Presidente. – Per esordire vorrei brevemente informarvi in merito a quattro questioni. È con estrema soddisfazione che ho appreso il conferimento del Premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo, sostenitore dei diritti umani ancora in carcere a causa della sua attività pacifica a favore della libertà di espressione in Cina. Accogliamo con favore il recente impegno profuso dalle autorità cinesi per conseguire gli standard politici, economici e sociali adottati dal mondo libero. Gli sforzi compiuti, tuttavia, non bastano ancora e abbiamo quindi aumentato gli appelli per ottenere l’ordine di scarcerazione di Liu Xiaobo, di Hu Jia, il vincitore del Premio Sacharov e degli altri difensori dei diritti umani. Il Parlamento europeo servirà da guardiano permanente per la difesa dei diritti umani.
In secondo luogo, questa settimana, il Parlamento europeo sta organizzando vari eventi legati alla Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà celebrata ieri e molti di noi indossano il relativo badge. Oltre alle discussioni in plenaria in materia, vorrei invitarvi a prendere parte alla cerimonia presso il Bronisław Geremek Agora, che avrà luogo domani alle 14.45 e alla quale parteciperà il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon.
In terzo luogo, oggi per la quarta volta si celebra la Giornata europea contro la tratta di esseri umani. Consideriamo molto seriamente questo problema e attualmente stiamo negoziando una proposta di direttiva per prevenire e combattere la tratta di esseri umani.
In quarto luogo, vorrei invitarvi ad ascoltare la valutazione intermedia della mia Presidenza al Parlamento europeo mercoledì alle 12.00, nella quale sintetizzerò i progressi compiuti dal Parlamento europeo e in special modo i risultati da voi ottenuti in questo periodo, nonché le iniziative da me personalmente adottate, il contesto in cui ci troviamo e dove ci collochiamo in una Unione europea mutata, come appare il Parlamento europeo e la cooperazione con le altre istituzioni. Ritengo che abbiate il diritto di ricevere queste informazioni a metà del mio mandato.
4. Firma di atti adottati in codecisione: vedasi processo verbale
Presidente. – La versione definitiva del progetto di ordine del giorno, elaborata dalla Conferenza dei Presidenti il 14 ottobre 2010 ai sensi degli articoli 130 e 131 del regolamento, è stata distribuita. Sono stati proposti i seguenti emendamenti:
Per quanto riguarda lunedì:
Nessuna modifica.
Per quanto riguarda martedì:
Nessuna modifica.
Per quanto riguarda mercoledì:
Comunico di aver ricevuto una richiesta dal gruppo Verde/Alleanza libera europea intesa a posticipare la votazione del calendario delle tornate 2012 ad una delle prossime tornate del Parlamento. Vogliono votare, ma desiderano farlo in seguito. Questa proposta sarà avanzata da un rappresentante del gruppo Verts/ALE. Qualcuno vuole intervenire?
Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, mi scuso, ma stavo ricevendo notizie sulla situazione in Belgio e non ho quindi capito appieno.
Se ho inteso correttamente, si tratta della votazione del calendario 2012. Signor Presidente, nel nostro gruppo, così come in altri, le discussioni stanno procedendo in merito al calendario, ripeto, del 2012.
Poiché non si tratta di un testo legislativo, non si tiene una discussione e non vi sono emendamenti. Votiamo semplicemente il calendario. Chiediamo di posticipare di una tornata la votazione, che si terrà pertanto il prossimo mese a Strasburgo, allo scopo di prendere contatto con gli altri gruppi e valutare se siano possibili eventuali tentativi per riformare il calendario.
Francesco Enrico Speroni, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, è la prima volta che questo Parlamento si appresta a votare un calendario così in anticipo sui tempi. Non si tratta tuttavia di un fatto così particolare, perché in effetti il calendario rispecchia quello che abbiamo sempre fatto; non ci sono variazioni particolari.
Contrariamente a quanto affermato dal collega Cohn-Bendit, esiste la possibilità di presentare emendamenti, anzi – a quanto risulta dalla posta elettronica – alcuni colleghi intendono farlo. Non vedo il motivo per rinviare la votazione, dal momento che, se è vero che il calendario entrerà in vigore nel 2012, abbiamo sempre il potere e la possibilità di apportare variazioni qualora si rivelasse necessario.
(Il Parlamento respinge la richiesta)
Per quanto riguarda giovedì
Nessuna modifica.
(L’ordine dei lavori è fissato)
12. Calendario delle tornate: vedasi processo verbale
13. Miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento - Lavoratrici precarie (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni:
- la relazione (A7-0032/2010), presentata dall’onorevole Estrela, a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 92/85/CEE concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento [COM(2008)0637 - C6-0340/2008 - 2008/0193(COD)] e la relazione (A7-0264/2010), presentata dall’onorevole Thomsen, a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, sulle lavoratrici precarie [2010/2018(INI)].
Edite Estrela, relatore. – (PT) Desidero innanzi tutto ringraziare il relatore ombra e la relatrice per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali per la collaborazione e il lavoro svolto congiuntamente. Vorrei porgere altresì i miei ringraziamenti alle numerose organizzazioni non governative e ai sindacati, agli esperti che hanno preso parte al workshop di presentazione sullo studio dell’impatto finanziario, alla segreteria della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e del mio gruppo politico, al dipartimento tematico del Parlamento europeo e ai miei assistenti. Il loro lavoro è stato instancabile ed hanno dimostrato grande professionalità ed abilità.
Questa direttiva ha già diciotto anni e non è aggiornata. Il riesame è stato lungo e problematico, ma è arrivato il momento che Parlamento risponda alle aspettative e alle necessità delle famiglie europee senza ulteriore indugio.
Le proposte, adottate dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, garantiscono il duplice obiettivo derivante dall’estensione della base giuridica: la difesa della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e la promozione della parità di genere e della conciliazione tra vita professionale e familiare, contribuendo, al contempo, ad arginare il declino demografico degli ultimi decenni.
Cento anni fa la popolazione europea rappresentava il 15 per cento della popolazione mondiale; si stima che nel 2050 questo dato non supererà il 5 per cento. L’invecchiamento e la conseguente diminuzione della popolazione attiva mettono a repentaglio la sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale e della stessa crescita economica. Proprio per questo, la maternità non deve essere percepita come una malattia o un onere per l’economia, ma piuttosto come un servizio fornito alla società.
La durata del congedo di maternità nei 27 Stati membri si colloca tra le 14 e le 52 settimane; il pagamento del congedo è anch’esso molto diverso con una retribuzione pari al 100 per cento in 13 paesi. Comprendo che l’attuale situazione economica non favorisca l’incremento delle spese sociali, ma questo rappresenta un buon investimento nel nostro futuro comune e, al contrario di quanto affermato, non presenta costi molto elevati. Lo studio dell’impatto economico conclude che i costi indicati nella proposta della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere saranno completamente coperti se si raggiungerà un incremento anche solo dell’1 per cento nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Queste proposte sono equilibrate, fattibili e in linea con le raccomandazioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Venti settimane sono un periodo sufficiente per permettere alle donne di riprendersi dal parto, allattare al seno e creare un legame solido con il figlio. Un periodo di congedo più lungo potrebbe ripercuotersi sul loro reinserimento nel mercato del lavoro. Il pagamento del 100 per cento della retribuzione è giusto, in quanto le famiglie non devono essere penalizzate finanziariamente per avere i figli che desiderano e soprattutto i figli di cui ha bisogno l’Europa per affrontare la sfida demografica.
Il diritto al congedo di paternità è già riconosciuto in 19 Stati membri, che prevedono un pagamento pari all’80 o al 100 per cento della retribuzione media. La partecipazione dei padri nella vita dei figli contribuisce al sano sviluppo psicofisico ed emotivo dei bambini ed è un diritto per entrambi.
Nel corso dell’intero processo, ho espresso la mia completa disponibilità in merito ad un consenso più ampio e mi auguro che chi ha a cuore il benessere delle donne, delle famiglie e dei bambini sosterrà la presente relazione. Alla luce degli obiettivi della strategia Europa 2020, non vi sarà alcuna giustificazione per non accordare un congedo di maternità di 20 settimane pienamente retribuito a partire dal 2020. Vi esorto quindi a sostenere gli emendamenti nn. 126, 127 e 128. Per la stessa ragione, non posso quindi appoggiare gli emendamenti che mirano a ridurre in modo scandaloso i diritti delle famiglie.
Britta Thomsen, relatore. – (DA) Signor Presidente, discutiamo oggi delle condizioni di lavoro delle lavoratrici, in quanto uomini e donne sperimentano condizioni diverse nel mercato del lavoro. Le donne sono molto indietro, rispetto agli uomini, in termini di retribuzioni, pensioni, posti manageriali e ruoli dirigenziali. Come mai prima d’ora, si rende necessario l’intervento dell’Unione europea per migliorare la situazione delle donne nel mercato del lavoro al fine di rendere l’Europa conforme al trattato. Dobbiamo garantire la parità nel mercato del lavoro alle donne, siano esse portoghesi, polacche, belghe, bulgare o altro.
Un considerevole e fondamentale passo avanti verso una completa parità è costituito da una nuova e moderna legislazione europea sul congedo di maternità. Esistono diverse buone ragioni per creare una nuova legislazione in Europa sull’argomento: esiste innanzi tutto il rischio che a breve l’Unione europea affronti una crisi demografica, che potrà essere almeno tanto grave quanto la crisi economica che stiamo ancora oggi attraversando. Le donne europee purtroppo non hanno abbastanza figli. Se in futuro vogliamo mantenere la nostra competitività e stimolare la crescita, che è essenziale per salvaguardare il nostro livello di prosperità, deve aumentare il numero di nascite nell’Unione europea. Una legislazione sul congedo di maternità che motivi le famiglie ad avere figli è quindi necessaria.
Uno standard comune elevato per il congedo di maternità è essenziale per un mercato interno efficace. L’obiettivo del mercato interno non deve riguardare soltanto i beni economici, ma deve mirare anche ad assicurare elevati standard sociali per i lavoratori. Non devono esistere condizioni di concorrenza divergenti, che rendano vantaggiosa una riduzioni delle condizioni lavorative delle donne, trasformandole quindi in vittime del dumping sociale.
I padri devono avere diritto ad un congedo di paternità di due settimane pienamente retribuito. Se vogliamo ottenere uguaglianza tra uomini e donne, è necessario comprendere che anche gli uomini, e quindi il congedo di paternità, rivestono un ruolo importante. Questo avrà un effetto positivo sull’uguaglianza, sui bambini e sui padri stessi.
I lobbisti delle associazioni professionali sostengono che sia una pazzia e che non possiamo permetterci una migliore legislazione sul congedo di maternità. Oserei dire che è esattamente il contrario: non possiamo permetterci di non adottare una nuova e moderna legislazione sul congedo di maternità. È una questione che riguarda la sicurezza e la salute delle donne e dei bambini nell’Unione europea e non è uno scherzo.
Dobbiamo aumentare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro in tutta l’Unione europea, perseguendo l’obiettivo della strategia Europa 2020 di inserire il 75 per cento delle donne sul mercato del lavoro. Questa sarà una delle maggiori sfide poiché, come sappiamo, attualmente solo il 60 per cento delle donne lavora. Dobbiamo però riuscirci e disporre di buone infrastrutture di assistenza ai bambini e la piena retribuzione durante il congedo di maternità sono indubbiamente la via da seguire. Solo se preveniamo la discriminazione contro le donne, riusciremo ad aumentare la loro presenza nel mercato del lavoro.
Un altro passo importante verso una maggiore uguaglianza nel mercato del lavoro è costituito dalla relazione sulle lavoratrici precarie, per la quale sono relatrice. Sfortunatamente, le donne sono sovrarappresentate quando si tratta di questi lavori; in particolare, le donne che lavorano presso privati hanno condizioni di lavoro precarie, caratterizzate, tra le altre cose, da scarsa o nessuna sicurezza del posto di lavoro, dalla mancanza di sicurezza sociale, da un alto rischio di discriminazione e da un ambiente di lavoro difficile. Non possiamo permettere che le donne lavorino in simili condizioni, che ritengo del tutto inadeguate. L’Unione europea deve sostenere gli Stati membri al fine di sostituire i posti di lavoro precari con occupazioni adeguate che offrano condizioni di lavoro dignitose. Per troppo tempo abbiamo trascurato di affrontare la questione delle lavoratrici vulnerabili e mi auguro che la Commissione prenda seriamente in considerazione questo testo e contribuisca a prendersi cura di alcuni cittadini tra i più vulnerabili dell’Unione europea.
Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sono lieto di sostituire la Vicepresidente Reding questa sera, in occasione di una discussione tanto importante, in quanto affronteremo due relazioni quanto mai attuali su questioni che sono al cuore dei diritti fondamentali e dell’uguaglianza di genere. A nome della Commissione, desidero porgere i miei più sentiti ringraziamenti alle due relatrici, gli onorevoli Thomsen ed Estrela, le quali hanno svolto entrambe un eccellente lavoro.
Queste due relazioni si occupano della situazione spesso difficile incontrata dalle donne nel mercato del lavoro dell’Unione europea. Il contributo delle donne è fondamentale per conseguire il nostro ambizioso obiettivo di un tasso generale di occupazione del 75 per cento entro il 2020, ma questo risultato non può essere ottenuto senza garantire i diritti fondamentali delle lavoratrici. Proprio di questo discuteremo stasera.
Vorrei iniziare parlando delle lavoratrici precarie. Abbiamo compiuto considerevoli progressi negli ultimi anni in merito all’integrazione delle donne nel mercato del lavoro, ma, come sappiamo, è più probabile che siano le donne ad occupare posti di lavoro precari rispetto agli uomini. Certe forme di lavoro precario svolto dalle donne, come il lavoro domestico retribuito e l’assistenza, sono invisibili sul mercato del lavoro. Se le donne non occupano posti dignitosi, non potranno ottenere l’indipendenza economica, un requisito fondamentale per controllare la propria vita.
Dobbiamo affrontare le cause alla base della maggiore probabilità delle donne di occupare posti di lavoro precari: stereotipi, la ripartizione ineguale delle responsabilità domestiche e familiari, la sottovalutazione dei posti di lavoro in cui le donne sono sovrarappresentate. Dobbiamo garantire, al contempo, che la sempre maggiore forza lavoro di donne immigrate, spesso sfruttate nell’economia sommersa, sia integrata nel mercato del lavoro. La nostra nuova strategia per la parità di genere si occupa di tutti questi argomenti e dobbiamo mobilitare tutti gli strumenti a nostra disposizione per compiere dei progressi in merito alla sua attuazione.
Mi permetta di aggiungere alcune considerazioni sulla direttiva sulle lavoratrici gestanti.
È chiaro che standard più elevati per il congedo di maternità nell’ambito dell’Unione europea, così come una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, modelli familiari mutevoli e la gestione della pressione demografica sono elementi fondamentali per garantire la sicurezza e la salute di madre e figlio.
I principali punti delle proposte della Commissione comprendono l’estensione di quattro settimane del congedo di maternità per conformarsi alle raccomandazioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro; l’incoraggiamento a concedere un’indennità più elevata; una maggiore flessibilità per le donne, che permetta loro di lavorare fino a poco prima del parto; il diritto di richiedere un orario di lavoro flessibile.
Con questi obiettivi, la Commissione vuole proteggere i diritti delle donne , concedere il tempo sufficiente per riprendersi dal parto e creare un legame con il figlio, nonché garantire la sicurezza finanziaria delle donne durante il congedo di maternità.
Desidero esprimere i miei complimenti all’onorevole Estrela per questa relazione dettagliata, che migliora, sotto molti aspetti, la proposta originaria della Commissione.
La Commissione condivide, innanzi tutto, l’enfasi posta sul ruolo dei padri. Il rafforzamento del congedo parentale, ottenuto attraverso una nuova direttiva adottata all’inizio di quest’anno, costituisce un importante passo avanti. L’introduzione del congedo parentale all’interno della direttiva sulle gestanti non è tuttavia in linea né con l’obiettivo generale che perseguiamo, né con la base giuridica su cui poggia la proposta, ovvero l’articolo 153 riguardante la sicurezza e la salute sul lavoro delle donne gestanti e l’articolo 157, che permette all’Unione europea di intervenire in materia di parità di retribuzione tra uomini e donne.
Desidero evidenziare che la Commissione continuerà a prendere in esame la questione. È attualmente in corso un approfondito studio dei costi e dei benefici in vista di una eventuale iniziativa separata in questo ambito. Al contempo però, la Commissione non può acconsentire ad indebolire il diritto delle donne di rifiutarsi di lavorare di notte.
Per quanto riguarda la durata del congedo e il pagamento delle donne durante questo periodo, vorrei fare una precisazione. La Vicepresidente Reding ha incontrato alcuni ministri negli ultimi mesi, i quali hanno chiarito che i sistemi nazionali in materia di congedo funzionano bene e che non è possibile, alla luce degli attuali vincoli finanziari, aumentare né la durata né la retribuzione. La Commissione ha tuttavia affermato con estrema chiarezza che non è disposta a ridurre le ambizioni di questa proposta.
Desidero infine evidenziare, alla luce di quanto sinora esposto, che la Commissione vuole fissare il livello minimo di protezione, in considerazione dei diversi modelli di riconciliazione e congedo per motivi familiari negli Stati membri. La Commissione ritiene che la sua proposta costituirà una base valida per un accordo tra Consiglio e Parlamento e desidera ringraziare quest’ultimo per avere introdotto una serie di emendamenti che rafforzano o chiariscono le proposte.
In sintesi, la proposta si prefigge di rafforzare la tutela della sicurezza e della salute delle donne, di aumentare le loro prospettive occupazionali e di contribuire ad affrontare l’invecchiamento demografico. Attendo con impazienza i vostri contributi e suggerimenti in merito a queste due importanti questioni.
PRESIDENZA DELL’ON. ANGELILLI Vicepresidente
Rovana Plumb, relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (RO) Signor Commissario, onorevoli colleghi, in qualità di relatrice per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, vi dico che il nostro intento era contribuire, con i miglioramenti apportati in questa relazione, alle politiche che favoriscono il raggiungimento dell’obiettivo sull’aumento del tasso di occupazione e sul miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro.
Quando parliamo di obiettivi della strategia Europa 2020 bisogna pensare alle persone e metterle al primo posto: in questo contesto pensiamo alle donne. In base al nuovo orientamento adottato non si deve più penalizzare la maternità, soprattutto in considerazione del calo della natalità, per non parlare del progressivo invecchiamento e impoverimento della popolazione che creano un urgente problema di sostenibilità dei piani di previdenza sociale.
Tutte le misure che proponiamo proteggeranno le donne sul lavoro, sia in gravidanza sia dopo il parto. Le misure proposte dalla relazione rappresentano inoltre un investimento per il futuro dell’Europa. Vogliamo la garanzia di un congedo di maternità pienamente retribuito. Pensiamo alla necessità di non penalizzare più la maternità nell’Unione europea nel XXI secolo, e di garantire alle donne tutte le condizioni per avere un lavoro decente.
Thomas Händel, relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, indubbiamente negli ultimi anni sono stati compiuti progressi nell’uguaglianza di genere, eppure molte donne sono ancora costrette a svolgere lavori poco qualificati, e non solo per quanto riguarda le tradizionali attività in ambito familiare. La recente deregolamentazione spesso ha portato a un’occupazione dove la previdenza sociale obbligatoria è sostituita da condizioni lavorative atipiche, precarie e incerte. Ne sono state colpite soprattutto le donne. Tra il 2000 e il 2010, in Europa il 60 per cento dell’occupazione è stato rappresentato da lavori nuovi, precari e atipici principalmente – per due terzi – svolti da donne. Esse sono spesso escluse dalla partecipazione democratica nelle aziende per il fatto di essere assunte a tempo parziale e in condizioni di precariato. Eppure, le donne ora si impegnano molto di più e sono molto più preparate rispetto alle scorse generazioni. Ciononostante guadagnano in media il 25 per cento in meno rispetto agli uomini.
La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha esaminato con molta attenzione la questione e sviluppato buone proposte sul tema dell’occupazione femminile: l’inclusione nei sistemi di previdenza sociale a prescindere dalla tipologia di lavoro, la creazione di strutture per l’assistenza all’infanzia, l’allineamento delle pensioni di anzianità e dei sistemi previdenziali a un’organizzazione indipendente della vita, e l’organizzazione del lavoro in base ai principi del “buon lavoro”. Tutto questo, sostanzialmente, è contenuto nella relazione sulle lavoratrici precarie. La nostra commissione è soddisfatta di questi risultati e invita l’Assemblea a votare a favore della relazione presentata.
Anna Záborská, a nome del gruppo PPE. – (SK) Questa relazione rappresenta già il secondo tentativo di formulare la posizione del Parlamento sui criteri minimi di tutela delle madri nell’Unione europea.
Quasi tutte le 27 delegazioni dei sette gruppi hanno pareri divergenti; lo stesso dicasi per il gruppo Democratico cristiano cui appartengo. Ad oggi molti europarlamentari hanno riconosciuto le conseguenze del nostro voto sulle economie nazionali poiché il suddetto studio ha considerato solo 10 Stati membri. Lavoro in politica da 20 anni e raramente ho visto una situazione così complessa. La vita inizia nel corpo della madre, ed è per questo che dobbiamo proteggerne la salute prima e dopo il parto. La tutela della madre, considerata una spesa sociale, non deve diventare un ostacolo alla sua occupazione. La madre non deve entrare in conflitto con la donna lavoratrice. Se raccomandiamo alle donne giovani e istruite di avere figli e, contemporaneamente, ci rifiutiamo di riconoscere la maternità e non diamo loro la possibilità di occuparsi dei figli, non riusciremo mai a invertire il processo di sviluppo demografico.
La tutela della madre deve essere considerata in relazione all’assistenza data dal padre, alla struttura naturale della famiglia e alla necessità dell’amore materno per il neonato. I bambini non sono solo futuri contribuenti. Personalmente sono d’accordo sui criteri massimi proposti dalla relazione. Al contempo auspico siano introdotte disposizioni per sostenere il reintegro delle madri quando decidono di riproporsi sul mercato del lavoro. È comunque fuori luogo parlare di tutela delle madri e pari opportunità insieme. Personalmente preferirei che la Commissione avanzasse una proposta basata su una visione d’insieme della gravidanza, del parto e della successiva assistenza. Questa direttiva potrebbe rimanere in vigore per due decenni; oggi ci troviamo solo agli inizi di un lungo e difficile processo decisionale. Mi chiedo se vogliamo considerare il futuro sviluppo socioeconomico solo in base alla situazione finanziaria in cui ci troviamo. Tutti questi elementi oggi rappresentano la posta in gioco.
Marc Tarabella, a nome del gruppo S&D. – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, benché il Commissario sia intervenuto a nome della Vicepresidente Reding e della Commissione per esprimere la riluttanza di quest’ultima a integrare nel testo il congedo di paternità, oggi vorrei esprimermi soprattutto a nome di tutti i padri in Europa che non hanno ancora diritto al congedo di paternità.
La natura non ci ha concesso il diritto di partorire, ma la società può veramente privarci del diritto di condividere i primi momenti della vita di un figlio? Anche i padri sono genitori, non dimentichiamolo. La società deve permetterci di valorizzare al massimo i nostri figli per tessere con loro un legame speciale sin dalla nascita.
Per questo faccio appello a tutti i colleghi per votare in massa a favore dell’introduzione di un congedo di paternità di due settimane pienamente retribuito in tutta l’Unione europea. Essendo in tema, esorto inoltre la Commissione europea e il Consiglio ad appoggiarci, e lo ripeto: come potete opporvi alla richiesta di creare un nuovo diritto per i padri a livello europeo?
Chiedo inoltre a tutti i colleghi di sostenere la relazione Estrela in ogni suo aspetto. Quanto a chi adduce come scusa la crisi economica per negare alle donne un congedo di maternità di durata più consona e, cosa ancora più importante, una retribuzione adeguata, e agli uomini il congedo di paternità, chiedo francamente: perché tornate sempre sull’acquis sociale in caso di crisi economica?
Non vi rendete conto che tutti i costi economici saranno compensati da un maggiore coinvolgimento della donna nel mercato del lavoro, da meno discriminazione, dall’uguaglianza di genere, da una migliore conciliazione tra vita privata e vita professionale e quindi, a lungo termine, da reali vantaggi economici?
Infine, a chi vuole sacrificare padri e madri sull’altare della crisi economica, lo ripeto: non possiamo permetterci di risparmiare sui diritti fondamentali. Questa è anche una battaglia per una società più umana e, in questo periodo di crisi, la famiglia è sempre più il nostro ultimo baluardo dinanzi ai tormenti della vita.
Siiri Oviir, a nome del gruppo ALDE. – (ET) Signor Commissario, onorevoli colleghi, da anni il Parlamento europeo sistematicamente chiede la tutela delle lavoratrici gestanti e l’aggiornamento della normativa in essere sul congedo di maternità. La direttiva in materia esiste da 18 anni. Il futuro demografico dell’Europa non è incoraggiante. Dopo avere discusso la situazione, nel 2008 abbiamo adottato una risoluzione in Assemblea per l’adozione di misure sulla durata e la tutela del congedo di maternità essendo certi che, con una politica adeguata, sia possibile influenzare la curva di fertilità creando un contesto finanziariamente e psicologicamente vantaggioso per la famiglia.
Il vigente trattato dell’Unione europea conferisce al Parlamento la base giuridica per adottare la direttiva oggetto del dibattito. Abbiamo parlato a lungo di pari opportunità tra uomo e donna, di pari diritti nel mercato del lavoro, ed è evidente che l’allungamento del congedo di maternità e il congedo di paternità creeranno basi migliori. È un dato di fatto che la gravidanza e il parto siano un impegno per il corpo della donna. La direttiva mira a tutelare la sua salute, motivo per cui è importante godere di un periodo di congedo che permetta di rimettersi in salute, consentendo anche alla madre di allattare i figli per garantirne la salute e lo sviluppo.
Vorrei dire qualche parola sul congedo di paternità. Chi altri deve sostenere il neonato se non suo padre? Sono a favore dell’introduzione del congedo di paternità, retribuito alla stessa stregua del congedo di maternità. I cittadini spesso reclamano che la normativa dell’Unione europea è complicata, non lo capite? Non complichiamo ulteriormente la situazione, introduciamo il congedo di paternità con la stessa durata del congedo di maternità nella direttiva che lo regolamenta. Per quanto attiene ai costi siamo in un periodo di crisi economica, o meglio, vi stiamo uscendo, ma non è una giustificazione per rifiutarsi di retribuire il congedo di maternità in misura adeguata al XXI secolo. L’analisi ha rivelato che dobbiamo solo aumentare l’occupazione femminile dell’1 per cento e i costi sarebbero equilibrati.
Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signora Presidente, non sono bei tempi per la maternità, ma lo sono ancor meno per la paternità.
Questo perché alcune forze politiche e alcuni gruppi imprenditoriali sono sempre ancorati alla vecchia convinzione che avere figli è un lavoro che compete esclusivamente alle donne.
Bene, onorevoli colleghi, non è così. Non lo è affatto. È una responsabilità sociale che si deve assumere collettivamente l’intera società. Di questo parliamo oggi. Di questo stiamo discutendo: chi deve assumersi la responsabilità e il costo di avere figli, che devono anche essere il nostro futuro?
Ovviamente solo le donne possono rimanere incinta e dare alla luce un figlio, nessuno lo mette in discussione. Quello che mettiamo in discussione è che siano solo le donne a pagarne il prezzo nella vita professionale e ad assumersi la responsabilità nella vita privata.
Alla fine dello scorso mandato abbiamo avuto l’opportunità di fare un enorme passo avanti su questo tema a livello europeo, e non siamo riusciti a farlo perché è stato impedito da una parte considerevole dell’Assemblea, ovvero dalla sezione più conservatrice dell’Aula: fazioni del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) e del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, alcune delegazioni, non tutte, ma alcune delegazioni. Così si è impedito alle madri di godere di più diritti. Non dimentichiamolo.
Quello che oggi abbiamo sul tavolo è una nuova opportunità di correggere parte del problema. La relazione Estrela, già adottata dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, è una buona soluzione di compromesso e di consenso, che credo dovremmo appoggiare mercoledì in fase di votazione.
Conferisce più diritti alle lavoratrici gestanti in Europa, garantisce il mantenimento dei loro stipendi, obbliga i padri ad assumersi le loro responsabilità, assicurando inoltre alle gestanti che non perderanno i loro diritti spostandosi tra paesi dell’Unione europea. Tutto questo è importante e non dobbiamo mai perderlo di vista.
Se durante le votazioni di mercoledì perderemo alcuni di questi punti fondamentali penso sia necessario essere chiari e che ai genitori europei sia chiaro che non è un caso, e che in un contesto tanto importante non si può usare la scusa della crisi economica.
C’è una crisi evidente, e dobbiamo assumercene la responsabilità. Non devono però assumersela le madri. Lo si può capire se ci rendiamo conto che non stiamo parlando di un costo, bensì di un investimento. È un investimento nel futuro e in una società molto più sana.
Questa è la discussione che avremo durante la votazione di mercoledì. Personalmente appoggio la relazione Estrela e auspico che la maggioranza dell’Assemblea faccia esattamente lo stesso perché, in caso contrario, metteremo in pericolo non solo la salute delle madri lavoratrici, ma anche lo stato sociale che abbiamo tanto cercato di raggiungere in Europa.
Marina Yannakoudakis, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signora Presidente, un famoso imprenditore una volta ha affermato che, se esasperata, la normativa in materia di uguaglianza non fa che diminuire le possibilità di una donna di trovare lavoro.
Alle imprese non è consentito chiedere a una donna se ha intenzione di avere figli, e quindi è facile: non la assumono. Questa, purtroppo, è la triste realtà del congedo di maternità obbligatorio integralmente retribuito di cui si parla nella relazione.
Se a ciò associate gli effetti economici sulle PMI (2,6 miliardi di sterline nel Regno Unito, 1,7 miliardi di euro in Germania) questa relazione rappresenta senza dubbio un pericolo nella realtà economica attuale.
La differenza sarebbe enorme togliendo la clausola sulla maternità: la relazione si concentrerebbe sul tema originale, ovvero la salute e la sicurezza delle gestanti e delle puerpere.
Chiedo ai colleghi della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere di tornare a concentrarsi sui punti fondamentali e di fare ciò che è giusto per le donne. Esse devono avere possibilità di scelta, devono avere gli strumenti per scegliere. I datori di lavoro devono poter sostenere la donna senza che ciò ne comprometta la validità economica. Gli Stati membri devono poi rafforzare le economie creando in tal modo opportunità.
I Conservatori e Riformisti europei hanno presentato un emendamento che affronta molte questioni sollevate dalla clausola sul congedo obbligatorio integralmente retribuito, che chiedo ai colleghi di approvare per garantire la fattibilità della relazione.
L’Unione europea non intende fare un’opera di ingegneria sociale con le sue politiche. È ingenuo pensare che un congedo di maternità retribuito incoraggi le donne ad avere figli. I figli rimangono per tutta la vita, i costi rimangono per tutta la vita. Quindi, per favore, non ditemi che aumenteremo la popolazione dando un congedo di maternità pienamente retribuito per venti settimane.
La relazione presenta molti punti deboli, come dimostrato dalla valutazione d’impatto richiesta dai Conservatori e Riformisti europei. Il punto adesso è se rafforzarla così com’è o ripartire da zero.
Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL. – (SV) La discussione sulla direttiva legata al congedo di maternità e sulla relazione di iniziativa sulle lavoratrici precarie spiega il motivo fondamentale per cui il lavoro promuove l’uguaglianza. In tutti gli ambiti politici, l’uguaglianza si basa sull’opportunità e l’esistenza di presupposti che garantiscono l’indipendenza della donna. Il prossimo mercoledì avremo la possibilità di spianare la strada alla piena partecipazione della donna al mercato del lavoro.
Mi rammarico del fatto che, nel 2010, si stia ancora parlando di congedo di maternità e non di congedo parentale. Credo sia evidente il diritto del bambino ad avere entrambi i genitori, e che in questo caso si debba anche considerare la Convenzione sui diritti del fanciullo. Stiamo discutendo i diritti delle madri e dei padri, ma dobbiamo anche discutere il diritto – il diritto incondizionato – del bambino a stabilire un forte legame con entrambi i genitori.
Abbiamo parlato a gran voce dei costi del congedo e usato toni molto diversi da quelli usati per discutere i milioni di euro a sostegno, tra le altre cose, delle banche e dell’industria automobilistica. Talvolta mi chiedo se sia più facile accettare i costi nei settori tradizionalmente maschili che non in relazione alle questioni di uguaglianza e al diritto di un bambino di avere vicino a sé entrambi i genitori.
Inoltre, penso che i costi siano stati discussi senza tenere conto dei vantaggi personali e socioeconomici insiti in questa proposta. Molti hanno fatto riferimento al futuro demografico, al fatto che nascono troppo pochi bambini. Ora, però, possiamo dare la possibilità di avere più figli.
Insieme al gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica appoggio le proposte delle onorevoli Estrela e Thomsen, che abbiamo approvato in seno alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere dando maggiori possibilità.
Intravedo però alcuni problemi per certi Stati membri che godono di un congedo parentale di gran lunga migliore. Vorrei che questa fosse una normativa che attribuisca diritti, non che imponga obblighi a un genitore. Vorrei inoltre che la Convenzione sui diritti del fanciullo e il diritto del bambino ad avere entrambi i genitori fossero molto più evidenti.
Vi sono poi problemi sul livello retributivo in alcuni Stati membri. Durante il dibattito qualcuno ha detto che oggi i datori di lavoro chiedono alle donne in età fertile se intendono avere figli. Spero quindi che in futuro, in un futuro molto prossimo, faremo la stessa domanda ai padri perché i figli, lo ripeto, riguardano entrambi i genitori. È un aspetto che bisogna valutare con serietà.
Mara Bizzotto, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la strada verso un'Europa a misura di donna è ancora lunga e difficile. Le statistiche parlano chiaro: la crisi globale si è abbattuta sul mercato del lavoro mettendo a dura prova l'occupazione femminile, che nel 2008 si è ridotta ulteriormente di sette decimi di punto. Nonostante le provocazioni che, in tema di pari opportunità e occupazione, periodicamente riempiono un'europropaganda in calo di consenso, ad oggi non sono state ancora adottate misure concrete per garantire alla donna una vera realizzazione come lavoratrice e come madre.
L'Europa del futuro ha bisogno di ripensare radicalmente al proprio modello di welfare e non semplicemente cambiarsi periodicamente l'etichetta. Bene, dunque, la direttiva che allinea in Europa l'istituto del congedo di maternità, ma inefficiente la scelta di trattare ai margini di questa materia, nella stessa relazione, quella complementare e ugualmente importante del congedo di paternità.
La maggiore integrazione delle donne non è soltanto un valore morale ma anche un obiettivo strategico per la sostenibilità del tanto pubblicizzato modello sociale europeo, che continua a non convincermi per la mancanza di risultati.
Edit Bauer (PPE). – (HU) La proposta sul congedo di maternità è di fatto una disposizione in materia di salute e sicurezza, e il primo motivo per cui occorre modificare la direttiva del 1992 migliorando le condizioni di vita delle madri è che nel 2000 l’Organizzazione internazionale del lavoro ha adottato una convenzione internazionale stabilendo la durata minima del congedo di maternità a 18 settimane. Al tempo stesso, però, tra i vari sistemi assistenziali vediamo situazioni molto diverse per durata del congedo, finanziamenti e livello dei sussidi a causa della compresenza del congedo di maternità e del congedo parentale, tanto che è praticamente impossibile trovare un denominatore comune. Nonostante le buone intenzioni di noi tutti, destra o sinistra, non si riesce a prendere una decisione accettabile e gradita a tutti gli Stati membri.
La soluzione sarebbe stata limitarci nella proposta agli ambiti della salute e della sicurezza, e insistere sulle pari opportunità con una diversa disposizione. Quando ho presentato all’Assemblea la relazione sul divario di retribuzione tra uomo e donna, ho sottolineato la situazione svantaggiosa che vivono le madri quando tornano al lavoro dopo la nascita del primo figlio. Anche le pari opportunità sono quindi problematiche, e dobbiamo risolvere il problema. Comunque, fintanto che padri e madri non potranno assolvere le stesse funzioni nel partorire, poiché i padri non possono dare alla luce un figlio, probabilmente dovremo occuparci delle pari opportunità in altri settori. Dobbiamo sciogliere la questione delle pari opportunità e compiere progressi in materia, ma non in questa direttiva. Abbiamo perso l’opportunità di modernizzare il sistema che utilizza contemporaneamente il congedo parentale e il congedo di maternità.
Silvia Costa (S&D). - Signora Presidente, signor Commissario, credo che oggi il Parlamento abbia una grande opportunità di ribadire che la maternità è un valore sociale e che la tutela della salute della madre e di quella del bambino deve essere rafforzata, che una lavoratrice non deve essere discriminata a causa della maternità nell'accesso e nella permanenza nel lavoro, che la cura dei bambini va maggiormente condivisa con i padri.
Nonostante si sia in tempi di crisi – com'è già stato sottolineato – dobbiamo fare la stessa riflessione già operata da tutti gli economisti più avanzati: la valutazione d'impatto effettuata dimostra la necessità di un approccio più lungimirante e più olistico. I costi di oggi, che possono essere poi eventualmente graduati, sono un investimento sociale ed economico in un maggiore benessere dei bambini, una riduzione delle patologie e una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Molti affermano che non ci sarà nuova occupazione femminile di qualità e più occupazione femminile se non ci sarà un nuovo welfare e nuove opportunità di conciliazione: condivido appieno e ringrazio le relatrici Estrela e Plumb per il complesso lavoro svolto, così come tutti i colleghi che si sono sforzati di trovare punti di mediazione.
Condivido anche l'impianto che, penso, in tanti abbiamo voluto, cioè quello di prevedere un ampliamento per le madri di bambini disabili, per le adozioni, i parti plurimi, la possibilità di orari flessibili, l'inversione dell'onere della prova contro le violazioni delle norme e una maggiore tutela dai licenziamenti. Ho inoltre proposto, unitamente ad altri colleghi, che, rispetto alle sei settimane obbligatorie dopo il parto, sia prevista però una clausola di salvaguardia per i paesi la cui legislazione prevede questa quota obbligatoria anche prima del parto.
Concludo, auspicando che si possa raggiungere in queste ore, in questi due giorni, la piena volontà di trovare un punto di mediazione, affinché non si perda anche in questa legislatura l'importante occasione di approvare questa direttiva.
Antonyia Parvanova (ALDE). – (EN) Signora Presidente, quando si parla di equa condivisione delle responsabilità familiari tra uomo e donna, con l’obiettivo ultimo di giungere a una società più giusta promovendo gli interessi del bambino nelle politiche di conciliazione, dobbiamo ricordarci che qui in Assemblea rappresentiamo i cittadini e non il parere del Consiglio. Di recente ho visto troppe persone delle rappresentanze permanenti svolgere attività di lobbismo presso gli europarlamentari, e non credo sia accettabile in base al regolamento e al principio di eurodeputati eletti in maniera indipendente.
