Presidente. – L'ordine del giorno reca la discussione sull'interrogazione orale alla Commissione sui casi di antidumping – situazione attuale e prospettive di Daniel Caspary, Cristiana Muscardini, Tokia Saïfi, Georgios Papastamkos, Kader Arif, Bernd Lange, Gianluca Susta, Metin Kazak, Niccolò Rinaldi, Marielle De Sarnez, Yannick Jadot, Carl Schlyter, Helmut Scholz, Robert Sturdy, Syed Kamall, Jan Zahradil, a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), il gruppo dell'Alleanza progressista di socialisti e democratici al Parlamento europeo, il gruppo dell'Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa, il gruppo Verde/Alleanza libera europea, i Conservatori e riformisti europei, il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (O-0132/2010 – B7-0562/2010).
Daniel Caspary, autore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, le misure di antidumping rivestono un ruolo importante nel mondo. Per noi deputati al Parlamento europeo, e penso di poter parlare a nome della maggioranza dei presenti, non si tratta di protezionismo, bensì di un utilizzo sensato dello strumento di antidumping. Dobbiamo essere in grado di difenderci nel caso in cui altri paesi ricorrano alla concorrenza sleale utilizzando sovvenzioni statali. Dobbiamo essere in grado di proteggerci se le aziende vendono prodotti sul mercato a un prezzo inferiore al costo di produzione al fine di eliminare la concorrenza dal mercato e acquisire così un vantaggio illegittimo.
Vorrei esaminare un punto in particolare, e che la Commissione rispondesse alle seguenti domande: la Commissione ha avuto una forma di feedback da parte del Consiglio sul grado di coinvolgimento di governi esteri nelle attività citate? Vi sono casi di governi, nei cui paesi hanno sede determinate aziende, che hanno tentato di influenzare le decisioni del comitato per le pratiche antidumping? Vi sono state reazioni o tentativi di esercitare influenza che hanno causato differenze nei risultati delle votazioni? Vorrei avere delle risposte a riguardo, perché varie aziende mi hanno espresso le proprie preoccupazioni in passato.
Il secondo punto riguarda il fatto che in varie occasioni sono stato avvicinato da aziende che mi chiedevano di intercedere presso la Commissione in modo da impedire la conduzione di indagini in materia di antidumping. Se decidete di imporre l’obbligo di rinunciare alla pratica di dumping vi sarà un effetto negativo su tutte le aziende europee che operano in altre aree, come l’Asia. Sarei interessato a conoscere l’opinione della Commissione in merito. Com’è la situazione attuale? Vi sono casi di questo genere?
Vital Moreira, autore. – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero esortare il Commissario a chiarire nella maniera più completa possibile la posizione della Commissione in materia di strumenti di difesa commerciale, che comprendono anche le misure antidumping. In un recente comunicato la Commissione ha affermato che il libero commercio dipende dalla concorrenza leale tra produttori nazionali ed esteri, aggiungendo che noi proteggiamo la produzione dell’Unione europea dalle distorsioni e dagli sconvolgimenti del commercio internazionale mettendo in campo strumenti di difesa commerciale nel rispetto delle regole (dell’Organizzazione mondiale del commercio). Sulla carta suona molto bene, però oltre a una buona base giuridica vi è anche la necessità di un meccanismo decisionale efficace e prevedibile che consenta di raggiungere gli obiettivi.
La mia domanda è la seguente: è possibile che la recente proposta del Consiglio, secondo cui gli Stati membri devono controllare le misure di attuazione della Commissione, incluse le misure di difesa commerciale, sia legata al desiderio di garantire l’effettiva attuazione di tali misure? Ricordo che tale decisione da parte del Consiglio prevede eccezioni alle regole generali del comitato, rendendo quindi possibile l’ostacolo, il blocco, il ritardo o comunque la politicizzazione del processo decisionale che spetta alla Commissione. La mia seconda domanda riguarda l’affermazione da parte della Commissione che prenderà in esame le modalità con cui portare avanti l’aggiornamento e la modernizzazione dei nostri strumenti di difesa commerciale e l’utilità di questa operazione. Il mio timore è il seguente: se la Commissione non respinge la proposta da parte del Consiglio relativa alla procedura decisionale in merito alle misure di difesa commerciale, come potrà garantirci che in fase di revisione delle misure saprà resistere agli Stati membri interessati a ostacolarne e indebolirne l’attuazione?
