un argomento che credo rientri, in qualche modo, in questa nuova architettura e che considero fondamentale per qualsiasi economia. La definizione della quantità e della qualità dei capitali propri costituisce sicuramente una questione molto delicata, che va analizzata dal punto di vista dell’impatto, in particolare sulla ripresa dell’economia europea, e del contesto generale. Considerando che le nostre imprese sono finanziate principalmente dal settore bancario, che rappresenta uno dei pilastri dell’economia, è fondamentale che le banche gestiscano i propri rischi e profitti in una prospettiva prudenziale a lungo termine. Credo che tali questioni vadano discusse in modo proattivo e in un ambito di collaborazione transatlantica. Ho votato a favore della relazione in esame trovandomi d’accordo con il contenuto generale, che considero un ulteriore passo verso la costituzione di nuovi meccanismi comunitari per la pianificazione, il coordinamento e la vigilanza in ambito economico, sociale e di bilancio nell’Unione europea.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) L’attuale crisi finanziaria ha palesato i rischi a cui molte banche si sono esposte senza disporre dei capitali necessari per coprirli. I costi di questa irresponsabilità continuano a gravare sui cittadini europei, sia per i salvataggi delle banche, sia per i tagli alle spese provocati dalla conseguente recessione. Qualsiasi revisione del quadro normativo in materia di finanza deve contenere proposte volte a migliorare la direttiva sui requisiti patrimoniali ed è, pertanto, essenziale per creare banche stabili e responsabili. La relazione sostiene gli obiettivi e le proposte stabiliti dal G20 e dal Comitato di Basilea, ossia garantire che le banche dispongano di capitali sufficienti e di qualità adeguata nonché della liquidità e dei finanziamenti stabili necessari a far fronte a condizioni di mercato difficili. Ho votato a favore della relazione in esame perché sostiene il processo di riforma, ma non appoggerò nessun tentativo di indebolire le proposte adottate con l’accordo Basilea. Suggerisco anche ricerche più approfondite sull’impatto di tali misure laddove opportuno, tenendo conto della necessità di garantire un’attuazione completa, rigorosa e puntuale a livello internazionale.
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. – (RO) Finora la comunità internazionale non è rimasta indifferente, ma ha intrapreso numerose azioni di solidarietà a sostegno delle popolazioni africane; ciononostante, il livello di sviluppo in queste zone è ancora notevolmente inferiore a quello occidentale. Se si considera che l’aspettativa di vita di un africano può essere inferiore a quella di un europeo anche di 30 o 40 anni, possiamo dire che questo è ancora un problema serio. Onorevoli colleghi, sostengo le soluzioni proposte nella relazione dell’onorevole De Keyser e desidero sottolineare che la vera soluzione al problema del continente africano consiste, da una parte, nel porre le basi del sistema sanitario e, dall’altra, nel fornire un aiuto tempestivo. Parafrasando un noto adagio, “dai una medicina a un paziente e lo aiuterai per un giorno; offrigli le basi di un sistema sanitario e non solo aiuterai lui per tutta la vita, ma anche i suoi figli”. È proprio questo il motivo per cui sostengo una politica di finanziamento equilibrata.
John Attard-Montalto, Louis Grech e Edward Scicluna (S&D), per iscritto. − (EN) La delegazione laburista maltese ha votato a favore della relazione sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità mondiale, che affronta le tematiche fondamentali e le priorità per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio e dimezzare la povertà estrema entro il 2015. Deploriamo che in alcune regioni le donne subiscano ancora mutilazioni genitali, violenze e stupri. Condividiamo pienamente le tematiche affrontate nella relazione, in particolare i problemi sanitari più urgenti nell’Africa subsahariana e quello più generale di come migliorare l’assistenza sanitaria e i regimi di assicurazione sociale nella regione. La mia delegazione non concorda, invece, con il riferimento alla promozione dell'aborto contenuto nel paragrafo 6 della relazione.
David Casa (PPE), per iscritto. – (EN) La relazione affronta diverse tematiche, ma desta particolare preoccupazione il paragrafo 6, che riguarda l’aborto. Sono contrario all’aborto e non posso sostenere un testo che lo promuove. Per questo motivo ho deciso di votare contro la relazione quale emendata.
Anna Maria Corazza Bildt, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE), per iscritto. – (SV) Oggi, 7 ottobre 2010, i Conservatori svedesi hanno votato contro la relazione (A7-0245/2010) sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità mondiale. Ci teniamo a sottolineare che riteniamo che la relazione affronti un argomento di vitale importanza, ovvero l’accesso all’assistenza sanitaria, un requisito essenziale per lo sviluppo. Ogni anno nell’Africa subsahariana centinaia di migliaia di bambini muoiono a causa di malattie che non sono letali per chiunque abbia accesso all’assistenza sanitaria di base. A nostro avviso, però, la relazione non fornisce risposte su come garantirla. Che la società civile abbia svolto – e continui a svolgere, in molti paesi – un ruolo di primo piano nel fornire assistenza è un dato di fatto; negare in maniera categorica il lavoro svolto da chi presta assistenza privatamente e dalle organizzazioni non governative non rappresenta la scelta migliore per chi ha a cuore il benessere dei poveri. Allo stesso tempo, ci preme sottolineare che condividiamo, ovviamente, il passaggio della risoluzione relativo alla salute riproduttiva delle donne e la condanna delle mutilazioni genitali e delle violenze terribili di cui le donne sono ancora vittime.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Ritengo che il merito principale della risoluzione sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità mondiale consista nell’affrontare il problema sulla base delle caratteristiche specifiche della regione. Trapiantare un modello di organizzazione dei regimi di assicurazione sociale specifico della società occidentale in un contesto completamente diverso è di fatto problematico. Molti progetti destinati a paesi in via di sviluppo sono falliti proprio a causa di questo atteggiamento assolutista e “occidentecentrico”, da parte dell’Europa o degli Stati Uniti, che ha portato a uno spreco di risorse e a nuovi problemi per i paesi beneficiari. La situazione specifica della regione rende ancora più evidente che non si può trattare la salute come una merce ed è quindi necessario trovare forme di assistenza sanitaria senza scopo di lucro, ispirate ai valori della democrazia e della solidarietà. Non possiamo permettere che i progressi compiuti nel tempo, anche grazie al contributo degli Stati membri dell’UE, vengano vanificati da decisioni affrettate e basate su considerazioni di natura commerciale. Ritengo che la risoluzione affronti il problema in maniera equa e coerente ed ho quindi votato a favore.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – (EN) Sostengo la relazione, che tenta di affrontare – alla luce degli impegni dell’Unione europea per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio e dimezzare la povertà estrema entro il 2015 – i problemi sanitari più urgenti nell’Africa subsahariana e di stabilire quali sistemi possono essere istituiti a tal fine.
La relazione considera la possibilità di realizzare sistemi di assistenza sanitaria universali e accessibili, anche dal punto di vista economico, e di condividere le migliori pratiche relative all’esperienza europea. Nello specifico, esamina le mutue sanitarie che sono già state istituite in diversi Stati africani e che si sono rivelate strumenti efficaci.
Le mutue sanitarie non sono volte a sostituire lo Stato, quanto piuttosto a offrire un’alternativa che permetta di superare gli ostacoli all’accesso all’assistenza sanitaria e che fornisca a tutti i cittadini – indipendentemente dal loro reddito – un migliore accesso all’assistenza di qualità. Esse hanno saputo adattare i mestieri dell'assicurazione alle caratteristiche socioeconomiche delle popolazioni dell'economia informale che restano escluse dai regimi formali e dalle assicurazioni commerciali e costituiscono pertanto la risposta adeguata per raggiungere l'obiettivo della copertura universale nei paesi a basso o medio reddito.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) L’Africa è devastata dalle conseguenze della crisi, da calamità naturali, povertà estrema, guerre ed epidemie, ed è quindi urgente aiutare ad attuare una politica sanitaria sostenibile. Per questo motivo ho sostenuto la relazione, che prevede sistemi sanitari finanziati in modo misto da risorse statali, dalla solidarietà internazionale e dalla partecipazione dei cittadini. A tal fine, è necessario che i paesi europei mantengano la promessa di destinare alla cooperazione almeno lo 0,7 per cento del PNL nel 2010. L’Unione europea deve sostenere le numerose iniziative mutualistiche esistenti, il cui obiettivo è favorire l'accesso alle cure sanitarie. Gli Stati membri sono chiamati a fornire la propria esperienza e un maggiore sostegno tecnico e finanziario ai governi dei paesi in via di sviluppo al fine di introdurre e ampliare i regimi di sicurezza sociale. Infine, anche la Banca europea per gli investimenti ha un ruolo nel garantire prestiti, cofinanziare investimenti in cliniche e farsi in parte carico delle retribuzioni del personale sanitario. Solo grazie a questi sforzi congiunti l’Africa potrà avere un sistema sanitario sostenibile e accessibile a tutti.
Harlem Désir (S&D), per iscritto. – (FR) Il rafforzamento dei sistemi sanitari nell’Africa subsahariana è un aspetto cruciale delle politiche di sviluppo. Colmare le lacune di questi sistemi significherà incidere sulla sanità pubblica mondiale attraverso una migliore formazione degli operatori sanitari, campagne di prevenzione mirate e costi delle cure più bassi. Questo contribuirà, di rimando, a una riduzione delle epidemie gravi come HIV, tubercolosi e dissenteria. Non è accettabile che in nome del profitto le imprese private ostacolino l’accesso all’assistenza sanitaria, e lo è ancora meno che talune correnti religiose conservatrici rifiutino le politiche di salute sessuale e riproduttiva, contestando il diritto all’aborto e mettendo a rischio la salute di milioni di donne. Per migliorare i sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e nel resto del mondo è indispensabile che l’Unione europea si coordini meglio col resto della comunità internazionale. Nello specifico, l’UE deve favorire l’emergere di mutue sanitarie solidali e senza scopo di lucro, che permettano di promuovere l’accesso all’assistenza sanitaria di qualità. Sostengo quindi l’approvazione della relazione De Keyser.
