20. Diritti umani e norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali - Politiche commerciali internazionali nel quadro degli imperativi dettati dai cambiamenti climatici - Responsabilità sociale delle imprese negli accordi commerciali internazionali (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni sul tema del commercio internazionale:
– A7-0312/2010 dell’onorevole Saïfi, a nome della commissione per il commercio internazionale, sui diritti umani e le norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali (2009/2219(INI));
– A7-0310/2010 dell’onorevole Jadot, a nome della commissione per il commercio internazionale, sulle politiche commerciali internazionali nel quadro degli imperativi dettati dai cambiamenti climatici (2010/2103(INI));
– A7-0317/2010 dell’onorevole Désir, a nome della commissione per il commercio internazionale, sulla responsabilità sociale delle imprese negli accordi commerciali internazionali (2009/2201(INI)).
Tokia Saïfi, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, l’argomento di questa relazione ha dato inizio a un dibattito all’interno della comunità internazionale. I paesi in via di sviluppo ritengono che i paesi dall’economia più avanzata, nel segnalare il dumping sociale e ambientale dei primi, si appellino al rispetto dei diritti dell’uomo al fine di instaurare una sorta di mascherato protezionismo. Ho voluto adottare un approccio positivo mostrando come gli standard sociali e ambientali e gli interessi commerciali possano sostenersi a vicenda se tutti i paesi sono in condizioni di parità.
È necessario che l’Unione europea eserciti la propria influenza nell’ambito del commercio internazionale affinché la situazione inizi a cambiare. Agendo in questo modo l’Unione rispetterebbe i propri atti costituenti, secondo i quali essa è tenuta a promuovere in particolare lo sviluppo sostenibile, il commercio equo e libero e il rispetto dei diritti dell’uomo. A mio avviso è necessario intervenire simultaneamente a livello multilaterale, bilaterale e unilaterale.
A livello multilaterale, l’Unione europea deve incoraggiare le organizzazioni internazionali, specialmente l’Organizzazione mondiale del commercio, affinché prendano maggiormente in considerazione gli standard sociali e ambientali. Allo stesso tempo dovrebbe intensificarsi anche la collaborazione tra queste organizzazioni. Proprio per questo motivo propongo che l’Organizzazione mondiale del commercio conceda lo status di osservatore ufficiale al suo interno all’Ufficio internazionale del lavoro.
Per quanto riguarda l’ambiente, ritengo prioritario migliorare l’accesso a prodotti e tecnologie verdi, in quanto essi non solo promuovono nuove forme di politica dell’occupazione, ma forniscono anche nuove opportunità di crescita alle aziende europee altamente performanti che operano nel settore. Bisogna inoltre valutare l’eventuale istituzione di una vera e propria organizzazione mondiale dell’ambiente alla quale poter segnalare i casi di dumping ambientale.
È a livello bilaterale che l’Unione europea può veramente dare il buon esempio. Sebbene mi rallegri del fatto che gli accordi di libero scambio di “nuova generazione” includano la clausola vincolante del rispetto dei diritti dell’uomo, desidererei che tale clausola venisse estesa anche al capitolo relativo allo sviluppo sostenibile.
Inoltre, essendo la Commissione europea a negoziare gli accordi, dovrebbe garantire l’inclusione di una serie di standard sociali e ambientali e il rispetto di tali standard da parte di tutti i partner commerciali dell’Unione europea. A seconda del grado di sviluppo economico, sociale e ambientale di un paese si potrebbero integrare gli standard di base con ulteriori convenzioni, volta per volta. La gradualità e la flessibilità di un simile approccio comporterebbero una maggiore equità nelle relazioni con i vari partner commerciali. È necessario soprattutto monitorare con maggiore intensità l’attuazione degli accordi bilaterali. Propongo pertanto di effettuare valutazioni d’impatto prima, durante e alla fine dei negoziati, e che esse riguardino non solo lo sviluppo sostenibile, ma anche la questione dei diritti dell’uomo.
Infine, data l’imminenza della riforma del sistema delle preferenze generalizzate auspico vivamente che si proceda con celerità a livello unilaterale. È risaputo che il Sistema delle preferenze generalizzate prevede la ratifica di una trentina di convenzioni internazionali in tema di diritti dell’uomo, diritti del lavoro, tutela ambientale e buon governo. Ciononostante, a un’ampia ratifica di tali convenzioni non è corrisposta una pari attuazione: è pertanto questo il punto su cui dobbiamo focalizzare i nostri sforzi. È necessario che la Commissione indaghi a riguardo e arrivi perfino a revocare le preferenze accordate in presenza di dubbi motivati sull’attuazione delle convenzioni.
In conclusione, anche agendo subito il cambiamento non si verificherà dall’oggi al domani. Per instaurare rapporti commerciali più giusti ed equi l’azione dell’Unione europea deve essere graduale a tutti i livelli.
Yannick Jadot, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, mentre l’Unione europea sta tentando di ridefinire la propria politica commerciale a seguito del trattato di Lisbona e di riconciliarla al contempo con la propria politica industriale, è apprezzabile che questo Parlamento discuta simultaneamente tre relazioni aventi temi affini e appartenenti allo stesso ambito di discussione politica e pubblica, ovvero la natura del commercio e la possibilità di conciliarlo con questioni di natura sociale, ambientale e di rispetto dei diritti dell’uomo.
In effetti ci troviamo ovunque in una situazione di schizofrenia permanente: le aziende delocalizzano, i diritti sociali vengono messi in discussione, il degrado ambientale è in aumento e contemporaneamente stiamo negoziando accordi di libero scambio e tutta una seria di misure all’interno dell’OMC che sfortunatamente sono in totale disarmonia con il dibattito pubblico al quale i nostri cittadini stanno cercando di partecipare.
Come possiamo spiegare ai nostri cittadini che uno stesso pallone da calcio importato nel mercato europeo può essere stato prodotto in condizioni lavorative appropriate e nel rispetto dell’ambiente oppure sfruttando il lavoro minorile o in paesi dove i sindacati sono dichiarati fuorilegge? Non è possibile spiegare una simile situazione, pertanto oggi è nostra responsabilità integrare questioni ambientali e sociali nelle relazioni commerciali.
Per quanto concerne la mia relazione nello specifico, vi sono attualmente alcuni paesi europei dove in ambito commerciale l’importazione di prodotti compensa ampiamente la riduzione di emissioni. Un terzo delle emissioni europee non sono prodotte in Europa ma sono da attribuire a prodotti importati. Di conseguenza è fondamentale includere la questione climatica nelle nostre politiche commerciali.
Come possiamo spiegare ai nostri cittadini che, in concomitanza della stipula di un accordo di libero scambio che può portare potenzialmente alla deforestazione, ci apprestiamo a negoziare a Cancùn l’accordo di Riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado delle foreste nei paesi in via di sviluppo (REDD), mirante alla compensazione finanziaria dei paesi dell’emisfero meridionale che rinunciano alla deforestazione? È di vitale importanza riconciliare questioni così differenti.
In fase di redazione della relazione – e colgo l’occasione per ringraziare tutti i relatori ombra dei vari gruppi – abbiamo cercato di essere più costruttivi possibile, e spero che ciò si rifletta sul voto di domani. Abbiamo inoltre tentato di porre fine alle discussioni eccessivamente categoriche. Non affermiamo più che la liberalizzazione degli scambi commerciali e la lotta al cambiamento climatico distruggeranno la totalità delle industrie in Europa dove, in un certo senso, il problema ci tocca meno in quanto è comunque il fattore climatico a dover prevalere.
Quando ci occupavamo della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ad esempio, ci siamo sempre premurati di specificare quale settore fosse a rischio e quali strumenti avremmo potuto sviluppare per difenderlo. Lo stesso vale sia per le leggi che regolamentano il quadro di discussione delle misure antidumping in seno all’OMC, sia per i processi e i metodi produttivi. Per tutte le questioni menzionate abbiamo cercato di elaborare assieme agli altri gruppi proposte efficaci, e credo che anche in questo caso le proposte siano concrete e proporzionate alle nostre ambizioni, al mandato della Commissione europea e a quello di tutte le istituzioni comunitarie
Vorrei ribadire la mia speranza che lo spirito costruttivo e collaborativo con il quale abbiamo redatto la relazione si rifletta sul voto di domani e ringrazio nuovamente i colleghi per il lavoro svolto.
Harlem Désir, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anch’io vorrei esordire ringraziando i colleghi della commissione per il commercio internazionale, e in particolare i relatori ombra dei vari gruppi per la collaborazione nella stesura della terza relazione sul tema in questione. Tale collaborazione ci consente oggi di presentarvi un insieme di proposte innovative e concrete, capaci portare avanti il tema della responsabilità etica delle aziende all’interno del quadro della politica commerciale dell’Unione europea.