Si dice che l’aumento del congedo di maternità impone costi più elevati al settore pubblico e privato in un periodo di crisi economica, ma si tratta solo dello 0,01 per cento del PIL e parliamo di 2 miliardi di euro. A questo ho paragonato il bilancio militare dei paesi citati che, a dire il vero, è aumentato di 3 miliardi di euro in un anno e non è stato contestato né dall’Assemblea né dai parlamenti nazionali.
Ad ogni modo, in un momento di crescente incertezza economica e visti i cambiamenti demografici, è di fondamentale importanza sostenere politiche flessibili in materia di congedo che potrebbero contribuire a invertire le attuali tendenze demografiche. Dovremmo adoperarci tutti affinché in Europa le donne diventino parte integrante del mercato del lavoro, e la loro scelta di vita sia presa seriamente con una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, dove si attribuisca più valore all’infanzia e all’importanza di conciliare la vita familiare e lavorativa.
Per concludere sottolineo con forza che le misure e il sistema assistenziale europeo previsto da questa direttiva non rappresentano un onere per il mercato europeo, bensì un importante elemento.
Marije Cornelissen (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, è evidente dagli emendamenti presentati da alcuni colleghi dei gruppi ALDE, PPE ed ECR (anche se per fortuna non da tutti) che hanno venduto l’anima a miopi interessi societari e ai lobbisti degli Stati membri che non hanno a cuore i diritti della donna. Se gli emendamenti saranno approvati, le nuove madri e i nuovi padri dell’Unione europea non avranno vita migliore.
Se il congedo non sarà adeguatamente retribuito, solo le donne con un lavoro senza importanza potranno affrontare la maternità. Voi, colleghi della destra, portate avanti un sistema tradizionale in cui l’uomo sostiene la famiglia e sottomette completamente la mogliettina, che ha un lavoretto per arrotondare lo stipendio e a cui non importa a quanto ammonta l’indennità di congedo. Ma ogni donna indipendente che sostiene finanziariamente la famiglia farebbe meglio a tornare al lavoro dopo le sei settimane obbligatorie – se le altre sono mal retribuite – a prescindere dallo stato di salute, e può dimenticarsi di fare iniziare bene il bambino con l’allattamento.
Spero con tutto il cuore che nella votazione vinca chi veramente desidera migliorare la vita delle neomamme e dei neopapà. Questa direttiva potrebbe essere una pietra miliare per una moderna politica del mercato del lavoro in una società sempre più anziana. Il futuro ha bisogno di politici abbastanza coraggiosi da avere un’opinione, che possano guardare un po’ oltre, e che abbiano una visione della società dove molte più madri lavorano e molti più padri si occupano dei figli. Il futuro può certamente fare a meno di chi cede non appena gli amministratori delegati, che pensano solo alla prossima relazione finanziaria, e i ministri nazionali, che pensano solo alle prossime elezioni, iniziano a fare pressioni.
Tadeusz Cymański (ECR). – (PL) L’importanza di questa direttiva non si limita al problema dell’uguaglianza di genere e dell’assistenza alle donne durante la maternità. Bisogna analizzare la questione in un contesto più ampio, non solo in ambito sociale ma anche in ambito economico, in un arco di tempo più lungo. C’è un certo paradosso in quanto, cercando ovviamente e logicamente di mantenere le pratiche di gestione finanziaria in essere, potremmo perdere moltissimo a livello economico e finanziario con le generazioni future.
Molti esperti credono che uno dei principali problemi europei, forse il più grave, sia il tracollo demografico. I progressi in ambito medico, il miglioramento delle condizioni di vita e il calo nella crescita naturale della popolazione porteranno, in futuro, a un’Europa molto vecchia e molto costosa. Anche oggi si stima che il costo dell’assistenza agli anziani è pari a quasi il 2 per cento del PIL europeo. I motivi del calo nella crescita demografica sono molto complessi e trascendono le questioni sociali e la sicurezza materiale. Ciononostante, non c’è dubbio che le nuove proposte contenute nella direttiva daranno un significativo impulso che aiuterà molte donne in Europa a decidere di avere figli.
Signora Presidente, il livello di assistenza concessa alle lavoratrici gestanti varia di molto tra i paesi europei. Questa direttiva sarà particolarmente importante per quei paesi in cui la tutela è molto limitata, e ove il sostegno alle famiglie è inesistente o molto basso, anche per l’assistenza ai bambini meno piccoli. Per questo vorrei ringraziare tutti coloro che hanno lavorato a questa direttiva, soprattutto per la sensibilità dimostrata nei confronti delle donne di altri paesi che potranno affrontare il futuro con maggiori speranze. Per quanto riguarda i bambini, ovviamente vogliono una madre felice che non abbia paura di perdere il lavoro, di non poterli nutrire o di non riuscire a crescerli. Rinnovo i ringraziamenti e confido in un compromesso nella votazione di mercoledì. Molte grazie.
Jacky Hénin (GUE/NGL). – (FR) Signora Presidente, queste relazioni vanno nella giusta direzione e meritano molta più pubblicità. L’85 per cento dei lavori imposti a tempo parziale e l’80 per cento di quelli mal retribuiti sono di appannaggio delle donne. La retribuzione femminile è inferiore del 27 per cento a quella maschile. Il 50 per cento delle donne ha una pensione inferiore a 600 euro. La maggioranza dei casi scoperti legati a false dichiarazioni o lavoro non dichiarato riguarda le donne. Ancora adesso, nel XXI secolo, scopriamo casi di schiavitù in Europa, che riguardano esclusivamente le donne.
Sì, occorre fare tutto il possibile per riuscire a sradicare le scandalose pratiche usate nei confronti della donna sul luogo di lavoro e nella società. La buona volontà, però, non sarà sufficiente. I guadagni previsti sono talmente elevati e le sanzioni incorse così modeste che, per dire le cose come stanno, ci sono bastardi che non esitano a continuare a sfruttare esseri umani come se non fossero altro che bestiame. Dobbiamo mettere gli Stati membri di fronte alle loro responsabilità il prima possibile ed esigere le sanzioni più severe possibili nei confronti di chi si considera al di sopra delle legge.
Giancarlo Scottà (EFD). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, vorrei richiamare la vostra attenzione su un settore in cui a tutt'oggi persistono condizioni di lavoro femminili precarie. Mi riferisco al settore agricolo, un settore nel quale le donne puntano sull'innovazione e, allo stesso tempo, sul recupero della tradizione e della conservazione del patrimonio agricolo, mantenendo vivo il territorio rurale. Tuttavia, le lavoratrici incontrano diversi ostacoli nelle loro attività lavorative, dovendo conciliare l'attività professionale con quella familiare.
La collega Thomsen, nella sua relazione, fa riferimento a un dato che fa riflettere: nel settore agricolo le donne impiegate a tempo parziale raggiungono l'86 percento delle lavoratrici. Inoltre, l'ingresso di giovani donne in questo settore è difficoltoso e per questo motivo le donne conduttrici d'azienda superano spesso il sessantacinquesimo anno d'età. Alcune altre, invece, assumono la posizione di coniuge coadiuvante, ovvero aiutano nell'attività dell'azienda agricola del marito, senza aver diritto a uno status giuridico e senza essere adeguatamente retribuite.
Ritengo dunque necessario tutelare le donne e il loro impegno in un settore in cui il loro lavoro è spesso temporaneo e stagionale, sostenendole nel campo della sicurezza e della salute e garantendo loro un'equa retribuzione e un adeguato riconoscimento della loro attività.
Licia Ronzulli (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, quando parliamo di conciliazione, intendiamo quelle iniziative che, prendendo in considerazione le esigenze della famiglia e quelle dei lavoratori, permettono un bilanciamento tra la sfera lavorativa e quella familiare. Ci riferiamo quindi a strumenti di aiuto, senza i quali una donna che lavora per piacere, per ambizione di carriera o soprattutto per necessità, è posta davanti a un bivio e la scelta più drastica, e quasi sempre definitiva, è quella dell'abbandono del posto di lavoro. Una volta uscita dal mercato del lavoro, tornare poi indietro è ancora più difficile. Tale situazione porta a un forte senso di frustrazione, da un lato, e a grossi sacrifici economici, dall'altro.
Il testo oggi in discussione propone numerosi strumenti di aiuto per le lavoratrici, ponendo le basi per una certezza giuridica che permetterà la libertà di scelta di una donna e la conseguente vera conciliazione lavoro-famiglia. Desidero anche sottolineare un altro aspetto per quanto riguarda la situazione delle lavoratrici precarie: come è stato detto, troppo spesso le donne continuano a subire disparità per quanto riguarda le opportunità occupazionali, la qualità del lavoro e la retribuzione. A proposito di qualità del lavoro, va rilevato che le donne molto spesso non denunciano e sono costrette ad accettare occupazioni al limite della legalità per poter avere uno stipendio sufficiente al sostentamento della propria famiglia. È ora di porre fine a tutto questo.
Occorre quindi vigilare su tutti i comportamenti scorretti da parte dei datori di lavoro nei confronti delle lavoratrici. Ogni abuso deve essere perseguito e punito senza attenuanti. E l'impegno di tutti noi deve continuare nella direzione di politiche sociali sempre più giuste e incisive.
Zita Gurmai (S&D). – (EN) Signora Presidente, la relazione oggetto del dibattito è di fondamentale importanza per genitori e figli europei e per l’Europa in quanto comunità. Le disposizioni di questo testo legislativo garantiscono a tutte le donne europee di godere degli stessi diritti e criteri minimi di assistenza quando decidono di avere un figlio. Inoltre evitano loro di essere finanziariamente penalizzate per avere deciso di essere madri cercando di conciliare questa scelta con il lavoro.
Un fattore molto importante è rappresentato dalla sfida demografica dell’Europa. La natalità in continuo calo e l’invecchiamento demografico, e di conseguenza la riduzione della forza lavoro, stanno mettendo a dura prova la crescita economica, soprattutto in questo momento di crisi.
La soluzione sta nell’incoraggiare le donne a non avere figli, o seguire un modello americano in cui l’assistenza alle donne sia scarsa o nulla e dove devono tornare al lavoro anche prima di essersi riprese dal parto? Se è così dico no. A lungo termine non avere figli si rivela più costoso per la comunità. Le donne devono riprendersi dal parto per essere pronte a rientrare sul mercato del lavoro. Concedere loro 18 settimane è il minimo e non devono essere punite per questo con tagli diretti o indiretti.
In 24 dei 27 Stati membri dell’Unione europea sono i governi che finanziano il congedo di maternità, non le imprese. Le imprese non vogliono forse investire nelle giovani donne che hanno assunto e formato? Dovremmo essere socialmente responsabili. Sapendo che l’Unione europea e gli Stati membri hanno speso moltissimi soldi per salvare le banche, dobbiamo chiederci perché bisogna sempre risparmiare a spese della donna. Anche i padri dovrebbero poter essere esonerati dal servizio per passare del tempo con i neonati.
Continuiamo a parlare di responsabilità condivise e ora possiamo fare qualcosa al riguardo. Qualcuno in Aula pensa che non sia accettabile. Se tutto va bene, il Commissario Šefčovič ci dimostrerà quanto è chiaro e progressista in materia.
Elizabeth Lynne (ALDE). – (EN) Signora Presidente, questa direttiva giustamente ha sempre inteso dare le garanzie minime per tutelare le lavoratrici gestanti o in periodo di allattamento. Mi sembra comunque che alcuni emendamenti presentati dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali si spingano troppo oltre.
Non tengono in considerazione le diverse tradizioni nei vari Stati membri. Alcuni paesi prevedono il congedo di maternità, altri anche il congedo di paternità, e alcuni il congedo parentale. Le persone sono retribuite in modi totalmente diversi e in misura diversa: alcuni mediante il sistema di previdenza sociale, alcuni dalle imprese e altri con una combinazione dei due. Non dobbiamo compromettere certi sistemi che funzionano molto bene.
Gli emendamenti da me presentati cercano di tenere conto della difficoltà di fare qualcosa che giovi a tutti gli Stati membri. A mio avviso introdurre la piena retribuzione farebbe lasciare il lavoro a molti giovani, soprattutto alle giovani donne. Sono lieta che la seconda valutazione d’impatto sia stata quanto meno più dettagliata della prima. Come sapete affermava che l’introduzione della piena retribuzione sarebbe costata più di 7 miliardi di euro all’anno a dieci Stati membri. Non ha nemmeno tenuto conto degli altri 17, e presumo che anche per loro sarebbe problematico passare al pieno stipendio.
Per quanto riguarda il congedo obbligatorio, ho sempre pensato che spetti alla madre decidere quando e come rimanere a casa. Negli anni sessanta e settanta del secolo scorso abbiamo combattuto per l’uguaglianza dei diritti della donna, non per la sua sottomissione, e sembra si stia andando indietro invece che avanti.
Andrea Češková (ECR). – (CS) Temo fortemente si stiano confondendo due cose molto diverse sulla tutela della donna: le condizioni lavorative delle dipendenti e la posizione giuridica delle lavoratrici autonome, o imprenditrici. Con riferimento alle dipendenti normalmente si può parlare di tutela, soprattutto durante la gravidanza e dopo il parto, garantita dal diritto del lavoro. Non è invece possibile tutelare le autonome con il diritto del lavoro perché generalmente non applicabile al loro caso. D’altro canto queste imprenditrici danno lavoro a uomini e anche ad altre donne, e sono rimasta inorridita dal fatto che con gli emendamenti la direttiva, che inizialmente doveva riguardare esclusivamente la tutela delle gestanti e delle puerpere, avrebbe dovuto applicarsi anche alle imprenditrici. È impossibile non solo a livello concreto ma anche da un punto di vista giuridico. Spero quindi di tutto cuore che il Parlamento non approvi gli emendamenti, che purtroppo sono stati votati a maggioranza dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e che, a mio avviso, non hanno nulla a che vedere con questa direttiva, perché non si possono applicare alle lavoratrici autonome.
Joe Higgins (GUE/NGL). – (EN) Signora Presidente, la relazione Estrela cerca di migliorare le condizioni lavorative delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, e questi sono obiettivi che appoggiamo con forza.
Vista la grave crisi del capitalismo europeo e globale, bisogna seriamente preoccuparsi del fatto che siano soprattutto le lavoratrici vulnerabili a rimanere vittima di certi datori di lavoro che cercano di mantenere profitti elevati, e di governi che hanno applicato tagli alla spesa sociale e ai servizi pubblici.
Molte lavoratrici della classe operaia sono soggette a un forte sfruttamento, con ad esempio stipendi molto inferiori a quelli degli uomini e un lavoro precario. In simili circostanze c’è un forte pericolo di discriminazione nei confronti delle gestanti o puerpere, la cui posizione è più vulnerabile. Il diritto della donna a tornare allo stesso lavoro, a 20 settimane di congedo di maternità e a un congedo di paternità ragionevole deve essere chiaramente sancito, siamo pienamente d’accordo. Bisogna inoltre sostenere il mantenimento del reddito al 100 per cento.
Non ci si può però solo affidare alla legge. In ogni luogo di lavoro deve esserci un sindacato forte che possa garantire concretamente il diritto della donna a tornare al lavoro dopo il parto, senza timore di essere discriminata.
Elisabeth Morin-Chartier (PPE). – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ho seguito molto attentamente questo fascicolo all’interno della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, e della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. È la seconda volta che tentiamo di definire norme minime per l’Unione europea ed è da quaranta anni che, nella mia vita professionale, mi batto per l’uguaglianza tra uomo e donna, l’integrazione delle giovani donne mediante programmi di formazione e la loro integrazione sociale attraverso la partecipazione al mercato del lavoro. In questa sede parliamo di uguaglianza: uguaglianza tra uomo e donna.
Nelle relazione Estrela – basti ascoltare gli interventi di oggi – ritroviamo tutti i temi possibili. Ognuno arriva con il suo piccolo contributo e vuole aggiungere qualcosa. Alla fine ci ritroviamo con un collage senza senso, quando dovremmo invece concentrarci sulla salute e la sicurezza sul lavoro delle gestanti, proprio come dovremo sicuramente concentrarci sull’uguaglianza di genere negli stipendi.
Il congedo neonati è pressoché l’unico aspetto a non essere incluso nella relazione. Vorrei dirvi una cosa: votare oggi a favore di un congedo di maternità di venti settimane pienamente retribuito è irresponsabile e demagogico. Insisto sull’adozione di misure efficaci affinché ciò non abbia effetti controproducenti sulle donne. Più prolunghiamo il congedo di maternità senza valorizzare il ritorno al lavoro della donna e la necessità di conciliare la vita familiare e professionale, più prolunghiamo il congedo di maternità senza adottare misure che la tutelino sul luogo di lavoro, più agiamo contro i suoi interessi.
Il fatto è che quando si mette a punto una politica il nostro dovere è essere coraggiosi e responsabili, e dire la verità. Chi pagherà? Quale Stato membro può permettersi questo aumento? Quale impresa potrà pagare? Alla fine le donne si troveranno intrappolate da un testo che va alla deriva su tutti i punti e che si ritorcerà loro contro. Faccio appello alla vostra responsabilità. Avremo un grande peso in futuro.
(Applausi)
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata dagli onorevoli Cornelissen e Jäätteenmäki con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8)
Marije Cornelissen (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, l’onorevole Morin-Chartier non è l’unica ad averlo detto. Un paio di oratori hanno affermato che il congedo di maternità di 20 settimane comprometterebbe le possibilità di una donna nel mercato del lavoro.
Vorrei chiedere da dove arriva questa idea perché, se consideriamo lo studio e quanto succede in Svezia, Norvegia, Islanda o Bulgaria, si vede molto chiaramente che ci può essere una fortissima partecipazione femminile al mercato del lavoro e un periodo giustamente lungo di congedo di maternità.
Elisabeth Morin-Chartier (PPE). – (FR) Signora Presidente, due osservazioni in risposta al commento.
La prima è che non esiste un legame matematico tra durata del congedo di maternità e tasso di fertilità della donna. Per provarlo mi basta citare la situazione in Francia, paese che garantisce un congedo di maternità di quattordici settimane e che, oggi, è caratterizzato da uno dei tassi di natalità più elevati in Europa.
Il secondo punto della risposta è che, a ogni nascita, si constata un divario sempre maggiore tra la vita professionale delle donne e quella degli uomini. Per ogni nascita e periodo di congedo di maternità, la donna prima riduce le responsabilità professionali, a meno che ciò non avvenga su iniziativa dell’impresa o del settore pubblico. Con la seconda nascita diminuisce le ore lavorative, che continua a ridurre a ogni nascita successiva, mentre al contrario a ogni nascita gli uomini aumentano le responsabilità professionali. Pertanto, a livello professionale, il divario aumenta nel corso della carriera lavorativa.
Quindi vi prego, fate un po’ attenzione a quanto succede veramente, sia nel settore pubblico che nel settore privato.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE). – (FI) Onorevole Morin-Chartier, accetta la politica basata su due pesi e due misure secondo cui tutti i dipendenti dell’Unione europea, ovvero della Commissione, del Consiglio, del Parlamento e dei gruppi politici parlamentari, sarebbero pienamente retribuiti per le 20 settimane di congedo di maternità, proponendo invece una cosa diversa per gli altri? Credo che le madri debbano essere messe sullo stesso piano in tutta Europa, e che non dovremmo essere a favore di due pesi e due misure o di due facce della stessa politica.
Elisabeth Morin-Chartier (PPE). – (FR) Signora Presidente, non abbiamo detto di essere a favore di due pesi e due misure. La Commissione europea ha presentato una proposta di 18 settimane. Noi proponiamo di introdurre una clausola passerella. Di base è perfettamente possibile, ma c’è una differenza tra quanto possibile e l’idea utopica di proporre 20 settimane pienamente retribuite, tra ciò che è fattibile e quanto si può promettere in Parlamento, che non verrà accettato né dal Consiglio né dai parlamenti nazionali.
Se mercoledì voteremo a favore della relazione Estrela e delle 20 settimane, il Parlamento europeo sarà smentito tre volte: la prima volta dal Consiglio che non potrà dare il suo appoggio – gli Stati membri non potranno dare il loro appoggio; la seconda volta dai parlamenti nazionali – i parlamenti nazionali, con i loro bilanci, non potranno dare il loro appoggio; e la terza volta dalle donne, quando si renderanno conto che abbiamo operato contro i loro interessi.
Emine Bozkurt (S&D). – (NL) Signora Presidente, dobbiamo essere vicini alle madri e ai padri nel periodo più caotico della vita. Devono avere pace e quiete per impegnarsi a fondo nelle prime fasi della vita del bambino, per allattare e per riprendersi totalmente dal parto, per potere nuovamente rimboccarsi le maniche dopo il congedo e partecipare pienamente alla vita lavorativa. Madri, padri, sindacati, organizzazioni non governative: tutti lo vogliono.
Chi si oppone fa pagare un prezzo alle donne, e lo fa a torto: nessun costo aggiuntivo può essere imposto alla società europea sempre più anziana. Eppure occorre investire adesso nelle donne come lavoratrici per migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavorativa, di modo che la società possa rimanere sostenibile in futuro. Ovviamente è importante un congedo di maternità pienamente retribuito. Perché le donne, essendo le uniche con la possibilità biologica di dare alla luce un figlio, dovrebbero vedersi ridurre lo stipendio durante il congedo?
Diciamo che è importante garantire a uomini e donne un equilibrio tra vita professionale e vita privata, che le donne abbiano pari opportunità sul posto di lavoro, quindi dobbiamo smetterla di litigare e assumerci una responsabilità congiunta. Non dobbiamo permettere che siano i padri e le madri a soffrire.
Nadja Hirsch (ALDE). – (DE) Signora Presidente, la domanda che ci dobbiamo chiedere è cosa intende fare questa direttiva? Siamo abbastanza d’accordo sulla necessità di tutelare la salute delle future madri e neomamme. Il grande dibattito riguarda i settori in cui includere anche l’elemento dell’uguaglianza. D’altro canto, come Parlamento europeo, dobbiamo essere coscienti che stiamo adottando una direttiva che rimarrà in vigore non solo per cinque anni, ma forse per i prossimi 20 o 25 anni. Spero comunque che, per allora, le condizioni lavorative della donna saranno sostanzialmente migliorate e che le imprese saranno interessate ad assumere giovani madri – anche per via di una carenza di manodopera qualificata – e, soprattutto, che metteranno a punto le infrastrutture adeguate per farlo. Dobbiamo pensare anche a questo.
Ciononostante mi rendo anche conto che, al momento, non c’è una maggioranza pronta a sposare questa idea. Per questo probabilmente arriveremo a un punto in cui troveremo un accordo su un compromesso come diciotto settimane, una retribuzione obbligatoria più elevata o un pagamento pari al 75 per cento dello stipendio, che in effetti migliorerà la situazione soprattutto in alcuni paesi europei.
Un aspetto molto più importante, che va al di là del congedo di maternità, riguarda le condizioni garantite alle giovani famiglie. Questo significa strutture per l’assistenza all’infanzia; in Germania, ad esempio, non ce ne sono ancora abbastanza. Questa sarebbe una politica di vera uguaglianza che dà alle donne la possibilità di tornare al lavoro.
Julie Girling (ECR). – (EN) Signora Presidente, è tipico dei verdi deridere chi osa non essere d’accordo. Noi osiamo dissentire su una piccola parte di queste proposte, e quindi meritiamo di essere derisi. Plaudo all’impegno dimostrato in queste proposte – in realtà mi trovo d’accordo sulla grande maggioranza – ma ci sono un paio di punti che non trovano il mio consenso. Plaudo quindi al vostro impegno ma non alla vostra tolleranza. Tornate tra 30 anni per farmi la predica sull’importanza di promuovere i diritti della donna: per allora vi sarete impegnati tanto quanto ho fatto io.
Non intendo passare da regressiva. Alcuni aspetti di queste proposte sono regressivi: l’idea che le europee debbano avere più bambini europei in un mondo sovrappopolato è socialmente regressiva. Imporre nel Regno Unito un congedo di maternità di 20 settimane retribuito al 100 per cento – in questa sede non riesco a spiegare il nostro sistema abbastanza rapidamente – è finanziariamente regressivo. Da noi un numero esagerato di donne con uno stipendio migliore riceveranno gran parte dei 2 miliardi di sterline inglesi stanziati in via straordinaria. Non andranno a finire nelle tasche delle donne meno pagate che, credo, sono quelle che vorremmo più aiutare.
Dove sta quindi il miglioramento? Gli Stati membri si trovano nella posizione migliore per decidere questi dettagli; occorre applicare il principio di sussidiarietà.
(Applausi)
Christa Klaß (PPE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, le madri hanno bisogno di essere tutelate in maniera speciale, e su questo punto c’è consenso in Aula. Avere un figlio è fisicamente ed emotivamente impegnativo, ed è un’esperienza profonda per qualsiasi donna. I cambiamenti fisici, le nuove condizioni di vita e, soprattutto, il periodo di ripresa e di recupero: tutte queste cose rendono indispensabile tutelare la maternità in maniera adeguata. È una cosa cui deve pensare la società, e non si mette in discussione il principio. Qui si discute come farlo e le condizioni a cui farlo. In tal senso non dobbiamo dimenticare che l’Unione europea stabilisce i criteri minimi ma poi spetta agli Stati membri applicare, organizzare e pagare la maternità. Non partiamo da zero.
Gli Stati membri hanno predisposto il congedo di maternità in maniera molto diversa, in alcuni casi integrandolo con il congedo parentale e includendo i padri. Essi devono partecipare alle responsabilità familiari: con questo non intendo il congedo, bensì la condivisione di responsabilità nella crescita dei figli e della vita familiare. Il congedo di paternità però non fa parte delle disposizioni sulla maternità, in quanto deve sempre rientrare nel congedo parentale. Né i padri si ammalano a causa del parto. Mi congratulo con tutti gli Stati membri che hanno predisposto il congedo di paternità; allo stesso modo, signor Commissario, mi rallegro della proposta della Commissione or ora annunciata. Non possiamo permettere che una questione importante come quella della maternità perda di valore con un ampliamento del congedo parentale. Il congedo di maternità riguarda la salute. Nessuna madre è malata per 20 settimane, neppure le madri che allattano sono malate.
Nei confronti delle donne lavorativamente attive abbiamo la responsabilità di giustificare il congedo di maternità. La nostra proposta è di 18 settimane in tutto, con le ultime quattro settimane soggette a variazioni nazionali in merito agli importi retribuiti. Ciò è previsto negli emendamenti nn. 115 e 116, che vi esorto ad approvare.
Inoltre, invito gli Stati membri a sfruttare l’opportunità di offrire a tutte le famiglie e alle madri maggiori contributi che possono essere approvati su base volontaria. Le madri costruiscono il futuro, e hanno bisogno di tutto il sostegno che possiamo loro dare.
Antigoni Papadopoulou (S&D). – (EL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, votando la relazione Estrela di fatto rispondiamo alle richieste di milioni di donne che chiedono maggiore tutela delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e dei loro figli. Aumentando il congedo di maternità a 20 settimane e quello di paternità a 2 settimane, a stipendio pieno, favoriamo la ripresa dalla crisi internazionale e della crescita economica nell’Unione europea, perché contribuiamo alla conciliazione tra vita privata e vita professionale. Tutelando le lavoratrici dal licenziamento in periodo di gravidanza e per sei mesi dopo il parto, incentiviamo l’applicazione dell’obiettivo della strategia comunitaria e, entro il 2020, raggiungeremo il 75 per cento di partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Votando a favore della relazione Thomsen cerchiamo di tutelare le lavoratrici dal precariato che alimenta il divario salariale tra i due sessi, compromette lo sviluppo professionale e aumenta il rischio di far perdere alla donna tutte le forme di diritti sociali, pensionistici e sindacali.
Il voto positivo sulle due relazioni è un voto positivo per un’Europa sociale più equilibrata, più antropocentrica e per l’uguaglianza di genere.
Gesine Meissner (ALDE). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, oggi parliamo delle condizioni lavorative della donna che vogliamo migliorare in Europa. Mi riferirò nello specifico alla relazione Thomsen, di cui sono stata relatrice ombra, parlando quindi del tema delle lavoratrici precarie.
Questo è l’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. È un dato di fatto che la povertà colpisce le donne in maniera smisurata. Ovviamente non si può assolutamente permettere che la situazione rimanga uguale. La povertà femminile può avere diverse cause. Può derivare dal fatto che le donne non sono pagate tanto quanto gli uomini anche se, chiaramente, non è l’unica causa. Ad esempio, quando hanno figli interrompono la carriera più spesso e si prendono del tempo libero per crescerli. Inoltre fanno i lavori meno qualificati. Il problema diventa particolarmente serio per le donne dalle condizioni lavorative precarie, poiché in alcuni casi non hanno nemmeno un contratto di lavoro o hanno un contratto irregolare; non hanno alcuna forma di tutela e hanno accesso limitato alle informazioni. La situazione è particolarmente grave per le donne migranti. Questo può generare una povertà continua, che le fa rimanere povere anche in età più avanzata.
Dobbiamo uscire da questa spirale che colpisce più le donne degli uomini. Uno dei modi per farlo è attraverso l’istruzione e la formazione. Ogni donna – ogni ragazza – deve avere una qualifica, a prescindere dalle proprie origini, e deve avere accesso a una professione che le garantirà un tenore di vita adeguato. L’apprendimento permanente deve essere anche una possibilità femminile. Bisogna poi fare in modo che più donne e ragazze abbiano accesso alle professioni meglio pagate, spesso appannaggio quasi esclusivo degli uomini.
In altre parole occorre garantire sempre l’accesso all’istruzione e ai sistemi di previdenza sociale: in questo modo possiamo migliorare notevolmente la situazione della donna.
Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE). – (PL) È difficile definire criteri minimi per la durata e il pagamento del congedo di maternità nell’attuale contesto socioeconomico europeo. In alcuni paesi il minimo proposto supera i livelli di tutela concessi alle gestanti dalla normativa nazionale. Da una parte stiamo ancora lottando contro le conseguenze della crisi: i governi di alcuni Stati aumentano le imposte e introducono forti tagli di spesa, e il livello di disoccupazione è ancora elevato. Dall’altra dobbiamo affrontare i problemi del calo di natalità, della crescita naturale negativa e, di conseguenza, dell’invecchiamento demografico. In un futuro non troppo lontano incomberà la minaccia del fallimento dei sistemi pensionistici e, forse, del loro totale collasso.
In questa situazione non esistono soluzioni facili o gratuite. Eppure bisogna rendersi conto che investendo nelle donne e creando condizioni a loro favorevoli le incoraggiamo ad avere figli. Ovviamente un congedo di maternità più lungo e pienamente retribuito di per sé non è abbastanza: occorrono anche soluzioni fiscali a favore delle famiglie e un’occupazione stabile. In questo caso non abbiamo alternativa. Non c’è altro modo per aumentare il numero di europei professionalmente attivi tra 30 anni se non investire adesso nella famiglia. Per questo abbiamo bisogno di un criterio minimo equo e giusto per la durata e il pagamento del congedo di maternità in Europa. Così facendo daremo alle donne la possibilità di scegliere e di decidere sulla maternità.
Jutta Steinruck (S&D). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, quello che mi sembra manchi nella discussione è la necessaria distinzione tra recepimento nazionale a livello di Stati membri e compito esistente a livello europeo. Ci rendiamo tutti conto che occorre tenere in considerazione le specifiche caratteristiche delle singole nazioni. Ad ogni modo, per quanto riguarda il dibattito in Germania, devo dire che so esattamente come il mio paese potrebbe dare attuazione al documento. Quello che qui ci interessa è definire criteri minimi su scala europea per stabilire le condizioni sociali della donna. Cerchiamo sempre di fare riferimento all’Organizzazione internazionale del lavoro quando si parla di buon lavoro, di tutela sul lavoro e di salute, quindi mi chiedo: perché non in questo caso?
Riguardo al dibattito sui costi ricordo ai deputati in Assemblea che in Germania, e in qualche altro paese europeo, la direttiva antidiscriminazione ha generato forti pressioni da parte delle imprese. Si è parlato di una valanga di costi, di società che falliscono, di oneri per l’economia e per gli stessi lavoratori. Se a distanza di anni ci guardiamo indietro, quanto di tutto ciò si è avverato? Nulla. Questa discussione e questo lobbismo mi ricordano quei tempi. Vi esorto finalmente a mettere da parte l’economia e a mettere le persone al centro del nostro operato.
Non sono una di quelli che vogliono fare solo la predica. Ho detto di sostenere l’Europa sociale che, per me, include le donne. In questa situazione le donne necessitano del nostro aiuto.
Sari Essayah (PPE). – (FI) Signora Presidente, in sede di votazione la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha approvato una serie di emendamenti alla proposta di direttiva originariamente presentata dalla Commissione.
Purtroppo, negli emendamenti la commissione ha completamente ignorato il principio di sussidiarietà nella distribuzione dei costi. Il tentativo di armonizzare le norme sul congedo di maternità in 27 diversi Stati membri ha portato a una proposta confusa. Inoltre, in tutto questo c’è anche una proposta sul congedo di paternità che, dal punto di vista giuridico, non rientra nemmeno nell’ambito di applicazione della direttiva, come fortunatamente il Commissario ha chiaramente spiegato sin dall’inizio. Il congedo di paternità deve essere regolamentato insieme al sistema di congedo parentale, non al congedo inteso come recupero dalla gravidanza o dal parto.
Le proposte avanzate dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere poi ignorano i programmi riformisti di congedo parentale e di maternità previsti da altri paesi, tra cui i paesi nordici. Esse confondono questi sistemi di congedo parentale, che garantiscono libertà di scelta a livello nazionale, e per certi versi sminuiscono l’importanza del benessere della madre e del bambino. Secondo la proposta della commissione, ad esempio, se le madri iniziano la maternità obbligatoria di sei settimane solo dopo il parto le gestanti prossime al parto – e quindi i figli – corrono più rischi sul posto di lavoro. Le madri vicine alla scadenza non ce la faranno lavorando per otto ore al giorno, e la proposta porterà a un aumento dei congedi di malattia prima del parto.
La proposta della Commissione non considera come indennità i programmi nazionali che prevedono un congedo di maternità strettamente associato a un congedo parentale molto più lungo, in quanto non dà diritto al pieno stipendio. In Finlandia, ad esempio, i genitori possono rimanere a casa e occuparsi del bambino fino in media ai 18 mesi di età, e noi ce lo possiamo permettere perché i costi sono condivisi, nelle varie fasi, da datori di lavoro, lavoratori e contribuenti. Se l’intero importo gravasse sui datori di lavoro le opportunità lavorative della donna sicuramente diminuirebbero, creando un disservizio per le dipendenti.
Olle Ludvigsson (S&D). – (SV) Ora per noi è importante trovare soluzioni flessibili sui dettagli controversi di questa direttiva. Al tempo stesso, dobbiamo anche considerare il quadro generale della situazione. Parlando di uguaglianza, dove vogliamo essere tra 10 anni in Europa? In questo senso, è evidente che le norme proposte migliorerebbero la situazione nell’uguaglianza di genere.
L’uguaglianza di genere e le prospettive in materia farebbero passi avanti. Sarebbe possibile soddisfare l’obiettivo definito nella strategia UE 2020 per aumentare il tasso di occupazione femminile al 75 per cento. Un maggior numero di lavoratrici sarebbe sicuramente un vantaggio per la società. Ci sarebbero più incentivi per fare figli e avere una famiglia, e questo sarebbe un ottimo modo per combattere l’invecchiamento demografico europeo.
Quindi, nei dibattiti, non dimentichiamo il quadro generale della situazione.
Astrid Lulling (PPE). – (FR) Signora Presidente, normalmente il tempo porta consiglio. Purtroppo non è così per questa seconda relazione, approvata dalla maggioranza della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e oggetto di questo dibattito parlamentare 17 mesi dopo la prima relazione. Allo stato attuale questa seconda relazione è confusa, controproducente e sovraccarica di testi che non trovano posto in un atto legislativo tanto quanto la relazione rinviata alla commissione nel maggio 2009.
Abbiamo già perso due anni per migliorare la tutela della maternità. Se votiamo questa relazione nella sua forma attuale, perderemo come minimo altri due anni per discutere con il Consiglio in codecisione, mentre la proposta iniziale della Commissione del 2008 era ragionevole. Essa garantiva sostanziali progressi negli Stati membri che, in materia di durata e retribuzione del congedo di maternità, sono ancora al di sotto della soglia esistente in alcuni paesi: raramente viene concesso un congedo di 20 settimane a retribuzione piena e senza limiti pagata dallo Stato.
Non dimentichiamoci che, in questo caso, lo scopo è stabilire soglie minime e che non è possibile imporre soluzioni radicali ai 27. Infatti per incoraggiare una lavoratrice, soprattutto se qualificata, ad avere figli è più importante concederle il diritto a un congedo meno lungo ma pienamente retribuito che a un congedo di 20 o 30 settimane o più senza garanzia di stipendio pieno. Le proposte della relazione Estrela non sono solo controproducenti per l’occupabilità della donna, ma in alcuni Stati membri sono anche difficili da finanziare per i governi e le imprese. Meglio un passo concreto oggi nella giusta direzione che una promessa per il domani, da realizzarsi tra 10 anni.
Personalmente non voterò a favore della relazione nella sua forma attuale e chiedo ai colleghi di respingere tutti gli emendamenti che non hanno niente a che vedere con la tutela della maternità, come le disposizioni riguardanti le lavoratrici autonome. Appena quattro mesi fa abbiamo votato in Aula a favore di una direttiva sul congedo di maternità per le lavoratrici indipendenti.
Lo stesso dicasi per il congedo di paternità, onorevole Tarabella, e ne sono a favore. I belgi possono introdurre da domani un congedo di paternità di 20 settimane pienamente retribuito se hanno un governo, niente glielo impedisce. Analogamente, essendo questo un altro punto su cui riflettere, le parti sociali stanno discutendo una direttiva sul congedo di paternità. Aspettiamole, e poi interverremo come abbiamo fatto per il congedo parentale: è questo il giusto approccio da seguire.
Esorto i colleghi a votare a favore degli emendamenti che limitano il congedo a 18 settimane e degli emendamenti considerati, signora Presidente, presentati dal suo gruppo e dal mio.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata dall’onorevole Tarabella con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8)
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D). – (RO) L’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione in tutti gli ambiti della vita sociale ed economica è un presupposto essenziale alla tutela dei diritti dell’uomo e al benessere di ogni cittadino. La promozione del principio della pari opportunità tra uomo e donna, insieme a una maggiore partecipazione delle donne alla vita sociale ed economica come protagoniste a pieno titolo, devono essere una preoccupazione costante. Credo che questo approccio si debba riflettere nella politica agricola comune per garantire un’equa e giusta rappresentanza dei sessi. Esso, inoltre, può portare a un’efficace applicazione delle varie politiche europee in ogni ambito lavorativo, ma soprattutto nell’agricoltura.