Lena Ek, Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. – (SV) È importante che la popolazione del continente africano abbia accesso ai servizi sanitari ed è quindi positivo che si discuta dei regimi di assicurazione sanitaria e di come organizzare l’assistenza sanitaria in paesi a basso reddito.
Purtroppo, il tono e l’impostazione della relazione lasciano invece molto a desiderare. Per esempio, è deprecabile che in Europa permangano pregiudizi che rendono tuttora possibile scrivere frasi come “alla luce delle condizioni sociali e umanitarie nelle quali vivono talune popolazioni, i cittadini non sempre comprendono il concetto di previdenza”.
In alcuni casi la relazione dimostra un atteggiamento superato nei confronti dell’assicurazione sanitaria privata e degli operatori sanitari indipendenti. In alcune parti dell’Africa oggi è essenziale che questi ultimi siano in grado di continuare a lavorare affinché un sistema sanitario sia effettivamente disponibile.
Nonostante tali limiti, riteniamo che l’obiettivo della relazione sia valido e che contenga un buon numero di iniziative positive. Desideriamo sostenere le forze progressiste che operano in seno alle organizzazioni di assistenza per il diritto alla salute riproduttiva delle donne. Abbiamo quindi deciso di votare a favore della relazione.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità mondiale per ribadire la necessità che la comunità internazionale rispetti gli impegni assunti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio e che l’Unione europea mantenga la promessa di intensificare il sostegno ai servizi sanitari nell’Africa subsahariana. Mi preme sottolineare l’importanza di sostenere lo sviluppo di modelli mutualistici sostenibili e basati sulla solidarietà Nord/Sud e tra gli aderenti, ma che si pongano come obiettivo di lungo termine la propria autonomia e il proprio autofinanziamento.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) L’Africa subsahariana rimane la regione con l’aspettativa media di vita alla nascita più bassa (19 dei 20 paesi con l’indice più basso si trovano in Africa) e con i tassi di mortalità, compresa quella materna e infantile, più alti. È anche la regione con la più elevata incidenza di decessi dovuti all’infezione da HIV; in diversi paesi il tasso di incidenza nella popolazione adulta supera il 15 per cento. Questi dati non possono che colpirci e avvertirci dell’impellente necessità di indirizzare opportunamente l’aiuto umanitario per i paesi in questione al settore della sanità e dell’assistenza sanitaria di base delle comunità più povere. A tal riguardo, l’Unione europea e i singoli Stati membri hanno un ruolo, non perché tale situazione di estremo bisogno sia dovuta al passato coloniale del continente africano – come sostiene la relazione –, quanto perché noi europei siamo legati all’Africa da particolari rapporti di amicizia e solidarietà che non possono essere ignorati.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) I gravi problemi e le esigenze estreme della popolazione africana in ambito sanitario sono innegabili, così come l’importanza di un intervento efficace da parte del mondo sviluppato per garantire migliori condizioni di vita in un continente segnato da numerose piaghe, quali calamità naturali, guerre, conflitti e dittature oppressive. Cionondimeno, è inaccettabile ricorrere a strumentalizzazioni per introdurre con la forza valori umani fondamentali e non negoziabili, come nel caso del diritto alla vita. L’imposizione di concetti nuovi che creano divisioni non contribuirà a risolvere i problemi dell’Africa sottosviluppata. Ho quindi votato contro la relazione in oggetto.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione contiene aspetti che giudichiamo importanti, quali l’idea che la salute non sia una merce e la preoccupazione verso “la forma crescente di mercificazione della salute”. Accogliamo con favore la tutela del diritto delle donne al pieno controllo di tutte le questioni relative alla loro salute riproduttiva, che si tratti di procreazione, contraccezione, aborto o malattie sessualmente trasmissibili. Altrettanto importante è che il teso richiama l’attenzione sulla carenza di personale sanitario qualificato in numerosi paesi africani. Anziché cercare di aiutare a far rimanere queste risorse nei rispettivi paesi di origine, diversi paesi europei hanno contribuito a intensificare la fuga di cervelli attirando molti di questi specialisti all’estero. La relazione avrebbe potuto e dovuto approfondire ulteriormente il problema di quelli che definisce “fattori esterni”, che “possono ridurre drammaticamente il margine di manovra degli Stati […] e incidere profondamente sulla salute delle popolazioni”. Non si possono certamente ignorare i programmi di adeguamento strutturale, il debito estero o i tagli e le privatizzazioni finalizzate al sostegno, tra gli altri, del settore della sanità, che già presenta enormi carenze. Né si può ignorare il modo in cui l’Unione europea cerca di imporre a tutti i costi accordi di partenariato economico (APE) che indeboliscono ulteriormente le economie di questi paesi.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) La condivisione di informazioni è importante in qualsiasi settore politico, ma nell’assistenza sanitaria lo scambio di informazioni tra paesi e regioni riveste un’importanza fondamentale, poiché permette di valutare più facilmente la presenza di elementi universali e accessibili, anche economicamente, in regioni diverse da quella cui erano originariamente destinati. Alla luce di quanto esposto, accolgo con favore la relazione, perché rileva una buona prassi derivata dall’esperienza europea che consente di identificare elementi applicabili anche all’Africa subsahariana.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Ho supportato la relazione sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità mondiale perché ritengo primaria la difesa del diritto alla salute quale diritto fondamentale dell'uomo. E' tristemente noto che l’aspettativa di vita di un africano è di almeno 30 anni inferiore a quella di un europeo e tale differenza, da sola, mette seriamente alla prova il modello solidaristico tra Nord e Sud. Ed é, altresì, noto che la gran parte della popolazione dell'Africa subsahariana, in particolare quella stanziata nelle zone rurali, non é in grado di far fronte alle spese di acquisto dei medicinali. La relazione oggi votata in Parlamento richiede la predisposizione di sistemi sanitari sostenibili, da finanziare sia attraverso risorse statali sia attraverso la solidarietà internazionale. Ed in effetti, in questo contesto l’Unione Europea può svolgere un ruolo importante, attraverso un'azione adeguata che consenta di porre le basi per un sistema di finanziamento trasparente e basato su indicatori sanitari derivanti dalle reali esigenze della popolazione. Ritengo, inoltre, necessario, procedere all'effettuazione di programmi di sensibilizzazione della popolazione alla prevenzione e alla diagnosi precoce delle malattie e mi preme, infine, sottolineare il ruolo di primo piano che a tali fini, devono assumere le autorità locali.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) È essenziale unire gli sforzi per realizzare in maniera efficace gli investimenti dell’Unione europea nei sistemi sanitari dell’Africa subsahariana, al fine di ridurre definitivamente il grande squilibrio attualmente esistente tra questo continente e gli altri, soprattutto per quanto riguarda la natalità, l’aspettativa di vita e l’incidenza dell’HIV.
Cionondimeno, è importante lanciare un monito ai governatori di questi paesi affinché utilizzino i fondi disponibili per le finalità previste e garantire che non vengano dirottati per finanziare altre attività, poiché spesso il malgoverno contribuisce ad aggravare i problemi dei sistemi sanitari. Desidero inoltre sottolineare che in questi paesi occorre conservare e sostenere il tasso di natalità senza facilitare il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza. Pur rispettando, com’è ovvio, i diritti delle donne, la pratica ricorrente dell’interruzione di gravidanza non deve rappresentare il fattore determinante del tasso di natalità. Quanto esposto spiega il mio voto.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Sostengo la relazione sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità mondiale. La salute non è una merce. Alla luce della relazione del 2010 sugli obiettivi di sviluppo del Millennio e a cinque anni dalla scadenza, è responsabilità di ognuno di noi sostenere i paesi partner nell’attuazione delle politiche sanitarie nazionali. La spesa sanitaria non rappresenta un costo, ma piuttosto un investimento essenziale per lo sviluppo socioeconomico sostenibile di questi paesi.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) Come si può accettare che l’aspettativa di vita di un africano e di un europeo differiscano di 30 o 40 anni? Molti fattori, quali malgoverno, calamità naturali e povertà estrema, contribuiscono a creare una situazione allarmante che fa sì che gli indicatori sanitari in Africa siano tra i più preoccupanti al mondo. Come illustrato nella relazione, secondo la Banca mondiale è poco verosimile che nel prossimo futuro i paesi in via di sviluppo saranno in grado di finanziare, sulla base di entrate fiscali, i rispettivi sistemi sanitari nazionali. In questo contesto, sistemi non lucrativi finanziati in modo misto, sia attraverso sia risorse statali, sia la solidarietà internazionale, sia la partecipazione dei cittadini, potrebbero contribuire a rispondere all’immensa sfida sanitaria nell’Africa subsahariana. Numerosi paesi africani hanno avviato iniziative promettenti con l’aiuto della comunità internazionale, ma l’Unione europea ha un ruolo specifico nell’instaurazione di strutture sanitarie solidali, guidando e finanziando sistemi di base e l’accesso alle medicine e sostenendo programmi di sensibilizzazione della popolazione alla prevenzione e alla diagnosi precoce delle malattie.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione affronta la mancanza di un’assicurazione sanitaria nell’Africa subsahariana, che penalizza la maggioranza della popolazione nell’accesso all’assistenza sanitaria. Solo chi se lo può permettere riceve l’assistenza sanitaria, mentre la stragrande maggioranza della popolazione dell’Africa subsahariana, in particolare nelle zone rurali, non può far fronte alle spese sanitarie e all’acquisto di medicinali anche generici, nonostante i servizi offerti dai programmi delle ONG e governativi. Il messaggio principale della relazione consiste nell’instaurare un sistema di assicurazione solidale, basato sulla solidarietà, che garantisca alla popolazione l’accesso all’assistenza sanitaria. Alla luce di questo, la relazione chiede alla Commissione di sostenere e promuovere un sistema di assicurazione sanitaria che riunisca le autorità pubbliche, le parti interessate e i donatori.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Quasi dieci milioni di bambini muoiono ogni anno prima di compiere i 5 anni di vita e tra questi 4 milioni sono neonati con meno di un mese. La quasi totalità della mortalità infantile mondiale è concentrata nei Paesi poveri, principalmente nell'Africa Subsahariana. Ancora oggi in tutto il mondo ogni minuto una donna muore per complicazioni legate alla gravidanza o al parto. Le cause principali sono emorragie, infezioni e crisi ipertensive. Le statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenziano che il rischio per una donna di un paese in via di sviluppo di morire a causa della gravidanza è 36 volte superiore rispetto ad una donna che vive in un paese sviluppato. Negli ultimi anni il numero di decessi è diminuito del 34% ma tale dato è meno della metà di ciò che sarebbe necessario per conseguire il 5° Obiettivo di Sviluppo del Millennio. Maggior impegno deve essere profuso per aiutare chi è più a rischio, ovvero le donne che vivono nelle zone rurali e le famiglie più povere, le minoranze etniche e i gruppi indigeni, le popolazioni delle aree di conflitto. Maggiori investimenti nei sistemi sanitari per conseguire una migliore qualità delle cure rese finalmente accessibili a tutti.