A seguito della crisi internazionale e dei conseguenti danni sociali ed economici, dei dibattiti da essa provocati, delle aspettative espresse da parte dei cittadini e della classe politica affinché si imparasse da quanto successo, ci siamo convinti che la politica commerciale europea debba contribuire più che mai al raggiungimento degli obiettivi di regolamentazione della globalizzazione, e in particolare degli obiettivi sociali e ambientali.
Tale regolamentazione riguarda gli Stati e le relative economie, sebbene sia chiaro che i principali protagonisti nell’ambito del commercio mondiale siano le imprese, e soprattutto le multinazionali. Sono queste ultime ad aver beneficiato maggiormente della liberalizzazione dei mercati, non solo in termini di acquisizione di clienti, ma anche di parziale delocalizzazione della produzione e di diversificazione del parco fornitori, sfruttando spesso i paesi in cui i costi di produzione sono bassi e soprattutto dove le regole sociali e ambientali vengono applicate con minor rigore.
La liberalizzazione del commercio ha comportato una forte concorrenza sia da parte dei paesi a caccia di investitori stranieri, sia tra le imprese. Troppo spesso questa situazione ha portato ad abusi inaccettabili ai danni delle condizioni lavorative, a violazioni dei diritti dell’uomo e a danni ambientali.
Di esempi ve n’è una moltitudine: dal disastro ai danni della filiale di una multinazionale chimica a Bhopal, in India, a causa del quale morirono migliaia di persone e per il quale la società controllante a oggi non è ancora stata punita; all’azione delle società petrolifere e minerarie in Africa, in Myanmar e in molti altri paesi, che sta distruggendo l’ambiente e riducendo i lavoratori al rango di schiavi; al lavoro minorile nelle fabbriche tessili in Asia per arrivare all’uccisione di sindacalisti da parte delle holding agricole in America centrale. Il fatto che rende tali violazioni ancor meno tollerabili è che a perpetrarle spesso sono imprese, consociate e fornitori provenienti da paesi industrializzati, perfino dall’Europa.
Molti anni fa questi fenomeni hanno dato vita a un dibattito e a una campagna che sono stati poi sostenuti in varie occasioni all’interno del Parlamento attraverso l’adozione di risoluzioni sulla responsabilità sociale e ambientale delle imprese. I progressi ottenuti nel campo della responsabilità sociale delle imprese (RSI) non vanno ancora di pari passo con il dibattito sugli standard sociali negli accordi commerciali, che rappresenta l’argomento della relazione Saïfi. Si tratta di un fatto facilmente comprensibile, in quanto gli accordi commerciali consistono in regole legalmente vincolanti tra gli Stati, mentre la responsabilità sociale delle imprese rappresenta un impegno su base volontaria delle aziende. Al contempo però è paradossale che la RSI e le clausole sociali e ambientali convergano nella stessa direzione, ovvero verso una globalizzazione maggiormente rispettosa dei diritti dell’uomo e dell’ambiente e foriera di sviluppo sostenibile.
Proponiamo quindi di incorporare la RSI negli accordi commerciali e specificatamente di includere una clausola di responsabilità sociale delle imprese nei capitoli dedicati allo sviluppo sostenibile, soprattutto nel caso degli accordi di libero scambio, contenente un insieme di impegni chiari e verificabili da parte delle imprese. In primo luogo vi deve essere un impegno reciproco da parte dell’Unione europea e dei propri partner volto sia a incoraggiare le imprese a sottoscrivere obblighi in ambito di RSI, sia a verificarne il rispetto: l’istituzione di sportelli finalizzata non solo a incoraggiare lo scambio di informazioni, ma anche al ricevimento di reclami da parte dei sindacati e della società civile; l’obbligo per le società per azioni di pubblicare i propri bilanci regolarmente, in modo da promuovere la trasparenza; gli obblighi di fornire rendiconti sul proprio operato, di operare secondo la due diligence e di intraprendere misure preventive.
Infine proponiamo che, in caso di serie violazioni dei principi alla base della RSI, dei diritti sociali e delle leggi sociali e ambientali, vi debba essere un meccanismo…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – Perdonatemi, ma vi sono cose che non possono accadere. Lei ha a disposizione quattro minuti per il suo intervento. Nonostante le mie interruzioni ha parlato per più di quattro minuti e mezzo. Le regole sono chiare per tutti i membri di quest’Aula e cerco di essere più equo possibile, però lei ha affermato a metà del suo intervento di tenere d’occhio l’orologio e non l’ha fatto. Se desideriamo discussioni più vivaci, ciò non significa necessariamente che siamo obbligati a leggere i nostri interventi più velocemente. Non deve pensare esclusivamente ai suoi elettori francesi – discorso che vale per tutti gli onorevoli deputati, che invito a non concentrarsi solamente sul proprio elettorato – perché tutti i cittadini dell’Unione europea hanno la possibilità di accedere alla trascrizione degli interventi tradotti nella loro lingua sul sito dell’UE. Se gli interpreti non sono in grado di seguire gli interventi a causa dell’eccessiva velocità di lettura, i cittadini europei non potranno comprendere il suo intervento. Mi appello quindi a tutti affinché rispettino i tempi di intervento e non invadano quelli degli altri oratori, perché il risultato finale è una riduzione del tempo dedicato alla procedura catch the eye.
William (The Earl of) Dartmouth (EFD). – (EN) Signor Presidente, è la seconda volta che assisto all’interruzione di un oratore da parte del Presidente a causa dell’eccessiva velocità di lettura.
Non so quanto spesso le capiti di prendere parola, ma la invito a considerare il fatto che tali interruzioni rovinano completamente gli interventi.
Sebbene mi trovi in totale disaccordo con le parole dell’onorevole Désir ritengo che, essendo gli interpreti degli impiegati pagati per il proprio lavoro, nel caso in cui non riescano a seguire il filo del discorso il problema sia loro. Non è compito del Presidente interrompere gli interventi in questo modo.
Presidente. – Rientra certamente tra i miei compiti interrompere gli interventi. Si può pagare un centometrista 1 milione di euro per correre i cento metri in 10 secondi, però anche pagandolo 100 milioni di euro non riuscirebbe a percorrere quella distanza in 5 secondi. Sono obbligato a interrompere gli oratori troppo rapidi. Da 13 anni sono membro di quest’Aula e so molto bene che quando gli interpreti non riescono a seguire premono un bottone che fa illuminare una lampadina sul mio banco. La invito a venire qui e accertarsene di persona. Sul bottone sta scritto “Rallentare”. La stessa cosa mi è successa durante le sedute di varie commissioni. A un certo punto gli interpreti annunciano di stare per fermarsi, e se un deputato si lamenta l’intero sistema si blocca e il deputato deve interrompere il proprio intervento.
(Interruzioni)
Onorevole Berès, sto facendo esattamente ciò che fa anche lei all’interno della sua commissione, spiego la situazione nel caso in cui venga sollevato un richiamo al regolamento.
(Interruzioni)
Si tratta esattamente della stessa cosa.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, le assicuro che se dovessi correre i 100 metri impiegherei almeno 15 secondi, per cui almeno da questo punto di vista non rappresento un grosso problema.
In primo luogo vorrei ringraziare i relatori e la commissione per il commercio internazionale per le relazioni, che sollevano alcune importanti questioni in merito al contributo della politica commerciale dell’Unione europea per il raggiungimento di alcuni obiettivi fondamentali delle politiche pubbliche: il rispetto dei diritti dell’uomo, il perseguimento del benessere economico e della giustizia sociale, l’ottenimento di una crescita sostenibile e il rispetto per l’ambiente, in particolare per il sistema climatico.
Comprenderete che, nel breve tempo a mia disposizione oggi, non sarà possibile entrare nel dettaglio di ognuno di essi. Permettetemi però di fare alcune considerazioni generali.
Le tre relazioni hanno numerosi punti in comune, in quanto affrontano la questione della coerenza delle politiche e in particolare la necessità che la politica commerciale venga portata avanti nel quadro degli obiettivi generali dell’Unione europea, specialmente degli obiettivi economici, sociali e ambientali. Sono totalmente d’accordo con il traguardo di utilizzare al massimo gli strumenti a nostra disposizione per raggiungere tali obiettivi. Allo stesso tempo va sottolineato il fatto che l’efficacia di qualsiasi azione dipende dall’utilizzo degli strumenti più adatti per ciascuna questione.
Considero la politica commerciale uno dei fattori principali di promozione e salvaguardia del modello sociale, dei valori e dei principi dell’Unione europea, e sono conscio delle grandi aspettative in merito. Dobbiamo però tenere a mente che la politica commerciale non rappresenta necessariamente la soluzione di tutti i problemi. Altre politiche potrebbero fornire gli elementi chiave o addirittura strumenti migliori per delineare soluzioni efficaci. Va ricordato anche che il compito principale dell’azione politica consiste nel bilanciare i diversi interessi in gioco, pertanto ci troveremo sempre di fronte a delle scelte.