Ricordando che il principio di uguaglianza di genere è promosso dalla normativa europea ed è uno dei criteri fondamentali della strategia Europa 2020, ritengo opportuno includere questo aspetto pure nell’agricoltura, anche attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti che promuovano questo principio. Sostengo entrambe le relazioni, Estrela e Thomsen, che portano in primo piano i problemi delle donne legati alla maternità e alle condizioni di lavoro, aspetti importanti nella vita di ogni donna e di chi tra noi deve mostrare solidarietà nei confronti dei loro problemi.
Marc Tarabella (S&D). – (FR) Signora Presidente, ringrazio l’onorevole Lulling per avere accettato la mia breve interruzione. Vorrei solo segnalare che in Belgio i padri già godono di un congedo retribuito di 10 giorni. Diciannove dei 27 paesi europei fanno altrettanto, con retribuzioni di diversi importi.
Volevo solo sapere se lei è favorevole o contraria a un’armonizzazione verso l’alto a livello europeo. Vero, due settimane non è molto ma è ragionevole: due settimane per tutti i padri europei di modo che possano condividere la responsabilità di accogliere in famiglia il nuovo arrivo. Volevo sapere se è favorevole o contraria a questa armonizzazione. Grazie della risposta, onorevole Lulling.
Astrid Lulling (PPE). – (FR) Signora Presidente, sono ovviamente a favore, onorevole Tarabella. Sono a favore di una direttiva europea ma non di risolvere la questione con questa direttiva, che riguarda la tutela di donne e bambini. Le parti sociali, come ho detto, stanno negoziando in questo periodo una direttiva sul congedo di paternità.
Credo si debbano aspettare i risultati. Così facendo avremo una buona proposta come quella che abbiamo avuto per il congedo parentale che, tra l’altro, abbiamo appena migliorato pur non giungendo alla perfezione. Credo che questo sia il giusto modo di procedere. Penso poi che occorra lasciare alle parti sociali il compito di fare proposte nel settore, perché sono quelle meglio in grado di farlo. Sono quindi a favore. Mi congratulo con lei, perché può migliorare la situazione in Belgio.
Volevo semplicemente dirvi, e dire a tutte le donne che non hanno minimamente capito che una direttiva europea presuppone norme minime, e non massime, che tutti possono spingersi oltre, ma che è importante dare ai paesi al di sotto della soglia di 18 settimane – ben al di sotto – la possibilità di adeguarsi.
Inoltre credo che, se io e lei avessimo dovuto redigere questa relazione, avremmo adottato molto tempo fa le giuste misure in Assemblea in codecisione con il Consiglio.
Thomas Mann (PPE). – (DE) Signora Presidente, ora so cosa fare per cambiare e allungare il tempo di parola. La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha richiesto un congedo di maternità di 18 settimane, ovvero quattro settimane in più di quanto concordato di comune accordo in Germania. La commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha richiesto 20 settimane a stipendio pieno, due settimane di congedo di paternità e l’estensione alle lavoratrici autonome. Quello che si è fatto passare totalmente in secondo piano è che, stando alle dichiarazioni della Commissione, le 20 settimane costeranno alla Francia altri 2 miliardi di euro all’anno e al Regno Unito altri 2,85 miliardi di euro. Per la Germania i costi aggiuntivi si aggirerebbero intorno a 1,7 miliardi di euro. Talvolta bisogna pensare ai costi.
Di recente è stato pubblicato uno studio congiunto delle due commissioni che riportava numerosi errori. I pagamenti come le indennità di maternità concesse dalla Germania non sono stati inclusi. Il quadro di riferimento del congedo parentale tedesco era sbagliato. Le stime dei costi commissionate da alcuni Stati membri non sono state prese sufficientemente in considerazione. Non è possibile attuare una politica responsabile su queste basi. La Germania è esemplare: nel periodo di congedo parentale si continuano a versare due terzi dello stipendio per 14 mesi. Questo estende le 14 settimane di congedo di maternità fino a 170 settimane facendo della Germania un campione europeo nella tutela dei neonati: per questo merita una clausola di esenzione nella direttiva.
Per questo ho presentato un emendamento insieme a 50 colleghi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), appoggiato dai Conservatori e Riformisti europei e da gran parte del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa. Lo scopo è tenere in debita considerazione i sistemi nazionali. Speriamo che la maggioranza dell’Assemblea appoggi questo richiamo alla ragionevolezza nella votazione di mercoledì. Vogliamo che le madri siano adeguatamente tutelate ma se la tutela viene esasperata, soprattutto per motivi ideologici, rappresenterà un grande ostacolo all’occupazione femminile, ed è un aspetto da eliminare e non da incoraggiare.
Anna Hedh (S&D). – (SV) Molti Stati membri hanno registrato forti reazioni a questa relazione e molti politici hanno cercato di guadagnare punti facendo a pezzi questa iniziativa europea. Si dimentica però il fatto che questa è la revisione di una direttiva in essere. I cittadini possono pensare ciò che vogliono su quello che deve essere regolamentato a livello europeo ma, lo ribadisco, esiste già una direttiva che abbiamo l’opportunità di migliorare.
Il tema dell’uguaglianza di genere ha assunto più importanza con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, e noi abbiamo la responsabilità di svilupparla. Oggi riscontriamo che gli Stati membri dotati di norme ben funzionanti sul congedo di maternità sono anche contrassegnati da un elevato tasso di occupazione femminile. Ciò è in contrasto con la situazione di quei paesi provvisti di meno norme dai risultati meno brillanti.
Se questa direttiva sarà approvata avremo anche maggiori possibilità di raggiungere l’obiettivo fissato dalla strategia UE 2020. Sono d’accordo, ci sono alcuni dettagli controversi nella proposta, ma la cosa importante è che possiamo migliorarla. I critici sostengono che la proposta comporta costi troppo elevati, ma io sono convinta che una maggiore uguaglianza sarà un vantaggio per la società.
Barbara Matera (PPE). - Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi questa Plenaria – rappresentativa di ben 27 Stati – con coraggio e caparbietà ha deciso di affrontare ancora una volta una tematica delicata, ma al tempo stesso attuale, per la crescita sociale dei nostri paesi. Si tratta di una relazione che tocca le politiche sociali, del lavoro ed economiche dei nostri Stati ma che interessa anche tutta l'Europa che vuol crescere all'unisono.
La relazione Estrela, discussa ed emendata, persegue con convinzione il principio della conciliazione tra vita privata e mondo del lavoro e quello delle pari opportunità, e quindi di un sano ed equilibrato progresso. Garantire in tutta Europa una soglia minima di tutela dei suddetti principi equivale a migliorare la qualità della vita delle nostre famiglie e non solo delle nostre donne – e quindi anche noi – ciò che stiamo affrontando con convinzione e con giusti compromessi.
L'equilibrio è necessario nelle finalità come nelle modalità scelte e deve salvaguardare sia la posizione delle donne sul mercato del lavoro che le prerogative degli Stati nell'attuazione delle loro politiche. Monet ci ha insegnato a crescere attraverso piccoli passi. Incominciamo a percorrere questi piccoli passi, senza paura di farne seguire degli altri.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D). – (LT) Oggigiorno è veramente molto importante conciliare meglio la vita privata e la vita professionale tendendo alla crescita economica, al benessere e alla competitività nel settore dell’uguaglianza di genere. Essendoci un forte calo del tasso di natalità in quasi tutti gli Stati membri, occorre adottare misure per creare le migliori condizioni possibili in cui le madri possano crescere i figli e avere la possibilità concreta di tornare sul mercato del lavoro. Esorto inoltre gli Stati membri e gli eurodeputati a trovare il modo di coordinare il costo dell’indennità di maternità e dell’assegno per la cura dei figli, cosicché le donne non siano una forza lavoro più costosa degli uomini. La condivisione delle responsabilità familiari e la possibilità di concedere anche agli uomini il diritto a due settimane di congedo di paternità offrirebbero alle donne maggiori opportunità di tornare al lavoro e rafforzerebbero i rapporti familiari. Sono quindi convinta che un congedo di maternità più lungo promuoverebbe anche un aumento dei tassi di natalità, visto soprattutto il rapido invecchiamento della nostra società.
Anne Delvaux (PPE). – (FR) Signora Presidente, a mio avviso la necessità di valorizzare il congedo familiare è lampante: alzare la soglia minima del congedo di maternità è un passo avanti, un vantaggio, e non bisogna essere totalmente demagogici paragonando l’impatto economico a un vantaggio qualitativo difficilmente quantificabile.
Il problema, però, si compone essenzialmente di due aspetti: il primo è il contesto economico, è vero, ma non è motivo sufficiente per piantare in asso ancora per decenni milioni di famiglie; il secondo riguarda gli accorgimenti giuridici della relazione, perché il testo prevede diversi tipi di congedi familiari dalle basi giuridiche inconciliabili. Prendiamo il congedo di adozione, che nel testo figura accanto ai congedi di maternità e di paternità.
Personalmente apprezzo, in qualità di madre adottiva e a nome di tutte le donne che rappresento, la volontà di concedere gli stessi diritti di quelli spettanti alle madri biologiche. Di fatto sono il piccolo pacchetto supplementare da aggiungere alla relazione Estrela cui faceva riferimento l’onorevole Morin-Chartier.
Se l’obiettivo è effettivamente consolidare la salute e i diritti delle donne – di tutte le donne – sul mercato del lavoro, le madri adottive diventate madri come le altre devono godere degli stessi diritti e della stessa tutela sul lavoro. Sono madri a pieno titolo come le altre, che adottino un bambino di più o meno di 12 mesi; bisogna evitare le discriminazioni che figurano nel testo.
Per quanto riguarda le adozioni, mi rammarico che il testo entri così poco in dettaglio. Non include nemmeno nessun risultato della valutazione d’impatto Ramboll. Nessun punto è stato trattato in maniera approfondita, e questo è chiaramente un punto debole. Ciononostante, malgrado queste limitazioni, appoggerò la relazione Estrela perché considerazioni economiche a parte ci sono uomini e donne che devono assumersi una maggiore responsabilità genitoriale in una società sempre meno interessata all’educazione dei giovani, senza contare che è nostro dovere fare in modo che nessuno debba scegliere di sacrificare i figli al lavoro, o il lavoro ai figli.
Infine, noi non sediamo al Consiglio ma in Parlamento. Se non siamo ambiziosi noi, rappresentanti eletti dal popolo, chi deve esserlo?
Sylvie Guillaume (S&D). – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono state dette molte cose, soprattutto appena adesso. Ma tutti i vari e diversi sviluppi e controversie della relazione Estrela dimostrano una cosa: che ancora oggi è molto difficile trattare serenamente il tema dell’uguaglianza di genere e, soprattutto, della conciliazione tra vita familiare e vita professionale.
Questo testo legislativo ha conosciuto – perdonatemi l’espressione – un difficile periodo di gestazione, soprattutto perché la mentalità in questo settore deve ancora evolvere di molto. Le valutazioni d’impatto sono senza dubbio necessarie per assicurare una buona comprensione di ciò che è in gioco. Bisogna tuttavia prenderle per quello che sono, e con cautela. Le conclusioni contraddittorie a cui arrivano ne sono, aggiungerei, la prova evidente.
Ovviamente sarebbe stupido non sollevare la questione dei potenziali costi generati da alcuni emendamenti proposti. Però sarebbe altrettanto stupido rifiutarsi di considerare i vantaggi socioeconomici a medio e lungo termine sulla salute di madri e figli, o sull’uguaglianza di genere nel mercato del lavoro. Inoltre, mi sembra che la nostra discussione meriti di più che certe caricature e stereotipi che si sentono ancora oggi.
PRESIDENZA DELL’ON. KOCH-MEHRIN Vicepresidente
Regina Bastos (PPE). – (PT) L’Europa sta invecchiando e registra bassissimi tassi di natalità. Questi fattori rappresentano un’enorme sfida per l’Unione europea alla quale dobbiamo rispondere con soluzioni concrete. In questo dibattito ci siamo trovati d’accordo su questa constatazione, nonostante i diversi punti di vista evidenziati nella discussione.
In Portogallo, ad esempio, il tasso di natalità non è abbastanza elevato per garantire il rinnovamento generazionale ed evidenzia una realtà che compromette il futuro. Questa situazione è presente nel mio paese come nella maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea. Sono sicura che politiche più flessibili sul congedo di maternità possano contribuire a invertire queste tendenze. Dobbiamo inviare alle famiglie un costante messaggio di aiuto alla maternità, con misure concrete per una migliore conciliazione della vita professionale, privata e familiare. Le donne devono essere protette per potere scegliere di avere figli senza dovere lasciare il mercato del lavoro. Vincere questa sfida è di fondamentale importanza se vogliamo raggiungere gli obiettivi sociali ed economici definiti nella strategia Europa 2020 e combattere l’invecchiamento demografico.
In Portogallo, ad esempio, il congedo di maternità è già retribuito al 100 per cento per 120 giorni, nel tentativo di contrapporsi al calo delle nascite che subiamo. Credo quindi che lo stipendio delle donne debba essere garantito durante il congedo di maternità nel modo descritto nella relazione oggetto del dibattito. Permettere a ogni Stato membro, entro il 2020, di creare le condizioni per riuscire a pagare uno stipendio pieno durante il congedo maternità sembra essere un passo sensato.
Per concludere mi congratulo con la relatrice, onorevole Estrela, per la perseveranza dimostrata nel difendere le misure volte a proteggere le famiglie, contribuendo parallelamente a contrastare l’invecchiamento della popolazione.
Iratxe García Pérez (S&D). – (ES) Signora Presidente, credo siamo tutti coscienti della responsabilità che il Parlamento deve assumersi oggi nel rivedere la direttiva sulle condizioni lavorative della donna; una direttiva che discutiamo dalla precedente legislatura e su cui, a causa di vari punti di vista e difficoltà, non siamo riusciti a procedere.
Per questo dico che oggi dobbiamo assumerci una responsabilità, nell’ambito dei diversi punti di vista che possiamo avere, per progredire sull’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne e migliorare le condizioni di vita della donna sul mercato del lavoro.
Questa direttiva non si limita al numero di settimane di congedo di maternità, e certamente siamo tutti d’accordo che 14 settimane non sono sufficienti e che occorre allungare la durata. Ma a parte il numero di settimane, stiamo parlando di considerare ingiusto il licenziamento di una donna che è diventata madre, o di concedere un congedo di paternità per tutelare la salute di una madre lavoratrice.
Non capisco perché si dica che il congedo di paternità non è a vantaggio della salute delle madri lavoratrici. Ovvio che lo è. Permettere al padre e alla madre di condividere la cura dei figli nei primi giorni dopo la nascita è indispensabile e fondamentale per progredire nell’uguaglianza tra uomo e donna. Ci sono paesi come la Spagna che hanno già messo in atto il congedo di paternità indipendente e trasferibile.
Dobbiamo dare agli uomini la possibilità di assumersi la responsabilità insieme alle donne per procedere nella direzione intrapresa. Credo sia importante.
Desidero ringraziare la relatrice, onorevole Estrela, per il lavoro svolto e per la responsabilità del Parlamento nel …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Godfrey Bloom (EFD). – (EN) Signora Presidente, circa cinque anni e mezzo fa ho suscitato reazioni molto indignate dicendo che un piccolo imprenditore con la testa sulla spalle sarebbe un pazzo ad assumere una donna in età fertile.
Da allora le cose sono peggiorate sempre più perché la bilancia che pendeva a favore dei dipendenti e non dei datori di lavoro è totalmente fuori controllo. Uno dei miei elettori di York lo scorso anno mi ha scritto dicendomi che a parte il fatto di assumere donne in età fertile, è pazzo qualsiasi piccolo imprenditore che pensi di assumere.
Ci troviamo di fronte a una situazione straordinaria, non è vero? Ci sono giovani donne che non vedono l’ora di iniziare un lavoro, di lavorare per le imprese soprattutto se piccole imprese – che rappresentano il motore dell’economia del Regno Unito – e ci sono datori di lavoro terrorizzati dall’assumerle. Questo è il nostro problema. Proprio in questa sede, con deputati dalla scarsa esperienza commerciale, stiamo quasi impedendo alle piccole imprese di assumere giovani donne, al contrario di quanto vogliono fare.
In passato, quando in questa sede si impediva all’economia europea di funzionare, pensavo fosse una sorta di congiura cinese, con i cinesi dietro le quinte che peggioravano talmente le cose da costringerci a importare tutto dalla Cina. Ho un’altra ipotesi adesso, e cioè che le donne che siedono nelle commissioni, in Commissione e in Aula rendendo la vita difficile alle imprese nell’assumere giovani donne non vogliono perdere di vista il loro interesse.
Penso che quando l’elettorato, tra qualche anno, le giudicherà e molto giustamente le caccerà per incompetenza e stupidità, riusciranno a tornare al lavoro solo perché saranno di mezza età o di tarda mezza età. Per loro i giochi saranno fatti. Questa è la mia ipotesi. Non riesco a pensare ad altra risposta ragionevole a questa sorta di ridicola interferenza tra datore di lavoro e dipendente. Se pensate sia un’ipotesi strana, paragonabile al modo in cui parlate dei cambiamenti climatici, credetemi, niente è troppo stupido per questa Assemblea.
Salvatore Iacolino (PPE). - Signora Presidente, non v'è dubbio che aver portato in discussione in Parlamento un progetto legislativo dopo diciotto mesi di attività intensa vada certamente registrato con favore. È ovvio che un progetto con queste caratteristiche risenta di sensibilità diverse, dato che le stesse legislazioni degli Stati membri sono profondamente diverse. Tuttavia, la portata innovativa del provvedimento è un risultato da valutare in maniera assolutamente positiva, così come l'affermazione del principio della centralità della famiglia, quello della garanzia di un livello elevato di protezione sociale nei confronti della donna e nei confronti della donna in una condizione particolare come quella del parto.
Deve altresì essere assicurata un'omogeneità nella tutela del parto – e questo lo affermo malgrado ritenga che la portata normativa di questo provvedimento sia già più ampia di quella originariamente prevista – in quanto va sottolineato come in Europa e anche in molti Stati membri vi sia ancora una differenza notevole nella tutela del parto e della vita nascente.
Questa attività deve essere ovviamente conciliata con l'esigenza di eliminare abusi da parte dei datori di lavoro, così come va circoscritto l'ambito degli emendamenti – alcuni dei quali, a mio parere, irrigidiscono il complesso della normativa – a cominciare dal congedo di paternità, che mi sembra essere distante rispetto a un provvedimento emanato fondamentalmente a tutela della donna.
Non v'è dubbio infine che debba essere tenuto in debito conto il problema dei lavoratori immigrati e dei collaboratori domestici, che fanno parte dell'altro elemento integrato a questo – il progetto legislativo sulle lavoratrici precarie – in un mercato flessibile ed elastico, dove la donna, soprattutto oggi, deve essere vista come una risorsa al servizio della comunità.
Nicole Sinclaire (NI). – (EN) Signora Presidente, i datori di lavoro e il governo britannico spingono gli europarlamentari britannici a bocciare le proposte per aumentare il congedo di maternità pienamente retribuito da 14 a 20 settimane, anche se penso che sia una vera e propria ipocrisia da parte dei conservatori che, in commissione, hanno presentato un emendamento chiedendo 24 settimane retribuite. Come dico io, a quanto pare l’ipocrisia non conosce confini.
Secondo la Federazione britannica delle piccole imprese si tratta di piani insostenibili, che costerebbero alle aziende del paese oltre 2,5 miliardi di sterline inglesi all’anno. Anche il governo di coalizione del Regno unito, che include i liberaldemocratici, si oppone a questi cambiamenti. Le modifiche proposte costeranno al Regno Unito 2 miliardi di sterline inglesi in un periodo in cui i lavoratori dei settori pubblico e privato vengono licenziati per risparmiare somme meno elevate.
I cambiamenti inoltre potrebbero rivelarsi controproducenti perché, secondo il governo britannico, le lavoratrici meglio retribuite godranno di più vantaggi e quelle peggio retribuite di meno vantaggi. Nonostante le buone intenzioni, essi rallenteranno il processo di uguaglianza per le madri lavoratrici. Senza contare che queste novità incoraggeranno i datori di lavoro a preferire candidati maschi.
Signora Presidente, esistono altri modi per migliorare i diritti delle madri in periodo di allattamento, ad esempio sistemi di congedo più flessibili. Oltre a ciò rispettiamo le varie differenze sociali e culturali dei singoli Stati membri. Una soluzione universale non è semplicemente accettabile. Le famiglie che lavorano e che contano così tanto su di noi per avere una normativa adeguata per vivere, lavorare e crescere i figli vivono nel mondo reale, non in una Eurodisney ideologica.
Questi cambiamenti vengono proposti al momento sbagliato e favoriscono le persone sbagliate. In un momento in cui i governi di tutta Europa cercano di ridurre la spesa pubblica, voi cercate di aumentare i costi del lavoro colpendo un settore in cui le donne sono sottorappresentate e, quindi, più esposte alla possibilità di tagli. Il Regno Unito è già provvisto dei criteri migliori, più giusti e più generosi in materia di congedo di maternità e paternità. Attualmente alle nostre madri spettano sei settimane con uno stipendio al 90 per cento, seguite da 33 settimane di congedo di maternità obbligatorio a 125 sterline inglesi alla settimana.
Voterò nell’interesse del popolo britannico. Seguirò il consiglio del governo di Sua Maestà e voterò contro gli emendamenti sul congedo di maternità.
Ria Oomen-Ruijten (PPE). – (NL) Signora Presidente, dopo avere ascoltato quanto è stato detto in plenaria sono certa che non si è raggiunta la parità di trattamento tra uomo e donna che, in effetti, ha richiesto molti sforzi e coraggio e anche molti soldi. Lo dico non solo ad alcuni del mio gruppo, che per inciso hanno lasciato l’Aula, ma anche ad altri. Questo è il primo punto.
Il secondo riguarda l’invecchiamento e la struttura demografica sbilanciata di questa società. È una questione estremamente importante per l’Europa, motivo per cui è indispensabile dare più possibilità di avere figli. Ad esempio, apprezzo molto l’intervista appena rilasciata dal ministro francese per le finanze, signora Lagarde, sulla posizione delle donne sul posto di lavoro, che è stata perfetta. Spero si continui a sposare questa linea.
Il terzo punto è che la parità di trattamento rappresenta un impegno nei confronti dell’Europa sociale. Abbiamo detto che, in questa Europa sociale, uomini e donne devono godere di pari opportunità sul mercato del lavoro e anche avere la possibilità di avere figli. In questo momento miriamo tutti a 18 settimane, e più o meno abbiamo trovato un accordo, ma non sappiamo ancora come potremo permettercelo.
Non ho alcuna obiezione riguardo al compromesso presentato dal mio gruppo sull’imposizione del 75 per cento massimo sulle quattro settimane. Quello che obietto è che il compromesso è anche associato ai costi sanitari. È questa la mia principale obiezione, perché a paesi come Regno Unito e Irlanda – anche in Francia questi costi sono fortemente sovvenzionati – dà la possibilità di evitare il 75 per cento che devono continuare a pagare. Mi chiedo quindi se sia forse possibile bocciare questa parte del compromesso. Per l’Aula ciò significherebbe anche dare un parere comune che potrebbe ottenere l’approvazione della maggioranza del Consiglio.
Pascale Gruny (PPE). – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, abbiamo bisogno di una legislazione europea a tutela della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, e dobbiamo rispondere alla sfida demografica che ci aspetta e promuovere un incremento del tasso di natalità in Europa. Questi passi avanti però non devono rappresentare un freno all’occupazione femminile.
Vorrei sottolineare tre punti. In primo luogo accolgo con favore la proposta della Commissione europea sulla sicurezza e la salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Pongo proprio l’accento sul titolo, che rappresenta il quadro giuridico di questa direttiva perché, troppo spesso, tendiamo a dimenticarci di cosa si occupa esattamente il testo. Si parla di donne perché, fino a prova contraria, gli uomini non partoriscono.
Il dibattito tende a smorzare i toni facendo riferimento al congedo di paternità o parentale. Risolviamo innanzi tutto il problema delle donne, occupandoci della loro salute quando mettono al mondo un figlio. Dobbiamo prevedere vere e proprie garanzie per proteggere la salute di queste donne nel mercato del lavoro. Il congedo di paternità e parentale sarà trattato in un’altra direttiva.
In secondo luogo la discussione si incentra sul numero di settimane. Attualmente la durata media è fissata a 14 settimane. La Commissione europea ne propone 18 e la relazione 20. Ovviamente, in qualità di donna e madre di tre figli, vorrei che le madri potessero stare vicino ai neonati il più possibile. Una domanda però sorge spontanea: chi pagherà questa proroga da 14 a 20 settimane? Lo Stato? Le imprese?
Sono convinta che un incremento medio da 14 a 18 settimane sia un importante sviluppo europeo e un investimento concreto della nostra economia nella promozione della natalità in Europa. Venti settimane rischierebbero di avere un effetto negativo sull’occupazione delle donne, perché metterebbero un freno al lavoro. In questo periodo di crisi, le imprese e i nostri Stati non possono sostenere questo ulteriore ed enorme onere finanziario.
In terzo luogo, maggiore priorità deve essere data al miglioramento dell’assistenza all’infanzia affinché le madri possano conciliare la vita professionale e familiare. Sono stati compiuti pochi progressi in materia nonostante i molteplici appelli del Parlamento. Quindi cerchiamo di non essere controproducenti, e di non rimandare le donne a casa.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Colgo l’occasione per fare le condoglianze alla famiglia di Maricica Hăhăianu. Questa infermiera rumena di 32 anni era emigrata in Italia in cerca di un lavoro migliore, e la scorsa settimana ha perso la vita dopo l’aggressione di un giovane italiano in una stazione della metropolitana di Roma.
Credo che le condizioni di lavoro precarie debbano essere una preoccupazione per l’Europa. Le donne svolgono perlopiù lavori scarsamente retribuiti e rappresentano la grande maggioranza dei lavoratori a tempo parziale nell’Unione europea. Ci sono però casi in cui la crisi ha avuto un impatto limitato sulle donne attive nel mercato del lavoro. In Romania, ad esempio, la percentuale di donne che ha trovato un lavoro ha continuato ad aumentare nel 2009.
Attiro la vostra attenzione sulla situazione sfavorevole in cui versano le donne che lavorano all’estero. Spesso lavorano illegalmente e non godono di alcun diritto…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Rovana Plumb (S&D). – (RO) Parlerò nuovamente della direttiva sul congedo di maternità. Ho ascoltato con molta attenzione il dibattito di questa sera e vorrei dire che chi si oppone alla proposta, ovvero al prolungamento del congedo di maternità e alla piena retribuzione, può solo fornire un’argomentazione di natura economica. Si tratta però di un’argomentazione semplicistica perché, se si guarda oltre il disavanzo di bilancio, capiamo di avere a che fare con persone. Essi ignorano che i vantaggi andranno perlopiù a favore di questa relazione, sia per i dipendenti che per i datori di lavoro. Sì, anche dei datori di lavoro, nel senso di investire per il futuro.
Inoltre chi è contrario non si rende conto che penalizzare la maternità e il concetto di maternità in un periodo di calo delle nascite, per non parlare dell’invecchiamento e dell’impoverimento della popolazione, influisce sulla sostenibilità dei programmi di previdenza sociale.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) Signora Presidente, anch’io ho ascoltato con attenzione quanto è stato detto sino ad ora e constato che, come molto spesso succede, il troppo stroppia. Le argomentazioni addotte per giustificare questo supercongedo di maternità – 20 settimane, di cui sei obbligatorie prima della nascita del bambino e due dopo a stipendio pieno – non convincono. Sicuramente non è con questo tipo di misura isolata che l’Europa risponderà alle sfide estremamente complesse della demografia e dell’occupazione femminile.
Seriamente, chi può pensare che si decida di avere un figlio, un bambino, per beneficiare di cinque mesi di congedo invece di quattro mesi e mezzo? D’altro canto, non credo che negare alle donne la libertà di scelta contribuisca a migliorare la loro condizione. Inoltre, ricordiamoci per favore gli effetti e i danni collaterali delle decisioni che prendiamo. Proteggere le donne significa innanzi tutto non superare i limiti con le nostre richieste e, quindi, non creare le condizioni per lo sviluppo di nuove forme di discriminazione quando vengono assunte e quando tornano al lavoro, come confermano ad esempio tutti gli esperti dell’OCSE e della Union des Classes Moyennes.
Sono quindi chiaramente a favore del congedo di 18 settimane, del principio del congedo di paternità e, naturalmente, della possibilità di spingersi oltre per gli Stati membri.
Franziska Katharina Brantner (Verts/ALE). – (DE) Signora Presidente, ho solo una breve osservazione sul riconoscimento dei periodi di congedo parentale nei singoli paesi. Anche l’onorevole Mann e i suoi colleghi hanno presentato emendamenti in materia, compreso l’emendamento n. 115, la cui prima parte verte sulla necessità o meno di contare le quattro settimane.
Purtroppo, ciò è associato nella seconda parte dell’emendamento – ora lo leggerò ad alta voce per essere del tutto chiaro – al fatto che la retribuzione può essere la media della retribuzione concessa per le 18 settimane di congedo di maternità, pari ad almeno il 75 per cento dell’ultima retribuzione mensile percepita o di una retribuzione mensile media come previsto dalla normativa nazionale, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali. In realtà ciò significa che, nel decidere i finanziamenti al settore e l’importo spettante alle donne in questo periodo, stiamo rinunciando all’armonizzazione europea. È inaccettabile. Sarebbe un grande peccato se l’emendamento dovesse essere approvato nella sua interezza perché, in ultima analisi, non vogliamo rinunciare all’armonizzazione europea, bensì potenziarla per migliorare la situazione di uomini e donne.
Cornelia Ernst (GUE/NGL). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, dobbiamo chiederci cosa veramente vogliamo raggiungere con questa discussione. Vogliamo forse migliorare un po’ l’uguaglianza e dare un po’ di assistenza alle famiglie al minor costo possibile? Ovviamente conciliare la vita familiare e la vita professionale costa. Ai colleghi deputati tedeschi vorrei chiedere: cosa sono 1 miliardo di euro spesi in Germania se, al tempo stesso, concediamo 450 miliardi di euro in garanzie bancarie? Qual è il nostro vero obiettivo in questo settore? Lo stipendio pieno per il congedo parentale è giustissimo. Cos’altro dovrebbe essere? Non è tempo libero, non sono vacanze; è un lavoro svolto dalle persone.
Ovviamente vogliamo estendere il periodo a 20 settimane, perché crediamo sia l’unico modo per dare il giusto spazio a questo lavoro.
Inoltre non vogliamo limitarci ad avere un po’ più di uguaglianza nella vita lavorativa. Vogliamo un’uguaglianza totale, per uomini e donne. Occorre prendere misure drastiche se vogliamo garantirla, come uno stipendio minimo obbligatorio in tutti gli Stati membri.
Angelika Werthmann (NI). – (DE) Signora Presidente, la tutela della maternità deve rimanere di competenza degli Stati membri per via delle differenze culturali in Europa. L’Austria prevede 16 settimane di congedo di maternità. Prorogare questo periodo avrebbe un costo annuo di 17,4 milioni di euro per ogni settimana aggiuntiva. Rendere obbligatorio il congedo di 20 settimane costerebbe all’Austria più di 60 milioni di euro. Il costo aggiuntivo sarebbe anche più elevato dando due settimane di congedo di paternità retribuito a ogni padre.
Cerchiamo di essere chiari nelle nostre riflessioni: in primo luogo si tratta di una decisione assolutamente personale da parte dei genitori, in secondo luogo credo che comporti il rischio di ulteriori discriminazioni contro le donne in età fertile. Potrebbe promuovere il precariato, cui il 31,5 per cento delle donne con un lavoro retribuito sono già soggette. Il punto è: è questo che veramente vogliamo?
Seán Kelly (PPE). – (GA) Signora Presidente, questa sera il dibattito in Aula è stato eccellente e, in generale, le osservazioni fatte sono state molto buone. I punti sollevati erano idealistici, ma l’onorevole Estrela merita il nostro plauso per averli posti alla nostra attenzione. Al tempo stesso però bisogna essere pratici e realistici. Personalmente ho qualche dubbio. Accettando tutti questi suggerimenti è possibile che le giovani donne, nello specifico, non riusciranno a trovare un lavoro. Valuto la cosa da un punto di vista genitoriale. Ho due figlie e voglio che abbiano la stessa possibilità dei maschi di avere un lavoro. Questa è la cosa più importante! In Irlanda ci troviamo in difficoltà dal punto di vista finanziario. Il 20 per cento dei giovani è disoccupato. Nel settore della piccola e media impresa chiudono quattro aziende al giorno e abbiamo il bilancio peggiore della storia. Quindi, pur essendovi molti suggerimenti validi, credo siano più applicabili in un prossimo futuro. In questo momento non li vedo praticabili.
Marita Ulvskog (S&D). – (SV) La discussione è stata emozionante. Credo ci dimostri la possibilità di trovare un compromesso e prendere una decisione in materia.
Penso sarebbe estremamente positivo se riuscissimo a farlo e, ovviamente, è necessario procedere tenendo conto della diversità dei sistemi. Sono stati registrati diversi progressi nei vari Stati membri.
Io vengo dalla Svezia, dove il congedo parentale dura più di un anno dando diritto a una retribuzione elevata e dove il padre è costretto a usufruire di una parte del congedo parentale.
Non credo possibile, su scala europea, raggiungere risultati altrettanto positivi per uomini, donne e bambini e nel livello di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Facciamo però in modo di arrivare a una direttiva dai criteri minimi che ci consenta di giungere a un accordo.
Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE). – (PL) Con riferimento all’attività lavorativa delle donne considererò due fasce d’età: la prima, oggi già a lungo discussa, è costituita da giovani donne con un’ottima istruzione che non riescono a trovare un lavoro poiché i datori spesso diffidano dei costi legati alla gravidanza e al congedo di maternità.
La seconda è rappresentata da donne oltre i 50 anni di età, considerate meno produttive e meno creative. In base alle statistiche le donne di età compresa tra i 59 e i 60 anni costituiscono solo il 25 per cento dei dipendenti in questa fascia di età. La percentuale delle donne attive oltre i 60 è addirittura inferiore. Ecco perché, se parliamo di lavoratrici precarie, dovremmo considerare entrambi i gruppi e fare il possibile per aiutare le donne a trovare il primo lavoro, tornare al lavoro dopo il congedo di maternità e migliorare la propria qualifica.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). – (ES) Signora Presidente, scopo di questa iniziativa è migliorare la salute e la sicurezza delle lavoratrici gestanti o puerpere e applicare misure per conciliare la vita familiare e lavorativa.
Le donne d’Europa oggi guardano al Parlamento europeo e si aspettano da parte nostra misure moderne, richieste dal XXI secolo. Per questo dobbiamo parlare della possibilità di 20 settimane di congedo, retribuite al 100 per cento con lo stipendio della madre, dell’inclusione delle lavoratrici autonome, della possibilità che i padri prendano il congedo dopo la nascita e dell’uguaglianza di genere nel congedo. L’argomento non riguarda solo le donne.
Parlare dei costi del congedo di maternità non è solo un’ennesima punizione per la donna, ma anche una mancanza di responsabilità vista la crisi delle nascite e l’invecchiamento demografico in corso in Europa, che contribuisce altresì allo sviluppo della crisi economica.
Vi siete mai chiesti, ad esempio, qual è il costo dell’assenteismo in Europa? Non ho sentito neanche una parola in merito. Abbiamo l’opportunità di fare passi avanti nell’uguaglianza tra uomo e donna, quindi non deludiamo i cittadini europei.
Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signora Presidente, ringrazio tutti gli onorevoli parlamentari per avere partecipato a questa importante, stimolante e direi anche appassionata discussione.
Pur analizzando questi temi da diverse angolazioni, la maggior parte dei presenti è d’accordo su molti aspetti. Il congedo di maternità non deve essere penalizzato, dobbiamo impegnarci a fondo per avere una retribuzione uguale, e dobbiamo analizzare molto attentamente le conseguenze economiche delle decisioni qui adottate.
Molti di voi hanno parlato del congedo di paternità o parentale. Voglio solo ricordarvi che la direttiva sul congedo parentale di recente adozione concede ai genitori un minimo di otto mesi per bambino. Per la prima volta i padri europei sono incoraggiati a livello giuridico a prendere il congedo.
Se il padre non si assume le sue responsabilità perde un mese intero di congedo. Questa direttiva entrerà presto in vigore e porteremo avanti i progressi compiuti esaminando attentamente le ulteriori proposte sul congedo di paternità.
Come ho affermato nell’intervento iniziale stiamo vagliando la situazione e molto presto torneremo da voi con i risultati.
Consentitemi un’osservazione personale sull’importanza di incoraggiare i padri a prendersi cura dei figli. Ho avuto la fortuna di essere presente al parto di due dei miei tre figli. Ovviamente, in quei momenti in ospedale la cosa più importante che potessi fare è stata mostrare coraggio e far finta di non essere preoccupato o spaventato cercando di dare a mia moglie tutto l’appoggio morale possibile. Qualche volta però erano mia moglie e le gentili infermiere a prendersi cura di me affinché potessi dare sostegno morale! Non dimenticherò mai i momenti molto importanti dopo il parto e i primissimi giorni in cui ho potuto aiutare mia moglie con il neonato.
È più che evidente che non sono solo le madri a dovere stabilire un forte legame con il neonato. I padri devono fare altrettanto: bisogna incoraggiarli a cambiare il modello genitoriale e creare le condizioni in cui anche i padri possano stabilire un legame affettivo con il figlio.
Tornando alle relazioni oggetto della discussione odierna e in merito alla relazione Thomsen sul lavoro precario, ho preso attentamente nota di quanto affermato. Posso garantirvi che la Commissione sosterrà le misure volte a migliorare le condizioni professionali delle lavoratrici precarie monitorando la politica nazionale del lavoro e, soprattutto, fornendo sostegno con i fondi strutturali.
Per quanto riguarda l’operato dell’onorevole Estrela sulla proposta della Commissione per un rafforzamento della direttiva sul congedo di maternità, stiamo cercando di trovare un equilibrio molto difficile. Occorre garantire i diritti fondamentali delle lavoratrici, ma senza fornire una scusa agli Stati membri per interrompere questi negoziati molto importanti. Dobbiamo studiare i modelli che ci offrono, allo stesso tempo, tassi di occupazione e tassi di natalità elevati.
In questo senso la Commissione accoglie con favore gli emendamenti tesi a mantenere il congedo di maternità minimo a 18 settimane, definire un diverso livello retributivo, mantenere il riferimento al congedo di malattia, e consentire ad altre forme di congedo di essere considerate alla stessa stregua del congedo di maternità.
Tutto questo a condizione che non si arrivi a compromettere la tutela esistente. Tornare indietro su questo tema non può essere una soluzione per l’Unione europea.