Alf Svensson (PPE) , per iscritto. – (SV) Nella votazione odierna del Parlamento europeo ho votato contro la relazione di iniziativa sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità mondiale, che affronta un argomento di importanza cruciale: è evidente che l’accesso all’assistenza sanitaria è una condizione essenziale per lo sviluppo. Ogni anno nell’Africa subsahariana centinaia di migliaia di bambini muoiono a causa di malattie che non sono letali per chiunque abbia accesso all’assistenza sanitaria di base: questo è una vergogna per il mondo sviluppato. Serve un’assistenza finalizzata a garantire l’accesso ai servizi sanitari. A mio avviso, però, la relazione non fornisce risposte accettabili su come raggiungere questo obiettivo. Che la società civile e, in particolar modo, le organizzazioni religiose abbiano svolto storicamente – e continuino a svolgere, in molti paesi a sud del Sahara – un ruolo di primo piano nel fornire assistenza è un dato di fatto. Negare in maniera categorica – come fa la relazione – il lavoro svolto da chi presta assistenza privatamente e dalle organizzazioni non governative non rappresenta certamente la scelta migliore per chi ha veramente a cuore il benessere dei poveri. Per questo motivo ho votato contro la relazione.
Marc Tarabella (S&D), per iscritto. – (FR) Attraverso la risoluzione sui sistemi sanitari nell’Africa subsahariana e la sanità mondiale, il Parlamento europeo “ricorda il diritto delle donne di controllare senza remore le questioni relative alla loro salute riproduttiva, che si tratti di procreazione, di contraccezione, di aborto o di malattie sessualmente trasmissibili”. Mi rammarico, tuttavia, che la misura sia stata approvata con un'esigua maggioranza (313 contro 229), poiché si tratta di un diritto fondamentale per il quale migliaia di donne hanno lottato e lottano ancora in Europa e nel resto del mondo, spesso rischiando la vita. Pur deplorando fortemente la posizione di una minoranza di colleghi, sono molto lieto dell’esito della votazione odierna.
- Proposta di risoluzione: politica di coesione e politica regionale dell’UE dopo il 2013 (B7-0539/2010)
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) I miei colleghi ed io riteniamo che si debba poter trarre vantaggio dai successi della politica regionale europea. Ciò significa che questa dovrà andare incontro a un’evoluzione, non a una rivoluzione. Deve continuare ad essere una politica solida e ben finanziata, che rappresenta un’autentica leva di sviluppo economico per tutte le nostre regioni. Vogliamo delle regole semplificate, non solo a parole ma anche nei fatti. Crediamo fermamente che le città e le regioni più periferiche necessitino di attenzioni particolari. Avendo collaborato alla stesura di questa risoluzione, sia in sede di gruppo di lavoro che di commissione parlamentare sullo sviluppo regionale, ho potuto conseguire risultati significativi su due fronti: che le necessità dei potenziali beneficiari vengano maggiormente considerate, e che si possa ritenere il PIL un concetto non necessariamente intoccabile. Credo che il PIL debba restare il principale criterio per l’assegnazione di fondi, ma che anche altri fattori debbano essere considerati. Sono lieta del compromesso che è stato trovato e, pertanto, ho votato a favore del testo. L’adozione di questa risoluzione con un’ampia maggioranza ci ha visti unire le forze e inviare un messaggio chiaro alla Commissione europea e ai ministri europei.
Jean-Pierre Audy (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione sulla politica di coesione e la politica regionale dell’UE dopo il 2013. Il testo in questione comprende dichiarazioni fondamentali quali quella sulla necessità di una politica di coesione come condizione necessaria per l’unione degli Stati membri. Credo che ci voglia molta cautela rispetto all’idea di richiedere che, nell’ambito del secondo pilastro della politica agricola comune (PAC), lo sviluppo rurale venga coordinato con gli obiettivi di sviluppo della coesione e gestito a livello regionale per garantire che esso venga adattato alle esigenze locali. E’ perfettamente possibile ottenere l’adeguatezza a livello regionale per mezzo della contrattualizzazione e in assenza di uno strumento obbligatorio. Concordo pienamente con il fatto che la politica di coesione non debba essere rinazionalizzata. La politica di coesione non deve essere né nazionale né regionale, deve essere europea. Dovremmo andare oltre una politica di coesione basata sulla riunificazione dell’Europa e verso una politica di coesione fondata sulla programmazione e sullo sviluppo dell’Europa. Riuscire a fare dell’Europa la regione del mondo più competitiva sul fronte economico-sociale e anche quella più sostenibile sul fronte ambientale: questo è il traguardo dell’Europa dei risultati che i cittadini si attendono.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) La politica di coesione dell’Unione europea è volta alla riduzione delle disparità nei livelli di sviluppo delle regioni europee e al raggiungimento di una coesione economica e sociale, fattore cruciale per la vita delle comunità rurali e per il loro sviluppo. Ho votato a favore di questa risoluzione ed è essenziale che l’UE continui a favorire la crescita sostenibile nelle aree rurali e remote. L’Irlanda ha ricevuto circa 10 miliardi di euro dal 1973 attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale e il comitato per la coesione. Concordo con quanto dice la relazione a proposito di riflettere attentamente sull’importanza dello sviluppo regionale, e di tenerne conto all’interno del bilancio UE, nonché con quanto in essa si dice in merito alla promozione di una politica regionale europea forte e adeguatamente finanziata per il raggiungimento della coesione sociale, economica e territoriale. La politica di coesione dal 2013 in poi deve fare fronte alle necessità delle regioni europee, per aiutare l’Unione europea a crescere e prosperare. Deve essere una politica semplificata e trasparente. Devono instaurarsi delle sinergie con la politica di sviluppo regionale, e deve essere caratterizzata da un’impostazione coordinata, con una gestione a livello regionale, in modo da raggiungere determinati obiettivi politici e per distribuire i fondi in modo equo.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) ho votato a favore di questa risoluzione. La politica di coesione è una parte particolarmente importante della politica europea, che punta a ridurre le disparità tra i livelli di sviluppo delle regioni europee e a garantire la coesione sociale e territoriale. Una politica regionale attuata in modo efficiente conferisce un grande valore aggiunto a tutta l’Unione europea e alla sua crescita economica. Il Parlamento ha spesso espresso la propria posizione in base a cui la politica di coesione viene attualmente sviluppata in un contesto caratterizzato da sfide globali che hanno effetti diversi nelle varie regioni d’Europa. E’, pertanto, necessario migliorare in modo significativo il coordinamento complessivo della politica di coesione a livello europeo. In realtà la complessità e il rigore dei requisiti e delle regole applicate dalla politica di coesione rappresentano uno dei principali ostacoli che impediscono di sfruttare il potenziale di questi strumenti. Per garantire che gli obiettivi della politica di coesione siano raggiunti quando tale politica viene attuata, deve esserci la giusta flessibilità, in modo che gli obiettivi vengano adattati alle caratteristiche individuali delle singole regioni, al fine di consentire il superamento delle specifiche difficoltà economiche e sociali.