Anche le sfide cambieranno, a seconda che prendiamo in considerazione strumenti autonomi come il sistema di preferenze generalizzate, gli accordi bilaterali o multilaterali. La relazione Saïfi sui diritti dell’uomo e sugli standard sociali e ambientali negli accordi commerciali riconosce che ciascuna delle tre dimensioni citate offre diverse possibilità.
In generale la cooperazione internazionale ha il potenziale per innescare azioni maggiormente efficaci. D’altra parte bisogna essere in due per ballare il tango, pertanto dobbiamo prendere in considerazione cosa sono disposti a fare i nostri partner commerciali, e a quale prezzo.
Soprattutto nel caso degli accordi multilaterali il raggiungimento del consenso può risultare estremamente difficoltoso. L’Unione europea è interessata in generale a migliorare la governance internazionale, anche attraverso una maggiore coerenza tra gli interventi in ambiti diversi come l’OMC, l’Ufficio internazionale del lavoro, i negoziati internazionali sul clima, eccetera.
Le tre relazioni descrivono varie possibili strade percorribili a questo proposito. Dobbiamo essere pragmatici e capaci di discernere tra le iniziative in grado di rivelarsi efficaci nel breve termine e quelle i cui benefici si vedranno più a lungo termine. È necessario che ci concediamo il tempo di pensare in maniera lungimirante e in grande. Alla fine dei conti, la Commissione vuole che la politica commerciale e l’operato delle istituzioni commerciali abbiano un impatto e portino a dei risultati.
Il discorso vale anche per i nostri accordi bilaterali. Le disposizioni degli accordi di libero scambio non devono fungere da semplici dichiarazioni di buone intenzioni, bensì essere implementabili.
Passando ora alla relazione Jadot sul cambiamento climatico, desidero sottolineare la necessità di garantire che qualsiasi soluzione scegliamo sia in grado di ridurre efficacemente il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e sia applicabile a costi ragionevoli. È noto a tutti, ad esempio, che soluzioni come le misure alla frontiera comportino tutta una seria di questioni come le modalità di misurazione, le modalità di monitoraggio, eccetera. La verità è che dobbiamo valutare con cautela ogni aspetto rilevante della questione prima di giungere a conclusioni affrettate. Detto ciò, è opportuno che l’Unione europea continui a vagliare tutte le opzioni fattibili a disposizione.
Per quanto concerne la relazione Désir sulla responsabilità sociale delle imprese, va notata l’affermazione “le iniziative della Commissione dovrebbero concentrarsi sul sostegno alle attività di RSI più che sulla loro regolamentazione”. Va operato però un sottile distinguo tra il sostegno, la regolamentazione e l’attuazione, e nonostante il relatore abbia esplorato questo aspetto abilmente, esso implica un gran numero di considerazioni pratiche e politiche. Sicuramente la RSI non può de sostituirsi agli Stati o esentarli dalla propria responsabilità di far rispettare le leggi, così come non spetta agli enti statali l’attuazione di politiche aziendali. È interessante osservare che l’aggiornamento delle linee guida dell’OCSE per le multinazionali, la cui adozione è prevista per il 2011, prende in considerazione molte delle questioni già citate e rappresenta quindi un esempio dell’utile lavoro in corso di svolgimento e nel quale siamo attivamente coinvolti.
Le relazioni in esame oggi sono accomunate da orientamenti molto specifici sulle possibili strade per aumentare l’entità, l’efficacia, la coerenza e la trasparenza delle nostre azioni in campo di disposizioni sociali e ambientali negli accordi di libero scambio, comprese le disposizioni in materia di RSI e sulle questioni di cambiamento climatico. È superfluo ribadire che la Commissione continuerà a tenere in considerazione questi orientamenti. In base agli avvertimenti già espressi, dovrete quindi aspettarvi sia importanti riserve su numerosi punti, sia un totale accordo su altri.
Non mancheranno le occasioni nei prossimi mesi o anni, ad esempio in sede di revisione del SPG l’anno prossimo, per continuare a discutere questi temi, anche nel contesto della discussione delle prossime procedure legislative o di approvazione. La Commissione europea è disposta a identificare assieme al Parlamento europeo i mezzi più adatti, efficaci e attuabili per garantire che la politica commerciale rifletta in maniera appropriata gli interessi della società. Il principio guida deve essere una definizione delle politiche cauta, analitica e basata sia su obiettivi lungimiranti che su aspettative realistiche.
David Martin, relatore per parere della commissione per gli affari esteri – (EN) Signor Presidente, la politica commerciale europea deve mirare semplicemente all’ottenimento del massimo vantaggio economico oppure deve essere utilizzata per rafforzare e promuovere obiettivi più ampi, come una politica ambientale sostenibile, la lotta contro il cambiamento climatico, il nostro modello sociale, la promozione dei diritti dell’uomo e dei valori democratici? Tre oratori che mi hanno preceduto, ribadisco tre relatori, hanno confermato che la risposta giusta è la seconda, e mi rallegro che anche il Commissario sia della stessa opinione. Stiamo certamente già includendo i diritti dell’uomo, la tutela dell’ambiente e gli standard lavorativi negli accordi bilaterali, ma la domanda che ci dobbiamo porre è se lo stiamo facendo in maniera da poterne garantire poi un’attuazione e una conformità adeguate.
La sottocommissione per i diritti dell’uomo del Parlamento nutre seri dubbi sulla nostra efficacia in questo senso finora. Per gli accordi commerciali futuri vorremmo assicurarci che, prima di entrare in vigore, gli accordi di libero scambio siano sottoposti a una valutazione di impatto sui diritti dell’uomo, in modo che tali accordi non portino solo benefici economici, ma anche miglioramenti dal punto di vista umanitario.
Riteniamo che il sistema di sospensione degli accordi di libero scambio in caso di abuso dei diritti dell’uomo debba essere reso più trasparente e accessibile, e riconosco che l’onorevole De Gucht abbia intrapreso questa strada per l’accordo di libero scambio con la Corea.
Crediamo inoltre che in merito al SPG+, i beneficiari devano essere sottoposti a un’analisi comparativa sistematica e più equa al fine di garantire il costante mantenimento di un alto livello degli standard ambientali, sociali e dei diritti dell’uomo.
Gli onorevoli Saïfi, Désir e Jadot hanno espresso molto chiaramente il concetto che il commercio, invece di essere considerato fine a sé stesso, deve far parte di una strategia globale più ampia e mirante alla promozione di un pianeta più equo, sicuro e pulito.
Filip Kaczmarek, relatore per parere della commissione per lo sviluppo. – (PL) Signor Presidente, mi rallegro che gli onorevoli De Gucht, Désir e Saïfi comprendano molto bene che l’ottenimento di condizioni commerciali eque vada di pari passo con una vasta armonizzazione degli standard intesi in senso ampio, e quindi comprendenti gli standard sociali, ambientali e di diritti umani. Questi standard rappresentano una questione di estrema importanza, non solo per il commercio mondiale, ma anche per la cooperazione allo sviluppo e soprattutto per il perseguimento di quelli che chiamiamo i valori fondamentali.
La commissione per lo sviluppo ha presentato numerosi commenti sulla relazione Saïfi. È deplorevole che l’Unione europea non abbia un approccio globale in tema di rispetto degli standard dei diritti dell’uomo da parte del mondo degli affari, permettendo in questo modo alle aziende e agli Stati membri di ignorarli. Insistiamo sull’importanza dell’osservanza degli standard fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro come prerequisito per stipulare accordi commerciali.
Catherine Grèze, relatore per parere della commissione per lo sviluppo – (FR) Signor Presidente, a nome del comitato per lo sviluppo vorrei esordire elencando una serie di concetti chiave.
Vorrei reiterare il concetto che sono le popolazioni più vulnerabili, come i popoli indigeni, a essere maggiormente colpite dal cambiamento climatico, per cui è essenziale la loro partecipazione nella definizione delle politiche, specialmente di quella commerciale
Inoltre le politiche commerciali dell’Unione europea devono essere compatibili con la lotta al cambiamento climatico e alla povertà. Richiediamo l’inserimento di clausole ambientali in tutti gli accordi commerciali dell’Unione europea e dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), una revisione dei meccanismi per lo sviluppo pulito, un reale trasferimento di tecnologie e la lotta alla biopirateria.
Infine, poiché il 20 per cento delle emissioni sono causate dai mezzi di trasporto, è necessario procedere in direzione di canali di distribuzione brevi, soprattutto in campo agricolo. In questo modo aumenterà l’occupazione nei nostri paesi e in quelli in via di sviluppo, e si ridurranno le emissioni.
Pervenche Berès, relatore per parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, a nome della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali concordiamo con la logica della relazione stilata dall’onorevole Désir all’interno della commissione per il commercio internazionale. Sia in seno alla nostra commissione, sia in altri contesti, il fine della responsabilità sociale delle imprese rappresenta uno degli argomenti di discussione più caldi. Si tratta di un obiettivo fine a sé stesso oppure dovrà diventare materia di legge non appena un congruo numero di imprese la metterà in pratica? I contorni della discussione non sono chiari e questo ci incoraggia a riflettere sulla governance aziendale e a riconciliare i due dibattiti.