Niccolò Rinaldi, Autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor signor Commissario, siamo in pochi questa sera a parlare di antidumping, che pure è un tema di cui nei nostri paesi si parla moltissimo. Credo che nelle questioni del commercio internazionale non ci sia tematica più nel cuore degli imprenditori, di grandi e piccole aziende, dei sindacati e dei consumatori, che non il dumping. Il confronto col dumping è di fatto una sorta di pane quotidiano per tanta parte della nostra realtà produttiva.
La Commissione si sta impegnando e sta sicuramente facendo il suo dovere per quanto riguarda le iniziative antidumping, ma noi chiediamo un'azione che sia ispirata ai seguenti principi.
Innanzi tutto la trasparenza dell'azione, la piena trasparenza delle procedure, dei criteri di valutazione adottati e dei risultati, e poi la comunicazione e una strategia della comunicazione, perché le azioni antidumping della Commissione dell'Unione europea rappresentano un elemento di rassicurazione per i nostri imprenditori e per i nostri lavoratori.
In secondo luogo, c'è un margine di discrezionalità nelle procedure antidumping. Questo appartiene al buon senso, ma a volte ho l'impressione che si ecceda nella discrezionalità riguardo alle decisioni che sono intraprese.
In terzo luogo, nella fase post Lisbona il Parlamento europeo deve essere associato, coinvolto e informato in modo maggiore. Mi pare che esista una sorta di fatica da parte della Commissione nel riconoscere pienamente questo ruolo del Parlamento nel commercio internazionale – anche se molti sforzi sono stati fatti e ne siamo grati al signor Commissario – e certamente il Parlamento ha bisogno di avere più voce in capitolo anche sull'antidumping.
Infine, la questione del dialogo con la società. Anche su questo forse c'è ancora molto da fare da parte della Commissione. Il Parlamento non può rimanere solo ad ascoltare gli attori della società, anche per quanto riguarda le questioni dell'antidumping. Anche in questo la Commissione deve probabilmente registrare le nuove esigenze rispetto alle competenze esclusive sul commercio internazionale che le competono da Lisbona.
Infine, è chiaro che per noi l'antidumping deve essere parte di una strategia commerciale coerente e di una politica integrata ispirata ai criteri di lealtà e di apertura. Con questo l'Europa potrà andare avanti a testa alta.
Carl Schlyter, autore. – (SV) Signor Presidente, ora è possibile che ci rendiamo conto delle conseguenze. È una vergogna che la Commissione non abbia colto l’opportunità di riformare gli strumenti di difesa commerciale nel 2007, quando si parlava di quell’Europa globale che forse rappresentava l’intenzione originaria. Quando si discute sulla questione del trattato di Lisbona e sulla procedura decisionale da adottare, forse nessuna delle procedure esistenti è veramente adatta alle nostre intenzioni. Noi Verdi però non abbiamo alcun problema in materia di implementazione, l’importante è che le regole siano chiare, trasparenti e giuste.
Vorrei enfatizzare il fatto che in questo contesto sia importante la salvaguardia non solo degli interessi dei produttori, ma anche di quelli dei consumatori e l’effettivo obiettivo in sé descritto dall’onorevole Caspary, ovvero la cessazione del fenomeno di dumping sottocosto. A questo proposito però vorrei sottolineare la necessità di includere nei costi effettivi il dumping ambientale. L’ottenimento di un vantaggio economico attraverso l’aggiramento della legislazione ambientale equivale a ricevere un’altra forma di sovvenzione oltre al dumping economico, ma sotto forma ambientale. Deve essere possibile includerla nel momento in cui prenderemo in esame la questione del dumping.
In precedenza abbiamo parlato della politica commerciale come di uno strumento per raggiungere altri obiettivi. In questo caso potrebbe essere più efficace usare misure antidumping per impedire, ad esempio, la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio all’interno del sistema di scambio di quote di emissioni. Il sistema attuale prevede una lunga lista di centinaia di settori che copre decine di migliaia di aziende, quattro differenti criteri sulla base dei quali le aziende hanno diritto all’esenzione dal sistema di scambio o all’assegnazione di quote gratuite. Naturalmente in questo caso è molto più semplice avviare procedure antidumping quando un’azienda europea è oggetto di concorrenza sleale a causa della mancanza di responsabilità ambientale da parte di altri paesi.