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) La politica di coesione è lo strumento più efficace a disposizione per l’applicazione delle politiche europee a livello regionale. La proposta di risoluzione adottata oggi contiene degli elementi importanti che stabiliscono un nesso con gli obiettivi della strategia Europa 2013. Il quadro di bilancio per il 2014-2021 deve sostenere una politica di coesione ambiziosa in termini di risorse stanziate. Inoltre, in vista dell’impatto della crisi economica sulle regioni meno sviluppate, l’obiettivo della convergenza deve continuare a essere pesato in modo preponderante anche in futuro. Nel caso della Romania, l’attuazione di questa politica consente di instaurare un’adeguata convergenza con gli altri Stati europei, specie in quanto tutte e otto le regioni di sviluppo del mio paese possono beneficiare dei Fondi strutturali. La capacità di attrarre e sfruttare al meglio tali fondi avrebbe consentito un incremento del 15 per cento del PIL nei prossimi cinque anni. Tuttavia, a causa dell’inadeguata capacità amministrativa dei dipartimenti ministeriali, il tasso di assorbimento rimane uno dei più bassi in Europa. Di conseguenza, credo che sarebbe utile riorganizzare le strutture amministrative esistenti a livello ministeriale, applicando rigidi criteri di merito nella selezione del personale. Inoltre, ritengo che le strategie a livello delle macroregioni, come la strategia del Danubio, debbano essere mantenute quali aspetti prioritari di questa politica.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché l’Unione europea deve ora iniziare a programmare come finanziare e coordinare la politica comunitaria di coesione e quella regionale dopo il 2013. Concordo con il punto di vista del Parlamento europeo, in base al quale dobbiamo ora programmare e distribuire fondi europei destinati ai fondi strutturali in modo tale che nel nuovo periodo finanziario a lungo termine vengano destinati sufficienti fondi per garantire lo sviluppo armonioso di tutte le regioni dell’UE. L’Europa è unita e, dunque, è molto importante raggiungere l’obiettivo di una politica di coesione – per ridurre le disparità nel livello di sviluppo delle regioni europee, e per garantire la coesione economica, sociale e territoriale. Concordo, inoltre, con il Parlamento sul fatto che la politica di coesione debba essere maggiormente orientata ai risultati e che dovremmo puntare a un’efficacia e utilità ancora maggiori, perché solo allora questa politica diverrà più conveniente e vantaggiosa per i consumatori. A tale scopo dobbiamo fondamentalmente migliorare le procedure amministrative, incrementare il controllo finanziario, coordinare le procedure nazionali e internazionali e renderle più flessibili e semplici. Per raggiungere gli obiettivi della strategia Europa 2020, dobbiamo attuare la politica di coesione assieme a quella regionale, e garantire che questa politica sia indipendente e comprenda tutte le regioni europee.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) E’ importante aumentare il bilancio dell’Unione europea, ma lo è altrettanto migliorare la flessibilità e semplificare le regole di utilizzo al fine di una migliore attuazione del bilancio stesso. L’Unione europea dovrebbe avere delle priorità politiche che contribuiscono alla crescita economica e alla creazione di maggiore e migliore occupazione, unitamente alle politiche che contribuiscono alla competitività, quali la ricerca scientifica e l’innovazione.
Vorrei che l’architettura della politica di coesione del dopo 2013 costituisca un regime di transizione semplice, equo e trasparente, che tiene conto delle esperienze passate e delle ultime tendenze della situazione sociale ed economica delle regioni coinvolte, e che consenta loro di proseguire lungo il cammino verso la crescita e lo sviluppo. Il bilancio dell’UE dovrebbe essere predisposto contemporaneamente all’agenda politica dell’Unione europea. Ad esempio, l’energia rientra nell’agenda di tutti i leader europei, eppure investiamo quattro volte meno nella ricerca scientifica rispetto agli anni ’80. Credo che la strategia Europa 2020 sia un buon punto d’inizio e una buona base di lavoro.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Ritengo che il Fondo sociale europeo debba restare all’interno del regolamento sui provvedimenti generali relativi ai fondi per le politiche di coesione. Credo, tuttavia, che debba funzionare in base a regole proprie.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Sin dalla sua fondazione l’Unione europea ha promosso i valori fondamentali della pace, del benessere, della costituzione di uno spazio comune di libertà e sicurezza e di un mercato unico, e ha promosso la coesione sociale, economica e territoriale per mezzo dello sviluppo sostenibile. Questi valori, di cui andiamo fieri, devono oggi continuare a guidare il processo di integrazione futura dell’Europa, naturalmente assieme alla sua politica di sviluppo regionale. Il 2013 è davvero dietro l’angolo.
Il contributo di ciascuno è, dunque, importante nel raggiungere questo obiettivo, poiché l’attuale situazione in Europa è alquanto complessa ed è in preda a mutamenti profondi a seguito dell’adozione del trattato di Lisbona. Il clima globale non favorevole ha anch’esso richiesto la nuova messa a fuoco delle priorità dell’Unione Europea, in vista della soluzione di problemi specifici o economici che hanno bisogno di essere risolti, ma che non devono comportare distrazioni dai principi soggiacenti alla politica regionale dell’UE. L’architettura della politica di coesione del dopo-2013 dovrebbe chiaramente riflettere il fatto che la politica di coesione non è una politica per la redistribuzione delle risorse finanziare tra gli Stati membri e le regioni. Essa, invece, è o dovrebbe essere una politica che punta allo sviluppo sociale, economico e territoriale dell’Unione europea.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Nell’adottare la risoluzione sulla politica di coesione e la politica regionale dell’Unione europea dopo il 2013, il Parlamento europeo ha appena dato il suo sostegno alle richieste provenienti dalle regioni riunite in questi giorni a Bruxelles per gli Open Days. Il Parlamento desidera inviare un segnale politico forte prima della pubblicazione della quinta relazione sulla coesione, attesa per novembre, la quale delineerà i principali obiettivi della politica regionale dell’Unione europea dopo il 2013. La crisi sociale che stiamo attraversando conferisce una dimensione speciale alla politica di sviluppo regionale. Se le regioni devono continuare a riuscire ad affrontare questo periodo di ristrutturazione economica, devono dotarsi di un bilancio adeguato. In modo da sostenere il successo della strategia EU 2020, le regioni devono anche essere maggiormente coinvolte, e la Commissione europea deve continuare a semplificare le procedure di accesso ai finanziamenti. Infine, la politica di coesione deve anche essere oggetto di una migliore comunicazione affinché i cittadini europei possano comprendere l’importante ruolo svolto dai Fondi strutturali nei più importanti progetti regionali e sociali di coesione. Questa è una delle iniziative a livello locale che l’Europa deve promuovere.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione sulla politica di coesione e la politica regionale dell’Unione europea dopo il 2013. L’attuazione di una politica di coesione che contribuisce a una crescita economica stabile e sostenibile e alla creazione di posti di lavoro nell’Unione europea, è essenziale per la riuscita della strategia Europa 2020. Sebbene siano importanti per il raggiungimento degli obiettivi di questa strategia, la politica di coesione e quella regionale dovrebbero essere indipendenti e fornire un contesto atto ad instaurare delle sinergie importanti tra tutte le politiche europee.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Come ho avuto modo di dire in altre occasioni, la politica di coesione dell’Unione europea è cruciale per ridurre gli squilibri tra le varie regioni dell’Europa a 27, per attenuare gli squilibri e per promuovere la competitività europea. E’ essenziale aiutare lo sviluppo delle zone meno avvantaggiate, promuovere l’efficiente distribuzione di fondi per l’innovazione, la tecnologia e l’istruzione e, in particolare, porre in essere provvedimenti per stimolare l’occupazione e la competitività. Gli obiettivi della strategia Europa 2020 dovrebbero essere una forza propulsiva anche in questo settore e, pertanto, accolgo con favore la raccomandazione di incoraggiare un uso maggiore delle risorse di assistenza tecnica disponibili per valorizzare le capacità delle piccole e medie imprese e delle organizzazioni non governative.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Lo scopo della politica di coesione è la riduzione di disparità tra i livelli di sviluppo delle regioni europee e la mobilitazione della crescita, in modo da raggiungere la coesione economica, sociale e territoriale. Questa politica si è rivelata essenziale per i processi di integrazione europea e per la ricerca della modernizzazione e della crescita sostenibile. In base allo spirito dei trattati queste caratteristiche richiedono l’applicazione di una politica regionale a livello dell’UE in tutto lo spazio europeo, per comprendere tutte le regioni d’Europa.
Le regioni più periferiche, quelle di confine, le regioni con caratteristiche geografiche specifiche, ed altre regioni che si confrontano con sfide precise in materia di sviluppo, dovrebbero continuare a beneficiare di provvedimenti ad hoc. L’attuale sovrapposizione di sfide di breve e di lungo periodo con cui si confronta ora l’Unione Europea richiede l’adozione della strategia UE 2020 al fine di creare un contesto favorevole per la crescita stabile e sostenibile dell’economia e dell’occupazione in Europa. L’attuazione di una politica di coesione è ormai essenziale per la riuscita di tale strategia. Vorrei mettere in risalto il fatto che la coesione territoriale implica un approccio che punta allo sviluppo del territorio; deve, pertanto, presentare anche una flessibilità tale da consentire l’adattamento a determinate caratteristiche regionali, nonché la disponibilità a sostenere le regioni nei loro sforzi per superare le proprie difficoltà di carattere socioeconomico.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione presenta diversi aspetti positivi, specie quando insiste sugli obiettivi della politica di coesione, la quale punta alla riduzione delle disparità tra i livelli di sviluppo delle regioni europee e la mobilitazione del potenziale di crescita per il raggiungimento della coesione economica, sociale e territoriale.
Questo è un settore che facilita la ricerca della modernizzazione e della crescita sostenibile e che, nel contempo, consente di dare prova di solidarietà. Avrebbe dunque dovuto essere messo maggiormente in evidenza. E’ essenziale che la dimensione regionale venga presa pienamente in considerazione nella proposta di revisione del bilancio dell’UE e nel prossimo quadro finanziario poiché, altrimenti, sarà difficile raggiungere la coesione sociale, economica e territoriale.