All’interno della commissione per l'occupazione e gli affari sociali riteniamo che la responsabilità sociale sia fondamentale per combattere l’evasione fiscale il lavoro nero per mezzo degli accordi commerciali. Crediamo inoltre che i sindacati, i centri per il lavoro europei e il dialogo sociale diano un contributo fondamentale per far acquisire maggior profilo alla responsabilità sociale delle imprese, e che pertanto li si debba coinvolgere pienamente. Per garantire il massimo utilizzo di questi strumenti a nostro avviso è molto importante il ruolo svolto dal Consiglio per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite col la sua iniziativa “Proteggere, rispettare, rimediare”, dalla quale dobbiamo trarre vantaggio.
Riteniamo anche che la responsabilità sociale delle imprese rappresenti uno strumento di competitività da esplorare. Questo accadrà non appena si giungerà a un consenso a riguardo, non appena la responsabilità sociale delle imprese verrà delineata attraverso standard finalmente accettati da tutti, senza però che si sostituisca alle leggi sul lavoro o agli accordi collettivi.
Infine siamo dell’opinione che la responsabilità sociale delle imprese, anche in tema di accordi commerciali, debba essere dinamica e capace di adattarsi ai nuovi settori.
Richard Howitt, relatore per parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali. – (EN) Signor Presidente, in veste di relatore del Parlamento sulla responsabilità sociale delle imprese per più di tre mandati, accolgo con estrema approvazione l’iniziativa del collega Désir in ambito di commercio e RSI.
Le aziende affermano spesso la necessità di sdoganare la RSI, e questa iniziativa indica che anche le politiche pubbliche debbano fare lo stesso. Spero fortemente che le raccomandazioni del signor Commissario De Gucht si riflettano nella comunicazione della nuova politica commerciale.
Negli ultimi anni il mio lavoro è consistito in misura sempre maggiore nel rappresentare gli interessi europei a portare avanti il meccanismo di RSI globale. In quanto sostenitore delle linee guida dell’OCSE, a mio avviso lo standard internazionale di RSI più elevato al momento e quello sottoscritto dai governi, sostengo di conseguenza con forza il paragrafo 25, secondo cui gli accordi commerciali futuri dell’Unione europea devono citare specificatamente tali linee guida.
La Commissione gestisce ufficialmente i centri di contatto nazionali secondo le linee guida e spero che si prenda in considerazione anche questo impegno.
Avendo consultato il Professor John Ruggie sui temi degli affari e dei diritti dell’uomo, avallo il requisito citato nel considerando Q della relazione, secondo il quale le aziende devono operare secondo due diligence. Mi congratulo inoltre con la precedente Presidenza svedese per il pieno sostegno mostrato verso le raccomandazioni del Rappresentante speciale delle Nazioni Unite nelle conclusioni del Consiglio.
In fase di acquisizione di maggiore competenza in tema di investimenti, invito il signor Commissario in particolare a leggere la forte critica di Ruggie nei confronti del fallimento da parte dei governi nel rispettare le considerazioni sui diritti dell’uomo.
In veste di membro del comitato consultivo dell’iniziativa “Global Reporting” posso avallare l’obiettivo di trasparenza del paragrafo 15, ma anche richiedere che l’imminente consultazione pubblica da parte della Commissione sulla trasparenza non finanziaria si muova con decisione verso il principio di relazione integrata sull’impatto finanziario, sociale, ambientale e per i diritti dell’uomo da parte delle aziende.
Presidente. – Ve lo ricordo ancora una volta. Questa volta mi sono trattenuto dall’interrompere l’oratore poco prima della fine del suo intervento. Non appena si è concluso l’intervento, però, gli interpreti hanno detto: “Ci dispiace, ma l’oratore parla veramente troppo veloce,.” Invito perciò gli onorevoli colleghi a mantenere una velocità di esposizione normale.
Daniel Caspary, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, onorevole Wieland, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con tutti e tre relatori per il lavoro svolto. Ritengo che le discussioni e i negoziati a proposito delle tre relazioni siano stati un ottimo esempio della possibilità di arrivare a un approccio comune in Parlamento su temi importanti come questo.
Vorrei soffermarmi principalmente su un punto. Ho l’impressione che le relazioni abbiano affrontato in gran dettaglio la questione del contributo della politica commerciale per le tre aree di politica citate. La relazione Désir è incentrata sulle aziende, la relazione Saïfi sui diritti dell’uomo e gli standard ambientali e infine la relazione Jadot sul cambiamento climatico. In esse abbiamo esaminato da vicino le modalità con cui la politica commerciale può contribuire alle altre aree di politica citate. Spesso però mi domando cosa ottengano individualmente queste altre aree. Stiamo esercitando sufficiente pressione sui responsabili delle politiche sociali e ambientali e sui responsabili delle politiche in altri ambiti affinché ognuno svolga opportunamente il proprio compito, ciascuno per la propria area?
Per evitare fraintendimenti, penso di poter dire che concordiamo tutti con gli obiettivi. A volte però mi preoccupa l’eccessivo carico di responsabilità che grava sulla politica commerciale, quando spesso altre aree di politica non danno il proprio contributo. Ad esempio i responsabili della politica ambientale a Copenaghen non sono riusciti a trovare una soluzione nell’ambito della politica sul cambiamento climatico. Per sopperire a tale mancanza la conseguenza è stata un sovraccarico di responsabilità sulla politica commerciale.
Apprezzerei molto se nei prossimi mesi il Parlamento prendesse in seria considerazione il possibile contributo di altre aree alla politica commerciale in quest’ambito. Pertanto mi auguro che in futuro si cominci a parlare di “commercio e …” e non si continui a discutere prima di tutto il resto e poi anche di commercio.
Kriton Arsenis, a nome del gruppo S&D. – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, sono sicuro che i suoi collaboratori le avranno spiegato come alcune misure necessarie in tema di cambiamento climatico non possano essere attuate.
La minaccia del cambiamento climatico però è talmente grave che la domanda non è quali misure adottare, bensì come affrontare il problema e come attuare le misure necessarie.
A proposito del contributo del commercio al cambiamento climatico, una delle soluzioni in corso di discussione è la compensazione fiscale alla frontiera, ovvero una tassa sulle importazioni da paesi che non implementano le nostre stesse misure contro il cambiamento climatico.
È anche necessario contemplare l’adozione di disincentivi al commercio di tali prodotti. Sebbene l’acqua sia una risorsa locale, paesi come Francia e Belgio sono al contempo i maggiori esportatori e importatori d’acqua a livello europeo.
Metin Kazak, a nome del gruppo ALDE. – (BG) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei ringraziare i tre relatori, gli onorevoli Saïfi, Désir e Jadot per il buon lavoro svolto. Accolgo con favore la richiesta di elaborare clausole legalmente vincolanti sugli standard di diritti dell’uomo negli accordi commerciali internazionali, e sostengo l’idea di prestare maggior attenzione alla loro attuazione.
Vorrei concentrare l’attenzione in particolare sul rispetto delle leggi sul lavoro, specialmente quelle relative a donne e bambini nei paesi con cui l’Unione europea ha rapporti commerciali. Sia il sistema di preferenze generalizzate che SPG + sono strumenti efficaci per promuovere i valori democratici nei paesi partner. È necessario però stabilire un legame più stretto tra le clausole sui diritti dell’uomo e SPG +. Va aumentato il coordinamento tra l’Organizzazione mondiale del commercio, da una parte e l’Alto signor Commissario per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite e l’Ufficio internazionale del lavoro dall’altra. È per questo che ritengo necessario concedere all’UIL lo status di osservatore ufficiale all’interno dell’OMC.
Ultimo punto, ma non per questo meno importante: per stare al passo con i nuovi poteri attribuiti al Parlamento europeo grazie al trattato di Lisbona, in quanto rappresentanti dei cittadini europei dovremmo essere dettagliatamente informati sui negoziati degli accordi commerciali internazionali.
Per quanto riguarda la relazione Jadot dobbiamo naturalmente promuovere il “commercio verde”, rimanendo però estremamente vigili sulle credenziali dei prodotti definiti“verdi”. In modo simile dobbiamo sostenere con maggiore enfasi fonti di energia rinnovabili rispettose dell’ambiente, invece di sovvenzionare i combustibili fossili.
Accolgo con favore un altro punto importante della relazione, ovvero l’azione di stabilire un equo prezzo ambientale in armonia con gli standard di tutela del clima globale. Poiché non vi sono i presupposti per giungere a un accordo multilaterale sul clima a breve, è importante lavorare a livello europeo al fine di elaborare un meccanismo per ridurre le emissioni di biossido di carbonio. Dato l’impatto contraddittorio che biocombustibili e biomasse hanno sull’ambiente, ritengo vadano inclusi tra i criteri obbligatori di sostenibilità.
Ringrazio nuovamente gli onorevoli colleghi e mi auguro che queste relazioni abbiano un impatto importante sui negoziati degli accordi internazionali.
Keith Taylor, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, sono stato il relatore ombra del Gruppo Verde/Alleanza libera europea sia per le relazioni Saïfi e Désir, che accogliamo con favore come importanti passi avanti per assicurare migliori standard sociali, ambientali e di diritti umani nei paesi che sono nostri partner commerciali.
Se tali paesi intendono accedere ai lucrativi mercati dell’Unione europea dobbiamo incoraggiarli ad adottare standard adeguati e sostenibili in patria. L’unico modo di garantire un miglioramento in questo senso è l’introduzione di clausole e requisiti obbligatori negli accordi commerciali.
L’onorevole Saïfi ha svolto un lavoro eccellente in veste di relatore e discute in maniera costruttiva e su piani differenti i diversi livelli e aspetti degli standard sociali, ambientali e di diritti dell’uomo. Concordiamo con la proposta dell’onorevole Saïfi di formare un’organizzazione mondiale dell’ambiente e di rafforzare lo status dell’UIL. Abbiamo inoltre apprezzato il capitolo sullo sviluppo sostenibile negli accordi di libero scambio, ritenendo però che tali standard siano vincolanti, non su base volontaria. Similmente, i programmi del SPG vanno resi più incisivi e attuabili.
Non concordiamo però con il relatore sul fatto che la clausola sui diritti dell’uomo nell’accordo di libero scambio con la Colombia fosse soddisfacente. Al contrario la riteniamo una clausola insignificante e stereotipata che si prende gioco delle aspirazioni di quest’Aula in materia di diritti dell’uomo.
Passando ora alla relazione Désir, concordiamo pienamente con l’identificazione delle aziende transnazionali come una causa di effetti negativi sull’ambiente e sui nostri standard sociali. Tali aziende hanno beneficiato della liberalizzazione degli scambi, sfruttato la manodopera e troppo spesso anche i materiali a basso costo, senza però ridistribuire equamente la ricchezza accumulata sulle spalle altrui.
Abbiamo modificato con successo entrambe le relazioni e le sosterremo in fase di voto. Per concludere, vorrei sottolineare rapidamente che è necessario sforzarsi di scegliere quali diritti dell’uomo e quali responsabilità debbano avere la priorità. Dobbiamo infine puntare su requisiti obbligatori e non su codici su base volontaria.
Peter van Dalen, a nome del gruppo ECR. – (NL) Signor Presidente, l’onorevole Saïfi ha stilato una relazione valida. Gli interessi puramente commerciali non possono finire per danneggiare gli esseri umani di altri paesi, in particolare dei paesi in via di sviluppo. Includo nell’elenco anche i paesi in cui i cristiani e altre minoranze religiose vengono perseguitati per la propria fede. L’Unione europea intrattiene relazioni commerciali con il Pakistan, ad esempio, paese al quale stiamo cercando di concedere alcuni vantaggi commerciali al fine di agevolarne la ripresa in seguito alle alluvioni. Utilizziamo le relazioni commerciali per segnalare la persecuzione religiosa e la legislazione in materia di blasfemia in Pakistan. A questo proposito vorrei citare anche i negoziati tra l’Unione europea e l’India. L’Europa non deve cedere alle pressioni dell’India affinché le questioni non commerciali vengano lasciate fuori dai negoziati del nuovo accordo commerciale. I diritti dell’uomo e il lavoro minorile non possono essere disgiunti da commercio e investimenti. Chiedo alla Commissione e agli onorevoli colleghi di adottare una posizione ferma a riguardo, in armonia con la risoluzione del Parlamento europeo del marzo 2009.
Helmut Scholz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevole De Gucht, onorevoli colleghi, vi è un buon motive per affrontare le tre relazioni in discussione congiunta. Vorrei ringraziare i tre relatori per l’eccellente lavoro. Tutte le relazioni illustrano chiaramente l’intenzione di tutti i gruppi del Parlamento europeo di collocare la politica commerciale in un contesto più ampio.
L’era degli ingenti aiuti economici esterni unilaterali dovrebbe essere finita ora, e l’odierna discussione avviene in un contesto e in un momento estremamente opportuni perché si basa sulla strategia commerciale presentata dall’onorevole De Gucht, contenente una serie di proposte, considerazioni e progetti specifici.
La tutela del clima, dell’ambiente e della dignità umana, assieme all’eliminazione della povertà in tutto il mondo sono stati indicati e riconosciuti come compiti comuni a tutto il genere umano, e ricoprono un’importanza ben maggiore degli interessi commerciali convenzionali. È indispensabile però che tali obiettivi vengano incorporati nella moderna politica commerciale.
L’innalzamento di quello che l’indice di sviluppo umano definisce il livello di prosperità e dello stato di diritto vanno a tutto vantaggio dell’economia europea, permettendole di intrecciare con successo rapporti con altre economie. La responsabilità sociale delle imprese copre parzialmente questi aspetti, che però non possono essere attuati in mancanza di un quadro nazionale.
Vorrei sottolineare che il mio gruppo avrebbe apprezzato un maggiore approfondimento di alcuni punti nelle tre relazioni. Nonostante sia apprezzabile che le imprese prendano l’iniziativa al fine di dimostrarsi all’altezza delle proprie responsabilità sociali, è un fatto innegabile che migliaia di persone nel mondo scoprano ogni giorno che i loro diritti esistono nel migliore dei casi solo sulla carta e che vengono ignorati sul posto di lavoro. Le condizioni lavorative delle aziende in subappalto e dei fornitori, compreso il settore della produzione di materie prime, sono sconvolgenti, lo dimostrano i filmati sul lavoro minorile nell’industria cioccolatiera.
Come indica nella sua strategia, onorevole De Gucht, per garantire una fornitura sostenibile e ininterrotta di materie prime ed energia è necessario prendere in considerazione questi aspetti sollevati dalle relazioni.
William (The Earl of) Dartmouth, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, il commercio dà origine a prosperità reciproca, e desidero sottolineare la parola “reciproca”: Ne consegue che una politica commerciale non debba mai essere appesantita da un’agenda politica.
A livello personale nutro un grande rispetto per i tre relatori, eppure la filosofia alla base delle relazioni è stata ripetutamente oggetto di voto ed è stata generalmente respinta.
Si sta cercando di manipolare la politica commerciale dell’Unione europea, alla quale sfortunatamente il Regno Unito è legata al momento, al fine di attuare nascostamente un’agenda di forte impronta socialista che è sempre stata bocciata.
A livello politico le macchinazioni dei relatori appaiono stupefacenti. Essendo un democratico però mi trovo costretto a oppormi, ed è per questo che domani voteremo no.
Laurence J.A.J. Stassen (NI) . – (NL) Signor Presidente, le cause e gli effetti del cambiamento climatico trovano fondamento in una teoria di natura più religiosa che altro. Ciononostante tutto è subordinato a tale religione, come si può constatare leggendo la relazione sul commercio internazionale. Oggetto della proposta è una vera e propria diplomazia del clima, secondo la quale l’Unione europea è disposta a fare affari solo ad alcune severe condizioni di neutralità climatica di propria scelta, come se i partner commerciali non attendessero altro che impegnarsi senza indugio nello sviluppo di un mercato unico. Dopo tutto, esportare significa trasportare, e un aumento dei trasporti sarebbe fortemente negativo per le emissioni globali di biossido di carbonio. Ebbene, l’Europa aiuterà davvero i paesi in via di sviluppo su questo fronte, in particolare i paesi che dipendono dalle esportazioni di prodotti agricoli competitivi ad esempio. Che cosa ha a che vedere l’Unione europea con questo? Signor Presidente, il documento evidenzia una mancanza di comprensione degli aspetti economici. Vorrei citare il paragrafo 57 della relazione Jadot: “deplora che una parte significativa del commercio internazionale sia costituita da prodotti omogenei che potrebbero essere facilmente prodotti localmente”. Quale genio economico ha concepito questo concetto? Chiunque abbia un’infarinatura di studi economici conoscerà il principio secondo cui la specializzazione e il commercio sono la vera forza motrice alla base della crescita economica. La maniera ingenua di ragionare della relazione si rivelerebbe disastrosa per l’economia globale. Non c’è da stupirsi se la maggioranza dei cittadini e delle attività può sopravvivere benissimo senza gli obiettivi climatici dell’Europa. Eppure l’Europa persiste nel fissare l’ennesima serie di assurdi obiettivi climatici. A economie emergenti come la Cina e l’India queste cose non interessano e raccoglieranno i profitti delle restrizioni che l’Europa si è autoimposta. Chi pagherà alla fine il prezzo per il perseguimento di questa utopia da parte dell’Europa? Saranno i cittadini e le imprese.