Auspico vivamente che Parlamento e Consiglio siano in grado di raggiungere un compromesso. La posizione della Commissione vuole colmare il divario tra le posizioni delle due istituzioni e fornire una solida base giuridica per il futuro dibattito.
Il miglioramento della condizione femminile in Europa deve essere il nostro obiettivo ultimo. Le donne contribuiscono enormemente alla società, e la società deve trovare il modo di ripagarle.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (EN) Signora Presidente, temo ci siano stati molti colleghi cui è stata data la parola, che sicuramente sono arrivati dopo di me e il mio collega. Avevamo già chiesto la parola quando il presidente Buzek ha introdotto il tema questa sera, quindi obietto all’ingiustizia commessa nell’avere concesso la parola con la procedura catch the eye.
Presidente. – Molte grazie della sua richiesta di parola. Come ho detto c’erano molte più persone che hanno chiesto la parola di quelle a cui abbiamo potuto concederla. Ci sono state 19 persone che hanno voluto intervenire in uno spazio di soli cinque minuti. Ho quindi cercato di dare facoltà di parola alle persone sugli elenchi che ho qui.
Ovviamente i suoi commenti saranno messi a verbale. Nelle prossime discussioni faremo il possibile per garantire la procedura più giusta.
Edite Estrela, relatore. – (PT) Signora Presidente, signor Commissario, la ringrazio per la sensibilità dimostrata nell’intervento iniziale e nell’intervento conclusivo, e per la sua testimonianza personale. Credo sia molto importante associare tutto questo alle testimonianze di altre persone, ad esempio degli altri deputati intervenuti nel dibattito, perché sicuramente contribuirà a rimuovere determinati preconcetti e a cambiare gli stereotipi ancora esistenti nella nostra società.
Per questo è anche importante includere nella direttiva il congedo di paternità approfittando della duplice base giuridica al fine di promuovere l’uguaglianza di genere e la conciliazione tra vita privata e vita professionale, perché uno degli stereotipi prevalenti nella società è che le donne sono associate alla funzione riproduttiva, mentre gli uomini a quella produttiva. Oltre a essere lavoratori, gli uomini sono padri tanto quanto le donne sono madri, e quindi hanno diritto sia alla realizzazione professionale sia a crescere i figli sin dalla nascita. Non è presente il deputato del Regno Unito che è intervenuto: avrei voluto chiedere se David Cameron è migliore degli altri europei che a loro volta vorrebbero avere un congedo di paternità, ma sono discriminati in almeno otto Stati membri.
Siamo ancora nel processo di prima lettura, e quindi avremo l’opportunità di migliorare le proposte insieme a Commissione e Consiglio. Desidero poi ringraziare i colleghi deputati della partecipazione; questo consenso generalizzato mi sembra molto importante.
Sicuramente viviamo tempi difficili ma è in queste situazioni che le società hanno più bisogno di decisori audaci perché, come notava il poeta romano Orazio migliaia di anni fa, chi ha paura della tempesta finisce per soccombere.
Britta Thomsen, relatore. – (DA) Signora Presidente, ringrazio i colleghi deputati per i commenti fatti alla mia relazione sulle lavoratrici precarie, e la Commissione per essersi dimostrata disponibile a prendere iniziative per migliorare la situazione.
Come sottolineato da molti deputati, le donne rappresentano la grande maggioranza di chi lavora in condizioni precarie e a stipendi bassi. Questo non solo significa che in Europa le donne guadagnano meno degli uomini ma anche che le donne ricevono pensioni inferiori, e nell’Europa del futuro vedremo molte più donne povere perché il matrimonio non garantisce più automaticamente sicurezza finanziaria in età avanzata.
La categoria più vulnerabile sul mercato europeo del lavoro è quella delle immigranti donne dove vediamo forti livelli di sfruttamento, soprattutto tra le 11 milioni di donne che lavorano come collaboratrici domestiche. In questo gruppo sono anche comprese le lavoratrici alla pari. Alla pari significa “in condizioni di parità”, ma molte donne provenienti dalle Filippine e dalle ex Repubbliche sovietiche per lavorare alla pari non vengono per fare uno scambio culturale. Vengono per guadagnare soldi, mentre in molte città europee questo programma viene usato per trovare manodopera a basso costo. È una situazione che esorto la Commissione a esaminare. Non dovremmo permettere la legalizzazione di questa forma di sfruttamento in Europa, motivo per cui occorre essere più severi nel programma alla pari.
In base alle statistiche della Commissione in materia retributiva le differenze di stipendio tra uomo e donna compaiono quando arrivano i figli. Se vogliamo raggiungere la totale uguaglianza sul mercato del lavoro, le donne devono essere pienamente retribuite durante il congedo di maternità, e gli uomini devono essere coinvolti nella cura dei figli e, quindi, deve essere loro concesso il congedo di paternità.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione sulla relazione Estrela si svolgerà mercoledì 20 ottobre.
La votazione sulla relazione Thomsen si svolgerà martedì 19 ottobre.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'uguaglianza tra uomo e donna rappresenta uno dei principi fondamentali dell'Unione europea. Essa trova definizione già nel 1992 con il trattato di Maastricht e qualche anno più tardi nel trattato di Amsterdam (1997) fino ad arrivare ai nostri giorni con la Strategia UE 2010-2015. L'agenda sociale dell'Unione europea stabilisce tra le priorità la necessità di promuovere politiche volte a favorire la conciliazione di vita professionale, privata e familiare delle donne. In questo contesto, a mio avviso, la maternità rappresenta un diritto fondamentale imprescindibile al fine dell'equilibrio sociale.
Attualmente, l'Unione europea si trova ad affrontare la sfida demografica posta da uno scenario caratterizzato da bassi tassi di natalità e da un costante aumento della percentuale di anziani. Ritengo che il miglioramento delle disposizioni volte a favorire l'equilibrio tra vita professionale e familiare delle donne sia parte della risposta a questo declino demografico. Riconosco l'importanza dell'introduzione del rafforzamento delle tutele contro il licenziamento nel periodo tra l'inizio della gravidanza ed i mesi immediatamente successivi al termine del congedo di maternità.
Pertanto, incoraggio le modifiche introdotte a tal fine tra cui, in particolare, il diritto della donna a riprendere lo stesso lavoro o ad essere assegnata a un posto equivalente.
Zuzana Brzobohatá (S&D), per iscritto. – (CS) L’obiettivo principale della relazione è migliorare la sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Personalmente, ritengo che la proposta più importante sia il prolungamento della durata minima del congedo di maternità da 14 a 20 settimane, che contribuirà a migliorare la salute e lo stato psicologico della madre, la quale potrà occuparsi a tempo pieno del bambino. Il prolungamento della durata minima del congedo di maternità incoraggerà anche l’allattamento al seno, che ha un dimostrato impatto positivo sulla salute della madre e del bambino. Altrettanto importante è, a mio avviso, l’attuale proposta di garantire che l’indennità di maternità sia pari al 100 per cento della retribuzione delle lavoratrici (ovvero della retribuzione mensile media) o comunque non inferiore all’85 per cento. Si tratta di misure sufficienti a garantire che le famiglie, in particolare quelle monoparentali, non finiscano sotto la soglia di povertà e non diventino vittime dell’esclusione sociale. Parte della relazione è dedicata alla condizione tradizionale della donna. La responsabilità primaria per la cura dei figli e di altri familiari a carico ricade infatti ancora sulle donne, che sono spesso costrette a scegliere tra maternità e carriera professionale. È quindi particolarmente importante che le nuove forme di congedo parentale non riflettano o rafforzino gli stereotipi sociali esistenti. La proposta interessa la Repubblica ceca solo per quanto riguarda l’ammontare dell’indennità di maternità e non per la durata del congedo.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Le donne sono le vittime preferite della recessione per via dei licenziamenti che colpiscono principalmente il lavoro precario. Le più colpite da licenziamenti, riduzioni salariali e abusi da parte dei datori di lavoro sono le donne con un lavoro domestico retribuito, che prestano assistenza e che lavorano con contratti temporanei. Il lavoro domestico rappresenta quasi un decimo di tutti gli impieghi esistenti nei paesi sviluppati e riguarda un gruppo considerevole di cittadini, soprattutto donne. La loro situazione di vulnerabilità incoraggia gli abusi da parte dei datori di lavoro, specialmente quando si tratta di lavoratori immigrati, provenienti dai nuovi Stati membri dell’Unione europea come la Romania o da paesi terzi.
Ritengo che l’abolizione delle restrizioni all'occupazione per i cittadini rumeni e bulgari debba essere il primo passo verso l’eliminazione dei comportamenti discriminatori che a tutt’oggi li pongono in una condizione di inferiorità e di precariato nella maggior parte dei vecchi Stati membri. Il tragico esempio dell’infermiera rumena recentemente uccisa in una stazione della metropolitana italiana tra l’indifferenza dei passanti deve essere un campanello d’allarme contro i pericoli della discriminazione e della stigmatizzazione collettiva, che possono avere, come in questo caso, conseguenze gravissime e imprevedibili. Desidero inoltre sostenere con vigore il prolungamento della durata minima del congedo di maternità a 20 settimane, in modo che le donne possano avere il tempo necessario per occuparsi adeguatamente dei propri figli.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – (EN) Sostengo la relazione, che tenta di prolungare la durata minima del congedo di maternità nell’Unione europea a 20 settimane con retribuzione piena e di introdurre due settimane di congedo di paternità retribuito. È ora essenziale che il 2 dicembre i governi sostengano le raccomandazioni del Parlamento europeo al Consiglio “Affari sociali” dell’Unione europea. Opporsi a questa misura significherebbe escludere un gran numero di donne dalla forza lavoro e perdere di conseguenza una risorsa preziosa. Anziché penalizzare le donne per il fatto di avere figli, l’Unione europea deve sostenerle e aiutarle a conciliare meglio la vita lavorativa e quella familiare. Un migliore congedo di maternità rappresenta un investimento per la buona salute della nostra società futura. Le prime settimane di vita dei neonati sono fondamentali per lo sviluppo sensoriale e cognitivo e l’instaurazione di un rapporto di fiducia con entrambi i genitori. Numerosi studi hanno anche dimostrato che misure sociali come il congedo di maternità contribuiscono a far crescere l’occupazione femminile del 3-4 per cento. Misure quali garantire un congedo di maternità migliore e introdurre un congedo di paternità retribuito rappresentano un investimento saggio: la valutazione di impatto della misura ha dimostrato che un aumento dell’occupazione femminile appena superiore all’1 per cento coprirebbe i costi di un congedo di maternità retribuito di 20 settimane e di un congedo di paternità retribuito di due settimane.
Jim Higgins (PPE), per iscritto. – (EN) Negli ultimi 50 anni le donne europee hanno compiuto enormi progressi avanti verso l’uguaglianza di genere. Tra i principali obiettivi raggiunti va annoverato l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro; rimane pur tuttavia motivo di profonda preoccupazione l’eccessiva rappresentazione delle donne nell'occupazione atipica. Colgo l’occasione per ribadire l’invito formulato nella relazione alla Commissione affinché incoraggi “gli Stati membri a scambiarsi le migliori prassi e a fare pienamente uso delle opportunità di cofinanziamento offerte dai Fondi strutturali […] per garantire l'accesso più ampio a strutture di assistenza all'infanzia e agli anziani economicamente accessibili e di qualità in modo che le donne non siano costrette a svolgere tali mansioni in maniera non formalizzata”. La relazione “sottolinea inoltre la necessità di garantire che i posti di lavoro di assistenza a domicilio precari si trasformino, ove possibile, in posti di lavoro dignitosi a lungo termine”. Il lavoro precario è da tempo fonte di preoccupazione, ma l’attuale crisi economica e finanziaria ha reso quanto mai urgente una soluzione a questo problema e, in particolare, alla questione delle lavoratrici precarie. Esorto pertanto la Commissione a intervenire per proteggere le donne che si trovano in situazioni di vulnerabilità e che lavorano in condizioni di lavoro precario.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. – (FI) Le allocuzioni programmatiche evidenziano la necessità di creare condizioni migliori per le famiglie. Promuovere l’uguaglianza è una priorità nell’ambito delle strategie per l’occupazione. È ora di adottare misure a favore delle famiglie, che hanno bisogno di azioni concrete e di una migliore conciliazione di vita lavorativa e vita familiare. I tassi di occupazione e di natalità della popolazione femminile sono più alti nei paesi in cui sistemi di congedo familiare e servizi per la custodia dei bambini di buona qualità alleggeriscono il peso derivante dall’avere un figlio, come dimostrano la Svezia, la Danimarca, l’Islanda e la Finlandia. È dunque possibile coniugare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e tassi di natalità elevati e nell’Unione europea occorre promuovere appunto questa strategia. Sostengo la proposta della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere di prolungare a 20 settimane il congedo di maternità con retribuzione piena. Non bisogna penalizzare le donne e le famiglie per il fatto di avere figli. Oltre a chiedere la retribuzione piena, la proposta di direttiva prevede che il congedo di maternità venga considerato ai fini del calcolo della pensione, ispirandosi alla richiesta dell’Unione europea di parità di retribuzione. Se la direttiva venisse approvata, si ridurrebbe il divario retributivo tra uomini e donne e migliorerebbe la situazione delle famiglie adottive, con più di un figlio o con bambini disabili. È effettivamente difficile trovare un motivo per non sostenere la proposta di direttiva con gli emendamenti presentati dalla commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere: una migliore conciliazione di vita professionale e privata favorisce il benessere delle famiglie, l’occupazione e lo sviluppo economico.
Eija-Riitta Korhola (PPE), per iscritto. – (FI) Concordiamo unanimemente sulla necessità di prevedere una tutela particolare per le donne in stato di gravidanza e per le puerpere all’interno della società e del mercato del lavoro. In ultima analisi si tratta di rafforzare il ruolo della famiglia, l’unità fondante della società. Cionondimeno, non siamo d’accordo sul tipo di legislazione da adottare per raggiungere l’obiettivo negli Stati membri. Sostengo la proposta della Commissione di prolungare la durata minima del congedo di maternità in tutta l’Unione europea dalle attuali 14 a 18 settimane, con una retribuzione pari almeno a quella dei periodi di malattia. Ciò rappresenterebbe un significativo miglioramento per l’Europa. Se consideriamo anche i cambiamenti al congedo parentale dell’anno scorso, possiamo affermare che la tutela della famiglia nell’UE è in continuo miglioramento. La commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere, però, ha approvato emendamenti che non tengono conto delle differenze tra i sistemi nazionali e le diverse realtà economiche. Gli Stati membri presentano, infatti, sistemi di congedo di maternità anche molto diversi e costringerli a coesistere significherebbe adottare una legislazione inadeguata, violando al contempo il principio di sussidiarietà. In Finlandia, per esempio, il congedo di maternità e di paternità, affiancati a un lungo periodo di congedo parentale superiore ai sei mesi, fanno parte di un sistema su grande scala, i cui costi sono ripartiti tra le varie parti. Il sistema presenta poi un’ulteriore componente, ossia la possibilità di un congedo per accudire i figli, durante il quale il contratto di lavoro non cessa. In Finlandia, i costi di un congedo di maternità di 20 settimane con retribuzione piena, come quello proposto, salirebbero dagli attuali 30 milioni di euro a 80 milioni, e addirittura di più in molti Stati membri. Nell’attuale situazione economica, una proposta del genere può essere avanzata solo se non ci si preoccupa minimamente della responsabilità di bilancio. Dal punto di vista della parità, poi, ritengo preoccupante l’eventualità che le possibilità di occupazione delle donne finiscano per diminuire nel caso in cui i datori di lavoro dovessero farsi carico degli enormi costi emergenti.
Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Sono trascorsi 15 anni dall’approvazione della piattaforma d’azione di Pechino. Il documento sintetizza la situazione delle donne a livello globale e raccomanda misure per migliorarla, rilevando anche le condizioni di lavoro delle donne, in particolare nell’economia, nella sanità e nell’istruzione. Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato diverse direttive per attuare le suddette raccomandazioni. Sulla base dei risultati ottenuti, che sembrano ampiamente positivi, sono state intraprese nuove azioni, presentate dagli Stati membri nella tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 per la relativa attuazione. La relazione annuale del Parlamento europeo dello scorso febbraio sulla parità tra uomini e donne per il 2009 afferma che, a causa della crisi economica e dei tagli di bilancio nei paesi dell’Unione europea, si è verificata la perdita di posti di lavoro soprattutto tra le donne. Queste ultime cedono spesso alle pressioni dei datori di lavoro, favorendo in questo modo in particolare le catene di distribuzione multinazionali. Il carico di lavoro incide negativamente sulla salute, la famiglia, l’orario di lavoro legale e la formazione delle donne. Sono pochi i datori di lavoro disposti a creare condizioni favorevoli per i dipendenti che permettano loro di conciliare vita lavorativa e familiare. Le donne immigrate si trovano ad affrontare le condizioni di lavoro più difficili, incontrando ostacoli quali barriere linguistiche, nuovi ambienti di lavoro, diverse tradizioni familiari o culturali e così via. La crisi ha reso impossibile il raggiungimento di numerosi obiettivi prestabiliti. L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere deve valutare senza indugio la situazione attuale, mentre la Commissione europea e il Parlamento europeo devono intraprendere azioni efficaci per arrestare il deterioramento della condizione delle donne.
Erminia Mazzoni (PPE), per iscritto. – La lunga gestazione (é il caso di dirlo!) di questa proposta di direttiva é stata causata dal contrasto tra chi voleva mettere l'impossibile dentro il documento per farne una bandiera e chi aveva l'obiettivo unico di far progredire la nostra società promuovendo realmente alcuni diritti. Alla fine il compromesso non soddisfa pienamente le esigenze di tutela rappresentate: tutela della salute delle gestanti; garanzia di parità di trattamento per le lavoratrici, anche autonome; rafforzamento delle responsabilità condivise tra i genitori e cura dei minori. Le novità introdotte - prolungamento del congedo di maternità a 18 settimane e del periodo obbligatorio di astensione dopo il parto a 6 settimane; introduzione del pagamento di una indennità pari al 100% dell'ultima retribuzione; rafforzamento delle tutele contro il licenziamento; introduzione del diritto alla richiesta di tempi flessibili, fatta salva la facoltà per gli stati membri di fissare tetti diversi e di preservare previsioni più favorevoli, ci fanno compiere comunque un passo avanti. Ho votato a favore della risoluzione, differenziandomi, però, anche dal gruppo su molti emendamenti, nel tentativo di sottolineare la centralità delle misure legate alla tutela della salute e alla sicurezza sul lavoro.
Siiri Oviir (ALDE), per iscritto. – (ET) La disparità di genere nel mercato del lavoro è da tempo una tematica di primaria importanza per l’Unione europea, che da anni cerca una soluzione, ma a tutt’oggi non si registrano sviluppi positivi in questo settore. Per fare un esempio, secondo i dati Eurostat il numero di donne nell’occupazione precaria, ovvero con impieghi a tempo parziale, è aumentato in misura ragguardevole, raggiungendo il 31,4 per cento, a fronte dell’8,3 per cento degli uomini. Il fenomeno può essere ragionevolmente ricondotto all’attuale crisi economica e finanziaria, che ha ulteriormente esacerbato i problemi delle donne nell’occupazione precaria. Ritengo che quest’ultima sia non soltanto all’origine del divario retributivo tra uomini e donne, ma che rappresenti altresì un ostacolo alle opportunità di carriera. Dal momento che, ad oggi, la percentuale di donne nell’occupazione precaria è troppo elevata e le conseguenze negative hanno effetti sproporzionati sulla situazione della categoria, ritengo che l’Unione europea debba rafforzare le normative in materia di lavoro temporaneo, a tempo parziale e interinale. Forse un giorno potremo annunciare che l’UE ha finalmente garantito la parità di diritti tra uomini e donne e ha abolito la discriminazione di genere nel mercato del lavoro.
Sirpa Pietikäinen (PPE), per iscritto. – (FI) Onorevoli colleghi, desidero ringraziare l’onorevole Estrela per la pregevole relazione sull’emendamento alla direttiva del Consiglio, volta a incoraggiare i miglioramenti alla sicurezza e alla salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Le riforme previste dalla relazione sono importanti per i diritti e il benessere dei cittadini europei e per creare una concorrenza più sana nel mercato interno. L’Unione europea ha bisogno di una politica sociale coerente e l’armonizzazione dei sistemi di congedo di maternità rappresenta un passo importante verso un’Europa più sociale. La relazione propone un congedo di maternità di 20 settimane con retribuzione piena, che comporterebbe un aumento delle benefici di maternità in molti paesi europei. È dimostrato che un congedo di maternità lungo e ben retribuito ha un impatto positivo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Quest’ultima, a sua volta, coprirebbe rapidamente i costi della riforma, che molti sostengono essere insormontabili. Benefici di maternità più elevati faranno aumentare anche i tassi di natalità e un’Europa che invecchia ha bisogno di contribuenti per garantire la prestazione di servizi anche in futuro. La richiesta della retribuzione piena durante il congedo di maternità è un altro passo importante per ridurre la disparità di reddito tra uomini e donne. In tal modo, il congedo di maternità non comporterebbe più un reddito inferiore per le donne, ma anzi le favorirebbe in termini di diritti pensionistici. Attualmente, infatti, in Europa le donne più anziane hanno una probabilità più alta di vivere in povertà.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. – (RO) La maggior parte dei lavori precari sono da sempre svolti dalle donne. Da molto tempo si parla di migliorare le condizioni di lavoro delle donne, ma purtroppo non si registrano cambiamenti. Desidero richiamare l’attenzione sul dramma delle lavoratrici stagionali che raccolgono fragole in Spagna. Conosco bene la loro situazione, non solo per via delle innumerevoli denunce ricevute dalle lavoratrici rumene o dai sindacati, ma anche per esperienza diretta sul posto. Ogni anno migliaia di donne rumene vanno in Spagna a raccogliere fragole per periodi dai tre ai cinque mesi e molte di loro diventano spesso vittime di abusi da parte dei datori di lavoro. I contratti originali vengono sostituiti con contratti in spagnolo, che non capiscono; spesso non hanno un’assicurazione sanitaria, che devono quindi pagare di tasca propria. Il lavoro prevede di raccogliere fragole spesso impregnate di pesticidi senza alcuna protezione, ma ciononostante non possono protestare per paura di essere licenziate e rimpatriate. Ho cercato di richiamare l’attenzione della Commissione europea sulla loro situazione presentando diverse interrogazioni, nelle quali chiedevo una direttiva che regolamentasse i diritti dei lavoratori stagionali dell’Unione europea, ma mi è stato risposto che il problema non rientra nelle priorità dell’istituzione. Per questo motivo chiedo nuovamente alla Commissione di presentare una proposta legislativa sulla questione.
Olga Sehnalová (S&D), per iscritto. – (CS) Sostenere le donne nel cammino verso la riconciliazione tra vita lavorativa e familiare rappresenta una delle maggiori sfide dei tempi moderni. La decisione di creare una famiglia o di avere un figlio non si basa ovviamente sull’entità o sulla durata del congedo di maternità, ma le circostanze in cui queste decisioni maturano sono indubbiamente importanti. Mi riferisco al livello di certezza che le donne hanno in quel momento di potersi dedicare in pace e serenità, nelle prime settimane e nei primi mesi, alla maternità. Ciò è anche espressione dell’importanza che la società attribuisce alle donne: si può considerare la maternità uno spiacevole ostacolo nella vita professionale delle donne, che sono alla mercé delle dure condizioni del mercato del lavoro, oppure si può garantire loro la tutela necessaria. Se una maggiore protezione delle donne nel mercato del lavoro, in relazione al parto e alla maternità, rappresenta innanzi tutto un onere economico del quale la società europea non è disposta a farsi carico, allora è il caso di interrogarsi sui valori della nostra società. È una questione di priorità sociali.
Edward Scicluna (S&D), per iscritto. – (EN) Molti oratori, com’è comprensibile, hanno menzionato l’impatto economico di un prolungamento del congedo di maternità da 14 a 20 settimane. Purtroppo, si citano spesso i costi perché sono facili da misurare, ma anche i benefici sono misurabili. Anzi, un aspetto che è stato oggetto di numerose ricerc è proprio l’impatto di un congedo di maternità retribuito sul tasso di partecipazione al mercato del lavoro della popolazione femminile più giovane. Uno degli studi econometrici più autorevoli della Banca centrale europea indica chiaramente che il tasso di partecipazione al mercato del lavoro della popolazione femminile più giovane aumenta costantemente fino alle 43 settimane di un congedo di maternità retribuito; solo oltre questa soglia il tasso intaccato. Per molti Stati membri in cui la durata del congedo di maternità si avvicina al minimo legale e, di conseguenza, la partecipazione femminile è bassa, un aumento del congedo di maternità retribuito è economicamente vantaggioso. Per questi Stati membri, il costo del prolungamento del congedo di maternità rappresenterebbe un investimento piuttosto che un onere economico.
14. Revisione dell'accordo quadro sulle relazioni tra il Parlamento europeo e la Commissione - Adeguamento del regolamento del Parlamento all'accordo quadro rivisto sulle relazioni tra il Parlamento europeo e la Commissione (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:
- la relazione (A7-0279/2010), presentata dall'onorevole Rangel, a nome della commissione per gli affari costituzionali, sulla revisione dell'accordo quadro sui rapporti tra il Parlamento europeo e la Commissione europea [2010/2118(ACI)]; e
- la relazione (A7-0278/2010), presentata dall'onorevole Rangel, a nome della commissione per gli affari costituzionali, sull'adeguamento del regolamento del Parlamento europeo all'accordo quadro riveduto sui rapporti tra il Parlamento europeo e la Commissione europea [2010/2127(REG)].
Paulo Rangel, relatore. – (PT) In riferimento alle due relazioni, vorrei innanzi tutto congratularmi e sottolineare pubblicamente, come ho avuto modo di fare alla commissione per gli affari costituzionali, il notevole lavoro svolto dai colleghi, gli onorevoli Lehne, Swoboda, Roth-Behrendt, Wallis e Harms, che componevano la squadra di deputati del Parlamento che ha negoziato l’accordo quadro con la Commissione.
Desidero rilevare la grande apertura e lo spirito di collaborazione altamente costruttivo dimostrati dal Presidente della Commissione e, dopo la formazione della nuova Commissione, dal Commissario Šefčovič e dalla sua squadra. Ritengo sia stato svolto un lavoro notevole che ha portato a un accordo storico, il primo accordo quadro dalla firma del trattato di Lisbona e il primo con una base diretta ed esplicita nei trattati e, segnatamente, nell’articolo 295 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
Mi preme rilevare che l’accordo instaura, di fatto, un rapporto di grande trasparenza, dinamismo e profonda vicinanza tra il Parlamento e la Commissione e rappresenta sostanzialmente un compromesso, un equilibrio tra le concezioni delle due istituzioni sul nuovo ruolo di cui le ha investite il trattato di Lisbona.
Ritengo che il lavoro svolto dalla squadra sia stato effettivamente molto positivo, in quanto nell’accordo quadro si è riusciti a dare espressione alle nuove competenze e al rafforzamento dei poteri derivanti dal trattato di Lisbona. Ciò riguarda la procedura legislativa e la programmazione o pianificazione, in particolare nel coinvolgimento del Parlamento nel programma di lavoro della Commissione o in materia di adozione di strumenti normativi non vincolanti, da parte della Commissione, nell’ambito delle competenze legislative del Parlamento, per fare solo due esempi.
In secondo luogo, un aspetto molto importante è rappresentato dal rafforzamento dei poteri di controllo del Parlamento, ottenuto stabilendo regole dettagliate per l’elezione del Presidente della Commissione e di quest’ultima come istituzione, coinvolgendo il Parlamento in questioni come il rimpasto o l’eventuale destituzione di un commissario o, per fare un altro esempio, introducendo le audizioni per i direttori delle agenzie di regolazione e il controllo dei negoziati internazionali. In tutti questi ambiti sono stati confermati i poteri derivanti dal trattato di Lisbona.
Anche l’accesso alle informazioni è molto importante, soprattutto quando si tratta di informazioni classificate o riservate, o anche dello stesso scambio di informazioni e punti di vista tra i responsabili del Parlamento e della Commissione. Ad esempio, sappiamo che già oggi il Commissario responsabile degli affari costituzionali e il Presidente della Commissione possono partecipare alle riunioni rilevanti della Conferenza dei Presidenti e che esistono varie piattaforme di dialogo diretto tra la Conferenza dei Presidenti, la Conferenza dei presidenti di commissione, il Presidente del Parlamento, il Presidente della Commissione e il Collegio dei Commissari. È stata rafforzata anche la presenza della Commissione nel Parlamento, soprattutto con l’introduzione del tempo delle interrogazioni non solo per il Presidente della Commissione, ma anche per i Commissari.
Alla luce di quanto detto e nel profondo rispetto per il trattato di Lisbona, il conseguente nuovo equilibrio dei poteri e il principio della separazione dei poteri, desidero sottolineare che siamo di fronte a un accordo chiarificatore che renderà il trattato di Lisbona nuovamente attuale, vivo e applicabile.
Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signora Presidente, è con grande piacere che prendo parte a questa discussione sulla revisione dell'accordo quadro sulle relazioni tra le nostre due istituzioni. Sono molto soddisfatto che la risoluzione al voto mercoledì raccomandi al Parlamento l'approvazione dell’accordo quadro, che sarebbe il degno coronamento di un processo che ha avuto inizio quasi un anno fa con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona.
Colgo l’occasione per esprimere i miei sentiti ringraziamenti e la mia gratitudine all’onorevole Lehne e a tutto il gruppo di lavoro, gli onorevoli Wallis, Roth-Behrendt, Harms, Swoboda e, ovviamente, il nostro relatore, l’onorevole Rangel. Abbiamo lavorato in uno spirito molto positivo e con grande alacrità e le discussioni sono sempre state molto costruttive e, al contempo, molto franche.
È evidente che l’ampliamento dei diritti e delle competenze del Parlamento derivante dal nuovo trattato incide in molti modi sui rapporti di lavoro tra le nostre istituzioni. La questione è stata ripresa nella risoluzione del Parlamento del 9 febbraio 2010 e nella relativa dichiarazione del Presidente Barroso dello stesso giorno. È quindi particolarmente importante che, con l’accordo quadro riveduto, le nostre istituzioni si dotino di una base solida e formalmente concordata per le relazioni reciproche e siano in grado di avviare nella pratica quotidiana l’attuazione di tutti gli elementi dell’accordo. L’accordo quadro riveduto si basa sull’accordo quadro del 2005 che, come abbiamo avuto modo di constatare, si è rivelato uno strumento molto efficace per regolare i rapporti tra le due istituzioni.
È in questo spirito di cooperazione proficua che in marzo abbiamo avviato i negoziati sulla revisione dell’accordo quadro e ritengo che possiamo essere tutti molto soddisfatti dell’esito. Come il relatore, l’onorevole Rangel, sono dell’idea che l’attuale revisione rappresenti un successo significativo che intensificherà le relazioni tra le nostre istituzioni e offrirà soluzioni concrete in linea con le più ampie competenze del Parlamento derivanti dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona, mettendo dunque in pratica il partenariato speciale tra la Commissione e il Parlamento europeo.
Permettetemi di evidenziare alcuni elementi che rappresentano un effettivo progresso. L’accordo stabilisce regole e un calendario per un dialogo intenso e strutturato tra le nostre istituzioni, in modo che il Parlamento possa fornire un contributo importante alla programmazione dell'Unione allorché la Commissione prepara i programmi di lavoro.
L’accordo stabilisce regole dettagliate sulle modalità con cui la Commissione deve informare il Parlamento sui negoziati e sulla conclusione di accordi internazionali e uniforma agli standard internazionali le regole sulla fornitura di informazioni classificate, rendendo più semplice tenere aggiornato il Parlamento, per esempio, sui negoziati internazionali.
Inoltre, l’accordo stabilisce regole per migliorare le informazioni fornite al Parlamento e relative al lavoro dei consulenti della Commissione.
Confido che questo testo migliorerà il dialogo e il coordinamento nella pianificazione delle tornate parlamentari e nel garantire la presenza dei Commissari.
Sebbene l’accordo non sia ancora entrato in vigore, abbiamo già dato attuazione ad alcuni elementi importanti. Vorrei citare solo alcuni esempi relativi alla preparazione dei programmi di lavoro della Commissione per il 2011. Il 7 settembre, il Presidente Barroso ha pronunciato il suo discorso sullo Stato dell'Unione al Parlamento e io ho partecipato alla Conferenza dei Presidenti fornendo informazioni sui progressi compiuti nella preparazione del programma di lavoro della Commissione.
Il 7 ottobre, nel palazzo Berlaymont si sono riuniti il Collegio e la Conferenza dei presidenti di commissione. Inoltre, mercoledì il Presidente Barroso incontrerà nuovamente la Conferenza dei Presidenti del Parlamento.
L’obiettivo è intensificare il dialogo politico tra le nostre istituzioni e, a mio avviso, nell’accordo quadro abbiamo ideato strumenti efficaci a tal fine.
Come tutti saprete, i negoziati per la revisione dell’accordo quadro sono stati lunghi e hanno richiesto notevoli sforzi da parte di entrambe le istituzioni al fine di giungere a un testo che tenesse conto degli interessi e delle preoccupazioni delle stesse.
Eravamo anche consapevoli che per alcuni aspetti dei nostri rapporti – quali, per esempio, la programmazione dell’Unione, introdotta dal trattato di Lisbona – avremmo dovuto coinvolgere anche il Consiglio.
Poiché il Consiglio aveva scelto di non partecipare ai negoziati sulla revisione dell’accordo quadro, abbiamo avuto cura di non anticipare decisioni su questioni che avrebbero dovuto essere concordate con lo stesso.
I negoziatori di entrambe le parti hanno quindi compiuto sforzi sinceri per rispettare pienamente l’equilibrio tra le istituzioni, quale definito dai trattati, e l’impegno alla cooperazione leale tra le stesse.
Questo è ribadito più volte nell’accordo e la Commissione è fermamente convinta che il testo cui siamo giunti a seguito di negoziati non sempre facili rispetti pienamente i diritti e le competenze di tutte le istituzioni dell’Unione europea e superi la prova del controllo giuridico.
Ciononostante, circolano voci secondo cui l’accordo quadro si spinge già troppo in là e non si esclude che venga impugnato in toto o in parte in merito ad alcuni specifici ambiti di attuazione.
In questo contesto, la Commissione osserva che la proposta di risoluzione sull’approvazione dell’accordo quadro riveduto stabilirà in maniera ufficiale l’interpretazione del testo concordato da parte del Parlamento.
Su alcune questioni importanti l’interpretazione va oltre il testo concordato a seguito di delicate discussioni. Mi riferisco in particolare alle disposizioni relative alla fornitura di informazioni al Parlamento sui negoziati sugli accordi internazionali, all’inclusione di deputati del Parlamento europeo, in qualità di osservatori, in delegazioni dell'Unione a conferenze internazionali, nonché alla definizione e alle condizioni di applicazione di strumenti normativi non vincolanti.
Quando la Commissione ha contestato questo atteggiamento alla commissione per gli affari costituzionali, ci è stato risposto che le suddette interpretazioni erano volte in realtà a registrare gli obiettivi iniziali del Parlamento e che solo il testo dell’accordo quadro aveva valore giuridico.
Onde evitare qualsiasi equivoco, è in questo senso che la Commissione legge l’interpretazione del testo da parte del Parlamento.
La Commissione ribadisce con fermezza tutti gli impegni assunti nell’accordo e intende applicarlo sulla base del testo concordato. A tal proposito, mi preme precisare che la Commissione non sarà vincolata da interpretazioni unilaterali dell’accordo quadro. Il testo negoziato ci fornirà di fatto tutte le opportunità necessarie per trovare soluzioni che rispondano agli interessi del Parlamento e della Commissione senza trascurare diritti e interessi delle altre istituzioni.
È in questo spirito che continueremo a mettere in pratica il partenariato speciale tra le nostre istituzioni e a cooperare lealmente con tutte le istituzioni.
Attendo con ansia la firma dell’accordo e la sua relativa attuazione.
Íñigo Méndez de Vigo, a nome del gruppo PPE. – (ES) Signora Presidente, sono entrato in questo Parlamento 18 anni fa, quando era un parlamento consultivo senza alcun potere.
Negli ultimi 18 anni abbiamo assistito al passaggio da un parlamento consultivo a un parlamento colegislatore a pieno titolo. Il nostro buon amico Francisco Lucas Pires, che aveva assistito al processo, diceva che era passato da parlamento deliberante a parlamento legislativo.
Il testo che approveremo mercoledì rappresenta il coronamento dei negoziati sull’accordo quadro tra la Commissione e il Parlamento.
Devo confessare che, quando dico alla mia famiglia che vado a Strasburgo per partecipare alla discussione sull’accordo quadro tra il Parlamento e la Commissione, devo dare spiegazioni piuttosto lunghe, perché ovviamente non esistono equivalenti nei parlamenti nazionali o in generale a livello nazionale; i cittadini non capiscono quindi perché sia necessario raggiungere un accordo tra la Commissione e il Parlamento per dare attuazione ai principi sanciti dai trattati.
Eppure è necessario, e lo è per un motivo semplice, già ricordato dall’onorevole Rangel e dal Vicepresidente Šefčovič: perché vogliamo essere efficaci.
L’obiettivo fondamentale dell’accordo quadro è risolvere preventivamente tutti gli ostacoli di natura pratica che potrebbero presentarsi a livello di legislazione, controllo parlamentare e codici di condotta.
Ritengo, dunque, che siamo di fronte a una buona combinazione di democrazia europea, una democrazia “consensuale” in contrapposizione alla democrazia “conflittuale” cui siamo abituati nei nostri paesi.
In una democrazia consensuale la cosa intelligente da fare è trovare soluzioni a eventuali problemi che potrebbero presentarsi. Difatti, l’accordo quadro è uno strumento atto a prevenire problemi futuri e a realizzare quanto scritto nei trattati. Dal momento che abbiamo un nuovo testo, ovvero il trattato di Lisbona, mi sembra logico attuarlo.
Desidero congratularmi con l’onorevole Rangel, con la sua squadra e con la Commissione europea, poiché ritengo che abbiano raggiunto un accordo molto equilibrato. Una volta letto il contenuto dell’accordo ci stupisce sentire che alcuni parlamenti nazionali lo considerano una presunta minaccia per i poteri del Consiglio.
Per l’amor del cielo! Il Consiglio è proprio l’altro colegislatore. Noi vogliamo legiferare, molto e bene, con il Consiglio dei ministri. Siamo colegislatori su un piano paritario e non dobbiamo guadagnare alcun vantaggio, per quanto piccolo. Puntiamo solo all’efficacia, e sono convinto che l’accordo contribuirà a raggiungere l’obiettivo.
Signor Vicepresidente, mi permetta di dire che ha preso il toro per le corna (un’espressione tipica del mio paese strettamente legata alla corrida) quando ha affermato che l’interpretazione degli articoli 6 e 7 della risoluzione è quella del Parlamento in merito agli accordi internazionali e alle conferenze internazionali. Non ci vedo nulla di strano: si tratta di fare in modo che il Parlamento sia informato e partecipi attraverso la Commissione e i negoziati, niente di più. Perché? Per sapere qual è stato il lavoro della Commissione quando dovremo approvarlo in quest’Aula.