La politica di coesione deve essere adattata alle regioni più periferiche citate nell’articolo 349 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea con l’adozione di provvedimenti mirati. La Commissione deve proporre delle misure permanenti e adeguatamente finanziate, che si possano adeguare alle necessità di ogni regione periferica, in modo da aiutarle a superare i loro handicap permanenti. Le regioni di confine, quelle con caratteristiche geografiche specifiche, ed altre regioni che si confrontano con sfide precise in materia di sviluppo dovrebbero continuare a beneficiare di provvedimenti ad hoc. Non vogliamo, tuttavia, che la politica di coesione venga subordinata alle priorità della strategia Europa 2020, la quale pone l’accento sulla “competitività”, la “deregolamentazione”, “l’adattabilità” e “l’imprenditorialità”, sempre a scapito della coesione e della convergenza.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) La politica di coesione futura viene decisa in un momento in cui in tutta Europa la disoccupazione è in aumento e le finanze pubbliche si assottigliano. Ad esempio, si prevede che il PIL della regione irlandese nota con l’acronimo BMW (Border, Midland and Western), possa probabilmente calare nuovamente al 75-100 per cento del PIL europeo. Per il dopo 2013 bisognerà attuare dei provvedimenti che tengano conto della mutata situazione economica dell’Irlanda, specie per quanto concerne la regione BMW. In futuro, i programmi dell’obiettivo 2 dovranno concentrarsi sul potenziamento delle capacità delle regioni di contribuire in modo efficace a uno sviluppo economico sostenibile in Irlanda e in Europa, in modo più ecologico e intelligente. I voli regionali verso la regione BMW sono una necessità economica e sociale. Pertanto, il finanziamento dell’onere di servizio pubblico deve essere mantenuto, perché questi voli interni non potrebbero essere gestiti in assenza di tali fondi. Il sostegno dell’Unione europea per la cooperazione transfrontaliera deve continuare. La cooperazione transfrontaliera rende possibile lottare contro la frammentazione del mercato del lavoro, delle reti commerciali e delle infrastrutture delle regioni di confine.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) La politica di coesione è un principio basilare dell’integrazione europea, poiché garantisce il pari sviluppo e l’attenuazione delle disparità all’interno dell’Unione europea, tutelando nel contempo la coesione sociale e territoriale. Il trattato di Lisbona ha rafforzato la politica di coesione e, pertanto, è nell’interesse di tutti noi che la futura politica di coesione stimoli il potenziale di sviluppo dell’intera Unione europea, incoraggi la maggiore competitività dell’economia europea, e migliori la qualità delle nostre vite.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. − In conseguenza della nascita Strategia Europa 2020 nell’ambito del Consiglio e all’approvazione nell’ambito della Commissione per lo sviluppo regionale del Parlamento europeo di un documento relativo alla futura politica di coesione, risulta opportuna e tempestiva una relazione che intenda rilanciare il ruolo centrale della politica di coesione. Giusto sottolineare la rilevanza della dimensione territoriale dopo l’introduzione con il nuovo Trattato dell’ulteriore qualificazione territoriale alla coesione economica e sociale, doveroso il richiamo ai principi cardine dell’attuazione della coesione: governance multilivello, partenariato e approccio integrato. Per tutte queste ragioni voterò positivamente alla relazione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) In assenza di una politica di coesione assertiva come quella condotta da sempre, l’Unione europea non sarebbe riuscita a ridurre gli squilibri esistenti tra le regioni geograficamente più svantaggiate e tutte le altre regioni. Il consolidamento di queste politiche in questo momento, in cui la crisi provoca dei ritardi nell’ardua impresa di ridurre gli squilibri, è cruciale per il raggiungimento degli obiettivi delineati nella strategia UE 2020 e affinché l’Unione europea consolidi uno delle sue colonne portanti, quella della solidarietà, che ha già consentito lo sviluppo e il progresso della maggior parte delle regioni europee.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Desidero esprimere con sincerità il mio rispetto per l’onorevole Hübner e ringraziarla per questa risoluzione, da lei redatta a nome della commissione sviluppo regionale. La risoluzione solleva in modo molto puntuale la questione dell’utilizzo di fondi UE destinati allo sviluppo regionale, e di come favorire un ambiente in cui questi fondi possano essere impiegati in modo più flessibile, tenendo conto della collocazione geografica dei vari paesi, e degli indicatori di base della loro efficienza economica. Sfortunatamente, nel mio paese, la Lettonia, i fondi destinati all’attuazione della politica di coesione vengono utilizzati in modo altamente inefficiente. La corruzione endemica dei funzionari del ministero dell’economia e del ministero per lo sviluppo regionale e l’autorità locale pone concretamente un freno sia alle iniziative dei singoli, che a qualunque provvedimento per un utilizzo efficiente delle risorse finanziarie dell’Unione. A causa dell’assenza in Lettonia di una campagna di informazione relativa ai fondi di coesione, la sua popolazione vive praticamente all’oscuro delle opportunità offerte dall’UE. Ho votato a favore di questa risoluzione per poterla utilizzare per spiegare ad alcuni ministri e funzionari statali lettoni che è ora di mettersi all’opera all’interno dell’UE e, naturalmente, per il bene della Lettonia. Le opportunità di rinnovamento della Lettonia che sono state perse rappresentano un crimine contro le future generazioni.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Il sistema della politica di coesione all’interno dell’UE fornisce un sostegno per consentire alle regioni più povere di raggiungere il livello di quelle più ricche. Esso dovrebbe essere utilizzato per appianare le conseguenze di uno sviluppo economico disomogeneo. Dobbiamo, tuttavia, garantire che le risorse finanziarie vengano destinate alle singole regioni in modo equo e trasparente. I criteri utilizzati per l’erogazione dei sussidi deve anch’esso essere definito in modo chiaro. Dobbiamo dedicare una maggiore attenzione alle regioni periferiche e rurali. Il mio voto contrario alla risoluzione è dovuto al fatto che essa non rende sufficientemente chiaro fino a che punto le erogazioni dei sussidi verranno monitorate, e quale formula sarà impiegata per determinare il modo in cui saranno distribuiti.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) La proposta di risoluzione sulla politica di coesione e la politica regionale dell’Unione europea dopo il 2013 è un chiaro segnale inviato dal Parlamento europeo alla Commissione rispetto ai requisiti minimi per la progettazione di questa politica nel prossimo periodo di programmazione. L’obiettivo della politica di coesione è ridurre le disparità nel livello di sviluppo delle regioni europee, e di incrementare le possibilità di raggiungere una coesione economica, sociale e territoriale. La politica di coesione, espressione della solidarietà europea, svolge un ruolo estremamente importante nel programma Europa 2020. La sua efficace attuazione è cruciale per l’ulteriore modernizzazione e per garantire una crescita economica e la creazione di posti di lavoro stabili e duraturi. Il suo scopo è anche quello di aumentare la competitività e migliorare la qualità della vita dei cittadini europei. Sono sicuramente favorevole all’idea di respingere tutti i tentativi di rinazionalizzare la politica di coesione o di dividerla per settori, portando così a una dispersione delle sue risorse. Si dovrebbe prestare attenzione alla necessità di una governance multilivello, e della rilevanza della cooperazione con le regioni, affinché la politica di coesione risulti il più possibile accessibile ai suoi destinatari, e per la necessità di un migliore coordinamento dello sviluppo rurale con gli obiettivi di sviluppo della politica di coesione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Lo scopo della politica di coesione regionale è garantire le migliori possibili condizioni di benessere per le popolazioni che le abitano. Al fine di valutare in modo utile queste politiche e migliorare la presa di decisioni relativa alla distribuzione dei fondi europei, l’Unione europea deve disporre di indicatori sociali e ambientali in aggiunta al PIL. Non è più sufficiente utilizzare la crescita economica quale criterio unico per prendere le decisioni. La politica di coesione è un’espressione di solidarietà tra le regioni europee. La sua gestione decentrata rappresenta il modo più efficiente di rispondere alle circostanze specifiche e ai requisiti e conferisce, in quanto tale, un valore aggiunto cruciale alle politiche nazionali per l’occupazione. Ecco perché siamo fermamente contrari a qualunque piano per la rinazionalizzazione della gestione del Fondo sociale europeo. La rinazionalizzazione non dovrebbe essere l’unica alternativa per dare a questo fondo maggiore peso e visibilità.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − È importante l'obiettivo di coesione economica, sociale e territoriale fra i livelli di sviluppo delle regioni dell'Unione. Bisogna creare un contesto favorevole adottando una strategia 2020 per una crescita economica e stabile e per la creazione di posti di lavoro. La risoluzione chiede anche di coordinare lo sviluppo rurale con obiettivi di sviluppo della politica di coesione lasciando alle regioni l'adozione di misure rispondenti alle necessità territoriali. Purtroppo in Europa dopo la crisi, molte aree rurali sono diventate ancora più marginali e conseguentemente abbandonate dalle popolazioni. Tale situazione comporta un degrado del territorio che si riflette negativamente sul dissesto idrogeologico. L'UE deve dare alle Regioni la possibilità di intervenire con contributi mirati al fine di favorire il ripopolamento di zone in declino demografico, solo così potremmo garantire nuovi posti di lavoro e un miglioramento dell'assetto del territorio
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) La politica di coesione è il grande pilastro della solidarietà europea. E’ attraverso questa politica che possiamo raggiungere l’obiettivo della riduzione delle disparità regionali e stimolare uno sviluppo armonioso in tutta l’Unione europea. Si deve stabilire un quadro per il prossimo periodo 2014-2020 che possa evidenziare l’efficacia della politica regionale. Bisogna incoraggiare una governance multilivello, con il maggior coinvolgimento di enti regionali e locali nel processo legislativo, così come richiesto dal nuovo trattato di Lisbona, e il rispetto del principio di sussidiarietà, poiché le decisioni debbono essere prese al livello più prossimo ai cittadini. Le circostanze speciali delle regioni più periferiche, come Madeira, il mio luogo di nascita, non debbono essere dimenticate. Questo insieme di regioni europee si confronta con delle sfide estremamente particolari nel settore dello sviluppo, e deve continuare a beneficiare in futuro dei provvedimenti speciali per l’attuazione delle politiche europee. Sarebbe, inoltre, auspicabile che si applicassero ulteriori indicatori in aggiunta al prodotto interno lordo, il quale deve continuare a costituire il criterio principale per determinare l’idoneità per l’assegnazione di finanziamenti provenienti dalle politiche regionali. Tali indicatori devono tenere conto gli attributi specifici delle regioni, in modo da fornire un quadro più completo della realtà di ogni regione.