Helmut Scholz, autore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, abbiamo già affrontato nella discussione precedente la necessità di collocare la politica commerciale in un contesto più ampio e di rispettare, proteggere e attuare il diritto internazionale. Uno dei quadri giuridici dei quali l’Unione europea e i suoi Stati membri fanno parte è l’Organizzazione mondiale del commercio. Fin dal principio però il mio gruppo si è sempre dichiarato contrario alle manchevolezze di tale organizzazione, e in particolare su questo fronte. La Commissione ha l’obbligo di proteggere le aziende europee e i loro dipendenti dalla concorrenza sleale utilizzando strumenti di antidumping permessi dall’OMC. In termini concreti si tratta di vendita di prodotti sotto costo. Vi chiediamo di estendere la definizione di costi di produzione e di applicarla a livello multilaterale, perché il dumping sociale e il dumping ambientale permettono un notevole abbassamento dei costi di produzione, come già sottolineato da altri oratori. Il risultato alla fine è una concorrenza sleale alle aziende europee che potrebbe perfino metterne a repentaglio la sopravvivenza. Siamo minacciati da una spirale globale verso il basso che non possiamo accettare e che non accetteremo.
Considerando il contesto è necessario continuare a lavorare alla definizione di criteri oggettivi per l’utilizzo di tali strumenti, perché attualmente hanno la reputazione sia all’esterno che all’interno dell’Unione europea di essere arbitrari. Una delle ragioni è la mancanza di un organo di ricorso funzionante. Alcune aziende di media grandezza all’interno dell’Unione europea si lamentano del fatto che i loro interessi sono considerati meno importanti rispetto a quelli delle aziende più grandi nell’utilizzo degli strumenti di antidumping. Il discorso vale particolarmente per la suddivisione globale del lavoro per le aziende manifatturiere in Europa, che si domandano se la Commissione abbia ancora una visione chiara delle conseguenze derivanti dalle misure che impone. Vorrei che la Commissione replicasse riferendosi all’esempio specifico del caso AD549, relativo al gruppo europeo Saint-Gobain. La decisione della Commissione in merito a tale azienda potrebbe anche rivelarsi utile, però dal nostro punto di vista mette a rischio numerosi posti di lavoro nelle piccole e medie imprese manifatturiere. Desidero quindi chiederle, signor Commissario, se avete condotto indagini adeguate, se vi sono state opportunità appropriate per intervenire, se avete sfruttato tali opportunità e se avete fornito alle piccole e medie imprese informazioni sufficienti riguardo alle procedure.
Robert Sturdy, autore. – (EN) Signor Presidente, ciò che vorrei dire al Commissario è che fin dall’inizio della flessione economica la Commissione ha promesso ripetutamente di non volersi avvalere di politiche protezionistiche, preferendo invece abbracciare la liberalizzazione – verso cui anche lei si è espresso in termini molto favorevoli – e creare opportunità per le aziende europee e rendere l’Europa una meta più attraente per gli investimenti.
Sebbene concordi che si debba ricorrere alle misure antidumping ove necessario, il problema è se utilizzarle come misura protezionistica o meno, perché l’ingente numero di inchieste in materia sembra suggerire un simile utilizzo.
Signor Commissario, devo dissentire da lei in merito a un problema particolare che si verifica in Belgio ai danni di una azienda di elettronica di cui le ho parlato non più di tre o quattro settimane fa. In realtà l’azienda è giunta a un compromesso e ha risolto il problema da sola, ciononostante lei non ha fatto decadere la procedura antidumping contro quell’azienda. Si trattava di un’azienda cinese e di un’azienda di elettronica belga che alla fine hanno risolto la questione e stanno lavorando insieme specificatamente con l’obiettivo di creare posti di lavoro nell’Unione europea.
Le cito un altro esempio. Nel Regno Unito c’è il problema, comune al resto d’Europa, della fibra di vetro, su cui pesa un dazio di importazione del 43,6 per cento (correggetemi se sbaglio). Si tratta di un materiale utile e impiegato nel Regno Unito e in Europa per la produzione di una serie di prodotti.