Quindi, e qui concludo, signora Presidente, congratulazioni a entrambi. Credo che l’accordo sia di buon auspicio e segni, per dirla come in Casablanca, “l'inizio di una bella amicizia”.
Ramón Jáuregui Atondo, a nome del gruppo S&D. – (ES) Signora Presidente, desidero unirmi a quanto detto finora dagli altri oratori.
Al di là delle difficoltà tecniche che questo accordo potrà comportare, ritengo si tratti di un documento importante, paragonabile alla riforma del regolamento interno effettuata qualche mese addietro a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona. L’accordo quadro e il nuovo regolamento interno costituiscono due elementi essenziali della nuova struttura democratica europea.
Sono convinto che, con la riforma del regolamento interno e l’accordo quadro, il nuovo ruolo di Camera legislativa assunto dal Parlamento in virtù del trattato di Lisbona stia ricevendo una base, un fondamento per operare in maniera adeguata, poiché – come è già stato rilevato – il risultato più importante è che adesso quest’Aula ha il fondamentale compito di dialogare e concordare con la Commissione le nuove leggi dell’Unione europea.
A tal fine, ci siamo dotati di un regolamento interno e di un accordo quadro che stabiliscono anche tutti gli elementi che compongono le nostre relazioni. In questo contesto, desidero evidenziare, per esempio, l’importanza delle funzioni di controllo esercitate dal Parlamento sulla Commissione.
Signor Vicepresidente, occorre valutare l’opportunità di introdurre un meccanismo di presenza della Commissione in quest’Aula, come previsto dall’accordo. Per esempio, si potrebbe prevedere la presenza congiunta di tutti i Commissari per rispondere a domande dirette. Questa è una soluzione necessaria per rispondere in maniera immediata e diretta alla relazione politica che ci unisce.
Comprendo appieno l’interpretazione data dei paragrafi 7 e 8. La capisco perché è vero che quest’Aula non ha strettamente bisogno di partecipare ai negoziati, ma dobbiamo ammettere che in qualità di rappresentanti del Parlamento abbiamo espresso una richiesta, una posizione iniziale e una posizione futura su come quest’Aula debba porsi nei confronti dei negoziati internazionali.
Andrew Duff, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, abbiamo ascoltato con grande interesse il Vicepresidente Šefčovič, che sembrava più interessato a placare il Consiglio piuttosto che ad attaccare in maniera seria la posizione del Parlamento. Ritengo sia sostanzialmente corretto, poiché, se il Consiglio – che a quanto vedo non è ancora qui stasera – fosse stato seriamente interessato a partecipare attivamente alla negoziazione dell’accordo quadro, avrebbe potuto farlo.
Nel nostro ruolo di parlamentari sappiamo che, nel dare attuazione al trattato di Lisbona, dobbiamo esercitare i nostri poteri con discrezione e responsabilità. Ci impegniamo inoltre a rafforzare il potere dell’Unione nei negoziati internazionali attraverso un lavoro efficace della Commissione. Mi preme sottolineare soprattutto la necessità che il Presidente Barroso sottoponga a revisione il Codice di condotta dei Commissari, con particolare riguardo per le dichiarazioni finanziarie. Eravamo già a conoscenza di alcune debolezze emerse nel corso della procedura di approvazione della Commissione Barroso II da parte del Parlamento europeo.
Ryszard Czarnecki , a nome del gruppo ECR. – (PL) Il nostro collega spagnolo, l’onorevole Méndez de Vigo, ha detto di avere grossi problemi a spiegare alla sua famiglia i rapporti giuridici e formali molto specifici che intercorrono tra gli organi dell’Unione europea. Lui ha di certo più pazienza di me, che non provo nemmeno a parlarne con mia moglie, visto che è troppo complicato. Il trattato di Lisbona si è rivelato una sorta di appuntamento al buio, nel senso che non è né buono, né opportuno iniziare solo ora a definire le competenze dei singoli organi dell’Unione. È tardi, ma per citare un film americano “meglio tardi che mai”. Non parliamo di amicizia, come ha suggerito l’onorevole Méndez de Vigo, quanto di rapporti più concreti e di contatti più chiari tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo. È meglio che parlare di amicizia. Molte grazie.
Morten Messerschmidt, a nome del gruppo EFD. – (DA) Signora Presidente, anch’io desidero cogliere l’occasione per complimentarmi con l’onorevole Rangel per il suo valido lavoro in diverse sezioni della relazione. La possibilità di ricevere maggiori informazioni dalla Commissione rappresenta sicuramente uno sviluppo positivo, così come la ribadita necessità di rafforzare il controllo parlamentare e di migliorare la cooperazione reciproca.
Eppure, in un particolare settore, che si è rivelato il più importante oggi come nella discussione precedente, esistono ancora motivi di delusione: mi riferisco, ovviamente, alla politica estera comune, per la quale non c’è nulla per cui biasimare l’onorevole Rangel; vi è invece motivo di criticare la direzione presa dall’intero settore a partire dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Ero deputato al Folketing, il Parlamento danese, quando il mio paese è stato convinto con l’inganno a dire sì al trattato di Lisbona, dietro promessa che questo non avrebbe comportato la rinuncia alla sovranità. Tutte le autorità ufficiali dell’Unione europea ci avevano dato la loro parola che non ci sarebbe stato alcun trasferimento di competenze, mentre è ormai evidente che il Parlamento europeo sta assumendo un potere originariamente non previsto in materia di politica estera. Questo sviluppo è fonte di profondo rammarico, poiché moltissimi europei, tra cui evidentemente francesi, olandesi e irlandesi, che a un certo punto avevano avuto la possibilità di dire no, hanno aderito a questa forma di cooperazione convinti di mantenere la sovranità in materia di politica estera. Adesso, invece, è evidente che tutto si risolverà nell’interazione tra la Commissione e il Parlamento europeo, escludendo completamente il Consiglio. Siamo profondamente delusi.
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signora Presidente, non cederò alla tentazione di respingere automaticamente, in quanto insidioso o inutile, qualsiasi accordo tra le due parti sostenitrici del “progetto”, come è stato definito, ma proverò a giudicarlo in base a pregi e difetti.
La squadra del Parlamento ha la missione di accrescere il potere e l’influenza dello stesso e in questo – sarebbe sbagliato negarlo – ha avuto un certo successo: ha ottenuto il riconoscimento del ruolo paritario di Parlamento e Consiglio, una maggiore considerazione, da parte della Commissione, delle iniziative legislative del Parlamento, Tempi delle interrogazioni con l’Alto rappresentante, il coinvolgimento nei negoziati internazionali e molto altro.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia: la parità tra Parlamento e Consiglio comporta necessariamente una relativa riduzione del potere di quest’ultimo, che rappresenta – per quanto inadeguatamente, nel caso del mio paese – gli interessi degli Stati nazionali. Inoltre, il potere del Parlamento è esercitato in maniera sproporzionata dai capi dei grandi gruppi politici e dai Presidenti delle commissioni. I membri ordinari di questi gruppi non hanno un’indipendenza di potere maggiore rispetto a noi deputati non iscritti.
La promessa di coinvolgere la nostra istituzione nei negoziati internazionali era contenuta anche nell’accordo del 2005, ma il Parlamento è stato trattato con disprezzo. Non ci è stata rivelata l’identità del supervisore dell’accordo con gli Stati Uniti sul trasferimento di dati finanziari e quando i membri della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni hanno chiesto il perché di una tale segretezza, il membro della Commissione si è rifiutato di rispondere e ha frainteso – o fatto finta di fraintendere – la domanda.
Salvatore Iacolino (PPE). - Signor Presidente, desidero anch'io complimentarmi con i negoziatori per il risultato positivo ottenuto, peraltro in tempi ragionevolmente brevi. La prova, l'affermazione concreta del dialogo costruttivo interistituzionale è data proprio da questo accordo, che, noi confidiamo, possa essere approvato mercoledì e ratificato immediatamente dopo.
Questo accordo dà certamente impulso a quella centralità del ruolo del Parlamento europeo fortemente voluto dal Trattato di Lisbona, impone una forte cooperazione fra le istituzioni ed è certamente in questo senso che si muovono le intense attività dei negoziatori. Non v'è dubbio che il Parlamento conferisce la fiducia alla Commissione e ne deve certamente valutare, attraverso un monitoraggio costante, le attività poste in essere sui programmi approvati e sui risultati concretamente ottenuti. Si registrano con favore le regole di condotta per i Commissari, così come l'obbligo di fornire informazioni, anche quelle coperte da riservatezza.
Non sono d'accordo su taluni emendamenti che, a mio avviso, non vanno nel segno opposto, anche se, nella loro complessità, si muovono con una certa coerenza rispetto al disegno voluto dal testo concordato. Sono altresì convinto che, attraverso questa relazione, si possa legiferare meglio e si possa meglio valutare la procedura d'impatto sui singoli progetti legislativi. Nel contempo vanno rafforzati i rapporti con i Parlamenti nazionali, che sono il profilo speculare di queste attività.
Si registrano con favore le attività nei confronti delle Agenzie e io sono convinto che il primato della politica passi anche attraverso una maggiore disponibilità delle Direzioni generali della Commissione esecutiva nei confronti del Parlamento.
Per concludere, auspico che la Commissione applichi l'accordo, una volta concluso, in maniera non burocratica.
Zita Gurmai (S&D). – (EN) Signora Presidente, sono lieta di constatare che il nuovo accordo quadro rappresenta un miglioramento significativo e un rafforzamento dei rapporti con la Commissione. Il partenariato speciale riflette il nuovo potere del Parlamento europeo derivante dal trattato di Lisbona. A seguito dell’eccellente lavoro svolto all’interno della Commissione e del gruppo di lavoro, le soluzioni concrete contenute nella proposta di accordo riveduto apportano notevoli miglioramenti alla procedura legislativa e alla pianificazione, al controllo parlamentare, all’obbligo di fornire informazioni e alla presenza della Commissione in Parlamento. Colgo l’occasione per dare il benvenuto al Vicepresidente Šefčovič.
Desidero richiamare l’attenzione su due punti in particolare. Il coinvolgimento del Parlamento nei negoziati internazionali rappresenta un notevole passo avanti che ne faciliterà l’approvazione e renderà la procedura più prevedibile. Uno degli elementi più importanti è il seguito dato alle richieste di iniziativa legislativa presentate dal Parlamento. Accolgo con favore l'impegno della Commissione a riferire sul seguito concreto dato a qualsiasi richiesta di iniziativa legislativa entro tre mesi dall'adozione. La Commissione deve presentare una proposta legislativa entro un anno o inserirla nel programma di lavoro dell'anno successivo; qualora non presenti una proposta, deve fornire al Parlamento europeo una motivazione dettagliata.
In qualità di relatrice dell’iniziativa europea dei cittadini, mi auguro che si riservi lo stesso rispetto al seguito dato alle richieste di iniziativa legislativa presentate dai cittadini. Ho constatato con piacere l’ampio sostegno ricevuto dalla relazione in commissione e confido che la sessione plenaria seguirà la linea concordata dalla Commissione e dal gruppo di lavoro del Parlamento europeo. Congratulazioni e molte grazie.
Trevor Colman (EFD). – (EN) Signora Presidente, si dice che l’accordo quadro sui rapporti tra la Commissione e il Parlamento introdotto dal trattato di Lisbona, che è a tutti gli effetti la Costituzione dell’Unione europea, darà vita a un processo governativo più democratico. In realtà, però, esso si limita a creare una parvenza di democrazia dove non ne esiste alcuna.
I seguenti punti sono particolarmente importanti. Il trattato di Lisbona non ha alcuna autorità democratica o morale nel Regno Unito, dove la classe politica al governo ha privato con l’inganno i cittadini britannici della possibilità di esprimersi sul trattato. Le cosiddette modifiche all’accordo non limiteranno in alcun modo il potere e l’attività di una Commissione non eletta, non tenuta a rendere conto del proprio operato e sostenuta da un Parlamento compiacente. In pratica, l’attività dell’UE continuerà, come sempre, dietro le quinte e a porte chiuse.
Al momento opportuno la raccomandazione sarà di votare con fermezza contro le proposte, dal momento che non riconosciamo, né riconosceremo il trattato di Lisbona fintantoché i cittadini britannici non saranno chiamati a decidere. È questa la vera democrazia.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) Sono molto lieta che possiamo oggi discutere l’accordo quadro riveduto sui rapporti tra il Parlamento europeo e la Commissione europea. Questa revisione conferma e dà concretezza al rafforzamento della posizione del Parlamento europeo conseguente all’approvazione del trattato di Lisbona. Desidero sottolineare in particolare l’accordo concluso dalla Commissione e dal gruppo di lavoro del Parlamento europeo sull’accordo quadro e colgo l’occasione per ringraziare lei, signor Vicepresidente, per il suo impegno in prima persona.
Permettetemi alcune osservazioni sull’accordo quadro. Il rafforzamento della posizione del Parlamento rende l’Unione europea più democratica; in qualità di rappresentanti eletti dei cittadini degli Stati membri, parteciperemo all’adozione della legislazione europea ed eserciteremo un maggiore controllo sulla Commissione. Quest’ultima sarà tenuta, per esempio, a presentarci relazioni sul seguito concreto dato a qualsiasi richiesta di iniziativa legislativa e dovrà chiedere la nostra approvazione qualora intendesse modificare il Codice di condotta dei Commissari. Accogliamo altrettanto favorevolmente la disposizione del trattato in base alla quale il Parlamento europeo sarà informato meglio e in maniera più trasparente sulla conclusione di accordi internazionali. Queste, però, non sono le uniche misure: l’accordo quadro riveduto contiene molte altre disposizioni analoghe e sono fermamente convinta che, nel loro insieme, porteranno a una cooperazione più stretta ed efficace tra le due istituzioni e daranno un’attuazione coerente al trattato di Lisbona.
In conclusione, desidero rilevare un aspetto fondamentale: la tempestiva cooperazione del Parlamento sulle richieste derivanti dall’iniziativa europea dei cittadini è molto significativa e garantirà uno stretto contatto tra il Parlamento europeo e i cittadini.
Hannes Swoboda (S&D). – (DE) Signora Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare l’onorevole Rangel per la relazione e, ovviamente, il Vicepresidente Šefčovič per i negoziati condotti: è stato un partner negoziale non facile, ma equo. Credo che abbiamo raggiunto un buon risultato concreto, ovvero la base della nostra cooperazione e, sebbene l’interpretazione fornita dall’onorevole Rangel sia forse troppo ampia, ci permette comunque di non perdere di vista gli obiettivi.
Ora manca solamente l’apertura e la trasparenza tra le nostre istituzioni, nonché la necessità di convincere il Consiglio, oggi assente,che se lavoriamo bene insieme non significa necessariamente farlo a sue spese. Purtroppo, a volte il Consiglio si comporta come un bambino viziato e si offende perché gli è stato tolto un giocattolo. Invece di risentirsi e minacciare azioni legali, dovrebbe invece lavorare insieme a noi nell’interesse dei cittadini del nostro continente. Se vogliamo apparire forti al mondo esterno – e la politica estera comune e gli accordi commerciali comuni, fra gli altri, sono elementi importanti in questo senso – sarebbe meglio lavorare insieme.
Kader Arif (S&D). – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, sappiamo tutti ed è già stato ribadito che il trattato di Lisbona rafforza i poteri del Parlamento, ma in pochi si rendono conto dei mutamenti radicali che questo comporta, in particolare nel settore della politica commerciale, che seguo da vicino.
Il trattato di Lisbona prevede che il Parlamento ratifichi tutti gli accordi commerciali internazionali, disposizione che ha già suscitato grande agitazione: le discussioni sull’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) e sull’accordo di libero scambio con la Corea sono solo un primo esempio. Eppure, i socialisti e i democratici della commissione per il commercio volevano spingersi ancora più in là di quanto previsto dal trattato. In qualità di portavoce, a dispetto dello scetticismo di alcuni e dell’opposizione dimostrata da altri, ho mandato un messaggio chiaro: se il Parlamento è chiamato a ratificare tutti gli accordi commerciali, deve essere coinvolto fin dall’inizio del processo. Quella che sembrava un’utopia è diventata un elemento fondante delle relazioni con la Commissione, in quanto saremo pienamente consultati sui mandati negoziali. Sono soddisfatto.
Chiedo quindi alla Commissione e al Consiglio di continuare a rispettare lo spirito comunitario e la volontà democratica alla base del trattato. Chiedo inoltre ai miei colleghi (dal momento che soffriamo di una specie di sindrome di Stoccolma, quando si tratta di Commissione e di Consiglio) di sfruttare tutti i nostri diritti, poiché sono i diritti dei nostri cittadini.
Guido Milana (S&D). - Signor Presidente, la revisione dell'accordo tra Parlamento e Commissione pone le basi per una migliore collaborazione tra le due Istituzioni. Molti sono i progressi compiuti per ciò che attiene alla procedura, alla pianificazione legislativa, al controllo parlamentare, agli obblighi di fornire informazioni e alla presenza dell'Esecutivo nel Parlamento. Ma il punto che mi preme di più sottolineare fa riferimento ai progressi compiuti nell'ambito della dimensione interistituzionale delle relazioni internazionali.
Il ruolo conferito al Parlamento non è da considerarsi rafforzato: è dovuto. Ci auguriamo che nessuno metta in dubbio che permettere la presenza di osservatori del Parlamento europeo nelle conferenze internazionali multilaterali e bilaterali sia un atto di responsabilità. Infatti, negare lo status di osservatore ai deputati del Parlamento europeo in sede di accordi bilaterali, come ad esempio negli accordi di pesca, priva di fatto una piena consapevolezza nell'ambito negoziale, sul quale il Parlamento dovrà in seguito obbligatoriamente pronunciarsi.
Ritengo non si possa fare a meno di questi presupposti poiché altrimenti terminerebbero, in sede parlamentare, in una bocciatura di accordi bilaterali che, per definizione, sono inemendabili e che, per una mancata compartecipazione, renderebbero il voto un mero passaggio di routine.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Sono molto lieta che la Commissione europea riconosca che, affinché il futuro dell’Unione sia positivo, è necessario un processo decisionale più democratico. Si tratta, in definitiva, di rafforzare il ruolo del Parlamento europeo. Apprezzo che il nuovo accordo di cooperazione con la Commissione europea estenda l’importanza del Parlamento oltre le disposizioni del trattato di Lisbona e permetta valutazioni di impatto più dettagliate e una risposta migliore, da parte della Commissione, alle esigenze politiche del Parlamento europeo. È particolarmente importante che la Commissione migliori l’accesso effettivo dei deputati ai documenti quali, ad esempio, le proposte di accordi internazionali. Come è già stato detto, la ratifica di questi accordi non può essere una mera formalità, come spesso avviene nei parlamenti nazionali, ma abbiamo bisogno di ricevere in anticipo tutte le informazioni pertinenti, in modo da potere influenzare il contenuto in itinere. Il Consiglio, che si è risentito, deve abituarsi all’idea che in futuro dovrà cooperare molto meglio con il Parlamento europeo.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Il trattato di Lisbona comporta nuovi compiti e obblighi sia per il Parlamento europeo, sia per la Commissione europea.
È encomiabile che, a meno di un anno dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona, abbiamo sul tavolo la revisione dell’accordo quadro sul miglioramento della cooperazione sui compiti comuni della Commissione europea e del Parlamento europeo. L’accordo reciproco sulle procedure comuni contribuirà sicuramente a prevenire eventuali incomprensioni che dovessero sorgere nell’adottare decisioni comuni. Ciononostante, l’Unione europea si fonda su un accordo con gli Stati nazionali, che hanno delegato alcune delle loro competenze a noi, al Parlamento europeo e all’Unione europea più in generale. Di conseguenza, il trattato di Lisbona ha introdotto l’obbligo di cooperare con i parlamenti nazionali in determinati ambiti. Il passo successivo nel definire la cooperazione con l’Unione europea deve essere stabilire la forma più corretta di cooperazione. È proprio questo che vorrei chiedere, signor Commissario.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signora Presidente, nell’Unione europea il Parlamento e il Consiglio agiscono da legislatori e hanno un mandato democratico, diretto, nel caso del Parlamento europeo e almeno indiretto nel caso del Consiglio. La Commissione, che non dispone di alcun mandato democratico, rimane pur tuttavia l’unica istituzione in grado di proporre normative europee, nonostante il trattato di Lisbona. Mi sembra esista quindi ancora una grave lacuna a questo proposito.
Se vogliamo mettere il Parlamento europeo in condizione di esercitare il proprio diritto di iniziativa in maniera efficace, dobbiamo estendere anche l’obbligo di fornire informazioni. Il nuovo strumento rappresentato dall’iniziativa dei cittadini deve coinvolgere il prima possibile il Parlamento nella procedura legislativa, in qualità di istituzione rappresentante dei cittadini.
Occorre intensificare il flusso di informazioni tra la Commissione e il Parlamento nell’ambito delle relazioni internazionali. Non dobbiamo permettere che la politica estera dell’Unione europea sia di competenza esclusiva di un servizio europeo per l'azione esterna burocratico e relativamente distante dai cittadini.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Sono convinta che il nuovo accordo migliorerà in maniera significativa le relazioni tra il Parlamento e la Commissione europea tra il 2010 e il 2015.
La revisione della base giuridica della cooperazione è quanto mai tempestiva, poiché giunge a breve distanza dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Le nuove regole definiscono chiaramente la responsabilità politica delle due istituzioni e consolidano le competenze appena acquisite dal Parlamento europeo nel processo decisionale.
Sulla base del principio della parità di trattamento, il Parlamento eserciterà gli stessi diritti del Consiglio in termini di accesso ai documenti legislativi o di bilancio. Inoltre, il ruolo di alto profilo che il Parlamento avrà nel redigere il programma di lavoro annuale dell’Unione europea rafforzerà il coinvolgimento dei cittadini nello stabilire le priorità per le politiche europee.
Krisztina Morvai (NI). – (HU) Secondo la tradizione biblica, l'albero buono produce frutti buoni e l’albero cattivo produce frutti cattivi. Il trattato di Lisbona è stato firmato in circostanze dittatoriali e, di conseguenza, non può sortire alcun effetto democratico. È un trattato che è stato imposto agli Stati nazionali, o quantomeno al mio paese, l’Ungheria, in circostanze espressamente dittatoriali e antidemocratiche e che ha tolto ai cittadini il potere di prendere decisioni sul loro destino, alle loro spalle e dall’alto, per trasferirlo a Bruxelles. Va da sé che in base al diritto naturale il trattato di Lisbona non è da ritenersi valido, quantomeno in relazione all’Ungheria, in primo luogo perché non vi è stato alcun dibattito e non si è provveduto a riconciliare un trattato di tale rilevanza con i cittadini, l’opinione pubblica e le varie organizzazioni civili; in secondo luogo, perché è stato approvato senza che si avesse alcuna idea del contenuto del testo, con buona pace degli effetti democratici di un trattato dittatoriale.
Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signora Presidente, innanzi tutto desidero ringraziare tutti gli oratori e in particolare quanti hanno espresso il proprio sostegno all’accordo quadro, che considero un importante manuale sulle modalità con cui cooperare e lavorare meglio insieme in futuro.
Desidero esprimere ancora una volta la mia gratitudine al gruppo di lavoro e alla squadra del Parlamento europeo, dal momento che abbiamo trascorso molto tempo insieme. Abbiamo condotto 11 cicli di negoziati molto intensi, ma alla fine il nostro duro lavoro è stato premiato e credo che oggi possiamo contare su un ottimo accordo.
Ovviamente ho ascoltato con molta attenzione le osservazioni e le domande degli onorevoli deputati, alcune delle quali esprimono preoccupazione per l’accordo raggiunto.
Mi preme sottolineare, innanzi tutto, che per la Commissione è un principio fondamentale mantenere pratiche efficaci e già consolidate di cooperazione tra le istituzioni. Questo significa che l’accordo quadro riveduto non deve comportare l’eliminazione delle pratiche più riuscite, ma mi aspetto anzi che la sua attuazione porti a netti miglioramenti.
Entrambe le parti hanno ammesso in sede di negoziato che sarebbero sorte difficoltà di interpretazione, ma si sono dette pronte ad attuare l’accordo quadro rivisto nello spirito più costruttivo possibile, e posso assicurarvi che la Commissione si impegna a farlo.
Sono convinto che la pratica rivelerà che molte delle preoccupazioni espresse oggi non si concretizzeranno. Per di più, alcune aspettative che vanno ben oltre le competenze attribuite ad ognuna delle due istituzioni dai trattati saranno già state riviste. In riferimento alla richiesta dell’Aula relativa alla mia affermazione sul Codice di condotta, mi preme confermare che la Commissione presenterà a breve una proposta di revisione del Codice e, conformemente ai termini dell'accordo quadro, chiederà in maniera tempestiva il parere del Parlamento, come promesso in fase di negoziato.
Per concludere, desidero sottolineare che, qualora dovessero insorgere ulteriori problemi, ci siederemo nuovamente al tavolo dei negoziati e cercheremo le relative soluzioni. Abbiamo già previsto una revisione dell’accordo quadro per la fine del 2011, che ci darà più di una possibilità per correggere eventuali errori.
In questo contesto, attendo con ansia di collaborare con voi sulla base dell’accordo quadro riveduto, auspicando e confidando nella sua approvazione questo mercoledì.
Credo e spero che questo spirito positivo prevalga in generale nei rapporti tra tutte le istituzioni dell’Unione europea, poiché è quanto i cittadini si aspettano da noi e quanto noi dovremo garantire loro.
Paulo Rangel, relatore. – (PT) Desidero pronunciare il mio intervento conclusivo sulla base della discussione odierna. Vorrei concludere sottolineando che uno degli obiettivi principali dell’accordo quadro era porre il Consiglio e il Parlamento su un piano paritario, ovvero in una posizione parallela, in materia di procedura legislativa ordinaria e di bilancio; negli altri ambiti lo scopo era di rispettare l’equilibrio di potere derivante dal trattato di Lisbona e il principio della separazione dei poteri, in modo da consentire al Parlamento di esercitare meglio il controllo politico in ambiti diversi dalla procedura legislativa ordinaria e dal bilancio.
Ritengo che il chiarimento fornito dall’accordo quadro sia positivo per entrambe le istituzioni, in quanto rende i rapporti reciproci più chiari e trasparenti.
L’accordo è positivo anche per le altre istituzioni e in particolare per il Consiglio, che si trova ora ad avere una base chiara, con un’idea e una visione nitide di come gestire i rapporti tra il Parlamento e la Commissione alla luce dei miglioramenti apportati dal trattato di Lisbona. Per quanto il Consiglio possa reagire emotivamente o muovere critiche all’accordo quadro, dovrà un giorno ammettere che è stato un passo positivo per tutte le istituzioni e un giorno avremo un accordo quadro concluso non per due, ma – come auspicano i cittadini europei – per tre istituzioni, ognuna delle quali vedrà rappresentata la propria opinione sui contenuti e lo spirito del trattato di Lisbona.
Accolgo con favore l’apertura manifestata dalla Commissione nel corso del processo.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà mercoledì 20 ottobre.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto. – (PL) Quando un anno fa abbiamo avviato il dibattito sul nuovo accordo interistituzionale, abbiamo notato che, alla luce del rafforzamento del Parlamento ad opera del trattato di Lisbona, era giunto il momento di fare un salto di qualità nella cooperazione con la Commissione. Io stesso in quell’occasione ho sostenuto che il Parlamento aveva ovviamente guadagnato dal trattato a scapito della Commissione, ma che il diavolo si nasconde nei dettagli e proprio da questi dettagli sarebbe dipeso quanto favorevolmente i negoziatori sarebbero riusciti a tradurre la lettera del trattato in disposizioni specifiche dell’accordo quadro. Oggi abbiamo queste disposizioni e siamo riusciti a includere quanto stabilito nella risoluzione della seduta plenaria di febbraio. Colgo quindi l’occasione per fare le dovute congratulazioni ai negoziatori e al relatore della commissione per gli affari costituzionali, l’onorevole Rangel. Mi auguro che, nonostante l’attrito iniziale tra noi e la Commissione sull’interpretazione delle disposizioni negoziate, l’accordo possa contribuire a una cooperazione più efficace ed efficiente tra le nostre istituzioni.
15. Trasferimento di dati dagli Stati membri verso gli Stati Uniti sulla base di memorandum d'intesa (discussione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la discussione su:
– l'interrogazione orale alla Commissione degli onorevoli in ’t Veld e Alvaro, a nome del gruppo dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa, e dell’onorevole Sippel, a nome del gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, sul trasferimento da parte degli Stati membri di dati verso gli Stati Uniti in base a protocolli d'intesa (O-0149/2010 - B7-0555/2010);
– l'interrogazione orale alla Commissione degli onorevoli Tavares e Vergiat, a nome del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, sul trasferimento da parte degli Stati membri di dati verso gli Stati Uniti in base a protocolli d'intesa (O-0160/2010 - B7-0558/2010); e
– l'interrogazione orale alla Commissione dell’onorevole Albrecht, a nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea, sul trasferimento da parte degli Stati membri di dati verso gli Stati Uniti in base a protocolli d'intesa (O-0168/2010 - B7-0561/2010).
Sophia in 't Veld, autore. – (EN) Signora Presidente, sarò breve. Ritengo che l'interrogazione orale sia molto chiara. Attualmente stiamo lavorando a un pacchetto PNR e la Commissione ha preparato tre progetti di mandato negoziale con Stati Uniti, Canada e Australia. Nel frattempo, però, gli Stati membri stanno negoziando bilateralmente con gli USA il trasferimento di dati personali, o meglio stanno garantendo agli Stati Uniti l’accesso a database europei che contengono dati di identificazione dei passeggeri.
Affinché l’Aula possa prendere posizione su eventuali proposte o accordi riguardanti i dati PNR, è necessario conoscere la situazione. Se gli Stati membri stanno effettivamente concordando bilateralmente con gli Stati Uniti il trasferimento di dati PNR, mi chiedo qual è il nostro compito in quest’Aula.
Mi è anche stato riferito, ma non c’è modo di verificare le informazioni dal momento che gli accordi e i negoziati bilaterali sono segreti, che l’accordo comprenderebbe anche i dati PNR di cittadini extracomunitari o di cittadini comunitari su voli con destinazioni diverse dagli Stati Uniti, non coperti quindi da un eventuale accordo UE-USA. Occorre chiarire questi punti prima di proseguire i negoziati sui dati PNR.
Infine, signora Commissario, lo scorso fine settimana ho scoperto un altro punto su cui non eravamo stati informati e che potrebbe essere rilevante per la discussione. Si tratta di un programma noto come “One-Stop Security”, che a quanto pare la Commissione sta attualmente negoziando con l'autorità statunitense per la sicurezza dei trasporti e che comporterebbe l'eliminazione dei controlli di sicurezza per i passeggeri di voli tra Stati Uniti e Stati membri.
Trovo piuttosto strano che, mentre i controlli di sicurezza per i cittadini europei in partenza verso gli Stati Uniti sono sempre più rigidi e devono pagare il relativo modulo del sistema elettronico di autorizzazione di viaggio (ESTA), la Commissione europea stia negoziando l’eliminazione dei controlli di sicurezza per i passeggeri statunitensi che entrano nell’Unione europea.
È ora che la Commissione europea ci fornisca tutte le informazioni riguardanti questo programma e ci informi sullo stato dei negoziati. Vorrei quindi sapere, e qui concludo, se è effettivamente opportuno che gli Stati Uniti impongano gli standard di sicurezza alla base del programma.
PRESIDENZA DELL’ON. LAMBRINIDIS Vicepresidente
Birgit Sippel , autore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi il trattato di Lisbona è stato citato spesso e per una volta desidero pronunciarmi a favore. La maggior parte dei cittadini europei considera positiva la possibilità di viaggiare in Europa senza confini, di muoversi liberamente per motivi di studio, lavoro o semplicemente per svago. Così facendo però lasciamo inevitabilmente una serie di dati dietro di noi. Da tempo, ormai, i dati personali di ciascun cittadino europeo non vengono registrati esclusivamente nello Stato membro di appartenenza, ma sono diffusi anche in tutto il resto dell’Unione. Ecco perché è bene che all’Unione siano stati attribuiti maggiori poteri in merito alla protezione dei dati dei cittadini europei: questi ultimi, infatti, si aspettano a ragione che i propri dati siano protetti ovunque in Europa e non vengano distribuiti, soprattutto a paesi terzi, se non in caso di reale necessità.
Come possiamo noi garantire una simile protezione? Desidero specificare che mi riferisco a noi come Unione europea, ovvero Parlamento, Consiglio e Stati membri insieme. Ed è proprio qui la difficoltà: come si può assicurare la protezione dei dati se, mentre l’Unione europea conduce negoziati con paesi terzi riguardo il trasferimento di dati (in altre parole quali dati sono realmente necessari, per quali scopi vengono utilizzati e quali misure devono essere adottate per la loro tutela), gli Stati membri portano avanti le medesime trattative a livello individuale? Specialmente se non sappiamo a che tipo di dati si riferiscono gli accordi bilaterali, quali standard di sicurezza vengono mantenuti, se contemplano casi di duplicazione e distribuzione dei dati stessi, o addirittura se sanciscono la possibilità di distribuire dati che a livello europeo non sarebbe permesso diffondere.
Vi è un ulteriore aspetto che rischia di essere trascurato dagli Stati membri. Se uno Stato membro porta avanti negoziati con un paese terzo, come potrà lo stesso Stato membro garantire che il trasferimento, qualora avvenga, si limiterà esclusivamente ai dati dei cittadini di quello Stato? Attualmente all’interno dell’Unione si dispone di banche dati centralizzate che contengono dati relativi a tutti i cittadini, alle quali hanno accesso molte autorità dei paesi europei. In altre parole, se i miei dati sono conservati nel paese A, che decide di permettere il trasferimento di dati verso un paese terzo, quest’ultimo avrà accesso anche ai miei dati? Non è certo questo il valore aggiunto che si intendeva attribuire all’Unione europea al momento dell’elaborazione del trattato di Lisbona. Gli Stati membri hanno il dovere di riconoscere il nuovo equilibrio di poteri tra le istituzioni e agire di conseguenza, nel rispetto dei regolamenti che sanciscono la natura europea delle questioni riguardanti la protezione dei dati. Dobbiamo garantire che a livello europeo il trasferimento di dati rimanga il più basso possibile e sia limitato da una precisa definizione dello scopo. È necessario altresì poter escludere il rischio che tali disposizioni vengano invalidate da iniziative di carattere bilaterale.
Rui Tavares, autore. – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, quest’anno abbiamo discusso in più di un’occasione di questioni riguardanti la protezione dei dati e la privacy dei cittadini europei, affermando che la sicurezza fisica di chi viaggia, ad esempio, in aereo, dipende anche dalla protezione garantita ai dati personali dei cittadini europei. Questo ha conseguenze sul piano legale e su quello politico, che il Parlamento non può trascurare.
La situazione attuale potrebbe essere descritta come il tentativo di costruire una casa partendo dal tetto: ogniqualvolta si presenta un problema, ci concentriamo per trovare una soluzione a quella specifica questione. Basti pensare all’accordo per lo scambio dei dati bancari (SWIFT) o all’accordo riguardante i dati di identificazione dei passeggeri (PNR), progetti che si rivelano costantemente inadatti alla risoluzione del problema, in quanto non corrispondono mai alla costruzione della casa dalle fondamenta. Dobbiamo rivolgere l’attenzione in primo luogo al concetto di protezione dei dati in Europa, per applicarlo poi a 360 gradi alla risoluzione delle relative questioni ed ai rapporti con i partner internazionali, che oggi sono gli Stati Uniti, ma che domani potrebbero comprendere Cina, Corea del Sud o Arabia Saudita, ovvero qualsiasi partner internazionale richieda i dati.
Anche al di là dell’approccio attuale, così frammentato e parziale, il quadro di riferimento in cui stiamo operando è estremamente delicato ed il Parlamento ha tentato di mettervi ordine. È chiaro, tuttavia, che la situazione va affrontata diversamente: bisogna riconoscerne il peggioramento, se fossero confermate le relazioni che riferiscono di negoziati tra alcuni Stati membri e gli Stati Uniti, che hanno portato alla firma di protocolli d’intesa che permettono il trasferimento diretto di dati riguardanti passeggeri che viaggiano dagli Stati membri agli Stati Uniti.
Desidero sottolineare che la mia critica non è rivolta agli Stati Uniti, uno dei nostri partner internazionali, che per molti aspetti merita ammirazione e con cui condividiamo diversi interessi. Mi rivolgo invece agli Stati membri che, con le loro iniziative, compromettono i negoziati che dovremmo condurre a livello europeo. Lo considero un segno di slealtà, che mina non soltanto la buona riuscita dei negoziati in corso con gli Stati Uniti, ma anche i rapporti interistituzionali all’interno dell’Unione. Inoltre una simile condotta rischia di precludere qualsiasi futuro accordo con gli Stati Uniti, anche l’accordo quadro sulla protezione dei dati, di cui l’onorevole Albrecht è relatore.
Questo approccio potrebbe avere conseguenze imprevedibili, dato che, in seguito ai negoziati condotti con i singoli Stati membri, nulla impedisce agli Stati Uniti di distribuire i dati acquisiti a compagnie aeree, o di avere i dati, anche in modo diretto, all’acquisto di ciascun singolo biglietto.
È necessario difendere i diritti dei 500 milioni di cittadini europei. Il Parlamento l’ha già fatto in questa sede. Commissione, Stati membri e Stati Uniti non possono ignorare che, per quanto riguarda i dati PNR, il Parlamento ha totale potere decisionale. E, come nel caso SWIFT, il Parlamento non esiterà a sfruttare le proprie prerogative, sia che debba interrompere un accordo temporaneo, sia che debba respingere un accordo permanente privo di garanzie per quanto riguarda la privacy e la protezione dei dati dei cittadini europei.
Jan Philipp Albrecht , autore. – (DE) Signor Presidente, rappresentanti della Commissione, vi esorto a considerare attentamente la questione oggetto della discussione odierna. Stiamo in ultima analisi discutendo, come è stato detto poc’anzi, dell’utilità di elaborare disposizioni in materia di protezione dei dati, se contemporaneamente si siglano accordi che vanno nella direzione contraria all’insaputa del Parlamento europeo e forse perfino dei parlamenti nazionali.
È fondamentale una cooperazione transatlantica molto intensa in materia di sicurezza, in particolar modo durante la creazione di uno spazio di libertà e giustizia. Non dobbiamo però permettere che l’affermazione di interessi collettivi in campo di sicurezza vada a scapito delle libertà individuali e dei diritti fondamentali, specialmente per quanto riguarda la protezione dei dati nell’ambito della cooperazione internazionale.