Dominique Vlasto (PPE), per iscritto. – (FR) Sono lieto dell’adozione di questa risoluzione che stabilisce le linee guida del Fondo europeo di sviluppo regionale per il periodo di programmazione 2014-2020. Credo che richiamando l’attenzione sulla dimensione regionale di questo fondo ribadiamo la necessità di tenere conto delle caratteristiche peculiari delle regioni nell’attuazione della loro politica regionale. Tuttavia, è essenziale che le autorità che le gestiscono tengano conto dell’effettiva situazione nelle regioni e stabiliscano degli ambiti politici per il Fondo europeo di sviluppo regionale che davvero soddisfino le esigenze delle comunità e degli operatori economici a livello locale. Bisogna riconoscere che la gestione del Fondo europeo di sviluppo regionale è caratterizzata da gravi disparità nelle nostre gestioni, ed è per questo che chiedo che gli standard in questo ambito vengano armonizzati a livello europeo. E’ ugualmente importante offrire maggiori opportunità per modificare nel medio termine gli ambiti politici in base alle condizioni socioeconomiche e alle evoluzioni che si verificano nelle regioni, affinché i fondi europei di sviluppo regionale possano fornire un effettivo valore aggiunto in tutto il periodo della programmazione. A mio parere il Fondo europeo di sviluppo regionale rappresenta un ottimo catalizzatore per la crescita, l’occupazione e la coesione territoriale, e deve diventare un importante strumento di sviluppo per sostenere in modo efficace i progetti di sviluppo strutturale a beneficio del pubblico e delle nostre regioni.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Questa relazione richiede un regime di transizione post 2013 semplice, equo e trasparente. Una delle principali sfide per le politiche di coesione e regionali sono stati i cambiamenti climatici, i quali avranno, in modi diversi, un impatto considerevole sulle regioni dell’Austria, perché i settori che saranno più colpiti comprenderanno il turismo, l’agricoltura e le foreste. Come indicato nella proposta di risoluzione, le risorse limitate devono essere concentrate su alcune priorità chiave, e si debbono individuare delle soluzioni comuni a problemi comuni.
Proposta di risoluzione: Futuro del Fondo sociale europeo (B7-0535/2010)
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) L’articolo 9 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea sancisce che: «Nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana». Ritengo dunque fondamentale aumentare l’efficacia e la visibilità del Fondo sociale europeo (FSE), ovvero della dimensione sociale delle politiche regionali dell’Unione europea. I 10 miliardi di euro investiti su base annuale nell’Europa sociale (apprendimento permanente, inclusione sociale, adattamento dei lavoratori, eccetera) devono essere utilizzati conformemente agli obiettivi della strategia Europa 2020 e devono apportare progressi reali. È necessario che il FSE rimanga parte integrante delle politiche regionali europee, evitando complicazioni causate da maggiori differenze tra i fondi. Ho votato a favore del presente testo perché espone i problemi in modo chiaro, lanciando un forte appello alla Commissione: il FSE deve diventare uno strumento fondamentale per le politiche europee.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) La presente risoluzione mi trova favorevole. Una crescita economica sostenibile e una politica per la creazione di posti di lavoro sono fondamentali in Europa. L’attuazione di queste politiche dovrebbe essere sostenuta da riforme nell’ambito dell’istruzione, della formazione professionale e di programmi di formazione e riqualificazione, al fine di adeguarle alle necessità del mercato del lavoro; inoltre dovrebbe ricevere il sostegno delle piccole e medie imprese. È molto importante che gli strumenti previsti operino in modo coordinato e sinergico, raggiungendo i migliori risultati. A livello europeo, il FSE svolge un ruolo fondamentale per il miglioramento delle condizioni occupazionali e lavorative e per una maggiore integrazione dei lavoratori nel mercato del lavoro. Il solo sostegno dei fondi strutturali è però insufficiente: per un sistema di finanziamento dei programmi sociali efficace ed efficiente, gli aiuti dei fondi strutturali dovranno essere combinati con altri programmi esistenti, come lo strumento europeo Progress di microfinanziamento, che permette l’accesso ai microcrediti da parte delle piccole imprese e sostiene l’avviamento di nuove imprese, o altri strumenti.
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Il Fondo sociale europeo è uno strumento fondamentale per dare impulso alla coesione economica e sociale negli Stati membri dell’Unione europea. Il massimo sostegno economico derivante dal fondo rafforzerebbe la sensazione di solidarietà tra i cittadini europei, in particolare nei nuovi Stati membri. Tra il 2007 e il 2013 l’Unione europea ha allocato circa 3,5 miliardi di euro alla Romania grazie al Fondo sociale europeo. I programmi operativi si concentrano su due aree: lo sviluppo delle risorse umane e il miglioramento dei servizi pubblici e delle infrastrutture politiche, tramite il programma “Sviluppo delle capacità amministrative”. In quest’ambito, il potenziale dei fondi strutturali deve essere rafforzato tramite la semplificazione e il miglioramento delle relative procedure. L’obiettivo principale è aiutare gli Stati membri a creare le migliori opportunità lavorative e favorire la partecipazione attiva dei cittadini alla società. Il Fondo sociale europeo dovrà svolgere in futuro un ruolo importante a sostegno della strategia Europa 2020; a tal fine si renderanno necessarie misure sia a livello europeo che nazionale.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Il futuro del Fondo Sociale Europeo dipenderà evidentemente non solo dall´approccio con cui i decisori europei affronteranno il futuro del continente, ma anche dal modo in cui avranno saputo fare tesoro dell´esperienza del passato. Un passato che ci dice oggi più chiaramente che mai che il modello finora attuato dalle istituzioni comunitarie in campo di occupazione, formazione e lavoro é un modello ormai non più adeguato alle esigenze del sistema economico odierno. La stessa strategia UE 2020, e con essa il suo principale strumento, il Fondo Sociale, dovranno tenere conto del fatto che le uniche politiche occupazionali e formative che possono rendere duraturi gli effetti dell´erogazione dei fondi europei sono quelle politiche che necessariamente mirano a soddisfare le esigenze dei territori e a rafforzare e sostenere la piccola e media impresa come perno del sistema economico europeo. Nel Fondo Sociale, in futuro, come nel complesso della strategia UE2020, l´attenzione dovrà spostarsi ben più di quanto fatto finora sulla dimensione locale e sull´orizzonte delle realtà produttive che compongono il 99% del tessuto economico europeo. Con l´aspettativa di un cambiamento della prospettiva comunitaria in queste materie di così vitale importanza, voto a favore della risoluzione.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della proposta presentata dalla commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento, poiché è necessario rafforzare il Fondo sociale europeo (FSE) e aumentarne l’efficacia, in particolare durante la crisi economica e sociale: il presente fondo è infatti uno dei principali strumenti finanziari contro la povertà e l’esclusione sociale. È inoltre importante migliorare le procedure finanziarie del fondo rendendole più semplici ed efficaci affinché gli Stati membri possano investire in competenze, occupazione e attività di formazione e riqualificazione professionale, allo scopo di creare nuovi e migliori posti di lavoro. Desidero altresì ribadire che la Commissione deve distribuire gli stanziamenti per il FSE in modo mirato, perché solo in tal modo questo strumento aiuterà i cittadini a trovare un’occupazione, a trovare posti di lavoro migliori, a combattere la povertà, evitare l’esclusone sociale e condurre una vita piena. Inoltre, solo un FSE più efficace e forte permetterà l’attuazione degli obiettivi della strategia Europa 2020 in materia di occupazione e affari sociali, contribuendo alla riduzione della disoccupazione e della povertà in Europa.