Małgorzata Handzlik (PPE). – (PL) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto vorrei ringraziare l’onorevole Désir per l’ottima collaborazione in fase di stesura della relazione sulla responsabilità sociale delle imprese negli accordi commerciali internazionali. Sono stata relatrice ombra del Gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano) per questa relazione. Da qualche tempo si parla di responsabilità sociale delle imprese nel contesto della discussione sul commercio internazionale, in riferimento ai principi di responsabilità sociale negli accordi commerciali siglati di recente tra Unione europea e paesi come Corea del sud, Colombia e Perù.
Mi rallegro che con questa relazione il Parlamento abbia sottolineato la necessità di prolungare l’utilizzo di queste referenze, chiamate clausole di responsabilità sociale delle imprese all’interno della relazione. Sono certa che l’introduzione di tali clausole negli accordi internazionali porterà a una maggiore riconoscibilità degli strumenti di responsabilità sociale delle imprese e a promuoverne un’attuazione più vasta da parte delle aziende stesse. Non va dimenticato che l’adeguato funzionamento di tali strumenti dipende in gran parte dalla volontà delle imprese, in quanto sono loro a decidere di oltrepassare i limiti degli standard legalmente vincolanti.
Onorevoli colleghi, durante la mia recente visita in India ho domandato agli uomini d’affari che ho avuto occasione di incontrare come operassero nell’area della responsabilità sociale delle imprese. Ciascuno di loro mi ha fornito esempi estremamente specifici delle misure intraprese, cosa che personalmente mi riempie di ottimismo. Mi auguro che la relazione Désir ispiri l’adozione di una serie di misure da parte dell’Unione europea e contribuisca a un’applicazione ancora più estesa degli standard di responsabilità sociale delle imprese.
George Sabin Cutaş (S&D). – (RO) Signor Presidente, vorrei congratularmi con l’onorevole Jadot per le ambiziose proposte portate avanti nella relazione, e specialmente per la prontezza con cui ha raggiunto un compromesso con gli emendamenti presentati dagli altri gruppi politici.
Dobbiamo ammettere che vi sono stati momenti chiave nei quali l’Unione europea ha avuto l’opportunità di esprimersi con un’unica voce. Copenaghen è stato uno di quei momenti. L’intero pianeta si aspettava che l’Unione europea assumesse il ruolo di protagonista nella lotta contro il cambiamento climatico e si trascinasse sulla sua scia gli stati più cauti. Sfortunatamente le aspettative vennero deluse e sostituite da un gran disappunto.
Si può trarre la conclusione che vi fosse una mancanza di consenso all’interno dell’Unione europea. Vi sono governi nazionali completamente impreparati ad assumersi l’impegno di ridurre sostanzialmente le emissioni di gas serra. Una spiegazione certa è che la crisi finanziaria ed economica abbia frenato lo slancio di tali paesi verso l’impegno di sottoscrivere un’ambiziosa politica ambientale.
La battaglia contro il cambiamento climatico a livello locale e globale però deve rimanere una causa di preoccupazione costante per tutti i paesi del mondo. Non si tratta solamente di una questione di futuro in pericolo per le generazioni a venire, ma anche di una questione di giustizia sociale.
Non è giusto che siano i paesi in via di sviluppo a dover pagare i costi del riscaldamento globale, mentre i paesi industrializzati possono continuare a pensare concretamente ai propri bisogni. È necessaria un’autentica solidarietà tra nord e sud.
Per questo ritengo il vertice di Cancún un’opportunità per ottenere ben più di un accordo operativo. Cancún deve portare a un accordo globale, legalmente vincolante in grado di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di due gradi Celsius.
È necessario anche definire una procedura di verifica più chiara di quella stabilita a Copenaghen. Oltre a ciò i soli sforzi dell’Unione europea per combattere il cambiamento climatico non possono garantire il successo di un accordo post 2012. Dobbiamo persuadere le altre parti in causa a sottoscrivere impegni più ambiziosi nell’ambito della riduzione di emissioni, compresa l’emissione di gas serra.
Infine, vorrei commentare la relazione tra commercio internazionale e cambiamento climatico. Il commercio rappresenta un importante strumento di trasferimento di tecnologie ai paesi in via di sviluppo, di conseguenza devono essere rimosse le barriere al “commercio verde” ad esempio attraverso la rimozione dei tassi per i prodotti verdi almeno all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio. Allo stesso tempo dobbiamo renderci conto della spaccatura causata a livello globale dall’attuale sistema dei commerci nell’ambito del lavoro e della produzione basati sul trasporto. È per questo che concludo il mio intervento con un appello per incoraggiare la produzione locale all’interno dell’Unione europea.
Catherine Bearder (ALDE). – (EN) Signor Presidente, vorrei segnalare alla Commissione che il concetto e la pratica della responsabilità sociale delle imprese si è diffuso rapidamente nel mondo del business nel corso dell’ultima decade. Chi può obiettare a valori di base come la necessità di trattare bene i dipendenti e di rispettare i diritti dell’uomo e l’ambiente da parte delle aziende?
Eppure fino a ora il legame tra commercio e responsabilità sociale delle imprese nel migliore dei casi si è potuto definire tenue, e le discussioni abbondano. Il commercio internazionale è governato da accordi tra gli stati, ma la RSI deve divenire un impegno vincolante a sottoscrizione obbligatoria da parte delle aziende, oppure la sottoscrizione può essere su base volontaria?
I cittadini europei stanno acquisendo sempre maggiore consapevolezza. Molti disastri recenti, tra cui la fuoriuscita di greggio della BP, hanno evidenziato la necessità di monitorare gli standard e l’etica con cui le aziende europee operano nel mondo.
I normali cittadini europei non sono più disposti ad accogliere e sostenere l’espansione a livello di commercio internazionale a titolo puramente economico. Quando il commercio si rende responsabile della distruzione dell’ambiente naturale e porta a un abbassamento degli standard di vita delle popolazioni locali, i cittadini non ci stanno più. Solo i governi possono stabilire standard in grado di garantire che chi si comporta in maniera etica e trasparente non possa essere battuto slealmente da altri.
L’Unione europea deve incoraggiare le aziende ad adottare e documentare i propri obblighi di RSI in tutte le proprie attività aziendali, sia in patria che all’estero. In mancanza di ciò la RSI rischia di rimanere poco più di un esercizio di pubbliche relazioni per una manciata di multinazionali.
Accolgo con favore questa relazione nata da un’iniziativa spontanea che richiede alla Commissione di includere il tema della RSI nei negoziati degli accordi commerciali internazionali dell’Unione europea. Dobbiamo garantire che il rispetto per lo sviluppo sostenibile e per i diritti del lavoro ricoprano uguale importanza nella promozione dei propri interessi commerciali nel mondo da parte dell’Unione europea.
Jacky Hénin (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, difendendo il rampante liberalismo di mercato e nell’orchestrare lo smantellamento commerciale dell’Unione europea la Commissione ha recitato il proprio ruolo servile di strumento al servizio di interessi molto specifici e dannosi per i lavoratori dipendenti europei. La concorrenza libera e non falsata è un mito che distrugge vite e posti di lavoro.
Se la concorrenza è libera, allora tutte le forme di dumping sono possibili, a partire dal dumping fiscale, sociale, monetario e ambientale. La concorrenza per sua natura è falsata. Per uscire da una situazione attuale che uccide l’occupazione nelle industrie e porta alla rovina i lavoratori e le loro famiglie, vi deve essere un severo controllo dei movimenti di capitale da parte degli Stati membri, i paradisi fiscali vanno eliminati e i settori fondamentali per la vita – energetico, dell’acqua, farmaceutico, agricolo e della formazione – non devono più essere accessibili al commercio. È necessario soprattutto che i criteri ambientali e sociali a garanzia dell’equità nell’attività commerciale e i diritti dell’uomo
siano definiti e fatti rispettare.
Elisabeth Köstinger (PPE). – (DE) Signor Presidente, l’Unione europea detiene la grossa responsabilità di far rispettare i diritti dell’uomo, gli standard sociali e la tutela dell’ambiente nelle relazioni commerciali attuali e future. Questi standard formano un’importante base di discussione sul tema degli accordi di libero scambio. L’Unione europea dovrebbe fungere da esempio in tutti i negoziati e richiedere condizioni di impiego giuste e l’uso sostenibile delle risorse. In questo contesto vorrei evidenziare in particolare i negoziati in corso con il Mercosur e con l’India. L’Unione europea intende veramente importare prodotti a buon mercato realizzati sfruttando il lavoro minorile e distruggendo le risorse naturali? Il nostro obiettivo deve essere garantire buone condizioni lavorative e salari decenti nei paesi citati, e non rapidi guadagni. La Commissione europea deve continuare a incorporare standard chiari nei futuri accordi commerciali e includerli nei negoziati internazionali.