Infine, signor Commissario, desidero ricordarle che non è stato né lei, né il suo predecessore, bensì il predecessore del suo predecessore a far passare la legislazione antidumping sui fertilizzanti. Per quanto riguarda i prodotti agricoli al momento siamo molto preoccupati per via di costi di produzione, approvvigionamento e sicurezza alimentare. Eppure il costo dei fertilizzanti è aumentato del 173 per cento a causa della legislazione antidumping in vigore. Perché ciò si sta verificando? Dobbiamo tenere aperti i mercati. Confido che tra tutti lei sarà in grado di liberare effettivamente l’Europa da questo protezionismo e attendo di sentire le sue risposte.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, mi rallegro che il Parlamento europeo concordi con noi nel ritenere la difesa della produzione dell’Unione europea dalle distorsioni del commercio internazionale una componente necessaria di una strategia commerciale aperta e giusta.
Condivido la vostra opinione che le decisioni in merito agli strumenti di difesa commerciale debbano continuare a essere basate su elementi tecnici e fattuali, e sono certo che disponiamo di uno dei sistemi di difesa più efficaci e corretti al mondo. Sono conscio sia della coesistenza di interessi in gioco nei casi di indagini antidumping e anti-sovvenzioni, sia del fatto che alcuni cerchino di influenzare il processo decisionale. Ciononostante posso confermare che il processo è efficace, trasparente e basato su prove fattuali e analisi approfondite.
Riconosco che vi sono stati tentativi di influenzare le nostre decisioni esercitando pressioni su industrie, o addirittura su Stati membri o aziende operanti nei paesi terzi citati in precedenza. Condanno con forza tali azioni e a questo proposito l’entrata in vigore del trattato di Lisbona fornisce la possibilità di affrontare il problema.
Desidero assicurare che il numero di casi relativi a strumenti di difesa commerciale rimane stabile nel medio e lungo termine, per cui in risposta all’onorevole Sturdy, posso affermare che il numero di tali casi non è in aumento. Siamo riusciti a evitare aumenti significativi che sarebbero potuti derivare dalla recessione mondiale e abbiamo garantito che lo strumento di antidumping non venisse utilizzato per fini protezionistici.
La maggior parte delle statistiche mostra che il numero di casi nell’Unione europea è inferiore a quello registrato dai nostri principali partner commerciali. La Cina rimane la principale causa di commercio sleale (circa il 35 per cento delle azioni intentate dall’Unione europea sono contro tale paese). Sono determinato ad agire ove necessario, e il discorso vale anche per le azioni antisovvenzioni.
L’onorevole Sturdy mi ha interrogato anche a proposito del cosiddetto “caso del modem”, del quale la Commissione aveva preso in esame tre aspetti: il dumping, l’erogazione di sovvenzioni e le salvaguardie. Si investigò sui primi due aspetti sulla base di una segnalazione da parte dell’azienda coinvolta. Secondo il regolamento di base, chi sporge segnalazione ha poi la facoltà di ritirarla. Il diritto dell’Unione europea sancisce che in caso di archiviazione di un caso è possibile terminare anche i procedimenti, a meno che ciò non leda gli interessi della Comunità. Al momento stiamo esaminando le implicazioni dei ritiri delle segnalazioni. Va sottolineato che in passato la Commissione ha accettato tali ritiri e ha interrotto le indagini senza intraprendere alcuna azione.
Il terzo caso era relativo agli apparati di protezione ed era partito dalla segnalazione del governo coinvolto, il governo belga, per cui ha seguito una procedura in qualche modo diversa. L’azienda in questione (Option NV) ha informato la Commissione di aver chiesto al governo belga di ritirare la richiesta di imporre misure di salvaguardia, però il governo belga non ha ancora comunicato alla Commissione le proprie intenzioni; attendiamo siamo dunque in attesa che il governo belga assuma la propria posizione. Questo è precisamente quanto è successo in questo caso.
Tornando ora a questioni più ampie, gli strumenti di difesa commerciale esistono per validi motivi. In assenza di regole internazionali sulla concorrenza e di altre regole vigenti in mercati funzionanti a dovere, gli strumenti di difesa commerciale rappresentano l’unico mezzo possibile per proteggere la nostra industria dai beni commercializzati scorrettamente.