Il Parlamento ha sottolineato più volte negli anni passati l’importanza di istituire principi sulla protezione dei dati, applicabili sia a livello generale che a livello individuale, siano essi riferiti al trasferimento di dati PNR o all’accesso ai dati bancari SWIFT. Dal momento che questo invito viene costantemente ignorato, il Parlamento ha espresso la necessità di istituire standard generali applicabili su tutto il territorio dell’Unione, in accordo con gli Stati Uniti. In qualità di relatore per l’accordo quadro dell’UE con gli Stati Uniti mi sento in dovere di specificare che questo deve valere per tutti gli accordi conclusi dagli Stati membri, tanto a livello europeo quanto a livello nazionale. Senza dubbio è un ambito in cui vige una condivisione di poteri e pertanto gli accordi bilaterali tra Stati membri e Stati Uniti continueranno ad esistere in parallelo. Non vi è nulla di sbagliato in questo, a condizione che gli accordi bilaterali, in primo luogo, non riducano o compromettano gli standard condivisi istituiti a livello europeo – che è precisamente quanto stiamo discutendo oggi – e, in secondo luogo, si attengano alla legislazione vigente.
A seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, dove si sancisce il necessario coinvolgimento del Parlamento europeo, disponiamo di un quadro normativo sugli ambiti di condivisione dei poteri, che diventano di competenza esclusiva dell’Unione – e dunque preclusi agli Stati membri – laddove vi siano regolamenti approvati a livello europeo, come nel caso dei dati PNR. Ritengo quindi che gli Stati membri non debbano poter avviare negoziati di propria iniziativa con gli Stati Uniti nell’ambito della protezione dei dati, poiché comprometterebbero la posizione negoziale dell’Unione.
Esorto la Commissione europea, nella persona della rappresentante, ad intervenire in materia di competenze degli Stati membri, sottolineando alla Presidenza del Consiglio che questi negoziati devono essere interrotti, e, soprattutto, che i fondamenti legislativi in vigore a seguito dell’applicazione del trattato di Lisbona necessitano di chiarimenti. Il Parlamento è convinto che l’Unione europea debba esprimersi con una sola voce nei negoziati e che la Commissione (le cui proposte nella maggior parte dei casi sono, a mio parere, corrette) debba rispettare in ogni occasione quanto segue: dobbiamo trattare con un’unica voce e non avviare costantemente nuovi negoziati di natura bilaterale.
Maria Damanaki, membro della Commissione. – (EN) Accolgo con favore le domande dei membri del Parlamento e desidero sottolineare fin da ora che la Commissione condivide le preoccupazioni espresse in merito alla protezione dei dati dei nostri cittadini.
È mia intenzione affrontare la questione dal principio. Immagino sia noto a tutti che non si tratta di un problema nuovo. Nell’agosto del 2007 gli Stati Uniti hanno modernizzato il programma di esenzione dal visto VWP (Visa Waiver Programme), introducendo condizioni volte ad aumentare la sicurezza. È chiaro ormai che tali condizioni interessano tutti gli Stati membri dell’Unione europea, a prescindere dalla loro appartenenza o meno al VWP: si prevede che, per farne parte, qualsiasi paese si debba impegnare alla cooperazione con le forze di polizia degli Stati Uniti, in particolare nello scambio di informazioni relative alla sicurezza.
Di conseguenza l’Unione europea ha adottato il duplice approccio già menzionato. Il primo, l’approccio europeo, ha portato all’avvio di negoziati tra Unione e Stati Uniti per quanto riguarda determinate condizioni di accesso al programma VWP di competenza europea, come ad esempio politica di rientro dei cittadini europei, sicurezza dei documenti di viaggio e sicurezza aeroportuale; tutte questioni, dunque, di nostra competenza.
L’approccio bilaterale, invece, tuttora in essere tra Stati Uniti e singoli Stati membri, soddisfaceva le esigenze degli Stati Uniti in merito alla cooperazione nell’ambito di iniziative antiterroristiche e di condivisione delle informazioni. La conclusione di accordi a riguardo è un requisito fondamentale per l’adesione di un nuovo Stato al programma di esenzione dal visto. È quindi necessario affrontare la questione.
Gli Stati membri che già fanno parte del VWP possono affrontare questi accordi in un secondo momento, agevolando notevolmente le procedure. Sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri alla Commissione, sarebbe l’unico modo possibile di ottenere l’esenzione. Otto Stati membri (Repubblica ceca, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta e Slovacchia) hanno firmato protocolli d’intesa con gli Stati Uniti, confermando la loro disponibilità a collaborare in materia, accedendo così al programma di esenzione dal visto tramite l’unica via loro possibile.
La Commissione è consapevole che, al momento di elaborare i protocolli d’intesa, non si intendeva farne la base legislativa per il trasferimento di dati tra Stati Uniti e Stati membri. Esprimevano esclusivamente la volontà di entrambe le parti di concludere accordi specifici volti a regolare lo scambio di dati, e null’altro.
È mio dovere sottolineare che le informazioni concernenti il preciso contenuto dei protocolli d’intesa e i dati a cui essi fanno riferimento sono detenute dagli stessi Stati membri, ai quali il Parlamento europeo si dovrà rivolgere qualora ritenesse necessario ottenere ulteriori informazioni.
La Commissione – e mi riferisco ora alle responsabilità di nostra competenza – ha assicurato che gli Stati Uniti non richiederanno accordi bilaterali con gli Stati membri in merito allo scambio di dati PNR, poiché si tratta di una questione di competenza dell’Unione europea, inclusa negli accordi sui PNR tra Stati Uniti e UE. Questo è quanto abbiamo ottenuto.
Infine, in riferimento ai negoziati per l’accordo UE-USA, si è svolto uno scambio epistolare che conferma il soddisfacimento dei requisiti legali statunitensi per la partecipazione continuativa al programma di esenzione dal visto nelle aree di competenza dell’Unione europea. La Commissione, da parte sua, ha dichiarato che lo scambio epistolare, avvenuto nell’ambito dei negoziati tuttora in corso, non prevedeva l’accesso alla banca dati dell’Unione europea.
Carlos Coelho, a nome del gruppo PPE. – (PT) Signor Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, ho ascoltato le vostre risposte e devo confessare una certa perplessità, poiché la Commissione sostiene che, per ottenere ulteriori informazioni, ci si debba rivolgere agli Stati membri. L’unica possibile interpretazione di queste parole è che la Commissione non possa fare pressione sugli Stati membri o intervenire nella presente situazione. D’altra parte è stata proprio la Commissione, secondo quanto riferito, a rivolgersi al governo degli Stati Uniti invitandolo a non richiedere dati che comprometterebbero l’accesso alle banche dati europee. Non mi è chiara la ragione che spinge la Commissione a ritenere più facile avanzare richieste al governo degli Stati Uniti, piuttosto che agli Stati membri e ai loro governi.
A mio parere vi è un’unica possibile spiegazione: la posizione della Commissione è debole e le preoccupazioni espresse dal Parlamento sono quindi estremamente fondate. La nostra attenzione si concentra innanzi tutto sulla strategia divide et impera impiegata, a quanto pare impunemente, dagli Stati Uniti. In secondo luogo, ci preoccupa la decisione di molti Stati membri di condurre negoziati bilaterali, dimostrando scarsa solidarietà europea. È però allarmante anche l’atteggiamento di rassegnazione delle istituzioni europee, che sembrano sottrarsi alle proprie responsabilità, a scapito della nostra posizione negoziale.
L’Europa deve pronunciarsi ad una sola voce sulla presente questione. Dobbiamo garantire che i negoziati bilaterali non contemplino alcuna possibilità di accesso alle banche dati. Inoltre, l’alone di segretezza che avvolge detti negoziati, le rivelazioni di alcuni rappresentanti degli Stati membri o dei parlamenti nazionali in merito ai contenuti dei protocolli d’intesa, nonché il fatto che il Parlamento continui a non disporre di sufficienti informazioni sulla situazione attuale, sono tutte ragioni che confermano i nostri timori e che non hanno trovato soluzione nelle risposte fornite dalla Commissione in questa sede.
Alexander Alvaro, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, desidero esprimere gratitudine e apprezzamento al Commissario, che risponde a nome della collega, Commissario Malmström. Temo tuttavia che si stia procedendo sulla base di dati differenti. L’essenza della discussione odierna non è soltanto l’uso della banca dati del DNA; i miei colleghi non hanno fatto diretto riferimento alla richiesta di dati genetici, impronte digitali e fedina penale, che vengono forniti attraverso il sistema creato con la convenzione di Prüm. Si tratta di casi relativi ad uno dei fondamenti della politica europea.
Ad essere sincero, non è questo che mi preoccupa. Certo, ne possiamo discutere, scambiarci opinioni a riguardo, valutare modalità e mezzi, se lo riteniamo opportuno; ritengo tuttavia che il problema di fondo sia l’incapacità di Consiglio e Parlamento di rivolgersi agli Stati Uniti senza mezzi termini, condannando il loro comportamento come inaccettabile. Il programma per l’esenzione dal visto non può divenire uno strumento per ricattare gli Stati membri (nel mio caso l’Austria, che è ben lungi dall’essere un membro di recente acquisizione), minacciandoli di revocare l’esenzione dal visto se non permettono l’accesso a determinati dati. È interessante notare come invece uno Stato membro non possa però a sua volta revocare unilateralmente l’esenzione agli Stati Uniti poiché i nostri accordi prevedono che solo l’Unione europea nel suo complesso abbia la facoltà di garantire tale esenzione. Ritengo grave soprattutto il tono con cui ci si rivolge a noi, nonché il fatto che non si abbia il coraggio di esprimersi chiaramente, dicendo che, nonostante da parte dell’Unione europea non manchi la volontà di cooperare e portare avanti le relazioni transatlantiche, come in ogni relazione che funzioni, c’è bisogno di rispetto e buone maniere. Dato che è proprio questo che ci aspettiamo dalla nostra relazione con i cittadini e la politica degli Stati Uniti, esortiamo la Commissione ed il Consiglio a porvi maggiore enfasi.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, non appena i negoziati SWIFT si sono conclusi, quella che si riteneva fosse un’efficace strategia di protezione dei dati è apparsa, con nostro grande imbarazzo, per ciò che era in realtà: un inganno, che gli europei si erano confezionati con le proprie mani. Ora è ufficiale e non più soltanto una mia supposizione: il sistema di controllo dell’Unione europea si è rivelato una sorta di placebo, un sedativo per le critiche. E ciò è avvenuto non, come si prevedeva, nel corso degli anni, ma nell’arco di pochi mesi.
È ormai chiaro che gli USA non sono interessati ad alcun accordo, né – come hanno dimostrato – sono interessati ad avere dei partner, bensì degli Stati che rispondano solo e sempre “sì” e “pazienza” di fronte ad ogni azione intrapresa dagli onnipotenti Stati Uniti. Abbiamo dovuto stringere i denti e riconoscere che, per anni, si sono avidamente serviti delle banche dati europee e che, quando abbiamo insistito su un accordo che rispettasse gli standard comunitari di protezione dei dati e istituito un sistema europeo di controllo, gli Stati Uniti hanno accettato di buon grado solo perché sapevano che comunque avrebbero avuto accesso illimitato ai dati tramite gli accordi bilaterali.
Ritengo che non si debbano attendere i prossimi incontri transatlantici, ma che si debba porre fine a questo incubo ora.
Ernst Strasser (PPE). – (DE) Signor Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, desidero esprimere il mio sostegno nei confronti di uno degli interventi precedenti: siamo lieti che la Commissione abbia inviato una sua rappresentante qui oggi per chiarire la propria posizione. Ci è noto che non si tratta di un ambito di vostra specifica competenza, ma ritengo tuttavia doveroso parlare apertamente ed affermare che la risposta della Commissione è quanto mai insoddisfacente. È accaduto qualcosa che desidero non passi inosservato.
Tutti i principali gruppi parlamentari intendono discutere del principio. È vergognoso che la Commissione non agisca. Si sta ripetendo la stessa situazione creatasi per lo SWIFT. Nell’ultima seduta plenaria è stato necessario ricordare alla Commissione l’esistenza della tassa d’entrata di 14 dollari statunitensi. Oggi un collega ha giustamente posto le seguenti domande: cosa sta facendo la Commissione? Cosa stanno facendo gli Stati membri? Ora pare addirittura che si stia valutando la possibilità di concedere un trattamento preferenziale agli americani a scapito degli europei!
Dobbiamo far sapere chiaramente alla Commissione che intendiamo discutere con grande serietà gli aspetti fondamentali della questione, che includono se non altro la reciprocità. Questo significa che non si può permettere l’accesso diretto ai dati europei, che dovranno invece essere ottenuti applicando il metodo “push”, ossia tramite sistemi informatizzati con determinati filtri. Si tratta di principi che ora sono ancora più giustificati, alla stregua dei diritti dei cittadini: i cittadini hanno il diritto di sapere quali loro dati personali vengono utilizzati, dove e come, e naturalmente tutto questo deve essere riferito ad una dimensione europea. Oggi diviene chiaro come la Commissione stia di fatto indebolendo la nostra posizione negoziale con gli Stati Uniti, in primo luogo non rivolgendosi agli Stati membri per coordinare le relative azioni da intraprendere, e in secondo luogo non agendo lei stessa in quest’area.
Quando verranno avviati i negoziati? Quando ci si metterà all’opera? Nel caso SWIFT bastarono le pressioni del Parlamento per fare sì che, nell’arco di un mese soltanto, si cominciasse ad agire. Ora è necessario che lo stesso avvenga per i dati PNR e per tutti i tipi di dati in generale.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Senza dubbio è necessario opporsi al terrorismo con decisione e con ogni mezzo possibile. Nell’ambito della cooperazione internazionale, e più precisamente nell’ambito in questione, non è tuttavia possibile aggirare gli standard democratici in vigore nelle nazioni dell’area transatlantica. Desidero quindi esprimere il mio disappunto di fronte ai recenti sviluppi delle relazioni contrattuali bilaterali tra Unione europea e Stati Uniti: Commissione e Stati membri hanno dimostrato di non avere imparato nulla dagli errori del passato, siglando invece accordi alle spalle del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Nell’intento di concludere gli accordi in tempi brevi (accordi che sembrano rispondere principalmente alle esigenze di campagna pre-elettorale degli Stati Uniti), essi mettono a repentaglio legittimità, trasparenza e controllo democratico. Inoltre, il tutto avviene in corrispondenza dell’introduzione da parte degli Stati Uniti di una tassa per l’Unione europea sul programma di esenzione dal visto, che a suo tempo fu siglato sulla base dell’opinione pubblica europea. Personalmente non ho nulla da obiettare di fronte al trasferimento, verso paesi sviluppati e democratici, di determinati dati personali dei cittadini europei, come nel caso dei dati PNR trasmessi dai vettori aerei; ritengo però che il trasferimento debba avvenire nel rispetto delle disposizioni vigenti, in modo che possa essere monitorato da un ente indipendente, dai giudici o dai membri del Parlamento.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) Il trasferimento di dati personali dei cittadini europei è da sempre una questione molto delicata, dal punto di vista sia della società civile sia dei diritti umani.
Il trasferimento di dati riguardanti i cittadini degli Stati membri dell’Unione agli Stati Uniti si inserisce nei nostri sforzi congiunti di lotta al terrorismo ed è dunque giustificato dal comune interesse a garantire la sicurezza dei nostri rispettivi cittadini. Si tratta senza dubbio di una nobile causa, ma talvolta ho l’impressione che, in nome della lotta al terrorismo, si tenda sempre più a limitare la privacy dei cittadini. Non intendo assolutamente sminuire l’importanza dei negoziati tra Unione europea e Stati Uniti e continuo a ritenere gli USA come uno dei nostri maggiori alleati. D’altra parte, il fatto che gli Stati Uniti siano in trattativa con gli Stati membri, a livello sia individuale e bilaterale, e non soltanto con l’Unione nella sua interezza, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni per essere interpretato.
In conclusione, desidero esprimere il mio sostegno a quegli Stati membri che hanno già concluso un protocollo d’intesa. È avvenuto a causa della natura delle loro relazioni con gli Stati Uniti, che finora sono state basate proprio sui visti; poiché l’Unione europea non si è espressa con una sola voce, questi paesi non hanno avuto altra scelta che firmare i protocolli d’intesa. Rimango tuttavia dell’idea che in futuro l’Unione europea assumerà un ruolo maggiore rispetto ai singoli Stati membri.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Sono fermamente convinto che si debba perseverare nell’opporsi al terrorismo, che continua a rappresentare una grande minaccia per il mondo civilizzato.
La prevenzione e la lotta al terrorismo, tuttavia, sembrano sempre di più un pretesto per giustificare la mancanza di coordinamento e la disorganizzazione nella gestione dei dati dei passeggeri europei. Sono gli Stati Uniti a fare maggior uso di questi dati, che raccolgono in base sia ad accordi con l’Unione sia ad accordi bilaterali conclusi con i singoli Stati. Questo duplice approccio non può più essere tollerato. È nostro dovere modificare le disposizioni sulla gestione dei dati personali dei cittadini europei, in modo tale da prevenire ogni tipo di violazione del diritto alla protezione dei dati personali tramite procedure semi-legali impiegate dagli Stati membri. È necessario che la nostra relazione con gli Stati Uniti sia innanzi tutto caratterizzata dalla reciprocità, nonché garantire che ogni singola disposizione che governa i nostri rapporti sia accettabile anche per noi europei, assicurandoci che i dati europei o dei cittadini europei siano condivisi nel pieno rispetto delle norme in vigore in Europa.
Presidente. – Onorevole Morvai, le darò la parola in via del tutto eccezionale. Colleghi, gli interventi di un minuto non sono da considerarsi interventi dell’ultimo minuto; se desiderate partecipare alla discussione, vi esorto ad alzare la mano con largo anticipo. Farò un’eccezione esclusivamente perché questa volta vi sono poche persone in lista.
Krisztina Morvai (NI). – (EN) La ringrazio molto, signor Presidente. Consideri un’attenuante il fatto che, benché importante, l’oggetto della discussione odierna non pare sollevare grande entusiasmo o interesse e dunque il mio intervento non rappresenterà una perdita di tempo per molte persone.
Qualsiasi processo volto alla protezione dei dati, come qualsiasi procedura che violi gli interessi fondamentali relativi alla protezione dei dati, deve essere giustificato da uno scopo preciso e raggiungibile. In questo caso quale sarebbe, secondo gli Stati Uniti, la giustificazione, lo scopo preciso, e come contribuirà il trasferimento di dati personali al suo raggiungimento? In altre parole, come verranno utilizzati quei dati? È questa la prima domanda che rivolgo alla Commissione.
La seconda domanda è la seguente: perché vengono impiegati due pesi e due misure nei controlli, uno per i vecchi ed uno per i nuovi Stati membri,tra cui anche il mio paese, l’Ungheria? Su che basi un cittadino ungherese viene considerato più pericoloso di un cittadino di un vecchio Stato membro dal punto di vista del terrorismo? Si tratta forse di un problema che è già emerso durante i negoziati oppure è destinato a diventare un problema in futuro?
Sophia in 't Veld, autore. – (EN) Signor Presidente, la ringrazio per avermi permesso di chiedere chiarimenti su due punti in particolare.
Mi ha sorpreso apprendere che la Commissione ritiene il programma di esenzione dal visto un problema esclusivo degli Stati membri, almeno secondo quanto le ho sentito dire, Commissario. Nel 2007 la Commissione europea ha affermato di avere competenza esclusiva in materia, per poi cedere invece ogni responsabilità e potere agli Stati membri. È corretto dunque supporre che la Commissione europea abbia cambiato idea rispetto alle proprie competenze?
Inoltre, Commissario, lei sostiene che in nessun protocollo d’intesa si fa riferimento al trasferimento dei dati PNR. Posso invece fornirle la copia di un protocollo che lo cita, eccome. Significa forse che la Commissione stessa non ha idea di quanto sta avvenendo?
Le porterò ora un chiarimento a suo beneficio, signora Commissario. Questo Parlamento ha deciso di rimandare il voto su due accordi relativi ai dati PNR perché riteneva di poter contare su una pari dimostrazione di responsabilità da parte della Commissione, dato che entrambe sono istituzioni dell’Unione. Comincio a dubitare che la Commissione meriti la nostra fiducia. Mi auguro che non ci deluda.
(Applausi)
Maria Damanaki, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero aprire il mio intervento precisando che trovo questa discussione estremamente interessante e che sono qui per fornirvi spiegazioni, ma non posso accettare affermazioni come quelle pronunciate oggi, che definiscono la Commissione insensibile al problema della protezione dei dati dei cittadini europei, o che mi considerano come una mera sostituta, senza alcuna conoscenza della materia o degli avvenimenti in questione. Alla Commissione sappiamo bene, molto bene, cosa sta accadendo e non manca certo sensibilità e attenzione circa la protezione dei dati dei nostri cittadini.
Si considerino i fatti: è o non è nostro dovere rispettare il trattato di Lisbona? Che cosa proponete? Di ignorare il Consiglio, forse? Nei vostri interventi avete chiaramente espresso la volontà di vedere l’Europa affrontare in modo unito la questione, parlando con un’unica voce. Sono d’accordo: io stessa lo desidero.
E dunque, che cosa preferireste? Esortare la Commissione ad ignorare completamente il Consiglio? A titolo informativo, e parlando esclusivamente di fatti, non di parole campate in aria, dirò che la Commissione, com’è noto, si è già rivolta al Consiglio. Lo scorso maggio abbiamo proposto al Consiglio che qualsiasi riferimento futuro ai dati personali nel quadro delle relazioni UE-USA trovi applicazione anche ai dati degli Stati membri. La nostra proposta, quindi, riflette esattamente quanto voi tutti avete suggerito oggi.
Se siamo tutti d’accordo, allora agiremo e credo che in questo caso l’accordo non manchi. Ma se il Consiglio fa mancare il proprio appoggio, come suggerite di procedere? Dovremmo forse rivolgerci agli Stati membri e dire loro che non siamo in grado di fare più nulla a riguardo? Mi sembra di capire che sia questa la vostra proposta, a cui rispondo che dobbiamo rispettare il trattato di Lisbona.
Passiamo ora ad altre questioni, che rivestono altrettanta importanza. Sia la banca dati europea che la banca dati Prüm sono state spesso citate nel corso della discussione di oggi. La mia risposta è la seguente: se gli Stati membri hanno concluso protocolli d’intesa e accordi bilaterali, avranno allora la facoltà di distribuire i dati dei propri cittadini. Non potranno, invece, permettere l’accesso ai dati della banca dati europea o della banca dati Prüm, punto su cui ho insistito particolarmente. Sono anche stata molto chiara sul fatto che agli Stati Uniti è stato chiesto per via epistolare – e i negoziati sono ancora in corso – di confermare che gli accordi bilaterali non possono riguardare i dati PNR. Questo non esclude che gli Stati membri possano avere avviato dei negoziati con gli Stati Uniti a riguardo, ma la posizione della Commissione è questa.
Comprendo molto bene i vostri timori, ma dobbiamo superare questa fase per concludere i migliori negoziati possibili con gli Stati Uniti, cercando di inserire negli accordi disposizioni vincolanti per gli Stati membri, poiché solo in questo modo si potrà ottenere quanto voi stessi chiedete. Dato che quanto esposto finora rappresenta il miglior modo di procedere, la Commissione agirà in questa direzione: siamo in trattativa con gli Stati Uniti, per ottenere un accordo che abbia carattere vincolante per gli Stati membri.
A tal fine ci siamo rivolti al Consiglio, chiedendo di procedere nella nostra stessa direzione, qualora vi fosse accordo sulla presente questione e qualora riuscissimo a proteggere i dati di nostra competenza sull’asse UE-USA. Vi sono forse altre proposte da parte vostra che rispettino il quadro normativo in cui dobbiamo necessariamente operare? Se la risposta è sì, sono estremamente interessata ad ascoltarle. In caso contrario, vi prego di riconoscere che anche la Commissione è sensibile alla protezione dei dati dei cittadini europei e che si impegna in tal senso, cercando al contempo di rispettare sia gli Stati membri sia il Consiglio.
La presente questione non ha ancora trovato una soluzione definitiva. Ho ascoltato con attenzione i vostri interventi e sarà mia cura tenere conto delle vostre preoccupazioni. Dal canto suo, la Commissione può rivolgersi al Consiglio ed esortarlo a non avviare ulteriori negoziati con altri paesi. Continueremo con le trattative e cercheremo di portare tutti sul nostro stesso binario. Questo è quanto possiamo fare.
Presidente. – Signora Commissario, dato che conosco approfonditamente la questione in oggetto, mi permetta di sottolineare che pressoché ogni gruppo politico in questa Camera ha espresso grande preoccupazione, come d’altronde ha potuto sentire lei stessa. Vi è un accordo sui dati PNR attualmente in fase di ri-negoziazione. È di fondamentale importanza per il Parlamento che la Commissione consideri attentamente i nostri timori e che non si trasmetta un sentimento di incomunicabilità, come è accaduto, ad esempio, nel caso dell’accordo SWIFT.
Recentemente si è inoltre evidenziato come in quest’ambito vi siano ancora punti poco chiari, che risultano estremamente pericolosi. Se ogni Stato membro concedesse a uno stesso paese terzo l’accesso ai dati che custodisce in una banca dati europea, diciamo Schengen, detto paese terzo potrebbe finire con l’avere accesso a tutti i dati contenuti nella banca dati Schengen, poiché, pur non ottenendoli direttamente da Schengen, li otterrebbe individualmente da ciascuno Stato membro.
In tal senso, come lei stessa ha giustamente ricordato, siamo grati alla Commissione per la determinazione che sta dimostrando nel proteggere il pilastro comunitario della presente situazione. Chiedo soltanto che ci si assicuri che questo avvenga nel miglior modo possibile.
Maria Damanaki, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ritengo personalmente doveroso tenere ben presenti tutte le preoccupazioni espresse e sono d’accordo con lei circa l’esistenza di punti piuttosto allarmanti.
L’ho specificato fin dal principio e spero che questo sia chiaro a tutti.
La Commissione è attualmente impegnata nella ricerca di misure che risolvano il problema nel rispetto dei trattati; il nostro intento è proteggere i dati in modo efficace, rafforzando il pilastro comunitario della presente situazione.
Non è tuttavia l’unico pilastro dell’Unione europea. Vi ricordo che ho ascoltato e compreso i vostri timori; cercate ora di capire che abbiamo fatto appello al Consiglio affinché garantisca il suo impegno, qualora avessimo successo e riuscissimo davvero ad introdurre la protezione dei dati personali nell’accordo.
È l’unico modo di procedere nel rispetto del quadro normativo.
Presidente. – La discussione è chiusa.
16. Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell’Atlantico nord-occidentale - Regime di controllo e di coercizione applicabile nella zona della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nordorientale (discussione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:
- la raccomandazione (A7-0262/2010), presentata dall'onorevole Wałęsa, a nome della commissione per la pesca, sulla proposta di decisione del Consiglio relativa all'approvazione, a nome dell'Unione europea, della modifica della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nord-occidentale [11076/2010 - C7-0181/2010 - 2010/0042(NLE)]; e
- la relazione (A7-0260/2010), dell'onorevole Fraga Estévez, a nome della commissione per la pesca, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce un regime di controllo e di coercizione applicabile nella zona della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nordorientale [COM(2009)0151 - C7-0009/2009 - 2009/0051(COD)].
(Il Presidente sottolinea che gli oratori devono attenersi rigorosamente ai tempi di parola a loro assegnati)
Jarosław Leszek Wałęsa, relatore. – (PL) La Convenzione che ho l'onore di presentare è stata firmata a Ottawa nel 1978 ed è entrata in vigore il 1° gennaio 1979. L’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (NAFO) è stata costituita nell’ambito della Convenzione con l’obiettivo di contribuire, attraverso la cooperazione internazionale, all’uso ottimale e alla conservazione delle risorse ittiche. Le parti contraenti hanno adottato le modifiche della Convenzione in occasione delle riunioni annuali della NAFO del 2007 e del 2008. Il presente documento introduce modifiche fondamentali alla Convenzione, al fine precipuo di renderla più conforme ad altre convenzioni regionali e ad altri strumenti internazionali e di includervi i moderni concetti di gestione della pesca. La struttura organizzativa è stata aggiornata, è stata introdotta una chiara ripartizione delle responsabilità delle parti contraenti, degli Stati di bandiera e degli Stati di approdo, si è creata una procedura decisionale più coerente, il sistema per i contributi al bilancio NAFO è stato riformato e si è inserito un meccanismo per risolvere le eventuali controversie tra le parti contraenti.
Alla luce dei diritti di pesca garantiti all’Unione europea nell’ambito della Convenzione, l’approvazione delle modifiche proposte è nell’interesse dell’Unione stessa e dovremmo pertanto accettarle. Detto questo, desidero sottolineare in modo chiaro e preciso alcuni problemi emersi durante l’approvazione. In primo luogo, le parti contraenti hanno adottato le modifiche della Convenzione in occasione delle riunioni annuali della NAFO del 2007, pubblicando la versione inglese. Nel 2008 è stata pubblicata la versione francese, ma il documento COM, che costituisce la proposta della Commissione in vista del recepimento nel diritto dell'Unione europea, è datato 8 marzo 2010; ci sono quindi voluti oltre due anni per redigere il documento. Tale ritardo è inaccettabile e non dovrà più verificarsi in futuro. La rapidità del processo decisionale è un requisito imprescindibile per il funzionamento efficiente dell'Unione. Le tre istituzioni (Commissione, Consiglio e Parlamento) devono trovare una soluzione seria per evitare la lentezza delle procedure, al fine di soddisfare uno dei principali obiettivi del trattato di Lisbona, vale a dire un processo decisionale semplice e veloce. Il caso del presente documento, presentato per l'approvazione, dimostra che vi sono dei problemi e che si devono adottare misure urgenti per risolverli. In secondo luogo, desidero ricordarvi che il trattato di Lisbona è entrato in vigore nel dicembre 2009. Nel quadro dei poteri recentemente acquisiti della commissione per la pesca, il Parlamento europeo dovrebbe essere adeguatamente rappresentato nel corso dei prossimi negoziati sulle future convenzioni internazionali. Nel 2007 e nel 2008, il Parlamento europeo non è rappresentato per ovvi motivi. L'istituzione è disposta a concedere l'approvazione nei limiti delle sue competenze, ma allo stesso tempo desidera ricordare al Consiglio e alla Commissione i nuovi requisiti procedurali e la necessità di rispettare i nuovi poteri del Parlamento.
Carmen Fraga Estévez, relatore. – (ES) Signor Presidente, mi permetta di ringraziare il Consiglio e la Commissione per questo eccellente accordo in prima lettura; desidero ringraziare in modo particolare i servizi giuridici delle tre istituzioni per la cooperazione e l’aiuto nella risoluzione dei problemi derivanti dalla nuova procedura di comitato sancita dal trattato di Lisbona.
Abbiamo raggiunto un buon compromesso, che rappresenta un progresso significativo rispetto alla situazione attuale; come in ogni compromesso, tutti abbiamo dovuto fare concessioni ed essere flessibili nell’ambito di un compito particolarmente complesso, poiché la proposta della Commissione è giunta prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Allo stesso tempo, pertanto, abbiamo dovuto adattarla alla nuova situazione, e in particolare agli articoli 290 e 291 del TFUE riguardanti rispettivamente i poteri delegati e le competenze di esecuzione.
Poiché si tratta del recepimento nel diritto dell’Unione europea di raccomandazioni emesse da un’organizzazione regionale per la pesca (in questo caso la Commissione per la pesca nell’Atlantico nord-orientale - NEAFC, ma ce ne saranno molte altre), il Parlamento aveva come obiettivo la creazione di un meccanismo che permettesse un recepimento rapido, senza ritardi burocratici interni che non avrebbero permesso di rispondere correttamente agli obblighi internazionali, come è avvenuto fino ad ora.
La nuova formulazione dell’articolo 48, in seguito al compromesso raggiunto con il Consiglio e alle successive modifiche del presente regolamento, permetterà alla Commissione di osservare le disposizioni della NEAFC e di adeguarsi a eventuali future raccomandazioni tramite la delega dei poteri.
È vero che la Commissione si auspicava la revisione di tutti gli articoli della proposta tramite poteri delegati; il compromesso lo permette per la maggior parte degli articoli, ad eccezione di alcune aree quali la registrazione delle catture, i trasbordi, le ispezioni o il controllo delle infrazioni: in altre parole, questioni fondamentali relative al controllo e alla supervisione escluse dalla procedura legislativa ordinaria.
In ogni caso, signora Commissario, il Parlamento si impegna a modificare la presente procedura nel caso in cui l’inclusione di tali aspetti nell’ambito della procedura legislativa ordinaria mini l’ottemperanza agli obblighi dell’Unione e, in particolar modo, a quelli della Commissione, in qualità di parte contraente dell’organizzazione regionale per la pesca.
Per questo motivo riteniamo che il presente compromesso costituisca un progresso significativo, non solo in relazione a questa specifica proposta, ma anche al fine di stabilire le basi per discussioni future tra Consiglio, Commissione e Parlamento in materia di politica della pesca.
Maria Damanaki, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la Commissione chiede al Parlamento l’approvazione delle modifiche della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nord-occidentale, nota generalmente come modifica della Convenzione NAFO.
Desidero ringraziare l’onorevole Wałęsa per il valido lavoro.
La presente modifica comporta una revisione della Convenzione al fine di renderla più conforme ad altre convenzioni regionali e ad altri strumenti internazionali e di includervi i moderni concetti di gestione della pesca; essa semplifica quindi la struttura dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (NAFO); definisce in modo chiaro le responsabilità delle parti contraenti, degli Stati di bandiera e degli Stati di approdo e introduce una procedura decisionale più coerente.
La modifica inoltre aggiorna il sistema per i contributi al bilancio NAFO e inserisce un meccanismo per risolvere eventuali controversie tra le parti contraenti.
Questa modifica accurata promuove l’osservanza degli obblighi internazionali dell’Unione europea in materia di pesca sostenibile e il perseguimento degli obiettivi del trattato. Una rapida approvazione della modifica è nell’interesse dell’Unione e la raccomando dunque a questa Camera.
Desidero soffermarmi ora sulla seconda relazione, relativa al regime di controllo e di coercizione applicabile nella zona della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nord-orientale.
Vorrei ringraziare l’onorevole Fraga Estévez per il lavoro svolto. Sono lieta che la commissione per la pesca sostenga saldamente il contenuto di questa importante proposta.
L’attuazione del regime di controllo e di coercizione della Commissione per la pesca nell’Atlantico nord-orientale (NEAFC) è certamente una misura fondamentale per gestire le risorse ittiche nella regione dell’Atlantico e per eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (pesca INN).
Devo tuttavia sottolineare che la Commissione non è pienamente soddisfatta dell’accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio nell’ambito del trilogo con la Commissione.
Sono delusa da alcuni risultati, in particolar modo per quanto riguarda l’articolo 48 in materia di procedure per gli emendamenti al regolamento.
La Commissione chiede poteri delegati sufficienti per il recepimento dei futuri emendamenti nel regime di controllo. Permettetemi di spiegarvi il motivo; vi prego di prestare attenzione perché in futuro si presenteranno gli stessi problemi.
Come sapete, l’Unione europea deve attuare interamente questo regime perché rientra tra gli obblighi internazionali nell’ambito della Convenzione NEAFC, secondo cui gli emendamenti generalmente diventano vincolanti a 80 giorni dall’adozione: abbiamo dunque 80 giorni per l’attuazione. Temo che i limitati poteri delegati alla Commissione dai colegislatori possano ostacolare il tempestivo recepimento degli emendamenti nel diritto dell’Unione europea. Questa è la realtà ed è anche la risposta alle preoccupazioni dell’onorevole Wałęsa relativamente ai tempi.
Non si tratterà di una mia responsabilità, ma vorrei mettervi a conoscenza del problema.
Dobbiamo infine evitare che il recepimento delle disposizioni NEAFC si trasformi in una versione moderna del mito di Sisifo. Allo stato attuale, le misure adottate lo scorso anno dalla NEAFC saranno recepite al momento dell’adozione dell’accordo. Il prossimo mese, tuttavia, la NEAFC adotterà probabilmente nuovi emendamenti che dovranno essere effettivamente recepiti nella legislazione europea all’inizio del 2011.
Abbiamo dunque bisogno di più tempo.
La Commissione ritiene che questo regolamento lasci impregiudicate eventuali posizioni future dell’istituzione relativamente all’uso degli articoli 290 e 291 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea per il recepimento delle disposizioni dell’organizzazione regionale di gestione della pesca.
La Commissione inoltre si riserva il diritto di proporre emendamenti al regolamento, aumentando il numero di misure adottabili tramite poteri delegati o competenze d’esecuzione.
Tale misura sarà adottata nel caso in cui il recepimento tramite la procedura legislativa ordinaria comporti ritardi che potrebbero compromettere l’ottemperanza agli obblighi internazionali.
Nel frattempo, desidero nuovamente ringraziare gli onorevoli Fraga Estévez e Wałęsa per le loro relazioni e la commissione per la pesca per il lavoro svolto relativamente a questi importanti temi.
Alain Cadec, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero soffermarmi principalmente sulla relazione Fraga Estévez. Questo documento è oggetto di confronto oggi ed è fondamentale per il rafforzamento dei controlli nell’Atlantico nordorientale e per il ruolo di colegislatore del Parlamento europeo in materia di Politica comune della pesca.
Certamente, una delle priorità della commissione parlamentare per la pesca è la lotta alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata che interessa direttamente i nostri pescatori e l’industria della pesca europea, vittima della concorrenza sleale da parte dell’industria clandestina. I proprietari illegali di imbarcazioni sfruttano equipaggi sottopagati e vendono i prodotti ittici a prezzi molto bassi. La loro mancata ottemperanza al diritto del mare, alle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro e al regolamento INN del 1° gennaio 2010 determina la scarsa competitività dei proprietari di barche europee, a causa dei costi del lavoro da loro sostenuti. Chiediamo un’armonizzazione verso l’alto delle regole e delle condizioni lavorative in materia di pesca, a cui i paesi terzi si devono conformare nell’Unione europea.
I pescatori europei sono chiamati a rispettare anche severe norme di gestione e controllo, che garantiscono la salvaguardia delle risorse e lo sviluppo sostenibile della pesca in Europa; queste regole, però, non devono andare a scapito dei nostri pescatori e a beneficio invece di quanti le violano. Chiedo pertanto un rafforzamento dei controlli e l’applicazione delle pene contro la pesca illegale.
In tale ambito, vorrei congratularmi con il presidente per la relazione, in cui si enfatizza che il regime di controllo adottato dalla Commissione per la pesca nell’Atlantico nord-orientale (NEAFC) deve essere recepito nel diritto europeo senza alcun ritardo; in particolare accolgo con favore l’introduzione del programma inteso a promuovere il rispetto delle norme da parte delle navi di parti non contraenti. La presente relazione chiarisce anche il campo di applicazione dell’articolo 290 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea in materia di poteri delegati.