Questi standard però non riguardano solo le considerazioni etiche e i valori che l’Unione europea rappresenta, ma anche il trattamento equo dei produttori dentro e fuori l’Europa. Altri fattori importanti sono la crescente domanda da parte dei consumatori europei di prodotti realizzati con metodi rintracciabili. Riconsiderando la relazione Jadot in luce di queste premesse, il paragrafo 48 appare altamente critico del modello agricolo comune, sebbene garantisca una fornitura costante di cibi di alta qualità. La relazione parla di evidenti impatti negativi sul cambiamento climatico. Vorrei puntualizzare che la priorità è l’approvvigionamento sicuro di cibo per i nostri 500 milioni di abitanti. L’Unione europea deve rimanere autosufficiente per quanto riguarda l’approvvigionamento alimentare e non può permettersi di dipendere dalle importazioni, perché ciò sarebbe un disastro. Provo un forte senso del dovere nei confronti dei cittadini europei e di conseguenza non posso sostenere questo passaggio della relazione.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Signor Presidente, sono coinvolta molto da vicino nella nuova strategia in ambito di commercio internazionale. In veste di membro della commissione per il commercio internazionale nella sua formazione precedente, ho chiesto con pazienza che la politica commerciale divenisse uno strumento a sostegno della concorrenza equa e la chiave per il mantenimento dei valori e degli interessi commerciali europei sui mercati globali. L’esercizio di pressioni finalizzate all’innalzamento degli standard sociali e ambientali rappresenta la soluzione per eliminare l’iniquità e la diseguaglianza di condizioni nella concorrenza commerciale internazionale. Per sei anni mi sono battuta affinché tutti gli accordi commerciali includessero clausole sui diritti dell’uomo e affinché il rispetto di tali clausole divenisse una delle condizioni per le politiche preferenziali.
In conclusione, tramite la relazione il Parlamento europeo oggi sta chiedendo alla Commissione di predisporre una bozza di regolamento al fine di proibire l’importazione all’interno dell’Unione europea di beni prodotti sfruttando forme moderne di schiavitù e di lavoro forzato e da paesi in cui i diritti dell’uomo di base sono violati. Questo deve valere sia per gli Stati dell'Africa dei Caraibi e del Pacifico che per la Cina. Vorrei esprimere i miei ringraziamenti e le mie congratulazioni più sincere all’onorevole Saïfi per una relazione che dimostra i progressi del Parlamento in questo ambito.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, le opportunità offerte dall’adozione del trattato di Lisbona rendono possibile il tanto atteso raggiungimento di un equilibrio tra legge commerciale e diritti dell’uomo. Credo fermamente che l’Unione europea debba sfruttare attivamente questa opportunità nell’interesse della propria credibilità e integrità, e debba iniziare a promuovere sistematicamente i diritti dell’uomo attraverso le proprie politiche interne ed esterne.
Vorrei mettere in rilievo la richiesta alla Commissione di siglare accordi contenenti clausole su democrazia, diritti dell’uomo e rispetto degli standard sociali, ambientali e di salute, e allo stesso tempo garantire l’effettivo monitoraggio del rispetto e dell’attuazione di tali standard nella pratica. Gli accordi commerciali che riguardano aspetti inerenti ai diritti di proprietà intellettuale meritano un’attenzione speciale per garantire la tutela del diritto alla salute, legato strettamente al diritto alla vita. Mi congratulo con l’onorevole Saïfi per l’audacia e la coerenza del documento.
Carl Schlyter (Verts/ALE). – (SV) Signor Presidente, ritengo di poter riassumere le tre relazioni affermando che invece di considerare le persone uno strumento al servizio del commercio, stiamo cominciando a concepire il commercio come uno strumento a servizio delle persone. Dobbiamo allontanarci dalla logica secondo cui a ogni euro di profitto commerciale corrispondono due euro persi in costi sociali o ambientali. Le relazioni contengono anche numerose proposte specifiche, ad esempio quella eccellente dell’onorevole Saïfi di istituire un’organizzazione mondiale per l’ambiente, quella di aumentare i poteri dell’Ufficio internazionale del lavoro o di applicare aggiustamenti fiscali alle frontiere al fine di ridurre la concorrenza sleale e le emissioni negative per il clima, così come la proposta di consultare le comunità locali prima di investirvi.
Queste, signor Commissario, non sono semplicemente buone intenzioni di cui prendere nota. Vogliamo vedere i risultati concreti delle nostre richieste, l’introduzione di nuove leggi o una diversa attuazione delle leggi esistenti ove necessario, e la Commissione prendere l’iniziativa nei negoziati internazionali per migliorare le regole.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio partito, Jobbik – il movimento per una migliore Ungheria – attribuisce molta importanza alla tutela dell’ambiente e al recupero dell’equilibrio ecologico. Siamo convinti che l’Europa non sia solo di fronte a una crisi economica e alla recessione, ma anche a una crisi ambientale. A questo proposito consideriamo particolarmente importante il raggiungimento di un’autonomia all’interno dell’Unione europea da parte delle industrie leggere e alimentari. È incomprensibile che l’Unione europea importi enormi quantitativi di aglio e peperoni dalla Cina e di pollame dal Brasile quando potrebbero essere prodotti o allevati localmente. Per questo motivo affermiamo la necessità di autonomia locale delle industrie leggere e alimentari. Il Parlamento europeo ha la responsabilità di proteggere i coltivatori europei, le PMI e i nostri cittadini, dando a questi ultimi la possibilità di acquistare prodotti sicuri e di alta qualità dai produttori locali. Crediamo inoltre che rivesta cruciale importanza l’introduzione obbligatoria di tecnologie rispettose per l’ambiente.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, la concorrenza è l’anima del commercio. Ovviamente per competere bisogna essere in condizione di farlo, eppure alcuni degli accordi in vigore con paesi terzi vanno a svantaggiare i nostri produttori.
L’onorevole Köstinger ha fatto riferimento al Mercosur e non vi è dubbio che numerosi prodotti agricoli e ittici importati nell’Unione europea vengano prodotti a standard nettamente inferiori rispetto a quelli vigenti al suo interno. Si tratta di una questione che va certamente affrontata.
Passando ora alle note positive, alcuni degli accordi siglati negli ultimi tempi sono molto buoni, ad esempio l’accordo di libero scambio con la Corea. Abbiamo bisogno di altri accordi di questo genere e ritengo che tutti concordino sul fatto che tali accordi vadano a beneficio sia nostro che loro.
Vorrei chiedere al signor Commissario se vi siano piani a proposito di un partenariato economico con il Giappone. Lo studio economico di Copenaghen ha dimostrato che tale accordo farebbe guadagnare a noi 33 miliardi di euro e al Giappone 18.
Karel De Gucht, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, penso che sia stata una discussione molto interessante. Sebbene il pensiero alla base delle tre relazioni sia simile, non mi è possibile affrontare adeguatamente i dettagli, le idee e le risposte discusse oggi nel breve tempo a disposizione. Alcune idee sono fattibili, altre meno perché operiamo in un quadro legale, istituzionale e politico sia in quanto Unione di 27 Stati membri, sia in quanto membro dell’OMC. Cercherò di mettere in evidenza le considerazioni che ritengo salienti in ciascuna relazione, purtroppo senza poter essere esaustivo.
A proposito della relazione Saïfi alcuni di voi hanno sollevato la possibilità di concedere all’UIL lo status di osservatore all’interno dell’OMC. Il mio punto di partenza è che vi sia molto da fare in termini di miglioramento della governance internazionale e del coordinamento tra le organizzazioni internazionali. Ritengo inoltre che sia necessario stabilire obiettivi raggiungibili per poter utilizzare la politica commerciale come leva al fine di ottenere migliori condizioni sociali e ambientali. I tempi di attuazione dei cambiamenti strutturali sono molto lunghi, per cui l’ampliamento dell’agenda in seno all’OMC a comprendere anche aspetti non commerciali sarà un impegno a lungo termine.
In merito alla proposta della relazione Saïfi di introdurre una valutazione di impatto degli accordi di libero scambio sui diritti dell’uomo, ritengo che dovrebbe avvenire durante i negoziati. Lo scenario che prevede un periodo speciale tra la fine dei negoziati e l’entrata in vigore dell’accordo mi lascia piuttosto scettico. Se ne è discusso stamane in un altro contesto, e ritengo opportune attenersi alla procedura prevista dal trattato di Lisbona, secondo cui spetta alla Commissione dare inizio agli accordi, dopodiché comincia la procedura di ratifica e si arriva alla firma del Consiglio, che rappresenta la sua modalità di ratifica. Successivamente il Parlamento europeo ha il diritto e il dovere di ratificare tramite il voto. Per quanto riguarda l’idea di condurre la valutazione di impatto sui diritti dell’uomo prima di dare inizio ai negoziati, rendendo così tale valutazione una sorta di precondizione, non sono d’accordo. Ritengo però che la proposta di valutare l’impatto sui diritti dell’uomo di un accordo in sé sia valida e sono positivo a riguardo.