Ci impegniamo a utilizzare questi strumenti nella maniera più efficiente possibile per le nostre industrie. L’esistenza di limiti temporali assicura tempi rapidi per l’industria e prevedibilità per gli esportatori. Ho intenzione di mantenere alta l’efficacia e la correttezza dei nostri strumenti a beneficio di tutti gli operatori economici coinvolti
Le regole internazionali di difesa commerciale sono state rinegoziate in seno all’Organizzazione mondiale del commercio. La posizione dell’Unione europea su questo fronte è chiara: vogliamo mantenere l’efficacia dei nostri strumenti e tutelare al contempo le imprese europee da azioni protezionistiche di altri. I negoziati presso l’OMC e i cambiamenti apportati dal trattato di Lisbona rivestirebbero grande importanza nel momento in cui dovessimo decidere di rivedere le nostre regole.
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese gli strumenti di difesa commerciale rappresentano in effetti una sfida, sia in termini di costi che di complessità. È necessario ridurre il peso amministrativo delle indagini di difesa commerciale per tali imprese. A questo proposito ho commissionato uno studio per valutare le difficoltà specifiche delle PMI alle prese con le misure di difesa commerciale e le possibili soluzioni a riguardo.
In merito agli aspetti istituzionali avrete notato che la proposta di comitatologia presentata dalla Commissione in marzo prevede che il Parlamento sia pienamente informato sull’avanzamento dei lavori del comitato. La Commissione fornirà anche informazioni a riguardo delle misure proposte sulle quali le altre commissioni sono tenute a esprimere un parere, delle misure finali e dell’adozione finale da parte della Commissione. Il Parlamento può inoltre fare richiesta di ulteriori informazioni in qualsiasi momento.
In questo contesto vi confermo che la Commissione è effettivamente pronta a presentare una proposta di allineamento degli strumenti di difesa commerciale incentrata sul nuovo sistema di controllo dei poteri delegati e delle competenze di esecuzione chiamato “trade omnibus”. Come sapete però è in corso una discussione importante tra le istituzioni sulla questione delle competenze di esecuzione. La Commissione sta seguendo con attenzione la discussione e valutando sulla base dei contatti con le altre istituzioni quando adottare la proposta. A scanso di equivoci vorrei chiarire che la questione non è se la proposta sarà presentata, ma quando.
Anche l’onorevole Moreira ha formulato un’interrogazione specifica in tema di comitatologia, e su questo fronte vorrei essere estremamente chiaro. Non trovo alcuna motivazione all’interno del trattato di Lisbona perché l’argomento della comitatologia in relazione al commercio debba avere un trattamento speciale e sicuramente ci opporremo a riguardo. Naturalmente la decisione spetta al Parlamento e al Consiglio, nonostante anche la Commissione e la Corte di giustizia possano fare la propria parte a riguardo. L’introduzione di una diversa maggioranza per avere il sopravvento sulla Commissione in merito a questioni di carattere commerciale – perché alla fine dei conti è questo a cui si mira - non ci sembra accettabile, e non lo è certamente per me.
Infine, per quanto riguarda l’utilizzo degli strumenti di difesa commerciale da parte di paesi terzi abbiamo osservato un aumento dall’inizio della crisi economica.
Desidero garantirvi che seguiamo le azioni di difesa commerciale da parte di paesi terzi molto attentamente e che agiamo quando necessario. Tra le azioni includo l’intenso monitoraggio e il sostegno efficace agli esportatori dell’Unione europea colpiti e l’inizio delle procedure di risoluzione delle controversie in seno all’OMC.
In molti casi le azioni della Commissione portano all’interruzione delle indagini senza imposizione di misure. In altri casi gli interventi consistono nell’imposizione di misure minori.
Una delle interrogazioni verteva sulle possibili forme di rivalsa contro i paesi terzi che esercitano pressioni sulle aziende europee. Abbiamo ricevuto petizioni a riguardo da varie aziende europee ma non ne menzioneremo i nomi per proteggerle. Ad esempio, in un recente caso con protagonista la Cina, il paese asiatico ha attaccato la risoluzione di controversia in seno all’OMC e il panel ci ha sostenuto, dopodiché i nomi delle aziende coinvolte non sono stati resi pubblici anche per ragioni di tutela.
Le ultime due interrogazioni erano incentrate sull’eventualità di rivedere i nostri strumenti di difesa commerciale. La risposta è no perché non credo sia necessario. Vi è un enorme mole di lavoro da fare in campo commerciale negli anni a venire, e non intendo riaprire discussioni già concluse attraverso un processo di revisione, che potrei prendere in considerazione solo quando il ciclo di Doha sarà concluso.
Vi era anche una specifica interrogazione da parte di un deputato appartenente al gruppo dei Verdi. Onorevole Schlyter, l’interrogazione è interessante perché, come sicuramente saprà, i casi di antidumping sono intentati dalle aziende attraverso apposite denunce. Nel caso in cui un’azienda sollevasse la questione da lei citata e relativa alla riallocazione delle emissioni di carbonio, allora la Commissione avvierebbe sicuramente indagini e valuterebbe l’eventualità di imporre misure punitive. La questione però non esula certamente dall’ambito delle controversie che già gestiamo. Noi prendiamo in esame le controversie che le aziende ci sottopongono, pertanto se un’impresa ci sottoponesse la questione da lei sollevata noi indagheremmo senza indugi.
Cristiana Muscardini, a nome del gruppo PPE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor signor Commissario, l'antidumping, che rappresenta uno dei più incisivi strumenti di difesa della correttezza commerciale dell'Unione per poter competere equamente nel mercato, ha bisogno di regole chiare e applicabili all'interno della nuova comitatologia.
Il trattato di Lisbona dice chiaramente che gli atti esecutivi spettano alla Commissione. Al Consiglio spetta, insieme al Parlamento, il potere di controllare l'operato della Commissione. Il compromesso in esame oggi toglie invece di fatto al Parlamento il ruolo che Lisbona gli ha assegnato e potrebbe creare così un nuovo deficit democratico all'interno delle istituzioni.
Nello specifico, non capiamo e rigettiamo la proposta di riservare un trattamento differenziato delle misure di antidumping, trattamento che introduce elementi di discrezionalità, politicizzazione e incertezza giuridica in procedimenti il cui fine, invece, dovrebbe essere di tutelare gli interessi legittimi di imprese danneggiate da pratiche di concorrenza sleale.
In un momento di grave crisi economica come quella che stiamo attraversando, ci sembra irragionevole e autolesionista rendere di fatto complicata e forse impraticabile la conclusione delle procedure antidumping. Questo sarebbe infatti il risultato della proposta attualmente presentata se non fosse modificata.
Ci appelliamo al senso di responsabilità degli Stati membri, oltre che della Commissione, Stati membri il cui interesse comune deve essere quello di garantire maggiore sviluppo. Lo sviluppo è possibile solo in presenza di regole che impediscono lo stravolgimento del mercato, che rispettano i ruoli istituzionali e che rendono celeri le procedure.
Mario Pirillo, a nome del gruppo S&D. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, negli ultimi anni il numero di procedure antidumping applicato dalla Commissione europea è aumentato. Questa è la spia dell'incremento di pratiche sleali di altri paesi nei confronti delle imprese europee. Nonostante la crisi economica e finanziaria, ben 332 misure protezionistiche sono state adottate dai partner internazionali nell'ultimo biennio.
Noi crediamo in un commercio internazionale libero ma equo, basato sulla condivisione di regole uguali per tutti. È importante salvaguardare l'efficacia degli strumenti di difesa commerciale europei che intervengono per correggere situazioni di illegalità.
Nutro profonde preoccupazioni sugli effetti che gli attuali tentativi di riforma della comitatologia potranno avere sull'efficacia di questi strumenti. Lasciare spazio a negoziati politici e diplomatici per decidere sull'applicazione di misure antidumping rischia di snaturare un processo che deve invece rimanere basato su dati concreti e oggettivi.
Jan Zahradil, a nome del gruppo ECR. – (CS) Signor Presidente, vorrei ritornare sull’argomento affrontato dall’onorevole Sturdy. L’antidumping è un buon servo ma un cattivo padrone. Così come serve a proteggere le aziende europee e l’economia dalla concorrenza sleale e da pratiche commerciali scorrette, allo stesso modo se ne può abusare a fini protezionistici sfortunatamente, ad esempio per chiudere i mercati europei alle importazioni da paesi terzi. Pertanto chiedo alla Commissione e a lei, signor Commissario, di impedire un tale sviluppo, e agli onorevoli colleghi di vigilare per impedire che si abusi delle misure di antidumping nell’interesse del protezionismo e della chiusura del mercato europeo e della sua economia al resto del mondo. A mio avviso se l’Europa si tramutasse in una fortezza nessuno ne beneficerebbe e la storia insegna che se l’Europa si apre e collabora con il resto del mondo ne può trarre solo benefici, cosa che vi invito a tenere a mente.
Elisabeth Köstinger (PPE). – (DE) Signor Presidente, il lavoro a buon mercato e il dumping sociale sono metodi utilizzati molto di frequente nei paesi in via di sviluppo e nei paesi emergenti. Il problema dell’antidumping dimostra l’importanza in primo luogo degli standard sociali e ambientali, e in secondo luogo delle misure di protezione del commercio nel corso dei negoziati sugli accordi di libero scambio con paesi terzi. Le aziende europee in tutte le aree manifatturiere non devono essere svantaggiate a causa dei propri standard elevati, che naturalmente si riflettono sui prezzi. Gli sviluppi degli attuali negoziati con il Mercosur sono fonte per me di grande preoccupazione in proposito.
Non dobbiamo concedere varchi al dumping sociale, al contrario è necessario incorporare un approccio sostenibile negli accordi commerciali. Il dumping è un problema grave per l’industria agricola, in particolare quando porta alla scomparsa delle piccole aziende agricole indipendenti, che vengono rimpiazzate da subappaltatori.
In questo contesto vorrei evidenziare la relazione di iniziativa sulle relazioni commerciali tra l’Unione europea e l’America latina, che spiega chiaramente le problematiche in tema di standard sociali, ambientali e produttivi. Ringrazio gli onorevoli colleghi che hanno portato una questione di tale importanza all’attenzione della Commissione.
Karel De Gucht, membro della Commissione.– (EN) Signor Presidente, la mia risposta sarà estremamente breve. Devo ancora replicare all’interrogazione dell’onorevole Scholz in merito al caso della fibra di vetro della Saint-Gobain.
I dazi antidumping possono rendere i rifornimenti più costosi, e questo vale anche per le PMI. La Commissione ne prende in considerazione il potenziale impatto all’interno del test di interesse pubblico. Le PMI possono partecipare ai procedimenti e abbiamo istituito un numero verde per agevolare loro la collaborazione. In questo caso però l’impatto è ridotto perché la Cina detiene solo il 14 per cento del mercato dell’Unione europea.
Per quanto riguarda l’interrogazione dell’onorevole Zahradil sull’utilizzo degli strumenti di difesa commerciale per fini protezionistici e sul rischio che ciò accada, gli unici fattori che influenzano il numero di casi è il numero di segnalazioni che la Commissione riceve e la qualità delle prove presentate. La politica di difesa commerciale della Commissione consiste in un sistema basato su regole in linea con il regolamento dell’OMC. Nel caso in cui la segnalazione sia sufficientemente supportata da prove di dumping in atto, alla Commissione non rimane altro che avviare un’indagine.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Per proteggere l’economia europea è necessario introdurre restrizioni efficaci al processo di lobbying a favore dei prodotti provenienti da paesi terzi. Si tratta di prodotti realizzati spesso utilizzando materiali dannosi per l’ambiente e per i consumatori. Un esempio lampante sono i giocattoli per bambini. Le sostanze pericolose presenti nelle parti plastiche o nelle vernici possono causare problemi di salute, così come l’assemblaggio approssimativo può essere causa di incidenti e portare all’ospedale. È proprio in questo modo, ovvero utilizzando materiali scadenti e non curando l’assemblaggio, che è possibile offrire i prodotti a prezzi bassi e a inondare il mercato. Dobbiamo intensificare rigorosamente il controllo della produzione degli articoli importati e garantire l’effettivo rispetto delle leggi sull’introduzione di prodotti a buon mercato provenienti da paesi terzi sul mercato europeo. Gli strumenti di protezione del commercio devono essere efficaci e garantire condizioni di concorrenza corrette per le nostre imprese.