Accolgo con favore l’aggiunta nell’allegato di tre dichiarazioni contenenti le condizioni per l’attuazione dei poteri delegati, che permettono di monitorare le competenze di esecuzione della Commissione e di mantenere l’equilibrio istituzionale.
Desidero sottolineare che il Parlamento, in qualità di legislatore, deve avere libertà di azione relativamente alla delega.
Ulrike Rodust, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, Commissario Damanaki, onorevoli colleghi, accolgo con favore l’adozione di un regolamento che costituisce un ulteriore progresso verso l’obiettivo condiviso di pesca sostenibile. Le organizzazioni regionali per la pesca sono istituzioni di straordinaria importanza per una buona gestione a livello mondiale. Purtroppo i negoziati sono spesso difficili e, per le persone impazienti come me, si procede troppo lentamente. Dobbiamo fare il possibile per rafforzare le organizzazioni regionali per la pesca.
Vorrei fare qualche osservazione sul risultato della relazione NEAFC. La decisione relativa al controllo dello Stato di approdo e le nuove misure volte a prevenire la pesca illegale devono essere sostenute. Abbiamo portato avanti intensi negoziati con il Consiglio e la Commissione su questioni che a prima vista sembrano estremamente tecniche, ma che sono importanti per il nostro lavoro futuro. Dal mio punto di vista, abbiamo trovato un compromesso generalmente accettabile in materia di poteri delegati.
Siamo anche riusciti a raggiungere un accordo sulle modalità di recepimento nel diritto dell’Unione europea delle future decisioni della NEAFC. La Commissione non è pienamente soddisfatta del risultato raggiunto in questo ambito, non è un segreto, e lo capisco: non possiamo permettere che l’Unione impieghi anni ad attuare le decisioni NEAFC. In tal senso, il Consiglio e il Parlamento devono dimostrare la capacità di portare rapidamente a termine la procedura di codecisione, laddove necessario.
Desidero infine fare un’osservazione su una questione molto attuale: la controversia con l’Islanda relativamente alla pesca dello sgombro. La NEAFC governa le acque internazionali dell’Atlantico nord-orientale; nel caso di specie migratorie come lo sgombro, tuttavia, è necessario stipulare anche un accordo per le acque territoriali. Come sapete, ci troviamo ancora in un punto morto. Trovo deplorevole che, nonostante la cooperazione positiva, non si trovi un accordo in merito. Una possibilità potrebbe essere delegare alle organizzazioni regionali per la pesca l’autorità per le acque costiere, almeno per le specie migratorie; sarebbe una misura radicale, ma è certamente opportuno prenderla in considerazione.
Britta Reimers, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, la Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nordorientale ha dato vita a un’organizzazione molto importante: l’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (NAFO), che mira alla conservazione e all’uso ottimale delle risorse della pesca in quest’area. Da allora la Convenzione è stata modificata e conformata alle altre convenzioni regionali e include concetti moderni come la gestione degli stock ittici. Credo sia importante aggiornare la struttura dell’Organizzazione e definire le responsabilità delle parti contraenti. Ritengo positiva anche la possibilità di risolvere eventuali controversie tramite la procedura di composizione. Le opportunità per la pesca di cui l’Unione europea può usufruire grazie alla Convenzione sono di grande interesse e il Parlamento dovrebbe dare il proprio assenso nell’ambito dei nuovi poteri conferitigli dal trattato di Lisbona.
In qualità di relatore ombra per il gruppo dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa, raccomando la relazione Wałesa a questa Camera.
Isabella Lövin, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare i relatori, l’onorevole Fraga Estévez e l’onorevole Wałęsa per le relazioni discusse oggi.
La Commissione per la pesca nell’Atlantico nord-orientale (NEAFC) è un’organizzazione per la pesca (ORGP) molto importante per l’Europa e per gli ecosistemi nell’Atlantico del nord. Il riesame indipendente del lavoro della NEAFC ha avuto un esito generalmente positivo, cosa non sempre valida per tutte le ORGP. Nonostante la NEAFC stia registrando risultati migliori rispetto ad altre ORGP, la situazione di molti stock ittici appartenenti all’area della Convenzione è critica. A causa di aspetti economici e sociali non è possibile valutarne le prestazioni e vi sono quindi grandi incertezze in merito all’uso ottimale delle risorse, obiettivo della Convenzione. I miglioramenti per il sistema di controllo e sorveglianza, l’uso di liste nere per imbarcazioni di INN e le misure per gli Stati di approdo sono risultati comunque importanti.
La valutazione ha portato inoltre alla creazione di un meccanismo per la risoluzione di eventuali controversie tra le parti contraenti, ma i tempi per il recepimento nel diritto dell’Unione sono stati troppo lunghi: queste disposizioni sono state adottate dalla NEAFC nel 2006 e sono entrate in vigore solo ora. L’UE deve essere meglio preparata a far fronte ai nuovi sviluppi e deve essere all’altezza delle responsabilità internazionali.
La lotta contro la pesca illegale è sempre più importante: in alcune riserve di pesca, il 30 per cento delle catture è illegale. Su scala mondiale, dagli 11 ai 26 milioni di tonnellate di prodotti ittici provengono da fonti illegali, per un valore totale stimato di 23 miliardi di dollari, pari a circa un quinto della cattura mondiale. La pesca illegale mina la gestione sostenibile pesca delle risorse ittiche, in particolare in alto mare (ma non solo) e nelle acque costiere dei paesi in via di sviluppo, con conseguenze significative dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
L’entrata in vigore del regolamento di controllo e dei regolamenti INN costituisce uno strumento importante per l’Unione europea. Nella zona della convenzione CCAMLR (Convenzione sulla conservazione delle risorse marine viventi in Antartide), gli operatori della pesca INN hanno reagito alle disposizioni volte a ridurla cambiando fondali di pesca, porti, sbarchi e Stati di bandiera. Questa capacità di adattamento ha generato una corsa agli armamenti tra operatori INN e organi per la gestione della pesca a livello nazionale e internazionale. I regimi di conformità di una ORGP possono portare al cambiamento dei fondali di pesca da parte delle imbarcazioni INN, i cui operatori cambiamo costantemente Stato di bandiera (flag hopping). L’Unione europea deve affrontare il problema.
L’UE deve andare oltre. La cooperazione tra ORGP è fondamentale, ma dovremmo anche redigere un registro mondiale di imbarcazioni per la pesca, includendo le navi ausiliarie, che permetta di riconoscere il titolare effettivo di un’imbarcazione. L’Unione deve assumersi una maggiore responsabilità nella lotta contro la pesca INN a livello globale.
Marek Józef Gróbarczyk, a nome del gruppo ECR. – (PL) Innanzi tutto desidero congratularmi con i relatori per il lavoro svolto, estremamente significativo ed importante, in particolare per le relazioni volte alla regolamentazione delle ispezioni. Alcune aree in acque appartenenti all’Unione europea non sono monitorate o sono completamente prive di controlli; bisogna pertanto adottare misure per il controllo di tutte le acque di pesca comunitarie.
Nell’ambito delle ispezioni è necessario sottolineare l’assenza di un sistema uniforme per la distribuzione delle quote o per la registrazione delle catture da parte dei singoli Stati membri. Secondo le analisi condotte, la Commissione non possiede know-how in quest’ambito e, in più occasioni, le opinioni dei rappresentanti della Commissione sono state contraddittorie. Allo stesso tempo, nemmeno le agenzie consultive regionali dispongono di know-how. È opportuno ricordare a tutti la tragica situazione della popolazione di aringhe nel Baltico occidentale. Sono state condotte alcune indagini sul motivo della crisi, sin dal 2004, ma non è ancora stata trovata una spiegazione logica. È incomprensibile inoltre l’omissione del problema della sovrapproduzione di farina e olio di pesce.
Dobbiamo prendere in considerazione anche la questione dell’Agenzia di controllo della pesca a Vigo che, in alcuni casi, ha presentato relazioni di ispezione soggettive, come nel caso del Baltico orientale. L’ispezione delle unità di pesca industriali è al centro di controversie. Un problema fondamentale è attualmente rappresentato dalla costruzione del gasdotto del nord: i pescatori devono combattere per i propri diritti e reclamare per i benefici persi. Una simile situazione ci impone un’analisi più approfondita da integrare nella futura Politica comune della pesca, che ogni relazione deve rispettare.
Diane Dodds (NI). – (EN) Signor Presidente, Commissario Damanaki, certamente la sua serata è ricca di impegni, visto che ci siamo già incontrati in sede di commissione per la pesca. Innanzi tutto desidero ringraziare i relatori per il lavoro svolto e ribadire le osservazioni già espresse da molti colleghi questa sera relativamente al ritardo registrato nell’affrontare queste tematiche.
Desidero utilizzare l’opportunità di intervenire in quest’Aula per discutere degli accordi sulla pesca in modo più generale e per sottolineare la necessità di cooperazione di tutte le parti interessate; questo punto è stato sottolineato dal Commissario quando ha ribadito che gli accordi richiedono responsabilità da parte di tutti.
Immaginate di aver fatto un investimento milionario in un nuovo stabilimento che annualmente produce un prodotto di alto valore ricorrendo a risorse rinnovabili e sostenibili e nel rispetto dei più elevati standard internazionali. I vostri vicini decidono poi di violare l’accordo internazionale e dichiarano unilateralmente che stanno aumentando in modo massiccio le loro quote di risorse naturali, da cui dipende la vostra azienda. Con lo sgombro e, in particolare, con una famiglia di pescatori dell’Irlanda del Nord è avvenuto proprio questo.
Naturalmente faccio riferimento all’accordo degli Stati costieri tra Unione europea, Norvegia, Islanda e Isole Fær Øer. Signora Commissario, abbiamo ascoltato il suo intervento e apprezziamo la solida posizione da lei assunta su questo tema particolare. A nome dei pescatori, desideriamo riconoscere il suo impegno, ma vogliamo anche incitare il Parlamento e la Commissione a sostenerla nei negoziati volti a individuare una soluzione per questa situazione difficile e preoccupante.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, stasera sono presenti tre deputati irlandesi: l’onorevole Dodds, appena intervenuta, l’onorevole the Cope Gallagher, che interverrà a breve, ed io. Noi tre rappresentiamo quasi l’intera comunità dei pescatori irlandesi. Da anni la pesca svolge un ruolo fondamentale nel nostro paese: magnifiche comunità costiere dipendono da questa attività, ma come ho detto prima, in nessuno ho mai riscontrato tanta disillusione quanta nei pescatori. È il risultato di quote, delle pesca illegale, della mancanza di tracciabilità del pesce (dalla cattura al consumo) e, in particolare, di una regolamentazione eccessiva, di pene draconiane e di importazioni di pesce di qualità e origini dubbie.
Fortunatamente i relatori hanno affrontato alcuni di questi temi stasera. Accolgo con favore il divieto della Convenzione per la pesca nell'Atlantico nordorientale sugli sbarchi nei porti europei di pesce congelato la cui legalità non sia stata verificata dallo Stato di bandiera della nave straniera. Si tratta di una questione molto importante e spero sia attuata con lo stesso zelo con cui attuiamo i regolamenti relativi alle nostre comunità di pesca.
Secondo i relatori è importante che il Parlamento europeo mantenga la propria prerogativa di analisi dei futuri emendamenti alla Convenzione, ma è allo stesso modo importante che la Commissione e il Parlamento portino avanti una stretta collaborazione per ottenere migliori benefici per le nostre comunità costiere, ovvero per le nostre comunità di pescatori.
Infine, dobbiamo analizzare tutte le opportunità disponibili per sviluppare l’acquacoltura. L’Unione europea importa troppi pesci che invece potrebbe produrre. In questo periodo di crisi economica, lo sviluppo dell’acquacoltura rappresenta certamente una grande possibilità.
Josefa Andrés Barea (S&D). – (ES) Signor Presidente, desidero ringraziare il Commissario Damanaki per la sua presenza e mi vorrei congratulare con i relatori, gli onorevoli Wałesa e Fraga Estévez.
La relazione dell’onorevole Fraga Estévez è il risultato delle raccomandazioni sul regime di controllo adottato dalla Commissione per la pesca nell’Atlantico nord-orientale (NEAFC) nel 2006, sebbene la Convenzione sia stata redatta nel 1982, e ridefinisce le regole per il controllo e la coercizione delle imbarcazioni nelle zone della Convenzione. La relazione Fraga Estévez costituisce il quadro giuridico, incluso nella proposta di regolamento, per l’attuazione delle misure a livello europeo.
Le modifiche principali sono: misure intese a promuovere il rispetto delle disposizioni da parte dei pescherecci di parti non contraenti, un nuovo regime di controllo, la chiusura dei porti agli sbarchi di pesce congelato la cui legalità non sia stata verificata, una nuova conformità alle altre convenzioni, disposizioni per la gestione della pesca e nuove misure contro la pesca illegale.
Desidero ribadire un punto già sottolineato da altri onorevoli colleghi. La relazione dell’onorevole Fraga Estévez riporta che la raccomandazione sul regime di controllo è stata adottata nel 2006, sebbene la convenzione sia stata firmata nel 1982, 28 anni fa; la Convenzione cui invece fa rifermento l’onorevole Wałesa nella sua relazione è stata adottata nel 1978 e credo sia stata recepita nel 1989. In altre parole, desidero esprimere il mio disappunto sul metodo della Commissione per il recepimento delle raccomandazioni delle organizzazioni di pesca regionali.
Non solo la pesca illegale deve essere monitorata attraverso totali ammissibili di catture e quote, ma dobbiamo anche affrontare il vuoto legislativo che si potrebbe creare a causa di un mancato recepimento nel diritto europeo.
Non è sufficiente recepire raccomandazioni di altri regolamenti, perché in tal modo si perde chiarezza e credibilità. Vengono inoltre chiamati in causa la procedura legislativa ordinaria e l’equilibrio istituzionale. Le misure adottate nelle organizzazioni regionali devono essere incorporate in modo efficiente e rapido; il Parlamento ha spesso sottolineato che tali organizzazioni e i loro accordi sono prioritari.
Una mancata ottemperanza al diritto europeo nell’ambito del recepimento di decisioni di organizzazioni regionali è negativa per il Parlamento e, naturalmente, scredita la natura del trattato di Lisbona.
Il Commissario ha dichiarato che vi saranno nuovi accordi. In breve, chiediamo alla Commissione di essere rapida e dinamica nel recepimento giuridico di questi accordi; non permettiamo che si crei un vuoto legislativo come porto sicuro della pesca illegale.
Pat the Cope Gallagher (ALDE). – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto desidero fare i complimenti a entrambi i relatori per il lavoro svolto e vorrei fare riferimento, in particolare, alla relazione dell’onorevole Fraga Estévez, una relazione non controversa dato che tutte le parti hanno raggiunto un compromesso. La relazione mira a garantire la conservazione a lungo termine e l’uso ottimale delle risorse della pescanell’Atlantico nordorientale, fornendo benefici sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale.
Desidero cogliere quest’opportunità per discutere dell’attuale controversia maccarello sullo sgombro, poiché parte dello stock viene pescato nell’area dell’Atlantico nordorientale. È importante risolvere rapidamente questa controversia perché la pesca eccessiva dello sgombro eserciterà un impatto devastante sulle catture future. È fondamentale garantire una pesca sostenibile dello stock e tutte le parti devono impegnarsi in tal senso. Capisco che i recenti negoziati di Londra non abbiano portato a nessuna conclusione, ma vorrei ribadire che saranno ripresi la prossima settimana; spero si raggiungeranno risultati positivi e che prevalga il buon senso. Signora Commissario, lei valuterà la situazione dopo le trattative del 26 ottobre e apprezzo la sua solida posizione. Deve garantire che questo stock, gestito congiuntamente, conservi un buono stato in futuro. Non possiamo permetterci di ripetere gli errori del passato con il melù; non possiamo decimare questo sano stock di sgombri.
Ian Hudghton (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, sono a favore delle relazioni oggetto della presente discussione e colgo l’occasione per presentare alcune osservazioni generali sugli accordi di pesca a livello internazionale e multinazionale.
Se vogliamo che gli accordi tra i paesi in cui si pratica la pesca portino risultati positivi, ci devono essere chiari incentivi per tutte le parti, affinché ciascuno osservi le misure per la conservazione laddove richiesto.
Si deve avere fiducia nei consigli provenienti dal modo scientifico, che devono costituire il punto di partenza per i progetti di conservazione e gestione. Dal punto di vista del mio paese, la Scozia, la Politica comune della pesca (l’accordo internazionale dell’Unione europea) non è stato un gran successo.
Il noto piano di ricostituzione del merluzzo bianco sta causando perdite di pesce perfettamente in salute e impone una combinazione quasi impraticabile di restrizioni di quote e di giorni in mare. L’attuale controversia sullo sgombro, il pesce di maggior valore della Scozia, di cui abbiamo sentito parlare da altri oratori, si ripercuoterà su tutti i negoziati internazionali.
Se vogliamo il successo degli accordi tra i paesi che praticano la pesca, gli stock non possono essere minacciati da una corsa alle risorse ittiche disponibili su base unilaterale.
Vorrei chiedere al Commissario di portare avanti l’eccellente lavoro iniziato, cercando una soluzione per questa controversia. So che in occasione della sua visita recente è venuta a conoscenza dei sentimenti della Scozia in materia, ma desidero ricordarle la necessità della solida guida del mondo scientifico per le nostre azioni, di regole sensate e praticabili per i piani di gestione (una novità per la PCP) e, soprattutto, di incentivi per chi deve osservare tali piani, ad esempio, per le comunità di pescatori.
Daciana Octavia Sârbu (S&D). – (RO) La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata distrugge le comunità delle regioni costiere, ha un impatto devastante sugli ecosistemi marini e minaccia le risorse alimentari. Accolgo dunque con favore il presente accordo con il Consiglio; abbiamo registrato un progresso nell’attuazione delle raccomandazioni della Commissione per la pesca nell'Atlantico nordorientale.
Il rafforzamento delle misure di controllo e una solida legislazione sono di fondamentale importanza per osservare tutti gli obblighi del trattato e per proteggere le risorse dell’Atlantico, oggetto di una pesca eccessiva. Nonostante questo sviluppo, però, il campo di applicazione del presente regolamento non permette di affrontare completamente il problema della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.
Siamo tutti consapevoli che migliaia di imbarcazioni battono bandiera di Stati che non vogliono applicare la legislazione internazionale o non ne hanno la possibilità; questo fenomeno non colpisce solo gli stock ittici, ma anche l’ambiente marino. Le condizioni di lavoro a bordo di molte di queste imbarcazioni sono simili alla schiavitù.
Czesław Adam Siekierski (PPE). – (PL) La Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nord-occidentale richiede modifiche per rispondere alle attuali sfide e per questo sono necessari alcuni emendamenti ai regolamenti. Le modifiche proposte riguardano in primo luogo lo sfruttamento ottimale degli stock ittici; in secondo luogo, un metodo corretto per la gestione della pesca e metodi di pesca appropriati; e infine la prevenzione della pesca illegale.
Questi cambiamenti promuoveranno uno sviluppo duraturo e sostenibile della pesca, ma un monitoraggio costante del processo di riduzione degli stock ittici e di ripopolamento è fondamentale per valutare la situazione reale e prendere decisioni appropriate in quest’area.
Elie Hoarau (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, durante i negoziati sugli accordi dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (NAFO), il capo delegazione dell’Unione europea ha chiesto di restituire parte delle quote francesi per la pesca del merluzzo ai pescatori di Saint Pierre e Miquelon. Questa restituzione non compare però nell’accordo NAFO.
A nome dei pescatori di Saint Pierre e Miquelon chiedo conferma della restituzione e la sua formalizzazione; credo possa avvenire per mezzo di una semplice lettera in seguito alla ratifica definitiva degli accordi NAFO. Il Commissario può fornirci dettagli in merito?
João Ferreira (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, Commissario, la cooperazione multilaterale sulla pesca nelle acque internazionali è necessaria per garantire la loro sostenibilità e la preservazione degli stock ittici nel medio e lungo termine. Le misure di conservazione e la gestione delle risorse a livello di organizzazioni regionali per la pesca dovrebbero essere definite contestualmente a misure per garantirne l’effettiva osservanza.
Vogliamo colmare le lacune nel sistema di monitoraggio, in particolar modo per quanto riguarda l’attività di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Oggi, il controllo delle attività di pesca ha aumentato le richieste agli Stati membri, sia nell’ambito della Politica comune della pesca (PCP), sia della cooperazione multilaterale, come dimostra il recepimento proposto.
La Commissione non deve ignorare questa situazione. L’acquisizione, lo sviluppo e l’ammodernamento necessari per i controlli potrebbero richiedere un imponente investimento economico ed è dunque importante considerare le risorse finanziarie allocate negli strumenti legislativi disponibili per le attività di monitoraggio, in particolare nel regolamento delle misure finanziarie della PCP, rivedendo soprattutto il tasso massimo di cofinanziamento di quest’area, attualmente pari al 50 per cento.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signor Presidente, la conferenza annuale della NAFO ha approvato modifiche alla Convenzione di Ottawa del 1° gennaio 1979. È importante non perdere di vista le considerazioni fondamentali in quest’ambito: un uso ottimale e una gestione ponderata delle risorse ittiche. Dobbiamo basarci su concetti sostenibili ed ecologici se vogliamo che la pesca continui a costituire una riserva alimentare per le generazioni future.
Gli accordi sono volti, in particolare, a preservare le piccole imprese locali di pesca e la loro struttura familiare, proteggendole da una concorrenza che si avvale di metodi illegali e da flotte industriali che saccheggiano i mari con apparecchiature elettroniche e reti di pesca profonde. In breve, vogliamo un’industria per la pesca, ma non in questa forma, che mette in pericolo le piccole strutture locali. Dobbiamo garantire sostenibilità alle generazioni future e proteggere quella presente, tutelandola attraverso strumenti contrattuali.
Maria Damanaki, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare i relatori per l’eccellente lavoro svolto nonché tutti gli onorevoli parlamentari per i loro interventi. Le presenti relazioni sono molto importanti e questi emendamenti migliorerebbero in modo radicale la situazione, in particolar modo per quanto riguarda il controllo e la nostra posizione sul problema della pesca illegale.
Le osservazioni esposte mi trovano d’accordo: dobbiamo affrontare il problema della pesca illegale, perché distrugge la sostenibilità degli stock e costituisce un serio pericolo per le nostre comunità costiere, che non avranno futuro in caso di collasso della sostenibilità degli stock ittici. È importante garantire il regime di controllo; le relazioni e gli emendamenti in materia ci possono aiutare in modo significativo.
Comprendo la necessità di maggiori risorse e fondi per garantire l’attuazione di queste norme; affrontare la crisi non è un compito semplice, ma cerchiamo di fare del nostro meglio.
Vorrei soffermarmi sul processo di codecisione tra Parlamento, Consiglio e Commissione nell’ambito degli emendamenti delle decisioni ORGP e sul loro recepimento nel diritto europeo. Le organizzazioni regionali per la pesca sono indubbiamente importanti per la nostra politica e dobbiamo sostenerle per combattere la pesca illegale a livello mondiale. Se garantissimo l’attuazione dei nostri principi a livello mondiale, la sostenibilità della pesca sarebbe molto più sicura.
Accolgo con favore le proposte per dare impulso alla cooperazione e per la creazione di un registro internazionale per le imbarcazioni di pesca, ma dobbiamo adottare molte misure prima di raggiungere questo livello.
Se vogliamo davvero sostenere la cooperazione internazionale dobbiamo continuare a operare in questa direzione e mettere in atto rapidamente le decisioni prese da queste organizzazioni. Per questo motivo la Commissione chiede maggiori poteri delegati in materia. Rispettiamo il processo di codecisione e comprendiamo la nuova situazione: il Consiglio e il Parlamento stabiliranno i poteri che ci saranno concessi nell’ambito della delega. Desidero comunque sottolineare che il problema oggetto della discussione non è solo della Commissione: se tardiamo nel recepimento delle decisioni delle organizzazioni internazionali nel nostro diritto, mettiamo a rischio la reputazione internazionale dell’Unione europea. Per questo motivo insistiamo su un migliore equilibrio.
Concordo sulla necessità di un equilibrio tra le tre istituzioni, ma serve maggiore equilibrio e sono disposta a partecipare a discussioni specifiche con il Parlamento su come recepire più efficacemente queste misure ORGP nel diritto europeo.
Jarosław Leszek Wałęsa, relatore. – (PL) Desidero ringraziare tutti per la discussione odierna. Le modifiche introdotte tramite le revisioni delle convenzioni sono fondamentali. Ringrazio l’onorevole Fraga Estévez per aver presieduto la nostra commissione e, in particolar modo, ringrazio il Commissario: lavorare con lei è stato un piacere, grazie per le sue parole e le sue rassicurazioni che testimoniano che comprende il continuo cambiamento delle dinamiche nelle istituzioni europee. Nonostante, in qualità di Parlamento europeo, possiamo solo concordare con l’approvazione delle modifiche apportate alla Convenzione, spero che a partire da ora la cooperazione e i negoziati procederanno nella giusta direzione e in maniera rapida, trasparente ed efficiente. Grazie, signora Commissario, per le sue parole, conto su un’ulteriore collaborazione proficua in futuro.
Carmen Fraga Estévez, relatore. – (ES) Signor Presidente, vorrei dire al Commissario che l’esempio del presente regolamento sulla Commissione per la pesca nell’Atlantico nord-orientale (NEAFC), che adotteremo domani, non è positivo, perché quanto è accaduto è esattamente quello che vogliamo evitare.
La Commissione ha avanzato la proposta tardi e la procedura è cambiata poiché siamo passati dalla procedura di consultazione alla procedura legislativa ordinaria, in conformità della quale la proposta è stata cambiata. Questo è esattamente quanto cerchiamo di evitando mediante il presente compromesso. Tramite la nuova formulazione dell’articolo 48 del regolamento, l’articolo che emenda il regolamento in futuro al fine di recepire le diverse raccomandazioni NEAFC nel diritto europeo per la maggior parte degli articoli, abbiamo delegato i poteri alla Commissione europea. Abbiamo solo mantenuto e preservato la procedura legislativa ordinaria in alcune aree: un compromesso raggiunto con il Consiglio.
Sono stati fatti passi avanti per garantire il funzionamento di questo sistema in futuro; ciononostante, signora Commissario, mi sono pubblicamente assunta un impegno: se il sistema non funzionerà adeguatamente e non riusciremo a ottemperare ai nostri obblighi, il Parlamento sarà pronto a rivedere la procedura. Ci siamo impegnati molto e penso che questo costituisca un progresso significativo, un ottimo punto di partenza. Siamo sicuri che la Commissione sarà in grado di utilizzare i nuovi poteri che il Consiglio e il Parlamento le hanno concesso.
Grazie signor Presidente, signora Commissario. Sono certa che questo sistema funzionerà meglio rispetto al passato. Naturalmente, signora Commissario, lei dispone degli strumenti per garantirne l’efficacia.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 19 ottobre 2010 alle 12.30.
(La seduta è sospesa per alcuni minuti)
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Luis Manuel Capoulas Santos (S&D), per iscritto. – (PT) In qualità di europarlamentare portoghese e poiché il Portogallo è un paese con una forte tradizione di pesca e ha interessi specifici nell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (NAFO), accolgo con favore le modifiche apportate al testo della Convenzione, volte a fornire condizioni operative migliori per le organizzazioni regionali per la pesca (ORP).
La ristrutturazione promossa dalla concentrazione di potere decisionale in un unico nuovo organo, congiuntamente a nuovi processi per la risoluzione delle controversie, renderà più rapide le procedure decisionali interne. Nuove definizioni hanno introdotto orientamenti più chiari sugli obblighi e sui diritti delle diverse parti, apportando maggiore trasparenza sulla pesca in questa zona.
Assieme alla NAFO, l’Unione europea deve essere guidata da una posizione proattiva congiuntamente alle altre parti contraenti e deve cercare di preservare le buone relazioni con il Canada, mirando a raggiungere nel contempo il dialogo e l’accordo con le altre parti contraenti dell’organizzazione, anche tra i singoli Stati membri interessati a questa ORP.
Nonostante il ruolo fondamentale svolto dai partenariati scientifici (che costituiscono la base per le decisioni, permettono la gestione sostenibile delle risorse ittiche e hanno registrato risultati positivi per alcune specie di pesci), le presenti decisioni devono essere attentamente analizzate. L’obiettivo dovrebbe essere il raggiungimento di un equilibrio, ma questo è possibile solo se si tiene in considerazione l’impatto socio-economico.
17. Interventi di un minuto (articolo 150 del regolamento)
Presidente. − L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.
Íñigo Méndez de Vigo (PPE). – (ES) Signor Presidente, il 14 febbraio 2008, come regalo di San Valentino, la Conferenza dei Presidenti ha disposto che le riunioni degli intergruppi si tengano solo il giovedì.
Da allora cerchiamo di risolvere questo problema, senza successo. Ora gli intergruppi devono riunirsi in date non idonee, spesso non ci sono sale libere e non viene mai reso disponibile il servizio di interpretazione.
Prendo la parola oggi non solo in qualità di presidente dell’intergruppo sulla povertà e i diritti umani, ma anche in forza di un mandato ricevuto dalla maggioranza degli intergruppi del Parlamento europeo, ovvero dai membri di questa Assemblea che li costituiscono. Chiedo formalmente alla Conferenza dei Presidenti di riconsiderare e revocare la decisione del 14 febbraio 2008, ritornando alla precedente condizione di totale libertà per gli intergruppi.
Se così non fosse, con il massimo rispetto affermo che solleveremo la questione durante la seduta plenaria parlamentare, che dovrà stabilire chi detiene la sovranità in questa Assemblea che è il Parlamento.
Evgeni Kirilov (S&D). – (BG) Oggi ricorre l’ottantacinquesimo anniversario della firma del trattato di Ankara tra la Bulgaria e la Turchia sui diritti di proprietà di circa 350 000 bulgari della Tracia, forzosamente espulsi dal territorio turco all’inizio del secolo scorso. Alcuni di loro sono ancora in vita e i loro discendenti sono circa 800 000.
Il problema dei beni di proprietà confiscati in Tracia è stato discusso più volte da entrambi i paesi, anche ai livelli più alti e all’interno di gruppi di lavoro, senza però alcun risultato. Secondo la Turchia, questi individui sono sfollati, ma numerosi dati e documenti storici, compreso il protocollo della Società delle Nazioni del 1926 sul prestito per i rifugiati destinato alla Bulgaria, ne attesta lo status di rifugiati.
Il Primo ministro Erdoğan ha già suggerito che quanti sono in possesso di documenti di proprietà dovrebbero adire ai tribunali turchi. I documenti esistono, ma è assurdo richiederli a persone che sono morte o che a malapena sono riuscite a mettere in salvo la propria vita. Con la risoluzione del 21 maggio 2008, il Parlamento europeo ha invitato la Turchia a rafforzare il dialogo con la Bulgaria in merito a questo problema. Mi auguro di cuore che la buona volontà prevalga per il futuro delle relazioni di buon vicinato.
Ramon Tremosa i Balcells (ALDE). – (EN) Signor Presidente, come forse saprà, nel settore del latte esiste un chiaro squilibrio in termini di potere contrattuale tra gli allevatori e il settore della distribuzione. Questa sproporzione e la volatilità dei prezzi sono andate crescendo nel corso degli ultimi anni, causando una riduzione dei profitti e della prevedibilità per i produttori di latter.
Per affrontare questo problema, mi dichiaro pienamente favorevole all’istituzione di un’Agenzia europea per la supervisione del latte, al fine di ottenere accordi migliori sulle quantità e sui prezzi di questo prodotto. L’Agenzia, controllata dalla Commissione europea, dovrà determinare le esigenze del mercato e studiare regolarmente l’evolversi dei costi di produzione del latte. Questo sistema conferirebbe al settore un grado più elevato di stabilità, consentendo di ridurre gli attuali sussidi pubblici.
Michael Cramer (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, venerdì 15 ottobre la Rheinische Post ha pubblicato in prima pagina una dichiarazione del Commissario per i trasporti Kallas, nella quale sostiene che il collegamento ferroviario per treni ad alta velocità tra Parigi e Bratislava rappresenta un asse transeuropeo estremamente importante tra oriente e occidente e che la Commissione ne considera cruciale la realizzazione. Ha inoltre affermato che Stoccarda 21 è un elemento chiave di questa grande arteria.
Si tratta forse di una burla? Péter Balázs, il coordinatore del progetto, ha più volte affermato che, mentre i binari sono parte dei progetti TEN, le stazioni sono di competenza nazionale. In considerazione dei finanziamenti limitati per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, le stazioni e tutte le infrastrutture associate devono essere finanziate dalle autorità municipali, regionali e nazionali.
Chiedo al Commissario Kallas di confermare la precedente posizione della Commissione mediante un comunicato stampa e di affermare con la massima risonanza e chiarezza che la stazione della metropolitana di Stoccarda non sarà cofinanziata dall’Unione europea.
Marisa Matias (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, l’attuale parole d’ordine a Bruxelles è austerità, austerità, austerità. Purtroppo le conseguenze sono evidenti: i piani per la stabilità e la crescita altro non sono che un furto collettivo ai danni dei lavoratori e dei pensionati, ovvero ai danni dei cittadini europei. Per qualche ragione, abbiamo assistito a un’ondata senza precedenti di scioperi generali in tutta Europa; i primi sono stati in Grecia, Spagna e Francia, altri sono in programma a novembre in Italia, il 24 novembre in Portogallo e questo è solo l’inizio.
Vorrei domandare quanti altri scioperi generali, quante altre manifestazioni, quante altre voci devono levarsi prima che vi sia un dietrofront, un allontanamento dal consenso di Bruxelles e un maggior rispetto per i cittadini? Queste misure non stanno arginando la crisi, piuttosto l’hanno aggravata e chiedo, signor Presidente, che si adottino misure diverse, più giuste. Infine, una domanda: che cosa stiamo aspettando?
Nikolaos Salavrakos (EFD). – (EL) Signor Presidente, secondo quanto riportato dalla stampa e secondo fonti ufficiali del governo greco, entrambe non smentite, si è registrato un preoccupante aumento del numero di stranieri privi di documenti in ingresso attraverso i confini settentrionali della Grecia. Grazie alle azioni intraprese da Frontex, si è avuta una considerevole diminuzione degli stranieri in ingresso attraverso la frontiera marittima nord-orientale. Non si sono tuttavia ottenuti gli stessi risultati lungo il confine terrestre settentrionale: ora migliaia di stranieri lo attraversano, individuando una nuova regione problematica. A quanto pare, gli arresti di stranieri nella città di confine di Orestiada sono aumentati del 640 per cento nel giro di un anno, rispetto alla diminuzione dell’80 per cento registrata nelle isole.
A fronte di questa situazione, propongo che il Parlamento approvi una risoluzione di emergenza con le seguenti finalità: in primo luogo, istituire un ufficio Frontex lungo la sponda turca del fiume Evros; in secondo luogo, inviare un richiamo alla Turchia, che riceve generosi finanziamenti dall’Unione europea per l’immigrazione, ma non sta onorando gli obblighi previsti dal protocollo di Ankara; infine, riesaminare il problema dell’immigrazione clandestina, che è un problema europeo.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Onorevoli colleghi, oggi vorrei parlare del disastro causato in Ungheria dall’ondata di fango rosso. Innanzi tutto, desidero ringraziare quanti hanno prestato aiuto alle vittime e alle loro famiglie nell’ultimo periodo. L’aspetto più tragico è che questa catastrofe, e le diverse vittime che ha causato, avrebbe potuto essere prevenuta. L’Unione europea ha il dovere di prevenire disastri del genere. A tal fine, è essenziale riesaminare i contratti di privatizzazione siglati nella regione dell’Europa centrale, nient’altro che una sorta di saccheggio, che hanno conferito poteri a circoli finanziari post-comunisti sospettosi. Inoltre, laddove possibile, le aziende illegalmente sottratte ai cittadini devono essere nazionalizzate. Questi circoli finanziari non prestano più alcuna attenzione ai dipendenti e le loro avide pratiche di gestione del denaro non si arrestano neppure di fronte a un disastro ecologico. È per questo che chiedo l’aiuto dell’Unione europea.
Alf Svensson (PPE). – (SV) Le problematiche relative all’ambiente e al clima riguardano tutti noi e, come ben sappiamo, hanno portata globale. È evidente che l’Unione europea debba rivestire un ruolo chiave nella lotta per la salvaguardia delle nostre condizioni di vita.
Secondo gli esperti ambientali, dopo l’industria, la seconda causa di danni al clima e la seconda maggiore fonte di emissioni è rappresentata dalle stufe e dai focolai rudimentali presenti in capanne e baracche in Africa, Asia e Sud America.
Alcune nazioni impegnate nella protezione dell’ambiente se ne sono finalmente rese conto. Oggi sono disponibili semplici stufe alimentate ad energia solare, che con una spesa minima eliminano il 95 per cento delle emissioni tossiche generate durante la combustione di carbone nero, letame e altri combustibili.
Secondo alcuni calcoli, e questo è l’aspetto più importante, circa due milioni di persone vanno incontro a una morte prematura perché costrette a inalare questi gas.
Mi auguro che l’Unione europea e gli Stati Uniti, che hanno dimostrato consapevolezza del problema, manifestino un interesse reale verso uno strumento concreto per salvare le persone e l’ambiente.
Iosif Matula (PPE). – (RO) Solo di recente, sono state adottate misure specifiche per rafforzare la sicurezza energetica dell’Unione europea mediante la fornitura di gas naturale da molteplici fonti per evitare una nuova crisi del gas in Europa. Mi riferisco all’apertura del gasdotto Arad-Szeged, che collega Romania e Ungheria e che ha beneficiato dei finanziamenti europei.
Questo investimento rappresenta un successo, oltre che un modello di cooperazione tra paesi dell’Unione europea.
Le interconnessioni previste a livello europeo, assieme all’infrastruttura generale per il trasporto del gas in entrambe le direzioni entro il 2014 e ai depositi di gas, consentono a tutti i paesi della regione di godere di una maggiore indipendenza energetica. Gli Stati membri potranno aiutarsi mutualmente in caso di nuove crisi del gas.
Un altro aspetto non meno importante è che il prezzo del gas sarà fissato a livello regionale, piuttosto che mediante negoziati con un singolo fornitore. Mi auguro che il completamento del gasdotto Arad-Szeged funga da stimolo non solo per il progetto del gasdotto Nabucco, ma anche per il progetto AGRI, che servirà a trasportare gas naturale in Europa lungo una rotta attraverso Azerbaigian, Georgia e Romania.
Alexander Mirsky (S&D). – (LV) Grazie, signor Presidente. Desidero porre in evidenza un momento interessante del nostro lavoro. Il giovedì quasi tutti i deputati del Parlamento europeo lasciano Strasburgo alle ore 13.30; come sappiamo, un treno speciale viene affittato per quell’ora. Spiegatemi, per cortesia, dov’è la logica? Perché votiamo sui diritti umani sempre alle 16.00 durante le sessioni plenarie? Perché programmate le votazioni pur sapendo che il 95 per cento dei deputati non ha partecipato alla sessione? Questo è del tutto insensato. Sono inoltre convinto che il mio discorso resterà inascoltato ed è molto triste, signor Presidente. Grazie.