Vi sono state anche alcune interrogazioni specifiche, ad esempio a proposito del lavoro minorile. Come sapete al momento stiamo negoziando un accordo di libero scambio con l’India e dovremo affrontare anche l’intera questione della sostenibilità. L’India è molto scettica a proposito del capitolo sulla sostenibilità dell’accordo, ma noi continueremo a insistere sulla sua legittimità e credo che alla fine riusciremo a farlo includere.
In sede di discussione vorrei chiedervi semplicemente di prendere in considerazione il fatto che le opinioni dei singoli paesi terzi a proposito del capitolo sulla sostenibilità possano riguardare non solo il contenuto, ma anche il pensiero che vi sta alla base.
Per quanto concerne la relazione Jadot, e in particolare le richieste di introdurre un capitolo sul clima in ogni accordo bilaterale, sono completamente a favore della sostenibilità ambientale perché il futuro non appartiene a noi. Ritengo però necessario essere cauti e riconoscere che i vari elementi necessari per dare una risposta soddisfacente alla sfida del cambiamento climatico – dai tetti alle emissioni agli aspetti finanziari – non si possono traslare in disposizioni da inserire nei nostri accordi commerciali. Credo vi sia un ampio foro di discussione a riguardo e nel caso in cui si raggiunga un consenso al suo interno, allora tale consenso si deve sicuramente riflettere negli accordi bilaterali di libero scambio. È molto opinabile che ciò avvenga nel corso del ciclo di Doha per sviluppo, il ciclo appena discusso, perché manca il consenso tra i partecipanti al processo multilaterale sulla opportunità di includere un capitolo sul clima nel risultato finale. La nostra posizione sarà comunque a favore di tale introduzione.
In merito alla relazione Désir ritengo infine che arrivi al momento giusto dato che la nuova comunicazione della Commissione sul tema della responsabilità sociale delle imprese è in preparazione.
La Commissione e i membri dell’OCSE stanno contribuendo attivamente all’aggiornamento degli attuali benchmark dell’OCSE in vista dell’incontro ministeriale previsto per il maggio 2011.
In tutte le nostre attività in campo di RSI dovremo vagliare con attenzione le varie opzioni per promuovere un operato responsabile da parte delle aziende europee, indifferentemente dalle aree in cui operano e con un occhio di riguardo alla fattibilità e alle possibilità conseguenze.
Vorrei aggiungere che non si tratta solamente di una questione commerciale o relativa agli accordi bilaterali e multilaterali. Stati Uniti hanno adottato di recente alcune leggi secondo cui le multinazionali, non solo quelle operanti nel paese ma anche quelle con la sola sede, devono rispondere delle proprie operazioni e transazioni finanziarie in ambito di materie prime e poterle documentare.
La ritengo un’iniziativa molto lodevole e completamente slegata dagli accordi bilaterali. Gran parte delle operazioni relative alle materie prime non sono coperte dagli accordi bilaterali, per cui si tratta semplicemente di operazioni finanziarie e industriali da parte di multinazionali, però nel caso in cui abbiano sede negli Stati Uniti le autorità del paese possono intervenire a riguardo.
Credo sia un’ottima idea fare esattamente lo stesso nei confronti delle aziende europee attive soprattutto in paesi del terzo mondo, e poi estendere lo stesso approccio a paesi come Canada e Australia in modo da coprire la maggior parte di tali attività industriali e delle industrie estrattive del mondo. Un’azione del genere rappresenterebbe un contributo considerevole allo sviluppo di condizioni sostenibili.
In breve, vorrei esprimere le mie congratulazioni per le tre relazioni e sono sicuramente disponibile per continuare la discussione di tali temi nei prossimi mesi e anni.
Tokia Saïfi, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, il tempo a disposizione non è sufficiente per riaprire il dibattito in merito alle risposte che ci ha appena dato, pertanto continueremo la discussione come ha suggerito.
Vorrei esordire ringraziando tutti gli oratori e in particolare i relatori ombra e gli onorevoli Jadot e Désir per la collaborazione. I temi affrontati erano simili e complementari, e questo ci ha permesso di scambiarci idee e di dimostrare la solidità di approccio al nostro compito: rendere il commercio più permeabile ai concetti di diritti dell’uomo, legislazione sul lavoro e legislazione ambientale.
Come ha affermato in precedenza, signor Commissario, servirà del tempo per cambiare la mentalità delle persone, però non possiamo aspettare che la cambino spontaneamente. Di conseguenza, se implementiamo alcune delle misure proposte nelle varie relazioni presentate questa sera ci dirigeremo gradualmente verso un’economia più equa e giusta. L’Unione europea deve dare inizio al cambiamento e fungere da esempio per i propri partner.
Yannick Jadot, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei esprimere i miei ringraziamenti al Commissario De Gucht per le risposte e le proposte di lavoro. Ho preso nota dei suoi commenti in relazione al capitolo sul clima, spero che riusciremo a lavorare sugli aspetti rimanenti e a presentare proposte che poi si tradurranno in azioni concrete, portando all’introduzione di alcuni elementi negli accordi commerciali. Infine, il fatto che i negoziati commerciali di indubbia complessità in seno all’Organizzazione mondiale del commercio si siano interrotti offre all’Unione europea varie opportunità di integrare elementi più innovativi negli accordi bilaterali e di tentare la costruzione di nuove tipologie di accordo a ulteriore integrazione degli obiettivi dell’Unione europea in tema di ambiente, clima, diritti dell’uomo e diritti sociali.
Di conseguenza ci troviamo di fronte a un’opportunità, per certi versi. La ritengo una richiesta molto forte, e in caso di vasto sostegno alle relazioni domani credo che rappresenterà un segnale estremamente importante alla Commissione e al Consiglio da parte del Parlamento europeo.
In risposta all’onorevole Stassen, che ha lasciato l’Aula, la pubblicazione di saggi di economia è continuata anche dopo il 19° secolo. Di conseguenza è possibile vedere come le sfide relative alle modalità di integrazione delle questioni sociali e ambientali nei costi di produzione sono divenute un fattore importante per definire la realtà dei vantaggi comparati.
Similmente, onorevole Muscardini, le garantirò sempre il mio sostegno se si parla di sovranità alimentare dell’Unione europea. Inoltre avrà il mio sostegno se è pronta a battersi con me e gli altri contro l’accordo di Blair House, che in fin dei conti è il principale ostacolo a una reale sovranità alimentare e al sicuro approvvigionamento dell’Europa oggi.
Ringrazio quindi tutti i colleghi e il signor Commissario per il grado di apertura dimostrato nei confronti del lavoro e delle proposte concrete in vista degli accordi che verranno negoziati e siglati a breve.
Harlem Désir, relatore. – (FR) Signor Presidente, come vede mi rimangono due minuti. Lei ne era a conoscenza e se avesse avuto bisogno di più tempo avrebbe potuto ricavarlo a scapito i questa parte del mio intervento, che di conseguenza sarebbe stato più breve.
Vorrei ringraziare specialmente i colleghi e il signor Commissario per la sua replica.
Ciò che mi ha colpito in questa discussione è il vasto consenso raggiunto indipendentemente dalle differenze tra i gruppi, e motivato dalla necessità di rendersi maggiormente conto delle dimensioni sociali e ambientali nella politica commerciale e negli accordi che negoziamo
Quando mi ha interrotto per dare inizio al suo intervento molto interessante, che i nostri cittadini in tutta Europa hanno trovato sicuramente affascinante, intendevo semplicemente sollevare un punto affrontato successivamente anche da lei e su cui ha perfettamente ragione, ovvero l’impossibilità della responsabilità sociale delle imprese di sostituire il rispetto della legge e le responsabilità degli Stati membri.
Inoltre, signor Commissario, ha ragione anche a proposito dell’attuale proposta di nuove azioni in merito alla responsabilità delle multinazionali sia in sede dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, sia dell’Organizzazione mondiale per il commercio per merito della relazione del professor Ruggie, menzionata dall’onorevole Howitt. La responsabilità non si intende come limitata al settore estrattivo ma estesa a molte altre aree appartenenti alle sfere di influenza delle multinazionali, della loro supply chain e specialmente in riferimento alle loro filiali all’estero. In caso di reati contro le regole ambientali e sociali la cooperazione giudiziaria garantirà che le società controllanti non possano sfuggire alle proprie responsabilità in merito all’operato delle proprie filiali o dei subfornitori.
Nonostante ammetto che possa essere difficile, credo semplicemente nella necessità di stabilire un collegamento con gli accordi commerciali. Negli accordi con la Corea e con in paesi dell’America latina vi è già un piccolo numero di riferimenti alla responsabilità sociale delle imprese. Sono dell’avviso che attraverso il dialogo iniziato oggi con la Commissione dovremo continuare a garantire che gli obiettivi di RSI e di sviluppo sostenibile siano coerenti tra loro all’interno degli accordi commerciali internazionali.
Presidente. – La ringrazio, onorevole Désir.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì 25 novembre 2010, alle 12.