Zuzana Brzobohatá (S&D), per iscritto. – (CS) Ho votato a favore della risoluzione sul futuro del Fondo sociale europeo per diversi motivi. Innanzitutto, apprezzo che il Parlamento europeo riconosca nel presente testo che i fondi strutturali rimangono strumenti fondamentali di finanziamento per le politiche sociali. Allo stesso tempo, concordo con la richiesta rivolta alla Commissione in merito alla necessità di interconnessione con altri programmi e sostengo l’integrazione del fondo con programmi quadro pluriennali quali Daphne, Progress, il programma di sanità pubblica e il programma “Europa per i cittadini”. Non meno importante è l’appello della Commissione al sostegno del potenziale dei fondi strutturali, semplificandone e migliorandone approcci e flessibilità, ponendo enfasi sulla dimensione dell’integrazione sociale, al fine di aiutare gli Stati membri a ottimizzare i risultati della politica sociale e occupazionale e a raggiungere una crescita sostenibile. Infine, ho votato a favore della presente proposta del Parlamento europeo perché sottolinea che la politica regionale e la politica sociale dell’Unione europea costituiscono un insieme inscindibile; per il successo della strategia Europa 2020, è necessario fornire un chiaro quadro di riferimento per la coesione di tutte le politiche europee e dei fondi strutturali, obiettivo che la risoluzione esorta la Commissione a perseguire.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) Il FSE svolge un ruolo di fondamentale importanza nella coesione sociale, favorendo l’inserimento dei lavoratori nelle regioni europee. Costituisce un beneficio per piccole e medie imprese, istruzione e formazione professionale, contribuendo in modo essenziale al successo della strategia Europa 2020. Il ruolo di questo fondo potrebbe però essere ulteriormente rafforzato e la sua architettura futura, per il 2014-2020, dovrà tenere in considerazione le sue peculiarità. Si potrebbero apportare alcune modifiche, ma è importante che il Fondo sociale europeo continui a rientrare nell’ambito di regolamenti generali sui fondi strutturali, come avviene oggi. La creazione di un quadro giuridico specifico per il fondo frammenterebbe certamente le politiche europee, creando inutili complicazioni per i beneficiari. La coerenza politica europea deve andare di pari passo con una visione integrata degli obiettivi e delle risorse e richiede maggiore sinergia tra gli strumenti. Il FSE dovrebbe dunque continuare a rientrare nel regolamento sulle disposizioni generali in materia di fondi, con le proprie regole, certamente, ma non con un proprio bilancio.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Il Fondo sociale europeo svolge un ruolo fondamentale nel miglioramento delle opportunità di carriera e professionali, promuovendo l’adeguamento delle competenze dei lavoratori alle esigenze del mercato e integrandoli nel mercato stesso, rafforzando al contempo l’inclusione sociale. È importante che gli Stati membri utilizzino il FSE per investire in competenze, occupazione e attività di formazione e riqualificazione professionale, allo scopo di creare nuovi e migliori posti di lavoro.
Gli obiettivi della strategia Europa 2020 possono essere raggiunti utilizzando questo strumento a sostegno delle piccole e medie imprese (PMI), adeguando i sistemi di istruzione e di formazione professionale alle necessità delle PMI. È necessario accordare grande importanza all’ammodernamento dei sistemi di istruzione e di formazione professionale, al lavoro dignitoso, inclusa la lotta al lavoro precario e non dichiarato, alla parità di genere, alla creazione di condizioni che permettano di conciliare vita professionale e vita privata, nonché a garantire che le persone attualmente escluse dal mercato del lavoro vi possano accedere.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Mi sono astenuto dalla votazione relativa alla presente proposta perché, nonostante faccia appello alla riforma e al rafforzamento del FSE, mette il fondo al servizio della strategia Europa 2020. Tutti sappiamo che il Fondo sociale europeo è stato ideato “per ridurre le differenze nella qualità di vita e nella prosperità esistenti fra regioni europee e fra Stati membri, e serve dunque a incentivare la coesione sociale ed economica”. Oggi, tuttavia, la crisi economica spinge l’Unione europea in una situazione di recessione e di disoccupazione più profonda, porta alla chiusura di società e di aziende, alla povertà e all’esclusione sociale: sebbene il 2010 sia stato dichiarato dall’Unione europea anno per la lotta contro la povertà, un grande punto interrogativo aleggia su tale obiettivo. Le priorità di tutti i fondi europei, tra cui il FSE, devono essere riviste a beneficio dei cittadini e delle aziende europee, non al servizio della strategia Europa 2020, erede di una strategia di Lisbona mal riuscita. Alcuni punti della relazione, come l’adeguamento dei sistemi di istruzione e formazione professionale alle esigenze delle imprese, fanno chiaramente gli interessi del mercato e non quelli dei cittadini europei.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Considerando che i fondi strutturali continuano a essere i principali strumenti di finanziamento per il raggiungimento di obiettivi sociali, credo che la coesione economica, sociale e territoriale debba essere consolidata tramite una maggiore occupabilità e più opportunità di lavoro, migliorando l’occupazione e creando nuovi e migliori posti di lavoro.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della presente proposta perché ritengo che il Fondo sociale europeo debba essere il principale strumento finanziario per il raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. È fondamentale che gli Stati membri usino questo fondo per investire in attività di formazione e di riqualificazione professionale, con l’obiettivo di aumentare le competenze dei cittadini e di creare nuovi e migliori posti di lavoro.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) In vista dell’attuale situazione lavorativa in Europa, con tassi di disoccupazione a livelli record in molti Stati membri, credo che gli obiettivi della strategia Europa 2020 possano essere raggiunti utilizzando il Fondo sociale europeo (FSE) a sostegno delle piccole e medie imprese (PMI), per adeguare il sistema di istruzione e formazione professionale alle loro esigenze e per migliorare l’occupabilità dei cittadini. Il successo della strategia Europa 2020 dipende dalla competitività delle aziende e industrie europee e dalla dinamica economica dopo la crisi. Per raggiungere tali obiettivi dobbiamo concentrarci sulla vitalità e sul dinamismo delle imprese (soprattutto delle PMI e delle aziende operanti in settori tecnologici e scientifici) e su una formazione appropriata dei cittadini. Dal mio punto di vista, il FSE dovrebbe servire al raggiungimento di questi obiettivi: sostengo pertanto l’enfasi posta dalla presente risoluzione sull’importanza della formazione e dell’istruzione come strumenti per combattere povertà, disoccupazione ed esclusione sociale, creando benessere e dando impulso alla competitività.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) A causa degli effetti dell’attuale crisi economica e sociale, la lotta contro la disoccupazione e l’esclusione sociale gode dell’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni europee. In questo contesto, il FSE è doppiamente importante per il raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. Oggi si pone particolare enfasi sulla formazione e sulle abilità professionali per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, e per l’innovazione e il dinamismo delle piccole e medie imprese (PMI). Si mira alla promozione di nuovi e migliori posti di lavoro, al fine di eliminare la povertà e l’esclusone sociale. Desidero pertanto sottolineare l’importanza e l’urgenza di rendere il FSE più flessibile e semplice, come gli altri fondi strutturali, per rispondere più efficacemente alla nuova realtà europea e ai nuovi problemi sociali.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Riteniamo che il Fondo sociale europeo (FSE) debba sostenere le misure adottate dagli Stati membri per incoraggiare l’occupazione, promuovere la qualità del lavoro in tutti i suoi aspetti (formazione, condizioni di lavoro, rapporti contrattuali, orario e organizzazione del lavoro) e favorire la riduzione delle disuguaglianze e delle disparità nella distribuzione del reddito.
Il rafforzamento del FSE potrebbe contribuire al raggiungimento degli obiettivi di inclusione sociale, di lotta contro la povertà e l’esclusione sociale e di istruzione e formazione, contribuendo altresì alla coesione sociale ed economica.
La proposta adottata oggi dal Parlamento pone l’enfasi su alcune di queste misure e sulle questioni su cui il FSE dovrebbe concentrarsi, attirando l’attenzione sulla necessità di “proseguire gli sforzi per raggiungere la coesione sociale”. Il FSE non è però sufficiente: dobbiamo modificare le politiche, eliminare il patto di stabilità e crescita e sostituirlo con un programma reale per il progresso e lo sviluppo sociale.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) Sin dalla sua adesione all’Unione nel 1973, l’Irlanda ha ricevuto un aiuto finanziario di oltre 7 miliardi di euro dal Fondo sociale europeo. Questi fondi sono stati utilizzati prevalentemente per combattere la disoccupazione di lungo periodo e quella giovanile. Nell’ambito del programma operativo per le risorse umane per l’Irlanda 2007-2014, l’Unione europea sta destinando al nostro paese 375 milioni di euro tramite il FSE. Per questo programma è stato approvato un bilancio totale di 1,36 miliardi di euro, utilizzati per corsi di formazione per disoccupati, disabili, giovani che abbandonano la scuola, e per chi vive ai margini della società. Questa è l’epoca della globalizzazione. Affinché i lavoratori irlandesi possano far fronte alle sfide e alle opportunità della globalizzazione, il Fondo sociale europeo sostiene anche programmi per l’apprendimento permanente, adattabili alle diverse realtà di un mercato del lavoro globalizzato.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione sul futuro del Fondo sociale europeo perché tale fondo è fondamentale per la coesione sociale, in quanto sostiene l’occupazione, l’inserimento dei cittadini nel mercato del lavoro e la formazione professionale. Nel presente testo abbiamo espresso chiaramente la nostra opposizione alla proposta della Commissione europea di separare il FSE dagli altri fondi. Si deve fare esattamente il contrario: tale fondo dovrebbe essere strettamente correlato agli altri, in particolare agli strumenti di politica regionale, per aumentarne l’efficacia. Abbiamo espresso il nostro sostegno per un FSE più forte, semplice e trasparente, che continui a essere un potente catalizzatore per la costruzione di un’Europa sociale; tale fondo deve essere interamente impiegato nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale e deve soddisfare gli obiettivi dell’UE in materia.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) Il Fondo sociale europeo (FSE) è lo strumento di bilancio più importante per favorire l’integrazione sociale e l’inserimento nel mercato del lavoro. La presente proposta, tuttavia, si concentra troppo sul ruolo del FSE a sostegno dell’occupazione e non considera sufficientemente il suo ruolo fondamentale per l’inclusione dei gruppi vulnerabili, sostenuti sempre con impegno dal nostro gruppo: è fondamentale concentrare il sostegno del FSE sui gruppi più vulnerabili, le prime vittime della crisi economica.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La presente relazione sostiene di difendere il lavoro dignitoso e di combattere quello precario; ma una cosa è affermarlo, ben altro è trovare le risorse per poterlo fare. La strategia Europa 2020 percorre la direzione opposta rispetto a questa dichiarazione. Quale impatto avrà realmente questa discussione? Nessuno. Perché elencare i problemi posti dai poveri e non dire mai nulla di quelli causati dai ricchi? Ritengo che il presente testo sia ipocrita.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il Fondo sociale europeo (FSE) costituisce lo strumento per eccellenza per la creazione di nuovi posti di lavoro e di opportunità lavorative, per la promozione e l’adeguamento delle competenze dei lavoratori alle esigenze del mercato del lavoro e per l’integrazione dei lavoratori in tale mercato, rafforzando allo stesso tempo l’inclusione sociale. È dunque necessario che l’Unione europea raggiunga gli obiettivi stabiliti nella strategia Europa 2020 in materia di affari sociali e occupazione. Il rafforzamento di questo strumento importante è fondamentale per far sì che la strategia dia i suoi frutti, con il sostegno delle piccole e medie imprese (PMI): il motore alla base dell’economia, dello sviluppo economico, tecnologico e della creazione di nuovi posti di lavoro.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) In Lettonia, il Fondo sociale europeo è diventato oggetto di speculazione politica ed economica. Alcuni funzionari disonesti si stanno arricchendo grazie ai fondi destinati alla formazione e alla riqualificazione. Centri appena aperti e altre istituzioni senza licenza stanno “riciclando” i fondi destinati alla formazione dei disoccupati e di altre categorie a basso reddito e le qualifiche dei formatori spesso non soddisfano gli standard stabiliti. Le tasse di alcuni “centri di formazione” sono più elevate di quelle universitarie e il Fondo sociale europeo deve pagare il prezzo di questa negligenza. Ho votato a favore della presente risoluzione e concordo in particolar modo con il paragrafo 15, in cui il Parlamento europeo “invita la Commissione a rafforzare il potenziale dei Fondi strutturali attraverso la semplificazione, la flessibilità e il miglioramento delle procedure […] allo scopo di aiutare gli Stati membri a ottimizzare i risultati delle politiche sociali e per l'occupazione e a generare una crescita sostenibile”. Ho espresso un voto positivo nella speranza che venga creato un meccanismo di monitoraggio volto a punire con rigore i funzionari disonesti.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Stiamo cercando di ridurre le differenze economiche e sociali tra gli Stati membri tramite il Fondo sociale europeo. In tal senso, iniziare con misure per la qualificazione professionale è molto più lungimirante nell’interesse della sicurezza del posto di lavoro e del collocamento dei lavoratori europei. Dobbiamo sfruttare appieno il potenziale di cui disponiamo, affinché il settore del commercio e dell’industria non importi specialisti stranieri a basso costo con il pretesto di una penuria di lavoratori competenti. In questo ambito, le diverse ipotesi considerate dovrebbero essere respinte. Se, tuttavia, la rendicontazione e l’esecuzione di progetti causano problemi in molte regioni e se il programma di formazione francese PPP, per esempio, è in attesa dei pagamenti da tre anni a causa di un cambio di competenze a Bruxelles, il fondo sta fallendo. In ogni caso, dobbiamo ribadire la necessità di prestare più attenzione alle piccole medie imprese, i veri datori di lavoro. Poiché la presente proposta è conforme alle considerazioni espresse ma è carente in alcuni punti, mi sono astenuto dal voto.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. − Si é votato, oggi, in Plenaria una proposta di risoluzione sul futuro del Fondo sociale europeo. Il Fondo Sociale Europeo, come é noto, svolge un ruolo chiave a sostegno della strategia di Europa 2020, il cui principale obiettivo è quello di raggiungere una crescita inclusiva, una riduzione della povertà, un aumento dell'occupazione e un innalzamento dei livelli d'istruzione al fine ultimo di creare nuovi e migliori posti di lavoro. Concepito sotto questa luce si comprende la precipua importanza del fondo come strumento politico e la sua duplice valenza, da una parte, a sostegno sia delle politiche per l’occupazione che di quelle di coesione e dall'altra al concreto ed armonico sviluppo dei territori. Questo ultimo aspetto- e concludo- é di particolare importanza in quanto l'Europa non può dirsi realmente realizzata, coesa e unita se tutte le comunità che la compongano non siano realmente sviluppate ed abbiano raggiunto un livello di crescita stabile e il più possibile uniforme. In particolare non bisogna dimenticarsi delle regioni del Sud d'Europa, la mobilitazione finanziaria verso le regioni dell'Est Europa, giusta e legittima, non può essere compiuta a scapito di quelle regioni che sono il cuore e l'anima dell'Europa.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Abbiamo votato a favore della presente proposta in cui si ribadisce che il Fondo sociale europeo (FSE) svolge un ruolo chiave per migliorare l'occupazione e le opportunità di lavoro, favorire l’adeguamento delle qualifiche dei lavoratori alle esigenze del mercato del lavoro e la loro integrazione in tale mercato, nonché per rafforzare l'inclusione sociale. Il testo richiama l'attenzione sui quattro orientamenti in materia di occupazione adottati dal Parlamento europeo e si compiace del fatto che gli obiettivi includono la promozione dell'occupazione e la lotta alla povertà nel contesto dell'inserimento o del reinserimento nella vita lavorativa attraverso la formazione. Si sottolinea anche che è essenziale compiere sostanziali progressi verso il conseguimento delle finalità e degli obiettivi della strategia Europa 2020, in particolare nel settore dell'occupazione e degli affari sociali, al fine di garantire la credibilità della strategia.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − La Risoluzione é estremamente importante in quanto pone attenzione sul ruolo chiave per migliorare l'occupazione e la qualità del lavoro che ha il Fondo Sociale europeo. Si ritiene di dare una grande importanza ai sistemi d'istruzione e di formazione professionale, al lavoro dignitoso, alla parità tra uomo e donna e all'inclusione nel mondo del lavoro di coloro che oggi hanno difficoltà ad accedervi. Purtroppo la crisi ha portato ad una maggior difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani e perdita del lavoro per gli anziani. È importante rafforzare il potenziale dei fondi strutturali al fine di sostenere coloro che possono essere esclusi, ottimizzando i risultati delle politiche sociali e generando una crescita sostenibile a vantaggio di tutti.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Gli obiettivi del Fondo sociale europeo (FSE) sono: promuovere le opportunità di occupazione, la mobilità geografica e lavorativa per i cittadini dell’Unione europea, facilitare il cambiamento industriale e le innovazioni nei sistemi produttivi. A tal fine, la formazione professionale e la riqualificazione sono fondamentali, in particolare in un periodo di crisi economica e di disoccupazione crescente come quello attuale. Il FSE ha come obiettivo il miglioramento delle opportunità lavorative e delle condizioni di vita dei lavoratori; si tratta dunque di uno strumento molto importante. La creazione di posti di lavoro e la promozione dell’occupabilità costituiscono uno strumento per raggiungere l’obiettivo di coesione economica, sociale e territoriale all’interno dell’Unione. Al fine di raggiungere gli obiettivi di crescita e di occupazione della strategia Europa 2020 si dovrebbero incoraggiare le sinergie tra le diverse politiche dell’Unione europea. Non concordo però sulla trasformazione del FSE in uno strumento finanziario separato dagli altri fondi strutturali, con le proprie norme e il proprio bilancio. Sarà più semplice ottenere sinergie senza la frammentazione dei fondi europei, concentrandosi su un migliore coordinamento tra i diversi strumenti e su una maggiore efficienza nel loro utilizzo.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) Come parte integrante del dibattito sul futuro della politica di coesione dopo il 2013, la presente risoluzione sancisce l’impegno del Parlamento europeo affinché il FSE rientri ancora nella strategia generale per il fondo di coesione. C’è però necessità di maggiore flessibilità e semplificazione delle regole relative al fondo, che può essere lo strumento principale per l’applicazione della strategia Europa 2020, concentrandosi sulle competenze e sui posti di lavoro in tutta l’Unione europea. Per il raggiungimento di tale obiettivo dobbiamo garantire che il FSE continui a far parte della politica di coesione.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo ha votato per una risoluzione sul futuro del FSE.
In un momento in cui il FSE viene messo in discussione, in particolare dal Presidente della Commissione, che vorrebbe inserirlo in un fondo più ampio con obiettivi diluiti, il Palamento europeo sostiene il FSE in modo significativo.
La risoluzione sostiene il ruolo del FSE nella politica regionale e sociale dell’Unione e chiede una semplificazione delle procedure per lo stanziamento dei fondi. Certamente le procedure fortemente restrittive non facilitano una distribuzione dei fondi realmente adeguata alle necessità della popolazione e portano a un mancato utilizzo dei crediti, in particolare in Francia: uno scandalo.
Mi rammarico per il fatto che la risoluzione riprenda il dogma dell’ammodernamento dei sistemi educativi e ne chieda l’adattamento alle sole esigenze delle aziende, per migliorare l’accesso al mercato del lavoro.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Il Fondo sociale europeo svolge un ruolo fondamentale per il miglioramento della situazione lavorativa e della creazione di posti di lavoro. Sostengo le priorità contenute nella proposta di risoluzione: l’ammodernamento dei sistemi di istruzione (includendo la formazione adeguata alle necessità delle PMI), la promozione di un lavoro dignitoso e, naturalmente, la parità di genere, creando condizioni adeguate per la conciliazione della sfera lavorativa e privata. È importante attuare tutti gli sforzi possibili per garantire che le politiche e gli strumenti dell’Unione europea operino in modo coordinato e sinergico (paragrafo 13 della relazione).
Presidente. – Il processo verbale della presente seduta sarà distribuito per approvazione al Parlamento europeo all’inizio della prossima tornata.
Se non ci sono obiezioni, le risoluzioni adottate nella seduta odierna saranno inoltrate immediatamente ai destinatari e agli organi in esse nominati.