Daciana Octavia Sârbu (S&D). – (RO) In Romania, uno Stato membro dell’Unione europea, il partito al governo viola la democrazia senza alcun timore delle conseguenze. Il Presidente della Camera dei deputati, una delle due camere del parlamento rumeno, ha contato gli 80 parlamentari presenti in aula dicendo che il risultato del conteggio era 170.
In quel momento, si stava votando su una normativa di importanza cruciale per numerosi cittadini rumeni: la bozza di una nuova legge sulle pensioni che prevedeva un eccessivo aumento dell’età pensionabile, fissando la medesima età per le donne e gli uomini, ed effettuava un ricalcolo che porta ad una riduzione della pensione in termini reali per numerosi pensionati.
Nonostante l’opposizione si sia espressa con forza contro questi emendamenti e non fosse presente in aula al momento del voto, le telecamere hanno potuto rendere pubblica la frode in atto. Ciononostante, se l’opposizione e la stampa non avessero protestato ogni giorno contro questa azione, oggi il Presidente rumeno avrebbe proclamato ufficialmente la legge.
Olle Schmidt (ALDE). – (EN) Signor Presidente, oggi il governo svedese ha ricevuto un parere legale sul caso di Dawit Isaak, condannato a nove anni di detenzione in Eritrea. Dawit Isaak è un giornalista svedese incarcerato per libertà di espressione.
Secondo il parere legale basato sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la Svezia, gli Stati membri dell’Unione e l’Unione europea hanno il dovere di ricorrere a tutti i mezzi diplomatici e legali disponibili per garantire a Dawit Isaak i suoi diritti fondamentali. L’Eritrea è uno dei paesi più poveri del mondo e dipende dagli aiuti dell’Unione. Dobbiamo chiedere il rilascio immediato di Dawit Isaak in cambio degli aiuti finanziari.
Domani il fratello di Dawit Isaak verrà al Parlamento europeo per incontrare il nostro Presidente e il Commissario Piebalgs e per consegnare il parere legale alle istituzioni europee. Mi auguro che questo gesto obblighi le istituzioni europee a esercitare una maggiore pressione sul Presidente dell’Eritrea per ottenere il rilascio di Dawit Isaak e salvargli la vita.
Joe Higgins (GUE/NGL). – (EN) Signor Presidente, a settembre ho trascorso una settimana in Kazakstan in qualità di membro di una delegazione della Sinistra unitaria europea del Parlamento europeo. Il Kazakstan, guidato dal Presidente Nazarbayev, è una dittatura totalitaria caratterizzata dalla sistematica repressione dei diritti umani.
Abbiamo incontrato numerosi gruppi che lottano per i diritti umani, politici e dei lavoratori. Abbiamo ascoltato agghiaccianti testimonianze di un regime mostruoso di estrema brutalità in numerose carceri kazake, con detenuti recentemente rilasciati che descrivono il grottesco svilimento dei reclusi, violente e sistematiche percosse, stupri brutali e altre forme di tortura.
In considerazione di tutto questo, è vergognoso che al Kazakstan sia stata conferita la presidenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa per il 2010, con un importante vertice dei capi di Stato dell’OSCE da tenersi a dicembre nella capitale, Astana. È vergognoso che il Presidente Nazarbayev, il responsabile di questo incubo, sia in visita ufficiale presso l’Unione europea la settimana prossima e che venga ricevuto dal Presidente del Parlamento Buzek, dal Presidente della Commissione Barroso e da altre personalità. Ovviamente, viene ricevuto per via dei grandi affari relativi a petrolio e gas che le aziende dell’Unione stanno concludendo in Kazakstan; chiedo tuttavia che questi leader sollevino il problema della grottesca violazione dei diritti umani ed esigano che il Presidente Nazarbayev vi ponga fine con azioni dimostrabili.
Oriol Junqueras Vies (Verts/ALE). – Signor Presidente, nelle ultime settimane più di una trentina di mapuche hanno attuato uno sciopero della fame per protestare contro la militarizzazione delle loro terre e per essere stati sottoposti a una doppia giurisdizione civile e militare, nonché per l'applicazione della legge antiterrorismo, ancora vigente dall'epoca della dittatura militare. Malgrado tutto ciò, i due gruppi maggioritari di questo Parlamento non hanno voluto accettare una mozione d'urgenza umanitaria.
Attualmente lo sciopero della fame è finito ma le ragioni fondamentali che lo hanno generato continuano ad esistere, come ha riconosciuto lo scorso aprile lo stesso Relatore delle Nazioni Unite per i diritti dei popoli indigeni.
Insomma, il Cile deve rispettare la Dichiarazione internazionale dei diritti dei popoli e la Convenzione 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro sul diritto alla consultazione preventiva e al consenso libero e informato di questi popoli su ogni legislazione che interferisca con i loro diritti e interessi. E il Parlamento europeo deve avvalersi di tutti gli strumenti politici possibili affinché il governo cileno rispetti la legislazione internazionale e gli accordi con la stessa Unione europea.
Dimitar Stoyanov (NI). – (BG) Intendevo esprimere il mio punto di vista circa l’imminente dibattito all’interno dell’assemblea nazionale bulgara sul referendum sull’adesione della Turchia all’Unione europea. Sono rimasto infastidito dall’intervento del mio collega che siede dall’altro lato di questa Assemblea, l’onorevole Kirilov, che ha praticamente ripetuto parola per parola il discorso pronunciato dal presidente del mio partito, Volen Siderov, presso l’assemblea nazionale bulgara qualche giorno fa.
Desidero comunque aggiungere qualcosa all’intervento dell’onorevole Kirilov. Onorevoli colleghi, quanti sono stati espulsi dalla Tracia orientale non dispongono di documenti di proprietà; hanno abbandonato i figli alla morte perché, piangendo, i bambini ne segnalavano la presenza ai turchi, che davano loro la caccia per ucciderli.
La Turchia è un paese che va fiero della propria storia di genocidi e quello perpetrato nel 1913, quando 50 000 bulgari furono massacrati e 300 000 furono espulsi dalla Tracia orientale, era solo la prova generale del genocidio armeno non riconosciuto dagli ottomani. Per questo motivo, Attack dice sì al referendum sull’adesione della Turchia all’Unione europea e il no all’ingresso della Turchia nell’Unione.
Theodoros Skylakakis (PPE). – (EL) Signor Presidente, ieri Jean-Claude Juncker ha affermato che sin dal 2008 abbiamo esercitato pressioni sul governo greco affinché adottasse provvedimenti adeguati, senza rendere pubblici i problemi esistenti perché l’Eurogruppo non è un organismo ufficiale. La Commissione ha segnalato che il deficit greco per il 2009 sarà superiore al 15 per cento, rispetto alla previsione del 5 per cento del maggio 2009.
Mi domando: come è possibile ignorare 10 punti percentuali di PIL? I ministri delle Finanze ne erano forse consapevoli quando si sono incontrati in occasione del vertice dell’Ecofin, l’organo istituzionalmente competente; l’Eurogruppo lo sapeva? Il problema quindi non stava tanto nell’incapacità di produrre una previsione quanto nel rispetto di criteri politici. I cittadini greci, in quanto contribuenti europei, non avevano forse il diritto di sapere? In definitiva, abbiamo bisogno di più autorità indipendenti che monitorino i criteri finanziari e soprattutto dell’applicazione equa e automatica delle regole per tutti.
Crescenzio Rivellini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, si è chiuso fra le tensioni il Vertice Unione europea-Cina, tenutosi il 6 ottobre a Bruxelles, al punto che la prevista conferenza stampa finale è stata annullata dietro laconici motivi logistici. Sullo sfondo, il contrasto sulla questione del tasso di cambio dello yuan, giudicato dall'eurozona eccessivamente basso.
L'Unione europea ha chiesto al Premier cinese di rivalutare la moneta e porre un freno alle pratiche commerciali sleali che alimentano da anni le guerre tariffarie, sottolineando come questa sia la condizione base per affrontare il tema del riconoscimento della Cina come un'economia di mercato.
Da giugno, la moneta cinese si è apprezzata del 2,15 percento rispetto al dollaro, ma si è svalutata del 9,4 percento contro l'euro. Una pessima notizia per le esportazioni dell'eurozona, anche perché l'Europa sembra essere l'unica potenza a non disporre di meccanismi per svalutare la propria moneta.
Nel rapporto Unione europea-Cina siamo svantaggiati per le differenze contrattuali fra lavoratori, per il costo delle materie prime, per le loro politiche commerciali protezionistiche e spericolate. È quindi impossibile competere se sussiste anche una supervalutazione dell'euro. Fra due settimane, con la delegazione europea, cercheremo di trattare questi argomenti.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D). – (RO) In una momento in cui il problema della riduzione del trasporto di prodotti alimentari su lunghe distanze si fa sempre più pressante, con il conseguente incoraggiamento della produzione locale e un aggiustamento alle esigenze del mercato, è fondamentale stimolare la produzione di carne ovina nell’Unione europea.
È inaccettabile che il mercato dell’Unione europea venga rifornito di carne ovina proveniente da località a migliaia di chilometri di distanza con prezzi esorbitanti, mentre i produttori europei sono costretti a vendere i propri prodotti a prezzi irrisori e ad abbandonare il settore.
La Romania è il quinto Stato membro dell’Unione europea per numero di capi ovini, ma il numero di capi di bestiame è diminuito di oltre il 40 per cento. Ciononostante, l’esportazione di carne ovina è una componente importante della nostra economia.
Considerando questi fattori e le gravi ripercussioni sociali, economiche ed ambientali che potrebbero determinarsi nel lungo periodo con la perdita di un’antica tradizione, la Romania appoggia le azioni dell’Irlanda e attende con ansia adeguate misure di sostegno da parte della Commissione e del Consiglio che frenino il continuo declino del settore della carne ovina nell’Unione europea.
Kriton Arsenis (S&D). – (EL) Signor Presidente, nel 2008 abbiamo affrontato una gravissima crisi alimentare. Il prezzo dei cereali è salito alle stelle e, di conseguenza, numerose popolazioni hanno sofferto la fame, soprattutto in Africa. Contemporaneamente, abbiamo registrato i livelli più alti di produzione di cereali, una situazione paradossale attribuita ai biocombustibili. È emerso che la responsabilità andava attribuita alle società finanziarie che, finito di giocare con l’indice Nasdaq e dopo lo sgonfiarsi delle bolle nel mercato immobiliare, hanno rivolto la propria attenzione al debito pubblico e ai prezzi dei prodotti alimentari di base allo scopo di speculare.
Questi giochi hanno impoverito milioni di cittadini in tutto il mondo. Non possiamo più permettere a queste società di agire impunemente e dobbiamo definire per loro un quadro operativo chiaro a livello europeo e mondiale.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Oggi è la Giornata europea contro la tratta di esseri umani. Il tema merita la nostra totale attenzione e dobbiamo esigere che non ci si limiti a ripetere banali luoghi comuni su questa tragedia, che attualmente interessa centinaia di migliaia di persone ogni anno solo all’interno del territorio dell’Unione. Sono le vittime della schiavitù moderna, causata dalla fame e dall’estrema povertà di cui soffre oltre un miliardo di persone nel mondo. Questo è il lato più oscuro dello sfruttamento capitalista e delle conseguenze del colonialismo e del neocolonialismo di cui numerose potenze europee sono in gran parte responsabili.
Esiste pertanto una relazione simbolica tra la commemorazione di ieri della Giornata mondiale per l’eliminazione della povertà e l’odierna Giornata europea contro la tratta di esseri umani. La lotta contro la povertà e la tratta di esseri umani richiedono misure a livello globali, quali una rottura con le politiche neoliberiste e un fermo impegno alla dimensione sociale delle politiche macroeconomiche, al fine di garantire una politica basata sullo sviluppo e sul progresso sociale, come i cittadini hanno chiesto nelle manifestazioni cui abbiamo assistito in Europa.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, 67 anni dopo la destituzione del dittatore Benito Mussolini, oggi i monumenti fascisti sono ancora oggetto di conservazione, manutenzione e importanti opere di restauro in Sud Tirolo. Per i sudtirolesi, è un continuo ricordo dell’ingiustizia subita e non è degno di un’Europa unita del ventunesimo secolo. Anni fa, l’allora Commissario europeo Frattini ha proposto una legge che mettesse al bando i simboli nazisti. La logica conseguenza di questa proposta sarebbe dovuta essere, come parte dell’impulso contro i simboli del nazismo, la messa al bando e la rimozione dei monumenti fascisti in Sud Tirolo. La proposta dell’ex Commissario non è approdata a nulla e ora è tempo di azzardare un nuovo tentativo.
La Commissione deve affermare con assoluta chiarezza che la violazione dei diritti di una minoranza costituisce una violazione dei valori dell’Unione europea. L’articolo 2 del trattato di Lisbona deve essere ulteriormente chiarito e dobbiamo esaminare l’efficacia della tutela delle minoranze e mettere a punto sanzioni vincolanti.
Czesław Adam Siekierski (PPE). – (PL) Il 2010 è stato dichiarato dall’Unione europea l’Anno della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Il 17 ottobre 2010, si sono tenute 23 commemorazioni della Giornata mondiale per l’eliminazione della povertà annunciata dalle Nazioni Unite e in tutto il mondo sono stati organizzati eventi speciali per manifestare solidarietà e vicinanza verso i bisogni delle vittime dell’esclusione sociale.
La Giornata mondiale per l’eliminazione della povertà mira innanzi tutto a informare i cittadini in merito alla necessità di eliminare la povertà in tutto il mondo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, e a sottolineare che questa lotta è prioritaria. È inoltre importante dedicare maggiore attenzione alle cause e alle conseguenze della povertà in Europa. Lo ripeto, in Europa. Per questo l’attuazione del programma dell’Unione per la distribuzione gratuita di cibo ai più poveri, al costo annuo di 500 milioni di euro, è tanto importante. La celebrazione della Giornata mondiale per l'eliminazione della povertà è molto utile perché promuove la consapevolezza della diffusione della povertà nel mondo e spinge a ricercare le cause e le soluzioni del problema. Grazie.
Sergio Gutiérrez Prieto (S&D). – (ES) Signor Presidente, in occasione della Giornata europea contro la tratta degli esseri umani, sono stati resi pubblici dati che devono portarci ad agire come leader politici.
Oltre il 90 per cento della prostituzione in Europa deriva dal ricatto e dall’estorsione. A fronte di questi dati, dobbiamo domandarci se stiamo facendo il necessario per difendere la dignità e l’integrità di migliaia di donne i cui diritti sono tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali adottata con il trattato di Lisbona.
Non stiamo parlando del “mestiere più antico del mondo”, ma dell’unica forma di schiavitù che non siamo riusciti a estirpare dalla vecchia Europa. Paesi come la Spagna stanno compiendo significativi sforzi in proposito, perseguendo i trafficanti, sensibilizzando l’opinione pubblica e promuovendo piani di reintegro per le vittime. Questo tuttavia non basta: l’Europa deve diventare un’area unica di azione e impegno.
La prossima direttiva sulla tratta di esseri umani è un’opportunità per agire sulla domanda di tale attività attraverso l’istruzione e, sul piano dell’offerta, per rendere difficile la pubblicità attraverso tutti i canali mediatici nonché per incrementare la cooperazione bilaterale con i paesi terzi al fine di combattere questa piaga all’origine.
Abbiamo un’opportunità, sulla quale desidero attirare l’attenzione del Parlamento, di modo che continui a essere all’avanguardia sul piano dei diritti dei cittadini.
Marc Tarabella (S&D). – (FR) Signor Presidente, secondo il suo statuto, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) è una fonte indipendente di consulenza scientifica sui rischi associati alla catena alimentare. Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi di affermare che nutro dei dubbi in proposito, e non sono il solo.
Consideriamo un esempio specifico: numerosi Stati, tra cui la Danimarca e la Francia, hanno vietato l’uso del bisfenolo A nei poppatoi a seguito di numerosi studi che ne dimostrano la tossicità. L’EFSA continua tuttavia a consentirne l’impiego in prodotti destinati al consumo, in evidente violazione del principio di precauzione.
L’EFSA ha inoltre accolto ogni richiesta di utilizzo di OGM ricevuta; complessivamente ve ne sono state 125. Non vi sembra strano? Il Commissario Dalli, responsabile in materia, la settimana scorsa ha preso le distanze dall’EFSA sulla questione del bisfenolo A e sin dal 2008 il Consiglio ha richiesto chiarimenti sulle modalità operative dell’Agenzia.
Chiedo pertanto, come minimo e con la massima rapidità, un’audizione congiunta dell’EFSA da parte della commissione parlamentare per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, della commissione parlamentare per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e della commissione parlamentare per il mercato interno e la protezione dei consumatori. Dobbiamo fugare i dubbi riguardanti l’EFSA al fine di assicurare una migliore protezione dei cittadini e della loro salute, che è a rischio.
Cătălin Sorin Ivan (S&D). – (RO) Il mio messaggio è indirizzato al Presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek.
Qualche mese fa si trovava in Romania ed ha assistito alla sessione plenaria del parlamento rumeno, manifestando il proprio appoggio per il governo del Partidul Democrat-Liberal (PDL – il partito democratico liberale rumeno) e per le misure di austerità che esso propone; vorrei dire al Presidente Buzek che, da oltre un mese, la Romania non ha più un parlamento. Da oltre un mese, il parlamento rumeno non si riunisce e non si prendono più decisioni per via della fraudolenta approvazione della legge sulle pensioni menzionata dalla mia collega, l’onorevole Sârbu.
Dato che il Presidente rumeno Băsescu non ha assunto una posizione in proposito, né ha condannato le pratiche cui il PDL normalmente ricorre (la frode è diventata una pratica utilizzata nel parlamento rumeno), sono curioso di sapere se il Presidente Buzek continua ancora a sostenere il PDL e le autorità rumene e se sarebbe ancora disposto a visitare il parlamento del mio paese per sostenere il governo Boc.
Slavi Binev (NI). – (BG) Ritengo che noi tutti, assieme all’Unione europea, ci stiamo impegnando per far riemergere l’Europa dalla recessione. Alcuni paesi ne stanno uscendo, mentre altri, per varie ragioni, vi stanno purtroppo scivolando sempre più profondamente. Sono convinto che il risanamento e il consolidamento del mercato europeo siano prioritari per tutti gli Stati membri.
Per questo motivo, sono seriamente dall’intenzione dell’Unione europea di offrire al Pakistan un regime commerciale esente da dazi doganali. Mi rendo conto che il Pakistan ha subito i danni causati da catastrofi naturali, ma non mi sembra una giustificazione adeguata per minacciare il commercio europeo, specie nel settore tessile.
Faccio appello a voi a nome dell’associazione bulgara dei produttori e degli esportatori di abbigliamento e tessili (Blgarska asociaciâ na proizvoditelite i iznositelite na obleklo i tekstil), i cui membri si sono rivolti a me chiedendomi aiuto per salvare questo settore in Bulgaria. La Bulgaria è un piccolo paese profondamente colpito dalla recessione e consentire al Pakistan di accedere al mercato europeo metterebbe in pericolo la produzione nazionale di prodotti tessili e di abbigliamento.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, dal mio punto di vista, durante una recessione la tutela del mercato europeo deve risultare doppiamente prioritaria; l’istituzione del regime commerciale esente da dazi doganali con il Pakistan non è la strada da percorrere per far sì che l’Europa emerga dalla recessione.
Ioan Enciu (S&D). – (RO) Desidero porre in evidenza la situazione economica e sociale particolarmente grave in cui versa la Romania. Le misure per la ripresa adottate dal governo rumeno sono inefficaci e di natura spiccatamente antisociale. Rappresentano un attacco ai diritti umani fondamentali, soprattutto nei settori della sanità e dell’istruzione, e al diritto di condurre una vita dignitosa. Quali sono gli effetti di queste misure? Un tasso di inflazione pari all’8 per cento, la diminuzione del PIL più marcata nell’intera Unione europea, la paralisi dell’economia nazionale nonché proteste senza precedenti cui partecipano forze dell’ordine, insegnanti, pensionati, funzionari del ministero delle Finanze e tutte le confederazioni sindacali. Il governo sta agendo contro gli interessi dei rumeni, minandone lo status di cittadini europei. La Commissione europea dispone degli strumenti adeguati e dei meccanismi atti a monitorare e correggere le politiche finanziarie degli Stati membri. La Commissione ha il dovere di assumere una posizione rispetto alle misure di austerità implementate dal governo rumeno poiché violano diritti umani fondamentali.
Zigmantas Balčytis (S&D). – (LT) Il 10 ottobre scorso, è scoppiato un incendio a bordo della Lisco Gloria, in navigazione da Kiel a Klaipėda. Nonostante non abbia causato vittime, l’incidente ha evidenziato gli enormi problemi legati alla sicurezza dei passeggeri di traghetti. Le informazioni fornite dalle persone coinvolte dimostrano che l’equipaggio non era pronto per un’azione di salvataggio e i passeggeri hanno dovuto aiutarsi a vicenda. Inoltre, il numero dei passeggeri salvati era superiore al numero riportato nell’elenco ufficiale dei passeggeri, il che dà adito a serie preoccupazioni in merito alla garanzia di condizioni generali di sicurezza per i viaggiatori e alle potenziali minacce terroristiche. Sulla scia degli eventi dell’11 settembre, all’interno dell’Unione europea si è dedicata grande attenzione alla sicurezza dei passeggeri aerei. Questo incidente ha evidenziato che un sistema di controllo analogo a quello impiegato per il trasporto aereo deve essere applicato anche al trasporto marittimo e che si rendono necessarie continue prove di valutazione indipendenti, sia per le condizioni tecniche delle imbarcazioni sia per il personale responsabile della sicurezza dei passeggeri.
Katarína Neveďalová (S&D). – (SK) La settimana scorsa, ho guidato una delegazione di osservatori del Parlamento europeo alle elezioni parlamentari in Kirghizistan. Abbiamo tenuto numerose riunioni con rappresentanti dei partiti politici e organizzazioni di cittadini e abbiamo incontrato anche il Presidente ad interim, Roza Otumbayeva.
Sebbene durante la nostra missione ci sia stato assicurato che il paese è avviato ad un cambio di regime verso la democrazia parlamentare e che sul piano della sicurezza il clima si sia rasserenato, poco dopo la nostra partenza da Bishkek i disordini sono ricominciati e i partiti politici kirghisi hanno iniziato a mettere in discussione i risultati elettorali, nonostante le dichiarazioni rilasciate dalle organizzazioni internazionali, secondo le quali le elezioni in Kirghizistan si sono svolte in maniera relativamente corretta. In un paese in cui i livelli di standard sociali sono autenticamente deplorevoli e decine di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case, la lotta per la posizione di leader unico si è riaccesa e il Kirghizistan sta cominciando a fare passi indietro.
Richiedo quindi all’Unione e al Parlamento europeo di dedicare maggiore attenzione alla regione dell’Asia centrale, attualmente molto turbolenta. La mia richiesta non fa riferimento solo al Kirghizistan, ma anche ai recenti disordini in Tagikistan e al vicino Afghanistan, che non è neppure necessario menzionare. È importante intensificare l’interesse e la presenza in questa regione per un futuro migliore per tutti noi.
Ivailo Kalfin (S&D). – (BG) Desidero attirare la vostra attenzione su importanti questioni legate alla sicurezza informatica. La prevenzione dei rischi associati alla rapida espansione di Internet è molto più efficace del rimedio ai danni causati da un uso improprio. A tal fine, si rende necessaria una serie di provvedimenti.
Innanzi tutto, il ciberspazio necessita una protezione dinamica, che non eriga muri statici, ma si affidi alla flessibilità e all’innovazione proattiva. In secondo luogo, la normativa che regola Internet deve sfruttare le opportunità offerte dalle tecnologie informatiche, non limitarle. In terzo luogo, è necessario un coordinamento orizzontale molto attivo tra le varie istituzioni coinvolte nella sicurezza informatica. Infine, la sicurezza informatica necessita meccanismi estremamente attivi ed efficienti per la cooperazione e il coordinamento internazionali.
Desidero incoraggiare la Commissione europea a dimostrare particolare determinazione e fermezza e a chiedere con insistenza iniziative legislative future volte a preparare e attuare una strategia di sicurezza informatica europea nonché a creare posizioni o un meccanismo per agevolare il coordinamento orizzontale di tutte le comunità e le politiche nazionali relative a questo tema.
Presidente. – Con questo si conclude la discussione su questo punto.
18. Il futuro della normazione europea (breve presentazione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0276/2010), presentata dall’onorevole Kožušník, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sul futuro della normazione europea [2010/2051(INI)].
Edvard Kožušník, relatore. – (CS) La relazione che esaminiamo oggi è stata presentata come anticipazione del pacchetto normazione cui la Commissione sta attualmente lavorando e fornisce una revisione legislativa dell’attuale quadro giuridico della normazione europea, che utilizzeremo per definire lo sviluppo della normazione nei decenni venturi. È dunque nell’interesse del Parlamento utilizzare questa relazione per comunicare alla Commissione e agli specialisti coinvolti la nostra idea del futuro sviluppo della normazione europea.
La forma del sistema di normazione europea è cruciale per sfruttare appieno il potenziale del mercato interno, migliorare la competitività dell’economia dell’Unione e mettere in pratica la strategia Europa 2020. Di conseguenza, in seno alla commissione per il mercato interno abbiamo prestato grande attenzione a questo tema. Abbiamo tenuto intensi dibattiti con tutti i soggetti interessati, a livello internazionale ed europeo nonché al livello di organizzazioni dei singoli Stati membri. Al momento di ricercare la migliore forma di normazione europea, abbiamo fatto del nostro meglio per i rappresentanti delle piccole e medie imprese, oltre che per i rappresentanti dei consumatori, i disabili, gli ambientalisti e altre organizzazioni che rappresentano gli interessi della comunità.
Durante i dibattiti sulla futura forma di normazione europea, siamo giunti alla conclusione che la revisione del progetto dovrebbe basarsi sui punti di forza del sistema esistente, che rappresenta una solida base sulla quale costruire; non possiamo intraprendere cambiamenti radicali che potrebbero indebolire i meriti fondamentali dell’attuale sistema. Per ottenere un sistema di normazione europea efficiente, è necessario che le organizzazioni di normazione nazionali che rivestono un ruolo meno attivo nell’attuale processo di normazione si avvicinino alle organizzazioni nazionali più forti. Queste ultime, in grado di comunicare efficacemente tra loro nonché con le altre parti interessate, rappresentano la base per la stabilità del sistema di normazione europea.
Inoltre, in futuro dovremo concentrarci di più su un maggior coinvolgimento dei soggetti interessati nel processo di normazione, allo scopo di assicurare che le norme risultanti siano frutto di un ampio consenso e, in definitiva, risultino più rappresentative. Un’altra questione esaminata durante questo lungo dibattito è stata un accesso più semplificato alle norme. In particolare, vorrei fare riferimento alla procedura di definizione delle norme, che deve essere in linea con la natura di beneficiari e utenti. Al fine di facilitare l’applicazione delle norme, queste ultime devono essere più comprensibili e più semplici da utilizzare.
A fronte della crescente liberalizzazione dei servizi, è necessario dedicare maggiore attenzione alla normazione del settore, che consideriamo fondamentale per ottenere una maggiore concorrenza transnazionale. L’elaborazione di norme europee per i servizi è un modo per abbattere i confini nell’ambito del mercato interno nella maniera più adeguata; abbattere tali confini e incrementare la concorrenza sono, a loro volta, strategie per migliorare la trasparenza e la qualità dei servizi europei e incoraggiare la concorrenza, che va di pari passo con l’innovazione. L’innovazione e le nuove tecnologie sono il motore della crescita economica nel periodo post-crisi. In merito alla normazione europea, la sfida sta nel conseguire una stretta collaborazione tra gli ideatori delle norme, gli innovatori, gli accademici e i ricercatori. Senza il coinvolgimento intensivo di questi quattro gruppi nel processo di definizione delle norme, per l’Europa sarà difficile uniformare le conoscenze relative all’economia, a basse emissioni di carbonio, alle auto elettriche, alle nanotecnologie e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La capacità di trasporre le scoperte della ricerca e sviluppo nel processo di elaborazione delle norme determinerà, in ultima analisi, se il sistema di normazione europea potrà continuare a rivestire un ruolo cruciale in un mondo globalizzato.
A questo punto, desidero ringraziare tutti i colleghi della commissione nonché i colleghi della commissione partner ITRE, attivamente coinvolti nella stesura di questa relazione. In particolare, vorrei sottolineare che siamo riusciti a ottenere un ampio accordo tra tutti i gruppi politici sulla bozza finale della relazione.
Lara Comi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero anzitutto esprimere la mia soddisfazione per il lavoro svolto al relatore e anche ai relatori shadow, con i quali siamo riusciti a raggiungere un buon equilibrio tra le diverse posizioni politiche. Questa relazione rappresenta un messaggio politico forte e chiaro per la Commissione europea e contiene linee guida importanti in vista della prossima revisione.
Abbiamo riscontrato che il sistema attuale funziona bene e non necessita di radicali cambiamenti. I miglioramenti che abbiamo proposto non pregiudicano gli attuali principi sui quali si basa il sistema, ovvero il principio della delegazione nazionale, la sua natura privata e volontaria. Ciononostante, è importante che gli interessi pubblici possano giocare un ruolo più attivo e contribuire alla creazione di nuovi standard. Ritengo che la funzione delle piccole e medie imprese sia importante e rilevante all'interno del processo di standardizzazione.
Questa relazione non è che l'inizio: noi continueremo a lavorare nei prossimi mesi per rendere la standardizzazione europea all'altezza dei bisogni economici e sociali dell'Europa.
Zigmantas Balčytis (S&D). – (LT) Desidero congratularmi con il collega per la stesura di questa importante relazione. La normazione è particolarmente importante per la costruzione di un mercato interno comune, per di garantire la competitività delle imprese dell’Unione europea e dei singoli Stati membri e per rimuovere le barriere al commercio. Sostengo l’iniziativa della Commissione di mettere a punto un pacchetto normazione che, si spera, risulti sufficientemente completo e agevoli la rimozione delle carenze esistenti, che ci impediscono di garantire la sicurezza dei prodotti e determinano livelli eterogenei di protezione dei consumatori nei vari Stati membri. L’elaborazione di norme uniformi a livello europeo è particolarmente importante nel settore delle tecnologie e delle innovazioni, in rapido sviluppo. Per garantire non solo che l’Unione europea sia competitiva, ma anche che la salute dei cittadini sia adeguatamente tutelata e che i prodotti che arrivano al mercato siano sicuri, è necessario che in tutti gli Stati membri entrino in vigore e si applichino norme uniformi.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Il sistema di normazione europea fa parte di un sistema internazionale che stabilisce regolamenti e norme unificati e di generica applicazione utilizzati nel settore produttivo a livello mondiale.
Poiché il progresso societale accresce la conoscenza, modifica le tecnologie, l’organizzazione e lo stile di vita, anche la normazione, come campo specifico di definizione di normative generalmente utilizzate, deve essere un compito attivo e aperto al progresso. Se l’Unione europea mira a un’economia autenticamente sofisticata e innovativa, non si può evitare un sostanziale incremento dell’attività nel settore dello sviluppo di nuove norme che agevolino l’introduzione sul mercato di nuovi ritrovati scientifici e tecnologici. Ritengo che sia tempo di aggiornare i meccanismi di normazione e normalizzazione europei, attualmente basati in gran parte su tradizioni e posti di lavoro nazionali; oggi questi meccanismi devono essere semplificati e resi più efficaci.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Onorevoli colleghi, in qualità di rappresentanti dello Jobbik, veniamo spesso definiti euroscettici, una definizione che ci trova d’accordo. Siamo scettici verso l’Unione europea, ma questo non implica che non appoggiamo la cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione. È evidente che siamo contrari al principio degli Stati Uniti d’Europa, mentre siamo favorevoli all’Europa delle nazioni; ciononostante, la normazione è generalmente un tema che possiamo condividere e al quale fornire il nostro appoggio. Si dice spesso che protestiamo di continuo, rispondendo con un secco no a tutto. La normazione è un argomento che anche noi vorremmo favorire e sostenere. Invito tutti gli Stati membri ad appoggiare la normazione e i colleghi a sostenere la relazione dell’onorevole Kožušník, sulla quale possiamo, allo stato attuale, essere d’accordo.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) L’adozione di norme europee può apportare un contributo fondamentale per agevolare l’accesso delle PMI al mercato unico e consolidarne la posizione al suo interno. A tal fine, le PMI necessitano prodotti creditizi semplici e standardizzati che ne facilitino il rapido utilizzo sulla base di un numero minimo di documenti e di un’analisi finanziaria semplificata. Il sistema di normazione europea deve incoraggiare e promuovere l’innovazione, nonché stabilire una base comune per un approccio più completo alla normazione. Sarebbe utile ricorrere all’applicazione regolare a livello europeo dei principi di sussidiarietà e proporzionalità: questo contribuirebbe a consolidare il principio di base “innanzi tutto pensare piccolo” come componente delle politiche pubbliche per le PMI. In questo contesto, desidero menzionare un’ordinanza, emessa di recente in Romania, sull’implementazione di misure di sostegno all’applicazione uniforme della normativa dell’Unione che armonizza le condizioni di commercializzazione dei prodotti.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Questa relazione incoraggerà ulteriormente la Commissione a perseguire attentamente l’armonizzazione delle norme nel mercato interno. Nel corso della progressiva liberalizzazione del commercio globale, ci fornisce una strategia per proteggere i cittadini europei da prodotti di bassa qualità e poco sicuri, provenienti soprattutto dai paesi asiatici. Ringrazio i colleghi della commissione per il sostegno offerto alla mia bozza, che dà il via libera all’elaborazione di norme per calzature per bambini sicure: è tempo di agire perché la generazione dei bambini di oggi soffre di difetti ortopedici causati dalle calzature cinesi, a basso costo ma dannose per la salute.
È incredibile che disponiamo di una normativa europea di qualità per la sicurezza dei giocattoli, con i quali i bambini entrano in contatto solo per un breve periodo, mentre non abbiamo norme adeguate per calzature e pantofole, che i bambini indossano tutto il giorno. Mi auguro che la Commissione risponda a questo appello, che non è il primo, e adotti i provvedimenti adeguati. A mio parere, è una vergogna che la lobby industriale di Germania e Francia abbia vinto e che, all’interno dei comitati internazionali di normazione, l’Unione europea parli ventisette lingue, anziché avere una sola voce.
Mitro Repo (S&D). – (FI) Signor Presidente, le mie congratulazioni per questa eccellente relazione, una buona base per proseguire il lavoro. La trasparenza e la democrazia sono fondamentali nel processo di elaborazione delle norme, così come una maggiore partecipazione da parte delle parti societali interessate più deboli, dei consumatori e delle organizzazioni ambientaliste. Non si deve permettere che la normazione diventi un semplice campo di battaglia per le grandi imprese.
Sono lieto che la relazione tenga conto del principio di idonea rappresentanza, in base al quale le posizioni dei soggetti interessati devono essere adeguatamente incluse. È inoltre importante che i soggetti societali interessati godano di una rappresentanza più forte e ritengo che tale obiettivo possa essere raggiunto conferendo loro il diritto di voto all’interno dei comitati tecnici. Infine, è fondamentale sviluppare anche una seconda linea di produzione e mi auguro che la Commissione consideri attentamente la questione.
Maria Damanaki, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con il relatore per questa completa relazione, che ha ricevuto un consenso generalizzato. Desidero inoltre ringraziare i deputati che sono rimasti qui fino a tardi per offrire aiuto al Presidente e arricchire la discussione con contributi e idee molto costruttivi.
Questa relazione rappresenta un prezioso contributo al dibattito aperto qualche tempo fa dalla Commissione europea: mette in luce il futuro del sistema di normazione in Europa, un elemento centrale per l’implementazione del mercato interno e per il potenziamento della competitività dell’imprenditoria europea, oltre che uno strumento importante per stimolare l’innovazione.
Nel corso del prossimo decennio, la normazione europea dovrà adattarsi alla nuova energia, a sfide ambientali e societali, come è stato affermato. Alcune di queste sfide sono l’emergere di nuove potenze economiche, lo sviluppo di tecnologie, il cambiamento climatico, la gestione delle emissioni di carbonio e le energie rinnovabili: questi sono solo alcuni dei nuovi fattori che dobbiamo affrontare.
Condividiamo l’opinione del relatore secondo la quale possiamo costruire sul sistema esistente, che rappresenta una solida base per ulteriori sviluppi. Ciononostante, esistono margini di miglioramento. La relazione presenta una serie di proposte volte a migliorare il sistema restando all’interno dei suoi attuali confini. La Commissione plaude all’enfasi posta sull’importanza del principio della delegazione nazionale. Al tempo stesso, la relazione sottolinea una conseguenza negativa di questo principio, ovvero le attuali carenze nella partecipazione dei soggetti societali interessati che rappresentano la sanità e la sicurezza, gli interessi dei consumatori e dell’ambiente nel processo di definizione delle norme. La partecipazione dei soggetti societali interessati è estremamente importante perché conferisce al sistema un significativo elemento di legittimità e responsabilità, migliorando la qualità del consenso. La Commissione esaminerà strategie pratiche per garantire un’efficace appartenenza delle organizzazioni di normazione europee alle organizzazioni che rappresentano i soggetti societali interessati e per contribuire al conseguimento di una partecipazione più equilibrata dei soggetti interessati nel processo di elaborazione delle norme.
La Commissione condivide l’idea secondo la quale gli organismi di normazione nazionali sono attori chiave nel modello di normazione europea, in relazione al ruolo centrale del principio di delegazione nazionale per il Cenelec. Tutti gli organismi di normazione nazionali devono quindi essere in grado di fornire una solida piattaforma per la formazione del consenso. La relazione mette in luce la presenza di significative differenze tra questi organi in termini di risorse, competenze tecniche e partecipazione delle parti interessate al processo di normazione. In questo caso, esiste un margine di miglioramento per gli Stati membri.
Sebbene il problema dell’accesso alle norme non debba limitarsi al loro prezzo, la Commissione accoglie con favore l’appello agli organismi di normazione nazionale di ridurre i costi mediante tariffe speciali, offrendo pacchetti di norme a prezzo ridotto e studiando altri modi per migliorarne l’accesso, specialmente per le PMI.
La normazione europea è dotata di un enorme potenziale per favorire la normativa nell’ambito delle politiche pubbliche. Apprezziamo che la relazione riconosca tale potenziale e sottolinei il bisogno di concentrarsi su nuovi domini di sviluppo delle norme, come i servizi. Come sottolineato nella relazione, il nuovo modello europeo deve contribuire all’innovazione europea e allo sviluppo sostenibile.
In conclusione, desidero ringraziare quanti hanno partecipato a questa relazione estremamente utile e che offre numerosi spunti.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 21 ottobre 2010 alle 12.00.
19. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale