Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione prioritaria sulle conclusioni del Consiglio europeo (28-29 ottobre) e sulla governance economica [2010/2654(RSP)].
Desidero porgere il benvenuto in quest’Aula al Presidente del Consiglio Van Rompuy e al Presidente della Commissione Barroso; sono inoltre presenti esponenti della Presidenza belga e della Commissione. Inizieremo dal resoconto del Presidente Van Rompuy.
Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo. – (EN) Signor Presidente, la riunione del Consiglio europeo svoltasi il 28 e il 29 ottobre verteva sulla governance economica dell’Unione, con particolare riguardo alla relazione della task force sulla governance economica. Sia il documento approvato in quell’occasione sia gli avvenimenti verificatisi nel mentre (mi riferisco soprattutto all’Irlanda) hanno attestato, in generale, l’importanza del tema e, nello specifico, la necessità di un meccanismo finanziario che consenta una mobilizzazione rapida, come quello su cui abbiamo deliberato a maggio.
Va riconosciuta la prontezza con cui i Ministri delle Finanze hanno agito la scorsa settimana, dimostrando – ci tengo a sottolineare – la nostra ferma intenzione di preservare la stabilità dell’euro.
Per citare l’Eurogruppo e i Ministri dell’Ecofin, “l’Unione europea e i paesi dell’area dell’euro offriranno sostegno finanziario nel quadro di un solido programma di politiche, che verrà negoziato con le autorità irlandesi dalla Commissione e dall’FMI insieme con la Banca centrale europea. […] Date le forti basi dell’economia irlandese, un’attuazione decisa del programma dovrebbe consentire il ritorno a una crescita vigorosa e sostenibile, preservando la coesione economica e sociale”.
La task force non era una conferenza intergovernativa ma un esercizio di revisione delle nostre metodologie, priorità e procedure in questo settore. Abbiamo cercato di raggiungere il giusto equilibrio tra l’istituzione di un quadro europeo globale, che permetta di evitare deficit di bilancio e squilibri economici eccessivi nell’Unione, e la libertà dei governi nazionali di scegliere le materie oggetto di imposizione fiscale e disporre della propria spesa, in conformità alle procedure politiche nazionali e al diritto dell’UE.
Vogliamo assicurare che ciascuno Stato membro tenga pienamente conto delle conseguenze delle proprie scelte economiche e di bilancio sugli altri paesi, nonché sulla stabilità dell’Unione europea nel suo insieme. Nel contempo, desideriamo rafforzare la capacità di reazione dell’UE laddove in uno Stato membro si presenti un rischio per il resto dell’Unione.
Tali raccomandazioni, come le altre formulate dalla task force, presentano una forte affinità con le proposte della Commissione. Ne ho inoltre discusso in due occasioni con i capigruppo del Parlamento europeo, nonché con i presidenti delle commissioni competenti, secondo le modalità che avevate richiesto.
Vorrei chiarire un punto: alcuni affermano di essere delusi dall’insufficiente automaticità del processo decisionale. Ebbene, noi proponiamo esattamente un rafforzamento dell’automaticità. Il Consiglio, come previsto dal trattato, delibererà in merito alle sanzioni sulla base della cosiddetta “maggioranza invertita”: se la Commissione presenta una proposta di sanzione, questa risulta approvata salvo voto contrario di una maggioranza qualificata, mentre finora doveva essere approvata a maggioranza.
Fino a solo qualche settimana fa alcuni Stati membri erano molto restii ad adottare la maggioranza invertita. Si tratta di un’autentica svolta, senza dimenticare che la task force ha proposto una serie di misure aggiuntive intese a rafforzare il Patto di stabilità, come un maggiore coordinamento delle politiche (il semestre europeo), la migliore qualità dei dati statistici e consigli di bilancio indipendenti.
Gli Stati membri dovrebbero essere consapevoli dell’impatto prodotto dalle loro scelte di bilancio sull’intera Unione. È questo il grande insegnamento della crisi. Aggiungerei un’osservazione generale: la task force era un consesso politico, volto a raggiungere un consenso in tempi rapidi. Adesso tutte le conquiste che abbiamo compiuto devono tradursi in legge, un lavoro che spetta a Commissione, Consiglio e Parlamento. Confido che tutte le istituzioni conservino intatto questo slancio, essendo investite di una responsabilità fondamentale.
Il terzo e ultimo aspetto saliente della task force mi permette di ricollegarmi al seguito che si darà ai suoi lavori. Raccomandiamo un meccanismo permanente di gestione delle crisi che sia solido e credibile, al fine di preservare la stabilità finanziaria dell’area dell’euro nel suo complesso. Tutti i capi di Stato o di governo hanno convenuto su questa esigenza nonché sulla necessità di una lieve modifica del trattato in tal senso.
Prima di concludere su questo punto, desidero sottolineare che il Patto di stabilità non ha la mera funzione di punire gli Stati membri o correggere errori preesistenti. È importante considerarlo in un contesto più ampio, senza perdere di vista una sfida sovraordinata: il miglioramento dei tassi di crescita strutturale e sostenibile nonché della performance economica generale.
Questo era il fulcro della strategia UE 2020 varata dal Consiglio europeo nella prima parte dell’anno; la risposta a chi teme che l’austerità di bilancio abbatterà i tassi di crescita economica sta nell’analizzare, e correggere, i fattori strutturali di fondo che frenano il nostro rendimento economico. Le riunioni del Consiglio europeo di febbraio e marzo si prefiggeranno principalmente questo obiettivo.
Inoltre, il Consiglio europeo ha discusso brevemente le questioni di bilancio dell’UE, raccogliendo, fra l’altro, l’esortazione espressa dal vostro Presidente nel suo intervento in apertura di riunione. Abbiamo convenuto di tornare sull’argomento a dicembre.
Per il momento le nostre conclusioni si limitano ad affermare quanto segue: “È essenziale che il bilancio dell’Unione europea e il prossimo quadro finanziario pluriennale riflettano gli sforzi di consolidamento compiuti dagli Stati membri per ricondurre il disavanzo e il debito a un andamento più sostenibile. Nel rispetto”, e sottolineo questo punto, “Nel rispetto del ruolo delle diverse istituzioni e della necessità di raggiungere gli obiettivi dell’Europa, il Consiglio europeo discuterà durante la prossima riunione dei modi per assicurare che la spesa a livello di UE contribuisca in maniera adeguata a questo esercizio”.
Posso garantirvi che riconosciamo il nuovo ruolo attribuito al Parlamento dal trattato di Lisbona. Ovviamente, il Consiglio europeo non ha preso posizione sulla procedura di bilancio per l’esercizio 2011, poiché tale compito spetta al Consiglio dei Ministri e al Parlamento.
Nella mia qualità di Presidente del Consiglio europeo rivolgo un appello a tutte le parti coinvolte affinché proseguano le consultazioni per un compromesso il più rapido possibile sul bilancio per il 2011. Tale compromesso dovrà tenere conto delle diverse istanze, pur restando conforme ai trattati.
Questa riunione del Consiglio europeo, come accadrà per tutte le successive, è inoltre servita a predisporre le posizioni comuni dell’Unione europea in vista di importanti appuntamenti internazionali. In questo caso, la nostra attenzione si è rivolta ai preparativi del G20, alla conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici e a una serie di vertici bilaterali.
Per quanto riguarda il G20, che ovviamente ha già avuto luogo, abbiamo concordato le priorità che sono poi state promosse dai rappresentanti dell’Unione e dagli Stati membri dell’UE appartenenti al G20. Tra queste si annoverano il sostegno all’approvazione delle regole di Basilea III sui requisiti patrimoniali e sulla riforma dell’FMI. Su quest’ultimo punto, desidero sottolineare che tale riforma di importanza storica è stata resa possibile dall’approccio aperto e costruttivo degli europei; abbiamo infatti rinunciato a due seggi per raggiungere un accordo definitivo, contribuendo in misura significativa all’esercizio di adeguamento.
Quanto agli squilibri nella politica economica e di cambio a livello globale, vi sono state tese discussioni in vista del G20. Durante il vertice è stata condotta un’analisi corretta ed è stato definito un processo. Accogliamo con favore le decisioni volte a istituire una serie di indicatori sugli squilibri nonché la valutazione che verrà effettuata nel corso del 2011. Adesso è fondamentale raggiungere un accordo sulle conclusioni politiche e, se necessario, sulle azioni correttive da intraprendere conformemente alla valutazione.
Per quanto concerne Cancún, il Consiglio europeo ha altresì predisposto la posizione dell’UE per i negoziati che avranno inizio alla fine del mese. Dopo il vertice di Copenaghen dell’anno scorso, si sono svolti numerosi colloqui (formali o informali), che restano tuttavia lenti e molto difficoltosi. Probabilmente Cancún costituirà soltanto una tappa intermedia verso la creazione di un quadro globale per la lotta al cambiamento climatico, cosa che l’Unione europea trova ovviamente deprecabile.
Infine, a proposito dei vertici bilaterali, il Consiglio europeo ha discusso le priorità e le strategie per i prossimi appuntamenti, che riguarderanno gli Stati Uniti, la Russia, l’Ucraina, l’India e l’Africa. Tale confronto è di estrema utilità sia per il Presidente Barroso che per me, poiché ci consente di parlare in quelle sedi non soltanto a nome delle istituzioni di Bruxelles ma di tutti i 27 Stati membri. Intendo farne un elemento ricorrente delle riunioni del Consiglio europeo.
Onorevoli deputati, con questo si conclude la mia sintesi dell’ultimo Consiglio europeo, riunitosi circa un mese fa. In ogni caso, continuerò a informare tempestivamente i capigruppo parlamentari dei risultati di ogni incontro, entro un paio d’ore dalla sua conclusione. Ascolterò adesso con grande interesse le vostre osservazioni.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, se una settimana può essere lunghissima in politica, un mese può sembrare un’eternità. Molto è accaduto dall’ultimo Consiglio europeo, non da ultimi i recenti sviluppi in Irlanda. L’intervento che intendiamo attuare costituisce un altro, fondamentale passo inteso a preservare la stabilità finanziaria dell’Irlanda, dell’area dell’euro e dell’Unione europea nel suo complesso. I due strumenti che abbiamo istituito a marzo sono efficaci e possono assolvere il compito al quale sono destinati, essendo in grado di rispondere ai problemi molto specifici che l’Irlanda si trova a fronteggiare. Tutte queste iniziative dovrebbero consentire all’economia irlandese di tornare a progredire verso una crescita duratura, facendo leva su suoi punti di forza fondamentali.
I mesi scorsi ci hanno posto una sfida. Abbiamo compiuto numerosi progressi, ma il lavoro non è ancora terminato. La nostra governance economica attraversa una fase di trasformazione. La task force guidata dal Presidente Van Rompuy ha presentato l’esito dei suoi lavori, che è molto positivo; grazie al notevole apporto della Commissione, è riuscita infatti a ottenere un’ampia convergenza sulle proposte legislative presentate da quest’ultima, contemplando peraltro alcuni aspetti essenziali della governance economica.
Si è ottenuto il risultato fondamentale di mantenere norme di bilancio più rigorose e una sorveglianza economica più esaustiva, due dei cardini del pacchetto elaborato dalla Commissione. Ho sottolineato in numerose altre occasioni l’importanza di rendere il nuovo quadro operativo in tempi brevi, e mi compiaccio dunque che il Consiglio europeo abbia appoggiato la nostra idea di un approccio “rapido”, prefiggendosi l’obiettivo di raggiungere un accordo sulle proposte legislative della Commissione entro l’estate del 2011.
È degno di nota che gli interrogativi espressi lo scorso settembre sulle proposte legislative della Commissione abbiano ceduto il passo al desiderio di imprimere un’accelerazione. La procedura legislativa ordinaria dovrà ora fare il proprio corso nei mesi a venire. Confido che il metodo comunitario dimostri la consueta efficacia e ci aiuti a rafforzare la governance economica nell’area dell’euro e in Europa.
È mia convinzione che finiremo per approvare norme severe, basate su adeguati incentivi all’osservanza, su un’attuazione semiautomatica e su un assetto efficace per affrontare gli squilibri macroeconomici più evidenti. Ci occorre una governance economica potenziata e rigorosa al fine di ottenere una crescita stabile e duratura, che svolge un ruolo fondamentale per l’occupazione e il benessere dei cittadini.
L’istituzione di un meccanismo permanente di risoluzione delle crisi per l’area dell’euro costituisce un tassello imprescindibile di questo mosaico. Il meccanismo temporaneo attualmente in vigore scadrà nel 2013; è dunque cruciale che, entro quella data, sia messa a punto una soluzione credibile, solida, duratura e ancorata alle realtà tecniche essenziali. Proprio per questo motivo la Commissione ha già avviato, in stretta consultazione con il Presidente del Consiglio europeo, i lavori preparatori sulle caratteristiche generali del nuovo meccanismo per l’area dell’euro, che dovrà iscriversi nell’esercizio complessivo di rafforzamento della governance economica dell’Unione e dell’area.
Desidero precisare che, anche se il meccanismo attingerà ai bilanci nazionali, resterà un’iniziativa “europea” e, ovviamente, potrà avvalersi dell’esperienza, indipendenza e imparzialità della Commissione nell’esercizio delle sue funzioni. Il meccanismo consterà di tre componenti: il programma di aggiustamento macroeconomico, l’accordo di finanziamento e il coinvolgimento del settore privato. Quest’ultimo può assumere varie forme, ma desidero precisare fin d’ora che qualunque disposizione adottata in materia avrà effetto soltanto dopo il 2013.
I capi di Stato o di governo hanno deliberato all’unanimità che l’istituzione di tale meccanismo richiede una modifica del trattato. Quando l’anno scorso è stato ratificato il trattato di Lisbona, nessuno immaginava che sarebbero state proposte nuove modifiche così presto. Conosciamo tutti la complessità dell’iter e i rischi esistenti. Proprio per questo ho sostenuto, durante il Consiglio europeo e anche in precedenza, che non dovremmo accettare una revisione del trattato qualora si mettano in discussione i diritti di voto degli Stati membri. Mi compiaccio che questa argomentazione sia stata accolta e che l’eventuale revisione sarà limitata, direi chirurgica.
Anche dal nostro punto di vista è opportuno che l’iter sia quanto più lineare possibile. Metterei dunque in guardia dallo stabilire collegamenti fra materie che non hanno attinenza tra loro.
Tutti questi interventi non sono avulsi da un contesto. Il Consiglio europeo, il G20, il vertice UE-USA svoltosi a Lisbona lo scorso fine settimana costituiscono tutti un punto di partenza, un tassello del piano più ampio volto a ripristinare la stabilità e la crescita in Europa. Poiché parleremo del G20 nel corso della prossima discussione in quest’Aula, per il momento mi soffermerò brevemente sull’importante vertice UE-USA di Lisbona.
L’incontro è stato caratterizzato da un clima di confidenza, cordialità e chiarezza. Di concerto con il Presidente Van Rompuy, abbiamo convenuto con il Presidente Obama sulla necessità di un programma transatlantico per la crescita e l’occupazione, che comprenda la convergenza normativa e consultazioni preventive su temi quali la competitività e la riforma globale. Abbiamo affidato ai Ministri e ai Commissari l’incarico di portare avanti questo impegno concreto attraverso il Consiglio economico transatlantico.
Anche l’economia globale, il G20 e i paesi emergenti figuravano ampiamente all’ordine del giorno. La mia tesi è chiara: l’Unione europea potrà raggiungere i propri obiettivi soltanto se interverremo sulle politiche di ogni settore, mettendo a frutto i rapporti con i nostri partner principali e sfruttando lo spazio di manovra a nostra disposizione in maniera integrata e a tutti i livelli (nazionale, europeo e internazionale). Una cosa è certa: risulteremo più influenti all’esterno se saremo in grado di raggiungere un consenso tra noi, all’interno dell’Unione. A questo proposito, mi preoccupa il fatto che alcune prese di posizione recenti non abbiano contribuito all’efficacia e alla coerenza della nostra azione comune.
A mio parere, i progressi finora conseguiti in merito alla governance economica dimostrano che, in presenza di una sufficiente volontà politica comune, possiamo fare dell’Europa una forza più incisiva a livello internazionale, nell’interesse dei nostri cittadini. Sia chiaro però che, a tale scopo, ci occorrono volontà politica e comunanza di intenti da parte di tutti gli Stati membri. È questo l’appello che desidero rivolgervi oggi: maggiore coerenza, maggiore convergenza, maggiore comunanza di intenti.
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, secondo un sondaggio che ho letto in un quotidiano di ieri, il 70 per cento dei francesi ritiene che la crisi perduri e non sia stata risolta. Sono certo che un’indagine ampliata all’Europa darebbe gli stessi risultati.
Dobbiamo dunque affrontare le legittime preoccupazioni dei nostri cittadini, che, vivendo tempi difficili, non possono tollerare il processo decisionale lento e laborioso delle istituzioni europee e internazionali. Molti mi hanno chiesto cosa stiamo facendo e come l’Unione europea si stia adoperando per loro e le loro famiglie. Vi è un diffuso sentimento di paura, mentre noto che un numero sempre maggiore di politici e di paesi, anche in seno a quest’Assemblea, sfruttano e manipolano timori e preoccupazioni senza avanzare alcuna proposta.
L’approccio populista che sta degradando le nostre politiche è pericoloso e, vorrei ribadirlo in questa sede, non rappresenta una soluzione ai problemi reali e seri che i nostri paesi e l’Europa devono affrontare nel mondo. Ritengo che i partiti politici e i gruppi parlamentari ostili al populismo e alla demagogia dovrebbero far sentire di più la propria voce.
No, la risposta alla crisi non sta nell’ignorarla o nel ricorrere al protezionismo. No, non esiste una soluzione rapida e semplice alla crisi attuale. No, non è possibile trascurare l’impegno per la solidarietà e gli sforzi intesi a rafforzare tutti i paesi nel contesto della globalizzazione, per poi capire che ci occorrono partner nei periodi di difficoltà.
Dobbiamo ricavare alcuni insegnamenti dalla situazione in Irlanda – e non intendo con questo muovere una critica al paese, Presidente del Consiglio e Presidente della Commissione. Bisogna tuttavia trarne le giuste conclusioni, perché le difficoltà dell’Irlanda non sono attribuibili solamente al sistema bancario ma anche alla politica economica e di bilancio perseguita negli anni dall’attuale governo. La Tigre celtica, sola responsabile della propria crescita, dotata di un sistema fiscale atipico, di una legislazione minima in materia bancaria e di un codice degli investimenti dissimile da qualunque altro Stato dell’Unione europea, si trova oggi a fronteggiare l’esplosione della bolla immobiliare, l’indebitamento delle famiglie, una disoccupazione da record e un settore bancario in ginocchio. Il governo irlandese ha fatto da garante all’intero sistema bancario, impegnando 480 miliardi di euro (tre volte il PIL del paese) e portando così il disavanzo pubblico al 32 per cento.
Oggi il governo irlandese ha invocato la solidarietà europea, ottenendo una risposta giustamente affermativa. Accolgo con favore questa decisione; come ha osservato il Commissario Rehn lunedì scorso in questa stessa Aula, gli aiuti che l’Irlanda riceverà a breve preserveranno la stabilità dell’intera area dell’euro. Ma negli ultimi anni il governo irlandese ha dimostrato quella stessa solidarietà europea di cui beneficia oggi e di cui è stato oggetto al momento dell’adesione?
Quante volte è accaduto che gli Stati membri tentassero di allineare la tassazione, la cui importanza per una buona gestione dell’euro risulta oggi fin troppo evidente? Eppure, ogni volta il tentativo era osteggiato da uno stesso manipolo di paesi.
Non punto il dito contro nessuno, ma credo che sia giunto il momento di trarre le dovute conclusioni da questo comportamento. Come ho già affermato più volte in quest’Assemblea, ogni crisi equivale a un’opportunità di cambiamento. Non dobbiamo dunque temere di modificare alcune delle nostre abitudini se non hanno sortito l’effetto sperato.
Onorevole colleghi, le misure adottate dal Consiglio europeo alcune settimane fa e gli orientamenti varati dal G20 di Seul rappresentano un passo nella giusta direzione, ma non si spingono sufficientemente lontano. In altre parole, occorre essere consapevoli che la cooperazione in Europa e tra i maggiori blocchi regionali è necessaria per affrontare l’instabilità dei mercati finanziari e gli squilibri nella bilancia commerciale nonché per evitare una guerra tra valute.
Sappiamo tutti che, su questi fronti, i singoli paesi non saranno in grado di individuare una soluzione di lungo termine praticabile per soddisfare le aspettative dei 500 milioni di europei che, come ho detto in apertura, si attendono decisioni lungimiranti dai loro politici, ossia da tutti noi, qui come nelle capitali europee.
Signor Presidente del Consiglio, se abbiamo appreso qualcosa dalla crisi è che le soluzioni passate non sono necessariamente quelle future. Paghiamo uno scotto elevato per essercene resi conto in un momento di grave difficoltà, ma le conseguenze saranno ancora più onerose se continueremo a ignorare questa realtà. Mi appello alle istituzioni europee e ai governi degli Stati membri affinché si modifichino, ricavino i giusti insegnamenti politici dalla crisi e la smettano di chiedere solidarietà quando è troppo tardi.
Signor Presidente, aggiungerei un’ultima osservazione. Questa non è una lotta tra Consiglio e Parlamento; si tratta di dare attuazione ai trattati, dimostrando solidarietà e lavorando in stretto coordinamento. È questo il messaggio che vorrei trasmettervi, affinché la crisi venga superata nell’interesse dei nostri concittadini.
Martin Schulz, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, ascoltando il Presidente del Consiglio europeo ho notato un tono diverso rispetto a quello del Presidente della Commissione. Se cedessi al potere incantatore del resoconto del Presidente Van Rompuy, sarei portato a credere che sia tutto rose e fiori. L’intervento del Presidente Barroso mi trasmette invece l’impressione (per citare le sue stesse parole) che “alcune prese di posizione recenti non abbiano contribuito alla coerenza”. Il Presidente della Commissione si è espresso così a proposito del Consiglio, che lei descrive in perfetta armonia.
No, la realtà europea è alquanto diversa. L’Unione è divisa in tre parti: Germania e Francia, che prendono le decisioni, il resto dell’area dell’euro e infine i paesi non appartenenti all’area dell’euro, fra cui spicca il Regno Unito in posizione privilegiata. È questa la realtà europea.
La posizione privilegiata del Regno Unito merita una particolare considerazione. I decisionisti Merkel e Sarkozy, fautori del partenariato franco-tedesco, hanno raggiunto un accordo con il Primo ministro Cameron di cui siamo tutti informati e che deve essere dichiarato apertamente. Secondo i termini dell’accordo, il Cancelliere Merkel e il Presidente Sarkozy devono fare in modo che il Primo ministro Cameron ottenga una diversa ripartizione del bilancio in cambio di una revisione del trattato concernente il Patto di stabilità, osteggiata dai parlamentari della Camera dei Comuni.
È questa la realtà europea. Non soltanto non ha nulla a che vedere con lo spirito comunitario, ma priverà l’Unione di ogni coerenza e, a lungo termine, la distruggerà. Temo che alcuni desiderino che ciò accada e appoggino quest’idea con entusiasmo. Quei colleghi siedono là.
(Applausi)
Se non vogliamo che diventino i padroni del continente in futuro, dobbiamo imprimere all’Europa una nuova direzione.
(Azioni di disturbo)
Cercherò di proseguire. L’onorevole Langen è sempre molto eccitabile. La riforma del Patto di stabilità dell’UE viene subordinata all’approvazione di un paese che non appartiene neppure all’area dell’euro. Il Cancelliere Merkel acconsente a una revisione del trattato quando nessuno dei presenti può prevedere gli sviluppi futuri in Irlanda. Peraltro, non sono sicuro che la revisione del trattato dell’UE verrà accettata in Irlanda con la facilità che traspare dal suo resoconto sul Consiglio europeo.
Il Cancelliere Merkel sostiene l’inclusione del settore privato. Vorrei semplicemente rivolgere una domanda al Commissario Rehn a proposito del settore privato dell’Irlanda. Com’è possibile che le banche irlandesi abbiano superato gli stress test? Come può spiegarcelo?
Le manovre del Cancelliere Merkel equivalgono a uno stress test dell’euro. Vi dirò cosa sta accadendo: la partecipazione del settore privato è una novità positiva e legittima. Ribadisco il mio appoggio alla decisione del Parlamento europeo, che ha individuato ad ampia maggioranza una strategia per coinvolgere il settore privato: l’introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie.
(Applausi)
L’ipotesi è stata brevemente discussa durante il vertice del G8, che ha respinto l’idea di una tassa di questo tipo. Noi abbiamo accettato il rifiuto e la proposta è stata seppellita nel pomeriggio, durante la pausa caffè. Se esiste un modo per coinvolgere il settore privato producendo un reale effetto su di esso, ebbene è proprio la tassa sulle transazioni finanziarie. Si dice che il Regno Unito non la appoggi. Ma è davvero il Regno Unito a decidere tutto in Europa? Perché non iniziare da una tassa applicabile all’area dell’euro, ad esempio, precisando che verrà imposta al settore finanziario privato attivo al suo interno?
(Azioni di disturbo)
Ripeterò quello che ha detto perché possa essere tradotto dall’interprete: “un popolo, un impero, un Führer”. Ecco le parole di quest’uomo.
Ho quasi terminato. All’onorevole collega che si aggira per l’Aula urlando “un popolo, un impero, un Führer” ho soltanto una cosa da dire: le persone che scandivano questo slogan in Germania sono espressione del pensiero contro il quale mi batto, e credo che le opinioni di quel signore vi siano più affini delle mie.
Joseph Daul (PPE). – (FR) (rivolgendosi all’onorevole Bloom) Non posso accettare le sue parole. Viviamo in un’epoca democratica, in un sistema democratico. La inviterei a porgere pubblicamente le sue scuse, altrimenti sottoporremo un reclamo ufficiale. Ci sono persone che hanno detto meno di questo, non è giusto.
(Applausi)
Mancava poco perché aggiungesse che i campi di concentramento furono creati per risolvere il problema.
Presidente. – Cari colleghi, dobbiamo proseguire. Ne terrò conto. Permettetemi di leggervi l’articolo 125, paragrafo 1, del Regolamento interno: “Il Presidente richiama all’ordine il deputato che turbi il regolare svolgimento della seduta o il cui comportamento non sia compatibile con le pertinenti disposizioni dell’articolo 9”. Le chiedo, onorevole collega, di porgere le sue scuse all’Assemblea.
Godfrey Bloom (EFD). – (EN) Le opinioni espresse dall’onorevole Schulz sono del tutto appropriate. È un fascista antidemocratico.
Presidente. – Colleghi, ci attendevamo una dichiarazione completamente diversa. Non vogliamo che la nostra discussione sia disturbata in questo modo. La inviterò, onorevole collega, a incontrarsi con me e dovremo decidere sul da farsi.
È impossibile tenere una discussione in questo clima. Onorevoli colleghi, come vedete l’Assemblea protesta veementemente contro il vostro comportamento. Leggerò l’articolo 152, paragrafo 3, nella mia lingua madre.
“Qualora la turbativa continui o in caso di nuova recidiva, il Presidente può togliergli la parola ed espellerlo dall’Aula per il resto della seduta. In caso di gravità eccezionale egli può altresì ricorrere a quest’ultima misura immediatamente e senza un secondo richiamo all’ordine. Il Segretario generale vigila immediatamente sull’esecuzione di un siffatto provvedimento, con l’assistenza degli uscieri e, se necessario, del personale di sicurezza del Parlamento”.
Onorevole Bloom, come vede la maggior parte dei colleghi in Aula trova il suo comportamento del tutto inaccettabile. Condivido la loro opinione. Alla luce di quanto detto, devo chiederle di lasciare l’Aula.
Come sapete, è possibile discutere ed esprimere la propria opinione, ma senza recarsi reciproco disturbo. Diversamente non si riuscirebbe a mantenere l’ordine in Aula.
Guy Verhofstadt, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, innanzi tutto credo che i fatti appena accaduti siano molto gravi e che i gruppi politici debbano ora rispondere con una presa di posizione comune. Mi auguro che tutti, con l’ovvia eccezione del gruppo del deputato coinvolto, siano inequivocabilmente favorevoli alle contromisure che lei ha adottato per evitare il ripetersi di incidenti simili.
(Applausi)
Credo che l’analisi dell’onorevole Daul sulla situazione in Irlanda, peraltro molto completa, corrisponda perfettamente al vero. Ciononostante, devo precisare che, se agli inizi della crisi, nell’ottobre 2008, avessimo varato il piano europeo per il salvataggio del settore bancario proposto dalla Commissione ma respinto dagli Stati membri, l’Irlanda non avrebbe mai dovuto affrontare i problemi attuali. All’epoca la proposta fu archiviata perché non necessaria, e perché la Germania disponeva di risorse sufficienti per risolvere i problemi da sola. Ecco il risultato.
In secondo luogo, vorrei tornare all’argomento in discussione, che mi sembra suscitare ancora qualche tensione. Per parte mia spero che l’euro torni a stabilizzarsi domani o fra due giorni, cosa che non è ancora accaduta. Ritengo pertanto che le parole pronunciate ieri dal Presidente della Banca centrale europea e dal Commissario Rehn meritino di essere considerate attentamente.
Credo che durante la discussione di ieri (a cui non ha partecipato un pubblico molto numeroso) il Presidente Trichet abbia formulato osservazioni estremamente significative, ricordando che il pacchetto non è sufficiente a ripristinare la stabilità nell’area dell’euro. Al Parlamento spetta dunque una particolare responsabilità, in quanto codecisore in tutte le materie pertinenti. Sono parole da prendere in seria considerazione. In cosa consiste esattamente il problema? Non esiste al mondo una valuta che non sia sostenuta da un governo, da una politica economica unica, da una strategia e da un mercato obbligazionario comune. I paesi dell’area dell’euro credono invece che sia possibile agire mantenendo sedici governi, altrettanti mercati obbligazionari e altrettante politiche economiche. È proprio su questa base, a mio avviso, che dobbiamo intervenire ed è a questa conclusione che dobbiamo giungere. Occorre spingersi oltre le delibere del Consiglio, finanche oltre le proposte della Commissione, Commissario Rehn; dobbiamo offrire il nostro appoggio al Presidente Trichet.
Se il Presidente Trichet, che dopotutto è responsabile della stabilità dell’euro, invita il Parlamento e le altre istituzioni europee a rafforzare il pacchetto, è questa la sola decisione che possiamo prendere nel settore dei mercati finanziari, conferendo al pacchetto stesso un’impostazione comunitaria, introducendo le sanzioni interamente automatiche che al momento non esistono e creando un mercato obbligazionario denominato in euro. Le disparità tra Grecia e Germania e tra Irlanda e Germania non scompariranno senza un mercato obbligazionario unico; si potrebbe altresì introdurre una nuova sanzione, realmente efficace, per i paesi che non osservano il Patto di stabilità.
Infine, vorrei ricordare che ci occorre una reale governance economica, in grado di stimolare gli investimenti. Se, a tale scopo, il governo tedesco chiede una modifica dell’articolo 136 del trattato, procediamo pure, ma adottiamo anche le misure necessarie, includendo la governance economica e sanzioni interamente automatiche. Facciamo sì che le modifiche del trattato diventino un’autentica opportunità per preparare l’euro al futuro, istituendo un quadro di governance nell’area dell’euro e nell’Unione europea.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 148, paragrafo 8, del regolamento)
William (The Earl of) Dartmouth (EFD). – (EN) Signor Presidente, onorevole Verhofstadt, qualora la Commissione ottenesse il quadro di governance economica al quale aspira e che lei stesso invoca, è sua convinzione che assumerà sempre le giuste decisioni?
Guy Verhofstadt (ALDE). – (EN) Signor Presidente, credo di poter confidare maggiormente nella volontà della Commissione europea di intervenire contro i paesi inosservanti del Patto di stabilità che non in quella del Consiglio, dove siedono i capi di governo. Nei miei nove anni al Consiglio non ho mai visto un paese puntare il dito contro un altro accusandolo di violare il Patto di stabilità.
È accaduto nel 2004 e nel 2005 con la Francia e la Germania: pur non avendo applicato il Patto di stabilità, nessuno dei due paesi ricevette sanzioni. Proprio per questo motivo l’iniziativa deve spettare alla Commissione europea, l’istituzione eminentemente comunitaria, che dà reale attuazione al metodo di Monnet e Schuman.
Barry Madlener (NI). – (NL) Signor Presidente, concordo. Non sono potuto intervenire quando lei ha allontanato dall’Aula l’onorevole collega che, come me, appartiene allo UK Independece Party (UKIP), ma desidero comunque oppormi a questa applicazione discriminatoria del Regolamento. Sebbene l’onorevole Schulz abbia definito l’onorevole van der Stoep un fascista davanti all’Assemblea, lei non è intervenuto, non vi sono state parole di scuse né sono state adottate misure contro l’onorevole Schulz, che adesso si comporta esattamente nello stesso modo…
(L’oratore prosegue, ma il microfono viene spento)
Presidente. – Devo porre fine a questa conversazione. Se qualcuno nutre riserve sull’accaduto, può interpellarmi in merito. Sono disposto al confronto. Ne discuteremo insieme.
Onorevole Farage, come sa le ho anche chiesto di affrontare alcuni punti di estrema importanza, usando per lei il mio tempo di parola. Le ho illustrato il mio punto di vista, che lei conosce nella sua interezza. Su questa base, le ho anche chiesto se nutrisse dubbi sulla mia decisione.
Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevole colleghi, non è semplice intervenire in un clima così teso. In qualche misura, questa atmosfera riflette anche le condizioni in cui l’Europa potrebbe trovarsi se, per l’ennesima volta, non procederemo a una definizione più chiara e risoluta delle politiche europee. Onorevole Schulz, a mio parere il problema non sta nelle lievi modifiche al trattato che la Germania richiede, perché la crisi finanziaria non è un disastro naturale. Il problema risiede piuttosto nel fatto che il Consiglio europeo (in particolare i rappresentanti dei paesi più grandi) non sia più in grado, in questo contesto di crisi, di imprimere uno slancio positivo che, dalle riunioni di Bruxelles, si trasmetta alla società negli Stati membri dell’Unione. Trovo davvero strana questa effimerità dello spirito europeista. Mi sembra ugualmente strano che la Germania, tra tutti i paesi che hanno abbondantemente beneficiato della solidarietà in tempi sia lontani sia recenti, non sia più capace di distoglierci da un dibattito ormai degradato nell’egocentrismo e nell’ottusità; non riesce più a condurci verso un confronto sui motivi per cui gli Stati membri abbiano intrecciato così strettamente i propri destini e il Consiglio, insieme con lei, Presidente Van Rompuy, non riesca più a spiegare ai cittadini (la cui incertezza è stata eccellentemente descritta dall’onorevole Daul) la necessità di un impegno congiunto per superare la crisi, anziché di una competizione reciproca. Uno dei nostri problemi risiede nell’assoluta mancanza di questo spirito.
Il secondo problema deriva dal fatto che nessuno abbia specificato, in una dichiarazione politica aperta, i destinatari dell’intervento di salvataggio: non aiutiamo tutti i cittadini greci o irlandesi, ma salviamo le banche dei due paesi. La crisi dell’Irlanda non è esclusivamente irlandese, ma anche tedesca e britannica, per sgradito che vi sia questo messaggio. Credo che una simile onestà costituisca il presupposto per persuadere i cittadini a sostenere le decisioni di Bruxelles in questa fase di crisi.
La mia terza osservazione riguarda le parole dell’onorevole Verhofstadt, che trovo del tutto giuste. È il momento di definire un quadro di governance economica, come sappiamo tutti. Ogniqualvolta il Consiglio o la Commissione dichiarano di voler compiere quanto prima i passi necessari, per me suona un campanello d’allarme; è proprio questa mancanza di solidarietà europeista a indicare che non si applicheranno le misure logiche e necessarie a favore dell’integrazione. Si può discutere di dumping fiscale in Irlanda, un ambito suscettibile di miglioramenti, ma è cosa diversa stabilire le modalità di tale intervento o, ancora, definirne i tempi e la durata. Nel complesso, è però opportuno che gli Stati membri coordino le proprie politiche fiscali, pena un deterioramento della situazione nell’Unione europea.
Dovremmo prendere in seria considerazione un altro aspetto a cui è stata attribuita grande importanza: il coinvolgimento dei creditori e la ristrutturazione del debito, anche tra i diretti responsabili della crisi. Devo confessarvi che è per me estremamente difficile distinguere il torto dalla ragione in questo ambito. Sappiamo che è iniziato un conto alla rovescia per Spagna e Portogallo; è solo una questione di tempo prima che anche quei paesi chiedano solidarietà e sostegno nella gestione della crisi. Non so se sia per noi più opportuno coinvolgere i creditori adesso oppure schierarci a favore del quadro di governance economica, di una regolamentazione più rigorosa del settore bancario, dell’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie o di un’imposta sul capitale per chi beneficia della crisi. È una scelta che dovremo ponderare insieme. Non ha senso ignorare le decisioni che dovranno essere assunte in questa sede. Grazie per l’attenzione.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Kay Swinburne, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, per una volta il Consiglio europeo e i media della mia costituzione in Galles si concentrano su due stessi temi: da un lato, la gestione della crisi irlandese a livello di UE e, dall’altro, il superamento della impasse sul bilancio dell’Unione europea. I cittadini gallesi riconoscono appieno l’importanza dei fondi ricevuti dall’UE, nonché la necessità di un’area dell’euro stabile. Nondimeno sussistono evidenti differenze tra le modalità di discussione adottate a Cardiff e a Bruxelles.
A Bruxelles, in seno al Parlamento europeo, le due problematiche sono considerate e affrontate separatamente. Il Parlamento e il Consiglio intendono salvare l’euro potenziando la governance economica, introducendo nuove regole per i governi nazionali e applicando sanzioni, anche pecuniarie.
A Cardiff, la mia capitale (e sono certa che lo stesso valga per Dublino), siamo sì giunti alla conclusione che gli Stati membri debbano mettere da parte i particolarismi e anteporre maggiormente l’Europa alle esigenze nazionali, ma crediamo che tutto dipenda dalla gestione del denaro dei contribuenti. I cittadini comprendono la necessità dei pacchetti di austerità; ogni giorno vengono loro ricordate le proporzioni del debito pubblico e sanno bene che è necessario adottare misure difficili, ma vogliono partecipare alla gestione del denaro che hanno guadagnato a prezzo di dure fatiche. Per molti elettori è esagerata la richiesta di rinunciare ad altre risorse per il finanziamento dei progetti dell’UE attraverso un aumento di bilancio, quando già si esige che sacrifichino una parte delle pensioni per il settore pubblico o, in alcuni casi, finanche le prestazioni previdenziali di base da cui dipendono.
Se l’Unione europea stessa riconosce di non aver sufficientemente assolto al compito di applicare le proprie regole e i propri standard nell’area dell’euro, non incoraggia certo i cittadini a destinarle risorse aggiuntive. In questa fase di austerità di bilancio, mentre rivediamo il quadro di governance economica per gli Stati membri, noi deputati del Parlamento europeo dobbiamo rispettare le pressioni cui i paesi sono sottoposti e accettare che tutti i progetti dell’UE meno urgenti siano rimandati, per consentire la stesura di un bilancio che rispecchi le attuali difficoltà economiche.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 148, paragrafo 8, del regolamento)
William (The Earl of) Dartmouth (EFD). – (EN) Signor Presidente, l’oratrice è consapevole del fatto che i fondi cosiddetti dell’UE, di cui i suoi elettori avrebbero beneficiato, sono semplicemente risorse restituite al Regno Unito, ma restituite solo in parte e al netto della fetta che l’Unione europea, il croupier della situazione, ha tenuto per sé? La signora riconosce o comprende questo dato?
Kay Swinburne (ECR). – (EN) Signor Presidente, come il signore ben sa, riconosco appieno l’origine di quegli stanziamenti e conosco i contributori netti del bilancio dell’UE. Nondimeno i miei elettori sanno semplicemente che si investono risorse in progetti fondamentali, sebbene il Galles registri il PIL più basso tra tutte le regioni del Regno Unito. Per questo difenderò ogni giorno gli stanziamenti dell’Unione europea a favore della mia circoscrizione.
Lothar Bisky, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, se i capi di Stato o di governo hanno convenuto sulla creazione di un meccanismo permanente di gestione delle crisi, inteso a preservare la stabilità dell’area dell’euro, non posso che accogliere con favore la loro decisione. L’esito dei lavori condotti per diversi mesi dalla task force sulla governance economica del Presidente Van Rompuy lascia molto a desiderare, per quanto io stesso abbia pareri contrastanti sui singoli punti. Si tenta di effettuare un controllo quanto più rigoroso possibile sui bilanci per evitare disavanzi di lunga durata, ma la cauta ripresa in atto sarà subito compromessa dalla drastica riduzione della spesa pubblica. Questa scelta è non solo del tutto controproducente ma anche, a mio parere, assurda. Sembra che non abbiamo ricavato alcun insegnamento dall’esperienza del Patto di stabilità e crescita. Non è possibile imporre ulteriori sanzioni pecuniarie a un paese già gravemente indebitato. Il divieto di salvataggio e il Patto di stabilità e crescita distruggeranno la solidarietà tra Stati nell’Unione monetaria.
È l’economia a determinare le nostre politiche? Ancora una volta saranno i cittadini a subire le conseguenze della crisi. Possiamo attenderci dumping salariale e sociale, tagli all’istruzione e un aumento della disoccupazione; ne deriveranno oneri ancora più gravosi per i paesi coinvolti e una ripresa ancora più faticosa. Non ha alcun senso accrescere le pressioni su Stati come l’Irlanda, la Grecia o il Portogallo, ma si dovrebbero piuttosto ridurre le disparità all’interno dell’Europa. In sostanza, ci occorre un quadro di governance economica. Auspichiamo un’Europa sociale ed equa, fondata sul principio di solidarietà. La predominanza delle politiche sull’economia deve essere preservata o ripristinata.
Nigel Farage, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, il Presidente Van Rompuy è in carica da un anno, e proprio in questo periodo l’intera costruzione ha iniziato a vacillare; regna il caos e le risorse sono in fase di esaurimento. Dovrei ringraziare il Presidente Van Rompuy, che potrebbe forse diventare la mascotte del movimento euroscettico.
Presidente Van Rompuy, si guardi attorno in quest’Aula stamattina. Osservi i volti, la paura, la rabbia. Il povero Presidente Barroso ha l’aria di chi ha visto un fantasma. Evidentemente iniziano a capire che il gioco è finito; eppure, nel disperato tentativo di preservare il loro sogno, vogliono eliminare ogni parvenza di democrazia dal sistema. È chiaro che nessuno di voi ha imparato qualcosa. Quando proprio lei, Presidente Van Rompuy, afferma che l’euro ci avrebbe portato stabilità, credo che potrei applaudire al suo senso dell’umorismo. Ma non sono forse le sue dichiarazioni una semplice dimostrazione di corporativismo?
Le sue convinzioni fanatiche sono venute allo scoperto. Lei ha sostenuto che l’esistenza di uno Stato nazionale nel mondo globalizzato del XXI secolo sarebbe soltanto una bugia. Forse sarà vero per il Belgio, orfano di un governo da sei mesi, ma non per gli altri. In ogni singolo Stato membro dell’Unione (forse per questo leggo la paura sui vostri volti) i cittadini dichiarano sempre più di non voler quella bandiera, quell’inno, quella classe politica; chiedono che venga tutto cestinato dalla storia.
Nella prima parte dell’anno è andata in scena la tragedia greca, mentre adesso abbiamo la situazione in Irlanda. So che la responsabilità è da attribuirsi soprattutto alla stupidità e all’avidità della classe politica irlandese. L’Irlanda non avrebbe mai dovuto aderire all’area dell’euro e ha infatti risentito dei tassi di interesse bassi, di un boom fasullo e di una netta recessione. Consideriamo però la risposta che offrite a questo paese: vista la crisi di governo, sarebbe inopportuno andare a elezioni. Il Commissario Rehn, qui presente, ha affermato infatti che gli irlandesi non saranno autorizzati a indire elezioni politiche prima di aver approvato il bilancio.
Ma chi credete di essere? Siete molto pericolosi. La vostra ossessione per lo Stato dell’euro vi spinge fino ad auspicare l’annientamento della democrazia. Sembra che desideriate la disoccupazione e la povertà di milioni di cittadini; innumerevoli milioni di cittadini devono soffrire affinché il vostro sogno dell’euro continui.
Ebbene, questa strategia non funzionerà perché presto toccherà al Portogallo; con un indebitamento pari al 325 per cento del suo PIL, è il prossimo della lista. Suppongo che seguirà la Spagna, il cui programma di salvataggio dovrebbe assumere proporzioni sette volte maggiori di quello irlandese; a quel punto, le risorse stanziate saranno terminate e non ne resteranno altre.
Nondimeno la gravità del problema supera il piano economico. Se i cittadini vengono privati della propria identità e della democrazia, non resta altro che ricorrere al nazionalismo e alla violenza. Possono solo sperare e pregare che il progetto europeo venga annientato dai mercati prima che si arrivi a quel punto.
Angelika Werthmann (NI). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, per superare l’attuale crisi finanziaria occorre apportare profondi cambiamenti alle competenze di politica economica in Europa: maggiore disciplina finanziaria, vigilanza sulla politica economica e un migliore coordinamento durante la gestione delle crisi. Il potenziamento del Patto di stabilità e crescita condurrebbe necessariamente a un aumento delle competenze in questo ambito.
Potrebbero essere introdotte sanzioni progressive fin dalle prime battute della procedura di sorveglianza dei bilanci, tenendo conto del requisito relativo ai disavanzi e del debito pubblico. Infine, un nuovo meccanismo di gestione delle crisi implica, fra l’altro, che le banche e le società assicurative siano chiamate a rispondere del proprio operato. Le invito pertanto a dimostrare maggiore senso di responsabilità verso i contribuenti.
Desidero aggiungere un’altra osservazione a proposito di Cancún. L’Unione europea vuole parlare a una voce. Soprattutto in tempi difficili come questi si presenta l’opportunità di investire, ad esempio, nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica, agendo così nell’interesse dell’ambiente e delle nostre politiche per la crescita.
Marianne Thyssen (PPE). – (NL) Signor Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, onorevoli colleghi, con la crisi del settore bancario, la crisi economica e il tracollo dei conti pubblici, negli ultimi due anni e mezzo abbiamo compreso come non mai il reale significato della parola crisi. Finora le reazioni delle istituzioni sono state, in particolare a livello di UE, positive. L’esistenza e la tenuta dell’euro, insieme con gli interventi puntuali della Banca centrale europea, hanno evitato che la situazione degenerasse. L’Europa ha imparato a essere forte nell’unità, e la solidarietà sortisce il suo effetto. La situazione attuale dimostra tuttavia che è necessario introdurre ulteriori cambiamenti strutturali nonché progredire verso un quadro di governance economica. Anche se l’euro ci ha cullati un poco, signor Presidente del Consiglio europeo, dobbiamo intravedere nella gravità della crisi uno stimolo a sfruttare pienamente i punti di forza dell’Europa in futuro. Occorrono norme rigorose e meccanismi di attuazione adeguati per il settore finanziario, le finanze pubbliche e il debito nonché per la correzione degli squilibri macroeconomici. Tutto ciò è necessario per ritornare a un clima di fiducia, promuovere la competitività e la crescita economica, stimolare la creazione di posti di lavoro e di ricchezza. Spero che nessuno respinga l’applicazione di misure rigorose per timore che gli Stati membri dipingano l’Unione come il cattivo di turno; la verità è che gli Stati membri hanno bisogno di pressioni esterne, forse anche di un cattivo, perché non possono assolvere a questo compito da soli nell’era della globalizzazione. Signor Presidente del Consiglio europeo, le conclusioni che abbiamo letto, e che attingono in larga misura ai lavori della sua task force, riporteranno l’Unione sulla strada dei necessari aggiustamenti strutturali e meritano, da questo punto di vista, tutto il nostro apprezzamento. Avrei però due domande. Innanzi tutto, sebbene oltre la metà del pacchetto di governance richieda la procedura di codecisione, lei invoca il ricorso a iter rapidi. Mi domando dunque se lascerà al Consiglio “Affari economici e monetari” (Ecofin) uno spazio di manovra sufficiente per negoziare con il Parlamento, consentendo a questa Assemblea di svolgere appieno il suo ruolo, come desidera. Seconda e ultima domanda: il Consiglio europeo si oppone all’automaticità del sistema delle sanzioni, respingendo una modifica del trattato e la possibilità di scoperchiare il vaso di Pandora. Lei stesso propone tuttavia di emendare il trattato per permettere l’istituzione del meccanismo permanente di gestione delle crisi, che ci è necessario. Mi chiedo, in tutto questo, dove finisca il vaso di Pandora. La ringrazio fin d’ora per le risposte.
PRESIDENZA DELL’ON. ROUČEK Vicepresidente
Stephen Hughes (S&D). – (EN) Signor Presidente, siamo, penso, tutti concordi sul fatto che i capi di Stato o di governo sono persone estremamente impegnate. Mi stupisce pertanto che ogni tre mesi circa trovino il modo di riunirsi, con un tale spreco di tempo e risorse, per prendere decisioni così insignificanti, quando gli avvenimenti verificatisi di recente in Irlanda mettono doppiamente in risalto la gravità della crisi.
Basti considerare l’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie, che figurava nell’ordine del giorno delle riunioni di marzo, giugno e ottobre slittando ogni volta da un Consiglio all’altro. Adesso è stata rimandata all’appuntamento di dicembre, dove sarà probabilmente rinviata all’incontro successivo e così via nel futuro. Dobbiamo compiere urgentemente un salto di qualità nella governance economica. Ci occorrono un progetto lungimirante e iniziative concrete, solidarietà reciproca e coordinamento; otteniamo invece confusione, esitazioni e una diffidenza reciproca che conduce non alla stabilità ma all’instabilità permanente.
Alcuni punti risultano chiari, primo tra tutti l’insufficienza di un inasprimento del Patto di stabilità e crescita. In realtà, sussiste il serio rischio che il sistema proposto finisca per essere prociclico e, dunque, controproducente per la crescita e l’occupazione. In secondo luogo, è necessario conferire un’efficacia di gran lunga maggiore all’Unione economica e monetaria, coordinando in maniera davvero equilibrata e incisiva le politiche economiche; la sorveglianza e l’imposizione di sanzioni non sono sufficienti. In terzo luogo, va istituito un qualche sistema di gestione comune del debito, che si applichi almeno a una data percentuale dell’indebitamento pubblico, ad esempio fino al 60 per cento del PIL.
I vantaggi economici di un tale sistema di euro-obbligazioni sono chiari e consistenti. Presidente Van Rompuy, leggo dai verbali che lei non sarebbe un sostenitore dei politici con progetti di lungo termine. Credo che lei preferisca l’azione pratica, e lo capisco. Ritengo tuttavia che questo sia il momento opportuno per iniziare a coniugare i due aspetti. Mi auguro che la strada da percorrere sia chiara e, inoltre, che la tassa sulle transazioni finanziarie e un assetto equilibrato di coordinamento delle politiche economiche si spingano oltre la mera sorveglianza o gestione comune del debito. Credo che sia giunto il momento, Presidente Van Rompuy, di combinare progetti e azione.
Alexander Graf Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, è importante che un punto sia chiaro anche ai cittadini: l’Unione europea non è indebitata. Si parla di una crisi del debito negli Stati membri, ma l’Unione è il solo livello politico in Europa a non avere problemi di indebitamento e gradirei che restasse tale. Nondimeno l’euro ci unisce nello stesso destino. A questo proposito gli onorevoli Harms e Schulz hanno giustamente lamentato l’assenza di uno spirito europeo. Deauville è stata un errore; la Germania e la Francia sono state ricattate dal Regno Unito. Spetta alla Commissione, e non ai Ministri delle Finanze, comminare le sanzioni. Presidente Van Rompuy, a Deauville, nella fase preventiva, è stata sacrificata l’automaticità delle sanzioni. Anche in questo caso la decisione è stata presa dai Ministri delle Finanze, gli stessi responsabili dello scoppio della crisi finanziaria e di quella del debito negli Stati membri.
In cosa consiste la governance economica? Tutti ne parlano, ma cosa implica nello specifico? Vogliamo davvero che l’Unione entri nel merito delle nostre politiche occupazionali o sociali? È un grande interrogativo. L’istituzione di un quadro normativo per l’imprenditoria e gli stimoli alla crescita sono benaccetti, ma la vera sfida sta nel riequilibrio delle finanze pubbliche degli Stati membri. Proprio per questa ragione il semestre europeo assume una tale importanza e deve essere attuato.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 148, paragrafo 8, del regolamento)
Martin Schulz (S&D). – (DE) Onorevole Graf Lambsdorff, ovviamente lei è un membro della dirigenza della FDP, il partito liberaldemocratico tedesco. La valutazione secondo cui Deauville sarebbe un errore è condivisa dal leader del suo partito nonché Vicecancelliere della Repubblica federale di Germania oppure è un suo parere personale? Dobbiamo intravedervi la posizione della FDP o semplicemente dell’onorevole Graf Lambsdorff?
Alexander Graf Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, sono lieto di rispondere alla domanda. Ovviamente, anche l’onorevole Schulz siede nella dirigenza della SPD, il partito socialdemocratico tedesco, e gli sarà probabilmente accaduto di rilasciare dichiarazioni non del tutto congruenti. Vorrei però aggiungere un’osservazione: sarei grato all’onorevole Schulz se potesse indicarmi un membro della FDP presente a Deauville. Alla fine del vertice abbiamo reso una dichiarazione sufficientemente chiara in proposito.
Credo che il nodo centrale, ovvero la rinuncia all’automaticità delle sanzioni nella fase preventiva, sia stato oggetto di critiche tutt’altro che ambigue da parte nostra. Se si arrivasse a una modifica del trattato, questa sarebbe corretta in un momento successivo. Ciononostante, la decisione assunta a Deauville è stata un chiaro errore.
Philippe Lamberts (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, negli ultimi 25 anni un numero fin troppo elevato di Stati membri ha applicato un modello di crescita economica basato essenzialmente sull’indebitamento, sia privato che pubblico. Il problema sta nel fatto che il debito accumulato ha favorito soprattutto la speculazione finanziaria e i consumi a discapito degli investimenti, mentre il resto del mondo (ad esempio Cina, Brasile e India) iniziava a investire. I libri di storia lo definiranno forse il momento in cui l’Europa ha effettivamente perso la propria strada.
Tuttavia, non è ancora certo che sia questo il corso delle cose. È evidente che ci occorre un quadro di governance economica solido, ma dobbiamo affrontare innanzi tutto gli squilibri causati dall’indebitamento. Se crediamo di poter risolvere il problema con una semplice decurtazione della spesa pubblica, significa che non stiamo affrontando la realtà; non supereremo la crisi senza una ristrutturazione e una riprogrammazione dell’indebitamento laddove sono stati superati i livelli di sostenibilità e la reale solvibilità del debitore.
Dobbiamo essere chiari su questo punto: sia i debitori che i creditori sono responsabili dell’accumulo di debito. Gli uni hanno preso a prestito al di sopra delle proprie possibilità, mentre gli altri hanno concesso finanziamenti in modo irresponsabile, confidando in profitti sicuri grazie alla copertura dei contribuenti.
Debitori e creditori dovrebbero dunque partecipare entrambi agli sforzi in atto. Se non faremo in modo che ciò accada, ci condanneremo a uno scenario di stampo giapponese, affossando del tutto l’Unione europea. Credo che i cittadini di questo continente meritino molto di più.
Vicky Ford (ECR). – (EN) Signor Presidente, la discussione odierna verte sulla governance economica. I paesi di tutta Europa, fra cui il mio, attraversano un periodo di gravi difficoltà finanziarie. Nel corso del fine settimana l’Unione europea e il Regno Unito hanno offerto il proprio sostegno ai nostri amici irlandesi. Non è questo il momento perché il Parlamento europeo si perda in accuse e atti di stigmatizzazione, ma piuttosto perché impari dagli errori commessi e prenda decisioni più oculate per il futuro.
La scorsa settimana, attorno alla metà di questo mese, la Grecia ha modificato il bilancio di fine esercizio del dicembre passato per la terza volta. Spero che, con questo, possa dirsi finalmente concluso. Nulla illustra meglio di tale esempio le ragioni per cui i paesi dovrebbero garantire funzioni di contabilità e previsione più efficienti.
Il Consiglio europeo ha compiuto notevoli progressi nella pianificazione dettagliata della condivisione di informazioni durante il semestre europeo. Adesso occorre passare alla fase di attuazione. Da un lato, è opportuno che i paesi condividano le migliori prassi; dall’altro, è giusto tenere presente le differenze tra Stati e considerare che un buon quadro di governance economica può essere ottenuto in modi diversi, pur tutelando gli interessi di tutti.
Bairbre de Brún (GUE/NGL). – (GA) Signor Presidente, considerando le condizioni onerose introdotte dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca centrale europea e dalla Commissione, è chiaro che in Irlanda verranno operati tagli per miliardi di euro; si perderanno posti di lavoro, i servizi pubblici subiranno drastiche decurtazioni e verranno aumentate le imposte sul reddito per i cittadini che percepiscono salari modesti. Le banche manterranno i loro profitti, mentre i poveri, i pensionati, le persone bisognose di cure mediche e le altre categorie vulnerabili dovranno farsi carico di tutti gli oneri. L’intervento dell’Europa non può certo definirsi un aiuto e vi siamo, dunque, fortemente contrari.
Invece di chiedere la legittimazione popolare sull’applicazione di questi tagli, a seguito della valutazione contabile effettuata dall’FMI e dall’UE, il governo irlandese ha deciso di non indire elezioni prima dell’approvazione del bilancio. Avrebbe potuto scegliere di percorrere un’altra strada, ma non lo ha fatto; ha deciso di agire nell’interesse degli amici banchieri anziché del comune cittadino irlandese.
Mario Borghezio (EFD). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, il convitato di pietra di questa discussione è il presidente della BCE, il signor Trichet. Se fossimo nell'antico senato romano si alzerebbe un senatore con la sua toga e, rivolgendosi a Trichet, direbbe: "Quousque tandem abutere, Trichete, patientia nostra?"
In effetti, dobbiamo domandarci se la via giusta sia quella di evitare la dissoluzione dell'Euro – impresa molto difficile – o piuttosto impedire che il salvataggio dell'Euro porti con sé la rovina delle nostre economie nei paesi membri, dopo che la politica eurofila, da Prodi in giù, ha distrutto le nostre industrie, specialmente le piccole e medie imprese, per esempio quelle della Padania, creando solo disoccupazione e cassa integrazione.
Perché i paesi che sopravvivono alla crisi dovrebbero dissanguarsi per salvare con quasi 100 miliardi di euro un'Irlanda che, con la sua politica fiscale del 12,5 per cento di tasse sulle società, ha finora fatto concorrenza sleale agli altri paesi?
Dov’era la governance europea se, un mese dopo aver superato i suoi stress test, l'Anglo-Irish Bank è precipitata in un deficit di 8 miliardi di euro? Dov'era Trichetus, Trichete al vocativo? Siamo sicuri che il pacchetto di salvataggio per l'Irlanda non violi il trattato di Maastricht? Per fortuna in Germania c'è una Corte costituzionale che dichiarerà incostituzionale sobbarcare il deficit di un altro paese sul bilancio tedesco. E allora ciao Euro, ciao ciao ciao Euro!
Werner Langen (PPE). – (DE) Signor Presidente, ho sentito molte critiche alla decisione di Deauville durante questa discussione. Eppure sappiamo tutti che, prima dell’ultima riunione della task force del Presidente Van Rompuy, restavano in sospeso 20 punti, tutti soggetti alla regola dell’unanimità; era dunque necessario trovare una soluzione. Tutti lo sanno, come pure ricordano che nel 2004 furono proprio i due Stati membri più grandi, Germania e Francia, a violare il Patto di stabilità e crescita, nonostante all’epoca il governo federale tedesco fosse composto da socialdemocratici e verdi. Le reprimende dell’onorevole Schulz sono, dunque, del tutto gratuite.
Se crediamo che il Patto di stabilità e crescita debba essere più rigoroso, il primo presupposto è l’osservanza degli Stati membri. A cosa serve un inasprimento del Patto se nessuno vi si attiene? È mancato il rispetto delle regole. Abbiamo sul tavolo sei proposte legislative: due regolamenti del Consiglio e quattro regolamenti congiunti del Consiglio e del Parlamento europeo. Non capisco alcune delle lamentele espresse, visto che avremo la possibilità di pronunciarci durante la procedura di codecisione. Vorrei dichiarare a nome del mio gruppo che appoggeremo le proposte della Commissione in questo ambito. In un secondo momento, si riavvieranno i negoziati con il Consiglio: è questa la realtà. Perché dimostriamo una tale limitatezza, insultando le altre parti coinvolte nell’iter legislativo anziché esercitare i nostri diritti?
Vorrei aggiungere alcune osservazioni sulla necessità di una modifica del trattato. A mio parere, il testo del trattato ha già raggiunto i propri limiti il 9 maggio scorso; si rende pertanto necessaria una giustificazione del pacchetto di salvataggio ai sensi dell’articolo 122. Sono dell’opinione che gli Stati membri sbaglino a escludere un intervento di questo tipo per timore dell’eventuale intervento del Parlamento e della Commissione. Non sarà sufficiente modificare l’articolo 136, ma ci occorre una solida base giuridica per il pacchetto di salvataggio; a quel punto, tutti le questioni ancora aperte si risolveranno da sé.
Elisa Ferreira (S&D). – (PT) Signor Presidente, siamo sinceri: il meccanismo di solidarietà per il debito sovrano non ha funzionato e continua a non funzionare. L’entità del debito greco non è diminuita, mentre l’Irlanda attraversa gravi turbolenze economiche e il rischio di trasmissione non è stato contenuto. Il processo avviato, che ha ricevuto un’impostazione intergovernativa, è giunto troppo tardi e avrebbe dovuto assumere una configurazione diversa rispetto al momento del passaggio all’euro.
Sebbene il Presidente della Commissione proponga un consolidamento del sistema, si ipotizza di coinvolgere il settore privato per un terzo degli strumenti suggeriti. Sappiamo che questa proposta è stata già avanzata al Cancelliere Merkel, provocando con il suo annuncio prematuro e inopportuno un’impennata dei mercati. Il Parlamento eserciterà i suoi pieni poteri e onorerà il senso di responsabilità e di cooperazione insito nella procedura di codecisione, che si applicherà al pacchetto legislativo sulla governance economica; non trascurerà tuttavia l’urgenza e la rapidità né metterà la qualità in secondo piano. In sostanza, il Parlamento parteciperà attivamente, ma non è possibile assumere decisioni su un problema spinoso come il superamento della crisi del debito sovrano come fosse una questione marginale o senza coinvolgere l’opinione pubblica europea e i suoi rappresentanti: i due aspetti procedono di pari passo.
Da ultimo, in questi tempi di crisi ci occorrono un chiaro progetto europeo nonché un meccanismo dell’UE per il risanamento del debito sovrano. Dovremmo emettere euro-obbligazioni, tutelando l’area dell’euro in maniera duratura attraverso dispositivi non intergovernativi ma europei; il bilancio dell’UE deve essere rafforzato, poiché il livello dell’1 per cento non è più sostenibile, mentre le priorità politiche dell’Unione dovrebbero concentrarsi sulla crescita e su un’effettiva convergenza. La Commissione e il nuovo Presidente devono sostenere questo programma. Il Presidente della Commissione non può essere legato a doppio filo all’Ecofin: è questo il messaggio che dobbiamo trasmettere ai cittadini europei.
Mirosław Piotrowski (ECR). – (PL) Signor Presidente, la crisi in corso nell’area dell’euro è un dato di fatto. A dimostrare la gravità della situazione sono gli sforzi compiuti per modificare le disposizioni del trattato di Lisbona, osteggiato da più parti. Da un lato, è comprensibile la posizione di Germania e Francia, che non vogliono pagare per la crisi greca, irlandese e forse di altri paesi. Dall’altro, occorre considerare il precedente stabilito dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona, che, in teoria, avrebbe dovuto migliorare il funzionamento dell’Unione europea. È evidente che si è ottenuto il risultato diametralmente opposto.
Nondimeno, giacché siamo costretti a modificare il trattato di Lisbona, non dovremmo intervenire esclusivamente sugli aspetti riguardanti l’area dell’euro, ma anche su altri meccanismi istituzionali che pongono difficoltà. Diversi economisti sostengono che la crisi della Grecia non avrebbe assunto dimensioni europee se il paese avesse mantenuto la propria valuta, a cui si sarebbe applicata una netta riduzione del tasso di cambio. Ciò dimostra che le valute nazionali avrebbero conferito all’Unione maggiore stabilità di quanto non abbia fatto l’euro.
Mario Mauro (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei fare una valutazione politica in ordine a quello che è stato detto durante il dibattito.
Giustamente noi, i membri delle principali famiglie politiche europee, rimproveriamo gli euroscettici per il fatto che non credono nell'Europa. Io credo però che il vero problema sia che forse nell'Europa non ci crediamo noi, per cui non possiamo mettere sul conto degli euroscettici quella che è una nostra precisa responsabilità. Noi siamo le principali famiglie politiche europee e abbiamo sempre avuto forti e grandi ideali europeisti. Sta di fatto, però, che tutti i governi che sono espressione delle nostre famiglie politiche mettono ogni giorno i bastoni fra le ruote perché questi grandi progetti politici si possano realizzare. Allora, in tanti casi, si disfa di notte quello che si dice di voler fare di giorno.
Questo ci chiama a una responsabilità ulteriore, perché se noi non saremo capaci di orientare nel dibattito l'attuazione di progetti precisi, dagli Eurobond – per l'appunto – all'emissione di obbligazioni dell'Unione europea, ben difficilmente potremo spiegare ai nostri cittadini che siamo gli stessi partiti che in patria ogni giorno addossano all'Europa la colpa di tutto e dicono che potremo venire fuori dalla crisi solo se l'Europa diminuirà le proprie spese.
Credo che questo sia un principio di responsabilità fondamentale, dimenticata la quale la natura stessa del progetto europeo si perde, e noi perdiamo credibilità ottenendo in cambio solo aule vuote e urne disertate fino a una proporzione del 40 per cento dei nostri cittadini.
Anni Podimata (S&D). – (EL) Signor Presidente, probabilmente la sola conclusione di fondo che si possa trarre dalle decisioni dell’ultimo Consiglio europeo è l’incapacità di questa istituzione di convincere e tranquillizzare i mercati. Dobbiamo interrogarci sui motivi per cui questi ultimi abbiano oggi la prima e l’ultima parola.
Sarà forse perché i mercati capiscono che, al di là della rigorosissima disciplina di bilancio, di fatto stiamo ampliando il divario economico e politico dell’area dell’euro, anziché affrontare il problema?
Sarà forse perché il trattamento che un gruppo di Stati ha riservato all’idea (fino a prova contraria giusta) di un meccanismo permanente di gestione delle crisi sembra averne annullato l’effettivo valore, inviando così un messaggio sbagliato ai mercati ed esponendoci ai rischi di un dispositivo che, in fin dei conti, è una condanna all’insolvenza controllata?
Se davvero siamo determinati a coinvolgere il settore privato e ripartire gli oneri, perché ci rifiutiamo testardamente di procedere all’adozione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie?
Infine, perché non capiamo che esiste una differenza non trascurabile tra l’inasprimento delle norme sulla disciplina di bilancio, da un lato, e un meccanismo permanente di gestione delle crisi, dall’altro? È una differenza che potremmo eliminare decidendo di valutare seriamente la creazione di un meccanismo comune per la gestione di parte del debito degli Stati membri, attraverso l’emissione di euro-obbligazioni.
Danuta Maria Hübner (PPE). – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei precisare che gli Stati membri continueranno a presentare livelli diversi di competitività a lungo termine per molti anni a venire. Permarranno dunque le cause strutturali degli squilibri, mentre la governance economica risulterà, trattandosi di un processo ancora in nuce, piuttosto debole.
È dunque della massima importanza che, nell’analisi annuale sulla crescita che verrà condotta all’inizio del semestre europeo 2011, la Commissione esamini quanti più elementi possibile dell’assetto di governance economica, con particolare riguardo all’efficacia e al funzionamento del quadro in controllo.
In secondo luogo, mi rendo conto che un sistema di sanzioni interamente automatiche richiederebbe una modifica del trattato e che la soluzione proposta può esaurire lo spazio di manovra che il trattato stesso ci concede. Confido dunque che la Commissione e il Consiglio facciano quanto in loro potere per evitare fasi aggiuntive, che prolungherebbero inutilmente l’iter.
In terzo luogo, lo stato dell’economia dell’UE non è semplicemente la somma delle situazioni nazionali. Peraltro, poiché il sistema si basa sull’individuazione dei singoli Stati membri inadempienti, per porre rimedio alle loro infrazioni potrebbero crearsi effetti indesiderati all’esterno.
Più precisamente, la correzione degli squilibri può ripercuotersi su altri Stati membri all’interno dell’area dell’euro o dell’Unione. Nel definire le misure da adottarsi caso per caso, occorrere dunque tener conto delle potenziali conseguenze, in modo tale da migliorare lo stato complessivo dell’economia dell’Unione.
Infine, sono consapevole che una valutazione d’impatto completa e approfondita del programma di governance economica porterebbe via un tempo che non abbiamo. Può tuttavia aiutare il fatto che, negli ultimi due anni, la Commissione abbia acquisito conoscenze puntuali sulle economie dei 27 Stati membri. Chiederei dunque di procedere in due direzioni: assicurare la comparabilità di tutti gli elementi e dei rapporti tra squilibri interni ed esterni.
Presidente. – Onorevoli deputati, porgo il benvenuto alla delegazione dei parlamenti SEE-EFTA composta da colleghi di Islanda, Liechtenstein e Norvegia, nonché da osservatori dell’Assemblea federale svizzera. I nostri ospiti siedono nella tribuna d’onore.
È un piacere per me accogliere questa delegazione nella sede di Strasburgo del Parlamento europeo, dove parteciperà oggi e domani alla 35sima riunione del comitato parlamentare misto SEE. Vi auguro che il lavoro ormai consolidato del comitato parlamentare misto SEE si dimostri fruttuoso anche questa settimana, contribuisca a promuovere la cooperazione parlamentare e si ponga a garanzia di uno scrutinio democratico parlamentare all’interno dello SEE. Colleghi, vi porgo il benvenuto.
6. Conclusioni del Consiglio europeo (28-29 ottobre 2010) e governance economica (seguito della discussione)
Presidente. – Proseguiamo ora la discussione sulle conclusioni del Consiglio europeo (28-29 ottobre 2010) e sulla governance economica.
Kathleen Van Brempt (S&D). – (NL) Signor Presidente, nella discussione odierna spicca un argomento importante per pressoché tutti gli schieramenti politici: la governance economica. Il consenso è solo apparente, perché in realtà esistono differenze sostanziali nel significato attribuito a questa governance economica. L’interpretazione fornita dal Consiglio, così come si evince anche dalle sue conclusioni, si concentra in maniera unidirezionale su tagli, tagli e ancora tagli che questi considera indispensabili. Ormai è diventato quasi un credo assurto a legge dell’economia; occorre solo risparmiare quanto basta e tutto si rimetterà a posto. Non è così che noi vediamo la governance economica. Occorre qualcosa di completamente diverso e non siamo l’unico gruppo politico ad affermarlo. Lo confermano anche gli economisti, per esempio nell’edizione di ieri di De Tijd – un giornale che di certo non può essere considerato filosocialista – dove viene affermato in sostanza che le misure di austerità acuiscono la crisi nelle economie già in difficoltà e rendono sempre più difficile ripagare i debiti. Occorrono anche investimenti e questo è un esempio calzante e ovvio di cosa bisogna fare per incrementare il tasso di occupazione. Gli investimenti consentono di ripagare i debiti, in qualsiasi Stato membro. D’altronde ciò richiede il coraggio di investire nell’istruzione e nella formazione, di conciliare il lavoro con la famiglia. Se analizziamo i tagli effettuati presso i vari Stati membri, vediamo che sono proprio questi settori a essere penalizzati. Occorre una visione, una prospettiva sulla politica economica che favorisca la mobilizzazione delle risorse per questo scopo. A quel punto potremo preoccuparci di come rimettere in sesto il patto di stabilità e crescita. A mio giudizio questo è il principale punto di divergenza tra la nostra interpretazione della governance economica e quella del Consiglio.
Paulo Rangel (PPE). – (PT) Signor Presidente, Presidente del Consiglio Van Rompuy, Presidente della Commissione Barroso, come potevate aspettarvi desidero ribadire la posizione del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani). Secondo noi l’unica via di uscita alla grave crisi che colpisce l’Europa è il potenziamento della governance economica e del metodo comunitario. Non abbiamo dubbi che l’unico modo per affrontare e superare la crisi sia rafforzare il metodo comunitario e la governance economica, nonché sviluppare gli strumenti funzionali a una vera moneta unica nell’area dell’euro. In sostanza ciò richiede che tutte le istituzioni – Consiglio, Commissione e Parlamento – dimostrino al pubblico di volere assumere le loro responsabilità. Per inciso, precisiamo che almeno i principali schieramenti del Parlamento sono disposti a cooperare per un rafforzamento del metodo comunitario, l’introduzione di una governance economica e la creazione dei presupposti necessari per consentire alla moneta unica di superare la crisi in Europa. Oggi appare evidente che questa disponibilità è propria anche della Commissione e del suo Presidente, il quale ha dimostrato di non essere in obbligo nei confronti del Consiglio o del Parlamento e di lavorare a favore degli interessi europei, contrariamente a quanto affermato dai socialisti e dall’onorevole Ferreira.
Questo dicembre toccherà al Consiglio assumersi le proprie responsabilità. Confidiamo che il Consiglio saprà farlo e si esprimerà in termini inequivocabili a favore del dialogo europeo, Presidente Van Rompuy.
Marietta Giannakou (PPE). – (EL) Signor Presidente, il meccanismo di sostegno permanente che è stato approvato rappresenta senz’altro un passo in avanti. Manca tuttavia una pianificazione strategica che comprenda l’unione economica e subordinatamente la sua governance.
L’Unione europea è stata creata grazie ai governi forti di un tempo. La crisi economica è dilagata per colpa di governi deboli che hanno permesso agli automatismi economici della globalizzazione di sostituirsi alle decisioni politiche che la Comunità deve prendere per continuare a funzionare.
Per mezzo secolo l’Europa ha saputo garantire il benessere ed è nostro dovere oggi continuare a proteggere questo benessere per i nostri cittadini. In questo ambito appare scontata la necessità di continuare a crescere. Ma che tipo di crescita vogliamo in quest’epoca di ribaltamento dell’intero sistema mondiale? Cos’è l’Europa oggi? Come sarà in futuro? Un centro industriale con piccole e medie imprese e servizi, un catalizzatore di esportazioni? Serve un’Europa più forte anziché il clima di sospetto e l’intergovernalismo che sono stati all’ordine del giorno negli ultimi tempi.
Alcuni paesi hanno palesemente mancato di aderire al patto di stabilità ma, come ha precisato il signor Reinfeldt in risposta a una mia interrogazione lo scorso dicembre, in realtà un solo paese ha ottemperato alla lettera al patto di stabilità; gli altri sono venuti meno ai loro impegni.
Di conseguenza dobbiamo stringere le fila e aiutare i paesi che attualmente navigano nelle brutte acque della crisi, giacché in ultima analisi qual è il punto di forza dei grandi paesi? La loro forza risiede, credo, nella loro compresenza insieme ai paesi più piccoli all’interno di un sistema europeo. La rinuncia all’Europa avrebbe tra l’altro un costo insostenibile per chiunque di noi.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, per superare la crisi economica è fondamentale trarre alcune conclusioni stringenti da quanto sta avvenendo che rappresenta, innanzi tutto, una crisi di fiducia e di responsabilità. La fiducia si fonda su un equilibrio accettabile tra entrate e uscite.
Per oltre 20 anni, gran parte dell’Europa si è abituata a vivere e consumare oggi a spese di quelli che verranno domani e anche dopodomani – a spese delle generazioni future che peraltro sono in tragico declino numerico. Inoltre ci siamo abituati a fornire un’interpretazione molto flessibile delle regole per la stabilità. Se i paesi più grandi possono farlo per necessità interne, è facile che anche gli altri facciano altrettanto. Per applicare il principio del rigore fiscale e ribadirne la validità occorrono politiche mirate a un equilibrio di bilancio che costituiranno il banco di prova per la credibilità dell’Europa.
In questo contesto occorrono ovviamente dei meccanismi di controllo e compensazione. Posso solo plaudere alle conclusioni approvate dal Consiglio in merito alla governance economica europea, all’attivazione dei criteri di indebitamento e alla possibilità di un meccanismo di pronto intervento. Ciò che realmente occorre – in questo non posso che avallare le conclusioni del collega Verhofstadt – è una vera governance economica con sanzioni automatiche effettive, sanzioni punitive. Rimaniamo in attesa delle proposte quadro sui futuri meccanismi anticrisi che la Commissione pubblicherà il mese prossimo.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, sono favorevole al nuovo pacchetto di provvedimenti volti a rafforzare la disciplina di bilancio e ad ampliare la vigilanza in ambito economico. Penso che i provvedimenti proposti siano stati resi necessari dalle disparità riscontrate tra gli Stati membri in relazione all’ottemperanza alle politiche fiscali e di bilancio. La crisi economica ha suscitato preoccupazione in diversi paesi, compresa la Romania.
A mio avviso la novità fondamentale risiede nell’istituzione di un nuovo quadro di vigilanza macroeconomica che agevolerà il riconoscimento di squilibri e rischi al loro emergere.
L’approvazione della relazione sulla governance economica stilata dalla task-force sotto la guida del Presidente del Consiglio rappresenta un passo importante. Con la sua applicazione si istituirà un quadro nuovo e solido di gestione delle crisi.
Desidero menzionare altresì l’importanza che riveste la normativa volta a garantire la conformità dei conti nazionali con gli standard fiscali dell’UE. In pratica i bilanci nazionali d’ora in avanti non potranno più eludere le norme UE in materia fiscale.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D). – (HU) Signor Presidente, la prossima Presidenza ungherese dovrà affrontare la difficile sfida di dare esecuzione all’emendamento del trattato di Lisbona e introdurre la governance economica il prima possibile. Gli Stati membri che non partecipano all’euro osservano costernati l’eurozona fare acqua da tutte le parti. Il trattato di adesione ci pone determinati vincoli e la possibilità di raggiungere il livello degli altri paesi dipende dalla stabilizzazione della metà più ricca del continente e dalla volontà di far prevalere la solidarietà comunitaria sugli interessi nazionali.
Seguiamo la crisi dell’Irlanda e i problemi di Grecia, Portogallo e Spagna con preoccupazione e partecipazione, stiamo a vedere se la zona dell’euro si sfalderà. Anche se tardiva come di consueto, la decisione del Consiglio è finalmente quella giusta. L’introduzione di una governance economica potrebbe segnare l’inizio di una nuova epoca nella storia dell’integrazione europea, tuttavia la sua realizzazione potrebbe essere colma di insidie e complicazioni. Confido che la Presidenza ungherese farà tutto quanto in suo potere per garantirne la riuscita.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, in Portogallo si protrae il più importante sciopero generale degli ultimi 20 anni. La protesta assomiglia a quelle analoghe organizzate in diversi paesi dell’UE, tra cui Grecia e Francia. Come hanno reagito i leader del Consiglio e della Commissione? Hanno ignorato le proteste contro le loro politiche antisociali e insistono esattamente con quelle politiche che hanno contribuito alla situazione odierna. Preferiscono glissare sulla vulnerabilità che affligge oggi l’euro e che è la conseguenza diretta delle politiche messe in atto per la liberalizzazione dei mercati dei capitali, la speculazione finanziaria sfrenata e l’obbligo di una convergenza nominale tramite il patto di stabilità e crescita. Nel frattempo lo iato reale tra le economie è andato allargandosi, la disoccupazione e la povertà stanno raggiungendo livelli inaccettabili e le tensioni sociali si acuiscono. Per quanto tempo ancora vorranno insistere su questi toni? Cosa dobbiamo fare per mettere la parola fine a queste politiche e occuparci realmente di incrementare la produzione e l’occupazione o di valorizzare la forza lavoro?
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Signor Presidente, le trattative in seno al Consiglio europeo di fine ottobre si sono svolte in circostanze difficili. Tutti i paesi stanno rivedendo le loro politiche economiche nel tentativo di uscire quanto prima da questa situazione sfavorevole e di ritornare a una seppur modesta crescita economica.
Dopo la Grecia e l’Irlanda, altri paesi della zona euro si avvicinano al rischio di insolvenza. Dobbiamo riconoscere che, dinanzi a una simile situazione, i capi di Stato e di governo rinunciano malvolentieri alla possibilità di definire e regolamentare la governance economica dei loro paesi, cedendo alle istituzioni europee alcuni poteri in questa sfera.
Dobbiamo discutere con senso pratico le nostre proposte condivise su come condurre l’Europa con la massima sicurezza e velocità possibili fuori da questa situazione difficile, senza per questo sottovalutare gli sforzi compiuti dai rappresentanti dei singoli governi per risolvere i problemi dei loro paesi avvalendosi dei poteri e delle capacità a loro disposizione. È importante evitare che questi entrino in conflitto con gli interessi europei.
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signor Presidente, il Consiglio europeo ha ripetuto la medesima formula trita e ritrita, secondo cui occorre scongiurare qualsiasi forma di protezionismo e rinunciare a interventi sui tassi di cambio finalizzati all’acquisizione di un vantaggio competitivo.
L’adesione dell’Unione europea al credo del globalismo ha fatto capitolare i paesi europei dinanzi alla concorrenza delle economie emergenti e in particolare della Cina, con cui non siamo in grado di competere. Tali economie operano nel disprezzo dei brevetti internazionali e dei diritti d’autore, costringono i lavoratori a salari da sussistenza e talvolta a condizioni da lavoro forzato. La Cina mantiene artificialmente basso il tasso di cambio della sua valuta per rendere ancora più economici i suoi beni.
I paesi europei devono intervenire, di preferenza in maniera individuale ma eventualmente anche tramite un coordinamento, per proteggere gli imprenditori e i lavoratori da questa concorrenza sleale. I tassi di cambio non dovrebbero essere mantenuti né artificialmente bassi per avvantaggiarsi rispetto alla concorrenza, né artificialmente uniformi – come nel caso dell’euro – penalizzando così tutti i paesi dell’eurozona. Se si fosse permesso il deprezzamento delle valute nei paesi in crisi, l’economia avrebbe potuto riprendersi.
Jean-Pierre Audy (PPE). – (FR) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio europeo, signor Presidente della Commissione, vorrei affrontare il problema della spesa pubblica da una prospettiva europea.
A fronte delle grandi sfide poste, mi interrogo sull’opportunità di avviare una discussione allargata con i colleghi dei parlamenti nazionali e il Parlamento europeo sull’accorpamento a livello comunitario delle nostre rispettive spese pubbliche statali. Riprendo l’esempio proposto dal collega Lamassoure: abbiamo 27 eserciti e nessun nemico, un’unione doganale e 27 amministrazioni, programmi di ricerca finanziati da cinque fino a venti organismi senza coordinamento, reti transeuropee che attendono di essere collegate tra loro, le reti per la distribuzione dell’energia e via così.
Propongo che si incarichi un revisore indipendente di analizzare la spesa pubblica nei tre livelli europeo, statale e delle autorità locali. Quest’analisi servirebbe ai parlamentari nazionali ed europei come punto di partenza per una discussione approfondita sulla spesa pubblica da comunicare alla Corte dei conti europea e alle 27 corti dei conti nazionali.
Questa è l’idea che sottopongo al fine di un’analisi e di una migliore gestione della nostra spesa pubblica su scala continentale.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) Signor Presidente, la riunione del Consiglio europeo è stata seguita con grandi aspettative su come i leader europei avrebbero affrontato i problemi posti dalla recessione economica. Come ho ribadito in più occasioni, non basta concentrarsi esclusivamente sul bilancio. Gli squilibri strutturali che la crisi ha solo esacerbato vanno ben oltre il problema dell’indebitamento. Nutro gravi dubbi sull’efficacia di qualsiasi meccanismo che non sia in grado di intervenire anche su altri aspetti.
Un altro argomento di discussione sono state le ricadute delle riforme pensionistiche sul bilancio e la possibilità di un disavanzo. Da una parte dichiariamo la nostra intenzione di inasprire le norme e renderle più sistematiche, ma dall’altra parte siamo sempre pronti a concedere deroghe. Se la riforma del sistema pensionistico è davvero così indispensabile come ci fanno credere, anche se personalmente ne dubito, si possono trovare svariati esempi di regimi efficaci. A chi spetta stabilire le priorità per ordine d’importanza e perché?
Sono fermamente convinta che non dobbiamo avviare una discussione sulle deroghe in concomitanza con la discussione sulle modifiche da apportare al sistema.
John Bufton (EFD). – (EN) Signor Presidente, desidero fare alcune osservazioni in risposta alle dichiarazioni dei Presidenti Van Rompuy e Barroso di questa mattina. Mi sembra che entrambi neghino l’esistenza di una crisi nell’eurozona e il fatto che che ci troviamo sull’orlo del baratro. Anche molte delle persone che siedono dall’altra parte preferiscono chiudere gli occhi. Santo cielo, svegliatevi!
I cittadini ci guardano dai loro paesi e si rendono conto che quest’Aula dopotutto non è molto affollata. Questa è la crisi peggiore che abbiamo mai attraversato e vi posso garantire che è grave. Siccome il Presidente Barroso e il Presidente Van Rompuy parleranno tra qualche minuto, vorrei chiedere loro di spiegarmi quale sia il loro piano B. Perché ci deve essere un piano B, o volete permettere che tutto vada semplicemente a rotoli? Credo che questa sia la crisi più grave cui abbiamo dovuto mai fare fronte. Tutti gli Stati membri ne sono rimasti colpiti, senza eccezioni. Voi dovete avere un piano B per i cittadini. Se lo avete, per favore comunicatecelo.
Ildikó Gáll-Pelcz (PPE). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, con soddisfazione osservo che l’importanza di riforme pensionistiche sistematiche è stata riconosciuta nel corso della consultazione. Nell’ambito del patto di stabilità e crescita, le riforme non offrono purtroppo le medesime opportunità a tutti i soggetti coinvolti.
L’Ungheria di oppone a tale discriminazione e invita l’UE a includere il costo delle riforme pensionistiche nel calcolo dei disavanzi nazionali. Credo che i versamenti effettuati nei fondi pensione privati debbano essere tenuti in considerazione nel calcolo del deficit di bilancio, pena la discriminazione dei paesi che esercitano la loro libertà di scelta. Urge trovare una soluzione. La buona notizia è che una soluzione soddisfacente sarà già presentata alla riunione del Consiglio di dicembre. Vi invito a prendere una decisione politica non discriminatoria e di inoltrarla tempestivamente alla Commissione affinché si possa dare il via al processo legislativo che, si auspica, porterà a un risultato soddisfacente per tutte le parti coinvolte.
Antigoni Papadopoulou (S&D). – (EL) Signor Presidente, la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna risentono delle conseguenze della crisi economica. La situazione è sfuggita di mano. Non si può tornare indietro, dobbiamo prendere provvedimenti. Il clima di sospetto e di euroscetticismo non ci aiuterà a riprenderci dalla crisi economica internazionale.
Anzi, ciò di cui abbiamo davvero bisogno è una solidarietà interna alla Comunità, determinazione politica, visione, fiducia nel dinamismo europeo e soprattutto interventi coordinati, interventi in grado di realizzare un cambiamento strutturale a livello nazionale e comunitario. Occorre più occupazione, più crescita, procedure rapide, più posti di lavoro, l’attuazione della strategia UE, la razionalizzazione e la ridefinizione del governo d’impresa, la trasparenza nella governance economica, la verifica delle statistiche nazionali e un meccanismo permanente di gestione congiunta delle crisi nell’Unione europea che vada a esclusivo beneficio dei cittadini europei.
La crisi riguarda tutti, non soltanto i paesi più direttamente colpiti. Occorre la solidarietà della Comunità e un’azione coordinata.
Barry Madlener (NI). – (NL) Signor Presidente, l’area dell’euro sta collassando e il Presidente Barroso deve sovrintendere a questa capitolazione. I miliardi in aiuti forniti per anni a paesi come Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda non hanno aiutato queste economie deboli a competere con le economie forti della Germania e dei Paesi Bassi. Questi miliardi in aiuti hanno piuttosto fomentato comportamenti intollerabili da parte dei socialisti. Per esempio, in Grecia un lavoratore su tre è un dipendente pubblico; l’ondata di immigrati non occidentali in Europa è costata anch’essa miliardi a ogni paese e adesso questi immigrati sono a casa senza lavoro. Questi sono i risultati di un comportamento d’impronta essenzialmente socialista. Per esempio, rammentate che la Spagna ha regolarizzato un milione di immigrati clandestini qualche anno fa e ora si ritrova con un tasso di disoccupazione del 20 per cento? Adesso tocca a noi, alle economie forti, accorrere di nuovo in soccorso di questi paesi con miliardi in aiuti che rappresentano un mero palliativo per l’immediato futuro. Nel lungo periodo dovremo però interrogarci sull’opportunità di continuare a fornire un sostegno strutturale ai paesi deboli con aiuti miliardari pagati dai contribuenti. La risposta è negativa. Vorrei dunque domandare al Presidente Barroso se la reintroduzione della moneta nazionale, la dracma, in Grecia e di quella irlandese in Irlanda non rappresenterebbe forse la soluzione più lungimirante in grado di tirarci fuori da questi problemi. Questa soluzione è stata presa in seria considerazione da tali paesi?
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, in qualità di deputato irlandese ascolto malvolentieri i discorsi pronunciati questa mattina da quasi tutti gli intervenuti in merito alla situazione economica in Irlanda, tanto più se consideriamo che qualche anno fa eravamo considerati i testimonial del successo economico nell’Unione europea.
A prescindere da tali commenti, penso che l’Irlanda sia determinata a tornare sulla buona strada e credo che la grande maggioranza dei cittadini gradirebbe il sostegno dei nostri amici e colleghi europei.
Certo, occorre tirare le somme da quanto è avvenuto. Credo che l’onorevole Farage non avesse del tutto torto quando ha affermato che la crisi è dovuta alla stupidità e all’avidità dei politici irlandesi, implicati in una sorta di capitalismo clientelare insieme alle banche e ai legislatori che ne sono stati in buona parte la concausa. Dobbiamo imparare molto da quanto è avvenuto, ma sarà altrettanto importante riuscire a realizzare l’architettura di vigilanza entrata in vigore dal 1° gennaio. Gli indicatori e stress test previsti dovrebbero essere sufficienti a valutare la situazione e consentiranno di richiamare all’ordine chiunque si lasci sfuggire la situazione di mano.
Zigmantas Balčytis (S&D). – (LT) Signor Presidente, è davvero positivo che si cominci a discutere di argomenti davvero importanti come la futura gestione comune dell’economia. Credo che a breve ci troveremo a discutere di un possibile sistema fiscale condiviso. Oggi abbiamo un’esperienza diretta delle gravi ripercussioni di un tasso di cambio forte per l’euro, nonché di svariati altri fattori. Sono rimasto deluso quando ho scoperto oggi che sei mesi fa è stata condotta un’analisi bancaria i cui risultati non sono stati confermati. Ciò dimostra ancora una volta che a livello di Unione europea non disponiamo di informazioni affidabili, indispensabili per cercare vie di uscita da questa situazione alquanto complessa. In conclusione invito la Commissione europea ad avanzare le proprie proposte in maniera molto più proattiva in futuro, perché la situazione è complessa e richiederà sforzi imponenti, risorse finanziarie enormi e forse anche un approccio radicalmente diverso al monitoraggio degli indicatori economici, finanziari e di altro tipo.
Milan Zver (PPE). – (SL) Signor Presidente, signor Van Rompuy, signor Barroso, consentitemi questo breve intervento nella discussione. Dal mio punto di vista, la situazione appare relativamente chiara. Chi dobbiamo incolpare di questa grave crisi? Quella parte del comparto bancario che operava senza disporre di un’adeguata copertura e assumendo troppi rischi. A questi si aggiungono altri, per esempio i governi europei che hanno favorito consumi eccessivi e una certa mentalità distributiva tra le persone.
In quest’Aula sono state espresse oggi due correnti di pensiero; ci sono deputati che hanno invocato una maggiore solidarietà, lanciando una sorta di grido d’aiuto, e altri deputati che si appellano soprattutto a una maggiore responsabilità ora che stiamo uscendo dalla crisi. Non è corretto delegare la ricerca di soluzioni e vie di uscita proprio ai soggetti che ne sono stati i principali responsabili della crisi. Sbagliano quelli che si oppongono a misure draconiane di risparmio.
Nelle circostanze attuali è giusto che i contribuenti dei paesi affetti dalla crisi non vengano messi a tacere.
Petru Constantin Luhan (PPE). – (RO) Signor Presidente, mi compiaccio che la relazione sulla governance economica offra una nuova base per la realizzazione di sistema funzionale in questo ambito.
Le raccomandazioni contenute nella relazione sono volte, credo, alla creazione di istituzioni più forti per una governance economica di gran lunga più efficace. Sono previsti per esempio organismi pubblici a livello nazionale in grado di fornire analisi, valutazioni e previsioni indipendenti sulle questioni di politica fiscale interna. Tali dati serviranno da riferimento per la creazione di un sistema europeo trasparente.
Credo sia fondamentale permettere a ogni Stato membro di spiegare quale base di dati è stata utilizzata per l’analisi e la valutazione di ogni provvedimento fiscale nazionale proposto, affinché si possa sviluppare mano a mano un metodo basato sulla fiducia e sulla conoscenza reciproca.
Ribadisco la necessità di approvare misure specifiche volte a promuovere la governance economica basata su una conoscenza approfondita e trasparente. Occorre altresì avviare una discussione su qualsiasi provvedimento nazionale varato da uno Stato membro che sia passibile di avere ripercussioni a livello comunitario.
Elisa Ferreira (S&D). (Interrogazione all’onorevole Rangel presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento) – (PT) Signor Presidente, ho chiesto di intervenire con la procedura del cartellino blu perché sono stata criticata personalmente dall’onorevole Rangel e avrei gradito che mi fosse stata concessa la parola con maggiore prontezza.
Colgo questa opportunità per domandare all’onorevole Rangel di spiegare a noi tutti le differenze sostanziali in materia di gestione del debito pubblico nazionale tra le proposte del Cancelliere Merkel e quelle della Commissione. Lo invito a spiegarci anche perché la prima proposta della Commissione sulla gestione del debito pubblico nazionale, che era effettivamente europea, sia stata scartata senza alcuna discussione pubblica quando ci si è resi conto che male si conciliava con gli interessi della Germania.
Paulo Rangel (PPE). (Risposta all’interrogazione dell’onorevole Ferreira presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento) – (PT) Vorrei precisare con la massima brevità che il processo europeo è senz’altro contraddistinto da una negoziazione costante tra le istituzioni, ma che la Commissione ha sempre voluto difendere il metodo comunitario e promuovere un’ulteriore espansione della moneta unica. Certo, in Aula siedono anche deputati che amano venire qui per dibattere questioni di politica nazionale, come la collega Ferreira.
Diogo Feio (PPE). – (PT) Signor Presidente, l’Unione europea sta affrontando una fase di riforme radicali. È chiamata a fornire una risposta alla crisi difendendo una moneta unica che necessita di regole autonome valide per tutti gli Stati membri. Il Parlamento ha già assunto una posizione di guida in tema di governance economica, nella misura in cui ha invocato una maggiore cooperazione per la crescita tra i 27 Stati membri e si è espresso saldamente a favore del rispetto del patto di stabilità e crescita e della solidarietà tra gli Stati membri. Si rammenti che il Parlamento è stata la prima istituzione a sottolineare la necessità di un fondo per il debito dei diversi paesi UE. Intendiamo dunque continuare a collaborare con la Commissione, di cui salutiamo il Presidente, e speriamo di poter continuare a collaborare anche con il Consiglio. Finora sono state discusse sei relazioni e adotteremo una posizione molto chiara su ciascuna di esse.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, risponderò a due domande concrete, cui farò seguire un’osservazione di ordine generale dopo la discussione di questa mattina.
La prima domanda è stata sollevata dall’onorevole Schulz; si tratta di una domanda importante sugli stress test irlandesi. Tengo a precisare che la metodologia comune per gli stress test è stata convenuta a livello europeo e si distingue per l’estremo rigore e l’inclusione di scenari macroeconomici avversi. Tuttavia la conduzione dei test è devoluta alle autorità di vigilanza nazionali. A livello di Unione europea il coordinamento è stato affidato al CEBS, anche se non sono state attribuite competenze all’UE. Vorrei sottolineare che fino a poco tempo fa l’Unione europea non aveva questo genere di responsabilità. La situazione cambierà a partire dal prossimo gennaio, con l’entrata in vigore del nuovo sistema di regolamentazione e supervisione finanziaria sulla base delle proposte della Commissione e l’approvazione di Consiglio e Parlamento.
Disporremo di tre supervisori microprudenziali per banche, titoli e assicurazioni, oltre al Comitato europeo per il rischio sistemico cui competerà la stabilità macrofinanziaria e i rischi annessi. La prossima volta avremo a disposizione strumenti e un’infrastruttura assai più forti per condurre i test in modo più uniforme, rigoroso e coerente. Ci tengo a sottolineare questo aspetto; prima della crisi non disponevamo degli strumenti che stiamo approntando adesso.
La seconda questione concerne alcuni aspetti delicati come il meccanismo permanente anticrisi. Desidero precisare che non era mia intenzione sollevare la questione ma giacché mi è stata posta una domanda circostanziata, devo rispondere.
I capi di Stato e di governo hanno deciso all’unanimità – ci tengo a sottolinearlo – di richiedere un meccanismo permanente anticrisi con l’intervento del settore privato. Alla pari di altri, anch’io ho messo in guardia il Consiglio europeo contro i rischi di una proposta non sostenuta da un’adeguata preparazione e comunicazione. La questione è stata nondimeno sollevata e decisa; ora non possiamo che affrontarla con la massima responsabilità possibile. Tenuto conto della situazione, devo dire che alcune critiche mosse oggi non sono state affatto costruttive.
La nostra posizione è ancora molto difficile. Penso che a questo punto abbiamo bisogno di fatti piuttosto che di altre critiche. Le piazze finanziarie mondiali su cui ci muoviamo sono assai sensibili e alcune dichiarazioni possono avere l’effetto di una profezia autoavverantesi. Non è utile fare supposizioni sui paesi che potrebbero essere a rischio. Piuttosto dobbiamo chiedere a questi paesi di mettere in atto tutti i provvedimenti necessari al raggiungimento della stabilità finanziaria e di bilancio.
Questo è il motivo per cui non intendo ipotizzare un piano B. Continuiamo il nostro lavoro con il Presidente Van Rompuy, affrontando con responsabilità certe questioni con gli Stati membri. Per quanto concerne il ruolo della Commissione, non voglio dare adito ad alcun dubbio. Come la maggioranza dei deputati ha riconosciuto, la Commissione ha sempre voluto presentare proposte ambiziose. Noi siamo favorevoli a una governance economica ambiziosa per l’Europa.
Ma alla fine dobbiamo essere realistici. Insieme non possiamo avventurarci oltre quanto viene stabilito di comune accordo con gli Stati membri. In presenza di un accordo che comunque rappresenta un progresso rispetto alla situazione precedente, non giova affatto parlare di soluzioni ideali che, come sapete fin troppo bene, non potranno realizzarsi.
La Commissione svolge e continuerà a svolgere il suo compito, chiedendo più ambizione nella definizione delle nostre finalità comuni, della governance economica, della stabilità nell’eurozona e non solo.
Questo è un punto che voglio enfatizzare con la massima chiarezza, giacché credo che non sia emerso durante la discussione odierna. Alcuni deputati hanno affermato che i problemi si sono verificati nell’eurozona. Mi spiace dover precisare che essi non sono così circoscritti. Non è l’euro la causa del problema. È mia ferma convinzione che la situazione sarebbe stata di gran lunga peggiore se non avessimo l’euro.
(Applausi)
Alcuni di voi tendono a dimenticare che taluni paesi non aderenti all’euro stanno soffrendo esattamente di pari o talvolta più gravi problemi di indebitamento pubblico e che a finire in bancarotta è stato un paese non appartenente all’Unione europea ma in procinto di richiedere l’adesione – mi riferisco all’Islanda – che non utilizza l’euro. In realtà l’euro non è stata la causa del problema ed è disonesto sia da un punto di vista intellettuale che politico attribuire a lui la colpa.
(Applausi)
A questo punto dobbiamo riconoscere le peculiarità della situazione nella zona dell’euro, affrontarne i problemi e chiedere a tutti gli Stati membri di impegnarsi in un lavoro comune, a prescindere che appartengano all’eurozona o meno. Tutti hanno capito, credo, che abbiamo un interesse e un approccio comune nell’affrontare questa crisi. La Commissione persegue questo scopo con senso di responsabilità, premendo senz’altro affinché si punti il più in alto possibile, ma lavorando in sostanza in un clima di cooperazione sana e leale con tutte le istituzioni, con questo Parlamento come con il Consiglio e il Consiglio europeo. Questa è l’impostazione responsabile da seguire.
In un periodo di nervosismo estremo dei mercati, dobbiamo mantenere il sangue freddo e il nostro forte senso di responsabilità, ovviamente tenendo anche a mente la comunanza d’intenti della nostra Unione.
(Applausi)
Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, qualcuno ha osservato che esiste una dissonanza tra l’analisi del Presidente della Commissione e la mia, ma è la prima volta, onorevole Schulz, che mi si accusa di dire: “Va tutto bene, signora la marchesa”. Davvero, questa è la prima volta in tutta la mia carriera.
Posso assicurarvi che non sottovaluto in alcun modo la crisi e i momenti difficili che stiamo attraversando. In genere sono una persona assai prudente, salvo apparire diverso quando le mie osservazioni vengono prese fuori dal contesto, e ritengo che nella cornice europea si ecceda in affermazioni incendiarie e di altro tipo, anche se non in questo luogo. A questo punto occorre stabilizzare la situazione piuttosto che allarmarsi di continuo per la gravità della crisi, ormai nota a tutti. Dobbiamo passare all’azione.
Alcuni deputati hanno detto che dobbiamo apprendere da quanto è accaduto. Un proverbio francese dice che i nostri atti ci seguono. Onorevoli deputati, quando ho assunto la presente carica avevamo un patto di stabilità e crescita che con gli anni è stato reso più flessibile e che comunque non abbiamo applicato. Quando ho assunto il presente incarico ho dovuto fare i conti con il lascito del trattato di Lisbona che prevede alcune procedure di tipo sanzionatorio e decisionale da adottare nel caso di disavanzo eccessivo di un paese. Il trattato di Lisbona stabilisce che tocca al Consiglio decidere. Quando ho assunto il mio incarico non esisteva ancora il meccanismo per le crisi e abbiamo dovuto porvi rimedio.
È nostra intenzione rafforzare il patto di stabilità e crescita e introdurre ex-novo un sistema di vigilanza macroeconomico. Vi assicuro che alcuni dei problemi di certi paesi non si sarebbero mai verificati se ci fossimo dotati di questo meccanismo qualche anno fa. Saremmo riusciti a scoprire le bolle immobiliari e i problemi di competitività di alcuni paesi. Adesso ci accingiamo ad attivare questo meccanismo innovativo e nuovo, facendo tesoro di quanto ci ha insegnato la crisi.
Nel contempo vogliamo modificare anche il trattato di Lisbona al fine di dotare il meccanismo permanente anticrisi di una base giuridica conforme a determinati requisiti costituzionali. Le modifiche sono dettate unicamente da questo scopo e mi auguro che non rimarremo invischiati nell’ennesima discussione di vasta portata sulle istituzioni, che credo non recherebbe alcun frutto nel contesto attuale e avrebbe il solo effetto di sottrarre energia alla lotta contro la crisi.
Prima non disponevamo di un meccanismo di crisi; abbiamo dovuto inventarlo quando si è posto il problema della Grecia. Prima non c’era nulla. Parimenti, abbiamo potuto stanziare i 750 miliardi per il salvataggio soltanto fornendo un’interpretazione creativa del trattato di Lisbona.
Certo, la crisi è stata una maestra severa e posso affermare che "i nostri atti ci seguono". Prima c’era solo un patto di stabilità debole e non applicato, non c’era nessuna forma di vigilanza macroeconomica e nessun meccanismo di crisi.
Sul fronte degli Stati membri si è verificata in parallelo un’assunzione di responsabilità? Molti di essi lo hanno fatto; sono state avviate politiche di riforma, spesso contro la volontà diffusa dell’opinione pubblica. Gli Stati stanno adottando provvedimenti spesso assai coraggiosi e non solo dove si verificano le tensioni, ma anche altrove. Anche noi ci assumiamo le nostre responsabilità.
Onorevoli deputati, è importante mettere a fuoco il nemico. Spesso ho l’impressione che si volga lo sguardo con troppa insistenza ai governi e ai parlamenti degli Stati membri. Impariamo a riconoscere chi è il vero nemico.
Oggi è stata menzionata la situazione in Irlanda e anche in Portogallo. A questo punto consentitemi di citare alcune cifre. Il deficit pubblico era a 9,3 nel 2009, scenderà a 7,3 nel 2010 e a 4,6 l’anno successivo. Il tasso d’interesse medio del debito pubblico portoghese è estremamente basso, attorno al 3,6 per cento. Il paese non è affetto da alcuna crisi o bolla immobiliare. Il settore finanziario non è sovradimensionato rispetto al paese. Le banche sono sufficientemente capitalizzate. Mettiamo a fuoco il vero nemico. Chi parla della diffusione di una sorta di contagio non si basa su considerazioni economiche o razionali. Insisto a dire che dobbiamo riconoscere il vero nemico.
In risposta a chi ha invocato una cooperazione tra le istituzioni, posso assicurarvi che a livello di presidenze abbiamo fatto il possibile per lavorare insieme. La relazione della task-force è stata approvata dai suoi membri, incluso il rappresentante responsabile della Commissione europea. La collaborazione si estende anche ad altri ambiti, tra cui il meccanismo permanente di crisi.
Mi auguro che questo medesimo spirito potrà permeare l’elaborazione del bilancio previsionale 2011 e deploro il mancato raggiungimento di un accordo fino a questo momento.
Siccome parliamo di cooperazione, consentitemi un’osservazione. Tutti voi, deputati del Parlamento europeo, appartenete a determinati schieramenti politici. Talvolta riscontro una netta differenza tra quanto viene detto in seno al Consiglio europeo, dal portavoce del primo ministro e dei diversi partiti, e i discorsi pronunciati in questo emiciclo da parte di deputati che appartengono al medesimo schieramento politico. Le mie non sono parole di biasimo. Non siete tenuti a essere d’accordo in tutto con il vostro partito. Nel corso degli anni ho assistito a frequenti scontri in seno al mio partito. Nondimeno, faccio di tutto affinché si consegua una certa coerenza e cooperazione tra le istituzioni. Direi che occorre cooperare a tutti i livelli politici affinché si possa addivenire a una posizione più coerente di quella odierna.
Ha ragione chi afferma che stiamo perseguendo una politica di rigore, ma che l’austerità da sola non basta. Purtroppo si tratta di un passaggio obbligato. Se avessimo agito con maggiore cautela a livello macroeconomico e di bilancio, non ci troveremmo nella situazione odierna. Ma ciò di cui abbiamo realmente bisogno è una politica propositiva a favore della crescita e dell’impiego. Nonostante tutti i segnali negativi, mi compiaccio che la crescita economica in Europa sia nuovamente di segno positivo dopo all’incirca undici mesi di recessione. Come ho affermato in altre occasioni in quest’Aula, anche la crisi degli anni Trenta era cominciata con una crisi finanziaria che non fu mai del tutto risolta.
Abbiamo riguadagnato una crescita positiva dopo undici mesi dallo scoppio della crisi finanziaria. Per quest’anno è prevista una crescita media del 1,5 per cento. Nei paesi rimasti estranei ai problemi che abbiamo menzionato, la crescita raggiungerà i due punti percentuali, in alcuni paesi sfiorerà addirittura il 3 o il 3,5 per cento. A livello di Unione, l’occupazione media dovrebbe ricominciare a crescere dal 2011. Certo, il tasso di disoccupazione è troppo elevato ma constato con piacere che le nostre previsioni di crescita sono di gran lunga più ottimistiche rispetto a sei mesi fa e che si tratta di una crescita più equilibrata di quanto pronosticato. Infatti essa non si fonda esclusivamente sulla ricostituzione delle scorte, sui programmi di rilancio o sulle esportazioni, ma è alimentata anche dalla domanda interna.
Come ultima osservazione vorrei esprimere la convinzione personale che, nonostante tutti i problemi che senz’altro affliggono alcuni paesi, riusciremo di certo a superare la crisi odierna.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Il Consiglio europeo di ottobre ha compiuto l’ennesimo passo verso l’asservimento delle nazioni e la spoliazione della loro sovranità. Lo ha fatto attraverso la pseudo-governance economica che assume di fatto il controllo delle economie, giacché obbliga gli Stati a richiedere l’approvazione preliminare del bilancio ai funzionari di Bruxelles, esercita un controllo sull’insieme delle loro politiche economiche, impone sanzioni automatiche preventive – prima ancora che siano superati i limiti ammessi d’indebitamento e di disavanzo – fino all’eventuale sospensione del diritto di voto dello Stato inadempiente. Tutto questo rappresenta la contropartita offerta alla Germania in cambio di un prolungamento del fondo di stabilizzazione finanziaria. Ma questo meccanismo autorizza in sostanza gli Stati e la Commissione di Bruxelles a contrarre altri debiti o a farsi garanti sui mercati di prestiti a favore di Stati in difficoltà perché vittime della speculazione dei mercati contro il loro debito pubblico. E questo perché appartengono alla zona dell’euro. Pare incredibile. Come se non bastasse, il Consiglio europeo ha deciso pure di riformare i trattati al fine di istituire il meccanismo di gestione delle crisi. Per la prima volta si ricorrerà a una procedura semplificata di revisione, ossia a un metodo antidemocratico che non prevede alcuna discussione parlamentare. Altro che governance, questo è totalitarismo.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Fino al 2007 l’Europa intera osservava ammirata il boom economico dell’Irlanda, la “tigre celtica” che era riuscita a mettere a segno dati economici da record grazie a una tassazione leggera delle imprese e una regolamentazione ridotta. Ma adesso c’è il risveglio alla realtà e la tigre celtica è diventata un gattino inerme che il resto d’Europa deve salvare tirandolo per la collottola. Il salvataggio dell’Irlanda costerà 90 miliardi di euro, pari a 300 euro per ogni austriaco. Non parliamo soltanto di garanzie di stato teoriche, destinate prima a quella pecora nera della Grecia e ora pure all’Irlanda, forse in attesa che si aggiungano anche Spagna e Portogallo, bensì di denaro contante dei contribuenti. L’unione monetaria europea sta diventando un poco alla volta un’unione delle elargizioni da parte degli Stati dell’euro più morigerati, costretti ad aprire il portafoglio per pagare la cattiva amministrazione degli altri. L’UE si è preoccupata troppo tardi di affrontare il problema e resta da verificare se le decisioni del Consiglio europeo saranno accompagnate da fatti. I miliardi dei contribuenti non devono più finire nelle fauci di Stati incapaci di gestire la loro economia e di banche che arrischiano speculazioni finanziarie. Bisogna farla finita con l’unione delle elargizioni. Occorre un meccanismo che consenta agli Stati insolventi di fallire realmente e di abbandonare la zona dell’euro. Non possiamo continuare a proporre ricette per un’unione monetaria di salute cagionevole, quello che ci occorre è un’unione monetaria forte al centro dell’Europa.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Onorevoli colleghi, sia la Grecia sia l'Irlanda hanno dovuto ricorrere all'intervento dell'UE. Vi sono però dei distinguo da fare tra questi due casi. Il deficit di Dublino è esploso perché il paese ha dovuto tamponare le difficoltà del settore bancario in crisi per i contraccolpi della crisi finanziaria globale, accentuati dallo scoppio della bolla immobiliare. Questo intervento, in un momento di crisi strutturale, ha fatto sì che le finanze pubbliche non potessero più sostenere una tale situazione. Per la Grecia, invece, la ragione dell'intervento è dovuta a una gestione poco avveduta della spesa pubblica che ha reso necessario un afflusso di denaro proveniente dai titoli di Stato. In visione della riforma della governance economica, è pertanto necessario fare la seguente osservazione. Occorre certamente attuare politiche di bilancio rigorose, per sorvegliare e far sì che non si verifichino in futuro tali situazioni. Tuttavia, proprio questi due casi dimostrano come sia fondamentale tenere conto di tutti i fattori relativi alle finanze e alla solidità di uno Stato e non soltanto del debito pubblico strutturato. Questo infatti può essere solo il dato finale, ma occorre andare a verificare quali elementi e cause stanno dietro tali cifre e in che modo si è arrivati ad una tale situazione.
Monika Smolková (S&D), per iscritto. – (SK) Il patto di stabilità e crescita prevede sanzioni che possono essere però comminate solo con l’approvazione di due terzi dei ministri e non c’è mai stata la volontà politica di procedere in tal senso. Guardo al meccanismo anticrisi con un certo scetticismo. Il Presidente del Consiglio Van Rompuy non dovrebbe modificare l’articolo 125 del trattato di Lisbona in cui si stabilisce che ogni paese è responsabile per l’adempimento dei suoi obblighi. Piuttosto sarebbe auspicabile estendere l’articolo 122 relativo alla solidarietà che stabilisce l’obbligo di assistenza reciproca in caso di calamità naturali o crisi nel comparto energetico. L’emendamento all’articolo rischia di compromettere un principio – la solidarietà – fondamentale per il funzionamento dell’UE e rischia di provocare una diminuzione di tale solidarietà. Se il meccanismo anticrisi fosse attivato ai sensi dell’articolo 122 sull’erogazione di finanziamenti a singoli paesi, il Consiglio dovrebbe decidere sulla base di una proposta della Commissione e avrebbe un obbligo d’informazione nei confronti del Parlamento europeo. Rischiamo altrimenti che i paesi più responsabili siano costretti a pagare per l’irresponsabilità di altri.
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sui risultati del vertice del G20.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Presidenza del Consiglio e il Parlamento europeo hanno già avuto l’opportunità di discutere del G20 lo scorso 20 ottobre, alla vigilia della riunione ministeriale del G20 e in attesa di ciò che si sarebbe svolto a Seul.
Gli europei si sono preparati con attenzione a questi appuntamenti, sia a livello ministeriale, sia al livello dei capi di Stato e di governo. Ci siamo resi conto che la mancanza di coesione tra di noi avrebbe causato un rapido declino della credibilità dell’Unione europea sulla scena internazionale. Bisogna riconoscere che il vertice di Seul ha suscitato reazioni miste nel mondo. Da parte mia, penso che dobbiamo continuare a dar prova di un certo ottimismo malgrado tutto, anche se i risultati non sono stati brillanti come si sarebbe potuto auspicare.
Prima di Seul eravamo convinti che la prova più difficile e importante sarebbe stata innanzi tutto di non perdere slancio. Non dobbiamo cadere nell’errore di pensare che non abbiamo più bisogno di coordinarci sulla scena internazionale, adducendo come pretesto che non versiamo più nella situazione critica di un anno e mezzo fa o ancora dello scorso semestre. Crediamo ancora che ai dirigenti politici spetti il compito di prendere delle decisioni. È vero, questa è l’essenza stessa della politica. Ma credo che sui politici ricada anche un’altra responsabilità, ben più importante: fare in modo che le decisioni non rimangano solo sulla carta, bensì producano degli effetti concreti e siano applicate appieno.
Il vertice di Seul ha dimostrato che la vera sfida per il G20 e dunque per tutti noi consiste nel capire come proseguire e addirittura accelerare la sua implementazione. È importante passare dalle pie intenzioni a risultati concreti per almeno due ragioni. La prima è che i mercati non si accontentano delle dichiarazioni, ma osservano gli sviluppi reali nei due, dieci, trenta giorni successivi al vertice, quando i media hanno spostato altrove le loro telecamere. Lo stato di salute dell’economia europea deve essere compreso nel suo insieme e non dipende esclusivamente dai progressi ottenuti in due giornate di vertice. I progressi cui aspiriamo possono essere solo il coronamento di un lavoro quotidiano e costante, come voi stessi sapete ben meglio di chiunque altro, onorevoli membri del Parlamento europeo.
Il secondo motivo è altrettanto importante del primo e vi riguarda direttamente. Credo che il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali possano svolgere un ruolo sia di controllo, sia d’impulso politico sui temi prioritari europei e internazionali in ambito economico, garantendo che questo lavoro di attuazione prosegua tra un vertice e quello successivo, affinché il G20 assomigli sempre più a un processo piuttosto che a una serie di appuntamenti.
In termini concreti, il contributo dell’Unione a una crescita forte, duratura e equilibrata è ormai palese e fondato su taluni principi : i programmi di consolidamento fiscale orientati a una crescita sostenibile e differenziata, la strategia Europa 2020 per le necessarie riforme strutturali destinate in particolare a sostenere la creazione d’impiego, il programma di riforma del comparto e delle piazze finanziarie, nonché il rafforzamento della governance economica dell’Unione. Aggiungerei che l’Unione è senz’altro interessata al processo di valutazione inter pares nell’ambito del G20. Noi europei abbiamo dimestichezza con questo strumento e sappiamo bene quanto sia prezioso. Certo, ciascuno deve fare la propria parte e dimostrare una volontà rinnovata di contribuire alle iniziative per la crescita.
In sintonia con le mie precedenti osservazioni, desidero ribadire che la battaglia contro il protezionismo non la si vince una volta per tutte bensì giorno dopo giorno, mantenendo il necessario grado di vigilanza globale.
Per il resto, vorrei sottolineare tre sviluppi importanti dell’ultimo mese. Il primo riguarda la riforma del Fondo monetario internazionale a seguito dell’intenzione manifestata dagli europei di rendere il nuovo FMI più rappresentativo della nuova realtà economica internazionale, affinché le economie emergenti possano fare sentire la loro voce e svolgere un ruolo più centrale. Abbiamo accettato di ridurre la nostra presenza in seno al comitato esecutivo del FMI e abbiamo fatto concessioni importanti in termini di quote. Nel contempo penso che siamo riusciti a mantenere ciò a cui tenevamo di più e, in generale, che la comunità internazionale ne abbia tratto vantaggio.
Il secondo sviluppo riguarda l’accordo chiamato Basilea III. Credo che ci stiamo muovendo nella direzione giusta per quanto concerne i requisiti di capitalizzazione delle banche ed è senz’altro fondamentale che tutti gli Stati aderenti si impegnino realmente nell’applicazione di Basilea III. A questo proposito, l’aspetto attuativo rimarrà ovviamente un tema politico prioritario dell’Unione e del G20.
Se ripensiamo a quanto è accaduto in queste ultime settimane con la cosiddetta guerra delle divise, credo che l’Unione europea abbia compiuto un ottimo lavoro e sia riuscita a difendere una posizione equilibrata, secondo cui i tassi di cambio devono riflettere i fondamentali dell’economia e non è lecito ricorrere a svalutazioni a fini competitivi.
Dopo Seul, la Francia ha assunto la presidenza del G20 e, a mio avviso, questa rappresenta un’occasione unica per gli europei e per l’Unione europea in quanto tale. Sarà fondamentale lavorare insieme in maniera coordinata affinché il G20 possa dimostrarsi all’altezza delle aspettative per l’intero anno a venire, in vista del vertice di Cannes nel novembre 2011 e anche dopo.
La vera sfida per noi consisterà nel dimostrare che un consesso nato per fare fronte alla crisi è anche in grado di fornire un contributo e l’impulso necessario per conseguire degli obiettivi a medio termine, quali una nuova crescita globale più sostenuta, forte ed equilibrata; regole chiare ed eque per il mercato finanziario internazionale; organizzazioni internazionali più rappresentative del mondo odierno, in grado di aiutare i governi nazionali e le istituzioni europee ad affrontare la globalizzazione. Signor Presidente, credo sia compito del G20 dimostrare negli anni a venire che questa globalizzazione non riguarda solo la sfera economica, bensì anche e soprattutto la politica.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, prima del vertice di Seul di questo mese ci si preoccupava che con il recedere della crisi che aveva reso più coesi tra loro i paesi del G20, questo forum avrebbe perso il suo ruolo di momento di confronto privilegiato per il coordinamento dell’economia mondiale. Dopo il vertice di questo mese posso assicurarvi che simili timori sono infondati. Abbiamo assistito al passaggio del G20 dalla modalità di crisi a un’impostazione più stabile per la governance globale.
Nonostante la delicatezza di alcuni temi in discussione e l’impossibilità di addivenire a un accordo su argomenti come la tassazione del comparto finanziario, il G20 è riuscito a lanciare anche questa volta un messaggio importante di volontà globale; sono stati compiuti progressi tangibili e costanti sui punti critici dell’economia mondiale. Mi rendo conto che i risultati del G20 sono stati accolti con un pizzico di scetticismo perché non ci sono state svolte spettacolari dell’ultimo minuto, servite a puntino per il telegiornale della sera. Ma agli scettici sfugge l’eccezionalità stessa del processo del G20, ben diverso dal nostro processo europeo più integrato, dove chiunque sieda al tavolo condivide con gli altri una cultura comune del negoziato e del compromesso.
Ad eccezione dell’Unione europea e di alcuni suoi Stati membri, il G20 è costituito da paesi assai eterogenei come gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, il Brasile e il Giappone, l’Argentina, l’Arabia Saudita, la Corea e il Sud Africa. Il semplice fatto che questi paesi siano coinvolti in un processo condiviso volto a contrastare gli squilibri mondiali e a trovare accordi per una regolamentazione del settore finanziario, per esempio, merita di essere riconosciuto quale significativo avanzamento che sarebbe stato del tutto inconcepibile alcuni anni fa. Il vertice di Seul è stato un ulteriore, importante passo di questo processo che persegue un nuovo programma politico e non rappresenta un evento spettacolare fine a se stesso.
Dunque confermo che il vertice è stato un successo e penso che l’Unione europea, nella mia persona e in quella del Presidente del Consiglio europeo, possa ritenersi soddisfatta delle conclusioni del vertice. Il nostro contributo alle questioni finanziarie è stato molto significativo anche a livello ministeriale, dove l’Unione europea era rappresentata dal Commissario Olli Rehn competente per questo ambito. Nel complesso, le conclusioni del G20 riflettono le priorità stabilite dall’Unione europea alla vigilia di Seul e l’UE dovrebbe essere fiera del prezioso apporto che offre a questo processo.
Permettetemi di sottolineare i nostri principali risultati; innanzi tutto, l’Unione europea voleva dal vertice un progresso verso un intervento concertato per promuovere la crescita e l’occupazione, oltre a risposte su come affrontare gli squilibri mondiali e le tensioni nei rapporti valutari. Noi tutti sapevamo che la ricerca di un consenso su come affrontare gli squilibri mondiali sarebbe stata una strada in salita ma, dopo negoziati protratti e difficili, il G20 ha scelto una soluzione cooperativa per l’istituzione di un meccanismo e la definizione di un limite temporale entro cui le nostre economie devono affrontare la questione insieme.
Le parti al G20 si sono impegnate a una riduzione dei divari eccessivi e al mantenimento delle attuali disparità di bilancio entro limiti accettabili. Non sottovalutate l’importanza di questo aspetto. La discussione del G20 su come fare fronte agli squilibri ha dimostrato che l’UE si è mossa in anticipo sugli altri. Gli esiti della nostra riflessione sugli squilibri interni dell’Unione europea ha ispirato i leader del G20 che la hanno scelta come soluzione migliore per affrontare gli squilibri mondiali. Il nostro metodo, basato sull’utilizzo di indicatori per la valutazione degli squilibri macroeconomici e dei loro fattori scatenanti, è il modello per il nuovo meccanismo del G20 che sarà istituito verso la metà del 2011, mentre la prima valutazione è attesa prima del prossimo vertice di novembre 2011.
Durante la Presidenza francese del G20 nel 2011 ci concentreremo sul rafforzamento di questo meccanismo e sulla sua adeguata applicazione. Le conclusioni del vertice sono state importanti ma convengo anch’io che bisogna vedere come saranno tradotte nei fatti.
Un secondo risultato importante è stato conseguito sul fronte dei tassi di cambio. Non sarà possibile riequilibrare la crescita a meno che non si affronti la questione delle tensioni valutarie. Anche su questo fronte, l’Unione europea ha favorito la creazione di un consenso generale per soluzioni cooperative. Abbiamo convenuto di avanzare verso sistemi di cambio determinati maggiormente dal mercato e in grado di riflettere i fondamentali economici sottostanti. Parimenti abbiamo concordato di evitare raffronti tra valutazioni e di vigilare su volatilità eccessive e movimenti disordinati nei tassi di cambio.
Questo consenso offre un abbrivio politico alla Presidenza francese del G20 che si occuperà di realizzare una riforma generale del sistema monetario internazionale. Con soddisfazione osservo inoltre che il vertice del G20 ha avallato la riforma storica del FMI. Sono state addirittura superate le previsioni di Pittsburgh sulla ridestinazione delle quote e sulla rappresentanza delle economie emergenti. Grazie all’atteggiamento aperto e cooperativo degli Stati membri UE, alle nostre concessioni sostanziali e disponibilità ad assumere responsabilità, il Fondo si è vista riconosciuta la legittimità necessaria ad affrontare altri compiti difficili del futuro, tra cui in particolare le disparità e le tensioni valutarie. In cambio di questa rappresentatività, i paesi emergenti devono dimostrarsi disposti ad assumere maggiori responsabilità per una governance economica globale.
Un altro risultato del vertice è stato il sostegno confermato a una riforma globale del quadro regolamentare per il comparto finanziario e in particolare alla sua attuazione. Certo plaudiamo all’approvazione della riforma di Basilea III e all’intenzione del G20 di continuare a lavorare su istituzioni finanziarie importanti per il sistema. Il G20 estenderà la riforma del comparto finanziario anche ad ambiti correlati come le direttive macroprudenziali, il sistema bancario parallelo, i mercati dei derivati sulle materie prime, l’integrità e l’efficienza del mercato.
L’Unione europea è all’avanguardia su svariati di questi aspetti e il nostro lavoro interno confluirà nel processo del G20. A questo punto è fondamentale assicurare un adempimento rigoroso e coerente di questi impegni secondo un calendario concordato, al fine di creare parità di condizioni per tutti. Dagli Stati Uniti abbiamo ricevuto assicurazioni forti circa la loro determinazione in questo ambito. Il vertice di Seul ha dato un nuovo impulso anche alla conclusione del round negoziale di Doha e ha ribadito la volontà del G20 di contrastare il protezionismo in tutte le sue forme.
A titolo personale, provo soddisfazione in particolare per il fatto che lo sviluppo è stato definitivamente incluso nell’ordine del giorno del G20 con il Consenso di Seul che abbina lo sviluppo al commercio e agli investimenti. Il nuovo approccio orientato alla crescita integrerà le attività esistenti messe in atto dai donatori e il sistema delle Nazioni Unite. Esso ci aiuterà a realizzare gli Obiettivi di sviluppo del Millennio ed è in perfetta sintonia con la proposta avanzata di recente dalla Commissione nel Libro verde sul futuro della politica di sviluppo. Il Libro verde è accessibile per la consultazione e mi saranno senz’altro graditi i suggerimenti di quest’Assemblea.
Da ultimo, plaudo con convinzione all’adesione del G20 al piano d’azione anti-corruzione, al lavoro futuro sulle questioni energetiche e agli sforzi per un risultato equilibrato e positivo dei negoziati sul clima a Cancun.
(FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, l’interesse crescente dimostrato da imprese e sindacati conferma che il processo del G20 si è ormai imposto come il grande forum per il coordinamento dell’economia a livello mondiale. In occasione del vertice per il mondo degli affari, il G20 Business Summit, cui ho partecipato, ho potuto sottolineare l’importanza della responsabilità sociale delle imprese. Inoltre ho ricevuto alcune delegazioni sindacali di Europa, America del Nord e del Sud e Asia. Ho convenuto con queste delegazioni portate dalla Confederazione europea dei sindacati (CES), che l’occupazione deve diventare una priorità e sottolineato che l’Europa proponeva in effetti l’inclusione della dimensione lavorativa e di quella sociale nelle conclusioni del vertice.
Dopo Seul, i nostri occhi sono puntati sulla prossima presidenza e sul vertice di Cannes nel novembre 2011. Dobbiamo sfruttare questa opportunità offerta dalla presenza di uno Stato membro al posto di guida. Dobbiamo definire senza indugio la nostra posizione e contribuire attivamente, in maniera coordinata, alla definizione dell’ordine del giorno del G20.
La Commissione è disposta a offrire un sostegno incondizionato alla presidenza francese in tutte le sue priorità. Tra queste figura la riforma del sistema monetario internazionale, per la quale dovremo articolare una serie di proposte coerenti, volte a migliorare la stabilità e ridurre la volatilità dei tassi di cambio.
Un’altra priorità riguarda la volatilità dei prezzi delle materie prime. Nei mesi a venire, la Commissione effettuerà un’analisi dei mercati primari per tutte le materie prime.
Consideriamo la presidenza francese un’occasione unica da cogliere affinché l’Europa possa lasciare la sua impronta nell’ordine del giorno mondiale del G20. Agendo di concerto nell’ambito del G20, aiuteremo l’Europa a consolidare la propria posizione al centro della discussione economica e finanziaria mondiale e ad assumere un ruolo chiave nella nostra risposta alle sfide globali.
Jean-Paul Gauzès, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, dovrei avere un minuto a disposizione, se le informazioni che mi hanno fornito sono corrette.
Signor Presidente in carica della Presidenza belga, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, desidero comunicare innanzi tutto al Ministro Chastel il mio apprezzamento per la lucidità del suo giudizio su questo ultimo G20 e la mia adesione alle proposte che ha formulato per il futuro.
A mio avviso occorre prendere atto che i risultati sono stati alquanto modesti, nonostante l’approvazione di Basilea III e la riforma del FMI. Possiamo solo sperare insieme al Presidente della Commissione che questo vertice di Seul prelude all’attuazione delle proposte ambiziose della presidenza francese che sono vieppiù giustificate dall’urgenza e dal persistere di una situazione difficile. L’Unione europea deve rimanere unita se vuole esercitare appieno la sua influenza.
Occorrono risultati concreti e concordo con il Presidente Barroso quando afferma che i nostri cittadini si aspettano azioni piuttosto che discorsi o dichiarazioni. La globalizzazione dell’economia e della finanza impone progressi concreti verso una maggiore armonizzazione internazionale delle norme. I mercati sono più rapidi a rispondere dei politici. L’Europa non deve dimostrarsi ingenua e verificare che sia rispettata la reciprocità.
Udo Bullmann, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel suo intervento di questa mattina la collega Harms si è interrogata sul motivo per cui nessuna scintilla scocca più dai vertici fino a diffondersi tra la popolazione; si è domandata perché dalle discussioni dei vertici non scaturisca un nuovo coraggio e una rinnovata fiducia. Dopo avere ascoltato i suoi interventi di questa mattina e ora, Presidente Barroso, oltre a quelli del Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy o del Consiglio, comincio a capire perché non scoccano scintille. La scintilla non si diffonde neppure in quest’Aula, come può ben vedere lei stesso. Certo sarebbe meglio se fossero presenti più deputati. Ma perché mancano all’appello? Non è giusto che siano assenti, ma d’altronde qui non viene detto nulla di veramente nuovo. Lei ci racconta le stesse cose che abbiamo letto più volte sui giornali, ma non ha dato alcuna risposta alle domande più puntuali che sono state formulate. Sarà mai approvata una tassa sulle transazioni finanziarie? Il collega Schulz ha posto il quesito in più occasioni. Dov’è la risposta? Tale tassa non figura tra le priorità del vertice di Seul. Vorrei che mi fosse fornita una spiegazione.
Parimenti vorrei sapere perché il Consiglio europeo e la Presidenza belga del Consiglio affermano di essere favorevoli a questa proposta, ma negli ultimi tre vertici il Consiglio europeo si è limitato ogni volta a raccomandare che venga condotto uno studio di fattibilità a livello mondiale anziché europeo. Perché non a livello europeo? Il Consiglio non si rende conto di portare la questione a un punto morto? Ancora una domanda, Presidente Barroso: quando darà seguito il Commissario Šemeta alla richiesta avanzata dal Parlamento all’inizio dell’anno, affinché sia condotto uno studio di fattibilità anche per l’Europa? Se lei decidesse di pronunciarsi su questo tema, l’Aula si riempirebbe e noi saremmo qui per ascoltarla. Non sia più così evasivo. Anche solo per l’Europa, parliamo di oltre 200 miliardi l’anno. Domandi pure ai colleghi della commissione per i bilanci a quanto ammontano i miseri importi per cui sono costretti a lottare con il Consiglio. Un’iniziativa ci consentirebbe di fare progressi. Se viene infusa nuova vita nei ruoli e nelle mansioni, le scintille attecchiscono di nuovo. Ci aspettiamo questo da lei.
Marielle De Sarnez, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, possiamo moltiplicare i vertici e le riunioni, ma l’Europa riuscirà a fare sentire il proprio peso solo quando si farà portatrice di una visione offensiva comune. In caso contrario, il prossimo G20 si ridurrà a un faccia-a-faccia tra Cina e Stati Uniti da cui usciremo inevitabilmente perdenti, anche se gli argomenti di certo non mancano.
La zona dell’euro è segnata da difficoltà che richiedono risposte decise dall’interno. Anche il sistema monetario internazionale sta attraversando un periodo assai critico che acuisce le nostre difficoltà e crea condizioni competitive destabilizzanti e ingiuste per l’Europa. Questo è il primo punto. Gli europei devono portare al G20 un progetto per un nuovo ordine monetario internazionale e mondiale basato su una unità di conto fondata su un paniere di divise dove non può mancare il dollaro, l’euro e lo yuan.
La regolamentazione del settore finanziario è un altro tema che dovremo riprendere. Le dichiarazioni a favore della lotta contro i paradisi fiscali non sono state seguite dai fatti e l’attività delle agenzie di rating non risulta a tutt’oggi regolamentata. Purtroppo sopraggiungono altre sfide ancora, in particolare la necessità di regolamentare i mercati delle materie prime fossili, minerali o agricole. Qui avrei un suggerimento. In questo ambito, gli europei dovrebbero proporre, secondo me, la creazione di un’organizzazione mondiale delle materie prime.
L’economia mondiale è infatti minacciata da un rischio tangibile, perché alcuni paesi produttori organizzano strozzature volontarie degli approvvigionamenti – mi riferisco in particolare alla Cina. Le speculazioni sulle materie prime agricole è profondamente immorale, giacché aggrava le intemperanze del clima con un rischio supplementare di carestia per i paesi in via di sviluppo.
Su tutti questi grandi temi che riguardano l’equilibrio mondiale, come potete ben vedere, nutro una convinzione personale; credo che la presidenza francese potrà essere davvero utile solo a condizione che s’iscrivi da subito entro un quadro europeo.
Patrick Le Hyaric, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’ampiezza della crisi globale mondiale, l’emergenza sociale e ambientale chiedono un intervento risoluto dell’Unione europea al G20 che porti a dichiarazioni d’intento sulla regolamentazione della finanza internazionale.
I negoziati dell’Organizzazione mondiale del commercio non devono trasformare il mondo in una giungla capitalista. Al sistema di scambi si devono applicare norme sociali, ambientali e occupazionali Occorre debellare il flagello della disoccupazione, che interessa ormai oltre 250 milioni di persone sulla Terra, interrompendo le politiche di rigore attualmente in corso.
Da un altro punto di vista occorre prosciugare i paradisi fiscali, inventare un meccanismo di tassazione per i movimenti di capitale, creare un fondo mondiale di stabilizzazione dei prezzi delle materie prime, a cominciare da quelle agricole, riformare il sistema monetario internazionale attribuendo al Fondo monetario internazionale un nuovo ruolo in materia di occupazione e sviluppo umano sostenibile, istituire una moneta universale che metta in questione la supremazia del dollaro.
Inoltre occorre mettere fine allo scandalo delle agenzie di rating che sono sia valutatrici che parti coinvolte asservite alle banche. I popoli devono avere voce in capitolo su tutte questi problemi che li riguardano.
Georgios Papanikolaou (PPE). – (EL) Signor Presidente, l’annuncio dei risultati ottenuti al vertice del G20 è stato senz’altro importante, tuttavia una seconda lettura solleva forti interrogativi su alcuni aspetti.
Più precisamente, dai venti paesi sviluppati è arrivato un richiamo a tutti i paesi che attuano politiche economiche non coordinate. Ma a ben guardare, gli Stati Uniti praticano una loro politica economica basata sull’allentamento quantitativo, gli Stati membri dell’Unione europea hanno invece optato per una politica di austerità, mentre la Cina ha adottato un comportamento ancora diverso, scegliendo di sottovalutare la propria moneta.
A questo punto vorrei capire che senso abbia un simile richiamo e a chi sia in ultima analisi destinato. Mi pare assai improbabile che il messaggio fosse diretto a paesi che poco influiscono sull’economia globale. Nel caso in cui i paesi del G20 abbiano lanciato questo monito a loro stessi, dobbiamo prendere seriamente in considerazione la possibilità che esista una pericolosa congiura politica in un momento in cui occorre un intervento immediato per l’economia.
Charles Goerens (ALDE). – (FR) Signor Presidente, intendevo porre la mia domanda al Presidente Barroso, ma giacché questi si è assentato, vorrei rivolgerla alla Presidenza belga.
Ai giorni nostri è possibile praticare il dumping commerciale senza violare alcuna delle norme anti-dumping stabilite dall’OMC. Mantenere un tasso di cambio sistematicamente sottovalutato sortisce in effetti il medesimo risultato. Benché si cominci ad affrontare, seppur timidamente, il tema delle svalutazioni monetarie competitive, dobbiamo domandarci quanto possa ancora sopportare l’Unione europea.
La mia domanda alla Presidenza belga è la seguente: se il G20 non è in grado di porre una fine ai disordini monetari, crede che i negoziati dell’OMC ne uscirebbero indenni?
Nikolaos Salavrakos (EFD). – (EL) Signor Presidente, ritengo che il vertice del G20 di novembre non abbia prodotto risultati di sostanza. Il vertice è stato l’ennesima riprova della posizione dominante di cui godono gli Stati Uniti e degli sforzi compiuti dalla Cina per assicurarsi un posto sulla scena internazionale.
Come ben sappiamo, la crisi economica mondiale è cominciata nel 2007 quando le banche d’investimento britanniche hanno cominciato, una dopo l’altra, ad avere problemi di liquidità. È universalmente noto e risaputo che l’amministrazione americana è stata obbligata a stampare più soldi, per l’esattezza 700 miliardi di USD in una prima fase e altri 600 miliardi di USD di recente.
A differenza della risposta statunitense a questi problemi valutari, l’Europa in generale e l’eurozona in particolare sono rimaste fedeli al principio della disciplina di bilancio e a una politica monetaria molto controllata, lasciando mano libera a operazioni speculative sui mercati che hanno danneggiato le economie meno forti d’Europa e più specificatamente della zona dell’euro.
Penso che dovremmo prendere in considerazione la possibilità di stampare nuova moneta in Europa sotto forma di banconote oppure di Eurobond.
Michel Dantin (PPE). – (FR) Signor Presidente, i cittadini nutrono delle aspettative su di noi, aspettano che l’Europa si pronunci sulla questione della governance mondiale. È nostro compito essere una forza propositiva e capace di prendere decisioni. Diversi intervenuti hanno sottolineato questa mattina che la presidenza francese del G20 potrebbe rappresentare un’opportunità per l’Europa. Condivido senz’altro questa idea e credo sia opportuno che il nostro Parlamento venga tenuto regolarmente al corrente dei progressi compiuti nei lavori del G20 durante la presidenza francese. Credo che il presidente della Repubblica di Francia sarebbe disposto a parlare dinanzi a questo Emiciclo. Signor Presidente, credo che lei dovrebbe invitarlo.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, il G20 è senz’altro un consesso molto particolare, dove tutte le decisioni devono essere prese all’unanimità. Tuttavia, come ha sottolineato il Presidente della Commissione e il Presidente belga, il processo continua e io mi limiterò ad affrontare la questione relativa alla tassazione del settore finanziario.
Il vertice non ha segnato un punto di svolta, tuttavia è stato convenuto di approfondire il lavoro innovativo sul settore finanziario durante la Presidenza francese. L’Unione europea è disposta a lavorare nella cornice del G20 per la valutazione e la definizione di una tassa sulle transazioni finanziarie a livello globale. Come ho precisato poc’anzi, il G20 si basa sul consenso e diverse parti del G20 attualmente non condividono il nostro punto di vista, ma noi continueremo a lavorare verso un consenso.
Nel frattempo dobbiamo escogitare altri sistemi affinché il settore finanziario contribuisca in giusta misura, per esempio tramite strumenti come la tassa sulle attività finanziarie. Il 7 ottobre 2010, la Commissione ha esposto il suo punto di vista sulla questione e procederà come segue. Innanzi tutto dobbiamo fare in modo che il settore finanziario contribuisca equamente alle finanze pubbliche. Questo contributo è vieppiù doveroso in seguito al sostegno di cui il settore ha usufruito durante la crisi. In secondo luogo dobbiamo accertarci che qualsiasi imposta proponiamo offra benefici reali e incrementi il gettito in maniera sostanziale, senza per questo minare la competitività europea. In terzo luogo dobbiamo assicurarci che il mosaico costituito dai diversi regimi nazionali di tassazione del settore finanziario non frapponga nuovi ostacoli al mercato unico.
In sintonia con queste finalità, la Commissione ha elaborato un sistema duplice di tassazione del settore finanziario. Un’imposta sulle attività finanziarie appare la soluzione migliore all’interno dell’UE. La tassazione dei profitti e delle remunerazioni nel settore finanziario garantirebbe un’imposizione equa e produrrebbe anche il gettito necessario. Inoltre l’imposta sulle attività finanziarie costituirebbe un rischio minore per la competitività dell’UE rispetto ad altri strumenti fiscali adottati in maniera unilaterale.
La tassa sulle transazioni finanziarie deve essere introdotta a livello mondiale. Una tassa internazionale sulle transazioni del settore finanziario globalizzato è la soluzione migliore per finanziare taluni obiettivi internazionali, per esempio in materia di aiuti allo sviluppo e di cambiamento del clima. Se scegliamo l’imposta giusta e vigiliamo sulla sua applicazione, potremo avere una nuova e importante fonte di gettito senza per questo compromettere la nostra competitività.
La Commissione intende continuare a lavorare su queste possibilità e presentare alcune iniziative politiche nel 2011. In via preliminare sarà condotto uno studio d’impatto sulla tassazione del settore finanziario che terrà conto delle proposte appena delineate. Nell’ambito dello studio terremo conto anche dell’analisi degli Stati membri. Prima di avanzare qualsiasi proposta sarà fondamentale valutare l’effetto cumulativo sulle istituzioni del settore finanziario di una nuova legislazione, nonché di eventuali imposte e tasse bancarie.
Da parte mia, desidero menzionare qualcosa che considero estremamente importante; il G20 ha realmente iscritto gli obiettivi della politica di sviluppo nel proprio ordine del giorno. Secondo me è positivo che il processo del G20 possa, sostenuto dalla determinazione dell’Unione europea, avere ricadute positive a vantaggio dei cittadini.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, a conclusione di questa discussione desidero ribadire in generale che alla vigilia delle riunioni del G20 avevamo ben chiaro che l’Unione era interessata a raggiungere un risultato accettabile su diversi temi. Sapevamo di dover lavorare affinché il G20 si attesti prima di tutto come forum credibile e legittimo, in grado di produrre risultati concreti, come ho detto poc’anzi, e di trasmettere un impulso politico coordinato alla globalizzazione, creando un contesto in cui l’Unione può fare sentire la propria voce. Senza volere celare le difficoltà menzionate da diversi deputati, penso che l’Unione abbia tenuto fede al suo ruolo e che il lavoro svolto dalle istituzioni europee e dagli Stati membri partecipanti alle discussioni del G20 possa essere considerato soddisfacente.
Il quinto vertice in due anni, Seul ha saputo mettere sul tappeto numerosi impegni collettivi. Tra questi, diversi hanno avuto delle ricadute positive per la crescita economica e la stabilità finanziaria mondiale, anche se bisogna riconoscere che il lavoro non è affatto terminato.
In seno all’Unione e in relazione a quanto la Commissione ci ha appena spiegato sulla tassazione delle banche e delle transazioni finanziarie, è ovvio che le conclusioni del Consiglio europeo del 29 ottobre sanciscono la necessità di continuare il lavoro su queste due opzioni, sia all’interno dell’Unione che entro una dimensione internazionale. Per quanto concerne l’imposizione sulle banche, cresce il consenso per quanto concerne la base e il senso di un simile provvedimento. Quanto all’obiettivo e all’utilizzo del gettito conseguente, non siamo ancora arrivati a un accordo.
Frattanto gli Stati membri hanno cominciato a istituire regimi nazionali assai eterogenei tra loro. Nell’immediato futuro occorrerà prevedere un coordinamento minimo, mentre nel medio periodo dovremo orientarci verso una normativa quadro in grado di armonizzare meglio i meccanismi anticrisi sulla base delle proposte legislative della Commissione. Tenuto conto di queste considerazioni, il Consiglio europeo di ottobre ha concluso che sarebbe opportuno coordinare meglio i diversi regimi fiscali in essere e il Consiglio “ECOFIN” è stato invitato a presentare delle conclusioni al Consiglio europeo di dicembre.
Per quanto concerne la tassa sulle transazioni finanziarie menzionata dalla Commissione, il Consiglio europeo ha domandato al Consiglio “ECOFIN” di valutare le possibili alternative di lotta contro i paradisi fiscali e l’evasione fiscale. Il Consiglio “ECOFIN” ha incaricato un gruppo di alto livello del Consiglio per le questioni fiscali di esaminare questo tipo di problematica.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Ioan Mircea Paşcu (S&D), per iscritto. – (EN) La nostra struttura istituzionale, economica e finanziaria data dal secondo dopoguerra e si trova in difficoltà dinanzi alle pressioni odierne. Un sistema internazionale in profondo cambiamento e la crisi mondiale lo stanno portando ai limiti delle sue capacità, costringendolo ad adattarsi alle mutate circostanze. Per rispondere al cambiamento sono state create anche nuove istituzioni come il G20. In sostanza, il G20 è un organismo intergovernativo le cui decisioni, che riguardano tutti, devono essere poi attuate a livello nazionale. Dunque è vieppiù importante che le sue decisioni non tengano conto solo degli interessi dei venti paesi membri, bensì anche di noi tutti.
In questo senso, è incoraggiante che al vertice di Seul sia stata posta l’enfasi sulla cooperazione e sulla collaborazione tra le parti al fine di garantire l’applicazione delle decisioni e che sia stata manifestata la volontà di apportare modifiche strutturali radicali e incoraggiare la crescita attraverso la creazione di posti di lavoro, senza perdere di vista le esigenze dei paesi in via di sviluppo. Mi auguro che anche l’UE saprà trarre vantaggio dalle decisioni di un forum cui partecipano soltanto alcuni degli Stati membri e che anche i paesi esterni all’eurozona saranno avvantaggiati.
(La seduta è sospesa alle 11.55)
(Dalle 11.55 alle 12.10, i deputati si riuniscono per il conferimento del premio LUX)
Presidente. – Innanzi tutto, a seguito di un incidente che si è verificato questa mattina in Aula, l’onorevole Schulz desidera fare una dichiarazione personale.
Martin Schulz (S&D). – (DE) Signor Presidente, durante la discussione sul Consiglio europeo di questa mattina si è verificato un incidente che non desidero rievocare, giacché si è trattato di un insulto contro la mia persona. Ci tengo a dire che ci sono livelli ai quali non posso sentirmi insultato e non percepisco il vilipendio come un’insulto, perché per riuscire ad offendermi bisogna possedere un minimo grado di sincerità. Comunque desidero esprimere un ringraziamento sentito per gli innumerevoli segni di solidarietà che ho ricevuto nel frattempo dall’Aula. Ringrazio i gentili colleghi di tutti i gruppi. Il loro gesto è un segno delle convinzioni comunitarie, democratiche e filoeuropee condivise dalla grande maggioranza di questa Camera. Per questo vi ringrazio sinceramente.
(Prolungati applausi)
Presidente. – L’incidente in questione è stata una protesta dell’onorevole Bloom, in occasione della quale egli ha rivolto alcune allusioni relative al periodo bellico al collega Schulz. Il Presidente ha giudicato inaccettabili tali commenti e ha invitato l’onorevole Bloom a porgere le sue scuse. Il collega Bloom non si è scusato sul momento e lo invito quindi a farlo adesso. In caso contrario, dovrà abbandonare l’Aula.
(Vivi applausi)
Godfrey Bloom (EFD). – (EN) Signor Presidente, come al solito a Herr Schulz si applicano regole diverse da quelle che vigono per tutti gli altri. Che indecenza. Sono stato eletto – rieletto – per votare in quest’Aula dai cittadini dello Yorkshire che tra l’altro sono pure i suoi elettori. Mi hanno conferito un mandato democratico che lei stesso non possiede, signor Presidente, poiché ha cambiato di partito e i suoi elettori avevano votato per i Conservatori. Non ho affatto intenzione di porgere le mie scuse e non ho alcuna intenzione di lasciare quest’Aula. Dovrà farmi scortare fino alla porta, signore!
Presidente. – Onorevole Bloom, innanzi tutto puntualizzo di essere stato espulso dal partito Conservatore per avere insistito su una questione di principio strettamente legata a ciò di cui lei ha parlato questa mattina.
(Applausi)
E non ha presentato le sue scuse per il linguaggio utilizzato, assolutamente inopportuno per il Parlamento europeo. Le chiedo di abbandonare l’Aula.
(Vivi applausi e commenti ad alta voce come “Mozione d’ordine” e “Si sbaglia”)
Onorevole Bloom, mi spiace ma non accetto alcun richiamo al regolamento su questo punto.
Faccio una proposta. Posso chiedere al servizio di sicurezza di allontanare l’onorevole Bloom, ma prima voglio metterlo al voto. L’Assemblea vuole che l’onorevole Bloom lasci l’Aula? Chi è a favore alzi la mano.
(Vive proteste e “No!” gridati dall’EFD)
Chi desidera che l’onorevole Bloom rimanga alzi la mano. Chi si astiene.
(Altre vive proteste dall’EFD seguite da appelli al silenzio. Ancora rumori prolungati e fischi)
Accetto una dichiarazione dall’onorevole Farage, il capogruppo dell’EFD.
Nigel Farage (EFD). – (EN) Signor Presidente, la rabbia e il brusio che sente sono dovuti al fatto che il regolamento di quest’Aula non viene applicato con imparzialità. In più occasioni l’onorevole Schulz ha proferito insulti rivolti, oltre che a me, anche a tanti altri deputati di quest’Assemblea. È stata sua l’affermazione secondo cui gli euroscettici e chi esprime un voto negativo apre la porta al fascismo. È capitato anche che Danny Cohn-Bendit ci definisse malati di mente.
Signor Presidente, posso essere d’accordo sulla regola che stabilisce, dinanzi ad affermazioni ritenute offensive, l’espulsione di un deputato dall’Aula. Ma questa rabbia che condivido è motivata dall’applicazione iniqua del regolamento. L’onorevole Schulz affibbia spesso l’epiteto di “fascista” agli altri, ma quando è il signor Schulz a essere definito tale, il deputato in questione viene invitato a lasciare l’Aula. Non è corretto. Non è giusto.
Presidente. – Onorevole Farage, non voglio soffermarmi oltre sulla questione, ma mi permetto di osservare che la sua affermazione non è corretta. I due interventi dell’onorevole Bloom, durante il suo tempo di parola e dal suo seggio, sono stati uditi entrambi da più persone e risultano inaccettabili in un contesto parlamentare. L’Assemblea vuole che l’onorevole Bloom abbandoni l’Aula. Questa è l’espressione della sua volontà. Se l’onorevole Bloom non la rispetta, tale comportamento è indicativo del suo atteggiamento nei confronti del processo democratico.
Onorevole Bloom, intendo avvalermi dell’articolo 152 del regolamento. Se non esce, la farò accompagnare fuori dall’Aula. Ne ho discusso con il Presidente e ho la sua approvazione.
(Interiezione dell’onorevole Bloom: “Ci provi!”)
Joseph Daul (PPE). – (FR) Signor Presidente, se mi permette, questa mattina ho detto che il comportamento dell’onorevole Bloom è stato inammissibile.
Questo è un parlamento democratico. Onorevole Bloom, abbiamo deciso democraticamente che deve lasciare l’Aula. Le chiedo, in nome della democrazia e di ciò che questo Parlamento rappresenta, di lasciare oggi l’Assemblea. Le chiedo di farlo come segno rispetto per i diritti democratici.
Onorevole Gollnisch, non ha bisogno di provocarmi. Conosciamo i suoi metodi che sono inaccettabili e antidemocratici. Questo è quanto avevo da dire.
(Applausi)
Presidente. – Ai sensi dell’articolo 152, paragrafo 4, esprimo rammarico per questo incidente che ostacola il regolare svolgimento dei lavori di quest’Assemblea. Intendo pertanto sospendere la seduta per cinque minuti.
(La seduta è sospesa per cinque minuti)
Presidente. – Mozione d’ordine? (commenti mormorati fuori microfono e ad alta voce: “Mozione d’ordine!”).
Christian Ehler (PPE). – (EN) Signor Presidente, in qualità di presidente della delegazione per i rapporti con la Penisola coreana, domando all’Assemblea plenaria di condannare con forza l’attacco d'artiglieria lanciato ieri dalla Corea del Nord contro un'isola sudcoreana.
(Applausi)
Si contano diversi feriti gravi tra i soldati della Corea del Sud e sopra tutto tra la popolazione civile dell’isola. I villaggi hanno preso fuoco ed è stato necessario evacuare la popolazione.
Plaudiamo al Presidente Lee Myung-bak della Repubblica di Corea che ha annunciato di non volere dare alcun seguito a quanto avvenuto sull’isola sudcoreana, nonostante questo atto violento.
Approviamo la condotta della baronessa Ashton, l’Alto Rappresentante, che è intervenuta con sollecitudine insieme ad altri player internazionali, ai nostri alleati e al nostro partner strategico, la Repubblica di Corea, per condannare questa palese infrazione all’accordo di armistizio coreano delle Nazioni Unite. Ci aspettiamo che anche la Cina condanni chiaramente questo atto.
Esortiamo la Corea del Nord a trattenersi da successive escalation e a compiere tutti gli sforzi necessari per mantenere la pace e la stabilità nella Penisola coreana. Trasmettiamo il nostro cordoglio ai familiari delle vittime.
(Applausi)
Presidente. – La ringrazio, onorevole Ehler. Un minuto, per favore. Vi prego di fare silenzio. A rischio di essere definito anch’io un dittatore fascista, questa mattina ho adottato una certa linea. Ma l’onorevole Schulz mi ha suggerito di dare la parola a un deputato tra quelli che si sono opposti all’espulsione dell’onorevole Bloom dall’Aula. La prima persona a chiedere la parola questa mattina è stata l’onorevole Madlener. Ho spiegato al collega Madlener che se decide di prendere la parola, io ripeterò le osservazioni pronunciate dall’onorevole Bloom in direzione dell’onorevole Schulz. Onorevole Madlener, a lei la parola.
Barry Madlener (NI). – (NL) Signor Presidente, la ringrazio molto per avermi consentito di presentare questa mozione d’ordine, giacché l’importante a questo punto, ovviamente, è che il regolamento sia applicato secondo criteri coerenti ed equi per tutti. Desidero porre in evidenza l’incoerenza dimostrata dal Presidente del Parlamento. Lei ha appena espulso l’onorevole Bloom a seguito dei suoi commenti all’onorevole Schulz, anche se il signor Schulz ha definito il mio collega van der Stoep un fascista proprio in quest’Aula e la Presidenza non ha reagito in alcun modo. L’onorevole Schulz non ha neppure presentato le sue scuse, mentre gli farebbe onore se, alla pari dell’onorevole Bloom, egli abbandonasse l’Aula in questo momento.
Presidente. – Bene, la ringrazio. Come avevo preannunciato, in accordo con gli onorevoli Schulz e Madlener, ripeterò ora le parole perfettamente intellegibili che l’onorevole Bloom ha rivolto all’onorevole Schulz questa mattina e che sono state disapprovate dal Presidente, dal sottoscritto e dalla maggioranza di quest’Assemblea, quando interrogata.
L’onorevole Bloom ha detto all’onorevole Schulz: "Ein Volk, ein Reich, ein Führer". Questi sono termini che un deputato non può rivolgere a un altro. Essi esulano senz’altro dalla sfera di ciò che consideriamo lecito in quest’Aula. E con questo mettiamo la parola fine all’incidente. La questione sarà deferita all’Ufficio della Presidenza. Adesso voglio passare alle votazioni perché sarei intenzionato a finire entro le 13.00.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, sarò estremamente conciso. Voglio parlare dell’articolo 152 del regolamento.
Presidente. – No, sono spiacente. Per favore non passate il microfono all’onorevole Gollnisch. Ho detto all’onorevole Gollnisch che potrà prendere la parola la prossima volta che il Presidente presiede la seduta. La ringrazio molto. L’onorevole Salatto ha chiesto la parola.
Potito Salatto (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, al di fuori di questa questione volevo porre un problema alla Presidenza.
Io ritengo che qualcuno non abbia ancora capito fino in fondo qual è il ruolo del Parlamento europeo dopo il trattato di Lisbona. Sono costretto a porre qui un problema di fondo: il Commissario ai trasporti Kallas si rifiuta ripetutamente di incontrare il board di "Sky & Space" per discutere il progetto CESAR, che interessa tutti dal punto di vista economico, dell'ambiente e della sicurezza. Invito la Presidenza a convocare il Commissario Kallas in Aula per spiegare qual è il programma che intende portare avanti su questo settore che è delicatissimo e importante per il Parlamento europeo.
Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)
8.1. Bilancio rettificativo n. 8/2010: Sezione III - Commissione - Fondo europeo di solidarietà: inondazioni in Irlanda - completamento del FSE - Obiettivo 1 (2000-2006) (A7-0327/2010, László Surján) (votazione)
8.2. Protocollo all'accordo di partenariato e di cooperazione CE-Moldavia (A7-0300/2010, Graham Watson) (votazione)
8.3. Informazioni sui medicinali (codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano) (A7-0290/2010, Christofer Fjellner) (votazione)
8.4. Informazioni sui medicinali (procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali) (A7-0289/2010, Christofer Fjellner) (votazione)
– Prima del voto sull’emendamento n. 13:
Christofer Fjellner, relatore. – (EN) Signor Presidente, presento un piccolo emendamento orale dovuto a un compromesso dell’ultimo minuto tra i gruppi. All’emendamento n. 13, la formulazione attuale che recita “entro 60 giorni dal ricevimento della notifica” dovrebbe essere sostituita da “entro novanta giorni dal ricevimento della notifica”.
Questo emendamento è stato concordato tra tutti i gruppi politici.
(L’emendamento orale è approvato)
8.5. Restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (A7-0196/2010, Jill Evans) (votazione)
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, per proteggere in modo efficace la salute pubblica è fondamentale che i pazienti possano avere facile accesso a informazioni puntuali sui medicinali. L’armonizzazione del diritto in questa sfera ci consente di conseguire un buon grado di informazione tra i pazienti europei e di appianare talune differenze tra gli Stati membri in ambito sanitario. Rendere la normativa più particolareggiata a prevedere l’obbligo di accesso alle informazioni da parte dei pazienti impedirà alle società farmaceutiche di ricorrere a metodi sleali per la promozione dei loro prodotti. Al momento attuale la procedura non è sottoposta ad un adeguato scrutinio. Occorre prevedere una normativa separata sui medicinali e garantire la sua efficace attuazione presso tutti gli Stati membri. Ho votato a favore della relazione.
Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signor Presidente, desidero innanzi tutto complimentarmi con l’onorevole Fjellner per questo splendido risultato. I Liberali danesi hanno deciso di votare a favore della direttiva relativa alle informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica. È importante che i cittadini UE possano avere accesso a informazioni chiare su tali medicinali e siamo dell’opinione che questa ottima relazione riesce a porre il paziente al centro.
Fermo restando quanto ho appena detto, ci siamo sentiti in dovere di non esprimere un voto sulla direttiva stessa. Questo non perché siamo contrari a garantire ai cittadini UE un accesso a informazioni chiare sui medicinali soggetti a prescrizione medica, bensì perché alcune parti della proposta risultano essere anticostituzionali in diversi paesi. Ancora prima che fossero presentate le confezioni dei medicinali, svariati paesi avevano fatto presente alla Commissione che sussistevano problemi di ordine giuridico quanto alla costituzionalità della proposta. La verifica a monte, da parte delle autorità, delle informazioni diffuse al grande pubblico contravviene alla libertà di espressione così come viene intesa in numerosi paesi. Non possiamo pertanto esprimere un voto favorevole sul controllo che l’Agenzia europea per i medicinali dovrebbe esercitare su taluni tipi di informazioni prima che sia data loro ampia diffusione. Nondimeno presumiamo che il Consiglio e la Commissione cercheranno di trovare una soluzione a questo problema prima della seconda lettura e speriamo che alla fine potremo esprimere un voto favorevole.
Licia Ronzulli (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta legislativa votata oggi, che ho sostenuto, delinea l'importanza delle industrie farmaceutiche nel delicato ruolo di fonti di informazioni non promozionali dei loro prodotti.
Rendere più informati i pazienti deve responsabilizzare l'industria farmaceutica, che dovrà svolgere questa mansione in modo chiaro e rigoroso contribuendo a evitare un consumo eccessivo di medicinali indotto da motivi commerciali. Questo voto, infatti, enfatizza l'importanza di come le informazioni riguardanti i medicinali devono essere accessibili anche attraverso Internet o materiale cartaceo, secondo regole specifiche uguali per tutti i paesi membri.
Questo, però, non toglie agli operatori sanitari il loro ruolo fondamentale di essere fonte primaria e insostituibile di informazioni per i cittadini in materia di salute e di cure. Il rapporto di agenzia tra medico e paziente rimane unico e insostituibile e la comunicazione verbale viene confermata alla base di qualsiasi trattamento sanitario. Inoltre, permette ai pazienti di essere meglio informati circa i medicinali che assumono, li coinvolge nella terapia a cui devono sottoporsi, rendendoli attori protagonisti nel loro processo di guarigione.
Paolo Bartolozzi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le relazioni Fjellner puntano a integrare e completare la precedente normativa comunitaria in materia, attualizzandola e rendendola in grado di far fronte alle sfide che lo sviluppo tecnologico ha creato e pone alla salute pubblica.
Al centro, secondo noi, si trovano il cittadino nella sua veste di paziente e il suo diritto a essere informato e ad avere accesso a un'informazione scientifica, che adesso diventa qualitativamente e quantitativamente migliore e deve essere monitorata partendo da una più precisa e puntuale distinzione tra informazione scientifica e pubblicità.
Infatti, nelle relazioni si stabiliscono, sulla base di criteri precisi e uniformati, le tipologie di informazione da fornire, quali dati siano o meno facoltativi, nonché i canali tramite i quali questi debbano essere resi disponibili, fissando quindi gli obblighi per le case farmaceutiche e gli Stati membri.
Con questo intendimento noi esprimiamo il nostro sostegno a questa relazione, riconoscendone i meriti non solo in ambito strettamente sanitario ma anche in quello sociale.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, naturalmente ho votato a favore della relazione Fjellner che, oltre a occuparsi delle informazioni sui fogli informativi destinati ai pazienti e del confezionamento individuale dei medicinali, si concentra principalmente sul comportamento tenuto dalle case farmaceutiche. Fino a poco tempo fa diverse società farmaceutiche inframmezzavano le informazioni relative al medicinale con comunicazioni di tipo promozionale. Credo che in questo modo i pazienti fossero indotti a scegliere un certo prodotto sulla base di criteri non obiettivi.
Desidero che i pazienti dispongano delle informazioni migliori e più attuali, approvate nello stesso momento in cui viene immesso nel mercato un nuovo farmaco, per esempio, e credo che abbiamo fornito un contributo importante in tal senso. Certo, queste informazioni di elevato livello qualitativo devono essere disponibili nelle rispettive lingue madri sull’Internet, che è il nuovo mezzo di comunicazione. Con l’adozione di questa relazione siamo riusciti a ridurre il ritardo dei paesi UE che sono meno progrediti in questo ambito e mi compiaccio che ciò sia avvenuto senza pregiudicare la relazione medico-paziente che rimane la principale fonte di informazione.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, desidero ringraziare innanzi tutto l’onorevole Fjellner per questo lavoro eccellente. Bisogna riconoscere che è estremamente importante modificare la legislazione esistente e attualizzarla. Inoltre le informazioni sui medicinali e i dati scientifici sulla loro composizione sono molto importanti anche per la sicurezza dei pazienti.
Considerato il ruolo sempre più incalzante della pubblicità, è essenziale stabilire criteri che consentano a pazienti e consumatori di essere perfettamente consapevoli e certi degli effetti di questi medicinali. Tali informazioni devono basarsi su dati scientifici piuttosto che di fantasia e non devono essere trasmesse attraverso le modalità tipiche della pubblicità. All’interno dell’Unione europea si sente in generale la necessità di una siffatta legislazione aggiornata a salvaguardia del paziente.
Sonia Alfano (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la questione dell'informazione relativa ai medicinali soggetti a prescrizione è un argomento molto delicato perché influisce in maniera importante sulla tutela del diritto alla salute e al benessere di ciascun cittadino.
Dalla Commissione europea era giunta una proposta sulla revisione della direttiva che rischiava di aprire uno squarcio nella legislazione, uno squarcio che avrebbe permesso alle case farmaceutiche di sfruttare una non chiara distinzione tra le definizioni di informazione e pubblicità per fare promozione ai medicinali soggetti a prescrizione, il tutto a danno delle persone.
Certamente tanto si deve ancora fare con riferimento a un'adeguata strategia per l'informazione relativa ai medicinali, ma fortunatamente stavolta il Parlamento europeo ha reagito come sempre dovrebbe. Si è schierato per tutelare i cittadini e per difendere il diritto a una migliore informazione per i pazienti e non ha ceduto alle pressioni delle case farmaceutiche.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, la restrizione nell’uso e in taluni casi l’obbligo di prescrizione per medicine alternative, erbe curative, integratori vitaminici e minerali ad elevato dosaggio sono uno scandalo per la legislazione europea.
Non ho idea di quanto siano efficaci queste cure. Mia moglie ripone in loro una fiducia cieca, io sono un poco più scettico ma, come ha detto il saggio Re Salomone, in una casa è meglio un piatto di erbe amare con l’amore che un bue grasso con l’odio. Raramente questo proverbio sulle erbe amare si dimostra così calzante come nell’argomento in discussione.
Non sappiamo se questi rimedi siano davvero utili, ma di certo non fanno male alla salute. Perché mai l’Unione europea ha voluto criminalizzare una pratica innocua cui ricorrono quasi 20 milioni di europei? La risposta è semplice: a causa delle lobby delle multinazionali farmaceutiche che hanno colto l’occasione per gettare sul lastrico i piccoli produttori di rimedi naturali – come è accaduto nella mia circoscrizione elettorale. Non sarebbero mai riusciti a fare approvare una simile normativa dai parlamenti nazionali. Per l’ennesima volta la macchina di Bruxelles si trasforma in un racket gestito dalle grandi imprese.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, colgo l’opportunità per oppormi alla sua decisione odierna di negare all’onorevole Bloom l’accesso all’Aula. Ammetto che ha utilizzato un linguaggio non appropriato a un parlamento. Questa volta il destinatario degli epiteti è stato l’onorevole Schulz. Ma l’onorevole Schulz stesso utilizza con una certa frequenza l’appellativo “fascista”…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – Onorevole Claeys, la sua non era una mozione d’ordine in merito alla relazione Fjellner e non le permetterò di proseguire. Come ho già detto, l’onorevole Gollnisch potrà presentare questa mozione la prossima volta che la seduta sarà presieduta dal Presidente e questo è il modo in cui procederemo.
Anna Rosbach (EFD). – (DA) Signor Presidente, intervengo in merito alla relazione Fjellner (A7-0289/2010) per l’istituzione dell’Agenzia europea per i medicinali che reca una serie di iniziative importanti e valide. Il mio voto è stato dunque favorevole. Non è stato facile decidere di votare a favore, perché in genere sono contraria all’istituzione di nuove agenzie nell’UE. Tuttavia la creazione di un’agenzia generale per la valutazione dei medicinali e la comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali per uso umano e veterinario soggetti a prescrizione medica mi sembra senz’altro sensata, in particolare se consideriamo che al giorno d’oggi i medicinali sono spesso prodotti sia all’interno che all’esterno dell’UE.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, quando lo scorso anno alcuni deputati esibivano dei cartelli con la scritta “referendum”, l’onorevole Watson disse che gli ricordavamo i nazionalsocialisti nel Reichstag tedesco. L’onorevole Schulz stesso ha affermato che il nostro comportamento gli faceva venire in mente Adolf Hitler. Vedo che lei si trova in una difficile…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – Onorevole Hannan, posso intuire dove vuole andare a parare. Ho spiegato che l’onorevole Gollnisch ha chiesto un richiamo al regolamento su questo punto. Ciò avverrà in presenza del Presidente. Ritengo che questo sia il modo più adatto di affrontare la questione. Se lei non ha niente da aggiungere sulla relazione Fjellner, passerò la parola all’onorevole Březina.
Ho sentito ciò che mi ha detto. Ha detto che l’onorevole Gollnisch non parla in sua vece. Informerò l’Assemblea di questo. L’onorevole Gollnisch fa parte del gruppo tecnico dei deputati indipendenti. In realtà si tratta solo di un gruppo tecnico e non effettivo, ma egli interviene in rappresentanza di un’ampia fetta dei suoi membri. Io ne ho preso atto e per questo ho consigliato all’onorevole Gollnisch di richiamarsi al regolamento in presenza del Presidente.
Non sono favorevole a lasciarla parlare, onorevole Hannan, perché se lo consento a lei, tutti vorranno dire la loro su questo incidente tanto delicato e importante, mi dispiace. Passiamo ora alle dichiarazioni di voto sulla relazione Evans.
Jan Březina (PPE). – (CS) Signor Presidente, questa direttiva costituisce senz’altro un progresso verso una minore produzione di rifiuti e un utilizzo limitato di sostanze pericolose. Nondimeno, l’inclusione del PVC nell’elenco dei materiali da sottoporre a una revisione legislativa in via prioritaria ai sensi della direttiva mi sembra alquanto opinabile. Ai sensi della normativa UE, il PVC (cloruro di polivinile) non è classificato come materiale o rifiuto pericoloso. Pur riconoscendo che la legislazione sui materiali pericolosi e i relativi studi sono ormai datati di dieci anni e possono risultare obsoleti sotto alcuni punti di vista, studi precedenti dimostrano chiaramente che il PVC può essere riciclato e la sua sostituzione con materiali alternativi potrebbe invece avere ricadute negative sull’ambiente. Non si può accettare l’argomentazione più volte proposta, secondo cui l’utilizzo del PVC nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche andrebbe scoraggiato perché questo materiale rilascia diossina quando viene incenerito a cielo aperto. Questa tesi non tiene in alcun modo conto del fatto che l’incenerimento dei rifiuti in senso lato è una pratica inopportuna.
Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE). – (LT) Signor Presidente, le apparecchiature elettroniche sono destinate prima o dopo a trasformarsi in rifiuti che purtroppo contengono determinate sostanze pericolose. Gli Stati membri incontrano talvolta delle difficoltà nello smaltimento di queste apparecchiature elettroniche ed è essenziale privilegiare gradualmente il principio secondo cui “prevenire è meglio che curare”. Grazie alla gestione uniformata delle sostanze chimiche tramite il regolamento per la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) e la direttiva sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose (RoHS), possiamo procedere verso una progressiva standardizzazione anche per le altre sostanze pericolose utilizzate nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Certo l’armonizzazione non è totale e agli Stati membri viene sempre lasciato un certo margine d’interpretazione, ma almeno si possono appianare le forti disparità che attualmente esistono tra gli Stati membri. La limitazione d’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettroniche e i provvedimenti approvati oggi devono tuttavia tenere conto di due considerazioni. Prima di tutto, queste restrizioni non devono causare problemi a dismisura per la piccola impresa. In secondo luogo, l’elenco delle sostanze vietate non deve penalizzare lo sviluppo tecnologico. Non dobbiamo nutrire pregiudizi contro sostanze che sono ancora in fase di sperimentazione e che in futuro potrebbero consentire progressi straordinari nel settore della tecnologia e dell’elettronica.
Sonia Alfano (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Evans sulla revisione della direttiva perché sono fortemente rammaricata del fatto che nel testo di compromesso, approvato a causa delle forti pressioni delle lobby industriali, sia scomparso qualsiasi riferimento al PVC e ai ritardanti di fiamma alogenati, nonostante tutti gli studi effettuati dalla Commissione dimostrino già dal 2000 che lo smaltimento di queste sostanze pone seri rischi per la salute umana e per l'ambiente.
Quello di riversare i costi dell'industria sull'ambiente e sui cittadini è un approccio che non possiamo condividere perché, oltre ad alterare il libero mercato, rappresenta un inaccettabile baratto tra la qualità della vita delle persone e i profitti delle imprese.
Mi auguro che al prossimo aggiornamento della direttiva, che avverrà fra tre anni, verranno posti in primo piano il diritto alla salute dei cittadini e la tutela dell'ambiente.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, forse mi permetterà una considerazione generale sul fatto che in una società libera il diritto di parola prevale sul diritto di non essere insultati e che in una democrazia gli unici ad avere il diritto di decidere se dobbiamo o meno sedere e legiferare in un’assemblea sono i nostri elettori.
L’espulsione di un deputato può incidere in maniera determinante sui risultati di voto.
Orbene, se vogliamo applicare il regolamento in maniera imparziale, dobbiamo censurare le allusioni biasimevoli a prescindere dallo schieramento da cui originano. Eppure penso che subentri un pizzico di arbitrarietà e iniquità quando si permette che agli euroscettici venga affibbiato l’epiteto di nazisti…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – No, onorevole Hannan, lei ha sconfinato dal generale al particolare. L’onorevole Kamall sulla relazione Evans. Non divaghi altrimenti la interromperò.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signor Presidente, sono assolutamente certo che tenterà di interrompermi, come fa ogni volta che è in gioco la libertà di parola, ma questa volta intendo realmente parlare di sostanze pericolose e tossicità. Tutti noi siamo d’accordo sul grado di pericolosità e tossicità delle sostanze utilizzate in questo tipo di apparecchiature e io posso confermarlo in qualità di ex ingegnere elettronico. È senz’altro corretto tentare di affrontare questo problema. Ma vorrei parlare anche della tossicità che oggi permea la discussione e il processo democratico del Parlamento europeo. Di certo quando parla un cittadino tedesco, un socialista …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Signor Presidente, ho votato con piacere a favore della soluzione di compromesso per la direttiva sulle sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Tutti noi abbiamo a cuore la protezione della natura e della salute pubblica, ma è doveroso porre la questione nella giusta prospettiva. Oggi, nel bel mezzo di una crisi economica, non è opportuno appesantire la spesa a carico delle piccole imprese e dei consumatori mediante un provvedimento tanto severo. Ho apprezzato che l’équipe interistituzionale abbia chiesto alla Commissione di rivedere l’elenco originale delle sostanze pericolose piuttosto che bandirle tout court, giacché ciò avrebbe avuto un impatto negativo sulle PMI e sulla situazione socio-economica dell’UE.
Proposta di risoluzione B7-0617/2010 (Accordo commerciale anticontraffazione)
Clemente Mastella (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore di questa risoluzione perché rappresenta il frutto di un difficilissimo negoziato tra Commissione europea e alcuni altri Stati, tra cui Canada, Giappone, Stati Uniti, Australia e Messico.
La lotta alla contraffazione deve essere una nostra priorità, un obiettivo di tutte le politiche a livello nazionale e internazionale, e la cooperazione tra gli Stati membri è di conseguenza essenziale per conseguire risultati efficaci.
L'accordo raggiunto sicuramente non potrà risolvere la complessa situazione sui mercati internazionali, ma rappresenta un passo nella giusta direzione. Ora il nostro compito è quello di continuare a lavorare per la tutela civile e doganale di tutte le nostre indicazioni geografiche che subiscono i danni provocati da una concorrenza a dir poco sleale dovuta al costante utilizzo di nomi e sigle che richiamano i più noti marchi europei. I danni più evidenti sono destinati a concretizzarsi per le nostre industrie e per i nostri produttori del settore agroalimentare, del design, della moda e dei prodotti di lusso.
Io credo che la Commissione si sia impegnata a fornire informazioni complete al Parlamento europeo durante tutte le fasi dei negoziati sugli accordi internazionali. Vorrei qui reiterare la nostra richiesta a concedere al pubblico e al Parlamento l'accesso ai testi. In conclusione, invito la Commissione europea a continuare a informare il Parlamento pienamente e a tempo debito in merito a tutte le iniziative future che intende adottare al riguardo.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, nell’ambito della protezione dei diritti di proprietà intellettuale credo che occorra prestare la giusta attenzione al diritto alla salute che, in ultima analisi, è strettamente connesso al diritto alla vita.
Giudico del tutto inaccettabile negare l’accesso ai medicinali di base a intere fasce della popolazione, specialmente nei paesi in via di sviluppo, sotto il pretesto di una strenua salvaguardia dei diritti di proprietà intellettuale che in alcuni casi appare quasi esagerata. Invito la Commissione a promuovere i principi fondamentali della tutela della salute pubblica e dell’accesso ai medicinali in occasione dei negoziati tecnici per l’accordo commerciale anticontraffazione.
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, la lotta contro la contraffazione di prodotti e marchi riveste una grande importanza. Vent’anni fa si poteva ancora ridere di qualcuno che comprava un Rolex falso per appena dieci dollari. Infatti ciò non metteva certo in pericolo il mercato dei prodotti di altissima gamma. Oggi, la situazione è ben diversa. Le contraffazioni riguardano anche e soprattutto i prodotti di fascia medio-bassa, comprese le magliette, i giocattoli, l’abbigliamento antinfortunistico e pure la proprietà intellettuale. Oltre agli interessi economici, qui vengono messi a repentaglio anche le condizioni di lavoro, l’ambiente, la tutela della salute e gli standard sociali. Per affermare la giustizia nel mondo dobbiamo lottare con determinazione la contraffazione di marchi e prodotti.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, non possiamo ovviamente accettare o considerare lecita la concorrenza sleale che sta inondando il mercato europeo con prodotti contraffatti da tutto il mondo. Inoltre vorrei fare presente che il testo non è sufficientemente chiaro quando si riferisce all’obbligo di vigilanza sui fornitori di servizi Internet. Ciò è contrario al diritto alla privacy e assomiglia a un tentativo di censura. Una simile imposizione è sfavorevole al commercio elettronico, dunque a una parte dell’economia che vorremmo sviluppare in maniera dinamica attraverso metodi sempre più innovativi ma che continuiamo a limitare con restrizioni sempre nuove. Le decisioni assunte oggi sull’argomento rappresentano un modesto miglioramento rispetto a prima.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione comune sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA), prendendo le distanze dal mio schieramento politico, perché anch’io credo che dobbiamo incoraggiare la Commissione a realizzare degli studi in grado di rispondere agli ultimi punti di domanda circa gli effetti dell’ACTA sulla cittadinanza europea e a fornire finalmente le informazioni negate in passato per una questione di riservatezza dei testi negoziati. Adesso si attende il parere del Garante europeo della protezione dei dati, gli studi d’impatto sulla legislazione europea in vigore e la garanzia che saranno salvaguardate le deroghe per i fornitori di servizi Internet. Comunque sono rimasta alquanto sconcertata quando ho letto che l’accordo contempla ancora la possibilità di verificare i computer e altri generi personali di singoli viaggiatori all’attraversamento delle frontiere.
Ho sostenuto di buon grado la risoluzione del PPE che offre una versione equilibrata e ben costruita, anche se ovviamente non comprende l’importante pressione sulla Commissione prima dei negoziati cruciali sulla versione finale dell’accordo.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signor Presidente, immagino che sia già pronto a premere il pulsante. Molte persone mi chiedono cosa sia l’ACTA e io sono stato uno dei relatori ombra per l’accordo commerciale anticontraffazione.
Mi rendo conto che dopo gli avvenimenti odierni qualcuno avrà dubbi in merito alla trasparenza, democrazia e libertà di parola che vigono qui, ma preferisco concentrarmi sui cinque motivi che ci avevano indotti a prendere le distanze dalla risoluzione. Ho apprezzato molto la risoluzione comune PPE/ECR. Prima di tutto il documento non si spinge oltre l’acquis communautaire. In secondo luogo, la Commissione è stata trasparente e, terzo, l’accordo non è stato negoziato all’interno dell’OMC perché la Cina e l’India erano contrarie fin dal principio. Quarto, esso non riguarda i medicinali generici in transito attraverso l’UE e infine i paesi in via di sviluppo possono aderire all’ACTA su base volontaria. Tali paesi non hanno deciso di aderirvi, si tratta di un meccanismo aperto cui possono partecipare se vogliono. È davvero un peccato che non ci atteniamo ai medesimi principi di libertà di parola anche all’interno di quest’Assemblea.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) In seguito alle alluvioni del 2002 che hanno provocato ingenti danni materiali e alle persone in Austria, Francia, Germania e Repubblica Ceca, il Consiglio dell’Unione europea ha creato uno strumento che consente di mobilitare rapidamente dei fondi per aiutare le regioni colpite da catastrofi naturali. Oggi questo meccanismo andrà a beneficio dell’Irlanda, colpita anch’essa da alluvioni. Ho votato a favore di questa rettifica del bilancio UE al fine di consentire l’erogazione degli aiuti ai nostri amici irlandesi. Questo voto è il simbolo della solidarietà europea dinanzi alle catastrofi naturali. Una situazione che oggi tocca l’Irlanda, ma domani potrebbe essere il turno della Francia. In effetti il nostro paese riceverà a breve un aiuto finanziario per mitigare le conseguenze dell’uragano Cinzia del febbraio 2010.
Diogo Feio (PPE) , per iscritto. – (PT) Le inondazioni che hanno colpito l’Irlanda nel novembre 2009 hanno causato danni ingenti, stimati in oltre 520 milioni di euro. La rettifica di bilancio prevede la mobilitazione del Fondo di solidarietà a copertura delle perdite subite per complessivi 13 022 500 EUR in stanziamenti d’impegno e di pagamento. Come ho detto ieri, ritengo che la mobilitazione del fondo sia del tutto giustificata, perché va in aiuto delle persone più colpite da questa catastrofe naturale. La proposta di rettifica è conforme al bilancio UE.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il 24 settembre 2010, la Commissione europea ha proposto una decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla mobilitazione del Fondo di solidarietà basata sulle disposizioni del punto 26 dell’accordo interistituzionale (AII) del 17 maggio 2006. Questa è stata la prima proposta di mobilitazione del Fondo di solidarietà per l’esercizio 2010. L’AII consente di mobilitare il fondo di solidarietà fino a un limite massimo annuale di 1 miliardo di euro. È importante osservare che l’obiettivo del Fondo non è di indennizzare i privati per i danni subiti, bensì di garantire il ripristino delle infrastrutture; si tratta inoltre di uno strumento di rifinanziamento.
Le autorità irlandesi stimano i danni complessivi diretti causati dalla catastrofe in 520,9 milioni di euro. La Commissione propone di mobilitare EUR 13 022 500 entro il massimale di 1 miliardo di euro in stanziamenti d’impegno e di pagamento in relazione alle conseguenze delle inondazioni in Irlanda. Essendo stati rispettati i requisiti di legge, approvo la presente rettifica del bilancio.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore della mobilitazione del Fondo di solidarietà UE per l’Irlanda in relazione alle inondazioni che hanno colpito il paese lo scorso novembre. Nondimeno, anche in questo caso, critichiamo il ritardo con cui viene mobilitato il fondo. Trascorrono sempre diversi mesi tra l’evento calamitoso e il momento in cui lo Stato membro colpito riceve effettivamente gli aiuti; in questo caso è passato oltre un anno. Questo fondo come pure altri, in diverse circostanze, dovrebbero essere mobilitati con maggiore rapidità al fine di rendere più celeri ed efficaci gli interventi d’emergenza. Le conseguenze delle calamità dovrebbero essere affrontate tenendo conto di una dimensione di coesione, al fine di ridurre le disparità tra le diverse regioni e Stati membri dell’UE. Ribadiamo inoltre l’importanza di rafforzare la prevenzione delle catastrofi tramite l’applicazione delle raccomandazioni varate di recente dal Parlamento.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signor presidente, onorevoli colleghi, ho contribuito all'approvazione del progetto di bilancio rettificativo n. 8/2010 in quanto indispensabile per poter procedere allo stanziamento di 13 022 500 EUR per la mobilitazione del Fondo di solidarietà a favore dell'Irlanda, con riferimento a delle forti precipitazioni che hanno provocato gravi inondazioni nel novembre 2009.
Credo che il Fondo di solidarietà sia uno strumento prezioso per l'UE, attraverso cui dimostrare la propria solidarietà alle popolazioni delle regioni colpite da catastrofi naturali, apportando un sostegno finanziario per contribuire a ripristinare rapidamente condizioni di vita il più possibile normali. Il bilancio annuale complessivo disponibile per il Fondo di solidarietà è di 1 000 milioni di euro. Nel 2010, non è stato ancora stanziato alcun importo per richieste precedenti e, di conseguenza, rimane disponibile l'intero importo di 1 000 milioni di euro.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa proposta di storno di 13 022 500 EUR dal FSE a una linea di bilancio per fornire assistenza all’Irlanda dopo le gravi inondazioni che hanno colpito il paese nel novembre 2009.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Questo progetto di bilancio rettificativo si fonda su motivazioni valide, considerata la finalità cui è destinata la dotazione del Fondo di solidarietà. Le inondazioni che hanno colpito l’Irlanda nel novembre 2009 hanno provocato danni ingenti, in particolare all’agricoltura, all’edilizia residenziale e alle aziende, alla rete viaria e ad altre infrastrutture. Tuttavia mi pare opportuno sottolineare il ritardo con cui si procede alla mobilitazione di questo strumento. La procedura amministrativa deve essere snellita e accelerata affinché in avvenire si possa reagire con maggiore prontezza alle situazioni calamitose.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Ho espresso un voto favorevole perché credo che ogni nazione dell’UE debba sentirsi parte di un’Unione europea coesa. Nondimeno, sarebbe auspicabile che la prossima volta il relatore non si limitasse a comunicare l’assegnazione della dotazione ma chiarisse anche nel dettaglio le opere e i provvedimenti che vengono finanziati tramite un così ingente stanziamento di 13 022 500 EUR. Altrimenti diventano inevitabili l’utilizzo improprio degli stanziamenti e altri illeciti. Gli importi devono essere indicati nel dettaglio e motivati.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Il Fondo europeo di solidarietà dispone ogni anno di un miliardo di euro. Nel presente anno solare il fondo non è stato ancora mai mobilitato. Le sue possibilità d’impiego sono stabilite nel dettaglio; l’obiettivo del Fondo non è infatti di indennizzare i privati per i danni subiti, bensì di garantire il ripristino delle infrastrutture. Gli aiuti richiesti dall’Irlanda serviranno a riparare i danni provocati dall’inondazione. Esprimo il mio voto favorevole, perché il Fondo non è stato ancora mai mobilitato quest’anno, il bilancio può essere impiegato con profitto e l’Irlanda ottempera a tutti i criteri.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Onorevoli colleghi, ho votato a favore di questa relazione. Come già evidenziato ieri nel corso del voto favorevole alla relazione del collega Böge, ritengo sia un dovere dell'Unione europea intervenire in sostegno e in solidarietà di alcune regioni colpite da calamità e catastrofi naturali. Ritengo che il concetto di solidarietà sia connesso all'idea e ai valori alla base dell'Unione europea. Si tratta di uno dei valori cardine che hanno dato vita all'Unione e hanno fatto sì che questa prosperasse e si allargasse nel tempo, ragion per cui questo stanziamento non solo è giustificato e fondato ma "quasi" dovuto. Mi auguro, poi, che un simile intervento verrà attuato anche per le regioni italiane duramente colpite dalle recenti alluvioni che hanno messo in ginocchio l'economia di quelle zone.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Considerato che il progetto di bilancio rettificativo n. 8/2010 per l’esercizio 2010 concerne la mobilitazione del Fondo di solidarietà UE per complessivi 13 022 500 EUR in stanziamenti d’impegno e di pagamento in relazione alle conseguenze delle inondazioni che hanno colpito l’Irlanda e la corrispondente riduzione degli stanziamenti di pagamento pari a 13 022 500 EUR dalla linea 04 02 01 – Completamento del Fondo sociale europeo (FSE) Obiettivo 1 (2000-2006), ho votato a favore della posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n. 8/2010.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Onorevoli colleghi, ringrazio il collega on. Surján per l'ottimo lavoro svolto. Ho espresso favorevolmente il mio voto e concordo sull'approvazione del progetto di bilancio rettificativo n. 8/2010, che prevede importi di aiuto al Fondo di solidarietà e al Fondo di solidarietà dell'Unione europea-Stati membri e la riassegnazione di un importo pari a 13 022 500 EUR in stanziamenti di pagamento provenienti dal settore 4 "Occupazione e affari sociali".
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Sono favorevole a questo progetto di bilancio rettificativo che prevede la mobilitazione del Fondo di solidarietà europeo per un importo di 13 022 500 EUR in stanziamenti d’impegno e di pagamento al fine di offrire assistenza all’Irlanda in seguito alle inondazioni avvenute nel novembre 2009 che hanno causato danni ingenti all’agricoltura, alle imprese e alle infrastrutture, in particolare alla rete viaria e di approvvigionamento idrico, nonché nelle aree residenziali, per un totale di oltre 520 milioni di euro.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ai sensi dell’articolo 37, paragrafo 1 del regolamento finanziario, la Commissione ha la facoltà di presentare progetti di bilancio rettificativo “in caso di circostanze inevitabili, eccezionali o impreviste”. Tra i diversi punti del progetto di bilancio rettificativo n. 8/2010, la relazione che abbiamo approvato si concentra in particolare sulla mobilitazione del Fondo di solidarietà UE. La Commissione ha proposto, il 24 settembre 2010, una decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla mobilitazione del Fondo di solidarietà basata sulle disposizioni del punto 26 dell'accordo interistituzionale (AII) del 17 maggio 2006. Le condizioni di ammissibilità ai benefici del Fondo sono precisate qui come anche nel regolamento n. 2012/2002 del Consiglio che istituisce il FSEU. È importante osservare, da un lato, che l'obiettivo del Fondo non è di indennizzare i privati per i danni subiti bensì di garantire il ripristino delle infrastrutture e, dall'altro, che si tratta di uno strumento di rifinanziamento.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) La Commissione europea ha avviato la discussione sulla revisione della politica europea di vicinato al fine di delineare le relazioni che l’UE intratterrà in futuro con i suoi vicini orientali e meridionali. L’iniziativa per il Partenariato orientale dell’Unione europea si propone ldi promuovere i comuni valori europei e pone l’accento sulla presenza di istituzioni democratiche funzionanti e sul rispetto delle libertà e dei diritti umani. Ho votato a favore di questa relazione che sancisce i principi generali per la partecipazione della Repubblica moldava ai programmi e alle agenzie comunitari. Credo che la conclusione di un protocollo consenta un’apertura graduale o una partecipazione rafforzata della Moldavia ad alcuni programmi comunitari, offrendo a questo paese la possibilità di promuovere ulteriormente le relazioni in campo culturale, dell’istruzione, ambientale, tecnico e scientifico, oltre a consolidare le relazioni politiche. È fondamentale che la Moldavia proceda con l’attuazione del Piano d’azione PEV e delle riforme al fine di conseguire gli obiettivi della stabilità politica e dello sviluppo democratico.
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della raccomandazione Watson perché la conclusione di un protocollo offre alla Moldavia nuove opportunità di coinvolgimento nei programmi comunitari di suo interesse. La graduale apertura dei programmi e delle agenzie UE ai paesi che aderiscono alla politica europea di vicinato sosterrà questi paesi nella realizzazione di riforme e nella loro modernizzazione. La cooperazione con l’UE in settori importanti come le dogane, i trasporti o la competitività ne uscirà rafforzata. Credo che la partecipazione della Moldavia alle varie iniziative contribuirà a stabilire un collegamento tra politiche nazionali ed europee. Il protocollo infonderà anche nuova forza al processo negoziale per la firma di un nuovo accordo di associazione, verso il quale sono già stati registrati progressi soddisfacenti. Plaudo anche all’intenzione del Consiglio di continuare a garantire l’assistenza macrofinanziaria alla Moldavia e la consulenza di esperti al governo di Chişinău.
Come illustrato nella relazione intermedia stilata dalla Commissione europea, la Moldavia ha compiuto sforzi significativi verso la realizzazione di efficienti riforme strutturali, come suggerito nelle raccomandazioni dell’UE. Inoltre l’atteggiamento favorevole all’integrazione europea dell’amministrazione attuale ha conferito un dinamismo sorprendente ai rapporti con l’UE. Appare quindi naturale, in questo progressivo avvicinamento agli standard europei, rafforzare la partecipazione della Moldavia nei programmi e nelle agenzie comunitari.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della conclusione del protocollo che consentirà alla Repubblica di Moldavia di rafforzare la partecipazione a determinati programmi comunitari, offrendo a questo paese l'opportunità di promuovere la cooperazione in campo culturale, dell'istruzione, ambientale, tecnico e scientifico, oltre a rafforzare le relazioni politiche attraverso il partenariato orientale e intensificare i negoziati del nuovo accordo di associazione. La stabilità politica e lo sviluppo democratico sono essenziali per consentire un'attuazione complessiva del protocollo e la conclusione del necessario memorandum d'intesa. L'attuale impasse costituzionale in Moldavia è pertanto un aspetto che suscita preoccupazione e dovrebbe essere affrontato con efficienza e rapidità. È essenziale che la Moldavia proceda con l'attuazione del Piano d'azione PEV e delle riforme illustrate nel documento "Ripensare la Moldavia". Lo svolgimento di elezioni, come richiesto dalla costituzione, è indispensabile per la futura stabilità e prosperità della Moldavia e per lo sviluppo delle sue relazioni con l'Unione europea.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) L’aspirazione della Repubblica di Moldavia di seguire un percorso europeo come membro dell’Unione e la sua preparazione a tale adesione sono resi possibili dall’accordo di partenariato e cooperazione siglato con l’UE nell’ambito della politica europea di vicinato. Sono favorevole alla partecipazione della Moldavia a determinati programmi comunitari allo scopo di promuovere la cooperazione in campo culturale, dell'istruzione, dei media, ambientale, tecnico e scientifico, nonché di rafforzare le relazioni politiche attraverso il partenariato orientale e intensificare i negoziati del nuovo accordo di associazione.
Diogo Feio (PPE) , per iscritto. – (PT) La scarsa affluenza degli elettori all’ultimo referendum sul meccanismo per l’elezione del Presidente della Moldavia e l’insediamento di un presidente ad interim sono prova delle difficoltà di governo del paese e della disillusione della popolazione. La situazione in Transdniestria sta peggiorando, con un conseguente aumento delle tesioni tra le autorità e nella cittadinanza. Il paese deve compiere ancora una lunga strada prima di conseguire la stabilità delle istituzioni e il pieno rispetto dello Stato di diritto. Per questo merita un sostegno e un’attenzione speciali da parte dell’Unione europea. La partecipazione della Moldavia nei programmi UE è un elemento importante di questo percorso.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L'accordo di partenariato e di cooperazione tra le Comunità europee e la Repubblica di Moldavia, è stato concluso il 28 novembre 1994 e dal 2004 la Moldavia è stata inclusa nella politica europea di vicinato (PEV). La proposta di raccomandazione verte in particolare sulla partecipazione della Moldavia ai programmi dell’Unione. Il 18 giugno 2007 il Consiglio ha impartito direttive alla Commissione affinché negoziasse accordi quadro con tredici paesi PEV sui principi generali della loro partecipazione ai programmi comunitari. I negoziati con la Repubblica di Moldavia sono iniziati nel marzo 2008.
La Repubblica di Moldavia contribuirà finanziariamente ai programmi specifici ai quali parteciperà. Le implicazioni finanziarie variano da programma a programma e sono stabilite nel memorandum d'intesa. La conclusione del protocollo consentirà la graduale apertura o una rafforzata partecipazione della Moldavia ad alcuni programmi comunitari, offrendo al paese l’oppoprtunità di promuovere ulteriormente le relazioni in campo culturale, educativo, ambientale, tecnico e scientifico, oltre a rafforzare le relazioni politiche attraverso il partenariato orientale e intensificare i negoziati del nuovo accordo di associazione. La stabilità politica e la democrazia sono essenziali per consentire un’attuazione complessiva del protocollo.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L'accordo di partenariato e di cooperazione CE-Moldavia è stato concluso il 28 novembre 1994 e dal 2004 la Moldavia è stata inclusa nella politica europea di vicinato (PEV).
Il 18 giugno 2007 il Consiglio ha impartito direttive alla Commissione affinché negoziasse accordi quadro con tredici paesi PEV sui principi generali della loro partecipazione ai programmi comunitari e i negoziati con la Repubblica di Moldavia sono iniziati nel marzo 2008.
Il protocollo contiene un accordo quadro sui principi generali per la partecipazione della Repubblica di Moldavia ai programmi e alle agenzie della Comunità. La Repubblica di Moldavia ha contribuito finanziariamente ai programmi specifici ai quali partecipa. Le implicazioni finanziarie variano da programma a programma e sono stabilite nel memorandum d'intesa.
Un problema insorge quando l’UE invoca “la stabilità politica e lo sviluppo democratico”, tentando così di ingerire negli affari interni di un paese e sostenendo apertamente quelle forze in Moldavia che fanno gli interessi dei gruppi economici comunitari, in uno spirito contrario all’indipendenza e alla sovranità del paese, nonché alla volontà del suo popolo. Per questo motivo sono contraria alla risoluzione adottata.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho espresso un voto favorevole a sostegno della raccomandazione Watson e considero positivo il proseguimento della cooperazione UE-Moldavia.
Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. – (EN) Ho sempre sostenuto e incoraggiato le finalità che l’UE persegue nella Repubblica di Moldavia. Credo in una cooperazione forte con un paese che di recente ha dato prova di voler seguire la via europea. La partecipazione della Moldavia a determinati programmi comunitari incoraggerà questo paese limitrofo a realizzare le riforme, offrendo al paese l’opportunità di promuovere ulteriormente le relazioni in campo culturale, educativo, ambientale, tecnico e scientifico, oltre a rafforzare le relazioni politiche attraverso il partenariato orientale e intensificare i negoziati del nuovo accordo di associazione. Sostengo la raccomandazione dell’onorevole Watson, perché promuove la partecipazione della Moldavia a svariati programmi e agenzie comunitari e sostiene gli sforzi compiuti da questo paese verso le riforme e la modernizzazione.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) La Repubblica di Moldavia è uno dei paesi europei più poveri. Secondo alcuni studi, la maggioranza della popolazione moldavia vive in condizioni di povertà estrema. Le riforme interne che potrebbero risollevare l’economia vengono di solito bloccate da conflitti politici o etnici. È importante che l’Unione europea aiuti la Moldavia e contribuisca a migliorare la situazione di questo paese in termini di stabilità, sicurezza e benessere.
Una politica europea potrebbe sbloccare le difficoltà costituzionali della Repubblica di Moldavia, agevolando così ulteriori cambiamenti positivi. La Moldavia manifesta il desiderio di partecipare ai programmi della politica europea di vicinato e la sua contribuzione finanziaria lo dimostra. L’Unione europea deve incrementare il sostegno a questi paesi. In quest’ottica, il rafforzamento della cooperazione con la Repubblica di Moldavia è più che giustificato.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) La conclusione di questo protocollo consente di rafforzare la cooperazione con la Moldavia nell’ambito di determinati programmi. La Moldavia e l’UE si avvicineranno in una reciproca integrazione. Considerato che numerosi cittadini moldavi vivono e lavorano in Irlanda e sono ormai parte del tessuto sociale irlandese, questo è un passo positivo per il futuro dell’Europa.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Il provvedimento più efficace per promuovere le riforme, la modernizzazione e la transizione nei paesi limitrofi all’Unione europea, compresa la Repubblica di Moldavia, consiste nell’apertura graduale di determinati programmi, istituzioni e agenzie comunitari ai paesi partner della politica europea di vicinato. Ho votato a favore della relazione perché credo che l’Unione europea debba sostenere la Repubblica di Moldavia e agevolare la sua partecipazione ad alcuni programmi comunitari. La cooperazione tra l’Unione e la Moldavia ne uscirà rafforzata in diversi campi come quello economico, scientifico, culturale e dell’istruzione.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione sul protocollo all’accordo di partenariato e cooperazione tra la CE e la Moldavia. Pur nutrendo gravi preoccupazioni per la situazione dei diritti umani in Moldavia, ho ricevuto un’impressione positiva dalle recenti osservazioni di Amnesty International e in particolare dalla ratifica dello Statuto di Roma che istituisce il Tribunale penale internazionale che è senz’altro incoraggiante.
Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Quale membro della commissione parlamentare di cooperazione UE-Moldavia, sono favorevole a qualsiasi progresso che contribuisce o potrebbe contribuire al consolidamento della situazione politica in Moldavia e a migliori condizioni di vita per la popolazione. Le raccomandazioni che votiamo oggi rappresentano un passo positivo verso il rafforzamento di una politica europea di vicinato davvero orientata all’integrazione. Come indicato dal relatore, concordo che l’attuale crisi in Moldavia è un problema da risolvere con rapidità e sopra tutto ricorrendo solo a mezzi legittimi. Bisogna stralciare dal testo l’espressione “una soluzione europea”, perché fuorviante e poco trasparente. Il relatore si riferisce senz’altro a una soluzione conforme agli accordi e ai documenti del Consiglio d’Europa, nonché ai principi democratici universalmente riconosciuti. Ma è importante che noi tutti respingiamo con forza ed enfasi qualsiasi ingerenza deliberata negli affari interni della Repubblica di Moldavia. In caso contrario non si farebbe che acuire le tensioni nel paese, anziché contribuire a una soluzione positiva dei problemi che sono in parte dovuti all’approccio poco equilibrato adottato in passato dall’UE.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) L’indice di sviluppo umano della Moldavia è tra i più bassi della regione. Le politiche di liberalizzazione a ritmo forzato sono state in larga misura volute dalle élite finanziarie dell’Unione europea che ne hanno tratto anche il maggiore profitto. Il controllo esercitato dalla Commissione europea e dal FMI tramite la futura assistenza macrofinanziaria non farà che aggravare la situazione.
In queste condizioni, tollerare che il governo moldavo obblighi la popolazione a finanziare programmi e agenzie europei poco affidabili, come il programma quadro per la competitività e l’innovazione o il programma SESAR, quando la Moldavia non è neppure un membro dell’Unione mi sembra una dimostrazione di cinismo. Ho votato contro questa relazione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Negli scorsi anni, la Moldavia ha tentato di avvicinarsi agli standard europei di libertà, democrazia e buon governo. Questi sforzi hanno dimostrato l’interesse costante della Moldavia al percorso che potrebbe portare all’allargamento.
Le ultime elezioni non si sono svolte nelle migliori delle condizioni e l’insediamento di un presidente ad interim alla guida del paese non lascia certo presagire che il consolidamento della cultura democratica sia avviato nella giusta direzione. A ciò si aggiunge la questione della Transnistria, passibile di causare una certa instabilità. L’UE deve proseguire i propri sforzi affinché le riforme da realizzare in Moldavia possano continuare nella giusta direzione, ossia nella direzione indicata in questo protocollo di partenariato e cooperazione.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) La partecipazione rafforzata della Moldavia ai programmi comunitari consentirà di promuovere ulteriormente le relazioni in campo culturale, dell'istruzione, ambientale, tecnico e scientifico, oltre a rafforzare le relazioni politiche attraverso il partenariato orientale e i negoziati del nuovo accordo di associazione. Tuttavia, l'attuazione del protocollo presuppone delle condizioni di stabilità politica e lo sviluppo democratico in Moldavia. C'è da rammaricarsi per il fallimento del referendum costituzionale del 5 settembre 2010. È essenziale che la Moldavia proceda con l'attuazione del Piano d'azione della politica europea di vicinato e delle riforme illustrate nel documento "Ripensare la Moldavia". Lo svolgimento delle elezioni politiche questo 28 novembre è una tappa indispensabile per la futura stabilità e prosperità della Moldavia e per lo sviluppo delle sue relazioni con l'Unione europea. È importante che le elezioni contribuiscano a far avanzare il paese in questa direzione e siano condotte nel pieno rispetto delle norme internazionali in materia di libere e legittime elezioni.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Purtroppo la Moldavia si trova oggi in una fase assai instabile di mutamento politico ed economico. Il protocollo all'accordo di partenariato e di cooperazione Unione europea-Moldavia sulla partecipazione della Moldavia ai programmi UE infonde nella popolazione moldava la speranza di una svolta positiva. La conclusione del protocollo favorisce il rafforzamento della cooperazione nel campo culturale, dell’istruzione e in altri ambiti. Ho votato a favore perché spero che questo partenariato contribuirà all’integrazione della Moldavia con l’Unione europea.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Come la maggioranza di questo Parlamento, ho votato a favore della raccomandazione che considero positiva perché lancia un segnale forte di sostegno e incoraggiamento all’atteggiamento filoeuropeista della Repubblica di Moldavia. Questo paese ai confini dell’Unione europea non sarebbe in grado di uscire dall’attuale impasse senza questo tipo di messaggi che rafforzano nella popolazione moldava la convinzione che l’Europa è la scelta giusta. La raccomandazione non potrebbe capitare a un momento più adatto, giacché tra pochi giorni nel paese si terranno le elezioni legislative anticipate.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) Sono favorevole al protocollo che sancisce i principi generali per la partecipazione della Moldavia ai programmi e alle agenzie comunitari. A questo paese si aprono nuove opportunità per il rafforzamento delle relazioni con gli Stati membri UE in campo culturale, dell’istruzione, ambientale, tecnico e scientifico. Sono certo che le relazioni politiche tra l’UE e la Moldavia saranno rafforzate attraverso il partenariato orientale e i negoziati del nuovo accordo di associazione. La stabilità politica e lo sviluppo democratico del paese sono essenziali per consentire la piena partecipazione della Moldavia ai programmi comunitari. È dunque essenziale che si ponga fine al lungo periodo di disordini e instabilità con le prossime elezioni parlamentari.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Le relazioni con la Moldavia hanno seguito un canale preferenziale dal 1994, anno in cui è stato sottoscritto l’accordo di partenariato e di cooperazione CE-Moldavia. Nel 2004, la Moldavia è stata inclusa nella politica europea di vicinato. La cooperazione istituzionale tra l’UE e i paesi vicini può, ma non deve necessariamente, preludere alla procedura di adesione di tali paesi all’UE. A prescindere dal risultato finale, l’Unione in quanto entità sopranazionale è governata da una serie di valori improntati alla pace, alla libertà e alla democrazia che sono considerati fondamentali per la prosperità del continente europeo.
Nella cooperazione con i paesi vicini, è essenziale che l’Unione presti particolare attenzione alla stabilità di tali paesi, senza alcuna ingerenza, e sostenga le loro istituzioni nell’applicazione efficace dello Stato di diritto e nel rispetto dei diritti umani. La ratifica da parte della Moldavia dello Statuto di Roma che istituisce il Tribunale penale internazionale lo scorso ottobre è di certo un passo nella direzione giusta.
In questo contesto ho deciso di sostenere la risoluzione legislativa relativa alla conclusione di un protocollo supplementare all’accordo di partenariato e di cooperazione CE-Moldavia, riguardante un accordo quadro fra l'UE e la Moldavia sui principi generali della partecipazione della Repubblica moldova ai programmi dell'Unione.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Onorevoli colleghi, ringrazio il collega Watson per l'ottimo lavoro svolto. Ho espresso un voto favorevole, concordando sulla necessità che la Moldavia debba procedere con l'attuazione del Piano d'azione PEV e delle riforme illustrate nel documento "Ripensare la Moldavia".
Lo svolgimento di elezioni, come richiesto dalla Costituzione, è indispensabile per la futura stabilità e prosperità della Moldavia e per lo sviluppo delle sue relazioni con l'Unione europea. Tutte le parti interessate dovrebbero unirsi per trovare una soluzione e riflettere la fiducia della popolazione moldava in una soluzione europea. L'Unione europea e il Consiglio d'Europa hanno fornito notevole assistenza e dovrebbero continuare a farlo per superare rapidamente questa situazione di stallo.
Mario Pirillo (S&D), per iscritto. − L'adozione del protocollo sui principi generali della partecipazione della Repubblica di Moldavia ai programmi dell'Unione europea è di fondamentale importanza per proseguire sulla strada di una più organica collaborazione, che dovrà ragionevolmente concludersi in futuro con un accordo di associazione.
L'attuale impasse costituzionale in Moldavia potrebbe pregiudicare l'attuazione complessiva del protocollo e dei relativi memorandum d'intesa. Dopo il fallimento del referendum dello scorso settembre ha grande rilevanza l'assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche in vista delle prossime elezioni del 28 novembre. La stabilità politica è conditio sine qua non per un maggior coinvolgimento nei programmi comunitari. Una convinta scelta europeista potrà parimenti contribuire a facilitare il percorso di sviluppo non solo economico ma anche democratico della Moldavia.
Ecco perché, signor Presidente, oggi ho votato a favore di questa risoluzione del Parlamento europeo, sperando che tutti i processi attivati in Moldavia siano accompagnati da un supporto tecnico e scientifico da parte dell'Europa.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Nel quadro della politica europea di vicinato, la graduale partecipazione dei paesi partner PEV a determinati programmi e agenzie comunitari si inserisce nel contesto delle numerose iniziative volte a promuovere le riforme, la modernizzazione e la transizione nei paesi che confinano con l’Unione europea. Nel marzo 2008 fu deciso di avviare con la Repubblica di Moldavia i negoziati che si sono adesso conclusi. Questo progetto di protocollo include un accordo quadro sui principi generali di partecipazione della Moldavia ad alcuni programmi e agenzie comunitari in determinati ambiti come per esempio i trasporti, la sicurezza alimentare, le dogane, la sicurezza aerea e altri. Ho votato a favore della relazione perché questa iniziativa sostiene la Repubblica di Moldavia, un paese ai confini dell’UE, nei suoi sforzi di riforma e modernizzazione.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della conclusione di questo protocollo all’accordo di partenariato e di cooperazione tra l’Unione europea e la Moldavia perché mi rendo conto che gli aiuti prestati dall’UE alla Moldavia sono essenziali per consentire a tale paese di realizzare le riforme necessarie e conseguire la stabilità politica desiderata nel pieno rispetto dei principi democratici e dello Stato di diritto.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Questa relazione verte sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione di un protocollo all'accordo di partenariato e di cooperazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Moldavia, dall'altra, riguardante un accordo quadro fra l'Unione europea e la Repubblica moldova sui principi generali della partecipazione di tale paese ai programmi dell'Unione. Con il suo voto favorevole, il Parlamento europeo acconsente alla conclusione del protocollo.
Traian Ungureanu (PPE), per iscritto. – (EN) In qualità di relatore ombra dell’EPP sugli accordi UE-Repubblica di Moldavia, accolgo con estrema soddisfazione il voto espresso a grande maggioranza in favore della conclusione del protocollo all’accordo di partenariato e cooperazione tra l’UE e la Moldavia riguardante la partecipazione della Moldavia ai programmi comunitari. Ancora prima della conclusione di un accordo di associazione, si offre alla Moldavia l’opportunità di una cornice legale entro cui partecipare ai programmi e alle agenzie comunitari in vista del suo progressivo avvicinamento agli standard UE, in particolare nel campo dei trasporti, della sicurezza alimentare, delle dogane e della sicurezza aerea. Alla vigilia delle elezioni legislative in Moldavia, il Parlamento europeo trasmette un segnale forte a sostegno delle riforme filoeuropee in questo paese confinario e ribadisce l’importanza del loro compimento. Con piacere posso dire che il Parlamento europeo ha espresso un consenso unanime trasversale agli schieramenti in ogni fase della procedura in quest’Aula, addivenendo a una posizione univoca sulla necessità di concludere questo protocollo quanto prima per offrire alla Moldavia tutte le possibilità e i vantaggi derivanti dalle relazioni con l’UE.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) L’Unione europea comprensiva dei nuovi Stati membri, come la Lituania, ha il dovere di tenere conto degli interessi dei paesi posti lungo il confine orientale. Il rafforzamento della cooperazione tra l’UE e la Moldavia e l’inclusione di questo paese nei programmi comunitari favorirà il suo avvicinamento agli standard e alle norme UE. L’accordo di partenariato e di cooperazione promuove lo sviluppo di nuove e più strette relazioni tra l’UE e la Moldavia nei campi culturale, dell’istruzione e tecnologico. Per l’UE è importante in special modo dimostrare ai giovani moldavi i vantaggi che porterà la futura adesione all’UE. Gli emigrati moldavi che lavorano in altri paesi europei, talvolta in maniera irregolare, hanno contribuito per il 19 per cento al PIL della Moldavia. La povertà, la corruzione e la tratta di esseri umani sono problemi che vanno risolti insieme. In preparazione all’adesione UE, la Moldavia deve affrontare diverse e importanti riforme strutturali.
L’UE deve continuare a sostenere gli sforzi compiuti dal paese. Il rafforzamento della democrazia e dello Stato di diritto sono prioritari. Il conflitto nella Transnistria è un problema per l’Europa ma anche un’opportunità per approfondire la cooperazione dell’UE con Moldavia, Russia e Ucraina. Non dobbiamo trascurare questo aspetto. Mi auguro che le elezioni parlamentari del 28 novembre consentiranno alla Moldavia di guardare al futuro.
Damien Abad (PPE) , per iscritto. – (FR) Il Parlamento ha adottato oggi in prima lettura due relazioni legislative: un regolamento riguardante aspetti peculiari dell’Unione europea e una direttiva sulle norme che gli Stati membri devono applicare a livello nazionale. Gli Stati membri avranno la responsabilità di garantire normative nazionali che mettano a disposizione del pubblico informazioni obiettive e imparziali. Queste comprendono le informazioni indicate sulle confezioni, la relazione di valutazione del prodotto e le informazioni sulla prevenzione dalle malattie. I pazienti devono avere un migliore accesso a informazioni di qualità sui medicinali soggetti a prescrizione medica, ovvero le informazioni sulle caratteristiche del farmaco e le patologie che tratta. Abbiamo il dovere di tutelare i consumatori e fare in modo che siano informati con trasparenza. La nostra attività di deputati comprende anche la costruzione di un’Europa che tuteli e informi e per questo ho votato a favore di entrambi i testi.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto – (FR) La direttiva 2001/83/CE stabilisce un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano e definisce le norme sulle informazioni da allegare ai medicinali, che ne descrivono le caratteristiche e l’uso; non fornisce però un quadro normativo armonizzato sui contenuti e sulla qualità delle informazioni non promozionali per i pazienti. L’esperienza ci insegna come diverse interpretazioni dei testi possano generare situazioni in cui il pubblico viene esposto alla pubblicità occulta, in particolare su Internet. La Commissione ha proposto una direttiva che modifica l’attuale legislazione allo scopo di migliorare le modalità di diffusione al pubblico delle informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica. L’obiettivo è di creare un quadro normativo che regoli la diffusione al pubblico di informazioni specifiche sui medicinali da parte dei titolari delle autorizzazioni all’immissione in commercio. Il progetto di risoluzione legislativa del Parlamento europeo è più ambizioso della proposta della Commissione. Ho votato a favore di questo testo perché migliora le informazioni messe a disposizione dei pazienti e le rende un po’ più sicure.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa importante risoluzione che mira ad informare maggiormente i pazienti in merito ai medicinali che vengono loro prescritti. Vi sono notevoli problemi legati all’attuale quadro normativo e alla situazione in Europa rispetto all’accesso dei pazienti alle informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica. fanno sì che i pazienti che risiedono in diverse parti d'Europa abbiano un accesso diverso a informazioni di elevata qualità sui medicinali . In alcuni Stati membri i pazienti non possono neppure accedere facilmente alle informazioni più basilari sui medicinali che sono loro prescritti. Alla luce delle diverse interpretazioni della direttiva negli Stati membri, ritengo che sia necessario fare maggiore chiarezza nelle disposizioni affinché tutti i cittadini dell’Unione europea possano ottenere le informazioni di cui hanno bisogno riguardo ai prodotti farmaceutici. Gli emendamenti adottati dal Parlamento europeo garantiscono che le informazioni sul medicinale soggetto a prescrizione vengano fornite al pubblico esclusivamente attraverso specifici canali di comunicazione, tra cui siti web specializzati e certificati, orientati alla tutela degli interessi dei pazienti e al contenimento delle occasioni di pubblicità per le aziende farmaceutiche.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Offrire ai pazienti un migliore accesso a informazioni di qualità riguardo al trattamento loro prescritto aumenta le probabilità di comprensione da parte dei pazienti stessi delle decisioni che li riguardano in prima persona. L’intenzione è ottima, ma questa iniziativa deve essere inserita in una più ampia strategia di educazione sanitaria, che ponga al centro il paziente e non l’azienda farmaceutica. L'attuale quadro giuridico e la situazione europea presentano molti problemi per quanto concerne l'accesso dei pazienti alle informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica. Le differenze di interpretazione della direttiva da parte degli Stati membri fanno sì che i pazienti che risiedono in diverse parti d'Europa abbiano un accesso diverso a informazioni di elevata qualità sui medicinali . In alcuni Stati membri i pazienti non possono neppure accedere facilmente alle informazioni più basilari sui medicinali che sono loro prescritti. Questo comporta sanitario disparità sul piano della salute. Tramite Internet i pazienti già hanno, in pochi secondi, un accesso illimitato a informazioni non controllate e spesso non corrette sui medicinali soggetti a prescrizione medica. Essi devono invece avere accesso a informazioni controllate e sicure che non li confondano ulteriormente. È quindi necessario aggiornare le diposizioni relative alle informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione.
Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. – Mi congratulo con il relatore e collega Fjellner per l'elaborazione di questa relazione. Ho espresso voto positivo in quanto ritengo fondamentale garantire ai pazienti l'accesso alle informazioni per i medicinali soggetti a prescrizione medica.
Da tempo sia il Parlamento europeo che le organizzazioni dei pazienti richiedono un adeguamento dell'attuale normativa che, così com'è, non garantisce le necessarie informazioni. Infatti, lo sviluppo tecnico e la facile reperibilità su Internet delle informazioni relative all'uso dei medicinali si dimostrano troppo spesso fallaci e non veritieri.
Concordo con lo spirito di fondo di questa relazione che vuole inserire al centro della legislazione il "diritto del paziente all'informazione" e, di conseguenza, raccomanda alle case farmaceutiche di comunicare alcune informazioni fondamentali ai pazienti.
Auspico dunque una maggiore certezza del diritto, che spesso viene meno anche a causa della diversa applicazione che gli Stati membri hanno fatto della precedente direttiva. È quindi necessario aggiornare le diposizioni relative alle informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione e adottare nuove norme, promuovendo una maggiore alfabetizzazione sanitaria e coinvolgendo maggiormente l'industria sanitaria nello svolgimento di un ruolo fondamentale per il miglioramento della salute pubblica.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) Nel campo della salute, l’accesso a informazioni complete e di qualità garantisce migliori risultati, poiché i pazienti sono più inclini a seguire un trattamento che sono in grado di comprendere. Mi unisco al relatore nel rimarcare la difficoltà di accedere a questo tipo di informazioni in alcuni paesi europei, dovuta alle diverse interpretazioni da parte degli Stati membri della direttiva relativa alle informazioni sui medicinali e alla fumosità e inattendibilità di queste ultime. Dobbiamo rendere le informazioni più accessibili nel rispetto del diritto del paziente all’informazione. Per evitare la creazione di squilibri tra gli Stati membri, è fondamentale individuare i canali di diffusione di queste informazioni ed evitare di privilegiare alcune informazioni rispetto ad altre. Infine è essenziale operare una distinzione chiara tra informazioni e pubblicità e impedire alle aziende farmaceutiche di sfruttare le campagne informative per promuovere i loro prodotti.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Ho espresso voto favorevole sugli emendamenti presentati dal Parlamento europeo alla proposta della Commissione relativa alle informazioni sui medicinali, poiché ritengo fondamentale che il pubblico possa accedere agevolmente alle informazioni sui medicinali, in particolare attraverso Internet, dove si possono reperire informazioni in tutte le lingue europee.
Françoise Castex (S&D), per iscritto. – (FR) Ho espresso voto contrario al testo, poiché non possiamo permettere alle aziende farmaceutiche e alla Commissione di trasformare la salute in un prodotto commerciale qualsiasi. Al cuore del dibattito troviamo ancora una volta il legame tra l’industria farmaceutica in Europa e la farmacovigilanza. Non possiamo permettere alle case farmaceutiche di informare il pubblico a loro discrezione, né possiamo autorizzare una pubblicità diretta al pubblico sui medicinali soggetti a prescrizione medica. Gli interessi commerciali di queste aziende sono incompatibili con gli obiettivi di interesse generale delle nostre politiche sanitarie e sarebbe pericoloso ignorare questo fatto.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La proposta iniziale della Commissione europea di una direttiva relativa alle informazioni rivolte al pubblico sui medicinali soggetti a prescrizione medica ha spalancato le porte alla pubblicità dei medicinali da parte delle aziende farmaceutiche. Oggi in plenaria è stata modificata la proposta iniziale della Commissione, fatta su misura per l’industria farmaceutica. Ho votato a favore di tutti gli emendamenti, che hanno migliorato notevolmente il testo originale, mettendo al centro della legislazione non più il diritto dell’industria farmaceutica di pubblicizzare i suoi prodotti, bensì il diritto dei pazienti di ottenere informazioni attendibili, obiettive e indipendenti. Ho inoltre votato a favore degli emendamenti che vietano la trasmissione di informazioni sui medicinali in televisione, alla radio e sui giornali. Nonostante i miglioramenti raggiunti, il confine tra informazioni e pubblicità è ancora incerto e il testo si presenta a tratti ancora fragile e lacunoso. Mi sono astenuto dal voto finale, poiché ritengo che la migliore soluzione sia una revisione della proposta di direttiva da parte della Commissione sulla base degli orientamenti forniti oggi. Non è un caso il fatto che gli Stati membri abbiano assunto quasi all’unanimità un atteggiamento di distacco rispetto a questo fascicolo in Consiglio.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Ritengo che i pazienti debbano avere accesso a migliori informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica. Questo implica il fornire informazioni obiettive sulle caratteristiche dei medicinali e le patologie per le quali si raccomanda il loro uso, nonché impedire la comunicazione di informazioni non richieste o la pubblicità occulta.
Christine De Veyrac (PPE), per iscritto. – (FR) Per tutelare il pubblico, è essenziale operare una distinzione tra informazioni e pubblicità riguardo ai medicinali. Per questo motivo ho votato a favore della relazione Fjellner, che prevede che nella confezione dei medicinali venga inserita una descrizione obiettiva ad uso dei pazienti. Essa contempla inoltre un accesso potenziato a informazioni chiare e attendibili, che saranno reperibili in tutte le lingue dell’Unione europea sui siti autorizzati e negli opuscoli ufficiali. Accolgo con favore l’adozione di questa proposta che segna un reale progresso verso una maggiore trasparenza in materia di salute.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione, alla quale mi sono sempre fermamente opposta. Se da un lato approvo l’idea di fornire migliori informazioni ai pazienti, dall’altro non approvo i mezzi proposti per farlo. L’obiettivo dell’industria farmaceutica non sarà mai la filantropia ed tra informazione e pubblicità esiste una linea molto sottile. È vero che il testo, adottato quasi all’unanimità, non ha niente a che vedere con l’idea iniziale della Commissione, che avrebbe spalancato le porte alla pubblicità, celata dietro l’etichetta di “informazione”. La proposta corrispondeva alle chiare intenzioni del settore farmaceutico di aggirare il divieto giuridico sulla pubblicità per i medicinali. La relazione adottata oggi contiene molte più garanzie: in particolare, le informazioni fornite dalle aziende farmaceutiche a scopo di diffusione saranno sottoposte a controlli preliminari e non saranno divulgate dai mezzi di comunicazione. Ciononostante, l’autorizzazione a pubblicare un estratto dei foglietti illustrativi significa che vi saranno alcuni elementi che saranno enfatizzati e altri, ad esempio gli effetti collaterali, che saranno regolarmente omessi negli estratti perché non fanno “vendere” bene. Non si tratta già di una mossa promozionale? Era questo l’obiettivo? Il gioco valeva davvero la candela?
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/83/CE concernente le informazioni al pubblico sui medicinali soggetti a prescrizione medica. Questa direttiva stabilisce un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano e garantisce il diritto del paziente ad avere informazioni attendibili, accessibili, indipendenti e approvate dalle autorità competenti sui medicinali disponibili.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (ES) La direttiva 2001/83/CE stabilisce un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano e prevede un quadro normativo armonizzato per la pubblicità dei medicinali a livello comunitario, la cui applicazione rimane di competenza degli Stati membri. La legislazione vieta la pubblicità al pubblico dei medicinali soggetti a prescrizione medica.
Non sussiste però una regolamentazione delle disposizioni relative alle informazioni sui medicinali, poiché la direttiva stabilisce solo che le informazioni relative ad alcune attività di fornitura siano esenti dalle disposizioni sulla pubblicità. La legislazione dell’Unione non impedisce quindi agli Stati membri di definire approcci individuali nella fornitura di informazioni sui medicinali, a patto che vengano osservate le suddette norme relative alla pubblicità. Condivido la proposta del relatore di impedire ogni possibilità di divulgazione delle informazioni delle aziende farmaceutiche attraverso giornali, riviste e pubblicazioni analoghe, televisione o radio.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa proposta di direttiva modifica la direttiva precedente relativa alle informazioni da fornire al pubblico sui medicinali soggetti a prescrizione medica. A grandi linee, essa pone innanzi tutto l’accento sulla responsabilità delle aziende farmaceutiche di informare il pubblico facendo attenzione a non fornire informazioni di natura promozionale. In secondo luogo, attribuisce alla Commissione un ruolo di controllo e decisione – attraverso atti delegati – in merito alle definizioni di informazione e pubblicità. Riteniamo che questo approccio preveda una concentrazione eccessiva di ruoli in materia di informazione nelle mani delle aziende farmaceutiche e della Commissione, ruoli che dovrebbero essere svolti in base al principio della sovranità, con il coordinamento e l’approvazione di autorità nazionali competenti al fine di fornire migliori informazioni ai pazienti e al pubblico, nella tutela dei loro diritti.
Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'approvazione della nuova normativa in materia di informazioni su medicinali rappresenta un ulteriore passo avanti per garantire ai pazienti un'informazione più limpida e più efficace sui farmaci che assumono e che sono loro prescritti.
È necessario un quadro legislativo armonizzato a livello europeo che, oltre a mantenere il divieto di pubblicità per i medicinali soggetti a prescrizione medica, tenga conto del "diritto del paziente all'informazione". Non è questione di poco conto, dal momento che il confine talvolta labile tra "promozione di un prodotto" e "informazione su un prodotto" rischia di confondere il paziente.
Dobbiamo ricordarci che in tutta l'Unione europea è in costante crescita il ruolo attivo dei pazienti nel settore della salute. Pertanto, un migliore accesso alle informazioni non promozionali può aiutare i cittadini a comprendere meglio i trattamenti che sono loro prescritti e a facilitarne la guarigione, il tutto naturalmente nell'interesse della loro salute.
Per concludere, vorrei sottolineare l'importanza di definire con trasparenza le tipologie di informazioni sui farmaci e i canali attraverso cui possono essere trasmesse. Occorre arginare il rischio di pubblicità occulte e, se e quando necessario, il rischio di un eccesso di informazioni non controllate e fuorvianti.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Signor presidente, cari colleghi, ho espresso il mio voto favorevole sulla proposta di direttiva relativa alla comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali per uso umano soggetti a prescrizione medica, perché ritengo che l'armonizzazione delle leggi in tale settore sia uno strumento fondamentale attraverso cui tutelare la consapevolezza dei pazienti europei. Ed in effetti, si tratta di una materia molto delicata, in quanto attinente alla protezione della salute, diritto fondamentale dell'uomo. Condivido pienamente l'appello rivolto dal Parlamento affinché si attui una netta distinzione tra informazione terapeutica e pubblicità. Le case farmaceutiche, infatti, non devono utilizzare il diritto all'informazione del paziente come veicolo per occultare intenzioni promozionali ma, all'opposto, usarlo per garantire ai consumatori europei una reale consapevolezza sui prodotti, attraverso l'indicazione scientifica delle loro caratteristiche, l'etichettatura e le relazioni di valutazione. Va, inoltre, rilevato che un maggiore accesso alle informazioni, sia in formato elettronico, e quindi tramite internet, sia in formato cartaceo, è anche in grado di contribuire al raggiungimento di migliori risultati sanitari, in quanto il paziente informato sui medicinali soggetti a prescrizione é un soggetto in grado di partecipare attivamente e con maggiore consapevolezza al processo terapeutico di guarigione
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione che fa parte di un pacchetto che modificherà l’attuale direttiva 2001 sui medicinali per uso umano. Essa è specificamente incentrata sulla comunicazione al pubblico delle informazioni relative ai medicinali soggetti a prescrizione medica. Gli obiettivi dichiarati della direttiva sono la garanzia di un migliore accesso alle informazioni per i pazienti e un chiarimento delle norme in materia, attualmente interpretate in modo diverso nell’Unione europea, con conseguenti disparità a livello sanitario. Viene fatto cenno anche alle informazioni in Internet, argomento non ancora disciplinato e particolarmente critico, poiché di ardua regolamentazione.
Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La proposta adottata oggi a larga maggioranza in Parlamento rappresenta un importante passo avanti rispetto alla proposta iniziale della Commissione, poiché offre maggiore sostegno ai diritti del paziente all’informazione. Nonostante gli evidenti miglioramenti contenuti nella relazione del Parlamento, mi sono astenuta dal voto perché alcune delle garanzie necessarie affinché il pubblico abbia accesso a informazioni chiare e indipendenti sui medicinali sono a mio avviso ancora deboli.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Non tutti gli emendamenti presentati in quest’Aula alla proposta della Commissione e del Consiglio vanno nella giusta direzione: aderiscono rigorosamente al principio del mercato unico per i medicinali e considerano i prodotti da banco una merce qualsiasi. Gli autori parlano persino di “consumatori”, anziché di pazienti. Gli emendamenti non propongono di impedire alle aziende farmaceutiche di produrre informazioni per il pubblico sui loro medicinali.
Ai relatori va comunque il merito di contribuire per quanto possibile alla regolamentazione da parte degli Stati membri della diffusione delle informazioni pubblicate dalle aziende. In particolar modo garantiscono loro il diritto di condannare pubblicamente le aziende che pubblicano informazioni non conformi ai dati ufficiali degli Stati o che diffondono le informazioni in modo ingannevole. Meglio di niente. Non posso tuttavia votare a favore di un testo che presenta queste fragilità e mi asterrò quindi dal voto.
Nuno Melo (PPE) , per iscritto. – (PT) Un accesso a informazioni di qualità sui medicinali soggetti a prescrizione medica contribuirà al raggiungimento di risultati sanitari migliori per i pazienti, poiché più i pazienti sono informati, meglio possono comprendere le decisioni relative ai trattamenti cui sono sottoposti. Questa proposta non può mirare solo ad armonizzare la legislazione europea, ma deve anche promuovere la salute migliorando le conoscenze in questo settore. All’industria farmaceutica spetta l’importante ruolo di promuovere l’alfabetizzazione sanitaria, che deve essere però chiaramente definita. È auspicabile inoltre una severa regolamentazione della partecipazione nel settore per impedire che le osservazioni di natura commerciale conducano a un eccessivo consumo di medicinali.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Agli anziani e in particolare ai pazienti con patologie croniche vengono prescritti numerosi medicinali che potrebbero presentare interazioni negative, poiché di certo un medico non sa cosa è stato prescritto da un suo collega. Nel frattempo aumenta il numero di prodotti, dall’aspirina ai farmaci per il raffreddore e l’insonnia, che vengono venduti senza prescrizione medica. Qualcuno si chiede se sussiste l’eventualità che anche prodotti naturali a base di erbe possano interagire con diversi medicinali? I pazienti alimentano la confusione in questo senso: non si parla mai, infatti, dei medicinali prescritti che assumiamo al momento sbagliato o delle cure che decidiamo autonomamente di interrompere o cambiare e altro ancora. I danni economici derivanti dalla scarsa osservanza delle istruzioni sui trattamenti sanitari si calcolano in miliardi; pertanto la netta distinzione, auspicata dal relatore, tra pubblicità e informazioni risulta essere fondamentale. Da questo si spera possa derivare una maggiore chiarezza sul fatto che anche i farmaci non soggetti a prescrizione medica possono interagire con i medicinali soggetti a prescrizione. Il medico che prescrive la cura deve rimanere la fonte primaria di informazioni, poiché è il solo in grado di decidere il medicinale adeguato per il paziente, sulla base di criteri di età, genere, peso, intolleranze note, e così via. Alla luce di queste considerazioni, mi sono astenuto dal voto.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Onorevoli colleghi, ho votato a favore della proposta del collega in quanto ritengo estremamente importanti il messaggio e le indicazioni fornite. I consumatori europei spesso si trovano persi dinanzi ai foglietti illustrativi dei medicinali, trovandoli poco semplici e contenenti informazioni che spesso li confondono.
La proposta di direttiva relativa alla comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica ha proprio l'obiettivo di fornire informazioni semplici, di facile comprensione e utilizzo, evitando invece forme di pubblicità. È importante, inoltre, che le informazioni siano accessibili non soltanto attraverso i foglietti illustrativi, per cui in tal senso ben venga la pubblicazione su Internet.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE) , per iscritto. – (PT) Ritengo che operare una distinzione tra informazioni e pubblicità riguardo ai medicinali sia fondamentale per la tutela dei cittadini. Il mio voto favorevole alla relazione Fjellner è motivato dai chiari miglioramenti introdotti nella direttiva 2001/83/CE. Il documento è stato approvato a larga maggioranza, nella convinzione che il diritto del paziente all’informazione vada tutelato e il lavoro svolto dal Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare per migliorare la proposta presentata inizialmente dalla Commissione europea merita di essere rimarcato.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Onorevoli colleghi, ringrazio il collega Christofer Fjellner per l'ottimo lavoro svolto. Ho espresso favorevolmente il mio voto, con cui concordo che le informazioni non promozionali sui medicinali devono essere messe a disposizione dei pazienti e del pubblico dai titolari delle autorizzazioni all'immissione in commercio secondo il principio della ricerca attiva ("pull principle"), in base al quale i pazienti o il pubblico hanno accesso alle informazioni se ne hanno bisogno (contrariamente al "push principle", in base al quale i titolari delle autorizzazioni all'immissione in commercio diffondono le informazioni ai pazienti e al pubblico).
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Le informazioni fornite ai pazienti dovrebbero presentare le seguenti caratteristiche principali:
- attendibilità: le informazioni per i pazienti devono essere fondate sulle conoscenze scientifiche più recenti, di cui dovrebbero essere citate chiaramente le fonti;
- indipendenza: deve essere specificato chiaramente chi fornisce e chi finanzia le informazioni affinché i consumatori possano individuare potenziali conflitti di interesse;
- le informazioni devono essere facilmente accessibili ai consumatori e orientate al paziente, devono essere comprensibili e facilmente reperibili e tenere in considerazione le particolari esigenze dei consumatori in termini di età, differenze culturali e necessità di ottenere le informazioni in tutte le lingue europee. Le informazioni fornite ai pazienti riguardo ai medicinali soggetti a prescrizione medica devono rientrare in una più ampia strategia di “informazioni al paziente”, nonché di educazione sanitaria.
I pazienti e chiunque ne abbia interesse devono avere la possibilità di ottenere informazioni precise e imparziali su uno stile di vita sano, sulla prevenzione delle malattie e delle patologie specifiche e sui diversi trattamenti possibili. Ritengo quindi che questa proposta debba essere accompagnata da un codice di condotta sulle informazioni fornite ai pazienti, da redigere in collaborazione con le organizzazioni dei pazienti. Questo permetterà di “dare voce ai pazienti”.
Paulo Rangel (PPE) , per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione poiché accolgo positivamente il fatto che le soluzioni di compromesso introdotte nella proposta presentata inizialmente dalla Commissione abbiano contribuito in maniera determinante a garantire ai pazienti l’accesso a informazioni attendibili e indipendenti sui medicinali soggetti a prescrizione medica disponibili sul mercato.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Permane il divieto di pubblicizzare i medicinali soggetti a prescrizione medica all’interno dell’Unione europea. Le aziende farmaceutiche devono osservare chiare norme di obiettività nella diffusione di informazioni non promozionali. Sono questi i due messaggi di maggiore rilievo trasmessi all’ora di pranzo con l’adozione del pacchetto legislativo sulle informazioni ai pazienti. Il voto consensuale del Parlamento (558 voti contro 48) conferma il voto unanime, meno uno, della Commissione sull’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. Sono state introdotte numerose tutele e il divieto proposto dalla Commissione europea di trasmettere informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica in televisione o per radio è stato esteso dal Parlamento europeo anche alla carta stampata. I produttori devono adempiere a molti obblighi: descrizione delle caratteristiche del prodotto, etichettatura ancora più rigorosa e autorizzazione preventiva da parte delle autorità sanitarie. Non mi capacito di tutto il “trambusto” suscitato dalla questione, soprattutto nel Belgio francofono, tra le associazioni dei consumatori e le mutue, sostenute da alcuni deputati che già prima dell’inizio delle discussioni avevano condannato queste due leggi. Credo che questo atteggiamento politico di leggerezza sia deplorevole, se pensiamo alle elevate aspettative dei pazienti che devono affrontare la malattia e al fatto che, senza queste leggi, il pubblico sarebbe alla mercé dei ciarlatani in Internet.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La decisione di esprimere voto favorevole o astenerci dipendeva dal risultato della terza parte dell’emendamento 31, che stabilisce che le aziende farmaceutiche possano fornire materiale informativo esclusivamente agli operatori sanitari per uso proprio e non per divulgazione al paziente. Questo punto era cruciale per il gruppo Verde/Alleanza Libera Europea. In seguito alla sua adozione, abbiamo deciso di esprimere il nostro sostegno alla relazione al voto finale.
Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE), per iscritto. – Il voto favorevole a questo provvedimento è una conseguenza della distinzione formale che è stata operata tra informazione sul farmaco e pubblicità.
La maggiore divulgazione di informazioni sui farmaci trova la nostra condivisione se ciò serve a fornire maggiore consapevolezza ai pazienti. Non ci trova e non ci troverà mai d'accordo ogni provvedimento che, in maniera chiara o in maniera surrettizia, intenda introdurre forme di pubblicità, trasformando il farmaco etico in un prodotto commerciale. È pertanto apprezzato il fatto che le informazioni sui farmaci non saranno pubblicabili su giornali e riviste, né tanto meno divulgabili attraverso la radio e la televisione.
È inoltre positivo che il progetto di direttiva chiarisca quali e quante siano le informazioni che possano e debbano essere divulgate, includendo quelle di tipo scientifico ed escludendo chiaramente quelle di carattere commerciale.
L'emendamento che introduce anche la certificazione e il controllo sui siti Internet che pubblicheranno dette informazioni ci rassicura ulteriormente sul fatto che non si tratterà di pubblicità. La farmacia è e deve restare un presidio sanitario di base e come tale un ambiente protetto rispetto alle regole del commercio della concorrenza. Riteniamo che questa norma coadiuvi il sistema delle farmacie nello svolgimento del suo delicato ruolo nell'ambito della farmacovigilanza e dell'educazione al corretto uso del farmaco.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Nell’era attuale, caratterizzata da una ricerca autonoma delle informazioni, occorre fornire ai pazienti informazioni chiare, obiettive, attendibili e corrette sugli effetti dei medicinali. Nonostante sia vietato pubblicizzare i medicinali all’interno dell’Unione, la Commissione ha aperto una breccia. La sua proposta – che non ho appoggiato – non presentava una reale strategia, né una distinzione netta con la pubblicità. La Commissione attribuiva inoltre troppi diritti e troppa responsabilità all’industria farmaceutica. Dopo le sostanziali modifiche apportate dal Parlamento posso ad ogni modo appoggiare la proposta; sono stati introdotti limiti riguardo all’utilizzo dei documenti ufficiali da parte delle aziende (estratti informativi sui prodotti, relazioni di valutazione) e ai canali tramite i quali le informazioni vengono rese disponibili: giornali, riviste sulla salute, siti web e lettere ai pazienti non sono più autorizzati. Qualsiasi suggerimento sui medicinali deve essere vagliato e approvato preventivamente dalle autorità competenti. Non è ammessa pertanto l’autoregolamentazione, che la proposta originale escludeva. Nutro ancora parecchi dubbi riguardo alla fattibilità della proposta, in quanto ritengo che una strategia vincolante del governo sulle informazioni avrebbe maggiore incisività rispetto alle politiche aziendali controllate dal governo. Ho votato comunque a favore della proposta legislativa poiché, tutto sommato, garantisce ai pazienti una migliore informazione.
Marc Tarabella (S&D), per iscritto. – (FR) La relazione Fjellner in merito alle informazioni sui medicinali suscita legittime preoccupazioni riguardo alla possibilità delle aziende farmaceutiche di pubblicizzare i prodotti ai pazienti. Gli onorevoli colleghi della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare hanno sicuramente migliorato il testo rifiutandosi di appoggiare vari tipi di pubblicità occulta e suggerendo un controllo da parte delle autorità sanitarie degli Stati membri sulle comunicazioni trasmesse dalle aziende farmaceutiche al pubblico riguardo ai medicinali soggetti a prescrizione medica. Rimango però molto cauto riguardo al confine estremamente fumoso tra i concetti di informazione e pubblicità.
Sono ad esempio fermamente contrario al fatto di autorizzare le aziende a pubblicizzare i propri prodotti ai pazienti attraverso il personale medico: non voglio che i medici subiscano pressioni e si trasformino in rappresentanti dell’industria farmaceutica. Per questo motivo, nonostante i rigorosi controlli disposti dagli onorevoli colleghi, mi sono astenuto dal voto su un testo che mi è sembrato davvero problematico.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione poiché rappresenta un passo avanti chiaro e netto nell’informazione ai pazienti riguardo ai medicinali. Permane il divieto di pubblicità per i medicinali. La relazione medico-paziente non è influenzata negativamente dalla direttiva e l’autorità del fornitore di servizi di prescrivere medicinali rimane salda. Nell’insieme abbiamo una valida proposta di direttiva dal pacchetto farmaceutico per la seconda lettura.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Questa direttiva introdurrà per la prima volta norme uniformate riguardanti la tipologia di informazioni da fornire al pubblico sui medicinali soggetti a prescrizione medica. Occorre fornire informazioni che illustrino ai pazienti i benefici e i rischi associati ai medicinali soggetti a prescrizione medica e che permettano loro di prendere decisioni informate. In seguito alle consultazioni con le organizzazioni dei pazienti e gli operatori sanitari, tra gli altri, la Commissione adotterà criteri di qualità per le informazioni. Questi criteri garantiranno l’attendibilità dei dati forniti – inclusi quelli pubblicati sui siti web e i portali in Internet – e attribuiranno all’industria farmaceutica la responsabilità per le informazioni trasmesse.
Gli emendamenti dell’onorevole Fjellner raccomandano l’organizzazione di campagne informative per sensibilizzare il pubblico riguardo ai rischi dei medicinali contraffatti, che hanno già avuto esiti fatali in alcuni Stati membri, quali il Regno Unito. Da anni le autorità doganali dell’Unione europea registrano un rapido aumento delle importazioni di medicinali contraffatti, in particolare antibiotici, analgesici e perfino farmaci antitumorali. Contrariamente a quanto riportato dai mezzi di comunicazione, la direttiva riguarda esclusivamente i medicinali soggetti a prescrizione medica. Nulla da temere per le tisane.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, il regolamento (CE) n. 726/2004 istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e istituisce l’Agenzia europea per i medicinali. L’emendamento alla direttiva 2001/83/CE pone l’accento sul miglioramento delle informazioni fornite ai pazienti, in particolare per quanto riguarda la distinzione tra informazioni e pubblicità. Alla luce di questo emendamento, anche il regolamento dovrebbe essere modificato affinché alcuni elementi informativi relativi ai prodotti che esso disciplina siano oggetto di un monitoraggio preventivo da parte dell’Agenzia europea per i medicinali. Tenendo a mente quest’obiettivo, la Commissione europea ha presentato una proposta di emendamento al regolamento, che riguarda la comunicazione al pubblico d’informazioni sui medicinali per uso umano soggetti a prescrizione medica. Il Parlamento europeo, invitato a esprimere un parere sulla proposta, ha presentato diversi emendamenti al testo della Commissione europea. Queste sono le motivazioni che mi hanno portato a votare a favore della risoluzione che modifica la direttiva 2001/83/CE. Si tratta di due normative strettamente correlate, che condividono l’obiettivo di migliorare le informazioni fornite ai pazienti sui medicinali che vengono loro prescritti.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Signor Presidente, il partito comunista greco ha votato contro entrambe le proposte di regolamento e le corrispondenti relazioni del Parlamento europeo, perché la responsabilità di fornire ai pazienti informazioni attendibili, accurate e affidabili passa dai dipartimenti governativi alle case farmaceutiche multinazionali. Le informazioni riservate ai pazienti rappresentano una responsabilità governativa, non individuale. I profitti generati dai gruppi farmaceutici monopolistici e la tutela della salute pubblica sono concetti mutualmente esclusivi. La recente truffa legata al vaccino contro la pandemia della presunta “nuova influenza” è un esempio tipico di come informazioni mirate si traducano in profitti di miliardi di euro per le case farmaceutiche internazionali. Riteniamo che la responsabilità di fornire informazioni ai cittadini sui medicinali in generale, e non solo su quelli soggetti a prescrizione medica, come prevede il regolamento, debba rimanere di competenza dello Stato. Si tratta del minimo necessario per tutelare pazienti e lavoratori: i medicinali, la ricerca e i mezzi per divulgare conoscenza e informazioni sono nelle mani delle multinazionali, il cui unico criterio è il profitto e i lavoratori e gli operatori sanitari non possono essere certi della qualità ed efficacia dei medicinali né delle conoscenze e delle informazioni che ricevono. Si tratta di una politica che va contrastata, per eliminare gli interessi commerciali dal settore della salute e dei medicinali. Necessitiamo di agenzie governative per i medicinali e di servizi sanitari nazionali gratuiti.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Signor Presidente, ho votato a favore di questa relazione, che cerca di garantire gli obiettivi chiave dell’Unione europea: il corretto funzionamento del mercato interno per i medicinali per uso umano e una migliore tutela della salute dei cittadini dell’UE. Il documento adottato quest’oggi creerà le condizioni per istituire un quadro chiaro per le informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica fornite ai consumatori, con l’obiettivo di promuovere scelte più informate, e garantirà che la pubblicità diretta presso i consumatori dei medicinali soggetti a prescrizione continui a essere vietata. Secondo la proposta del Parlamento europeo, nell’Unione europea va istituita una banca dati sui medicinali che sia accessibile al pubblico in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, con garanzie circa il suo aggiornamento nonché su una gestione indipendente dagli interessi commerciali delle case farmaceutiche. La creazione della banca dati semplificherà la ricerca d’informazioni e ne permetterà la comprensione anche a un pubblico non specializzato.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, ho votato contro la relazione, nei confronti alla quale mi sono sempre fermamente opposta. Se da un lato approvo l’idea di fornire migliori informazioni ai pazienti, dall’altro non approvo i mezzi proposti per farlo. L’obiettivo dell’industria farmaceutica non sarà mai la filantropia e tra informazione e pubblicità esiste una linea molto sottile. È vero che il testo, adottato quasi all’unanimità, non ha niente a che vedere con l’idea iniziale della Commissione, che avrebbe spalancato le porte alla pubblicità, celata dietro l’etichetta di “informazione”. La proposta corrispondeva alle chiare intenzioni del settore farmaceutico di aggirare il divieto giuridico per la pubblicità dei medicinali. La relazione adottata oggi contiene molte più garanzie: in particolare, le informazioni fornite dalle aziende farmaceutiche a scopo di diffusione saranno sottoposte a controlli preliminari e non saranno divulgate dai mezzi di comunicazione. Ciononostante, l’autorizzazione a pubblicare un estratto dei foglietti illustrativi significa che vi saranno elementi che saranno enfatizzati e altri, ad esempio gli effetti collaterali, che probabilmente saranno regolarmente omessi dagli estratti perché non fanno “vendere” bene. Non si tratta già di una mossa promozionale? Era questo l’obiettivo? Il gioco valeva davvero la candela?
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica, per quanto riguarda la comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali per uso umano soggetti a prescrizione medica, il regolamento (CE) n. 726/2004 che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario e istituisce un’Agenzia europea per i medicinali, contribuendo a garantire il diritto dei pazienti a ricevere informazioni affidabili, accessibili e indipendenti, convalidate dalle autorità competenti, sui prodotti medicinali a disposizione.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, dal momento che l’adesione alla terapia da parte del paziente e una corretta somministrazione dei medicinali sono fondamentali per la buona riuscita del trattamento, è vitale che il pubblico, ovvero i pazienti, abbia accesso a informazioni di buona qualità e non promozionali, informazioni che siano veritiere, aggiornate, non fuorvianti e conformi al riassunto delle caratteristiche del prodotto. L’organo che è nella migliore posizione per fornire informazioni aggiornate e accurate per ogni medicinale è il titolare dell’autorizzazione d’immissione sul mercato. Il Parlamento ha giustamente deciso di concentrarsi sugli interessi dei pazienti e tutelarli. Non potrei essere più d’accordo con quest’impostazione, sebbene non condivida la necessità di limitare le possibilità concesse dalla proposta della Commissione sulla divulgazione di informazioni da parte dell’industria farmaceutica, ai sensi del “push principle”, il principio delle informazioni non richieste. Si tratta di una proposta equilibrata che tiene in considerazione gli interessi di entrambe le parti, coinvolgendo gli operatori sanitari e tutelando il pubblico dalla pubblicità di medicinali soggetti a prescrizione medica, pratica che giustamente continua a essere proibita. Non credo che il testo appena adottato modificherà davvero la realtà dell’accesso dei pazienti alle informazioni, il che mi sembra costituisca un’opportunità mancata.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Signor Presidente, è importante che i pazienti siano meglio informati su ogni medicinale che assumono e che ricevano informazioni obiettive; l’industria farmaceutica non deve rendere più confusa la linea tra informazione e pubblicità. La commissione per i problemi economici e monetari (ECON) ha effettuato un buon lavoro nell’emendare la proposta e ho quindi potuto dare il mio sostegno alla relazione.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) Signor Presidente, non sono d’accordo con la pubblicità diretta presso i consumatori per quanto riguarda i medicinali. È importante che i pazienti abbiano accesso alle informazioni sui medicinali che utilizzano, ma ritengo che questo tipo di pubblicità sminuirebbe il ruolo di controllo dei medici e potrebbe danneggiare la loro responsabilità nei confronti dei pazienti.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo con il collega Fjellner per l'importante lavoro svolto in tema di comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali per uso umano soggetti a prescrizione medica e, più in particolare, sulle procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali.
L'attuale quadro giuridico comunitario relativo all'informazione scientifica dei consumatori europei presenta numerose problematiche, soprattutto con riferimento alle diverse interpretazioni della normativa da parte dei singoli Stati membri.
La relazione approvata oggi punta al miglioramento del livello di armonizzazione delle normative di settore per cercare di colmare le lacune e di eliminare le disparità oggi esistenti in materia di protezione del diritto alla salute, il tutto inserito in una più ampia azione di alfabetizzazione sanitaria, che miri a una pratica e agevole possibilità di accesso alle informazioni scientifiche sui farmaci soggetti a prescrizione medica da parte dei cittadini europei.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché ho particolarmente a cuore le questioni sanitarie, soprattutto un accesso equo da parte dei pazienti all’assistenza medica e alle informazioni. Attualmente, il livello di informazioni sui medicinali disponibili sul mercato varia notevolmente in Europa, il che non è giusto nei confronti dei pazienti, che devono godere del diritto di ottenere informazioni complete e corrette sui medicinali. Le proposte dell’onorevole Fjellner si sono mosse esattamente in questa direzione, accordando quindi la priorità ai pazienti. Gli emendamenti introdotti dal Parlamento europeo sulla proposta legislativa della Commissione sottolineano che i produttori di medicinali devono fornire informazioni di base come le caratteristiche del prodotto, un’etichetta, un foglietto illustrativo per il paziente e mettere a disposizione del pubblico una versione della relazione di valutazione. Ciononostante, per garantire che le informazioni siano affidabili, ritengo che le autorità nazionali debbano monitorare con rigore i siti specializzati che forniscono simili dettagli.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, la relazione consiste in un promemoria di quanto l’Agenzia europea per i medicinali dovrebbe essere. Non è possibile opporsi a un progetto di documento che afferma ovvietà, come la necessità di “porre l’accento sui diritti e sugli interessi dei pazienti”, la necessità di obbligare le imprese a elencare pubblicamente gli effetti collaterali dei loro medicinali e la necessità di pubblicare informazioni in tutte le lingue ufficiali dell’Unione europea.
Ciononostante, è possibile rimanere sconcertati di fronte al fatto che tali luoghi comuni devono ancora essere ripetuti anche 15 anni dopo la creazione dell’Agenzia. Il Parlamento deve denunciare la mancanza di trasparenza dell’Agenzia e dichiarare forte e chiaro che essa va riformata, nell’interesse di tutti.
Nuno Melo (PPE) , per iscritto. – (PT) Signor Presidente, l’accesso a informazioni di qualità su medicinali soggetti a prescrizione medica contribuirà al raggiungimento di risultati migliori in termini di salute dei pazienti, poiché quanto più essi saranno informati, meglio capiranno le decisioni connesse con il loro trattamento. L’obiettivo di questa proposta non può quindi essere limitato all’armonizzazione della legislazione europea, ma deve anche promuovere la salute, attraverso un miglioramento delle conoscenze in questo settore.
L’industria farmaceutica deve svolgere un ruolo importante nella promozione dell’alfabetizzazione nel settore della salute, ma si tratta di un ruolo che va definito con chiarezza, e la partecipazione nel settore va regolamentata con rigore, per evitare che le considerazioni commerciali portino a un consumo eccessivo di medicinali. È anche necessario evitare pubblicità fuorvianti e cercare di fornire informazioni migliori ai consumatori (pazienti), che attraverso Internet hanno accesso a un’ampia gamma di dati non controllati, il che non si verificherebbe con le informazioni affidabili fornite dai laboratori farmaceutici.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, per salvaguardare i diritti e gli interessi dei pazienti, essi dovrebbero essere in grado di avvalersi di informazioni sui medicinali di buona qualità, obiettive, affidabili e non promozionali. Se vogliamo tutelare la salute, i foglietti illustrativi devono essere il più chiari e completi possibile e devono soddisfare criteri di qualità basilari. Sempre nell’ambito della volontà di tutelare i pazienti e fornire informazioni al pubblico, è necessario promuovere un facile accesso alle informazioni, in particolare riassumendo le caratteristiche del prodotto e fornendo un foglietto informativo sia in formato cartaceo sia elettronico. Ecco perché dovremmo garantire la disponibilità di siti web certificati e registrati, che offrano molte informazioni indipendenti, obiettive e non promozionali.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Fjellner arriva al momento opportuno. La pubblicità velata di medicinali non è ammissibile; i medici devono essere in grado di fornire ai propri pazienti raccomandazioni sui farmaci, devono regolamentare e prescrivere i medicinali ai pazienti, per evitare speculazioni e concorrenza tra i produttori. Le case farmaceutiche dovrebbero limitarsi a fornire assistenza tramite informazioni, ma in nessun caso deve esser permesso loro di imporre i propri prodotti sui pazienti. I medici sono i responsabili del trattamento e devono quindi decidere anche quali medicinali vanno somministrati al paziente durante uno specifico trattamento.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Signor Presidente, alla luce del fatto che, nella sola Germania, ogni anno circa 25 000 persone muoiono a causa degli effetti collaterali negativi e interazioni e il 3 per cento degli incidenti va attribuito a medicinali soggetti a prescrizione medica, è chiaro che è necessario fornire ai pazienti informazioni migliori. Potremmo prendere la Francia come esempio, dove ogni effetto collaterale è indicato con chiarezza sulla confezione. Dobbiamo informare i pazienti, ma dobbiamo anche aiutarli a districarsi nella giungla dei medicinali, ad esempio definendo una routine giornaliera, modelli di confezioni o un’etichettatura particolare. In questo modo si risparmierebbero miliardi dalle casse statali e i pazienti non avrebbero interazioni ed effetti collaterali. La proposta contiene alcune iniziative tese a permettere ai pazienti di essere meglio informati circa i medicinali che sono stati loro prescritti e circa il loro utilizzo. Se poi i pazienti effettivamente utilizzeranno questo accesso migliorato a informazioni di alta qualità rimane un punto dubbio, alla luce del comportamento di molti, ma è certamente importante che le informazioni siano messe a disposizione in tutta l’Unione europea. Per questo motivo ho votato a favore della relazione.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ponendo al centro "il diritto del paziente all'informazione", sostengo in toto la relazione che prevede importanti elementi di novità.
Il primo riguarda Internet, in merito al quale il Parlamento, da un lato, intende sensibilizzare i consumatori sui rischi della compravendita dei farmaci online e, dall'altro, sta spingendo affinché venga proposto un atto legislativo ad hoc relativo a tale modalità di vendita.
Il secondo riguarda invece il divieto alla pubblicità dei farmaci soggetti a prescrizione medica, perché è importante la distinzione tra farmaci generici e non, non solo dal punto di vista delle informazioni da dare ai pazienti, ma soprattutto in merito al rispetto delle buone prassi di fabbricazione dei principi attivi, specie fuori dall'Europa.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE) , per iscritto. – (PT) Signor Presidente, la relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 726/2004 per quanto riguarda la comunicazione al pubblico di informazioni su medicinali per uso umano soggetti a prescrizione medica introduce nuove norme in materia di trasparenza ed efficacia delle informazioni, ponendo l’accento sugli interessi dei pazienti e tutelandoli; su questo si basa il mio voto a favore. Aspetti importanti sono l’istituzione di un’Agenzia europea per i medicinali e un chiaro contributo verso la garanzia che i pazienti abbiano accesso a informazioni affidabili, accessibili e indipendenti, convalidate dalle autorità pertinenti per le medicine disponibili.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Signor Presidente, esistono numerose fonti di informazioni indipendenti e basate su riscontri pratici riguardanti le opzioni terapeutiche disponibili in seno all'Unione europea. Queste fonti tengono conto delle specificità culturali e dei diversi contesti umani, compresi i determinanti della salute. Un maggiore accesso a informazioni di qualità contribuirà al raggiungimento di risultati sanitari migliori per i pazienti, poiché il paziente meglio informato è più incline a proseguire i trattamenti necessari ed è in grado di comprendere meglio le relative decisioni; se la proposta sarà formulata e applicata in modo adeguato, apporterà quindi un valore aggiunto.
Il regolamento oggetto di discussione non prende in considerazione gli sviluppi tecnici, né le opportunità e sfide create da Internet. I pazienti in Europa già dispongono, in pochi secondi, un accesso illimitato a informazioni non controllate e spesso non corrette sui medicinali soggetti a prescrizione medica. Tuttavia, per la maggior parte dei pazienti l'accesso a informazioni sicure e controllate sui medicinali tramite Internet è molto limitato e questo costituisce un problema soprattutto per quanti necessitano di informazioni nella propria lingua madre. La proposta non può mirare solo all'armonizzazione della legislazione europea, ma deve essere volta anche a migliorare la salute mediante migliori conoscenze nel settore.
Paulo Rangel (PPE) , per iscritto. – (PT) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica, per quanto riguarda la comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali per uso umano soggetti a prescrizione medica, il regolamento (CE) n. 726/2004 che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l'Agenzia europea per i medicinali. Credo sia essenziale garantire che i pazienti abbiano accesso a informazioni affidabili e indipendenti sui medicinali soggetti a prescrizione medica che sono a disposizione sul mercato.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Si è votato oggi in plenaria, in prima lettura, la proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio sulle informazioni sui medicinali (procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali). Il Parlamento e le organizzazioni dei pazienti da tempo hanno richiesto la presentazione di tale proposta, al fine di consentire ai pazienti di essere meglio informati circa i medicinali che assumono e sono loro prescritti.
La normativa in vigore non è adeguata allo sviluppo tecnico, né alle possibilità e alle sfide poste da Internet. I pazienti in Europa hanno già, in pochi secondi, un accesso illimitato a informazioni non controllate e spesso non corrette sui medicinali soggetti a prescrizione medica.
Il relatore ha proposto di spostare l'orientamento della proposta e di obbligare le case farmaceutiche a comunicare alcune informazioni ai pazienti, mettendo quindi al centro della legislazione il "diritto del paziente all'informazione". Un maggiore accesso a informazioni di qualità contribuirà al raggiungimento di risultati sanitari migliori per i pazienti, poiché il paziente meglio informato è più incline a proseguire i trattamenti necessari ed è in grado di comprendere meglio le decisioni a essi relative. Pertanto, la proposta apporterà un valore aggiunto.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Signor Presidente, la relazione accoglie con favore la proposta della Commissione relativa all’informazione del paziente sui medicinali soggetti a prescrizione [COM(2008)0662-0663]. Il Parlamento e le organizzazioni di pazienti da tempo richiedono la presentazione di una simile proposta, al fine di consentire ai pazienti di essere meglio informati circa i medicinali che assumono e sono loro prescritti. Un maggiore accesso a informazioni di qualità contribuirà al raggiungimento di risultati sanitari migliori per i pazienti, poiché il paziente meglio informato è più incline a proseguire i trattamenti necessari ed è in grado di comprendere meglio le relative decisioni; se la proposta sarà formulata e applicata in modo adeguato, apporterà un valore aggiunto. La proposta non può mirare solo all'armonizzazione della legislazione europea, ma deve essere volta anche a migliorare la salute mediante una maggiore alfabetizzazione sanitaria. L'industria farmaceutica deve svolgere un ruolo fondamentale nel promuovere l'alfabetizzazione sanitaria e la buona salute, ma tale ruolo deve essere definito in modo chiaro e la sua partecipazione deve essere disciplinata in modo rigoroso, allo scopo di evitare un consumo eccessivo di medicinali dovuto a motivi commerciali.
Christel Schaldemose (S&D), per iscritto. – (DA) Signor Presidente, noi, i socialdemocratici danesi al Parlamento europeo (Dan Jørgensen, Christel Schaldemose, Britta Thomsen e Ole Christensen) ci siamo astenuti dal voto sulla relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica, per quanto riguarda la comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali per uso umano soggetti a prescrizione medica, il regolamento (CE) n. 726/2004 che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l'Agenzia europea per i medicinali. Sebbene la relazione contenga alcune buone proposte, non riteniamo di poter votare a favore di una proposta contraria alla costituzione danese.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) Signor Presidente, ho votato a favore della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica, per quanto riguarda la comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali per uso umano soggetti a prescrizione medica, il regolamento (CE) n. 726/2004 che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l'Agenzia europea per i medicinali affinché garantisca in futuro un quadro giuridico europeo che permetta ai cittadini europei un accesso equo a informazioni chiare e corrette sui medicinali.
La relazione presentata dalla Commissione il 20 dicembre 2007 sulle “attuali prassi in materia di comunicazione e di informazioni sui medicinali ai pazienti” giunge alla conclusione che gli Stati membri hanno adottato norme e pratiche divergenti in materia di informazione, il che genera una situazione in cui i pazienti e il pubblico in generale non hanno un accesso paritario alle informazioni sui medicinali. I cittadini europei hanno il diritto di accedere a informazioni chiare e corrette sui medicinali. Credo sia importante che il regolamento salvaguardi gli interessi dei pazienti e garantisca che si utilizzino i mezzi di comunicazione più recenti per fornire al pubblico informazioni corrette, accessibili e facilmente comprensibili, in modo trasparente e indipendente dagli interessi commerciali delle case farmaceutiche.
Göran Färm (S&D), per iscritto. – (SV) Dato che nella mia precedente esperienza lavorativa ho svolto il ruolo di consulente per una delle parti interessate, oggi mi sono astenuto dal voto relativo alle relazioni in oggetto, vale a dire la A7-0289/2010 e la A7-0290/2010.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Ogni anno, in Europa, secondo le stime, i rifiuti di apparecchiature elettroniche si attestano intorno ai 9,3 milioni di tonnellate. Tali apparecchiature contengono spesso un quantitativo considerevole di materiali altamente inquinanti. Questi rifiuti costituiscono una sfida di notevole portata dal punto di vista ambientale. Al di là del ritrattamento, risulta fondamentale imporre restrizioni a monte sull’uso di queste sostanze pericolose. Alcuni grandi gruppi industriali hanno già iniziato ad introdurle. Ciononostante, abbiamo bisogno di regole chiare volte a definire un quadro comune per questa importante missione. Ho dunque votato a favore della risoluzione legislativa del Parlamento europeo sull’adozione di una direttiva sulla restrizione dell’uso di queste sostanze. Tuttavia, non è stato un voto facile. La proposta, infatti, contiene una serie di deroghe, in particolare per quanto concerne i pannelli fotovoltaici. Dato che consentono di ridurre le emissioni di gas serra, abbiamo ritenuto opportuno tollerare le sostanze che contengono. Tuttavia questo punto ha dato ovviamente adito a una discussione sulle priorità della politica ambientale dell’Unione che, sfortunatamente, si trova confrontata ad aspetti in contraddizione tra loro.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa relazione. Secondo le stime, solo nell’Unione europea si vendono annualmente 9,3 milioni di tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), di cui la maggior parte sono grandi elettrodomestici e apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni. Con la continua espansione del mercato e l’accorciarsi dei cicli di innovazione, le apparecchiature sono sostituite con maggiore frequenza, contribuendo ad accrescere sempre più rapidamente il flusso dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Si stima che tali rifiuti raggiungeranno i 12,3 milioni di tonnellate entro il 2020. I RAEE contengono svariate sostanze pericolose che possono essere rilasciate nell’ambiente e provocare danni alla salute umana, specialmente se non trattate in maniera adeguata. Tali problemi non sono stati risolti con la direttiva RoHS 1.0.
Appoggio le proposte avanzate dal documento secondo cui la Commissione europea dovrebbe potenziare le azioni di prevenzione dell’uso di sostanze pericolose e sottoporre a revisione periodica il divieto di uso di altre sostanze pericolose, prevedendo la loro sostituzione con alternative maggiormente ecocompatibili o con tecnologie atte a garantire un livello adeguato di tutela della salute umana e dell’ambiente.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR)
Il Parlamento europeo ha ratificato l’accordo con il Consiglio in virtù della procedura legislativa ordinaria adottando, in prima lettura, la rifusione della direttiva sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. È una buona notizia per i consumatori europei: le apparecchiature elettriche ed elettroniche vendute nell’Unione europea rappresentano una quota consistente dei prodotti di consumo venduti. Secondo le stime, solo nell’Unione europea si vendono annualmente 9,3 milioni di tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche. La sostituzione, sempre più frequente, di questi prodotti pone il problema dei rifiuti generati e delle sostanze pericolose in essi contenute. È necessario, per motivi di sicurezza e salute pubblica, limitarne l’uso. L’idea soggiacente alla rifusione dell’attuale direttiva, risalente al 2003, consiste nel porre ulteriori restrizioni all’uso di sostanze pericolose. La Commissione dovrà inoltre rivedere la sua legislazione tra tre anni, al fine di adattarla alle innovazioni future.
Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. – Mi congratulo con la relatrice per il lavoro svolto e per il buon risultato di compromesso che è riuscita a raggiungere tra i nostri gruppi politici.
Il testo votato, una revisione della direttiva attualmente in vigore, ha l'ambizione di fissare parametri più ambiziosi nell'utilizzo degli AEE. È da notare che negli ultimi anni le istituzioni comunitarie hanno registrato, con molti sforzi, notevoli progressi al fine di rendere lo smaltimento e la produzione delle apparecchiature elettroniche più rispettosi dell'ambiente e della salute umana.
Ho votato a favore di tale provvedimento, che si iscrive in questo contesto e che rappresenta certamente un onere ma anche un'opportunità per le aziende e le PMI. Infatti, la capacità di offrire prodotti meno inquinanti ai consumatori è una buona occasione per le imprese per migliorare sia i processi aziendali sia la loro competitività a livello globale. Infine, i nuovi parametri contemplati in questa relazione garantiranno una maggiore tutela dei consumatori europei e un maggior rispetto dell'ambiente.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (rifusione) dato che ritengo che l’accordo raggiunto con il Consiglio sia in linea con l’obiettivo di contribuire alla tutela della salute umana e dell’ambiente, semplificando la legislazione attualmente in vigore e conferendole una maggiore coerenza.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Secondo la Commissione, solo nell’Unione europea si vendono annualmente 9,3 milioni di tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), di cui la maggior parte sono grandi elettrodomestici e apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni. Con la continua espansione del mercato e l’accorciarsi dei cicli di innovazione, le apparecchiature sono sostituite con maggiore frequenza, contribuendo ad accrescere sempre più rapidamente il flusso dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Si stima che tali rifiuti raggiungeranno i 12,3 milioni di tonnellate entro il 2020.
La rifusione della direttiva sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose è volta ad ampliare l’ambito di applicazione della direttiva e a potenziarne la funzione preventiva, in modo tale da correggere i danni ambientali in via prioritaria alla fonte, in linea con l’articolo 174, paragrafo 2 del trattato. Tuttavia, questa direttiva si concentra essenzialmente sui grandi distributori, trascurando l’impatto finanziario che può sortire sulle piccole e medie imprese (PMI) produttrici di AEE. Inoltre non offre soluzioni a fronte della proposta COM(2008)0809 e della relazione sulla BioIntelligence, secondo cui, in virtù del nuovo schema, le PMI che producono apparecchiature di supervisione e monitoraggio in ambito medico possono trovarsi confrontate a dei problemi.
José Manuel Fernandes (PPE) , per iscritto. – (PT)
Questa rifusione della direttiva sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (RoHS) è necessaria, secondo la Commissione, a causa dell’incertezza relativa all’ambito di applicazione, di una mancanza di chiarezza in merito alle disposizioni legali e delle disparità tra Stati membri in materia di conformità dei prodotti in questione.
Prima della votazione, mi è stato chiesto da più parti di non inserire il PVC nell’elenco delle sostanze individuate ai fini della revisione delle priorità nell’ambito dell’allegato III della direttiva RoHS. Vorrei sottolineare che non concordo con tale inserimento dato che un elenco di una serie di prodotti sospetti, tra cui il PVC, che non sia fondato su alcun criterio, è privo di senso. Affermare a priori che un prodotto potrebbe essere passibile di divieto in futuro senza alcun fondamento scientifico dà adito ad una situazione inaccettabile, caratterizzata dalla mancanza di una definizione legislativa. Nel caso del PVC, una valutazione iniziale svolta in virtù del regolamento REACH è giunta alla conclusione che non si tratta di un prodotto molto pericoloso e non corrisponde a una sostanza da inserire in via prioritaria nell’allegato III. Ho votato a favore di questa relazione dato che, durante la fase negoziale che ha preceduto la votazione in plenaria, l’elenco è stato ritirato. La Commissione dovrebbe effettuare una nuova valutazione trascorsi tre anni dall’entrata in vigore della legislazione.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Considerando il quantitativo di apparecchiature elettriche ed elettroniche vendute nell’UE e l’inevitabile aumento dei rifiuti da esse derivanti, risulta evidente la necessità di sostituire determinate sostanze pericolose che contengono, in modo tale da ridurre al minimo il loro impatto sull’ambiente e da garantire la tutela dei consumatori e della salute pubblica. Ci rendiamo conto di tale necessità e riteniamo che la ricerca di soluzioni in grado di fornire una risposta sia valida. Per tale motivo abbiamo votato a favore di questa relazione. Nel corso del processo di discussione che si è svolto negli ultimi mesi, il Consiglio ha raggiunto un accordo con il Parlamento a seguito di una fase negoziale che si è concentrata su alcuni degli aspetti più controversi e complessi. A nostro avviso, il fatto che il testo finale proposto abbia escluso il cloruro di polivinile dall’ambito di applicazione della direttiva, che consente di mantenere la produzione in alcuni settori industriali, rappresenta un fattore positivo, dal momento che tali settori avrebbero potuto subire gravi conseguenze qualora tale sostanza fosse stata inserita.
Robert Goebbels (S&D), per iscritto. – (FR) Mi sono astenuto dal voto sulla relazione Evans sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche dato che ritengo bizzarro l’approccio adottato dal Parlamento. Da un lato, la relazione si oppone strenuamente, senza alcuna prova scientifica, alle nanoparticelle, che, essendo piccole, non possono che essere pericolose. Dall’altro, la proposta di direttiva, affermando di voler promuovere lo sviluppo di tecnologie di energia rinnovabile, esclude i rifiuti dei pannelli solari. O le sostanze elettriche sono pericolose, o non lo sono. Se l’obiettivo consiste nell’imporre il “principio di precauzione”, tale principio dovrebbe applicarsi anche alla tecnologia solare.
Matthias Groote (S&D), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (RoHS) dato che l’ampliamento dell’ambito di applicazione, volto a coprire tutte le apparecchiature elettroniche, rappresenta un chiaro miglioramento. Tuttavia, il fatto che vi siano così tante eccezioni è, a mio avviso, problematico. In particolare, nel settore delle energie rinnovabili, i moduli fotovoltaici, che consistono di composti di tellururo di cadmio, non sono oggetto della direttiva. Questa sostanza non solo è dannosa per la salute, ma è anche pericolosa. Pertanto dovrebbe essere inserita nell’ambito di applicazione della direttiva RoHS. Il rischio derivante da un suo inserimento – la scomparsa totale degli impianti fotovoltaici dai tetti – non è reale. Anzi, sul mercato vi sono diverse alternative al tellururo di cadmio. Al riguardo, quindi, non mi trovo d’accordo con la decisione della maggioranza del Parlamento e del Consiglio.
Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. – (FR) I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche continuano ad aumentare e contengono svariate sostanze pericolose. Tali sostanze, se non trattate adeguatamente, possono essere rilasciate nell’ambiente e causare danni alla salute umana.
Questa direttiva consentirà a numerose società di compiere ulteriori passi avanti nella progettazione di nuove apparecchiature elettriche ed elettroniche più sicure, promovendo l’innovazione tecnologia. La riduzione a monte delle sostanze pericolose si tradurrà inoltre in una diminuzione dei costi di riciclaggio. Infine, elemento essenziale, abbiamo ottenuto una deroga per i pannelli solari al fine di promuovere lo sviluppo delle tecnologie con energie rinnovabili in Europa.
Małgorzata Handzlik (PPE), per iscritto. – (PL) La Polonia è uno dei principali paesi produttori di televisori, radio ed elettrodomestici in Europa. È anche un paese in cui la vendita di questi prodotti aumenta di anno in anno. Lo sviluppo della tecnologia e l’incremento della domanda di prodotti di questo tipo, inoltre, stanno causando un aumento dei rifiuti elettrici ed elettronici. Il trattamento di questi rifiuti risulta problematico e si ripercuote sull’inquinamento ambientale. Pertanto, le nuove disposizioni della direttiva sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose rivestono una particolare importanza per i produttori di questo tipo di apparecchiature. Essi, infatti, sono tenuti a smaltire le sostanze pericolose e ad innalzare gli standard di sicurezza per apparecchiature destinate all’uso quotidiano. Questa è una buona notizia anche per i consumatori, dato che le nuove norme introducono l’obbligo di ricorrere a sostanze sicure per la salute e l’ambiente, applicabili a tutti i produttori di apparecchiature elettriche nell’Unione europea.
Jutta Haug (S&D), per iscritto. – (EN) Per quanto non particolarmente ambizioso, il compromesso raggiunto in prima lettura apporta un miglioramento all’attuale legislazione. Ho votato dunque a favore. Oltre alla nuova metodologia applicabile ai fini della restrizione d’uso di determinate sostanze, un miglioramento importante riguarda l’ambito di applicazione aperto: tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche, comprese quelle per la generazione di correnti elettriche, a medio termine rientreranno nell’ambito di applicazione della direttiva RoHS. Un aspetto negativo importante, tuttavia, è rappresentato dal lungo elenco di deroghe, tra cui rientrano i pannelli fotovoltaici. Escludendo questa fondamentale tecnologia “pulita” dalla legislazione ambientale si trasmetterà un segnale sbagliato, sia a livello europeo che globale. L’obiettivo deve consistere nella definizione di un quadro normativo efficace per investimenti sostenibili coerenti! Sebbene la produzione di pannelli fotovoltaici con sostanze pericolose come il tellururo di cadmio possa essere più efficiente sotto il profilo dei costi, esistono da tempo alternative meno problematiche, che si sono dimostrate ottime in termini di funzionamento. Pertanto non vedo la necessità di coprire tetti e campi con rifiuti potenzialmente pericolosi, lasciando sulle spalle delle future generazioni il fardello dello smaltimento. A questo proposito, mi trovo in profondo disaccordo con la posizione e la decisione della maggioranza del Parlamento europeo e del Consiglio.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il compromesso raggiunto dalla collega, l’onorevole Evans, costituisce un passo avanti in questo ambito del diritto. La certezza giuridica che offre consentirà di compiere ulteriori progressi sul piano della tutela ambientale. Di conseguenza, ho votato a favore della relazione.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Il costante aumento della produzione di televisori, radio ed elettrodomestici è il risultato dello sviluppo delle tecnologie moderne e dell’incremento della domanda di questo tipo di prodotti. In quanto consumatori, ci attendiamo da essi funzionalità ed ergonomia, ma soprattutto dovremmo esigere che siano conformi alle norme applicabili, volte a disciplinare gli standard di sicurezza sia per l’utente che per l’ambiente. Sostituiamo le apparecchiature usate con altre nuove, producendo quantitativi allarmanti di rifiuti e le sostanze pericolose utilizzate per la produzione stanno causando un danno irreversibile all’ecosistema.
Pertanto è indispensabile introdurre opportune normative atte a limitare l’uso di sostanze dannose nella produzione dei prodotti che entrano nelle nostre case e a sostenere, al contempo, i produttori nell’introduzione di misure innovative ed ecologiche.
Alan Kelly (S&D), per iscritto. – (EN) L’attuale direttiva RoHS impone restrizioni all’uso di sei sostanze pericolose che, un tempo, erano contenute in alcune apparecchiature elettriche ed elettroniche. La direttiva è oggetto di rifusione a fini di semplificazione. Inoltre, grazie alla rifusione, per i produttori sarà più semplice capire quali sostanze sono vietate, in modo tale da evitare confusioni che potrebbero essere pericolose per il consumatore e sprecare la risorse delle società.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signor presidente, onorevoli colleghi, l'Unione europea aveva bisogno di una normativa dettagliata in tema di uso di determinate sostanze considerate nocive nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Tale esigenza è resa palese da alcuni dati resi noti dalla Commissione, secondo cui attualmente, solo nell'UE, si vendono 9,3 milioni di tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) all'anno.
Con la continua espansione del mercato e l'accorciarsi dei cicli di innovazione che conducono alla frequente sostituzione delle apparecchiature, infatti, si accresce sempre più rapidamente il flusso dei rifiuti derivati dalle stesse. Dopo un breve periodo di transizione utile alle imprese per adeguarsi alla nuova normativa, l'uso delle sostanze pericolose sarà proibito su tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche, seppur con qualche eccezione costituita, ad esempio, dai pannelli fotovoltaici. Il provvedimento prevederà, inoltre, il rispetto, da parte delle industrie concorrenti extraeuropee, degli stessi obblighi richiesti alle nostre imprese, con l'espressa indicazione secondo cui i prodotti importati dovranno rispettare i medesimi standard di sicurezza garantiti dalle regole comunitarie.
Credo pertanto, in definitiva, prioritarie le esigenze di tutela di alcuni beni primari, quali la sanità pubblica e l'ambiente, seppur nella consapevolezza di agire in un contesto fortemente caratterizzato dalla grave crisi economica che ha colpito l'Europa ed il mondo.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. L’attuale direttiva RoHS impone limitazioni all’uso di sei sostanze pericolose nella produzione di alcune apparecchiature elettriche ed elettroniche. L’intento consiste nell’evitare l’accumulo di rifiuti tossici una volta concluso il ciclo di vita di un prodotto e nel garantire che i telefoni cellulari, i computer e i frigoriferi non più utilizzati in Europa causino danni all’ambiente o alla salute umana a seguito dell’infiltrazione di sostanze chimiche nelle discariche o del rilascio di vapori tossici durante l’incenerimento. La direttiva è oggetto di semplicazione.
Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche rappresenta un problema di considerevole portata per la salute pubblica, l’ambiente e la gestione dei rifiuti. Questi rischi sono addirittura maggiori quando si eseguono operazioni di riciclaggio e recupero in condizioni non rispondenti alle norme nei paesi in via di sviluppo, in particolare in caso di esportazione illegale a fini di smaltimento in discariche nei paesi più poveri. Con questa proposta di legislazione, tutte le sostanze in questione rientreranno nell’ambito di applicazione della direttiva. In futuro, pertanto, tutte le sostanze dovranno essere conformi alle disposizioni della direttiva se ritenuto necessario nell’ambito di una valutazione ambientale.
Questa direttiva contribuisce alla definizione di regole chiare all’interno degli Stati membri in materia di commercializzazione e riuso successivo di queste sostanze. La direttiva si tradurrà in un considerevole miglioramento della situazione attuale, ragion per cui ho votato a favore. Ritengo, tuttavia, che alcune sostanze pericolose che sono state escluse dalla direttiva dovrebbero invece esservi incluse entro un arco di tempo di tre anni a seguito della revisione e della valutazione del loro impatto.
Nuno Melo (PPE) , per iscritto. – (PT) L’aumento dell’uso di apparecchiature elettriche ed elettroniche, accanto al considerevole sviluppo tecnologico che le ha interessate, si è tradotto in un’ulteriore riduzione del loro ciclo di vita. Questa circostanza, a sua volta, ha causato l’insorgere di gravi problemi relativi all’uso di sostanze pericolose all’interno di questi prodotti, nonché di difficoltà nella gestione di quantitativi sempre più ingenti di rifiuti. Pertanto, la direttiva sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose (RoHS) è volta ad ampliare l’ambito di applicazione della direttiva e a potenziarne la funzione preventiva, in modo tale da correggere i danni ambientali in via prioritaria alla fonte, in linea con l’articolo 174, paragrafo 2 del trattato. Questa rifusione è quindi essenziale per garantire il contenimento di tali sostanze pericolose in questo tipo di apparecchiature.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) Appoggio appieno la relazione dell’onorevole Evans. Tuttavia vorrei aggiungere che alla questione dovrebbe essere prestata maggiore attenzione. L’uso di piombo, magnesio, mercurio e metalli delle terre rare nell’elettronica e nella tecnologia industriale è inevitabile. Il nostro compito consiste nel costringere i produttori a ricorrere a materiali meno nocivi. Laddove ciò non sia possibile, è essenziale che il pubblico sia informato dell’effetto potenzialmente deleterio sui consumatori di tutti le sostanze dannose utilizzate.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La direttiva sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose (RoHS) disciplina l’uso di sostanze pericolose in dispositivi e componenti. Essa costituisce altresì un importante strumento per la definizione di uno standard europeo e globale per i produttori. L’ampliamento dell’ambito di applicazione della direttiva è inoltre volto a tener conto del trattamento dei rifiuti di sostanze pericolose. Mi sono astenuto dal voto dato che la relazione non risolve completamente tutti i problemi associati alla gestione di sostanze pericolose.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Si è assistito sicuramente ad una rapida crescita del mercato delle apparecchiature elettriche, in particolare nei settori delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni. Questo sviluppo, accanto all’ulteriore riduzione dei cicli di innovazione, si traduce in un aumento costante dei quantitativi di rifiuti elettrici. La rifusione della direttiva RoHS è volta a prevenire l’uso di sostanze nocive che possano causare danni all’ambiente o alla salute umana. Alcune delle proposte avanzate sono controverse: da una parte, grosse aziende produttrici di computer, come HP, ACER o Sony Ericsson si sono pronunciate a favore di un divieto dell’uso di tutti i ritardanti di fiamma bromurati nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Dall’altra, i risultati degli studi della Commissione non sono, chiaramente, molto conclusivi, per lo meno per quanto riguarda il potenziale danno all’ambiente. Inoltre, l’industria ha espresso preoccupazioni in merito al divieto dell’uso di PVC, in particolare nel comparto dei cavi. Gli effetti negativi del PVC vengono contestati e si teme un aumento dei costi in caso di divieto sui cavi rivestiti in PVC. Queste argomentazioni devono essere ben ponderate prima di proclamare divieti specifici. Mi sono pertanto astenuto dal voto.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Ho espresso il mio sostegno alla relazione per una serie di motivi. Concordo con l'esclusione delle installazioni fisse e dei pannelli fotovoltaici dal ambito di applicazione della direttiva. Altro elemento di soddisfazione è rappresentato dall'adozione di una metodologia per la revisione delle sostanze pericolose contenute nell'Allegato IV, che permette di stralciare l'elenco delle sostanze da sottoporre all'esame della Commissione (Allegato III). Ritengo giusta poi la definizione, non eccessivamente ampia, di dipendenza dall'energia elettrica per il funzionamento delle apparecchiature. Inoltre, credo prematuro inserire in una normativa la valutazione dei nanomateriali, oggetto di studio da parte della Commissione. Plaudo infine al fatto che il ambito di applicazione sia "aperto" per includere tutti gli apparecchi elettrici ed elettronici.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE) , per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (rifusione) in considerazione dei miglioramenti introdotti a seguito dell’accordo raggiunto con il Consiglio, che dovrebbe consentirci di compiere ulteriori passi avanti nella tutela della salute pubblica e dell’ambiente, nonché nella gestione dei rifiuti. Vorrei sottolineare la semplificazione e la maggiore coerenza introdotte dalla nuova legislazione. La riorganizzazione e la restrizione dell’uso di sostanze pericolose erano fondamentali se si considera il notevole aumento delle vendite di apparecchiature elettriche ed elettroniche all’interno dell’UE.
Con questa legislazione, stiamo contribuendo ad evitare che i rifiuti derivanti dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche, come telefoni cellulari, computer e frigoriferi, causino danni all’ambiente e alla salute pubblica a seguito dell’introduzione di prodotti chimici nell’ambiente, che avvenga tramite discariche o attraverso il rilascio di gas tossici dovuti all’incenerimento.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Onorevoli colleghi, ringrazio la collega Jill Evans per l'ottimo lavoro svolto. Ho espresso favorevolmente il mio voto, con cui concordo sulla necessità che la rifusione della direttiva RoHS sia inserita nel contesto degli obblighi internazionali dell'UE tesi alla riduzione totale delle emissioni di diossine e furani, con l'obiettivo di continuare a ridurle e, ove fattibile, di eliminarle definitivamente.
Rimane poco chiara la sorte finale dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). L'incenerimento ad alte temperature resta l'eccezione. Permane il rischio che quantità considerevoli di RAEE continuino a essere smaltite in modo non conforme nell'UE o in paesi terzi. Il problema delle emissioni di diossine e furani può essere affrontato soltanto mediante scelte concrete nella fase di progettazione
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Secondo le stime, solo nell’Unione europea si vendono annualmente 9,3 milioni di tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), di cui la maggior parte sono grandi elettrodomestici e apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni. Con la continua espansione del mercato e l’accorciarsi dei cicli di innovazione, le apparecchiature sono sostituite con maggiore frequenza, contribuendo ad accrescere sempre più rapidamente il flusso dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Si stima che tali rifiuti raggiungeranno i 12,3 milioni di tonnellate entro il 2020.
Gli aspetti principali della rifusione di questa direttiva sono le seguenti:
- l'ambito di applicazione aperto
- la distinzione tra RoHS e REACH
- la modifica dei criteri per le deroghe
- i criteri per stabilire la durata di un periodo di deroga/moratoria
- la codecisione anziché la comitatologia per le future restrizioni
- disposizioni specifiche per i nanomateriali.
Accolgo con favore l’accordo raggiunto in prima lettura. Ho votato a favore di questa relazione dato che la nuova proposta di direttiva è più semplice e offrirà ai produttori uno strumento più agevole per classificare i propri prodotti nelle categorie previste dalla direttiva. Inoltre, essa tiene conto dell’impatto socioeconomico legato alla tutela della salute e dell’ambiente quando si apportano modifiche ai criteri relativi alle deroghe.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Secondo la Commissione, è auspicabile riformulare l’attuale direttiva sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, adottata nel 2003, per motivi di chiarezza e certezza giuridica. Questa rifusione, ovviamente, comporta la necessità di ampliare l’ambito di applicazione della direttiva, in modo tale da contribuire alla tutela della salute umana e alla gestione in un’ottica ecologicamente corretta delle attività di riciclaggio e smaltimento dei rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Per quanto riguarda questa questione, ora è fondamentale tener conto del potenziale impatto delle soluzioni raccomandate sulle piccole e medie imprese.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Quasi otto anni fa, il Parlamento europeo ha approvato una direttiva sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose (RoHS) rispondendo, in tal modo, a una richiesta espressa con vigore dai consumatori: disporre di prodotti di consumo di uso quotidiano sicuri e non dannosi. Quest’approccio, incentrato sul concetto di sicurezza, è stato attuato essenzialmente introducendo un divieto sull’uso di piombo, mercurio e cadmio in prodotti di diverso tipo, dagli elettrodomestici alle radio, dai televisori ai trenini elettrici, passando per i videogiochi. Accolgo con favore la revisione adottata oggi, che amplia l’ambito di applicazione della direttiva ad altri prodotti, ma senza andare a discapito di sostanze importanti come il PVC. Analogamente, era importante rivedere la posizione restrittiva sui nanomateriali adottata dalla commissione per l’ambiente in giugno. Questa rivoluzione nel mondo dell’infinitamente piccolo merita di più di una posizione semplicista – a favore o contro – come nel caso degli organismi geneticamente modificati (OGM). Inoltre è essenziale che la direttiva RoHS sia applicabile nel concreto. Da questo punto di vista, quindi, accolgo con favore alcuni elementi: il fatto che si sia tenuto conto dei potenziali effetti di queste sostanze sulla salute e sull’ambiente; la definizione di una metodologia e la garanzia di complementarietà con la direttiva sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (REACH).
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore, oggi in plenaria, della revisione della direttiva sull'uso delle sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Il testo, una rifusione legale della direttiva del 2003, cerca di introdurre, anche alla luce delle nuove conoscenze scientifiche in materia, delle restrizioni nell'impiego di materiali come ad esempio il cadmio, il cloro, il mercurio e il cloruro di polivinile (PVC) che abbiano mostrato di essere nocivi per la salute umana.
Pur nella consapevolezza della forte opposizione delle industrie manifatturiere del settore, in particolar modo contrarie alle limitazioni sull'utilizzo del PVC, credo sia dovere primario della politica, e di conseguenza di parlamentari democraticamente eletti, cercare di arginare l'utilizzo di sostanze che, anche solo potenzialmente, possano arrecare danno alla salute umana, e allo stesso tempo sia necessario incoraggiare, nei limiti della tecnica disponibile, l'utilizzo di sostanze alternative e sostitutive.
Di particolare rilievo credo sia la questione della sorte finale dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, specialmente nei casi in cui questi contengano al proprio interno materiali successivamente riconosciuti come pericolosi. In questi casi, infatti, le procedure di smaltimento devono essere ancora più rigorose e attente
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto.– (EN) Secondo la Commissione, solo nell’Unione europea si vendono annualmente 9,3 milioni di tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), di cui la maggior parte sono grandi elettrodomestici e apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni. Con la continua espansione del mercato e l'accorciarsi dei cicli di innovazione, le apparecchiature sono sostituite con maggiore frequenza, contribuendo ad accrescere sempre più rapidamente il flusso dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Si stima che tali rifiuti raggiungeranno i 12,3 milioni di tonnellate entro il 2020. I RAEE sono un flusso di rifiuti complesso, che comprende diverse sostanze pericolose. Tali sostanze, o i loro prodotti di trasformazione, possono essere rilasciati nell’ambiente e provocare danni alla salute umana, specialmente se non trattati in maniera adeguata. I rischi per la salute umana e l'ambiente aumentano ulteriormente a causa delle operazioni di riciclaggio/recupero non rispondenti alle norme nei paesi in via di sviluppo. In base all'articolo 174, paragrafo 2, del trattato, i danni causati all’ambiente devono essere corretti in via prioritaria alla fonte. La gerarchia dei rifiuti stabilita dalla direttiva quadro sui rifiuti assegna in primo luogo la priorità alla prevenzione, che è definita, tra l’altro, come una serie di misure che riducono il contenuto di sostanze pericolose nei materiali e nei prodotti. Spero davvero che questa relazione contribuisca a risolvere questi problemi.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. – (EN) Il flusso di rifiuti prodotto dalle apparecchiature elettroniche registra il più alto tasso di crescita di tutta Europa e il contenimento del rilascio di sostanze tossiche e cancerogene che ne deriva deve essere una priorità assoluta. L’ambito di applicazione aperto della legislazione, raccomandato dalla commissione per l’ambiente, rappresenta un approccio molto più efficace rispetto a quello proposto dalla Commissione. Un elenco definitivo di prodotti specifici potrebbe escludere nuovi prodotti dal regolamento, mentre il nostro compito consiste nel garantire che la legislazione non solo agevoli, ma tenga anche il passo con l’innovazione industriale. Inoltre è incoraggiante osservare come diverse società stiano abbandonando l’uso di queste sostanze potenzialmente pericolose nei loro prodotti. Non possiamo tuttavia esimerci dall’adottare una legislazione ambiziosa che spinga il resto del settore a seguire l’esempio di altri e ad innovare per garantire una più efficace tutela dell’ambiente.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Ho appoggiato la relazione sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Questa relazione rappresenta un passo nella giusta direzione, ampliando la categoria di apparecchiature, fra le altre, a quelle medicali. Oltre a metalli pesanti come il mercurio e il piombo, sono stati vietati svariati ritardanti di fiamma bromurati. La relazione, inoltre, prevede un ambito di applicazione aperto. In tal modo tutte le apparecchiature elettroniche, fatta salva una serie di deroghe specifiche, ed altre sostanze pericolose potranno rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva in futuro. A tal fine sono stati definiti dei criteri chiari. Tuttavia, mi rammarico nel constatare come non sia stato incluso il divieto sul PVC, come aveva proposto il gruppo Verde/Alleanza libera europea. È molto importante giungere a una riduzione delle sostanze pericolose nei rifiuti elettronici. Sebbene la legislazione europea vieti l’esportazione di rifiuti elettronici a fini di riciclaggio, gli studi hanno dimostrato che più di due terzi dei rifiuti elettronici europei viene esportato. Spesso questi rifiuti vengono scaricati illegalmente in zone come l’Africa occidentale, dove il trattamento delle acque si colloca al di sotto degli standard, causando gravi problemi di salute e inquinamento ambientale. Si può guadagnare molto da un mercato in constante crescita come quello dei rifiuti. Ecco perché è necessario svolgere una rigorosa attività di supervisione e monitoraggio per contrastare l’esportazione illegale di rifiuti elettronici.
Marianne Thyssen (PPE), per iscritto. – (NL) È diventato impossibile immaginare la nostra vita quotidiana senza apparecchiature elettriche ed elettroniche. Il sistema europeo di restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose (RoHS), volto a disciplinare l’uso di sostanze nocive nelle apparecchiature elettroniche, è diventato di fatto un sistema universale, utilizzato in almeno 28 paesi esterni all’UE. Ad oggi, in base all’attuale direttiva RoHS, sono già state imposte restrizioni su mercurio, piombo, cadmio e una serie di ritardanti di fiamma. Il rapido progresso della tecnologia e lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ci hanno costretti a procedere a una rifusione della direttiva, necessaria anche per renderla uno strumento efficace e flessibile. Effettivamente, d’ora in poi, sarà possibile escludere le sostanze pericolose con maggiore rapidità, a tutto vantaggio dell’uomo e dell’ambiente. Inoltre è stato definito il rapporto tra la direttiva sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (REACH) e la direttiva RoHS, in modo tale da evitare una doppia regolamentazione. Per tali motivi, oggi ho sostenuto con convinzione l’accordo che il Parlamento è stato in grado di concludere con il Consiglio. Spero che si possa raggiungere con altrettanta rapidità un accordo in merito alla direttiva sui rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Dopotutto, i due strumenti legislativi sono inestricabilmente correlati.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. – (DE) Questa è una buona relazione, che tiene conto in maniera equilibrata della maggior parte delle preoccupazioni espresse dall’industria e dei timori per l’ambiente. Anche se non sarà sicuramente possibile ottenere piena soddisfazione a fronte di una questione così complessa, con questa relazione ci si avvicina molto.
Kathleen Van Brempt (S&D), per iscritto. – (NL) Ho votato a favore della relazione Evans dato che l’equilibrio globale dell’accordo raggiunto con il Consiglio è positivo. Ciononostante, in veste di relatore ombra, vorrei esprimere il mio disappunto nel constatare che i pannelli solari sono stati esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva, dopo un’intesa attività di pressione da parte del settore. Di conseguenza, il cadmio continuerà ad essere presente all’interno dei pannelli solari distribuiti sul mercato europeo per un periodo (minimo) di dieci anni, mentre non sarà consentito in nessun’altra apparecchiatura elettrica o elettronica. Esprimo tutto il mio disappunto osservando come un settore, che dovrebbe essere la forza motrice nella nostra transizione verso un’economia verde, sia stato così ansioso di chiamarsi fuori da una legislazione ambientale così importante e constatando come una maggioranza nel Parlamento e nel Consiglio si sia piegata agli interessi di un particolare tipo di tecnologia (l’uso di pannelli solari a film sottile con tellururo di cadmio).
Artur Zasada (PPE), per iscritto. – (PL) Nella votazione di oggi ho appoggiato la relazione sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Di recente abbiamo potuto renderci conto dell’importanza assunta dal problema oggetto della legislazione adottata, osservando come milioni di famiglie in tutta l’Unione europea abbiano sostituito i propri televisori a tubo catodico con moderni schermi LCD. Oggi tutte queste famiglie stanno pensando di abbandonare i televisori LCD per passare ad apparecchi LCD-LED.
Secondo gli esperti, è il flusso di rifiuti prodotto dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche usate a registrare il più alto tasso di crescita. Non solo: le analisi svolte dall’istituto di ricerca Öko-Institut hanno dimostrato gli effetti negativi del PVC e dei ritardanti di fiamma alogenati sull’ambiente e sulla salute umana. Sono sicuro che il documento adottato oggi contribuirà a ridurre i quantitativi di sostanze pericolose di questo tipo.
Proposta di risoluzione B7-0617/2010 (Accordo commerciale anticontraffazione)
Damien Abad (PPE), per iscritto. – (FR) Oggi il Parlamento ha adottato la proposta di risoluzione sull’Accordo internazionale anticontraffazione (ACTA) per garantire una migliore applicazione internazionale delle misure anticontraffazione. L’ACTA è uno strumento per rendere più efficaci i regolamenti esistenti e assicurare una maggiore protezione dalle violazioni di diritti d’autore, marchi commerciali, brevetti, disegni, modelli e indicazioni geografiche. Ho votato a favore della risoluzione presentata dal mio gruppo politico, il PPE, in quanto ritengo che l’ACTA rappresenti uno scudo protettivo per l’industria europeo. In tal modo, saremo in grado di garantire la tutela del diritto d’autore, nonché della creatività e dell’innovazione in campo culturale e scientifico. Dovremmo infatti fermarci a riflettere su come combattere meglio la pirateria e questo accordo internazionale costituisce un passo verso un’applicazione più efficace delle misure anticontraffazione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune presentata dal gruppo PPE/ECR sull’Accordo commerciale anticontraffazione, noto come “ACTA”. Il presente accordo è volto a combattere il dilagare della contraffazione e l’aumento del numero di prodotti piratati “tutelati da diritto d’autore” stabilendo una nuova struttura di governo internazionale. Reputo fondamentale proteggere la creatività dal furto, perché è questo ciò che la pirateria e la contraffazione realmente rappresentano. L’Unione, che intende diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva al mondo, non può restare indifferente di fronte a tale importante problema. Per questo accolgo con favore l’adozione dell’odierna risoluzione. È un testo forte che avrebbe dovuto unire tutti i parlamentari, mentre, purtroppo, è stato adottato soltanto da una maggioranza risicata. Sebbene la Commissione europea offrisse solide garanzie in merito al rispetto dei diritti fondamentali, la sinistra in Parlamento ha preferito rimanere ancorata a infondati slogan di protesta. Dal mio punto di vista, l’Unione europea deve farsi promotrice di questa lotta contro la negligenza e la mancanza di impegno di cui Cina e Russia si rendono spesso colpevoli in tale ambito. È in gioco la nostra competitività nell’economia globalizzata.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) La lotta alla contraffazione è un elemento essenziale della strategia politica comunitaria, volta a garantire equità, condizioni omogenee ai nostri produttori, occupazione ai nostri cittadini e rispetto dei principi dello Stato di diritto. Con l’emergere delle tecnologie digitali, la contraffazione ha assunto una dimensione internazionale incontrollabile, per cui la cooperazione internazionale è il principale strumento per combattere il fenomeno. Ho appoggiato la proposta di risoluzione che enuncia gli obiettivi e le priorità del Parlamento europeo nei negoziati multilaterali sull’Accordo commerciale anticontraffazione, inteso, per la prima volta, a istituire un quadro internazionale completo per combattere più efficacemente le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale. Ritengo importante garantire che le misure di applicazione dei diritti di proprietà intellettuale non rappresentino una barriera alle innovazioni e alla concorrenza, evitando di interferire con le restrizioni imposte ai diritti di proprietà intellettuale e la protezione dei dati personali, limitare il libero flusso di informazioni od ostacolare ingiustificatamente gli scambi legittimi.
Françoise Castex (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato contro il testo oggi sottoposto alla nostra attenzione: il diritto europeo ha ceduto alle richieste di alcuni governi e alla pressione delle industrie della cultura a spese dei diritti fondamentali dei cittadini europei. Il PPE ha eliminato con un colpo di spugna tutti i meccanismi di salvaguardia che abbiamo chiesto alla Commissione, trasmettendole un segnale negativo in vista dei negoziati di Sydney della prossima settimana. Inoltre, la definizione vaga di “scala commerciale” in relazione all’incrudimento delle sanzioni penali nel campo delle violazioni del diritto d’autore on-line potrebbe incoraggiare gli Stati ad adottare normative che portano alla criminalizzazione degli utenti privati e degli intermediari tecnici. L’ACTA non deve consentire all’Unione europea di effettuare perquisizioni personali, oppure introdurre sistemi di risposta flessibili o simili. Infine, la Commissione deve effettuare rapidamente una valutazione di impatto, prima anziché dopo l’attuazione dell’ACTA, in merito alla sua applicazione e alle sue conseguenze sui diritti fondamentali, la protezione dei dati e la direttiva sull’e-commerce.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) L’odierna risoluzione consentirà il rafforzamento della cooperazione internazionale nella lotta alla contraffazione creando uno strumento per salvaguardare efficacemente i diritti di proprietà intellettuale. Il testo non è inteso a creare nuovi diritti, bensì a garantire il rispetto dei diritti esistenti attraverso misure repressive e l’istituzione di un quadro internazionale completo di assistenza alle parti. È un accordo difficile, con interessi in conflitto che lasciano spazio a interpretazioni controverse per quanto concerne i suoi effetti. È fondamentale tutelare i diritti di proprietà intellettuale, ma d’altro canto è essenziale garantire un equilibrio in maniera da non minacciare la libertà di espressione e l’innovazione e non limitare la capacità dell’individuo di esercitare le proprie libertà civili e fondamentali. La contraffazione è un problema serissimo che comporta rischi enormi per l’industria, l’economia e l’innovazione europea.
Spero che l’accordo rappresenti un passo nella giusta direzione e negli imminenti negoziati sia possibile risolvere le ambiguità e le omissioni che ancora caratterizzano il testo, come nel caso del riferimento a luoghi geografici falsi. Vorrei complimentarmi con la Commissione per l’impegno profuso per migliorare la trasparenza dei negoziati e confido nel fatto che confermerà tale posizione tenendo il Parlamento regolarmente al corrente dello stato di avanzamento dei negoziati.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sull’Accordo commerciale anticontraffazione proposto dal gruppo ALDE, unitamente ad altri tre gruppi politici dell’organo legislativo europeo. L’intento della risoluzione era sia rispettare le libertà fondamentali e i diritti individuali sia mantenere il libero accesso a Internet. La risoluzione si è inoltre adoperata per garantire l’accesso ai farmaci nei paesi in via di sviluppo. È deplorevole che la risoluzione non abbia conquistato il voto della Camera perché la posizione socialista appoggiava gli interessi dei cittadini europei.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Concordo con l’intera proposta di risoluzione, riguardante l’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA), approvata dopo lunghi mesi di dibattito e impegno per trovare una soluzione di compromesso tra i vari gruppi politici, purtroppo non raggiunta. Per il funzionamento sano dei mercati, la protezione del mercato unico, la competitività delle aziende europee in un’economia globale, nonché la creazione di posti di lavoro e il loro mantenimento nell’Unione europea, è importante che all’interno della sua politica interna e internazionale l’Unione renda prioritaria l’azione contro la contraffazione nelle sue varie forme. Pur consapevole del fatto che l’ACTA non prevede una soluzione a un problema complesso e sfaccettato quale è quello della contraffazione, come si evince dal paragrafo 3, ritengo comunque che tale accordo rappresenti uno strumento valido per rendere più efficaci gli standard esistenti, andando così a beneficio delle esportazioni provenienti dall’Unione europea e tutelando i titolari di diritti quando operano sul mercato globale, dove vari titolari di diritti di proprietà industriale e intellettuale sono attualmente vittime di violazioni sistematiche e generalizzate di diritti d’autore, marchi commerciali, brevetti, disegni, modelli e indicazioni geografiche.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato contro l’odierna risoluzione che dichiara la posizione del Parlamento europeo in vista della sottoscrizione dell’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) perché la maggioranza conservatrice in Aula si è rifiutata di sollevare la necessità di meccanismi di salvaguardia di base per i nostri cittadini rispetto a tale accordo globale sul diritto d’autore. Il Parlamento non ha ancora avuto prova del fatto che la base giuridica per tale negoziato sia coerente con il trattato di Lisbona prima della sottoscrizione dell’accordo. La Commissione deve inoltre dimostrarci che la cooperazione tra fornitori di servizi e titolari di diritti d’autore non interferisce con i diritti fondamentali dei cittadini, specialmente il diritto alla privacy, il diritto alla libertà di espressione e il diritto a un giusto processo. Ciò richiede una valutazione dell’impatto dell’ACTA sulla protezione dei dati e sui diritti fondamentali. Ci occorre un’assicurazione da parte del Consiglio e della Commissione che l’ACTA non richiederà alcuna modifica del diritto comunitario per quanto concerne le misure penali relative all’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale. Anche le disposizioni di applicazione civili sui brevetti potrebbero incidere negativamente all’accesso ai farmaci generici e la Commissione dovrebbe affrontare tale preoccupazione. Dovremmo negare il nostro consenso all’ACTA finché non otterremo garanzie scritte su tali aspetti fondamentali.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Resta aperto un interrogativo sul contenuto dell’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA). Lo scopo principale dell’accordo, negoziato per anni nella massima segretezza da una decina di paesi, è combattere la contraffazione e tutelare i diritti di proprietà intellettuale. Va nondimeno notato che né Cina né Brasile né India hanno partecipato a tali negoziati. Inoltre, sebbene la contraffazione vada combattuta, le ben note disposizioni contenute nel trattato in questione implicano l’introduzione di misure che potrebbero considerarsi attacchi alle libertà individuali: supervisione dei fornitori di accesso a Internet, rafforzamento dei controlli alle frontiere, maggiori difficoltà nel trasporto di farmaci generici a basso costo nei paesi in via di sviluppo. Sono tutte preoccupazioni espresse da molti parlamentari che non intendono riporre una “cieca” fiducia nei negoziati condotti dalla Commissione europea. La risoluzione, adottata da una maggioranza risicata, niente di più di questo, non può ritenersi un sostegno poiché permangono dubbi in merito alla conformità del testo all’acquis communautaire e alla sua compatibilità con il rispetto dei diritti fondamentali.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho scelto l’astensione all’atto della votazione sulla risoluzione riguardante l’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) perché ritengo che, sebbene il testo contenga alcuni elementi importanti, sia eccessivamente critico rispetto all’accordo in questione. Nel complesso, ritengo che l’ACTA sia favorevole agli interessi economici dell’Unione e trovi un equilibrio tra la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e la garanzia dei diritti fondamentali.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Dopo molta insistenza da parte del Parlamento, vi è stato un sostanziale aumento nel grado di trasparenza dei negoziati sull’Accordo commerciale anticontraffazione e dal round negoziale in Nuova Zelanda il Parlamento è stato tenuto debitamente al corrente. Il testo negoziato rispecchia le principali preoccupazioni manifestate dal Parlamento, specialmente su temi quali il rispetto dei diritti fondamentali, la protezione della privacy e dei dati, il rispetto dell’importanza di una rete libera, l’utilità della salvaguardia del ruolo dei fornitori di servizi e la necessità di tutelare l’accesso ai farmaci. La lotta alla contraffazione è una priorità e la cooperazione internazionale è fondamentale per conseguire tale obiettivo. Vista la possibilità che nuovi paesi emergenti e in via di sviluppo aderiscano all’accordo, promuovendo in tal modo una tutela generalizzata dei diritti di proprietà intellettuale, l’ACTA sarà in grado di conseguire il necessario multilateralismo.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’accordo negoziato rappresenta un passo importante nella lotta alla contraffazione ed è un elemento fondamentale della strategia politica dell’Unione per garantire giustizia, parità di condizioni per i produttori europei, mantenimento dei posti di lavoro per i cittadini e rispetto dello Stato di diritto. La lotta alla contraffazione dovrebbe essere una delle priorità della strategia politica interna e internazionale, e la cooperazione internazionale è fondamentale per conseguire tale obiettivo.
L’ACTA è uno strumento che rende più efficaci gli standard esistenti, andando dunque a beneficio delle esportazioni provenienti dall’Unione e tutelando i titolari di diritti quando operano nel mercato globale. Vorrei sottolineare l’importanza della protezione delle indicazioni geografiche per le aziende europee e l’occupazione nell’Unione e accolgo con favore gli sforzi profusi dalla Commissione per includere tale protezione nell’ambito dell’ACTA. Vorrei infine sottolineare l’importanza di una conferma da parte della Commissione del fatto che l’applicazione dell’ACTA non avrà alcun impatto sui diritti fondamentali e sulla protezione dei dati né sull’impegno che l’Unione europea sta attualmente profondendo per armonizzare le misure attuative per i diritti di proprietà intellettuale.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Se non avessi deciso di boicottare la seduta dopo il deplorevole episodio di totalitarismo social-eurocratico al quale abbiamo appena assistito, avrei votato a favore della proposta di risoluzione comune dei gruppi della sinistra sull’accordo anticontraffazione. Lo avrei fatto non perché le mie idee politiche siano cambiate, bensì perché ritengo che l’accordo non sia sufficiente per tutelare le nostre industrie dalla contraffazione, non garantisca il rispetto delle indicazioni geografiche, serva a ben poco se non coinvolge la Cina, la più grande contraffattrice al mondo, e metta a repentaglio i diritti e le libertà dei cittadini per quanto concerne i diritti di proprietà “immateriali”. Sono altresì favorevole a tutte le richieste di preliminare informazione, valutazione di impatto e così via contenute nella risoluzione In sintesi, così come è formulato, l’accordo è inutile e potenzialmente nocivo. Non dovrebbe essere neppure negoziato e tanto meno, visti i temi che copre, dalla sola Commissione europea.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la proposta di risoluzione sull’Accordo commerciale anticontraffazione presentata dal gruppo PPE/ECR perché il testo non è assolutamente in grado di tutelare le libertà individuali. I parlamentari hanno sistematicamente manifestato numerose preoccupazioni in merito alla negoziazione di questo accordo internazionale e prima della ratifica definitiva dell’accordo da parte degli Stati membri e dell’Unione europea era importante sollevare una serie di problemi, specialmente quelli riguardanti l’accesso ai farmaci, la responsabilità dei fornitori di accesso a Internet e le perquisizioni dei bagagli personali dei viaggiatori alle frontiere. Purtroppo, la proposta di risoluzione comune presentata dai gruppi ALDE, Verts/ALE e GUE/NGL, per la quale ho votato e che esprimeva tali perplessità, non ha potuto essere adottata per insufficienza del numero di voti richiesti.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sono deluso dal fatto che la risoluzione sostenuta dal mio stesso gruppo oggi non sia stata adottata. L’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) può avere potenzialmente un effetto molto negativo sulle libertà civili e il voto odierno non fa nulla per fugare tali timori.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della proposta di risoluzione presentata dal gruppo PPE/ECR sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA). La risoluzione esprime le stesse preoccupazioni manifestate dai cittadini dell’Unione in merito alla protezione dei dati respingendo recisamente un regolamento dei “tre colpi”, discusso come misura utilizzabile in caso di violazioni del diritto d’autore. La risoluzione sottolinea altresì che l’accordo deve essere allineato all’acquis communautaire, in altre parole al corpus comune del diritto dell’Unione. I prodotti contraffatti e le violazioni internazionali del diritto d’autore arrecano danno all’economia europea, mettendo in tal modo a repentaglio i posti di lavoro nell’Unione. Per contrastare il fenomeno, occorre intraprendere misure risolute.
Edvard Kožušník (ECR), per iscritto. – (CS) Plaudo al fatto che la maggior parte delle disposizioni controverse sia stata eliminata dalla formulazione finale di questo accordo internazionale, come quelle in materia di responsabilità di terzi, controlli obbligatori delle memorie dei computer all’attraversamento delle frontiere e applicazione obbligatoria della “ghigliottina digitale”. Sebbene apprezzi lo sforzo profuso per assicurare maggiore protezione ai diritti di proprietà intellettuale, non sono convinto che la formulazione dell’accordo sottopostoci in questa sede sia del tutto ottimale. Mi preoccupa molto il fatto che paesi come Cina e Russia non siano firmatari. Il maggiore accento posto dall’accordo sulla tutela dei titolari dei diritti e non sugli effettivi autori desta in me perplessità quanto al fatto che l’accordo possa realmente proteggere i diritti di proprietà intellettuale in generale e non soltanto tutelare i diritti di un gruppo ristretto di soggetti aventi sede principalmente negli Stati Uniti.
Inoltre, l’impossibilità di includere le indicazioni geografiche nell’accordo è un’ulteriore conferma dei miei timori. Forse non è necessario commentare ulteriormente il metodo di negoziazione dell’accordo, ma ritengo che una forma non trasparente di negoziato come quella scelta per l’ACTA non debba ripetersi e in futuro il Parlamento vada informato con debito anticipo in merito alla procedura negoziale per accordi analoghi e al contenuto di tali accordi.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) ha reso e rende più efficaci le norme che promuovono le esportazioni dell'Unione europea e proteggono quei soggetti che, quando operano sul mercato globale, sono sempre più spesso sottoposti a diffuse violazioni dei loro diritti di proprietà intellettuale.
Come efficacemente sottolineato nella proposta di risoluzione comune, la lotta alla contraffazione a livello globale rappresenta un elemento chiave nella strategia politica dell'Unione europea, al fine di poter garantire condizioni uniformi di concorrenza per tutti i produttori europei. Ritengo che in questo settore, così come in altri, l'essenzialità della cooperazione tra Stati sia un dato ormai pacificamente acquisito. La protezione del diritto d'autore, dei marchi, dei brevetti, delle progettazioni e delle indicazioni geografiche è materia sicuramente delicata, in quanto attinente al rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, ma quello odierno costituisce un serio invito a proseguire nella giusta direzione. La Commissione dovrà, infatti, impegnarsi affinché possa garantirsi l'inclusione di pratiche esecutive efficaci per le indicazioni di origine geografica, la cui tutela è di fondamentale importanza per le imprese e per l'occupazione dei cittadini europei.
Constance Le Grip (PPE) , per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione presentata sull’Accordo commerciale anticontraffazione presentata dal gruppo PPE/ECR. Questa risoluzione del PPE/ECR sottolinea che la lotta alla contraffazione è una priorità della strategia politica interna e internazionale dell’Unione e la cooperazione internazionale è un elemento fondamentale per il perseguimento globale di tale obiettivo. Facendo proprie le preoccupazioni del Parlamento europeo e dei nostri concittadini, come il rispetto dei diritti fondamentali, la protezione della privacy e dei dati personali, il riconoscimento del ruolo cruciale di un accesso illimitato a Internet, l’importanza di salvaguardare il ruolo dei fornitori di servizi e la necessità di tutelare l’accesso ai farmaci, l’atto rende più efficaci le norme correnti. Il testo è volto ad assicurare una maggiore protezione da tutte le violazioni di diritti di proprietà intellettuale, marchi commerciali, disegni, modelli e brevetti nell’interesse delle esportazioni comunitarie e dei titolari di tali diritti. Contrariamente a quanto affermato dai suoi detrattori, l’accordo è pienamente compatibile con l’acquis communautaire non introducendo, per esempio, la cosiddetta procedura dei “tre colpi”.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) perché: 1. è perfettamente allineata all’acquis communautaire; 2. comporterà un impatto positivo sulle misure per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale nel mondo e la protezione da altri territori come Asia, Australia, regione del Pacifico e così via; 3. salvaguarderà la concorrenza a livello comunitario e la diversità culturale, oltre a contribuire alla creazione di posti di lavoro.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore dell’odierna risoluzione sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA). L’ACTA riguarda l’applicazione del diritto in materia di proprietà intellettuale a livello internazionale e concerne le violazioni del diritto d’autore in ambito commerciale, tema estremamente delicato in relazione al quale dobbiamo assicurare ai titolari dei diritti un’adeguata tutela e un ritorno ragionevole sui loro investimenti senza, d’altro canto, violare le libertà civili, limitare l’accesso ai farmaci o criminalizzare i singoli per banali violazioni del diritto d’autore. La sede giusta per procedere a tale valutazione è la commissione per il commercio quando stabilirà se il Parlamento dovrà dare o meno il proprio consenso all’ACTA.
Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) La protezione dalla contraffazione e la tutela della proprietà intellettuale sono indubbiamente un elemento importante su scala internazionale. Dall’accordo ACTA proposto non emerge tuttavia alcun significato chiaro in termini di alta qualità e, specialmente, di tutela equilibrata degli interessi di tutti i cittadini degli Stati membri. In tale accordo, la cui formulazione ha richiesto molto tempo, è mancata trasparenza a vari livelli nelle fasi preparatorie ed è strutturato, per quanto concerne il suo contesto, più nell’interesse di un solo gruppo. Sebbene l’accordo annunci anche, tra l’altro, un rafforzamento della sorveglianza da parte degli organi competenti delle merci in transito e del regime di esportazione o dei negoziati ex officio, si pone un interrogativo circa l’ambito e altre possibilità di applicazione dell’accordo in quanto i suoi effetti paiono discutibili senza la concordata ratifica da parte di un gran numero di importanti paesi del mondo.
Rispetto alla capacità di garantire di fatto la tutela della proprietà intellettuale, si può dire che su scala globale ora esiste tutta una serie di strumenti, istituzioni e accordi contrattuali riconosciuti, operanti e sufficientemente collaudati, che attualmente tutelano dalle contraffazioni. Nel contempo, l’assicurazione che non è necessario modificare l’acquis communautaire, per un documento di una siffatta importanza e natura, meriterebbe la presentazione di un’analisi giuridica più accurata.
Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore dell’odierna proposta di risoluzione perché costituisce un passo importante nella lotta alla contraffazione senza mettere in discussione aspetti quali il trasporto di farmaci generici e garantisce i diritti fondamentali come il diritto alla privacy e alla protezione dei dati.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) L’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) è stato negoziato alle spalle dei nostri cittadini e in contrasto con l’ONU e la sua Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, unico organo che può legittimamente introdurre un siffatto accordo. Nel caso dell’ACTA, un gruppo ristretto di paesi ha negoziato al suo interno le norme che devono prevalere nel campo dei diritti di proprietà intellettuale. Questo abuso del diritto internazionale a vantaggio dei paesi più ricchi e dei loro alleati più vicini è assolutamente intollerabile.
Inoltre, alla luce dell’incertezza in merito alla possibile brevettabilità degli esseri viventi e dei potenziali ostacoli alla circolazione dei farmaci generici, è urgente non deplorare questo o rimpiangere quello accettando di essere stati messi di fronte al fatto compiuto. Voto contro il testo.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La presentazione del progetto di Accordo commerciale anticontraffazione il 2 ottobre 2010, dopo il round negoziale di Tokyo, è estremamente importante. È anche necessario che la Commissione metta a disposizione del Parlamento e del pubblico il testo definitivo dell’accordo ACTA dopo la riunione di negoziazione degli aspetti tecnici avvenuta a Sydney dal 30 novembre al 3 dicembre 2010.
La lotta alla contraffazione è una delle massime priorità della strategia politica interna e internazionale e la cooperazione internazionale è fondamentale per conseguire tale obiettivo. Siamo perfettamente consapevoli del fatto che l’accordo negoziato non risolverà il complesso e sfaccettato problema della contraffazione, ma rappresenta un passo nella giusta direzione per porre fine a questo drammatico fenomeno, responsabile di gravi perdite per l’economia dell’Unione e il prodotto interno lordo degli Stati membri.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (LV) È fondamentale che questo accordo entri in vigore quanto prima. Qualunque ritardo aprirà le porte al furto puro e semplice della proprietà intellettuale. I costi dei produttori superano ogni importo immaginabile. La pirateria in Internet è oggigiorno di estrema attualità. Molti fornitori di servizi Internet e cittadini dell’Unione europea sono coinvolti in attività eticamente discutibili. In tale contesto, dobbiamo regolamentare tutte le operazioni associate allo scaricamento e al cosiddetto scambio di informazioni. L’inerzia nella prevenzione della contraffazione promuove l’impunità e appare cinica. Sono pienamente a favore dell’odierna proposta di risoluzione.
Vital Moreira (S&D), per iscritto. – (PT) Ho scelto l’astensione all’atto del voto sulla proposta di risoluzione comune presentata dai gruppi S&D, ALDE, Verts/ALE e GUE/NGL sull’Accordo commerciale anticontraffazione in quanto ritengo che il testo in questione sia soverchiamente critico e dovrebbe essere più equilibrato. Nella versione presentata vi è una chiara indicazione del fatto che la nostra posizione finale sarà contraria all’adozione dell’accordo. Credo che l’accordo sia in generale favorevole agli interessi economici dell’Unione europea, specialmente alla luce del fatto che vogliamo che la nostra economia sia basata sull’innovazione, la ricerca e lo sviluppo, ovverosia la “crescita intelligente”.
Ritengo pertanto che una maggiore tutela dei diritti di proprietà industriale, compresi i brevetti, sia essenziale per la competitività europea. D’altro canto, penso che le preoccupazioni iniziali in merito ai farmaci generici, alla salvaguardia del diritto di accesso a Internet e alla protezione delle indicazioni geografiche, o delle denominazioni di origine, siano state superate in maniera soddisfacente nei negoziati conclusivi. Non possiamo ignorare i progressi compiuti. Ovviamente non tutto risponde pienamente alle aspettative, ma un accordo internazionale deve essere giudicato nel suo complesso.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della proposta di risoluzione del gruppo PPE/ECR e contro le altre perché l’accordo internazionale ACTA consente di combattere più efficacemente la contraffazione, il che consentirà di migliorare la tutela del diritto d’autore e, di conseguenza, concorrerà a proteggere l’industria europea. L’ACTA contribuirà inoltre a salvaguardare i consumatori dai prodotti contraffatti, che stanno diventando sempre più diffusi sui mercati europei.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Onorevoli colleghi, ho votato a favore della risoluzione del Partito popolare europeo in materia di ACTA, in quanto ritengo fondamentale che l'accordo venga posto in essere. Occorre fare in fretta, non si può più rimandare e perdere tempo, altrimenti si rischia uno stallo dei negoziati a detrimento dei produttori, ma anche dei consumatori europei.
L'Europa ha l'obbligo di continuare a concentrare gli sforzi su due temi. Il primo tema è l'obbligatorietà della tutela civile e doganale per le indicazioni geografiche europee che oggi subiscono un danno a carico non solo dell'industria agro-alimentare, i cui prodotti contraffatti subiscono la concorrenza sleale caratterizzata dall'utilizzo di nomi che copiano e richiamano noti marchi europei, ma anche delle industrie che operano in settori quali il design e la moda. Il secondo tema è l'obbligatorietà di regole comuni di controllo sulle vendite online, settore nel qule si registra un aumento della compravendita di libri, film, musica e milioni di beni contraffatti a danno non solo del consumatore ma anche del produttore europeo.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della proposta di risoluzione presentata dal gruppo PPE/ECR sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) perché è un accordo volto a salvaguardare la giustizia e una sana concorrenza. L’accordo istituisce un quadro internazionale completo per rafforzare la lotta alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale promuovendo l’adesione all’accordo di altri paesi in via di sviluppo, in quanto non vi è alcuna limitazione a livello di partecipazioni.
Ora i negoziati sull’accordo tengono conto delle principali preoccupazioni dell’Unione, tra cui il rispetto dei diritti fondamentali e della privacy, la protezione dei dati, il rispetto del ruolo di una rete web libera, la difesa del ruolo dei fornitori di servizi e la necessità di salvaguardare l’accesso ai farmaci e tutelare la salute pubblica.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Sono convinta che questa proposta di risoluzione rappresenti un passo importante nella lotta alla contraffazione, pur mantenendo il necessario equilibrio tra valori in conflitto. L’accordo non rimette in discussione la libertà di espressione e l’innovazione, oltre a garantire i diritti fondamentali come il diritto alla privacy e alla protezione dei dati.
Sussistono interessi contrapposti che rendono difficile il consenso, ma ciò che è stato raggiunto in questo caso con un certo successo è un accordo che sostanzialmente compendia una serie di desideri comuni. La trasparenza adottata dalla Commissione durante i negoziati tenendo informato il Parlamento va elogiata e spero che, negli imminenti negoziati, sia possibile risolvere le ambiguità e le omissioni che tutti ancora sottolineano. Credo che l’accordo raggiunto rafforzerà la cooperazione internazionale nella lotta alla contraffazione creando uno strumento per la tutela efficace dei diritti di proprietà intellettuale e la garanzia dei diritti fondamentali. È inoltre essenziale garantire il rispetto dei diritti esistenti attraverso misure repressive e l’istituzione di un quadro internazionale completo di assistenza alle parti coinvolte.
Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore dell’odierna proposta di risoluzione perché costituisce un passo importante nella lotta alla contraffazione senza mettere in discussione aspetti quali il trasporto di farmaci generici e garantisce i diritti fondamentali come il diritto alla privacy e alla protezione dei dati.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) La lotta alla contraffazione, fenomeno globale, richiede un approccio multilaterale basato sul rafforzamento della cooperazione tra le principali coinvolte a livello mondiale. Di conseguenza, sebbene sia consapevole del fatto che l’accordo negoziato non risolverà il complesso problema della contraffazione, sono persuaso che rappresenti un passo nella giusta direzione.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. − Oggi ho approvato l'accordo internazionale contro la contraffazione e la pirateria (ACTA), recentemente finalizzato.
L'obiettivo del nuovo accordo multilaterale ACTA fra UE, USA, Australia, Canada, Giappone, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, Corea del Sud e Svizzera è di rinforzare la protezione della proprietà intellettuale e contribuire alla lotta contro la contraffazione e la pirateria di prodotti quali l'abbigliamento di grandi marche, la musica e i film.
Sono consapevole che l'accordo negoziato non risolverà il problema complesso e multidimensionale della contraffazione, ma ritengo che esso costituisca un passo avanti nella giusta direzione. Tuttavia, chiedo alla Commissione europea di confermare che il testo non ha ripercussioni sulle libertà fondamentali e la legislazione comunitaria. Ricordo inoltre che Parlamento ha diritto di veto sugli accordi internazionali.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il Parlamento europeo ha mancato di poco l’adozione di una risoluzione in cui si chiede alla Commissione di chiarire e valutare le conseguenze dell’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA). Il risultato è stato 306 voti favorevoli, 322 voti contrari e 26 astensioni. La risoluzione è stata presentata dal gruppo Verde (compreso il partito Pirata), i socialdemocratici, i liberali e la sinistra. Viceversa, una risoluzione alternativa promossa dal gruppo PPE e dai conservatori è stata adottata. La risoluzione sostanzialmente apprezza ciò che i negoziatori hanno fatto sinora senza formulare richieste specifiche alla Commissione in merito a ulteriori chiarificazioni o valutazioni. È stata una sconfitta, ma non certo l’ultima parola sull’argomento. La risoluzione non ha alcun effetto formale: è unicamente un’espressione dei sentimenti del Parlamento. Il voto decisivo (probabilmente) avverrà all’inizio del prossimo anno, quando al Parlamento verrà chiesto di dare il suo consenso all’accordo. Se allora il voto sarà contrario, l’accordo sarà bocciato. Il voto odierno ci ha ricordato che dovremo continuare a lavorare duramente per ottenere maggiori informazioni sugli effetti dell’accordo ACTA in modo che il Parlamento europeo possa prendere una decisione all’atto del voto di consenso finale.
Marie-Thérèse Sanchez-Schmid (PPE), per iscritto. – (FR) L’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) è un accordo che tutela i nostri cittadini, i nostri creatori, i nostri artisti e le nostre aziende. Per questo lo appoggio. L’accordo, infatti, contribuisce a chiarire i mezzi di ricorso a disposizione in caso di flagranti violazioni dei diritti di proprietà intellettuale in uno dei paesi firmatari. La Commissione è stata trasparente. L’ACTA non può andare oltre l’acquis communautaire né travalicare alcuna delle misure intraprese nell’ambito delle direttive europee, così come non può in alcun caso violare i diritti fondamentali. L’accordo è stato negoziato al di fuori delle tradizionali istituzioni internazionali (Organizzazione mondiale del commercio e così via) perché Cina e India erano contrarie a qualunque accordo. Infine, l’ACTA è un accordo aperto e tutti gli Stati che intendono parteciparvi liberamente possono unirsi a noi in modo che insieme si possa assicurare una protezione giuridica, ma anche fisica, ai nostri concittadini dal danno arrecato dalla contraffazione. Ho pertanto votato a favore dell’odierna proposta di risoluzione.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. – (SV) Il Parlamento europeo ha manifestato il proprio parere sull’accordo ACTA in numerose occasioni. Per esempio, ho votato a favore di una proposta di risoluzione del Parlamento nel marzo 2010 che riguarda l’assenza di esame pubblico e trasparenza nei negoziati e ho firmato la dichiarazione scritta del Parlamento sull’ACTA. All’epoca la Commissione aveva motivo di essere criticata, come lo è adesso, per la mancanza di trasparenza nei negoziati sia nei confronti dei membri di questo Parlamento sia nei confronti dei cittadini europei. Penso che, così come stanno le cose, i pareri precedenti del Parlamento siano adeguati e ho votato contro tutte le proposte di risoluzione. È importante che il Parlamento si assuma la propria responsabilità rispetto agli accordi internazionali con estrema serietà. La Commissione negozia e firma gli accordi. Il Parlamento ha il diritto di essere pienamente e immediatamente informato durante il processo e, dopo che la Commissione ha sottoscritto l’accordo, ha il diritto di approvarlo o respingerlo. È ragionevole che il Parlamento renda chiara la propria posizione, cosa che abbiamo fatto in molti modi, per garantire che la Commissioni non negozi accordi non sostenuti dal Parlamento. La proposta di risoluzione comune prevedeva che la Commissione presentasse una serie di analisi, molto dispendiose in termini di tempo, prima di firmare l’accordo, il che avrebbe corso il rischio di creare una situazione in cui altre parti avrebbero iniziato a dubitare del fatto che l’Europa sia realmente una parte seria con la quale stipulare accordi commerciali internazionali. Ciò avrebbe nuociuto alla possibilità per l’Europa di partecipare in futuro a negoziati su accordi internazionali di libero scambio.
Bogusław Sonik (PPE), per iscritto. – (PL) Ho avallato la proposta di risoluzione del Parlamento europeo sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) perché ritengo che nell’ambito della lotta alla pirateria sia necessario stabilire principi comuni per l’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale. Il problema della contraffazione dei prodotti e dell’uso non autorizzato della proprietà intellettuale di altri è ancora molto diffuso. La questione è particolarmente difficile nel caso della proprietà immateriale come il diritto d’autore su brevetti e opere musicali e letterarie e brevetti. L’ACTA sarà uno strumento valido per creare una piattaforma giuridica comune il cui obiettivo sarà la lotta alla contraffazione e alla pirateria.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. – (DE) Sono molto lieto che la relazione del gruppo PPE/ECR sia stata adottata. Di conseguenza, il lavoro demagogico, avvelenato, dell’opposizione non ha avuto scampo. Complimenti agli autori, al nostro coordinatore, onorevole Caspary, e all’intero gruppo per aver dato prova di unità in quest’occasione su tale tema importante.
Dominique Vlasto (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione del mio gruppo perché la lotta alla contraffazione è fondamentale e, per essere efficace, deve essere mondiale. La contraffazione è un’economia parallela in espansione, un’economia che consente il riciclaggio di denaro su vasta scala. Inoltre, le nostre industrie, già penalizzate in termini di esportazione dallo yuan e dalla debolezza del dollaro, non possono anche tollerare di vedere contraffazioni prodotte al di fuori dell’Unione competere in maniera sleale con i loro prodotti sul mercato interno. Questo furto organizzato a livello mondiale ha un grave impatto sulla creatività e l’innovazione, oltre che conseguenze disastrose sulla nostra occupazione e la sicurezza dei consumatori raggirati. Il nostro modello di sviluppo, incentrato com’è sull’economia della conoscenza, richiede la protezione sul piano internazionale del diritto fondamentale che è rappresentato dalla proprietà intellettuale. Questo voto apre dunque la via alla ratifica dell’Accordo commerciale anticontraffazione, che consentirà più agevolmente di adire le vie legali nei casi in cui sono stati violati diritti di proprietà intellettuale in uno degli Stati firmatari. In tal modo, stiamo ponendo le basi per una strategia multilaterale che proteggerà ciò che rende dinamico il nostro sviluppo economico: le nostre invenzioni, i nostri marchi e le nostre opere artistiche.
10. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 13.20, riprende alle 15.00)
Presidente. – Onorevoli colleghi, vorrei presentarvi brevemente la nostra firma legislativa del pacchetto sulla vigilanza finanziaria. Occorreranno pochi minuti. Il pacchetto costituirà le nostre attività di vigilanza finanziaria adottate secondo la procedura legislativa ordinaria.
Oggi stiamo legittimando un Consiglio europeo per il rischio sistemico che sarà responsabile della supervisione del sistema finanziario nell’Unione e contribuirà al regolare funzionamento del mercato interno.
In secondo luogo, stiamo stabilendo anche altre tre autorità di vigilanza europee per tutelare l’interesse pubblico, che sorveglieranno banche, titoli e mercati, nonché assicurazioni e regimi pensionistici professionali.
Infine, stiamo firmando una direttiva onnicomprensiva che modifica una serie di 11 direttive per allinearle al sistema europeo di vigilanza finanziaria e al trattato di Lisbona.
È stato compiuto uno sforzo enorme e vi è stata, a mio avviso, grande collaborazione tra le istituzioni europee. La procedura è stata molto rapida ed efficace. Le presidenze susseguitesi, quella spagnola e quella belga, sono state molto attive, e le ringrazio per la loro collaborazione. Attiva è stata anche la Commissione e la cooperazione è stata molto stretta. Ai membri del Parlamento europeo che restano in Aula mentre ci rechiamo ad apporre la firma e al Commissario dico: è un successo. Ringrazio la Commissione che è stata sempre così attiva in tutte le riunioni preparatorie e tutte le discussioni per l’impegno profuso.
Il nostro lavoro non è però concluso. Il pacchetto sul governo economico che presto discuteremo sarà anch’esso molto importante. Sappiamo bene che sta seguendo il nostro iter legislativo e speriamo che sia pronto quanto prima.
Che cosa posso aggiungere in conclusione? L’intero pacchetto che oggi firmiamo entrerà in vigore nell’Unione europea il 1° gennaio 2011, per cui prestissimo. Questa è un’informazione importante per tutti noi, per i mercati e i nostri cittadini, poiché lo scopo è quello di aiutare i nostri cittadini. Ora ci apprestiamo a firmare il pacchetto legislativo.
(Il Presidente firma gli atti unitamente a Olivier Chastel (Presidente in carica del Consiglio), Michel Barnier (Commissario), José Manuel García-Margallo y Marfil (relatore), Sylvie Goulard (relatrice), Antolín Sánchez Presedo (relatore) e Peter Skinner (relatore))
PRESIDENZA DELL’ON. PITTELLA Vicepresidente
12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Presidente. – L'ordine del giorno reca la relazione di Lena Kolarska-Bobińska, a nome della commissione per l'industria, la ricerca e l'energia, su "Verso una nuova strategia energetica per l'Europa 2011-2020" (2010/2108(INI) (A7-0313/2010).
Lena Kolarska-Bobińska, relatore. – (PL) Signor Presidente, signor Commissario, di recente abbiamo parlato molto dei cambiamenti istituzionali derivanti dal trattato di Lisbona, tra cui il Servizio per l’azione esterna e le procedure di intervento sul bilancio, ma il trattato di Lisbona fa anche riferimento alle politiche dell’Unione. Oggi stiamo discutendo la prima strategia per l’energia post-Lisbona, che la Commissione ha predisposto per il periodo 2011-2020.
Va sottolineato che sia la strategia della Commissione sia la relazione del Parlamento rispecchiano lo spirito del trattato di Lisbona, vale a dire ciò che afferma in merito alla solidarietà energetica e la sua preoccupazione per l’approvvigionamento e la sicurezza energetica. La strategia della Commissione e la relazione del Parlamento pongono inoltre l’enfasi sul rafforzamento della politica per l’energia e la necessità di renderla più tipicamente europea. Possiamo conseguire tale risultato adottando determinate misure.
In primo luogo, dobbiamo applicare rapidamente l’attuale normativa comunitaria sull’energia negli Stati membri. Appoggiamo pertanto pienamente la Commissione nell’adozione di misure rigide contro governi e aziende che omettono di agire in tale ambito. In secondo luogo, per conseguire i nostri obiettivi comuni, il mercato comune dell’energia deve funzionare correttamente. Ciò riguarda anche la necessità di costruire in Europa un mercato dell’energia rinnovabile. Per realizzare le nostre finalità, è dunque essenziale ampliare e ammodernare l’infrastruttura energetica europea transfrontaliera, iniziativa spesso contrastata dai monopoli e dai governi che li proteggono. Tuttavia, senza una rete europea, gli obiettivi fondamentali dell’Unione europea non saranno conseguiti.
Al riguardo, sussistono due principali ostacoli da superare: amministrazione e fondi. Sulle questioni amministrative, dobbiamo soprattutto stabilire priorità chiare e regole per la selezione dei progetti chiave. Senza questi criteri e norme chiare, la selezione dei progetti causerà molto conflitto e disaccordo creando sospetto anziché speranza. A livello nazionale, invece, sono essenziali misure normative, specialmente nell’ambito dei progetti transfrontalieri.
Passiamo ora al problema più importante, vale a dire il finanziamento dell’infrastruttura. Sappiamo quali tensioni attualmente accompagnino l’approvazione del bilancio del prossimo anno, ma tensioni anche maggiori interesseranno il quadro finanziario dopo il 2013. Tuttavia, la spesa che pianifichiamo deve rispecchiare gli obiettivi politici dell’Unione europea, e intendo la sicurezza energetica dei cittadini. Dovremo inoltre trovare nuovi modi per richiamare investimenti dalle aziende e dalle banche. Ne parliamo nella relazione.
Oggi la politica energetica è sempre più correlata alla politica estera dell’Unione europea. I nostri rapporti con partner esterni in campo energetico dovrebbero ispirarsi ai principi del mercato interno europeo. Le imprese straniere che accedono al mercato europeo devono operare in maniera trasparente e secondo la legge, oltre che essere gestite secondo accordi trasparenti. Ciò riguarda sia i gasdotti che si costruiranno in futuro sia quelli attualmente in fase di realizzazione.
Signor Commissario, apprezzo l’aiuto che lei ha dato alla Polonia nei nostri negoziati con la Russia sul gasdotto di Yamal. Vorrei però che interventi analoghi venissero intrapresi anche nel caso di altri gasdotti, tra cui Nord Stream. Sottolineerei infatti che la trasparenza deve applicarsi a tutti i progetti attuali e futuri, e non soltanto ad alcuni di essi.
In sintesi, signor Presidente, l’Unione ha bisogno di una visione a lungo termine per la politica energetica. Ci occorre una comunità europea dell’energia. Se la Commissione intende accelerare l’azione da parte delle aziende e degli Stati membri, anch’essa deve essere credibile e realmente porre in essere questa strategia eccellente, accompagnata da un pacchetto riguardante le infrastrutture. In futuro, il Parlamento europeo vorrà monitorare l’attuazione della strategia perché il suo intento è influire concretamente sulla situazione e non soltanto essere l’espressione di una pia illusione.
Infine, estremamente importante è l’atteggiamento degli Stati membri rispetto agli obiettivi contenuti nella strategia della Commissione europea e nella mia relazione. Saranno pronti a piegare gli interessi nazionali a favore del bene comune europeo? Si opporranno all’attività dei grandi gruppi di interesse e terranno conto della sicurezza e del bene dei consumatori? Noi, membri del Parlamento europeo, insistiamo su tale aspetto. Mi complimento con lei, signor Commissario, per la strategia energetica per il prossimo decennio.
Günther Oettinger, membro della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, vorrei esordire affermando quanto sia colpito dalla quantità e dalla qualità delle vostre idee, dei vostri commenti critici e dei contributi costruttivi rispetto a ciò che è stato presentato dalla Commissione come progetto di strategia in materia energetica per il periodo dal 2011 al 2020. Vorrei ringraziare l’onorevole Kolarska-Bobińska per la sua presentazione, per aver riunito i contributi dei colleghi in maniera intelligente e aver stabilito priorità, aspetto che personalmente reputo importante. Saremo lieti di includere la vostra relazione nel nostro lavoro delle prossime settimane perché le settimane che ci attendono saranno molto dense per quanto concerne la politica energetica. Il Consiglio “Energia” del 3 dicembre, seguito dall’opportunità unica per i capi di Stato e di governo di affrontare il tema dell’energia il 4 febbraio, imprimerà slancio ai nostri obiettivi comuni e all’europeizzazione della politica energetica. Per quanto mi concerne, il Parlamento è un partner fondamentale al riguardo.
La posizione dalla quale partiamo può considerarsi estremamente difficile. Abbiamo un mercato unico non ancora completo. Per 12 anni è stato legge per l’elettricità e il gas, ma non è diventato una realtà. Abbiamo più sottomercati e frontiere regionali e dobbiamo adoperarci al meglio per garantire che nei prossimi cinque anni il mercato unico possa anche realizzarsi per l’industria e i consumatori con l’obiettivo di una maggiore concorrenza e trasparenza.
In secondo luogo, mancano palesemente infrastrutture. Se analizziamo le fondamenta che esistono nel mercato unico per altri prodotti, beni e servizi (strade, ferrovie, vie aeree, aeroporti, mondo digitale, vie navigabili interne), ci rendiamo conto che siamo lontani da quanto occorre in termini di infrastrutture per il trasporto dell’energia, in particolare gas ed elettricità, al fine di rispondere agli obiettivi della nostra politica energetica europea, segnatamente migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento, la solidarietà, la concorrenza e gli interessi dei consumatori. Dobbiamo recuperare terreno nei prossimi due decenni rispetto a quanto è stato sviluppato negli ultimi due secoli nel caso dei collegamenti stradali e ferroviari e negli ultimi dieci anni nel caso del mondo digitale. Questo ha a che vedere con l’accettazione da parte dei cittadini e la trasparenza. Ci occorre trasparenza per ottenere una maggiore accettazione per lo sviluppo di infrastrutture per l’elettricità e il gas, come ci servono le risorse finanziarie appropriate, che devono essere fornite principalmente dai consumatori attraverso i prezzi dell’energia, ma che, laddove siano coinvolti interessi europei, sono anche una responsabilità pubblica del bilancio europeo.
In terzo luogo, disponiamo di un potenziale largamente inutilizzato nel campo dell’efficienza energetica. Chiunque come noi dipenda dalle importazioni e, al tempo stesso, intenda compiere progressi in termini di sostenibilità, salvaguardia del clima e protezione ambientale deve contrastare lo spreco di energia e farsi promotore di iniziative mirate in tale ambito, risparmio energetico e maggiore efficienza nel settore pubblico, industriale e privato. L’efficienza energetica sarà pertanto la prossima voce all’ordine del giorno per ambedue le nostre istituzioni. Attendo con grande interesse la relazione di iniziativa del Parlamento, pressoché ultimata, sulla cui base la prossima primavera presenteremo al pubblico, al Parlamento stesso e al Consiglio la nostra strategia per l’efficienza energetica.
Un altro elemento della nostra strategia è rappresentato dalla questione dell’energia economicamente accessibile. La presidenza belga giustamente sottolinea che l’elettricità in particolare può anche essere motivo di divisione nella società a causa del fatto che l’energia sta diventando più costosa e, pertanto, non più accessibile a tutti. Ciò significa che dobbiamo estendere la sicurezza dell’approvvigionamento nella nostra strategia per includervi l’ambito dell’energia economicamente accessibile per l’industria, l’occupazione e le famiglie. La ricerca è un altro aspetto importante. L’Europa non può prendersi cura di ogni cosa, ma la ricerca in campo energetico può essere motivo di interesse per il bilancio europeo nei prossimi anni e un partenariato tra autorità pubbliche e industria che conduce la ricerca.
Vi è poi la questione delle relazioni esterne, la dimensione esterna. L’onorevole Kolarska-Bobińska ha già richiamato la nostra attenzione su tale punto. Abbiamo bisogno di una strategia europea comune, coordinata nella nostra politica esterna per l’energia dove sono in gioco i principali interessi dell’Europa. Siamo ancora il più grande mercato dell’energia in termini di consumo, davanti a Cina e Stati Uniti. Se concentriamo il nostro potere di acquisto, le nostre strategie a livello di infrastrutture, avremo l’autorità. Se riproduciamo il vecchio principio divide et impera, per altri sarà più semplice contrastarci. Non vogliamo che questo accada. In tale ottica, vorrei ringraziarvi per i vostri contributi diversi e intelligenti e per la vostra relazione che mi guiderà nel mio costante lavoro sulla strategia che successivamente sottoporremo al Consiglio europeo.
(Applausi)
Pilar del Castillo Vera, a nome del gruppo PPE. – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei esordire complimentandomi con la relatrice che ha svolto un lavoro eccellente. La sua relazione è ovviamente tanto ambiziosa quanto completa e devo dire che è frutto di complessi e riusciti negoziati, sfociati nell’adozione pressoché unanime del documento da parte della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia.
Proseguendo sull’argomento, vorrei sottolineare un elemento del quale siamo tutti consapevoli, ma che giova ribadire: la situazione energetica in Europa non è propriamente ideale. Non solo dipendiamo sempre più da importazioni di energia proveniente dall’esterno dell’Europa, ma dobbiamo anche far fronte ai notevoli investimenti necessari nelle nostre infrastrutture energetiche in un momento in cui l’Europa sta ancora subendo le conseguenze della crisi, il tutto in un contesto in cui non siamo ancora riusciti ad applicare le nostre stesse normative in campo energetico.
Ora, in questo mandato parlamentare, disponiamo di uno strumento che nel precedente non esisteva. Il trattato di Lisbona non soltanto fornisce una serie di obiettivi chiari come il mercato interno dell’energia, la sicurezza dell’approvvigionamento, l’efficienza energetica e la promozione delle reti di energia, ma offre anche all’Unione europea un quadro giuridico e una solida base giuridica, l’articolo 194, per agire nell’ambito della politica energetica.
Nel nuovo contesto in cui teniamo l’odierno dibattito, chiedo a tutti i colleghi di appoggiare la relazione, che propone una serie di misure volte a garantire l’approvvigionamento energetico e la piena attuazione delle normative e dei programmi esistenti, sottolineando anche la necessità di investire nella ricerca, promuovere lo sviluppo di reti di energia paneuropee e attribuendo alla creazione del mercato interno dell’energia la priorità che merita.
Vi ringrazio sentitamente e chiedo a tutti voi di appoggiare la relazione domani.
Marita Ulvskog, a nome del gruppo S&D. – (SV) Signor Presidente, vorrei ringraziare la relatrice, onorevole Kolarska-Bobińska, per la collaborazione estremamente valida e aperta. In quanto socialdemocratica, per me era importante lavorare per ottenere una politica energetica e una strategia di approvvigionamento energetico che avesse una prospettiva chiaramente incentrata sul consumatore, assicurando anche la trasparenza del mercato del commercio dell’energia, e garantisse l’influenza della crisi climatica sulle nostre decisioni in tema di conversione a fonti e sistemi energetici rinnovabili, sostenibili e sicuri. Anche al riguardo abbiamo ottenuto un certo successo e me ne compiaccio. La formulazione relativa ai diritti dei consumatori è stata migliorata e resa più esplicita. Inoltre, proprio come afferma il Commissario, lo stesso è avvenuto per la formulazione del diritto di acquisto dell’energia a prezzi ragionevoli in maniera che le famiglie possano accedervi. Occorre fare qualcosa per affrontare la povertà energetica. È stata altresì chiarita la formulazione riguardante la questione del clima, anche se molto resta da fare in proposito.
Penso infine che sia importante indicare con precisione nella strategia la responsabilità degli Stati membri, per esempio rispetto al mix energetico. La più grande delusione è rappresentata dal fatto che la relazione non contiene obiettivi vincolanti a livello di risparmio energetico e aumento dell’efficienza: è deplorevole. Gli Stati membri probabilmente non raggiungeranno l’obiettivo del 20 per cento, che secondo i nostri standard è un gravissimo insuccesso perché il risparmio energetico è uno dei modi migliori per ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni, rafforzare la nostra competitività e creare posti di lavoro. Torneremo sull’argomento in Parlamento in un contesto diverso e allora speriamo di ottenere un forte sostegno dall’intera Aula e dalla Commissione.
Jens Rohde, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, in primo luogo, vorrei ringraziare l’onorevole Kolarska-Bobińska e complimentarmi con lei per l’eccellente relazione. Proseguirei ora con un breve aneddoto del mondo reale. Dieci anni fa, la Cina non produceva un solo generatore eoloelettrico; oggi è sede di una delle prime dieci società che producono energia eolica al mondo. Nell’arco di due anni, prevede di averne due tra le prime cinque al mondo. Dieci anni fa non esisteva nulla. Oggi la Cina rappresenta il 50 per cento della produzione mondiale di energia eolica. La Cina si muove e lo fa rapidamente.
In quest’ottica, mi dispiace dirlo, la nuova strategia energetica della Commissione è scoraggiante per la sua mancanza di ambizione rispetto a un futuro più verde. Abbiamo bisogno di una strategia energetica ambiziosa per l’Europa, non soltanto in una risoluzione della COP-16 che nessuno comunque legge. In Europa è necessario attuare obiettivi politici concreti e ambiziosi. “Al momento opportuno diventeremo ambiziosi” sembra essere l’orientamento del Consiglio e della Commissione. Orbene, questo è il momento opportuno e non possiamo attendere inerti un grande accordo internazionale vincolante prima di agire.
Affinché una strategia energetica dia risultati in termini di clima, crescita e occupazione, ci serve un approccio più ambizioso e basato sul mercato in maniera da poter trarre vantaggio dal meccanismo di mercato. È compito nostro creare una tendenza nel mercato, indicare ai pionieri dove vogliamo andare in maniera che ci conducano verso l’obiettivo. Per questo il gruppo ALDE chiede che l’Unione passi a un obiettivo di riduzione del CO2 del 30 per cento. Il mercato del carbonio, meccanismo principale per le nostre riduzioni del CO2 e gli investimenti ecologici, non funziona. È soffocato da quote e il prezzo è troppo basso, per cui non vi sono incentivi a investire nelle tecnologie verdi. Crediamo che l’Unione debba operare tale scelta nell’interesse della nostra crescita economica, del clima e della sicurezza energetica. Esorto dunque l’Europa e la Commissione a percorrere concretamente la via indicata a parole.
(Applausi)
Claude Turmes, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei porgere i miei personali ringraziamenti e quelli del mio gruppo per il lavoro svolto all’onorevole Kolarska-Bobińska e da tutti i relatori ombra. Non è stato forse facile riunirci come un gregge, ma lei è riuscita nell’intento.
Il mio primo messaggio è “attuare, attuare, attuare”. Non abbiamo bisogno di una nuova politica energetica. Dobbiamo dare attuazione al pacchetto sul clima, al terzo pacchetto sul mercato interno e alla sicurezza dell’approvvigionamento di gas. Dopodiché, dobbiamo aggiungervi politiche mirate. Si è parlato di efficienza energetica. Tale aspetto è fondamentale e attendiamo la relazione dell’onorevole Bendtsen, che approfondirà ulteriormente la questione.
Il mio secondo messaggio riguarda il mercato interno. Signor Commissario, penso che lei abbia svolto un lavoro eccellente per quanto concerne il pacchetto sulle infrastrutture, ma spero che non vi sia in un certo senso un rilassamento in tema di politica sulla concorrenza. Abbiamo ottenuto buoni risultati nell’ultimo quinquennio opponendoci al predominio del mercato e questo deve essere uno dei fulcri della nostra politica energetica europea.
Quanto alle fonti rinnovabili, la nostra relazione è molto più chiara, mentre la vostra strategia comunitaria, così come la strategia 2020 per l’energia, è molto vaga. L’onorevole Rohde ha ragione. Le fonti rinnovabili costituiranno in Europa il 70 per cento di tutti gli investimenti in campo energetico nel prossimo decennio. La tecnologia riguardante l’energia rinnovabile è il nostro più grande mercato di esportazione tra tutte le tecnologie energetiche. Non penso che diluire le fonti rinnovabili nella strategia UE 2020 invii il messaggio appropriato. Ci occorrerebbe un capitolo specifico per quelli che rappresenteranno i maggiori investimenti dei prossimi dieci anni.
Nella nostra relazione siamo anche molto più prudenti in merito alla riapertura del dibattito sui sistemi nazionali di adeguamento e altri sistemi. I governi vogliono regimi di sostegno nazionali e non dovremmo creare confusione in tale dibattito riaprendo l’altro.
In futuro, il gas sarà importante, come lo sarà il petrolio. Ho due domande concrete da porle. In primo luogo, vorrei chiederle come vede il mercato del gas nel settore elettrico per il prossimo decennio. In secondo luogo, in occasione della conferenza stampa, lei ha parlato molto chiaramente petrolio di picco e del rischio di arrivare a 200 dollari al barile, per cui le chiederei come questo si ricollega alla politica in materia di trasporti a livello di Commissione.
Konrad Szymański, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, vorrei ovviamente unire la mia voce ai ringraziamenti espressi alla relatrice per l’ottima collaborazione nella preparazione di questa difficilissima relazione, che sottolinea tutte le sfide più importanti con le quali la politica energetica europea si sta confrontando. Penso che soprattutto l’Unione debba affrontare le clausole antimercato contenute negli accordi con paesi terzi. Questo è uno dei maggiori ostacoli.
In particolare, la Russia impone restrizioni all’accesso ai gasdotti vietando anche la riesportazione, il che limita i diritti di proprietà delle aziende europee rispetto al gas già acquistato. È accaduto nel caso del contratto polacco, del quale il Commissario è a conoscenza. Lo scopo della politica russa è mantenere un monopolio sul mercato del gas il più a lungo possibile. Il monopolio di Gazprom nell’Europa centrale è mantenuto a spese del mercato comune, a spese della concorrenza e, in ultima analisi, a spese dei diritti dei consumatori. In tali circostanze, l’Unione deve reagire con grande risolutezza senza escludere il fattore diplomatico e il ruolo dell’Alto rappresentante per la politica estera, altrimenti la nostra reazione sarà giocoforza squilibrata.
La diplomazia dell’Unione in generale dovrebbe prestare maggiore attenzione alle questioni legate alle materie prime, tema che sta acquisendo maggiore importanza e rappresenta una sfida notevole per i nostri servizi, tenuto conto delle competenze nel campo della politica commerciale comunitaria. Nella nostra politica energetica, dovremmo sicuramente dare pieno sostegno alle tecnologie moderne, agli impianti di gas liquefatto, all’energia geotermica e al gas di scisto. Fintantoché non avremo garantito la sicurezza e la diversificazione dell’approvvigionamento di gas, non potremo permetterci di abbandonare troppo bruscamente il carbone, altrimenti non faremo che aumentare la nostra dipendenza dal gas, specialmente in Europa centrale, dove il carbone ancora svolge un ruolo estremamente importante.
Un’ultima osservazione conclusiva. Credo che si debba sottolineare un problema istituzionale. Tutti gli aspetti di cui l’onorevole Kolarska-Bobińska ha parlato nella sua relazione sono stati oggetto di attenzione inadeguata nella comunicazione della Commissione europea, che evidentemente è stata predisposta senza tener conto della posizione del Parlamento. È una circostanza tutt’altro che apprezzabile. Il processo si è svolto in maniera pessima. Non penso che dovremmo agire in questo modo.
Niki Tzavela, a nome del gruppo EFD. – (EL) Signor Presidente, vorrei complimentarmi con l’onorevole Kolarska-Bobińska per il notevole impegno profuso nel suo lavoro e i risultati conseguiti. Poiché abbiamo sentito esprimere molti obiettivi ambiziosi in questa sede, e l’amico e collega onorevole Turmes ha fatto ripetutamente riferimento all’applicazione, penso che dovremmo tutti complimentarci con la Commissione per la recente comunicazione pubblicata in novembre sui vari aspetti della strategia energetica. Questa è la prima strategia realistica sulla quale possiamo contare. La Commissione fa chiaramente e specificamente riferimento alle difficoltà definendole e suggerendo quali sono e dove vi è margine per attuare gli obiettivi che si siamo prefissati.
Signor Commissario, dato che ci ha presentato una politica energetica realistica, e lo apprezzo sinceramente, vorrei proporre una soluzione pratica e realistica per il progetto South Stream. Abbiamo due piccoli gasdotti: ITGI e TAP. Sono già pronti, a regime. Potete procedere. Nabucco è grande, e dunque complesso, per cui si possono accusare ritardi. Procedete quindi con i due piccoli gasdotti.
Dimitar Stoyanov (NI). – (BG) Signor Presidente, intendo dar voce al mio appoggio alla relazione stilata, specialmente all’ultima parte della relazione in cui si esorta a far sì che gli interessi dei cittadini prevalgano sulle argomentazioni politiche.
Il motivo? Un esempio semplicissimo. Attualmente si stanno sviluppando due importanti progetti: South Stream e Nabucco. Vi sono alcune fazioni radicali in Bulgaria secondo cui tali progetti sono reciprocamente incompatibili, come se si dovesse avere soltanto South Stream o Nabucco. Credo invece che la concorrenza tra i due sia l’unico modo possibile per garantire energia sicura e a basso costo ai cittadini europei.
Un altro aspetto estremamente importante che non deve in alcun caso essere sottovalutato, è l’energia nucleare e il suo sviluppo in relazione alla politicizzazione della questione. Sollevo tale punto perché la decisione di chiudere i reattori della centrale di Kozloduy in Bulgaria è stata politica. Anziché utilizzarli per generare miliardi di euro, che avrebbero potuto essere inglobati nel bilancio comunitario, ora gli Stati membri devono pagare un risarcimento per la decisione politica di chiudere detti reattori.
A parte questo, recentemente abbiamo osservato una certa isteria attorno alla questione delle centrali nucleari. Vorrei esortarvi a contrastare le organizzazioni di attivisti adottando misure imparziali per affrontare la questione, soprattutto perché non ci viene offerta alcuna alternativa. Il nucleare è di fatto l’opzione che può anche garantire energia sicura e a basso costo.
Herbert Reul (PPE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei ringraziare l’onorevole Kolarska-Bobińska per il suo lavoro intenso ed estremamente costruttivo. Poiché esprimo i miei ringraziamenti, vorrei anche manifestare sostegno alla relazione a differenza di alcuni miei colleghi che, pur elogiando il documento, tentano con alcuni emendamenti decisivi di apportarvi, domani, radicali modifiche in alcuni passaggi. Vorrei dunque ritornare sull’esortazione all’ambizione più volte espressa. Non so se quanto è stato affermato in proposito sia ambizioso o eccessivo.
Sono molto grato all’onorevole Kolarska-Bobińska per averci illustrato una politica realistica perché questo ci occorre in un momento di crisi economica e finanziaria. Non dobbiamo formulare nuovi sogni, bensì presentare proposte che ci consentano nell’arco di due, tre o quattro anni di dimostrare che abbiamo conseguito gli obiettivi prefissati.
Le sono altresì grato per aver fatto riferimento all’importanza del mix energetico e alla responsabilità degli Stati membri, i quali decideranno autonomamente ciò che desiderano. Non insisteremo sul fatto che esiste una sola prospettiva, quella delle energie rinnovabili. La prospettiva include energie rinnovabili, carbone, petrolio gas e nucleare, compresa la fusione nucleare. Sarei molto lieto se tutto ciò che l’onorevole Kolarska-Bobińska ha scritto, ottenendo il sostegno di un’ampia maggioranza, fosse effettivamente approvato.
La relatrice ha fatto riferimento alla questione della responsabilità finanziaria, alla necessità di sviluppare e creare infrastrutture, e lo ha fatto non semplicemente enunciandolo come richiesta e sostenendo che in qualche modo occorre reperire denaro per la sua attuazione. Ha anche sottolineato la responsabilità delle aziende.
Questo ci porta al mercato unico. In proposito, non abbiamo bisogno di chiedere un nuovo pacchetto e una nuova normativa. Dobbiamo invece chiedere attuazione, revisione e realismo, in maniera che anche gli standard che abbiamo definito vengano messi in pratica. Da ultimo, ma non meno importante, non dobbiamo semplicemente aggiungere nuovi elementi e, alla fine, sorprenderci quando i prezzi dell’energia sono così elevati che i cittadini non possono più permetterseli. È ambizioso o irresponsabile continuare ad aggiungere nuovi elementi, aumentare i costi e poi lamentarci per la povertà energetica che affligge i nostri cittadini?
Talvolta il dibattito si concentra unicamente sull’industria, ma nei prossimi mesi e nei prossimi anni inevitabilmente colpirà i cittadini con tutti i suoi effetti. In alcuni dibattiti, pertanto, vorrei che sin dall’inizio si considerasse quello che sarà l’esito finale.
Teresa Riera Madurell (S&D). – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto vorrei complimentarmi con l’onorevole Kolarska-Bobińska e il relatore ombra del mio gruppo, l’onorevole Ulvskog, come anche con tutti gli altri relatori, per l’eccellente lavoro svolto.
Vista la sua natura strategica, questa è una relazione molto complessa che affronta nel dettaglio i diversi aspetti della politica energetica comunitaria costruendo la strategia sulla base della notevole quantità di normative da noi adottate negli ultimi anni. Nel breve tempo concessomi, vorrei sottolineare due elementi importantissimi della relazione: le interconnessioni e la tassazione.
A questo punto, abbiamo bisogno con estrema urgenza di applicare risolutamente i meccanismi legislativi e finanziari a nostra disposizione per rafforzare i collegamenti deboli delle reti energetiche nei tempi dovuti, il che è estremamente importante.
Per quanto concerne la tassazione, credo che per svilupparsi a livelli di mercato, l’efficienza, il risparmio energetico e l’energia rinnovabile non abbiano bisogno soltanto di misure fiscali specifiche, bensì anche di incentivi fiscali sotto forma di detrazioni o esenzioni appropriate.
Lena Ek (ALDE). – (EN) Signor Presidente, abbiamo problemi enormi con il mercato dell’energia e la rete in Europa, per non parlare del fatto che la produzione energetica è fondamentalmente basata su fonti fossili. Se qualcuno ha detto “attuare, attuare, attuare”, personalmente direi “concentrare, concentrare, concentrare” e citerei qualche esempio.
Manca ancora il 50 per cento dei fondi per il piano SET. I nostri negoziati sul bilancio vanno in una direzione completamente diversa rispetto a questa strategia energetica. Abbiamo dovuto combattere, e mi scuso, non vorrei essere espulsa dall’Aula, come dannati per il piano europeo di ripresa economica, l’efficienza energetica e i combustibili alternativi. Per la ricerca abbiamo lo stesso problema.
Nella stessa settimana in cui stiamo discutendo quella che, lo ammetto, è in parte una strategia valida, signor Commissario, stiamo votando una relazione sulle sovvenzioni al carbone in cui si afferma che la Spagna sovvenziona il carbone su un mercato del carbone non concorrenziale con cifre dell’ordine di 50 000 euro per posto di lavoro, mentre la media corrisponde a 17 000 euro per posto di lavoro. Come possiamo essere competitivi e moderni se prendiamo decisioni di questo tenore? Così facendo, compromettiamo l’intera strategia.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Signor Presidente, l’esperienza degli anni passati, quando l’interruzione degli approvvigionamenti di gas dall’Ucraina e i blackout di elettricità generalizzati in diversi paesi dell’Unione hanno dimostrato che al nostro sistema energetico mancano le riserve necessarie per affrontare situazioni di crisi, ci conferma che qualunque soluzione richiederà notevoli investimenti. Pertanto, nel momento in cui decideremo le modifiche necessarie, dovremo procedere in maniera coordinata e prudente per sfruttare nella maniera più efficiente le risorse investite.
La relazione presentataci risponde a questa situazione in maniera estremamente completa, tenuto conto di tutti gli aspetti pratici che dovranno essere affrontati per risolvere i nostri problemi energetici. Ciò include tutto, dalle basi legislative alla distribuzione dei poteri passando per le norme commerciali, l’ammodernamento delle reti e le fonti di finanziamento.
Oltre alla necessità di garantire la sicurezza energetica e il sostegno alla ricerca e lo sviluppo, non si è neanche dimenticata la necessità di una maggiore efficienza energetica e dell’uso delle fonti rinnovabili. Con il suo approccio completo ed equilibrato, la relazione è, a mio parere, un valido punto di partenza per lavorare ulteriormente sul miglioramento del sistema energetico europeo.
Bendt Bendtsen (PPE). – (DA) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare la relatrice per il suo straordinario lavoro e la sua relazione estremamente equilibrata. Non vi è dubbio quanto al fatto che esiste un bisogno sempre più impellente di una nuova strategia energetica per l’Europa e anche le imprese europee non ne dubitano. Stiamo diventando sempre più dipendenti dal gas della Russia e dal petrolio del Medio Oriente. La strategia energetica è diventata sia parte della politica estera e di sicurezza dell’Europa sia una questione di sicurezza dell’approvvigionamento. Le nostre decisioni in Europa sono decisive per la nostra competitività. Occorrono notevoli investimenti in futuro per consentirci di raggiungere un mercato interno completo e coesivo, come vi è anche la necessità di investimenti massicci in efficienza energetica. Un centesimo risparmiato è un centesimo guadagnato. L’efficienza energetica è anche la maniera più economica di ridurre le emissioni di CO2.
Vorrei ringraziare il Commissario Oettinger per i suoi commenti odierni sull’efficienza energetica. Al riguardo, prescindendo dal fatto che gli obiettivi siano vincolanti o meno, mi compiaccio per la comunicazione della Commissione, che elenca un’ampia serie di ambiti in cui possiamo fare di più. Sono altresì aperto all’idea di conferire più potere alla Commissione per respingere i piani di azione nazionali se non sono adeguati per conseguire il nostro obiettivo del 20 per cento entro il 2020.
Inoltre, Stati Uniti e Cina stanno investendo notevolmente in settori che aumenteranno l’efficienza energetica. Siamo tutti consapevoli del fatto che in futuro il prezzo dell’energia salirà e l’Europa attualmente accusa una mancanza di competitività in un mondo globalizzato. Grazie a ingenti investimenti in efficienza energetica, infrastrutture, reti intelligenti e così via, dobbiamo dunque offrire alle nostre aziende l’opportunità di raggiungere una maggiore competitività, il che, tra le ricadute positive, porterà alla creazione di nuova occupazione e nuove imprese innovative in un’Europa che attualmente sta perdendo migliaia di posti di lavoro.
Ivari Padar (S&D). – (ET) Signor Presidente, mi complimento con la relatrice e i colleghi per questa riuscita relazione. La creazione di un mercato paneuropeo dell’energia è nell’interesse di tutti gli europei. Aprendo i mercati dell’energia, abbiamo però ignorato i temi della trasparenza del mercato e della completezza.
Mi preoccupa il fatto che, mentre le quote di emissioni di CO2, elettricità e gas stanno cambiando mano sui mercati, quote che valgono centinaia di miliardi di euro, permane un gap evidente in termini di vigilanza e normative. Apprezzo dunque l’iniziativa assunta dalla Commissione europea per colmare tale lacuna. Spero che la comunicazione della Commissione, che dovrebbe essere adottata a breve, si concentri sulla tutela del consumatore e definisca un chiaro quadro normativo paneuropeo con norme e definizioni inequivocabili per evitare abusi di informazioni privilegiate e manipolazioni di mercato e aumentare la liquidità del mercato.
Credo che l’ACER, l’autorità di vigilanza del mercato dell’energia dell’Unione europea istituita dal terzo pacchetto sul mercato interno, debba in ultima analisi vigilare sul commercio di elettricità, gas ed emissioni e suggerisco che la vigilanza di questi tre mercati sia affidata negli Stati membri a un’unità autorità di vigilanza.
Fiona Hall (ALDE). – (EN) Signor Presidente, mi compiaccio per il riferimento alla revisione in corso dell’impatto del cambio indiretto della destinazione dei suoli contenuto nella strategia 2020 per l’energia della Commissione. È fondamentale che la Commissione assolva l’obbligo di formulare una proposta al riguardo entro la fine dell’anno, sia per fugare la preoccupazione generalizzata presso il pubblico che alcuni biocombustibili attualmente presenti sul mercato possano non produrre una riduzione netta delle emissioni di gas a effetto serra, sia nell’interesse dell’industria che sta sviluppando processi innovativi il cui valore aggiunto merita di essere riconosciuto.
In merito alla questione della sicurezza energetica, vorrei anche chiedere alla Commissione di ripensare ai suoi commenti sull’armonizzazione dei regimi di sostegno nazionali per le fonti rinnovabili. Sono assolutamente favorevole all’azione a livello europeo nel momento in cui aggiunge valore, ma gli Stati membri solo di recente hanno presentato i propri piani di azione nazionali per l’energia rinnovabile e stanno lavorando per attuarli. Questa sarebbe un’armonizzazione troppo spinta.
Maria Da Graça Carvalho (PPE). – (PT) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei complimentarmi con la relatrice per l’eccellente lavoro svolto in merito all’odierna relazione. Il settore dell’energia è il volano della crescita economica. L’Europa dispone di una strategia per l’energia e la lotta al cambiamento climatico dal 2008. Attuare tale strategia è essenziale, ma il trattato di Lisbona ci consente di spingerci oltre, aprendo la via alla creazione di una vera e propria comunità dell’energia in Europa.
Dobbiamo approfondire il mercato interno dell’energia, costruire e forgiare collegamenti tra le reti, garantire solidarietà in campo energetico e porre il consumatore al centro delle nostre preoccupazioni. È necessario incrementare il finanziamento pubblico e potenziare lo sviluppo di strumenti e programmi per incoraggiare l’efficienza energetica. La ricerca scientifica e la tecnologia svolgono un ruolo cruciale per il conseguimento di tali obiettivi.
Alla luce di ciò, apprezzo l’avvio di varie iniziative industriali europee nel quadro del piano strategico europeo per le tecnologie energetiche ed esorto la Commissione a porre in essere le restanti misure enunciate nel piano. Anche l’ottavo programma quadro dovrebbe fare della ricerca e dello sviluppo di tecnologie innovative una sua priorità in campo energetico. È quindi fondamentale che vi siano fondi adeguati per supportare tecnologie pulite e sostenibili. Soltanto così saremo in grado di preservare la competitività della nostra industria, promuovere la crescita economica e creare posti di lavoro.
Kathleen Van Brempt (S&D). – (NL) Signor Presidente, la parola più ricorrente nell’odierno dibattito è giustamente “strategia”. Accogliamo dunque con favore la strategia della Commissione. La troviamo nondimeno un po’ deludente, signor Commissario, perché una strategia valida comporta lo svolgimento di un’adeguata valutazione, una valutazione dei problemi di approvvigionamento e, in particolare, dei problemi ecologici e anche dei problemi sociali. È sulla base di tale strategia che stabiliamo le priorità. Attribuisco grande importanza al termine “priorità” perché significa definire una sequenza di azioni. L’efficienza energetica è in cima a tali priorità. Lei ne ha parlato, ma perché, se riteniamo che l’efficienza energetica sia così importante, risulta tanto difficile stabilire gli obiettivi che intendiamo applicare nei nostri Stati membri? È importantissimo. Sappiamo che funziona ed è un modo per conseguire i risultati perseguiti. Chiederei pertanto al Commissario di fare realmente propria tale priorità e tenerla anche debitamente presente nei preparativi per l’importante vertice di febbraio.
Romana Jordan Cizelj (PPE). – (SL) Signor Presidente, signor Commissario, oggi stiamo decidendo il corso dello sviluppo energetico fino al 2020, ma tale arco temporale è troppo breve. Ci vogliono anni per creare strutture energetiche e renderle operative. Anche la costruzione di reti e centrali elettriche richiede tempo. Generalmente per realizzazioni del genere occorrono diversi decenni. Per questo gli investitori hanno bisogno di linee guida politiche ragionevolmente stabili per un lasso di tempo più lungo. Se vogliamo rispettare i nostri obiettivi per quanto concerne il cambiamento climatico e la sostenibilità energetica, dobbiamo sviluppare un quadro politico per un arco temporale molto più ampio. Abbiamo bisogno di un documento strategico per lo sviluppo energetico perlomeno fino al 2050.
Il nucleare sta diventando sempre più una delle fonti energetiche del futuro, ragion per cui sottolineerei tre compiti che, a mio parere, dobbiamo assolvere a livello europeo a tale riguardo. In primo luogo, dobbiamo assumere un’azione legislativa per garantire la messa fuori esercizio sicura delle centrali nucleari e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi nel rispetto del principio “chi inquina paga”.
In secondo luogo, dobbiamo assicurare con procedure efficaci e trasparenti che le nuove centrali nucleari siano costruite nel rispetto degli standard di sicurezza più elevati possibile. Tale risultato può essere ottenuto introducendo standard minimi per l’approvazione e la conferma della progettazione delle nuove centrali nucleari. È inoltre necessario prendere in esame la possibilità di autorizzare nuovi tipi di centrali nucleari in Europa, il che ci aiuterebbe a sfruttare il patrimonio di conoscenze acquisito e sosterrebbe i paesi che solo ora stanno introducendo l’energia nucleare e quelli che, di fatto, hanno organi amministrativi relativamente piccoli.
In terzo luogo, dobbiamo rendere più democratico il processo decisionale sui temi del nucleare. L’energia nucleare è soltanto una delle numerose fonti potenziali di energia e, pertanto, gli iter decisionali devono essere identici a quelli seguiti per il carbone, le energie rinnovabili, il gas e il petrolio. Il Parlamento europeo deve ottenere poteri di codecisione e per questo non occorre rivedere il trattato Euratom; basterebbe un accordo interistituzionale.
Adam Gierek (S&D). – (PL) Signor Presidente, l’energia rappresenta all’incirca il 40 per cento dei costi di produzione, mentre la manodopera ne rappresenta a malapena il 15 per cento. Tuttavia, l’ottenimento delle materie prime per la generazione di energia richiede di per sé energia. Pertanto, la competitività dell’economia dipenderà dall’energia. Il dogma riguardante l’effetto sul clima globale e la promozione della cosiddetta economica “senza carbonio” è un nonsense. Arenarsi su obiettivi vincolanti per il carbonio è un esempio di proposte socialmente ed economicamente irresponsabili, proprio come la tecnologia CCS imposta alle centrali a carbone. Perché non ad altri combustibili? Perché non è l’efficacia la forza trainante del progresso?
Mi corre l’obbligo di ammonirvi in merito allo scontento sociale di fronte all’emergente fenomeno della povertà energetica. Nei nuovi Stati membri, l’energia costituisce grossomodo il 40 per cento della spesa dei nuclei familiari. Va inoltre ricordata con preoccupazione la perdita di sicurezza energetica risultante dalle normative imposte, specialmente il pacchetto sul clima e sull’energia. Un’ultima osservazione: perché gli Stati membri non possono decidere autonomamente come ridurre le proprie emissioni di CO2 analogamente a quanto fanno per il mix energetico?
Lambert van Nistelrooij (PPE). – (NL) Signor Presidente, il nuovo trattato di Lisbona ha reso l’energia una responsabilità condivisa tra l’Unione europea e gli Stati membri. Il secondo pacchetto sull’energia, che attualmente costituisce la base di tale strategia, va palesemente integrato e la relazione fornisce una buona analisi al riguardo. Eppure occorre coinvolgere gli Stati membri e i loro interlocutori pubblici e privati. I programmi operativi in essere tra gli Stati membri e al loro interno stano diventando sempre più importanti. Sono stati definiti obiettivi percentuali sufficienti, sia per il clima sia per l’energia. Non vi è alcuna necessità di ulteriori obiettivi vincolanti. Come è già stato detto, è l’attuazione che conta, con la partecipazione dei cittadini, dei consumatori. Può anche darsi che la Commissione debba migliorare la propria valutazione di tali programmi nazionali e che le nostre risorse, eventualmente le eurobbligazioni, debbano esservi subordinate. Permane ancora un divario tra parole e atti. Il primo dei due punti focali è l’efficienza energetica: una grande opportunità, che contribuirebbe alla competitività delle nostre aziende e anche della nostra occupazione, per esempio nel settore dell’installazione e della costruzione. Basti guardare all’esempio di alcuni paesi: in Germania si sono create in tal modo decine di migliaia di posti di lavoro. Il secondo punto focale, come si è detto, è quello delle infrastrutture che collegano i paesi tra loro e al loro interno, nonché le reti intelligenti, ambito nel quale necessariamente entrano in gioco le eurobbligazioni. Vorrei porre una domanda al Commissario. si compiranno progressi in tema di eurobbligazioni in dicembre? Stiamo parlando di nuove risorse, perché ci occorre denaro, e vorrei che il Commissario ci dicesse se effettivamente intende reperire denaro attraverso tali strumenti. Azione, questo ci serve.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D). – (RO) Signor Presidente, la strategia energetica dell’Unione europea deve concentrarsi sull’efficienza energetica, la riduzione del consumo di energia primaria e la povertà energetica, oltre che sulla promozione delle fonti di energia rinnovabile e sulla sicurezza energetica dell’Unione. È tuttavia assolutamente fondamentale che la strategia energetica comunitaria sia anche collegata alla politica industriale, alla politica dei trasporti, alla politica in materia di ricerca e innovazione, nonché alla politica per combattere il cambiamento climatico.
Esortiamo la Commissione e gli Stati membri a sviluppare gli strumenti finanziari e fiscali necessari per l’efficienza energetica, specialmente nel settore della costruzione, e fare dell’efficienza energetica e delle infrastrutture energetiche intelligenti una priorità del futuro quadro finanziario pluriennale.
L’Unione deve attribuire maggiore importanza al partenariato orientale, soprattutto nella regione del mar Nero, che riveste un’importanza geopolitica particolare per la sicurezza energetica e la diversificazione delle vie di approvvigionamento energetico dell’Unione.
Esortiamo altresì la Commissione e gli Stati membri a proseguire la realizzazione del progetto di corridoio per il gas sud-europeo, specialmente il progetto Nabucco che potrebbe rafforzare notevolmente la sicurezza dell’approvvigionamento energetico.
Alajos Mészáros (PPE). – (HU) Signor Presidente, sia l’onorevole Kolarska-Bobińska sia il Commissario Oettinger meritano di essere elogiati per il lavoro svolto, che rappresenta un impegno realmente importante. A seguito del trattato di Lisbona, la strategia energetica dell’Unione sarà costruita su quattro nuovi pilastri: mercato unico dell’energia, sicurezza dell’approvvigionamento, efficienza energetica e interconnessione delle reti energetiche europee.
Delineando la nostra nuova strategia energetica, dobbiamo tenere presenti alcune sfide. Se i nostri approvvigionamenti di combustibili fossili stano progressivamente diminuendo, possiamo incrementare gli approvvigionamenti disponibili individuando nuovi siti di esplorazione di materie prime e profondendo maggiore impegno a livello di ricerca e sviluppo. La dipendenza dell’Europa dall’energia aumenta proporzionalmente all’aumento della sua popolazione. Entro il 2030, l’Europa sarà costretta a garantire il 65 per cento delle importazioni di energia da fonti non comunitarie. Per gli approvvigionamenti di gas naturale, tale cifra potrebbe raggiungere l’80 per cento. Dobbiamo puntare a una maggiore diversificazione delle vie di trasporto e delle fonti di acquisizione. La medesima importanza va attribuita alla ristrutturazione delle centrali elettriche attualmente in esercizio.
Non basta stanziare importi significativi per la messa fuori esercizio delle centrali elettriche ormai obsolete. Dobbiamo prestare anche attenzione alla loro manutenzione. Gli Stati membri devono procedere a un riesame complessivo della loro posizione sul nucleare. Parimenti devono proseguire i nostri sforzi nel campo dello sviluppo del nucleare, altrimenti non riusciremo a conseguire i nostri obiettivi in termini di cambiamento climatico, ambito nel quale comunque raccomando prudenza per garantire che i nostri piani ambiziosi non costituiscano una minaccia per la nostra competitività industriale e commerciale. In quest’ottica, possiamo contare su una relazione equilibrata contenente impegni che realisticamente possono essere onorati, una relazione che per questo sostengo.
Mario Pirillo (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, garantire un'energia sostenibile, sicura e accessibile rappresenta sicuramente una tra le maggiori sfide dell'Europa nei prossimi anni.
Gli obiettivi programmatici dell'Europa determinano una serie di azioni che non possono essere ignorate. La piena realizzazione del mercato interno dell'energia è un obiettivo che potrà essere raggiunto solo se la vigente legislazione relativa al pacchetto energia sarà applicata da tutti gli Stati membri.
Ritengo che per il pieno raggiungimento degli obiettivi della strategia non si possa prescindere dall'investimento in infrastrutture moderne e intelligenti e soprattutto nella ricerca e nell'utilizzo di energie rinnovabili. Proprio gli investimenti, oltre a rappresentare la soluzione economicamente più vantaggiosa per ridurre la dipendenza energetica dell'UE, contribuiranno a combattere il cambiamento climatico.
PRESIDENZA DELL’ON. LAMBRINIDIS Vicepresidente
Hannes Swoboda (S&D). – (DE) Signor Presidente, vorrei esprimere i miei sentiti ringraziamenti alla relatrice, ai relatori ombra e al Commissario Oettinger perché ciò che ha presentato negli ultimi giorni e nelle ultime settimane è fondamentale per lo sviluppo dell’Unione europea. Tuttavia, come l’onorevole Van Brempt, l’onorevole Turmes e altri, sono del parere che dobbiamo spingerci oltre in quanto, se così posso dire, una politica energetica sensata e ambientalmente solida è quasi come un veicolo di lancio per una crescita verde e un’occupazione verde.
Ne abbiamo ridiscusso ieri con il Presidente della Commissione. Purtroppo oggi poco è stato detto al riguardo. Nondimeno, dobbiamo compiere questi passi in più. Ovviamente tanto di ciò che una politica energetica orientata all’ambiente comporta è ancora molto costoso. Tuttavia, se consideriamo il beneficio ambientale e ciò che significa per l’industria europea svolgere un ruolo di guida, ci rendiamo conto che questo è anche molto importante per l’occupazione.
L’onorevole Reul ha ragione: abbiamo bisogno di molte fonti energetiche. Forse non tutte. Al riguardo, i nostri pareri differiscono su molti aspetti. Dobbiamo però sapere quale orientamento stiamo seguendo in tema di efficienza energetica, risparmio energetico ed energie rinnovabili, che sono i volani di un’economia europea orientata al futuro.
Petru Constantin Luhan (PPE). – (RO) Signor Presidente, la questione dell’energia è un’importante priorità che non possiamo permetterci di rinviare. È importante che il futuro piano di azione 2011-2020 dia un contributo sostanziale al rafforzamento della politica comune dell’Unione europea.
Abbiamo bisogno di una stretta collaborazione, specialmente nel campo delle infrastrutture energetiche, come anche di fondi comunitari adeguati. Penso che, oltre a reperire fondi pubblici e comunitari, per sviluppare infrastrutture strategiche nell’Unione, che comporteranno l’espansione e l’integrazione di tutti i mercati energetici, locali, regionali ed europeo, dobbiamo prestare maggiore attenzione al settore privato e agli investimenti che può offrirci.
Ritengo che una maniera valida per conseguire tale obiettivo consista nel promuovere partenariati pubblico-privato proponendo il necessario sostegno politico e amministrativo, un certo livello di finanziamento e alcune garanzie pubbliche. Questo ci aiuterà a ottenere con successo i fondi tanto essenziali per il futuro di qualunque politica energetica.
Arturs Krišjānis Kariņš (PPE). – (LV) Signor Presidente, signor Commissario, oggi vorrei soffermarmi brevemente sul benessere dei nostri cittadini e sulle isole. Generalmente le isole, con il loro sole, il loro calore, destano in noi pensieri gradevoli, essendo luoghi di vacanza ambiti. L’isolamento delle isole meridionali va addirittura a vantaggio dei loro abitanti poiché richiama i turisti. Tuttavia, parlando di energia, l’isolamento o lo stato insulare è particolarmente pregiudizievole per la popolazione. Questo è proprio ciò che non ci occorre. Perché? L’isolamento in campo energetico significa normalmente il predominio di un monopolio sul mercato e, per gli interessati, a sua volta significa incertezza dell’approvvigionamento e prezzi elevati. L’odierna relazione contiene la soluzione. Infrastrutture, infrastrutture, infrastrutture. Costruiamo interconnessioni nell’Unione europea per unirci tutti in maniera che i nostri cittadini possano beneficiare di prezzi accessibili e sicurezza dell’approvvigionamento. Vi ringrazio.
Francesco De Angelis (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio esprimere il mio apprezzamento per questa risoluzione, che rappresenta un ottimo lavoro per quattro motivi.
In primo luogo, ribadisce che l'efficienza e il risparmio energetico sono una priorità economicamente vantaggiosa per ridurre la dipendenza energetica dell'Europa e combattere il cambiamento climatico. In secondo luogo, pone l'accento sulle infrastrutture intelligenti. In terzo luogo, invita ad attuare pienamente la vigente legislazione europea. In quarto luogo, ambisce a realizzare una politica energetica con una dimensione internazionale forte e coerente.
Infine, voglio sottolineare l'importanza della sicurezza energetica e di investire nella ricerca, nello sviluppo e nell'innovazione per tutelare al meglio gli interessi dei consumatori, delle imprese e dei cittadini.
Zigmantas Balčytis (S&D). – (LT) Signor Presidente, realmente credo che tutti gli Stati membri dell’Unione europea ora siano di fronte al più difficile rompicapo per quanto concerne l’energia, per cui innanzi tutto ringrazierei sentitamente la relatrice e i relatori ombra per aver offerto a tutti noi, rappresentanti di tutti gli Stati membri, l’opportunità di formulare le nostre proposte e, grazie ad alcuni compromessi, ne è scaturito un ottimo documento. Ritengo anche che non sia così importante avere piani ambiziosi quanto lo sia avere piani concreti, vale a dire infrastrutture concrete, interconnessioni, una possibilità tangibile per i cittadini di scegliere il fornitore di energia dal quale approvvigionarsi e, ovviamente, un vero prezzo di mercato. Credo che se conseguiremo tale obiettivo, avremo raggiunto un risultato straordinario. Penso che il futuro dovremmo anche avere un maggiore controllo sugli interessi e i desideri degli Stati membri perché, se creiamo un mercato comune dell’energia, tali interessi vanno conciliati. Signor Commissario, vorrei infine ringraziarla per aver risposto con estrema tempestività alla firma di alcuni accordi e mi compiaccio per il fatto che il principio di solidarietà sia profondamente radicato a livello europeo.
Sonia Alfano (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho letto con attenzione la relazione e la valuto positivamente nel suo complesso. Sono rimasta però parecchio perplessa su una serie di riferimenti al futuro del carbone nella strategia europea, in particolare al paragrafo 52 in cui si chiede alla Commissione di elaborare disposizioni di legge per facilitare la costruzione di centrali elettriche a carbone.
Negli USA ormai già da alcuni anni si è avviato un movimento politico e di cittadini che ha di fatto portato a una sorta di moratoria sulla costruzione di centrali a carbone. Alla base di questa decisione, oltre alle emissioni di CO2, vi è il problema della gestione delle ceneri che contengono molte sostanze tossiche. Quindi non condivido affatto la difesa delle centrali a carbone e ricordo che il cosiddetto "carbone pulito" in molti casi è più uno slogan che una realtà.
Ho sentito inoltre alcuni colleghi difendere a spada tratta il nucleare, sia a livello di costi che di sicurezza. Chi dice così, purtroppo, dimostra di non conoscere di che cosa si sta parlando. Le alternative esistono, sono le rinnovabili, quelle vere, e l'Unione europea deve programmare il suo percorso per il prossimo decennio proprio in quella direzione.
Oreste Rossi (EFD). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione offre spunti di notevole interesse in quanto, partendo dal concetto basilare che deve essere l'Europa a dotarsi di politiche energetiche comuni, analizza in modo preciso metodi e tempi.
Intervenendo personalmente al Forum per le energie, organizzato dal Presidente Buzek tra i rappresentanti dei 27 paesi UE e il nostro Parlamento, ho espresso parere favorevole a un piano energetico comune che permetta pari condizioni di accesso all'energia per i privati e per le imprese, togliendo quindi quelle differenze di costi, anche notevoli, oggi esistenti.
Spiace che in una buona relazione siano stati inseriti gli ormai immancabili richiami alle responsabilità dell'Unione europea sulla lotta ai cambiamenti climatici. Su tale questione vi sono documenti specifici e ritengo pleonastico che per accontentare alcuni estremisti verdi si continuino a inserire richiami a questo argomento.
Per quanto ci riguarda, un secondo periodo di impegno ai sensi del Protocollo di Kyoto potrà avvenire solo in un quadro globale complessivo, coinvolgente tutte le principali economie e con un accordo giuridicamente vincolante.
Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE). – (LT) Signor Presidente, vorrei complimentarmi con la relatrice ed esprimere i miei ringraziamenti al Commissario che si sta dedicando con grande buona volontà alla strategia e alla politica energetica. Abbiamo obiettivi ambiziosi per arginare il cambiamento climatico. Per quanto concerne la salvaguardia dell’ambiente, l’energia può essere un’alleata, ma anche una nemica. Nell’Unione europea dipendiamo dai combustibili fossili, utilizzati per estrarre energia. Poiché le risorse comunitarie si stanno esaurendo, dipendiamo sempre più da paesi terzi, per cui non è importante soltanto sviluppare energia rinnovabile, ma anche investire nella ricerca per una maggiore efficienza energetica. Nella precedente tornata abbiamo discusso in merito all’assegnazione di ulteriore denaro per l’energia nel quadro del piano europeo di ripresa economica. Forse sarebbe anche appropriato poter stanziare denaro proveniente da altri meccanismi finanziari dell’Unione all’efficienza energetica nel suo complesso. L’energia rinnovabile è importante per noi non soltanto nell’ottica del cambiamento climatico, ma anche della sicurezza energetica. Gli accordi bilaterali sottoscritti da alcuni Stati membri per l’attuazione di progetti come Nord Stream creano sfiducia non soltanto rispetto ai temi ambientali, ma anche rispetto ai principi di solidarietà, per cui occorre trasparenza in tale ambito.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, a mio parere migliorare il potenziale di energia rinnovabile dell’Unione è uno degli elementi chiave della relazione. Per questo desidero ricordare che la regione di Dobrogea nella Romania sudorientale diventerà nello spazio di qualche anno il più grande parco eolico d’Europa. Nel 2011 sarà ultimata la costruzione delle 522 turbine che consentiranno alla regione di coprire il 50 per cento del consumo di energia nazionale.
Le infrastrutture sono un altro elemento fondamentale per un mercato dell’energia efficiente. L’Unione deve scegliere tra i progetti che dimostrano la propria efficienza e redditività economica. L’interconnessione AGRI, uno dei principali contributi della Romania allo sviluppo delle infrastrutture energetiche, comporta costi ridotti e offre un’alternativa.
La diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico è un imperativo anche nel settore del petrolio. L’oleodotto P8 ne è un valido esempio. Romania e Serbia hanno recentemente ripreso gli studi di fattibilità per la costruzione della prima sezione dell’oleodotto tra Constanţa e Pancevo.
Ioan Enciu (S&D). – (RO) Signor Presidente, la diversificazione delle fonti, nuove infrastrutture energetiche e un aumento della quota delle fonti di energia rinnovabile sono importanti per il futuro energetico dell’Unione europea. Nel contempo, tuttavia, non dobbiamo neanche smettere di sfruttare le vecchie fonti energetiche, che possono essere sicuramente migliorate impiegando tecnologie innovative in funzione delle possibilità e delle esigenze di ciascuno Stato membro.
In proposito, però, il fattore più importante per me, così come per i cittadini che rappresento, è la necessità di mantenere un prezzo accessibile per tutti i consumatori, nonché preservare e persino creare nuovi posti di lavoro in tale ambito.
Non dobbiamo finire in una situazione in cui vi è un’eccedenza di energia disponibile sul mercato europeo dell’energia perché non sarà acquistata a causa dei prezzi elevati.
Kyriakos Mavronikolas (S&D). – (EL) Signor Presidente, mi sento autorizzato a ritenere che, a seguito del trattato di Lisbona, il Parlamento europeo ovviamente potrà dare un contributo molto più consistente alla politica energetica.
Concordo con tutto ciò che la relatrice ha asserito e vorrei sottolineare il fatto che oggigiorno la politica energetica ha molto più a che fare, direttamente e indirettamente, con la politica esterna in generale, sia degli Stati membri sia della stessa Unione. Converrei nell’affermare che oggi è necessario eseguire le opere indispensabili, quelle infrastrutturali, così come abbiamo bisogno di regolamenti che disciplino le modalità di esecuzione degli accordi.
Oggi chiediamo contratti chiari, trasparenza e riferimenti specifici alle fonti rinnovabili. Ciò che vediamo dinanzi a noi, però, signor Commissario, è fondamentalmente l’esigenza di un mercato comune dell’energia che aiuterebbe in particolare i piccoli Stati insulari dell’Unione in modo che, in un grande mercato, si possa affrontare l’importante tema dell’energia con trasparenza.
Nick Griffin (NI). – (EN) Signor Presidente, vorrei dire al Commissario che la relazione sulla nuova strategia energetica ignora l’elefante nel soggiorno: il petrolio di picco. Perlomeno, però, la Commissione si è alla fine accorta di questa enorme minaccia incombente. Nel momento in cui si riconosce il petrolio di picco, ahimè la maggior parte di questa relazione sicuramente animata da buone intenzioni diventa combustibile per inceneritori.
Il profondo divario energetico che viene a crearsi non può essere in alcun modo colmato da fantasiosi scisti carboniosi o energie rinnovabili. Carbone, fusione nucleare e, a lungo termine, fusione e fissione nucleare sono le uniche fonti di energia abbastanza consistenti per salvarci quando finirà l’era del petrolio.
Signor Commissario, ora che abbiamo riconosciuto tale elemento, possiamo guardare avanti individuando un nuovo approccio serio all’energia? Dobbiamo disfarci di tutte le argomentazioni insensate sulle reti eoliche e il riscaldamento globale e concentrarci sulle vere soluzioni scientifiche alla crisi del petrolio di picco.
Günther Oettinger, membro della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, in questa sede ci siamo addentrati nella discussione e, se analizzo gli aspetti sui quali i vostri interventi si sono concentrati, mi rendo conto che nell’Unione europea, negli Stati membri e anche in Parlamento abbiamo un ampio mix energetico. Ho sentito parlare di tutto, dalle energie rinnovabili al 100 per cento alla fusione nucleare, all’energia nucleare e al carbone. Ciò significa che il punto caldo sarà: saranno d’accordo su una strategia a lungo termine? Otterremo il consenso in Europa? Se lo otterremo, quale consenso sarà?
Attualmente stiamo lavorando sulla strategia che comprende tre obiettivi: 20 per cento di energie rinnovabili, 20 per cento di riduzione del CO2 e 20 per cento di aumento dell’efficienza. Questa è la strategia per il prossimo decennio. È giusto dire che abbiamo bisogno di una strategia a lungo termine. La roadmap che vi presenteremo come progetto di massima la prossima primavera la fornirà. Con tale roadmap intendiamo nel prossimo anno analizzare con il Parlamento e gli Stati membri i prossimi quattro decenni presentando previsioni sul fabbisogno di energia, il mix energetico, gli obiettivi ambientali e la sicurezza dell’approvvigionamento per quattro decenni. L’impresa è tutt’altro che facile. Immaginate per un istante di essere nel 1970 prima della crisi petrolifera, prima della caduta del muro di Berlino, soltanto con pochi Stati membri, e di dover usare le conoscenze che avevamo nel 1970 per far luce sul 2010 e sull’attuale situazione energetica. Le nostre stime sarebbero completamente errate. Sappiamo quali capacità tecniche emergeranno nei prossimi 40 anni? Quali nuovi interessi politici avranno gli Stati membri? Sono nondimeno favorevole al tentativo di produrre la roadmap per il 2050.
È stata poi posta la questione del motivo per il quale abbiamo bisogno di obiettivi vincolanti per la riduzione del CO2 e del motivo per il quale gli Stati membri non possano farlo. La risposta è semplicemente perché questo è quanto abbiamo deciso. Concordo con una riduzione del CO2 del 20 o anche del 30 per cento se troviamo altri partner nel mondo. È una decisione del Parlamento, al quale voi appartenete, e del Consiglio. La Commissione la attua. Se desiderate qualcosa di diverso, ditemelo. Credo che se non vi fossero obiettivi vincolanti, gli Stati membri semplicemente non li rispetterebbero. Abbandonando gli obiettivi vincolanti, gli Stati membri farebbero meno o nulla, soprattutto in momenti economici difficili.
Si è parlato del tema dell’efficienza energetica. Nella nostra strategia stiamo soltanto indicando i temi a grandi linee. I dettagli della concreta attuazione, così come gli strumenti, le misure e il corridoio finanziario, seguiranno in primavera, quando dovremo presentare la strategia per l’efficienza energetica che state attualmente discutendo.
Sono state poste domande in merito al mercato interno Abbiate fiducia in me e nel Commissario Almunia. Garantiremo il pieno rispetto del secondo e del terzo pacchetto riguardante il mercato interno, affronteremo le procedure per violazione del trattato e faremo quanto in nostro potere per garantire che nei prossimi cinque anni gas ed elettricità ottengano un mercato interno caratterizzato da concorrenza e trasparenza. Nelle ultime settimane abbiamo fornito consulenza agli Stati membri, al governo polacco sul caso Yamal e al governo bulgaro sul caso South Stream, in merito agli approvvigionamenti di gas alla Bulgaria. Gli Stati membri, infatti, non sono sempre disposti o in grado di assicurare essi stessi il rispetto del mercato interno nei loro accordi bilaterali. Quando ci viene richiesta una consulenza, la forniamo, ma occorre anche il coinvolgimento degli Stati membri. Vi sono inoltre grandi Stati membri in cui il mercato interno non funziona. Un paese non è lontano da qui e forse lo stesso vale proprio il paese nel quale ora ci troviamo. Chiederei dunque ai parlamentari francesi: siete disposti a lavorare con me per creare un mercato interno in Francia e altrove? Ho bisogno del vostro sostegno per farlo, non a livello nazionale, bensì a livello europeo.
Quanto al corridoio meridionale, la decisione in merito a Nabucco, TAP o ITGI sarà presa, ritengo, nel primo trimestre del prossimo anno. Tuttavia, un’infrastruttura per il gas ci impone di discutere la questione di quanto gas ci occorrerà per la conversione dell’elettricità e il riscaldamento nei prossimi decenni. Attualmente si tratta di 500 miliardi di metri cubi all’anno. Il fabbisogno sarà inferiore o superiore? Anche tale aspetto sarà affrontato nella roadmap per il 2050.
L’onorevole Rohde ha citato l’esempio della Cina. A mio parere, la Cina è sempre un buon metro di paragone, ma preferibilmente non un esempio da seguire. Avete ragione nel dire che in Cina sono stati effettuati ingenti investimenti nell’energia eolica. È vero, ma avete omesso di citare il fatto che la Cina sta attualmente si sta impossessando del carbone del mondo e sta investendo molto di più nel carbone. Nell’ultimo anno, la Cina ha investito in energie rinnovabili più di quanto abbia fatto la Germania. È innegabile. Nondimeno, la quota di energie rinnovabili prodotta in Cina sta calando perché molto di più viene investito in nucleare e carbone. Inoltre, la Cina fa riferimento al nucleare come forma di energia rinnovabile. Con questo non concordo. Di conseguenza, è importante paragonarsi alla Cina, ma vi ammonisco seriamente dal prendere la Cina a esempio da seguire nel nostro lavoro europeo.
Vi ringrazio nuovamente. Avrò bisogno di voi anche per quel che riguarda il bilancio europeo. Si è chiesto che venga fatto di più e siano fornite più risorse per la ricerca e le infrastrutture. Sono d’accordo. Prendo ogni euro che mi date, ma il bilancio viene deciso dal Consiglio e dal Parlamento. Sulla base dell’esperienza positiva con il piano SET, i fondi per la ricerca in campo energetico e il piano di ripresa economica, confido nel fatto che elaboreremo una proposta valida per le infrastrutture e la sosterrete in modo che, nel prossimo decennio, siano messi a disposizione fondi europei sufficienti con valore aggiunto per misure europee appropriate nel campo delle infrastrutture e della ricerca. Con questa idea in mente, avremo sicuramente idonee opportunità di collaborare in maniera costruttiva.
Lena Kolarska-Bobińska, relatore. – (PL) Signor Presidente, come possiamo vedere, gli argomenti di discussione e i pareri espressi dal Parlamento europeo sono molto vari e diversi. Questa relazione è dunque frutto del compromesso che abbiamo ricercato. Ritengo che sia un’ottima relazione perché abbiamo costruito un consenso.
Vorrei esprimere i miei ringraziamenti ai relatori ombra, onorevoli Ulvskog, Rohde, Turmes, Szymański e altri, per il fatto che abbiamo costruito tale consenso in maniera così proficua. Vorrei altresì ringraziare l’onorevole Castillo Vera per la collaborazione, l’aiuto e il sostegno, l’onorevole Toth del gruppo PPE per l’assistenza, come anche l’onorevole Hillman e il Commissario con i suoi collaboratori, che hanno risposto alle mie numerose domande e reagito alle mie varie idee.
Oggi, a Bruxelles, è in corso una battaglia tra i sostenitori dell’idea dell’intergovernalismo e coloro che voglio agire sulla base del principio di solidarietà. Sia il Parlamento europeo sia la Commissione devono confrontarsi con l’esigenza di garantire che la solidarietà comunque prevalga sui singoli interessi nazionali nelle future riunioni del Consiglio europee. Abbiamo elaborato un certo consenso. Abbiamo una strategia e, come ha detto l’onorevole Turmes, alla luce di questo dobbiamo attuarla, attuarla e ancora attuarla difendendoci dai vari interessi personali.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione avrà luogo domani, giovedì, 25 novembre, alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 149)
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Credo che questa nuova strategia energetica sia indispensabile per porre in essere una strategia competitiva, sostenibile e sicura. In un momento in cui l’Europa è ancora più dipendente dalle importazioni energetiche, ritengo essenziale che continui a svolgere il proprio ruolo dominante di guida nelle questioni energetiche concentrandosi sull’innovazione e la tecnologia. Per rendere la nostra strategia energetica più sostenibile, sarà necessario continuare a concentrarsi sull’energia rinnovabile attraverso l’introduzione di una maggiore concorrenza nel settore in maniera da poter effettivamente realizzare il mercato interno dell’energia. Ciò porterà a una riduzione di costi e un aumento di competitività per l’economia, oltre a creare ricchezza e occupazione, che sono importanti per un equilibrio sano del commercio. Provengo da una regione periferica che attualmente ha un livello di autosufficienza energetica all’incirca del 27 per cento e punta a raggiungere il 75 per cento entro il 2012. Le Azzorre si sono prefissate obiettivi specifici più ambiziosi dell’Unione con risultati già riconosciuti a livello europeo, specialmente per quel che riguarda l’energia geotermica, attraverso una politica energetica ambiziosa di partenariati tra la regione e i migliori centri di ricerca nazionali e internazionali. L’Unione dovrebbe ispirarsi a questi esempi e rafforzare il proprio sostegno nel campo della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo di progetti.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) È giunto il momento per noi di parlare di una vera e propria strategia energetica europea. Vi sono attualmente lacune nell’attuazione della normativa comunitaria in materia di energia. Le disposizioni del trattato di Lisbona forniscono all’Unione europea un solido quadro giuridico per sviluppare un mercato unico interno efficiente, che garantirà la sicurezza dell’approvvigionamento, la sostenibilità, l’interconnessione delle reti e la solidarietà. In tale contesto, i nuovi Stati membri, molto più vulnerabili alle perturbazioni esterne nell’approvvigionamento energetico, hanno bisogno del sostegno dell’Unione europea per raccogliere tali sfide.
Vorrei inoltre esortarvi a mantenere aperta la possibilità che le miniere di carbone siano sovvenzionate dagli Stati membri, perlomeno fino al 2018. In un mondo capitalista, il termine “non concorrenziale” è sinonimo di flagello sociale. Dobbiamo tener conto del fattore umano e pensare alle ripercussioni socioeconomiche negative della chiusura delle miniere di carbone, che costituiscono una fonte importante di posti di lavoro, prima di definire non concorrenziale una miniera.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’odierna relazione cerca di dare il proprio apporto a un nuovo piano di azione per l’energia nell’ambito della strategia Europa 2020. In linea di principio, un nuovo piano può rivelarsi un’iniziativa importante, sempre che si comprendano gli errori e le lacune dei piani precedenti. È inutile insistere sullo stesso approprio e le medesime proposte che non ci hanno permesso di procedere verso gli obiettivi che intendevamo perseguire.
Le carenze strategiche della politica energetica europea che dovrebbero essere tenute presenti riguardano anche i seguenti aspetti.
La politica energetica è stata concepita come corollario di una politica “ambientale” il cui scopo ultimo è aprire nuovi ambiti alla speculazione finanziaria rendendo redditizi i permessi relativi alle emissioni di gas a effetto serra. Il tema dell’energia merita invece un approccio personalizzato, basato sul miglioramento di indicatori specifici come l’intensità energetica o il deficit energetico.
Nel campo dell’energia, si presume anche che realizzando mercati dove operano investitori privati tutto sarà risolto per magia. Tre pacchetti normativi successivi sono già stati predisposti, sono state spese risorse pubbliche e ancora non abbiamo mercati competitivi, investimenti in infrastrutture o energia più accessibile per i consumatori. Ciò rappresenta un insuccesso sotto tutti gli aspetti rispetto agli obiettivi dichiarati.
L’argomentazione secondo cui i biocombustibili comporterebbero soltanto benefici ambientali e assicurerebbero un importante sviluppo agricolo e industriale ai paesi europei è crollata.
András Gyürk (PPE), per iscritto. – (HU) Mi compiaccio nel vedere che vi è un impegno sempre più forte in Europa per realizzare un mercato unico dell’energia. Ciò è eloquentemente dimostrato dal fatto che sia la relazione dell’onorevole Kolarska-Bobińska sia l’ultima strategia energetica e le priorità a livello infrastrutturale della Commissione europea richiedono cambiamenti strutturali. Stiamo finalmente iniziando a vedere che un successo degno di nota richiede investimenti significativi, piani di azione concreti e l’eliminazione degli oneri amministrativi. Questa è l’unica possibilità affinché gli Stati membri conseguano i principali obiettivi del trattato di Lisbona: mercato unico, sicurezza dell’approvvigionamento, efficienza energetica ed espansione delle fonti rinnovabili.
È, a mio parere, un passo fondamentale il fatto che i documenti prima citati considerino urgentemente prioritari gli sforzi di sviluppo in Europa centrale e orientale. La crisi del gas dello scorso anno ha reso evidente ai paesi occidentali che gli Stati membri nella nostra regione dipendono notevolmente da una sola fonte di approvvigionamento, confermando che in tale ambito il mercato unico non funziona. L’Europa si è resa conto che l’accesso a fonti di gas alternative, la creazione del corridoio nord-sud per il gas e l’eliminazione dei mercati isolati aumentano la sicurezza dell’approvvigionamento regionale consentendo anche di compiere un passo significativo verso l’ottenimento di un mercato unico.
Nel contempo, il potenziamento delle reti elettriche e l’interconnessione regionale degli oleodotti migliorano anch’essi la flessibilità della nostra regione. Il livello di impegno, tuttavia, non può fermarsi alla sola creazione di una strategia. Confido nel fatto che presto vengano operati cambiamenti strutturali a sostegno dell’efficiente realizzazione di un mercato unico e si introduca un processo rapido e trasparente per la concessione di licenze, si creino iniziative regionali e si fornisca accesso a nuovi strumenti di finanziamento.
Tunne Kelam (PPE), per iscritto. – (EN) Dopo diverse drammatiche esperienze con gli approvvigionamenti energetici, è diventato chiaro che l’energia è un fattore determinante per la sicurezza dell’Unione. Il bisogno di una visione strategica a lungo termine per l’energia è evidente. La nuova strategia energetica proposta intende rispondere a tale esigenza. In primo luogo, l’Europa ha bisogno di un mercato interno dell’energia coerente e armonizzato, che deve integrare diverse reti energetiche collegandole le une alle altre. Questa è una priorità assoluta per la stabilità e la sicurezza dell’Unione. Oggi vi sono ancora regioni isolate dell’Unione che dipendono quasi totalmente dagli approvvigionamenti esterni di energia. Nel caso del gas importato, ciò avviene, per esempio, per i tre Stati membri baltici che dipendono dalle esportazioni di gas russo, usate da Mosca come strumento di politica estera. Il risultato è che le nazioni baltiche, immediatamente confinanti con la Russia, pagano il 30 per cento di più della Germania per lo stesso gas russo. La nuova strategia per il mar Baltico dovrebbe essere intesa a sviluppare reti integrate attorno al Baltico. Appoggio lo stanziamento di una quota superiore del bilancio per la politica energetica comune. Lo sviluppo di infrastrutture energetiche moderne ed efficienti richiederà investimenti prioritari. Migliorare l’efficienza energetica significa investire di più nella ricerca e nello sviluppo, nonché in nuove tecnologiche energetiche.
Marian-Jean Marinescu (PPE), per iscritto. – (RO) La strategia energetica proposta deve promuovere a lungo termine una combinazione diversificata di fonti energetiche, tra cui non solo le fonti di energia rinnovabile, ma anche il nucleare. Tale strategia non sarà tuttavia sostenibile fintantoché non si potenzierà la rete di trasmissione in maniera che possa sostenere l’integrazione del mercato e lo sviluppo di una produzione di energia sostenibile su larga scala.
Inoltre, di fondamentale importanza è il consolidamento delle interconnessioni e dei collegamenti con i paesi terzi. Le reti di distribuzione devono essere urgentemente ampliate e ammodernate per poter integrare i casi sempre più frequenti di produzione distribuita. Superfluo aggiungere che l’integrazione del mercato richiede anche un miglior uso delle reti operative esistenti sulla base dell’armonizzazione transfrontaliera della struttura di mercato e sviluppando modelli europei comuni per la gestione delle interconnessioni. Da ultimo, ma non meno importante, un altro fattore decisivo è la creazione di una rete comunitaria “intelligente” in grado di gestire, distribuire e misurare in tempo reale tutti i diversi modelli di produzione e consumo per garantire il funzionamento sicuro ed efficiente del futuro sistema elettrico.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Vorrei esprimere il mio apprezzamento per questa relazione, specialmente i riferimenti allo sviluppo del potenziale del settore della bioenergia. Le potenzialità di tale comparto in Europa sono attualmente non sfruttate. Un elemento rilevante in tale contesto è rappresentato dal fatto che alcuni Stati membri si stanno confrontando con una situazione in cui ampie aree di suolo agricolo vengono lasciate incolte ogni anno. Anche questo suolo abbandonato potrebbe essere utilizzato in un’ottica di energia rinnovabile. La situazione in Romania, quella che conosco meglio, fornisce un chiaro esempio in tal senso: circa 3 milioni di ettari di terra restano inutilizzati, mentre la potenza persa nell’intera area è pari grossomodo a 187 terawatt all’ora. Credo che tale aspetto debba essere considerato nelle discussioni sul futuro della politica agricola comune. La richiesta formulata alla Commissione di proporre un quadro politico e sostenere l’ulteriore promozione dell’introduzione di biocombustibili sostenibili di seconda generazione in Europa giunge al momento opportuno e spero che sia accolta dall’Unione.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Ottenere energia è una delle sfide più importanti con le quali il mondo oggi deve confrontarsi. Molto tempo fa, l’Unione europea appoggiava una politica che prevedeva l’ottenimento di energia mediante l’uso di tecnologie con basse emissioni di CO2. Il riconoscimento di questa idea come obiettivo strategico da parte della relatrice non sorprende e ha il mio pieno sostegno. Il secondo obiettivo strategico, garantire la sicurezza energetica a tutti gli Stati membri, gode anch’esso del mio appoggio incondizionato. La relatrice collega tale obiettivo all’instaurazione di un’economia a basse emissioni. La questione è particolarmente importante per la Polonia. Non è un segreto che la sicurezza energetica della Polonia si basa sul carbone. Pertanto, per conseguire tale obiettivo in maniera efficace, è fondamentale poter contare su un forte sostegno finanziario da parte dell’Unione. La Polonia, come molti altri Stati membri, riconosce l’esigenza di creare un’economia a basse emissioni, ma non è comunque in grado di raggiungere tale obiettivo senza l’aiuto dell’Europa. Vorrei infine esprimere soddisfazione per il riconoscimento da parte della relatrice della necessità di garantire energia per i cittadini a prezzi accessibili come uno degli obiettivi strategici della nuova strategia energetica per l’Europa. Accettando i tre principali obiettivi strategici per la nuova strategia energetica per l’Europa, vorrei enfaticamente manifestare il mio sostegno alla proposta di risoluzione su una nuova strategia energetica europea per il periodo 2011-2020.
Indrek Tarand (Verts/ALE), per iscritto. – (SV) Sono molto lieto che oggi ci venga nuovamente offerta la possibilità di discutere attivamente in Parlamento temi riguardanti la sicurezza energetica. Fughiamo ogni equivoco: questo argomento è delicato tanto quanto quello del gas. Negli ultimi anni, l’Unione europea nel suo complesso ha visto aumentare la propria dipendenza dagli approvvigionamenti energetici provenienti da determinati paesi terzi. Sussiste un rischio intrinseco nel mercato, non solo legato all’aspetto economico, ma derivante anche dall’assenza di diritti democratici e umani e dal coinvolgimento di società a cui difettano principi sani nella conduzione dell’attività. Purtroppo dobbiamo riconoscere che la relazione dell’onorevole Kolarska-Bobińska, relazione eccellente, viene discussa e votata un po’ tardivamente. La Commissione europea ha già pubblicato il 10 novembre la sua strategia energetica per l’Europa per il periodo 2011-2020, per cui è verosimilmente troppo tardi perché questa relazione abbia una qualche incidenza sulla strategia. A ogni modo, meglio tardi che mai. Aggiungerò pertanto agli odierni pareri il fatto che la Francia ha deciso di vendere una nave da guerra Mistral alla Russia. Immaginiamo che rimpianga amaramente tale decisione.
Zbigniew Ziobro (ECR), per iscritto. – (PL) Nella proposta di risoluzione presentata mancano ancora riferimenti espliciti a due aspetti importanti. Il primo è il sostegno finanziario del bilancio dell’Unione nella ricerca di fonti di combustibile alternative come il gas di scisto. L’uso del gas di scisto ora ha consentito agli Stati Uniti di garantirsi l’indipendenza in termini di approvvigionamento energetico. Esperti e geologici segnalano che anche per l’Unione europea si starebbe profilando una possibilità analoga di autonomia energetica. Ritengo importante modificare la politica dell’Unione al riguardo in maniera che sostenga l’esplorazione e l’uso del gas di scisto. È altresì importante garantire sostegno finanziario alle istituzioni coinvolte nello sviluppo di tecnologie per l’estrazione e il trasporto di gas di scisto, compreso l’uso del CO2 nel processo di frantumazione degli scisti. Il secondo aspetto è l’assenza di un riferimento esplicito a specifici investimenti in progetti di trasmissione dei combustibili. Questo è un altro documento che non ha alcun nesso con una strategia. Il Parlamento europeo deve alfine indicare progetti energetici che siano importanti per la sua sicurezza, nonché i modi in cui saranno finanziati. Nonostante le dichiarazioni formulate, sia nel programma di partenariato orientale sia nel programma di sinergia per il mar Nero, la costruzione del gasdotto Nabucco, che deve collegare depositi in Asia con utenti in Europa, continua a essere rinviata. Nella strategia manca altresì il riferimento alla possibilità di utilizzare depositi in Africa e nell’Artico. L’ultimo aspetto omesso è l’assenza di una spiegazione chiara dell’espressione “sicurezza energetica dell’Unione europea”. Che cosa significa in realtà? Va intesa in riferimento all’Unione nel suo complesso oppure a uno stato di sicurezza dell’approvvigionamento per i singoli Stati membri che attualmente costituiscono l’Unione europea?
14. Preparativi per la conferenza sul clima di Cancún (29 novembre-11 dicembre) (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sui preparativi per la conferenza sul clima di Cancún (29 novembre-10 dicembre).
Joke Schauvliege, Presidente in carica del Consiglio. – (NL) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, a seguito della conferenza di Copenaghen, l’Unione europea ha deciso abbastanza rapidamente di procedere in futuro con un approccio pragmatico progressivo. Non è più possibile concentrarsi sull’approccio “tutto o nulla”. Gradualmente si devono porre gli elementi costitutivi per un quadro post-2012. Prendiamo atto del fatto che i progressi compiuti nei negoziati sulla creazione di un regime ambizioso per combattere il cambiamento climatico dopo il 2012 sono stati molto lenti. I partecipanti hanno punti di vista estremamente diversi, aspetto emerso con chiarezza proprio di recente durante l’ultimo round negoziale ufficiale a Tianjin, in occasione del quale si sono compiuti progressi limitatissimi.
Onorevoli parlamentari, questo è il contesto in cui il Consiglio “Ambiente” e il Consiglio europeo hanno fatto gli ultimi ritocchi alla posizione dell’Unione per la conferenza di Cancún. Le posizioni delle altre istituzioni, come naturalmente anche la vostra proposta di risoluzione, sono state tenute presenti nel processo. È già stato stabilito che Cancún non produrrà un quadro post-2012 giuridicamente vincolante. Dato che i contenuti del pacchetto di misure per Cancún non sono ancora chiari, la posizione dell’Unione europea, che offre anche ai negoziatori europei la necessaria flessibilità, avanza vari elementi. È in ogni caso chiaro che il pacchetto di misure per Cancún deve essere equilibrato, il che significa che deve contenere elementi che consentano di accogliere sia i paesi in via di sviluppo sia i paesi sviluppati. Quali sono dunque i principali elementi della posizione dell’Unione?
In primo luogo, vi è la necessità di raggiungere un risultato equilibrato, ossia equilibrare i diritti negoziali da un lato nel contesto del protocollo di Kyoto e della relativa convenzione e dall’altro nell’ambito degli stessi quadri.
In secondo luogo, vi sono le condizioni per un secondo periodo di impegno nell’ambito del protocollo di Kyoto.
In terzo luogo, sono stati tracciati gli orientamenti di massima delle componenti essenziali del piano di azione di Bali, segnalatamente visione comune, mitigazione, adattamento, tecnologie e finanziamento. L’Unione europea mantiene la sua posizione secondo cui un unico strumento giuridicamente vincolante rappresenta il modo migliore per dare forma al quadro post-2012. Considerato che, lo scorso anno, tale posizione ha creato molti equivoci e questo aspetto è anche importantissimo nei negoziati internazionali, l’Unione intende adottare un approccio flessibile: flessibile rispetto a un secondo periodo di impegno, ma subordinato al soddisfacimento di determinate condizioni. Quali sono tali condizioni? Tutte le principali economie devono essere coinvolte in tale quadro post-2012. Il quadro deve essere ambizioso ed efficace, è necessario garantire l’integrità ambientale e si devono compiere progressi in tema di riforma degli attuali meccanismi di mercato e dell’introduzione di nuovi meccanismi. Inoltre, i paesi sviluppati devono dimostrare che stanno effettivamente onorando i propri impegni finanziari, specialmente per quanto concerne il finanziamento rapido. L’Unione europea e i suoi Stati membri hanno presentato la prima relazione trasparente e approfondita sull’attuazione di tali impegni finanziari e avranno versato un contributo di 2,2 miliardi di euro nel 2010. Spero che la relazione contribuisca a ricreare fiducia tra le parti.
La presidenza belga è dell’avviso che siano necessarie misure tangibili specifiche per rispondere alle aspettative delle parti nel processo multilaterale in atto nel quadro della convenzione sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (UNFCCC). Ci adopereremo al meglio per contribuire al conseguimento degli obiettivi dell’Unione europea. In proposito, conteremo anche su di voi, come sempre, onorevoli parlamentari, per contribuire a divulgare e, ovviamente, anche rafforzare tale messaggio.
Connie Hedegaard, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, naturalmente condivido molto di quanto appena affermato dalla presidenza belga. Anch’io confido nella possibilità di lavorare con voi a Cancún. È chiarissimo che l’impegno giuridicamente vincolante che l’Unione europea era pronta ad assumersi lo scorso anno ed è ancora pronta ad assumersi adesso non sarà purtroppo l’esito di Cancún, non certo per colpa nostra, bensì perché altri non sono ancora pronti a tale risultato. È vero che stiamo puntando a un pacchetto equilibrato, ma anche, mi permetterei di aggiungere, sostanzioso e ambizioso.
Siamo stati di fatto i primi questa primavera, in febbraio/marzo, a formulare l’idea di perseguire un approccio graduale per consolidare l’accordo di Copenaghen e assicurarci lo slancio che ora prosegue a Cancún. Tuttavia, sebbene apparentemente vi sia accordo in merito al fatto che questo è ciò che dovremmo portare a casa da Cancún, un pacchetto equilibrato, è facile affermare che è quello che ogni parte vorrebbe, ma più difficile concordare su ciò che poi significa.
Che cos’è un pacchetto sostanzialmente equilibrato? In proposito, direi che, considerata la questione da una prospettiva europea, è chiaro che insisteremo sulla necessità di ancorare gli impegni di mitigazione, creare un sistema MRV migliorato e promuovere i mercati del carbonio. Ovviamente, dovremo prendere decisioni in merito a REDD+, adattamento, tecnologia, finanze e sviluppo di capacità. Tutti questi elementi dovranno riflettersi in un pacchetto che consideriamo equilibrato.
Un elemento che vorrei sottolineare consiste nel fatto che noi, Unione europea, dobbiamo restare chiari in merito alle nostre condizioni per un secondo periodo di impegno nell’ambito del protocollo di Kyoto sfruttando tali condizioni per innalzare il livello di ambizione e indurre gli altri a muoversi. Le condizioni legate a un possibile secondo periodo di impegno sono importantissime per l’integrità ambientale e l’ambizione del futuro regime per il clima. L’Unione europea da sola in un secondo periodo di impegno non è né sufficiente né credibile. Abbiamo dunque bisogno di attenerci alle nostre condizioni per ottenere risposte positive dai nostri partner. Devo dire che ho chiaramente l’impressione, anche dagli incontri preliminari della COP, che vi sia un riconoscimento crescente delle nostre argomentazioni al riguardo.
Il progetto di risoluzione sottoposto alla nostra attenzione affronta tutti gli aspetti che ho appena citato. La Commissione apprezza moltissimo gli orientamenti espressi dal Parlamento, anche se non tutti possono essere pienamente accolti.
Giusto per citare un esempio, alcuni di voi suggeriscono che si stabilisca un altro obiettivo al posto dell’obiettivo dei due gradi. Una delle massime priorità per noi a Cancún sarà quella di non iniziare riaprendo l’accordo di Copenaghen né retrocedendo rispetto ai risultati già conseguiti.
Vorrei anche cogliere l’occasione per sottolineare che l’Unione europea ha bisogno di ottenere risultati sui nostri impegni di finanziamento rapido. Oggi posso dirvi onestamente che quasi ci siamo. Abbiamo tuttavia ancora bisogno di 200 milioni di euro dagli Stati membri per raggiungere esattamente la cifra che abbiamo promesso a Copenaghen. Credo che percepiate la differenza che esiste tra dire a Cancún, a nome dell’Unione europea, “abbiamo raggiunto lo scopo” e dire “abbiamo quasi raggiunto lo scopo”. Penso realmente che dovremmo usare i giorni che ci restano fino a Cancún per cercare di tener fede a tutti gli impegni assunti a Copenaghen.
Non ho parlato degli obiettivi, non perché non siano importanti, visto che sicuramente lo sono, e l’Unione, quest’anno come lo scorso anno, direbbe che siamo ancora pronti ad accettare il 30 per cento, purché anche gli altri lo facciano. Nessun cambiamento di rotta al riguardo. Se ora gli obiettivi non sono molto discussi, credo che dipenda dal fatto che molte altre parti non sono così pronte, per i motivi che conoscete, a discutere di obiettivi a Cancún. Ritengo che l’elemento importante sia ancorare gli impegni dell’accordo di Copenaghen al testo formale. Partendo da tale presupposto, possiamo migliorare le cose.
Devo anche dire, però, che, prescindendo dagli esiti di Cancún, reputo fondamentale per noi, dopo l’incontro, continuare ad avere una politica intelligente in materia di clima con obiettivi ambiziosi, gestendo nel contempo le nostre sfide energetiche, come avete appena affermato. Possiamo spingere per l’innovazione e la creazione di posti di lavoro e possiamo stabilire obiettivi ambiziosi.
La mia osservazione conclusiva riguarda il fatto che stiamo lavorando per garantire l’attuazione del trattato di Lisbona, come è ovvio, e posso assicurarvi che informeremo la delegazione del Parlamento in ogni fase di avanzamento dei negoziati. Naturalmente vi saranno briefing quotidiani con la delegazione parlamentare e cercheremo di operare in strettissima collaborazione.
Apprezziamo moltissimo il sostegno espresso dalla proposta di risoluzione per garantire che l’Unione parli all’unisono. Penso che questa sia una delle principali sfide di Cancún: chiunque parli a nome dell’Unione, i nostri partner al di fuori dell’Europa potranno essere certi di trovarsi di fronte allo stesso genere di priorità e allo stesso tipo di messaggi. Questo è il modo per far sentire al meglio le nostre priorità.
Karl-Heinz Florenz, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, se vogliamo imparare qualcosa da Copenaghen, dove lei, signora Commissario, era ovviamente Presidente, dovrebbe essere che in futuro, in occasione di conferenze del genere, l’Unione europea deve parlare all’unisono. Qui possiamo avere opinioni diverse su qualche aspetto, ma se come europei siamo divisi in ciò che diciamo in quella sede non saremo considerati credibili, e se non saremo credibili gli altri non ci seguiranno. Perché infatti dovrebbero? È dunque giusto che le cifre decise con la signora Cancelliere Merkel vengano fondamentalmente mantenute e costituiscano la base per tale negoziato. Condivido la sua opinione secondo cui gli ambiziosi obiettivi dei due gradi ora non debbano essere seriamente rimessi in discussione per considerare una riduzione notevolmente inferiore perché ciò renderebbe sicuramente molto più difficile rispettare tali obiettivi e la gente rifuggirebbe da noi.
Sono estremamente preoccupato per il fatto che stiamo mettendo a repentaglio la nostra proprietà intellettuale. La nostra industria sta investendo denaro e forza lavoro nello sviluppo. Se adesso allentiamo le difese attorno alla proprietà intellettuale e in tale difesa lasciamo i buchi che attualmente esistono, perderemo gli elementi preziosi, segnatamente la nostra proprietà intellettuale. Sono assolutamente favorevole al trasferimento di tecnologia, ma le nostre aziende devono percepire il senso di investirvi. La proprietà intellettuale non deve dunque essere annacquata.
Per quanto concerne gli impegni, sono anche favorevole a chiedere impegni seri ai nostri partner nel mondo. È però necessario che siano credibili e tali paesi possano onorarli, altrimenti faranno esattamente il contrario di ciò che desideriamo, ossia si allontaneranno da noi. Presentarci a Cancún in maniera credibile è dunque importante. Le principali decisioni saranno poi prese in un secondo momento, a Johannesburg, ma a Cancún dobbiamo preparare il terreno. Sono un agricoltore di professione. Se il terreno non è preparato accuratamente, non vi è raccolto. Concentriamoci sulla preparazione di un buon terreno.
Marita Ulvskog, a nome del gruppo S&D. – (SV) Signor Presidente, in vista del vertice di Copenaghen avevamo aspettative notevoli. L’esito non è stato entusiasmante. Il giorno che abbiamo lasciato Copenaghen, nevicava fittamente e nelle sale riunioni faceva molto freddo. Il clima si è raggelato non soltanto a Copenaghen, bensì nell’intero dibattito sull’ambiente. Si potrebbe affermare che il clima oggi è scaduto nell’agenda politica più di quanto lo fosse prima di Copenaghen. Tutto questo è deplorevole, ma il fatto è che è compito nostro garantire che il vertice di Cancún ottenga risultati migliori affrontando e migliorando l’esito di Copenaghen. Come agiremo per conseguire tale obiettivo? Lo faremo, in quanto rappresentanti dell’Europa, assumendo un ruolo di guida. Questo è proprio ciò che la responsabile del clima dell’ONU, Christina Figueres, ha chiesto quando è intervenuta durante una videoconferenza con i rappresentanti del Parlamento europeo che saranno presenti a Cancún. Dobbiamo dimostrare la nostra leadership e lo faremo, tra l’altro, dando concreta attuazione a tutto ciò che abbiamo promesso a Copenaghen, e intendo non quasi tutto, ma assolutamente tutto.
Poi, come è ovvio, dobbiamo garantire il coinvolgimento del maggior numero possibile di partner. Unitamente ad altre decisioni specifiche che verranno prese a Cancún sulla deforestazione, il trasferimento di tecnologia e le modalità per procedere a un secondo periodo di impegno nell’ambito di Kyoto, questo potrebbe preparare la via a un accordo internazionale sul clima nel 2011. Non penso che le nostre aspettative debbano essere troppo limitate in vista di Cancún.
Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, non vi è molto entusiasmo attualmente rispetto al tema del riscaldamento globale, quanto piuttosto un diffuso scetticismo da parte del pubblico. All’inizio dell’anno abbiamo assistito a nevicate, eppure se analizziamo i dati ci rendiamo conto che i primi sei mesi dell’anno sono stati i più caldi mai registrati in tutto il mondo. Questo è un dato di fatto.
Desidero che si introduca quanto prima un accordo internazionale, ma mi preoccupa la natura di un siffatto accordo. La distinzione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo mi pare artificiosa. Mi chiedo quanto tempo ci vorrà prima che alcuni paesi in via di sviluppo superino i paesi europei più poveri. Penso alle conferenze sul cambiamento climatico, all’entusiasmo con il quale l’Arabia Saudita abbraccia l’idea dell’inserimento della cattura e dello stoccaggio del carbonio nel meccanismo di sviluppo pulito. L’Arabia Saudita può sicuramente investire un po’ del suo denaro nella realizzazione di tali soluzioni. Perché dovremmo contribuirvi?
Mi preoccupa il fatto che l’Unione europea possa restare indietro rispetto al ritmo del cambiamento e penso che le iniziative in tema di cambiamento climatico e la nostra capacità di affrontare il riscaldamento globale offrano grandi opportunità. La Cina prevede di ridurre la propria intensità di carbonio del 45 per cento nel prossimo decennio. Ciò significa investire in nuove centrali in sostituzione delle vecchie e migliorare l’efficienza energetica, contesto nel quale si pone una concreta difficoltà perché se non siamo in grado di competere con i cinesi adesso, come potremo negli anni a venire competere con una Cina più efficiente dal punto di vista energetico?
Desidero che il nostro tetto si innalzi. Desidero passare dal 20 al 30 per cento. Desidero che i prezzi del carbonio aumentino in maniera da procedere in futuro in investimenti a basse emissioni di carbonio. Avrei voluto essere più convinto della presenza all’interno della Commissione di un consenso quanto al fatto che ciò dovrebbe veramente essere considerato e realizzato. Non mi pare che al momento sia questo il caso. Conosco questo entusiasmo della signora Commissario per tale tema. Non sono certo, però, che abbia il pieno appoggio del collegio. Abbiamo forse bisogno di una posizione alternativa?
Sì, abbiamo bisogno di una posizione alternativa, che fondamentalmente deve essere quella di promuovere la nostra efficienza energetica. Pochi minuti fa abbiamo udito i piani del Commissario Oettinger per introdurre alcune normative nel prossimo anno. Tali normative devono essere ambiziose. Dobbiamo risparmiare le nostre risorse. Dobbiamo diventare più competitivi.
Yannick Jadot, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, nel mio intervento avrei potuto limitarmi semplicemente a richiamare le immagini di questa estate in Russia o Asia meridionale rammentandovi l’estrema urgenza di combattere il cambiamento climatico e, poiché stiamo parlando dell’Europa, procedere immediatamente o quanto prima verso un obiettivo del 30 per cento entro il 2020 per le emissioni di gas a effetto serra. Oggi, in assenza di cambiamenti, raggiungeremo il 19 per cento. Abbiamo già praticamente conseguito l’obiettivo che ci siamo prefissi, per cui non possiamo più parlare di un’ambizione europea se ci riferiamo al 20 per cento.
Per quanto mi riguarda, non sono ovviamente a favore del mercato del carbonio, ma se restiamo al 20 per cento possiamo essere certi che tratteremo il mercato del carbonio come una specie in via di estinzione e non come leva nella lotta al cambiamento climatico. Passare al 30 per cento potenzialmente significherebbe ottenere 8 miliardi di euro per i bilanci comunitari vendendo all’asta le quote. Sappiamo che il 30 per cento è possibile. In particolare, un obiettivo vincolante di efficienza energetica del 20 per cento significherebbe un milione di posti di lavoro in Europa, ossia un risparmio di 1 000 euro per nucleo familiare europeo e, poiché il Commissario Oettinger ha citato Nabucco, l’equivalente di 15 Nabucco.
Soffocheremo le aziende europee se passiamo al 30 per cento? Ovviamente no. Tutti gli studi lo dimostrano. Sono interessati alcuni settori potenzialmente a rischio, ma esistono i mezzi, e sinora i settori che minacciano di annientamento l’Europa sono quelli che sono stati i beneficiari della politica energetica europea e, grazie alla politica europea in materia di clima, hanno guadagnato miliardi di euro.
Passare al 30 per cento significherebbe chiaramente schierarsi con coloro che stanno promuovendo il cambiamento, coloro che stanno creando il mondo del futuro. Vorrei anche citare alcune cifre. Secondo il barometro 2010 di Ernst & Young, Cina e Stati Uniti sono i paesi più interessanti per lo sviluppo di energia rinnovabile. In base a un recente studio, soltanto tre delle 50 imprese identificate come leader mondiali nel campo della tecnologia verde hanno sede in Europa; le altre sono in Asia o negli Stati Uniti.
È dunque assolutamente fondamentale passare al 30 per cento e concluderò ribadendo le parole di Barack Obama quando ha detto che potremmo cedere i posti di lavoro del futuro ai nostri concorrenti o cogliere l’opportunità del secolo, come loro hanno già iniziato a fare. La nazione che si fa pioniera dell’energia del futuro sarebbe la nazione pioniera del XXI secolo, ha detto. Ha perso le elezioni. Assumiamo questa leadership nella transizione energetica e nella nuova economia.
Miroslav Ouzký, a nome del gruppo ECR. – (CS) Signor Presidente, sebbene sia firmatario della risoluzione relativa all’imminente conferenza sul clima, vorrei formulare anche qualche commento critico e alcune riserve in merito alla nostra risoluzione. Sapete, sono lieto che l’ottimismo che in passato abbiamo sempre dimostrato al mondo prima di ogni conferenza, trasformatosi poi in profondo scetticismo, questa volta non sia così prevalente. Mi compiaccio per il fatto che capiamo che tale conferenza non produrrà un accordo globale e tutti in quest’Aula sanno che, senza un accordo globale, l’Europa da sola, anche se dovesse ambiziosamente aumentare i propri obiettivi del 100 per cento, non avrebbe la benché minima influenza sul cambiamento climatico globale.
Il cieco irrigidimento dei nostri standard potrebbe porre l’Europa a rischio e confesso di essere in totale disaccordo con l’introduzione di imposte europee col pretesto di combattere il cambiamento climatico.
Per evitare di essere completamente negativo, vedo una grande promessa nel sostenere la cooperazione con i paesi in via di sviluppo e, in particolare, nel salvaguardare l’acqua potabile, come anche nel profondere impegno per garantire l’accesso all’acqua potabile a tutti i cittadini, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Nonostante le mie riserve critiche, tuttavia, non intendo revocare la mia firma e spero che l’imminente conferenza, dopo tutto, porti a qualche ulteriore progresso.
Bairbre de Brún, a nome del gruppo GUE/NGL. – (GA) Signor Presidente, non possiamo ripetere gli errori che abbiamo commesso lo scorso anno a Copenaghen. Occorrono una vera leadership e una reale volontà politica per mantenere il limite di temperatura a 1,5 oC. Questo obiettivo è importante.
L’Unione europea dovrebbe agire unilateralmente per innalzare l’obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2020 e convincere altri paesi sviluppati ad accettare un obiettivo complessivo di riduzione delle emissioni dall’80 al 95 per cento entro il 2020. Ciò non soltanto contribuirà ai negoziati di Cancún, ma sarà nel nostro stesso interesse.
Anche i paesi sviluppati devono mettere a disposizione fondi adeguati per il clima, oltre ad attivamente forme di finanziamento rapido sostenute da un impegno politico forte e dalla massima trasparenza. Occorrono altresì nuove fonti di finanziamento a lungo termine. Tra le alternative possibile, si dovrebbero prevedere misure fiscali e finanziarie internazionali e fondi messi a disposizione dall’aviazione e dal trasporto internazionale.
Vi chiedo di votare contro gli emendamenti che vogliono che da questo Parlamento sia trasmesso un messaggio più debole. Serve invece un messaggio forte. La crisi economica globale non può essere addotta come scusa per non agire o negare la giustizia climatica. Il cambiamento climatico è un problema che deve essere affrontato su base globale e, per farlo, è necessario costruire tra noi fiducia.
Oreste Rossi, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nonostante avessi preannunciato sia in commissione sia in Aula il fallimento della conferenza sul clima a Copenaghen e del documento presentato da questo Parlamento, l'esperienza non ha insegnato nulla.
Se ci ostiniamo a chiedere in maniera unilaterale all'Europa di ridurre le sue emissioni a livelli di molto superiori a quelli previsti con Kyoto, anche il prossimo vertice di Cancún – la COP16 – sarà un fallimento e, di nuovo, il nostro Parlamento farà una pessima figura.
Nella risoluzione approvata dalla commissione non solo si ribadisce che il contributo ai paesi in via di sviluppo non dovrebbe essere inferiore a 30 miliardi di euro l'anno entro il 2020, ma addirittura si incoraggia l'Unione a promuovere la creazione di un fondo verde per il clima, stanziando 100 miliardi di dollari l'anno a partire dal 2020.
Il documento dice anche come reperire i fondi, e cioè tassando tutte le fonti possibili, ad esempio imponendo imposte sulle operazioni finanziarie, sugli scambi commerciali e sui biglietti aerei, di fatto andando a prelevare questi soldi direttamente dalle tasche dei cittadini e delle imprese.
La relazione si lancia poi in richieste utopiche. Addirittura chiede di ridurre le emissioni di CO2 nell'atmosfera entro il 2020 del 30 per cento anziché del 20 per cento, e invita la Commissione a presentare una proposta affinché l'UE si ponga unilateralmente tali obiettivi.
Chiedere, in un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo, alla nostra gente e alle nostre imprese tali sacrifici è l'ennesima eurofollia. Noi abbiamo la stessa posizione del Consiglio, e cioè che l'Unione europea potrà prendere in considerazione un secondo periodo di impegno ai sensi del Protocollo di Kyoto solo se ciò avverrà in un quadro complessivo che coinvolga tutte le principali economie e in vista di un accordo globale giuridicamente vincolante.
Nick Griffin (NI). – (EN) Signor Presidente, scegliere il soleggiato Messico per la COP 16 è stata una buona idea. Dovrebbe esserci risparmiato il ripetersi dell’imbarazzo dello scorso anno, quando gli attivisti del riscaldamento globale hanno tremato nel dicembre copenaghese più freddo che si ricordi negli ultimi decenni. Analogamente, l’uso dell’espressione ingannevolmente ambigua “cambiamento climatico” in luogo di “riscaldamento globale” può nascondere ad alcuni contribuenti britannici l’ironia di organizzarlo proprio quando un’estate insolitamente fredda lascia il posto a un prematuro inverno gelato. Meglio sarebbe addirittura organizzare tali eventi soltanto in primavera: guardate, diventa ogni giorno più caldo.
Per quanto ancora l’Unione fascista può imporre tasse e controlli sempre più punitivi ai normali cittadini col pretesto di un riscaldamento globale provocato dall’uomo, visto che un numero crescente di veri esperti respinge questa teoria considerandola infondata e demolita? L’AGW è propaganda ingiustificata, una grande menzogna della portata di Josef Goebbels del complesso industriale verde che favorisce i trasferimenti massicci di ricchezza dai piccoli ai truffatori del commercio di carbonio come Al Gore e Goldman Sachs, sfruttata dalle élite politiche di sinistra per completare la deindustrializzazione dell’Occidente perché i conservatori senza spina dorsale sono troppo soggiogati dall’isteria del riscaldamento globale per alzarsi e affermare una realtà veramente scomoda: il cambiamento climatico provocato dall’uomo è il raggiro più redditizio della storia.
La conferenza Bilderberg di quest’anno, organizzata in giugno in Spagna, comprende una sessione sui rischi del raffreddamento globale. Quando il nuovo realismo di coloro che realmente forgiano la politica globale si insinuerà in questo Parlamento, tra quanti meramente credono di farlo?
Richard Seeber (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono realmente sconvolto dalle idee che persone come l’onorevole Griffin propugnano in questa Camera nel nome del cambiamento climatico. Mi è del tutto oscuro che cosa il fascismo abbia a che vedere con il cambiamento climatico. Penso inoltre che quanto affermato dal collega in questa sede sia scandaloso e ritengo che affermazioni del genere non debbano trovare spazio in Aula perché il problema è veramente troppo serio per lasciarsi andare a siffatte dichiarazioni.
Mi preoccupa altresì il fatto che le emissioni di gas a effetto serra nella nostra atmosfera sono incontestabilmente aumentate. Date un’occhiata alle cifre prodotte dall’Organizzazione meteorologica mondiale. Mi colpisce peraltro il basso livello di accettazione da parte della popolazione. Anche l’onorevole Griffin sta cavalcando quest’onda e considero parimenti sconvolgente che i principali inquinatori come Stati Uniti e Cina non siano disposti a stipulare un siffatto accordo internazionale.
Rammentiamoci, vi prego, del dibattito intervenuto lo scorso anno in questa sede prima di Copenaghen. Se non saremo troppo ambiziosi e intraprenderemo tali negoziati con realismo, noi in quanto Europa, un inquinatore meno importante, possiamo ancora conseguire qualche risultato.
Come possiamo farlo? Signora Commissario, apprezzo il suo entusiasmo, ma ritengo che comunicare con i cittadini sia estremamente importante. La gente non capisce il problema. Perché? I dati dell’Organizzazione meteorologica mondiale sono chiari, sono cifre medie. È vero che in Europa fa attualmente più freddo di quanto facesse qualche anno fa. Tuttavia, nel complesso, le temperature sono comunque in aumento in tutto il mondo. Ciò va comunicato e, se non riusciremo a farlo, non otterremo il sostegno dei nostri cittadini, il che permetterà a persone come l’onorevole Griffin di associare fascismo e cambiamento climatico. Questo è il problema. Pertanto, signora Commissario, vorrei chiederle di migliorare la situazione al riguardo.
In secondo luogo, passiamo a fonti energetiche sostenibili con incentivi che riteniamo validi. Il collega ha esposto le cifre. Le migliori imprese sono in Cina. Qui in Europa non sono altrettanto dinamiche. Dobbiamo dunque proporre alcune idee efficaci affinché le nostre aziende effettivamente passino alle fonti sostenibili. Questi obiettivi vincolanti sono veramente la migliore terapia come qui è stata sempre salutata?
Ovviamente abbiamo anche bisogno di onestà sui mercati. Ciò che accade in relazione al meccanismo di sviluppo pulito, il 60 per cento del denaro va alla Cina, non dovrebbe essere consentito. Al riguardo, nascondersi dietro argomentazioni puramente giuridiche non rappresenta la scelta migliore. Accostiamoci al dibattito con onestà perché il tema è troppo importante. Ha il nostro appoggio, signora Commissario.
(L’oratore accetta un’interrogazione con cartellino blu a norma dell’articolo 149, paragrafo 8)
Lucas Hartong (NI). – (NL) Signor Presidente, l’onorevole Seeber ha affermato che il pubblico non comprende il dibattito sul cambiamento climatico. Vorrei chiedergli quanto segue: potrebbe essere che il pubblico di fatto lo comprenda, ma abbia semplicemente un’opinione diversa dal collega?
Richard Seeber (PPE). – (DE) Signor Presidente, non so se ho capito correttamente l’intervento. Ciò che conta è soltanto tenere questa discussione apertamente con i cittadini e, come ho detto, sulla base dei dati dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Esistono soltanto dati medi per il mondo, i quali indicano che la temperatura sta aumentando di 0,63 gradi, ma in Europa i nostri valori sono diversi. Questo perché il tempo atmosferico è un fenomeno locale e parliamo di clima, che è un fenomeno globale a lungo termine. Prendiamo pertanto la decisione. Se diciamo che sta diventando sempre più freddo e gli inverni arrivano prima, dobbiamo anche comunicarlo correttamente. Il mio appello a una maggiore comunicazione è quindi importante.
Jo Leinen (S&D). – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, mi preoccupa il fatto che passiamo da un estremo all’altro. Prima di Copenaghen forse eravamo troppo ambiziosi; ora, in vista di Cancún, mi lascia perplesso il fatto che lo non siamo abbastanza. Ritengo pertanto positivo che nella sua risoluzione il Parlamento affronti tutti gli aspetti in merito ai quali giudichiamo necessario che vi siano progressi e dovremmo ottenere risultati a Cancún.
Abbiamo una richiesta importante, vale a dire che l’Unione europea modifichi la propria strategia. Prima di Copenaghen, ci siamo lasciati condizionare da quanto veniva fatto negli Stati Uniti e forse in Cina. Non ha funzionato in quell’occasione e non funzionerà neanche a Cancún. Dovremmo pertanto adottare misure di salvaguardia del clima per tutelare i nostri stessi interessi, da cui l’esortazione formulata dalla maggioranza in commissione, e spero anche domani in plenaria, di innalzare i nostri obiettivi dal 20 al 30 per cento, il che sarà in ogni caso necessario nel corso del processo. Dobbiamo conseguire tale obiettivo perlomeno prima di andare in Sudafrica. Ritengo inoltre che siamo ancora sulla strada sbagliata per quanto riguarda Kyoto. Anche in questo caso, contiamo su tutti gli altri. Penso che la nostra offerta debba essere quella di istituire un Kyoto II. Non avremo problemi nel farlo; otterremo tale risultato.
Infine, quanto al fatto che l’Unione dovrebbe parlare all’unisono, ho visto come è andata a Nagoya. Avevamo un solo microfono per l’Unione europea. Diverse persone potevano intervenire, ma il messaggio trasmesso doveva essere lo stesso. Questo è ciò che vorrei vedere dal Consiglio e dalla Commissione anche a Cancún.
Corinne Lepage (ALDE). – (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, perlomeno una cosa è certa dopo Copenaghen, vale a dire che la campagna di disinformazione messa in atto prima di Copenaghen è fallita e le informazioni ricevute dal gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) sono state pienamente confermate da tutti gli esperti a disposizione delle Nazioni Unite. Questo è il primo elemento che vorrei sottolineare.
Ciò dimostra l’importanza e l’urgenza di quanto dobbiamo fare. Dobbiamo trarre le conseguenze dall’involuzione di Copenaghen e, pertanto, è assolutamente essenziale che l’Unione europea fissi essa stessa volontariamente obiettivi senza alcun tipo di condizionamento. Per questo è essenziale, sia per il clima sia per le nostre industrie e la nostra economica, che domani l’obiettivo del 30 per cento citato nella risoluzione sia adottato.
Come un collega ha sottolineato poc’anzi, l’obiettivo del 20 per cento è stato già praticamente raggiunto. Se vogliamo dare slancio alle nostre industrie, se vogliamo restare leader o diventarlo in nuovi settori, che si tratti di efficienza energetica o energia rinnovabile, è fondamentale prefissarsi questo obiettivo nell’Unione.
Il secondo aspetto è quello della credibilità. Dobbiamo tenere fede ai nostri impegni nei confronti dei paesi meridionali operando una distinzione tra le diverse categorie di paesi perché, di fatto, Cina e Africa non possono essere accomunate. Per questo, a mio giudizio, ed esprimo un parere personale, non necessariamente condiviso dal mio intero gruppo, è essenziale avere un’imposta sulle operazioni finanziarie che ci consenta di ottenere i 100 miliardi di dollari previsti per il 2020.
Infine, spero che a Cancún si possa concludere perlomeno l’accordo sulle foreste, l’accordo sulla riduzione delle emissioni causate dalla deforestazioni e dal degrado delle foreste (REDD), perché rappresenterebbe già un grande passo avanti. Non dimentichiamo che la deforestazione è responsabile del 20 per cento delle emissioni di gas a effetto serra.
Satu Hassi (Verts/ALE). – (FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, concordo con tutti coloro che hanno dimostrato il proprio sostegno a una riduzione più rigida delle emissioni dell’Unione pari al 30 per cento. Non si tratta soltanto del futuro della razza umana, bensì anche del nostro interesse per restare competitivi nella rivoluzione delle tecnologie energetiche appena iniziata.
Affinché l’Unione possa essere un leader credibile in campo climatico, a Cancún dovrebbe promuovere una vera e propria strategia di salvaguardia del clima e non creare nuovi escamotage. Purtroppo pare che l’Unione operi diversamente per quanto concerne le norme contabili per i pozzi di assorbimento di carbonio forestali. Sembrerebbe che l’Unione sia approvando le future previsioni come parametro di riferimento per i pozzi forestali, inevitabilmente arbitrarie. Ciò comporterebbe più inconvenienti per i paesi industrializzati, inconvenienti non da poco. Gli inconvenienti a cui faccio riferimento potrebbero essere l’equivalente del 3-5 per cento di tutte le loro emissioni, vale a dire la stessa cifra raggiunta dall’obbligo totale di riduzione delle emissioni entro il 2012 a carico di tutti i paesi industrializzati secondo il protocollo di Kyoto.
Un altro svantaggio della politica comunitaria è rappresentato dall’esternalizzazione delle riduzioni delle emissioni ai paesi in via di sviluppo mediante il meccanismo di sviluppo pulito. È miope, ma anche sconsiderato dal punto di vista della concorrenza legale, utilizzare detto meccanismo per sostenere i settori industriali in Cina che qui, per esempio, si lamentano per il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. I crediti basati sui progetti dovrebbero limitarsi ai paesi in via di sviluppo più poveri.
Zbigniew Ziobro (ECR). – (PL) Signor Presidente, la lotta al riscaldamento globale è diventata senza dubbio uno degli obiettivi più importanti dell’Unione europea. Un elemento fondamentale in tale contesto è, ritengo, una politica razionale per la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio e gas a effetto serra nell’atmosfera. Nella proposta di risoluzione del Parlamento, elaborata prima della conferenza di Cancún, vi è un passaggio che cita una notevole riduzione, superiore al 20 per cento, delle emissioni di CO2 degli Stati membri. Pare che, proponendo una politica del genere, l’Unione non stia tenendo conto delle gravi conseguenze che potrebbero derivarne per l’economia dei suoi Stati membri.
Benché sia prevista una consistente riduzione da parte dell’Unione, la dichiarazione della posizione dell’Unione in merito a una riduzione delle emissioni di gas negli Stati Uniti e nei paesi dell’Asia è molto debole. È un grave errore! Oggi, momento in cui l’Europa sta vivendo un declino economico, dovremmo concentrarci maggiormente su misure volte a rafforzare l’economia dell’Unione, non gravarla di ulteriori costi. Non sono gli Stati membri dell’Unione europea i principali inquinatori, bensì le economie in rapida crescita di paesi in via di sviluppo quali Cina e India, che non intendono ridurre le emissioni. La produzione industriale e, di conseguenza, l’occupazione potrebbero dunque venire esportate in paesi al di fuori dell’Unione europea. La nostra economia diventerebbe più debole e le emissioni non diminuirebbero, anzi aumenterebbero. Una politica del genere non ci porterebbe ad alcun risultato. Pertanto, questo tipo di orientamento politico nel campo della lotta al riscaldamento globale deve essere rivisto.
Sabine Wils (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, la conferenza sul clima di Cancún deve esercitare una pressione positiva sui nostri Stati per compiere progressi in termini di cooperazione internazionale e normative nazionali per la salvaguardia del clima. Nel quadro di un’alleanza di responsabilità, l’Unione deve dar prova di leadership politica, prescindendo da ciò che fanno gli Stati Uniti, e lasciarsi giudicare secondo il principio della giustizia climatica. Ciò significa che deve esservi un secondo periodo di impegno per le nazioni industrializzate nell’ambito del protocollo di Kyoto. Ulteriori fondi devono essere messi a disposizione per finanziare le misure in materia di clima. Per quel che riguarda il finanziamento a lungo termine, l’Unione deve giocare a carte scoperte nei negoziati presentando obiettivi ambiziosi per la riduzione dei gas a effetto serra. La temperatura globale non deve in alcun caso aumentare di più di 1,5°C, obiettivo che comporterà innovazioni tecniche e creerà posti di lavoro in un momento di crisi economica.
Anna Rosbach (EFD). – (DA) Signor Presidente, in dicembre tutti, funzionari, politici, giornalisti, attivisti e molti altri, si recheranno al vertice in Messico. Anche questo Parlamento vi parteciperà, per quanto risultino sempre caotiche le modalità con le quali a molti parlamentari viene permesso di viaggiare.
Quando andremo al vertice sul clima, vi è una cosa importante che non dobbiamo dimenticare di portare con noi: il realismo. Sono perfettamente consapevole del fatto che non è un’affermazione molto popolare, ma è importante se vogliamo che la gente nel mondo ci consideri credibili. Per dirla in maniera epica, l’Unione dovrebbe essere una pioniera, in altre parole dovrebbe assumere la guida e dare il buon esempio. Fin qui tutto bene. Dobbiamo tuttavia sincerarci di non spingerci tanto oltre da non essere seguiti dagli altri. Non è positivo perseguire una politica che soltanto pochi paesi sono disposti o in grado di seguire. Se dovessimo agire in tal modo, otterremmo soltanto un risultato, ovverosia il trasferimento delle nostre industrie ad alta intensità di manodopera in paesi con normative molto più rilassate, retribuzioni inferiori e condizioni di lavoro meno dignitose. Perderemmo posti di lavoro, il che nuocerebbe alle nostre economie europee. Dovremmo pertanto adoperarci per trovare soluzioni che i paesi che stanno rapidamente emergendo, come Cina, India e il continente sudamericano, possano accettare. Spero che trarremo le lezioni del caso dall’esperienza della riunione a Copenaghen dello scorso anno puntando questa volta a obiettivi conseguibili anziché volgere lo sguardo all’impossibile.
Lucas Hartong (NI). – (NL) Signor Presidente, la prossima settimana si terrà la conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite a Cancún. La partecipazione a tale evento è una vera e propria farsa per l’Unione perché non vi è di fatto nulla di sbagliato nel nostro clima. Le escursioni di temperatura in Europa sono del tutto normali. Vorrei dunque soffermarmi per un attimo sui dati di fatto concreti di questa inutile conferenza. La prossima settimana, centinaia di partecipanti si imbarcheranno su aerei per il Messico, generando emissioni di CO2. Orbene, qual era l’obiettivo della conferenza sul cambiamento climatico? Esattamente la riduzione delle emissioni di CO2. Attualmente si stanno distruggendo 11 000 ettari di foreste di mangrovie a Cancún. Stessa domanda: qual era l’obiettivo della conferenza sul cambiamento climatico? Proprio la salvaguardia delle foreste. Signor Presidente, mi consenta di dare modestamente un consiglio all’Unione. Lasciamo la politica in tema di clima a esperti realmente indipendenti perché tutto ciò che fa è gravare sul contribuente con un costo enorme. Negli ultimi anni non si sono ottenuti risultati, se si eccettuano relazioni tutt’altro che obiettive da parte del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) e il millantatore che la presiede, Rajendra Pachauri.
Pilar del Castillo Vera (PPE). – (ES) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, vorrei esordire manifestando la mia impressione che gli interventi del signor Presidente in carica del Consiglio e della signora Commissario abbiano entrambi fornito una prospettiva molto diversa della conferenza di Cancún rispetto a quella espressa in merito alla conferenza di Copenaghen. Una prospettiva più realistica, sostenibile, per cui vi sono maggiori possibilità che sia efficace.
Se Copenaghen è stato il vertice del tutto o nulla, come ha rammentato il signor Presidente in carica del Consiglio, Cancún deve essere il vertice che fornisce una serie di alternative efficaci e sostenibili.
La battaglia contro il cambiamento climatico presenta due caratteristiche fondamentali: in primo luogo, deve essere globale, nel senso che deve coinvolgere tutti i principali inquinatori, da Stati Uniti a Brasile, Cina e India. In secondo luogo, deve consistere in una serie di misure efficaci dal punto di vista dell’impatto sul cambiamento climatico, che deve essere misurabile, e non pregiudizievoli per la crescita economica.
Al riguardo, dobbiamo avere anche l’umiltà di riconoscere che la sfida globale derivante dalla necessità di affrontare il cambiamento climatico pone una serie di alternative tecnologiche e politiche.
Vi sono e possono esservi accordi vincolanti, accordi settoriali, trasferimento di tecnologia e sostegno alla ricerca. Tutte le alternative devono essere chiamate in causa, unitamente a un radicale aumento dell’efficienza energetica in tutti i settori dell’economia e della società. Questo è l’unico modo in cui potremo far fronte efficacemente ai problemi del cambiamento climatico. In tal senso, se Cancún è il vertice che produrrà una serie di accordi sostenibili ed efficienti, sarà stato un grande successo.
Kriton Arsenis (S&D). – (EL) Signor Presidente, signora Commissario, concorderei con l’onorevole Leinen nell’affermare che siamo veramente passati da un estremo all’altro. Avevamo aspettative notevolissime per Copenaghen e forse dovrebbero avere aspettative ridottissime per Cancún.
Le nostre richieste riguardano sostanzialmente due questioni: l’accordo REDD e il finanziamento. Se non compiremo progressi al riguardo, sussiste il rischio che non vi siano progressi nei negoziati, che potrebbero anche essere messi a repentaglio. In assenza di progressi a Cancún, l’intero processo negoziale sarebbe a rischio. Per questo contiamo sui vostri sforzi, gli sforzi dell’Unione europea, per compiere progressi, se non altro su questi due argomenti, ed evitare di mettere a rischio i negoziati.
Numerosi parlamentari hanno detto che abbiamo effettivamente ottenuto una riduzione del 17,3 per cento delle emissioni nel 2009. L’obiettivo del 20 per cento entro il 2020 è a portata di mano; potremmo conseguirlo nei prossimi anni. Non vi è motivo per non passare al 30 per cento o più se vogliamo ammodernare la nostra economia, creare nuovi posti di lavoro e diventare nuovamente competitivi.
L’onorevole Hassi ha anche parlato del LULUCF. Ha assolutamente ragione. La posizione dell’Unione, ossia che non dovremmo raffrontare le riduzioni delle emissioni legate al LULUCF con il 1990 e dovremmo seguire la linea dello scenario immutato, delle emissioni eccessive e di quante meno emissioni stiamo producendo rispetto a quelli che sarebbero stati gli obiettivi, è assurda.
Contiamo su di voi per ottenere risultati in merito a questi due argomenti cruciali durante i negoziati a Cancún.
Bas Eickhout (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, vorrei porgere i miei più sentiti ringraziamenti alla signora Commissario e al signor Presidente in carica del Consiglio belga per i loro interventi introduttivi, ma vorrei anche ricordare alla Camera che l’accordo di Copenaghen è stato estremamente debole e quanto in esso affermato è persino talvolta dimenticato. L’obiettivo dei 2ºC o anche degli 1,5ºC è indicato nell’accordo di Copenaghen e, se intendiamo conseguirlo, ora dobbiamo realmente darci da fare per ridurre le emissioni, ben più del 20 per cento, e reperire i fondi per i primi tre anni. L’accordo di Copenaghen afferma con estrema chiarezza che tali finanziamenti devono provenire da fonti nuove e aggiuntive. Signora Commissario, lei ha affermato che ci siamo quasi, ma i fondi non sono né nuovi né aggiuntivi, e siamo ben lungi dall’aver ottenuto il risultato perseguito. Siamo onesti in merito. Vi è poi la questione del ruolo dell’Unione, della sua leadership. Pongo dunque una domanda, che si rivolge fondamentalmente al signor Presidente in carica del Consiglio belga: come opereremo a Cancún? Adesso abbiamo ottenuto un mandato dal Consiglio, ma a Cancún sarà necessario negoziare. Se apportiamo modifiche, sarà nuovamente necessaria l’unanimità di tutti gli Stati membri o i cambiamenti saranno effettuati a maggioranza qualificata? Dopo tutto, soltanto allora potremo rendere concreto tale ruolo di guida. Più ambizione, più fondi e negoziati migliori: questo è ciò che ci occorre.
Peter van Dalen (ECR). – (NL) Signor Presidente, la sfida per Cancún è complessa e l’urgenza enorme. Eppure vedo prospettive perché ritengo che l’esito di Nagoya sia rincuorante e foriero di speranza. Vi sono state molte discussioni sulla posizione che l’Unione europea deve assumere all’interno di questo dibattito. Puntiamo a una riduzione del CO2 del 20 o addirittura del 30 per cento? Per quanto mi riguarda, meno CO2 non equivale a meno attività economica, per cui possiamo concentrarci su un obiettivo di riduzione superiore al 20 per cento perché offrirà opportunità per più posti di lavoro verdi, innovazione e crescita economica sostenibile. Nel contempo, vorrei rivolgermi al gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) affinché consideri seriamente le critiche espresse in merito alle sue relazioni e crei una piattaforma di discussione scientifica aperta in modo che tutte le informazioni pertinenti vengano prese in esame e non scompaiano in un cassetto. In caso contrario, un’atmosfera di sfiducia continuerà a circondare le relazioni dell’IPCC, il che a mio avviso è inutile e tutt’altro che auspicabile.
Marisa Matias (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, vorrei tornare su alcuni aspetti sollevati precedentemente in questa sede. Si è detto che Cancún dovrebbe essere un importante passo intermedio nella lotta al cambiamento climatico, come anche che questo vertice non può spingersi oltre né essere più ambizioso di Copenaghen, oppure accettarne l’esito. Sappiamo che tale esito è stato modesto. Eppure, se non vi sono stati cambiamenti nelle prove e nei dati scientifici a nostra disposizione, mi pare che qui vi sia un cambiamento a livello di volontà politica e una mancanza di coraggio. Stiamo andando a Cancún pieni di timori.
Credo che la rinuncia dinanzi a una delle più gravi crisi dei nostri tempi non possa costituire un’alternativa. Vorrei aggiungere che a Cancún abbiamo anche l’opportunità di metterci alla prova su vari temi che sono stati citati in questa sede, verificando anche le nostre capacità in termini di ridistribuzione e sostegno ai paesi e ai popoli più poveri. Penso che rispondere alla crisi ambientale significhi anche reagire in maniera unificata ed equa alla crisi sociale ed economica che stiamo attualmente vivendo. Questo è essere realisti.
Derek Roland Clark (EFD). – (EN) Signor Presidente, sono lieto di leggere questo intervento a nome dell’onorevole Bloom, che è stato a mio parere ingiustamente estromesso dall’Aula nel pomeriggio.
È stato un insuccesso un anno fa, quando 15 000 persone non qualificate, tra cui parlamentari e l’intero entourage, sono sbarcate a Copenaghen raddoppiandone l’impronta di carbonio per quindici giorni e poi ritrovandosi disperatamente bloccati in una morsa climatica, che, come se la circostanza fosse stata programmata, ne ha congelato lo svolgimento.
Sì, tutti ricordiamo l’Università di East Anglia dimostratasi per ciò che è: un centro di finta scienza freneticamente prodotta da esperti comprati e pagati che contano sulla DG Ricerca dell’Unione e sulla super organizzazione non governativa delle Nazioni Unite per i fondi destinati alla ricerca e ai laboratori, nonché sui contribuenti britannici per i loro stipendi. Sono stati descritti in grado di falsare dati e modelli informatici di climatologia, nascondere dati scomodi e cospirare con i tirapiedi verdi di Obama.
Le masse di contribuenti hanno imparato senza mezzi termini che l’Unione e l’agenda verde globale si riducono all’aumento delle carbon tax e al panico seminato per garantire la compliance.
A Cancún la situazione non sarà, ovviamente, così drammatica. Fa più caldo. È un inverno piacevole e quest’anno i cospiratori saranno molto più accorti nel nascondere le loro mire di governo globale. Ma attenzione: noi, il popolo, vi stiamo addosso.
Francisco Sosa Wagner (NI). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, condivido l’aspirazione di questa Camera. Desidero che le proposte della delegazione europea ottengano il sostegno che meritano a Cancún.
Nel contesto di questa discussione è necessario sottolineare l’importanza delle città nella salvaguardia dell’ambiente. Vi è un accordo tra più di 1 000 sindaci dell’Unione europea che dimostra come il problema sia riconosciuto da tali autorità, che devono agire per farci ottenere il risultato auspicato. Le belle parole non valgono nulla se non possiamo contare sulla collaborazione dei sindaci delle città.
Per assicurarci questa cooperazione, è fondamentale che le emissioni vengano rese note, perché le città producono l’80 per cento dei gas a effetto serra. Attualmente, le emissioni non sono note e, ciò che è peggio, non esiste uno standard comune per misurarle.
È nata un’organizzazione non a scopo di lucro chiamata CO2 Disclosure Project, che raccoglie informazioni presso migliaia di aziende e, a mio parere, potrebbe anche essere sfruttata dal governo locale. Senza la collaborazione del governo locale e dei sindaci, l’azione ambientale non raggiungerà alcun risultato, il che è proprio quello che vogliamo evitare.
Theodoros Skylakakis (PPE). – (EL) Signor Presidente, sta emergendo un grave scandalo ambientale, che deve essere affrontato alla conferenza di Cancún. Il 60 per cento dei diritti del meccanismo di sviluppo pulito venduti nello scambio di emissioni è per la distruzione di un gas a effetto serra industriale, l’HFC-23, a un costo di 70 volte superiore al costo reale, che viene pagato prevalentemente dagli utenti europei dell’elettricità.
A oggi abbiamo sprecato 1,5 miliardi di euro e, se questa situazione dovesse perdurare, ne spenderemo altri 3,5 milioni entro il 2013, rispetto al valore reale della distruzione del gas, pari appena a 80 milioni di euro. Questo sta generando massicci utili immeritati per poche società nel mondo, senza alcun beneficio ambientale, visto che negli ultimi anni l’HFC-23 nell’atmosfera è aumentato.
È una situazione inaccettabile che mette in discussione l’onestà della nostra politica ambientale e il meccanismo di Kyoto. L’Europa ha bisogno di iscrivere il problema nel contesto della COP-16 perché un cambiamento della politica internazionale al riguardo offre un’opportunità straordinaria di limitare drasticamente e senza mezzi termini le emissioni di gas a effetto serra a un costo estremamente contenuto e chiedere a paesi come la Cina, che sta attualmente immettendo notevoli quantità di HFC-23 nell’atmosfera, che potrebbero essere azzerate se la Cina utilizzasse una parte del denaro ottenuto in imposte su questi utili immeritati, di partecipare più attivamente agli sforzi per combattere il cambiamento climatico.
Lo spreco di oltre 4 miliardi di euro di denaro dei contribuenti europei è intollerabile. È compito del Parlamento europeo difendere gli interessi pubblici e quelli dei consumatori.
Edite Estrela (S&D). – (PT) Signor Presidente, il contesto internazionale in cui si inserisce questa conferenza non è favorevole: vi è la crisi economica globale, incertezza politica e amministrativa negli Stati Uniti e ristagno nei negoziati tra USA e Giappone. Le aspettative sono dunque limitate. Ciò nonostante, però, il vertice di Cancún dovrebbe essere percepito come un’opportunità per ricreare fiducia nel processo multilaterale e nel cambiamento climatico, consolidando l’accordo di Copenaghen. È il minimo che possa essere fatto, e anche questo richiede determinazione e leadership politica durante i negoziati, oltre ad ambizione nel processo decisionale. Soprattutto, occorre compiere progressi nei settori che interessano i paesi in via di sviluppo: finanziamento, trasferimento di tecnologia e sviluppo di capacità. In termini di mitigazione si prevedono però progressi, specialmente a livello di fissazione di obiettivi ambiziosi e vincolanti per ridurre le emissioni e trasferire processi, soprattutto il monitoraggio, fornire informazioni e controllare.
Prescindendo dall’esito degli accordi internazionali, l’Unione europea dovrebbe perseguire l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 di più del 20 per cento al fine di creare posti di lavoro “verdi” e crescita economica. In sintesi, i risultati di Cancún dovrebbero dare il proprio apporto fornendo definizioni per il periodo post-2012 in maniera da giungere a un accordo nel 2011 che sia legalmente vincolante e risponda all’obiettivo generale di limitare l’aumento della temperatura globale a 2 gradi.
Roger Helmer (ECR). – (EN) Signor Presidente, parlando a titolo personale, vorrei ricordare ai colleghi che il pubblico non crede più al riscaldamento globale provocato dall’uomo. Gli elettori sono stanchi di essere biasimati per il cambiamento climatico e non sono più disposti a pagare per esso.
Sempre maggiore è il numero di esperti che pubblicamente sfidano l’ortodossia del clima. La credibilità dell’IPCC è andata in frantumi. I recenti, lievi cambiamenti climatici sono del tutto compatibili con i cicli climatici naturali a lungo termine, ormai consolidati. Copenaghen ha fallito per lo stesso motivo per il quale fallirà Cancún. Gli Stati Uniti, con la loro nuova maggioranza repubblica alla Camera, non accetteranno il sistema di limitazione e scambio. India e Cina non rinunceranno al progresso in nome dell’allarmismo climatico. Le nostre politiche verdi sono probabilmente inutili, sicuramente inefficaci e rovinosamente costose.
Se l’Europa agirà da sola, distruggeremo le nostre economie e impoveriremo i nostri nipoti senza ottenere alcun effetto sul clima. Stiamo abbracciando la povertà per scelta nel nome di una teoria scientifica controversa. È tempo di cambiare rotta.
Catherine Soullie (PPE). – (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, unione e realismo saranno sotto i riflettori, perlomeno così vorrei che fosse, domani quando voteremo la nostra risoluzione per la XVI conferenza delle parti sul cambiamento climatico. Spero dunque che il nostro Commissario incaricato sia in grado di mantenere gli obiettivi programmatici che dobbiamo collettivamente conseguire, ma anche di difendere le relative condizioni, assolutamente non negoziabili, che l’Europa deve imporre.
Parimenti non dobbiamo perdere di vista nei negoziati le aspettative che hanno i nostri concittadini e le nostre industrie di un giusto equilibrio. È il mondo a dover combattere il cambiamento climatico, non la sola Europa.
Sarà quindi fondamentale riconoscere l’importanza della proprietà intellettuale, che è tutelata in maniera non adeguata. Le tecnologie verdi devono andare a beneficio del maggior numero possibile di persone, ma ciò non significa che dobbiamo svendere le nostre conoscenze presenti e future, neanche in nome della battaglia cruciale che è quella contro il cambiamento climatico.
Analogamente, domandare metodi comuni per il calcolo delle emissioni, nonché la verifica e la pubblica dei dati in maniera che tutte le industrie che ne producono siano poste sulla stessa scala pare essere una richiesta del tutto legittima e non una tattica negoziale.
Infine, e il collega ha sollevato la questione qualche istante fa, più controversi sono gli escamotage dell’attuale meccanismo di sviluppo pulito, anch’essi da discutere. Onorevoli colleghi, siamo tutti, ahimè, perfettamente consapevoli del fatto che il vero potere negoziale non è nelle mani del Parlamento europeo. Tuttavia, la disponibilità di vari parlamentari, me compreso, a lavorare con partecipazione per ottenere un esito positivo di tale conferenza deve essere incoraggiata e non trascurata, come ci è parso che sia stato negli ultimi giorni. Se l’Europa desidera essere forte al centro dei dialoghi internazionali, tutti i suoi legislatori devono esserlo altrettanto.
Rovana Plumb (S&D). – (EN) Signor Presidente, essendo ottimista di natura, ritengo che ora a Cancún sia possibile un passo avanti sotto forma di un pacchetto equilibrato che consenta a tutti i paesi di intraprendere azioni più rapide e forti in tutti gli ambiti del cambiamento climatico. È dunque estremamente importante ristabilire la posizione di guida dell’Europa all’interno dei negoziati internazionali sul clima introducendo il principio della diplomazia climatica, così come importante è che l’Unione europea e i suoi Stati membri definiscano e attuino un principio di giustizia climatica, chiedendo quindi una clausola di equità nei futuri negoziati internazionali sul clima.
Sottolineo l’importanza di istituire un meccanismo che regoli il finanziamento degli aspetti economici del cambiamento climatico. Nuove fonti di reddito innovative, come un’imposta sulle operazioni finanziarie, fondi verdi o fonti private saranno indispensabili per reperire il denaro necessario per realizzare i progetti di adattamento e mitigazione nel campo del clima e giungere a una crescita verde che contribuisca al miglioramento della vita dei cittadini e a una crescita giusta. Nelle politiche sul cambiamento climatico non dimentichiamo la dimensione del genere.
Romana Jordan Cizelj (PPE). – (SL) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, il divario tra le aspettative e gli esiti della conferenza di Copenaghen è stato inaccettabilmente profondo. Per questo è necessario apportare qualche modifica. Questa volta partiamo per Cancún con obiettivi molto più realistici, eppure ancora ambiziosi. Signora Commissario, lei merita credito per aver garantito che, questa volta, l’Unione vada alla conferenza sul clima molto più preparata e per questo la ringrazio.
Vorrei tuttavia commentare alcuni emendamenti presentati. L’accordo raggiunto a Copenaghen ha prodotto alcuni risultati degni di nota, uno dei quali è sicuramente la decisione che dobbiamo agire per limitare l’aumento globale della temperatura a meno di a 2 gradi Celsius. Dobbiamo persistere in questo obiettivo e ora è giunto il momento di modificarlo, anche se ciò dovesse voler dire puntare a un obiettivo inferiore. Dobbiamo restare credibili. Ripeto: dobbiamo restare credibili. Non possiamo cambiare decisioni così importanti da un anno all’altro.
Risponderei anche alle proposte che l’Unione riduca unilateralmente le emissioni di gas a effetto serra del 30 per cento. Ritengo che non dovremmo allontanarci di nuovo dai paesi terzi. Dobbiamo innalzare l’obiettivo e lo innalzeremo, ma soltanto quando le circostanze saranno appropriate. Dobbiamo tuttavia garantire che si stabilisca la procedura per giungere in anticipo a tale decisione e, ovviamente, il Parlamento europeo sia opportunamente coinvolto nel processo decisionale.
Dobbiamo altresì incoraggiare lo sviluppo e l’uso di tecnologie pulite a livello globale. Sebbene l’accordo sul trasferimento di tecnologia sia estremamente importante, abbiamo anche bisogno di introdurre soluzioni appropriate per la tutela della proprietà intellettuale. Soltanto così il cambiamento climatico diventerà un’opportunità anziché un onere.
Infine, sul tema dell’impegno di finanziamento per ridurre l’impatto del cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo, vorrei sottolineare che l’Unione europea già dispone di un meccanismo finanziario a tal fine, segnatamente il regime europeo di scambio di emissioni o ETS. Dobbiamo garantire il corretto funzionamento e l’efficacia di tale regime, nonché l’erogazione trasparente e mirata dei fondi. Credo che sarebbe inappropriato creare nuovi oneri finanziari in un momento di crisi economia e finanziaria.
Justas Vincas Paleckis (S&D). – (LT) Signor Presidente, presto il mondo riceverà di nuovo buone, o come è successo abitualmente di recente, cattive notizie sul cambiamento climatico, questa volta da Cancún. La stragrande maggioranza degli esperti afferma che si sta esaurendo il tempo affinché l’uomo possa arrestare il cambiamento climatico, ma non è affatto diminuito il numero di coloro che negano tutto o si rifiutano di fare alcunché. L’Unione europea era e dovrebbe rimanere la forza trainante dei progressi nei negoziati. A Cancún, l’Unione europea dovrebbe meglio coordinare le posizioni degli Stati membri. È importante per noi assolvere i nostri doveri, dimostrare che è possibile avere uno sviluppo economico sostenibile e uno stile di vita rispettoso dell’ambiente. Solo cambiando noi stessi possiamo chiedere ad altri di seguire il nostro esempio.
Appoggerei realmente un passo unilaterale compiuto dall’Unione europea per ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 30 per cento entro il 2020. A Cancún è particolarmente importante tenere presente il neoformulato principio della giustizia climatica. Se il cambiamento climatico non viene arresto o perlomeno limitato, i paesi e i popoli più poveri saranno i primi a essere bruciati dal nostro pianeta in rapido surriscaldamento.
Sembrerebbe che alcune persone, società e nazioni stiano seguendo un adagio vecchio, ma svecchiato: dopo di me, intendendo dopo che ho ottenuto ingenti utili, il diluvio. Questo atteggiamento non deve vincere a Cancún.
Elisabetta Gardini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Commissario, signora Presidente del Consiglio, la volontà europea di stabilire obiettivi ambiziosi in vista della prossima conferenza sui cambiamenti climatici è sicuramente un impegno da perseguire con tenacia e con la consapevolezza che i risultati condizioneranno il futuro del nostro pianeta.
Ma è proprio per questo, cari colleghi, che noi dobbiamo essere realisti e più cauti nelle nostre aspettative. Per quanto ne sappiamo, i negoziati internazionali preparatori alla Conferenza di Cancún non solo non hanno registrato apprezzabili progressi verso un accordo globale, ma hanno confermato diffidenze e resistenze rispetto agli impegni assunti a Copenaghen.
È già stata citata, ma vorrei citare anche qui la Cina. La Cina si concede per esempio un aumento delle sue emissioni di 5 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2020, con conseguenze che potrebbero essere compensate, e forse nemmeno, solo con una riduzione del 100 per cento delle emissioni industriali europee entro lo stesso anno, entro il 2020.
Questo dato non solo rende velleitaria la proposta di riduzione incondizionata del 30 per cento, alla quale ci opponiamo con forza, ma induce molti osservatori indipendenti a ipotizzare comunque un aumento, anche significativo, delle emissioni globali per quella data. In questa situazione contraddittoria sarebbe quanto meno azzardato e persino demagogico ipotizzare numeri e tratteggiare scenari suggestivi ma non realistici, dove le incognite si riflettono inevitabilmente sulla dimensione dei costi.
L'auspicio è che l'Unione europea porti a Cancún una proposta condivisa, realistica e sostenibile, perché è sempre e comunque preferibile un accordo che dia risultati concreti e percepibili, piuttosto che aspettative inevitabilmente destinate al fallimento e a rendere sempre meno credibili agli occhi dell'opinione pubblica internazionale – e questo sì sarebbe un danno difficilmente riparabile – gli sforzi dei governi sui grandi temi ambientali.
Jolanta Emilia Hibner (PPE). – (PL) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, l’adozione di una risoluzione per la XVI conferenza delle parti in Messico è il primo passo di una discussione globale. È un compromesso estremamente difficile per tutti i paesi. Non dovremmo illuderci pensando che possiamo conseguire un successo immediato. Dobbiamo presentare una proposta che sia quanto più lungimirante possibile, ma che possa anche coagulare il maggior numero di paesi presenti alla conferenza.
Il principale obiettivo della risoluzione è raggiungere un compromesso sulla lotta al cambiamento climatico e al riscaldamento globale. Se intendiamo realizzare questo obiettivo, dobbiamo conquistare il sostegno dei paesi più grandi e dei maggiori produttori di emissioni. Tra questi, Stati Uniti e Cina. Dobbiamo discuterne con loro per considerarne le possibilità economiche, come anche dovremmo concentrarci sul raggiungimento degli obiettivi che abbiamo già iscritto nel pacchetto dell’Unione sull’ecologia. Alcuni colleghi affermano che è un pacchetto modesto, ma parla di una riduzione dei gas a effetto serra del 20 per cento. Compiamo questo primo passo e parliamo del successivo.
È anche importante assumere impegni con tutti i paesi in grado di accettarli. Se nuovamente prevediamo impegni che nessuno onorerà, non avranno alcun valore ed esisteranno soltanto sulla carta. Dobbiamo inoltre rivolgere la nostra attenzione ai paesi molto deboli in termini di sviluppo economico e con economie poco sviluppate. Il nostro obiettivo principale è tuttavia che il denaro vada sicuramente ai paesi più poveri, che dovrebbero avere accesso ai fondi dell’Unione. A nome di tutti i colleghi, vorrei dire che pensi tutti terremo le dita incrociate per la signora Commissario. Anch’io dichiaro la mia disponibilità a prestare assistenza nei negoziati.
Sirpa Pietikäinen (PPE). – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto, vorrei ringraziare la signora Commissario per il suo lavoro eccellente e impegnato sui temi del clima nell’Unione europea e a livello globale.
Consapevole del fatto che i negoziati nell’ambito dell’ONU su tutte le questioni internazionali sono attualmente molto complessi, ritengo che dovremmo sfruttare appieno l’orientamento basato sull’azione. Sappiamo che dovremo confrontarci con tale sfida globalmente in tutti i paesi, per cui l’azione per prevenire il cambiamento climatico è sempre redditizia, dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista delle aziende.
Diversi studi dimostrano che l’Unione potrebbe tagliare le sue emissioni di CO2 del 30 per cento o addirittura del 40 per cento entro il 2020 in maniera economicamente sostenibile e redditizia. A tal fine, sarebbe necessario in primo luogo sospendere le sovvenzioni nocive, come i 6 miliardi di euro all’anno in Europa per i combustibili fossili introducendo un sostegno legislativo più rigido al sistema di scambio di emissioni, l’efficienza delle risorse, l’efficienza energetica e strumenti come una direttiva più rigorosa in materia di eco-progettazione.
Penso che soltanto se indicheremo noi stessi la via, potremo convincere gli altri che (a) siamo seri, (b) questo è redditizio e (c) lo stiamo facendo per l’ambiente e il successo dell’economia europea.
Seán Kelly (PPE). – (GA) Signor Presidente, ringrazio il mio gruppo per avermi offerto l’opportunità di intervenire brevemente su un tema al quale sono molto interessato.
Ora l’esito della conferenza di Cancún è importante per l’Unione europea sia dal punto di vista dell’ottica sia da quello dei risultati. Dobbiamo dimostrare di essere realisti e parlare a una sola voce. Occorre ribadire con grande fermezza che il riscaldamento globale è un problema globale che ha bisogno di una soluzione globale con obiettivi vincolanti globali.
Per questo dovremmo attenerci ai nostri obiettivi del 20 per cento entro il 2020. Qualunque altra scelta sarebbe controproducente. Potrebbe decimare la nostra economia e renderci non competitivi mentre il mondo in via di sviluppo prende il largo.
Se entro il 2015 o giù di lì avremo raggiunto l’obiettivo del 20 per cento, potremo passare al 25 o 30 per cento, il che sarebbe visto come un successo in termini di pubbliche relazioni. Qualunque altra eventualità – ricercare il 30 per cento e non conseguirlo – sarebbe invece un fallimento, come è accaduto per la strategia di Lisbona. Ci è bastato. È tempo di dar prova di intelligenza facendo la nostra parte, ma accertandoci che il resto del mondo faccia altrettanto.
Infine, ho sentito dire che alcuni parlamentari potrebbero andare a Cancún per protestare. Hanno sicuramente il diritto di farlo, ma spero che lo facciano in veste privata e personale, non come delegati accreditati.
Danuta Jazłowiecka (PPE). – (PL) Signor Presidente, i miei colleghi hanno ripetutamente sottolineato la necessità di una posizione interna unica in merito alla politica sul clima. Vorrei tuttavia richiamare l’attenzione sul fatto che all’imminente conferenza sul clima dovremmo anche sfruttare la nostra più grande ricchezza che, come è emerso lo scorso anno, è anche la nostra più grande debolezza. Penso ai negoziati multilivello e al tentativo di comprendere le argomentazioni dei nostri partner, come anche all’attenta ricerca di un compromesso soddisfacente. Cerchiamo di fare in modo che il nostro know-how comunitario abbia un peso nella politica sul clima. L’isolamento del quale la signora Commissario ha parlato dipende dal coinvolgimento di Stati Uniti, Cina, Brasile, Russia e India. Senza tale coinvolgimento, qualunque misura assunta dall’Unione sarà inutile. Va inoltre detto chiaramente che, visto che le potenze economiche emergenti vogliono assumere un maggiore ruolo internazionale, devono anche accettare maggiori impegni. I paesi BRIC non possono sempre appellarsi alla loro necessità di recuperare terreno nello sviluppo come giustificazione per il loro disaccordo rispetto a misure radicali per salvaguardare il clima. Una maggiore autorità comporta una maggiore responsabilità.
Maria Da Graça Carvalho (PPE). – (PT) Signor Presidente, il successo della conferenza di Cancún sul cambiamento climatico è fondamentale per la credibilità del processo negoziale sotto l’egida dell’ONU. È dunque essenziale che si assumano impegni concreti e si fissino obiettivi realistici. È cruciale giungere a un accordo su aspetti quali le politiche per la salvaguardia delle foreste, il trasferimento di tecnologia ai paesi in via di sviluppo e il finanziamento.
Se non dovessimo riuscire a pervenire a un accordo globale, l’Europa dovrebbe comunque restare aperta alla possibilità di un secondo periodo di impegno per il protocollo di Kyoto, ma imponendo condizioni, specialmente per quanto concerne l’integrità ambientale del protocollo, la riformulazione del meccanismo di sviluppo pulito e l’assunzione di impegni da parte dei maggiori inquinatori del mondo, come Cina e Stati Uniti.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D). – (HU) Signor Presidente, nell’imminenza della conferenza sul clima di Cancún, l’Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero infine rendersi conto che fissare sempre più nuovi obiettivi unilaterali non contribuirà a esercitare influenza su Stati Uniti, Cina e India né contribuirà a includere le economie emergenti nella lotta al cambiamento climatico. Alla luce di ciò, l’impegno per una riduzione unilaterale del biossido di carbonio del 40 per cento proposto dal gruppo Verts/ALE pare eccessivo. Persino un impegno unilaterale del 30 per cento avrebbe senso soltanto se accompagnato da un’azione concreta. Concordo con la signora Commissario: l’Unione può riconquistare il suo ruolo di guida soltanto se dà prova di risultati concreti, investendo in ricerca e sviluppo, creando posti di lavoro verdi, sviluppando una rete di energia intelligente e perseguendo una politica di crescita verde sostenibile.
Karin Kadenbach (S&D). – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, il Parlamento ha già, in numerose occasioni, assunto un chiaro impegno nei confronti delle misure di salvaguardia del clima. Purtroppo, questo atteggiamento mi pare meno prevalente nei decisori degli Stati membri. I ministri dell’ambiente, spesso molto ambiziosi, vengono in molti casi lasciati ai loro mezzi. Anche i ministri delle finanze e dell’economia, così come i responsabili dei vari aspetti economici, pensano auspicabilmente in termini di archi temporali più lunghi. Gli interventi, tuttavia, nella maggior parte dei casi vengono intrapresi entro uno spazio temporale chiaramente circoscritto, ossia il periodo fino alle successive elezioni. La natura, però, non può tener conto delle necessità politiche quotidiane. Risponderà al cambiamento climatico, con tutte le conseguenze negative del caso per la gente, di fatto per l’umanità nel suo complesso. Se non riusciamo a comunicare l’urgenza della questione, e soprattutto l’urgenza di agire, una percentuale notevole dei nostri fondi dovrà essere destinata in un futuro non troppo distante all’assistenza per calamità.
Signora Commissario, con il motto “un pianeta, una voce” le auguro di avere successo a Cancún per il bene delle future generazioni.
Sonia Alfano (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, apprezzo molto la presenza e l'atteggiamento della signora Commissario. La ringrazio per il suo impegno a tenere continuamente aggiornato il Parlamento sugli sviluppi di Cancún.
La lotta al cambiamento climatico deve essere condotta a livello mondiale e con lo sforzo di tutti, ma l'atteggiamento per cui la nostra posizione debba dipendere da quella degli altri paesi è irresponsabile e non rende giustizia al ruolo che l'UE si è posta di giocare, un ruolo primario nel guidare le rivoluzioni culturali a livello mondiale, in primis quella della lotta ai cambiamenti climatici.
Dobbiamo porci obiettivi sempre più ambiziosi e far sì che vengano raggiunti dai vari Stati membri. Ringrazio quindi la Commissaria per aver richiamato l'Italia, qualche giorno fa, a mantenere le sue promesse in termini finanziari, vale a dire 200 milioni di euro per combattere i cambiamenti climatici. Purtroppo, devo riferire alla Commissione che la finanziaria del governo italiano non sembra prevedere al momento questi fondi.
Chiedo dunque alla Commissione di insistere con tenacia nell'utilizzare tutti i poteri a sua disposizione per far rispettare ai paesi membri le proprie promesse, specie quando si tratta di una battaglia così rilevante per il futuro prossimo della popolazione mondiale …
(Il Presidente interrompe l'oratore)
João Ferreira (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, l’Unione europea ha svolto un ruolo nel fallimento di Copenaghen e nell’arresto dell’avanzamento dei negoziati internazionali. Non basta dichiarare di essere ambiziosi, fissare obiettivi per altri paesi sviluppati, per quanto non raggiungano il livello delle raccomandazioni formulate dal gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, se non prestiamo attenzione ai mezzi attraverso i quali conseguire i risultati perseguiti. I mezzi per raggiungere gli obiettivi contano più degli obiettivi sui quali ci siamo soffermati nella nostra discussione, e questo è un tema centrale.
L’Unione europea insiste su un approccio di mercato usando strumenti di mercato che a oggi hanno dimostrato di essere inefficaci e perversi. Una manna per gli speculatori finanziari. Non è più soltanto cibo, non è più soltanto il debito sovrano degli Stati, bensì la stessa atmosfera, l’aria che respiriamo, che sarà al servizio di un nuovo regime miliardario per generare attività finanziarie fittizie.
Signora Commissario, possiamo ricondurre le cause dal cambiamento climatico all’irrazionalità del nostro sistema economico e sociale. Troveremo la soluzione spezzando questo sistema.
Iosif Matula (PPE). – (RO) Signor Presidente, il cambiamento climatico è sicuramente la più grande sfida con la quale oggi l’umanità deve confrontarsi.
Purtroppo, le aspettative della conferenza di Cancún sono decisamente modeste visto il fallimento di Copenaghen. A Copenaghen i paesi sviluppati dovevano presumibilmente sostenere con vari mezzi i piani di azione dei paesi in via di sviluppo per combattere gli effetti del cambiamento climatico. Tuttavia, l’impatto della crisi economica, sentito con particolare durezza dagli Stati membri dell’Unione, ci obbliga a concentrarci anche su altre priorità.
È fondamentale raggiungere un accordo sulla riduzione delle emissioni di carbonio. A Cancún l’Unione deve esprimere la sua posizione comune sugli obiettivi da conseguire e ricordare che il successo della strategia UE 2020 è subordinato al raggiungimento dell’obiettivo prefissato in tema di cambiamento climatico. Al riguardo, desidero sottolineare il ruolo dei partenariati intesi a sviluppare il potenziale dell’energia sostenibile a livello regionale e incoraggiare l’uso dell’energia rinnovabile.
Gilles Pargneaux (S&D). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, sappiamo quanto lei sia combattiva e sappiamo che lei desidera che a Cancún l’Europa parli infine all’unisono. Vorrei pertanto che esprimesse il suo parere su due argomenti, due azioni che figurano nella nostra risoluzione, in merito alla quale voteremo domani. Prima del voto di domani, gradirei che esprimesse pubblicamente la sua opinione.
In primo luogo, mi riferisco alla creazione di un fondo verde che finalmente ci permetterebbe di disporre di 100 milioni di dollari all’anno dal 2020 da stanziare per assistere i paesi più poveri.
In secondo luogo, mi riferisco all’introduzione di un’imposta dello 0,01 per cento sulle operazioni finanziarie, che creerebbe un fondo di 20 miliardi di euro, anch’esso utilizzabile per assistere i paesi più poveri. Ritengo che questo sia un argomento importante di natura finanziaria che ci permetterebbe di procedere oltre più rapidamente.
Angelika Werthmann (NI). – (DE) Signor Presidente, lo scopo della conferenza sul clima è stabilire un successore del protocollo di Kyoto, che scade nel 2012. Abbiamo urgentemente bisogno di compiere progressi nella lotta al cambiamento climatico. Nel complesso, l’Unione è decisamente sulla via, parlando in termini relativi, del conseguimento dei suoi obiettivi in materia di clima. Tuttavia, per noi sarebbe fondamentale, e mi riferisco all’Unione, ma anche agli Stati Uniti e alla Cina, cercare di definire i prerequisiti giuridici per un accordo di protezione in tema di cambiamento climatico. Soprattutto in questi momenti difficili, il rafforzamento della politica ambientale offrirà anch’esso un’opportunità sostanziale alla politica economica, per esempio attraverso investimenti in energie rinnovabili ed efficienza energetica.
Monika Flašíková Beňová (S&D). – (SK) Signor Presidente, i negoziati sul cambiamento climatico si trascinano ormai da due decenni presso varie sedi internazionali. Nonostante la crescente consapevolezza del fatto che si tratta di un problema veramente globale, da un punto di vista politico possiamo dire che sono stati vent’anni sprecati.
Il protocollo di Kyoto cesserà di essere applicabile nel 2012 e l’insuccesso della conferenza sul clima dello scorso anno a Copenaghen non dà alcuna speranza di un imminente cambiamento per il meglio. I negoziati sul clima di ottobre non hanno fatto che confermare lo scisma tra il cosiddetto mondo avanzato e il cosiddetto mondo in via di sviluppo, per cui a Cancún ci sarà molto da fare. Se desideriamo che la conferenza di Cancún abbia successo, la posizione dei paesi ricchi dovrà mutare sostanzialmente. Innanzi tutto dobbiamo ridurre drasticamente il volume di emissioni nazionali. La cosiddetta compensazione delle emissioni di CO2 in tale contesto non è una soluzione. Se i paesi ricchi acquistano permessi dai paesi poveri per continuare a produrre emissioni, non aiuteremo il clima in alcun modo.
Kyriakos Mavronikolas (S&D). – (EL) Signor Presidente, la domanda che dobbiamo inevitabilmente porci: saremo in grado di avanzare sui temi del cambiamento climatico a Cancún? Mi sembra che la nostra posizione e i nostri obiettivi effettivamente imprimano un ritmo a livello di cambiamenti necessari per evitare il disastro ecologico.
Le posizioni dell’Unione sono ancora le posizioni giuste e non dobbiamo soltanto chiarirle in occasione della conferenza, bensì dobbiamo anche ottenere risultati nettamente migliori di quelli conseguiti a Copenaghen.
Purtroppo, signora Commissario, non possiamo non aspettarci nuovamente che toccherà a noi convincere i paesi grandi, specialmente Stati Uniti e Cina, ad aderire a questo impegno generale per combattere il cambiamento climatico. Spero che tali sforzi siano fruttuosi.
Connie Hedegaard, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, pensavo di potermi limitare sostanzialmente a tre commenti dopo questo animato dibattito, ma ritengo di dover innanzi tutto rispondere a una domanda molto diretta dell’onorevole Pargneaux: penso che si possano compiere progressi interessanti in merito all’architettura di un fondo verde. Tuttavia, per molti, alcune fonti di finanziamento molto specifiche dovranno forse essere maggiormente approfondite, visto che sono passate soltanto due settimane da quando il gruppo di alto livello dell’ONU ha formulato i vari input.
Realisticamente parlando, dovremmo compiere progressi sostanziali. Dovremmo sapere che cosa intendiamo fare con questo fondo e come costituirlo. Dopodiché sono certa che entro breve tempo potremo anche pronunciarci in merito ai requisiti del fondo. Penso che sia necessario avanzare gradualmente, ma siamo decisamente favorevoli a procedere con il fondo verde.
Passo ora ai miei tre commenti. In primo luogo, l’onorevole Ulvskog ha detto poc’anzi nel corso della discussione che la questione del clima quest’anno è scaduta nell’agenda internazionale, il che è ovviamente vero, ma è anche vero che se raffrontiamo la nostra attuale posizione con due, cinque o dieci anni fa, oggi il clima è ai primi posti della nostra agenda.
Se non fosse stato per l’imminenza dell’accordo di Copenaghen, secondo voi le questioni del cambiamento climatico, dell’efficienza energetica e delle soluzioni per promuovere una crescita verde sarebbero sopravvissute alla crisi economica? La mia risposta sarebbe probabilmente negativa. È un tema ancora di grande rilievo nella nostra agenda comunitaria, ed è questo il posto che deve continuare a occupare.
L’onorevole Ouzký ha detto che l’Europa è sempre “troppo ottimista”; orbene, forse non lo è sempre invano. Non sono i pessimisti a realizzare grandi imprese. Fissando obiettivi, l’Europa ha mostrato la via nel 2008 e, nei preparativi per Copenaghen, molte economie l’hanno seguita.
Due anni fa eravamo pressoché i soli a fissare obiettivi. In vista di Copenaghen, grandi economie, come Indonesia, Messico, Corea, India, Sudafrica e altre, l’elenco è decisamente più lungo, hanno stabilito obiettivi nazionali. A parità di condizioni, questo è anche molto importante se viene visto da una prospettiva imprenditoriale europea. È stato un risultato effettivamente conquistato. Ora in molti paesi questi obiettivi nazionali comporteranno una sorta di cambiamento paradigmatico. Certo per molti versi è troppo lento, ma comunque di fatto abbiamo già percorso un lungo tragitto.
Qualcuno ha fatto riferimento alle economie emergenti. Prima per le economie emergenti questo non era un problema. Due anni fa le economie emergenti avrebbero detto che il clima non era un tema che erano chiamate ad affrontare. Era compito dei paesi ricchi, dei paesi sviluppati, farlo. Oggi, a seguito di Copenaghen, riconoscono di essere corresponsabili. Su questo dovremo costruire a Cancún e lo faremo.
Sono state poste alcune domande sul meccanismo di sviluppo pulito. Innegabilmente è un problema. Si pongono alcune sfide al riguardo e ciò fa parte del nostro elenco di cose da fare a Cancún: cercare di compiere alcuni passi verso le necessarie riforme del sistema CDM.
All’onorevole Skylakakis vorrei replicare che sono lieta di annunciare che domani la Commissione presenterà la sua proposta su talune limitazioni di uso riguardanti i gas industriali. Vi è stata un’eccellente collaborazione con il Parlamento, che ha intensamente partecipato a tale elaborazione, collaborazione e partecipazione necessarie per giungere a una conclusione positiva con gli Stati membri. Domani, come ho detto, presenteremo la proposta e spero che risponda a molte preoccupazioni manifestate dal Parlamento.
Il mio commento finale si rivolge agli onorevoli Leinen e Arsenis, i quali hanno ambedue affermato di temere che l’importanza Cancún venga troppo sminuita. Credo che affermare che vogliamo un esito ambizioso, sostanziale ed equilibrato, con tutti gli elementi citati da me personalmente e dalla Presidenza belga, non significhi sminuire eccessivamente. Se realmente prendiamo una decisione sulla silvicoltura, l’adattamento, la tecnologia, la disponibilità del finanziamento rapido, la misurazione, la rendicontazione e la verifica dei mercati del carbonio e i diversi elementi che abbiamo rammentato in questa sede, penso che si tratti di progressi sostanziali.
Tutti sappiamo perché non possiamo ottenere una delle cose che vorremmo: un accordo internazionalmente vincolante. Uno dei motivi è l’assenza di progressi all’interno del Senato americano. Tutti siamo coscienti del fatto che questo è il motivo. Penso nondimeno che, se manteniamo lo slancio, è ancora probabile raggiungere l’obiettivo europeo quanto prima, ossia avere un accordo internazionalmente vincolante.
Faremo tutti del nostro meglio per conseguire questo tipo di progressi a Cancún. L’alternativa è drammatica, direi quasi tragica. Dobbiamo assicurarci il risultato e posso garantirvi che, insieme, la delegazione europea si adopererà al meglio per conseguire lo scopo e lo faremo in modo tale che tutto il mondo possa sentire che stiamo parlando all’ormai famoso “unisono”, sperando che sia il famoso “unisono” in cui tutti dicono la stessa cosa, tutti formulano le stesse priorità, che si tratti di ministri, membri della Commissione, esperti o membri del Parlamento europeo.
Anch’io confido nella possibilità di collaborare con la vostra delegazione una volta giunti a Cancún.
Joke Schauvliege, Presidente in carica del Consiglio. – (NL) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, come è ovvio concordo con le parole della signora Commissario e vorrei anche ringraziare tutti i membri del Parlamento per i tanti commenti, comprese le preoccupazioni manifestate. Abbiamo in ogni caso preso nota di tutte le perplessità espresse e le terremo nella debita considerazione. Vorrei altresì ringraziare la Commissione e i suoi servizi per la collaborazione costruttiva sinora dimostrata. Penso che dovremmo continuare su questa via e ciò sarà anche fondamentale nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, sia a Cancún sia alla stessa conferenza sul cambiamento climatico. La signora Commissario ha già risposto a molti punti sollevati, ma vorrei personalmente soffermarmi su alcuni aspetti ulteriori.
Ho sentito molti commenti sulla credibilità, sulla necessità di “parlare all’unisono”, e ovviamente dobbiamo farlo. So, in base alla mia esperienza personale, avendo partecipato alla X riunione della conferenza delle parti (COP 10) riguardante la convenzione sulla diversità biologica (CBD) a Nagoya, che l’Unione europea può farlo, ed è peraltro l’unico modo per ottenere un esito positivo. Dobbiamo considerare non soltanto le esperienze di Nagoya, bensì anche le esperienze negative di Copenaghen dello scorso anno, e da esse trarre lezioni. In realtà, il Consiglio lo ha fatto, per cui ha adottato esso stesso una posizione chiara. Abbiamo le nostre conclusioni del Consiglio sulla quale delle quali possiamo proclamare il messaggio inequivocabile dell’Unione, anche a livello internazionale.
Onorevole Eickhout, è superfluo dire che, se l’Unione europea deve tornare alle conclusioni del Consiglio, si applicherà il coordinamento comunitario, come è sempre stato prassi comune, così come il messaggio sarà successivamente concordato senza ambiguità in detta sede. Ho anche sentito una serie di commenti sul passaggio a una riduzione del 30 per cento. Come sapete, il Consiglio ha anche avallato la relazione della Presidenza al riguardo. Mi riferisco alla relazione basata sulla comunicazione della Commissione che presenta un’analisi dell’impatto del passaggio al 30 per cento. In detta relazione, e ciò è stato accettato dal Consiglio, abbiamo chiesto alla Commissione di esaminare ulteriormente l’impatto sui livelli degli Stati membri. In proposito, si è anche promesso che, in primavera, in occasione del Consiglio, si terrà una discussione sulla base dell’ulteriore esame della Commissione in merito al passaggio a una riduzione del 20 per cento.
Onorevoli parlamentari, molti di voi hanno giustamente sottolineato l’importanza della conferenza di Nagoya. Non si tratta di adeguare le nostre ambizioni. Dobbiamo essere realistici, ma dobbiamo altresì profondere ogni sforzo per garantire che anche a Cancún si raggiunga un esito positivo, e intendo un pacchetto di misure equilibrato. Noi, Presidenza belga, faremo tutto ciò che è in nostro potere per raggiungere tale obiettivo. Dovremo farlo unitamente a tutti gli Stati membri e alla Commissione europea con il vostro sostegno garantendo in tal modo che, contando sulla forza della fiducia riconquistata a Nagoya, dove un’azione a livello multilaterale ha consentito nuovamente di giungere a un accordo, si possa proseguire in tale spirito a Cancún ricreando anche speranza per il clima.
PRESIDENZA DELL'ON. ROBERTA ANGELILLI Vicepresidente
Presidente. − Comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione(1) conformemente all'articolo 110, paragrafo 2, del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 25 novembre 2010.
Dichiarazioni scritte (articolo 149)
János Áder (PPE), per iscritto. – (HU) Forse avete già sentito parlare dello scandalo dell’HFC-23 annunciato alla conferenza stampa di ieri dal gruppo PPE. Anch’io trovo assolutamente oltraggioso che i contribuenti europei debbano pagare all’incirca 70 volte di più per distruggere un gas a effetto serra generato durante la produzione di un gas refrigerante già in fase di progressiva eliminazione, creando enormi utili extra per poche società prevalentemente cinesi e indiane. Lo scandalo si somma al danno perché la Commissione europea, facendo riferimento alla fiducia degli investitori, non prevede di sospendere lo scambio di tali emissioni immediatamente, entro il 2013, modificando questa situazione insostenibile.
Il tutto è ancora più oltraggioso alla luce del fatto che ai negoziati internazionali sul clima la Commissione sta facendo quanto in suo potere per impedire agli Stati neoaderenti di mantenere le quote di Kyoto che fanno parte della loro ricchezza nazionale, e lo fa nonostante vi siano effettive riduzioni di emissioni dietro le quote alle quali gli ex paesi socialisti, tra cui l’Ungheria, hanno diritto e per le quali i paesi dell’Europa orientale hanno pagato un prezzo considerevole da quando il regime è cambiato. Tuttavia, l’aspetto principale dello scandalo rivelato ieri consiste precisamente nel fatto che, mentre i consumatori europei hanno pagato sinora 1,5 miliardi di euro per distruggere l’HFC-23, la concentrazione atmosferica di questo gas, 12 000 volte più aggressivo del biossido di carbonio, è aumentata notevolmente negli ultimi due decenni. Non deve dunque sorprenderci, onorevoli colleghi, che con questi doppi standard l’Unione non possa avere una posizione comune a Cancún, come è avvenuto a Copenaghen.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Propugno un accordo vincolante che sancisca un sistema internazionale di sanzioni per il vertice sul clima di Cancún che inizierà il prossimo lunedì. È chiaro che un siffatto accordo avrà senso soltanto se sarà vincolante per i principali inquinatori globali: Stati Uniti, Cina e India. L’Unione è stata un leader nella lotta al cambiamento climatico e dovrebbe essere incoraggiata a consolidare tale leadership, pur senza dimenticare gli sforzi tremendi che le nostre industrie hanno già compiuto per rispondere alle riduzioni obbligatorie delle emissioni in Europa. Va notato che l’Unione è responsabile all’incirca del 15 per cento delle emissioni globali e si stima che tale percentuale scenderà al 10 per cento entro il 2030, mentre Stati Uniti, Cina e India sono responsabili del 50 per cento delle emissioni globali e tale percentuale tende ad aumentare. Di conseguenza, non concordo con l’ipotesi che l’Unione limiti unilateralmente le proprie emissioni di CO2 del 30 per cento, anziché del 20 per cento, se a questo non dovesse corrispondere un pari impegno da parte di altri paesi, segnatamente gli Stati Uniti. Ciò non significa che l’ambizione dell’Unione debba essere ridimensionata. Ritengo viceversa che, anche se altri non dovessero seguirci, dovremmo continuare a concentrare il nostro impegno sulla ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica rispetto alle fonti di energia non basate sul carbonio, l’efficienza energetica e la creazione di posti di lavoro verdi per aumentare la nostra competitività.
Alajos Mészáros (PPE), per iscritto. – (HU) Verso un protocollo post-Kyoto... La XVI conferenza delle parti firmatarie della convenzione quadro dell’ONU sul cambiamento climatico, prevista a dicembre in Messico, assume un’importanza ancora maggiore dopo l’insuccesso del vertice di Copenaghen. Sebbene a livello internazionale Copenaghen possa considerarsi un passo avanti, è ben lungi dall’aver risposto alle nostre aspettative. Il protocollo di Kyoto scade nel 2012, ragion per cui è estremamente importante definire chiaramente una serie di obiettivi globali che siano condivisi da tutti. Non è sufficiente la presenza di un accordo relativo sull’argomento all’interno dell’Unione. È importante che anche gli Stati Uniti e le principali potenze asiatiche adottino i nostri obiettivi. Anche se a Cancún non fosse possibile giungere a un accordo sui numeri e le percentuali, è assolutamente fondamentale che gli Stati firmatari convengano piani e impegni concreti, preparando in tal modo la via alla stipula di un accordo post-Kyoto in Sudafrica nel 2011. È necessario arrivare a un accordo su aspetti quali il finanziamento, la sorveglianza e i meccanismi di controllo. L’Unione europea deve dare il buon esempio dando prova di una posizione coesa.
Katarína Neveďalová (S&D), per iscritto. – (SK) Vorrei esordire sottolineando che la conferenza sul cambiamento climatico di Cancún è un’altra grande opportunità di fare qualcosa per le future generazioni e, perlomeno parzialmente, ovviare alle manchevolezze di Copenaghen. Non è più possibile negare il cambiamento climatico globale. I vigneti nelle zone montuose e la presenza in determinate aree di colture che non vi erano mai cresciute prima ne sono esempi, come lo è la frequenza maggiore rispetto al passato con cui si verificano calamità naturali. Dobbiamo adottare una soluzione a lungo termine responsabile. Non sono un’esperta di ambiente e le teorie differiscono, ma ritengo che sia necessario fare qualcosa. Dobbiamo smettere di discutere se il cambiamento climatico sia un dato di fatto e discutere invece come combatterlo. Dobbiamo smettere di discutere se il cambiamento climatico possa essere fermato e fare invece qualcosa in merito. L’Unione europea deve essere un leader in tali discussioni, così come devono esserlo tutti i suoi Stati membri. Siamo responsabili del futuro dell’intero mondo. Siamo a favore di una consistente riduzione della produzione di emissioni. Dobbiamo riunire regioni, città e campagne per tutelare l’ambiente. Dobbiamo creare più posti di lavoro verdi. Dobbiamo sostenere l’investimento in ricerca e innovazione. Penso che siamo quelli che ancora possono salvare il pianeta, ma dobbiamo unirci risoluti.
Bogusław Sonik (PPE), per iscritto. – (PL) I negoziati sul clima di Cancún inizieranno soltanto tra una settimana. L’Unione ha adottato piani ambiziosi nel campo della riduzione delle emissioni, del finanziamento, della silvicoltura e del trasferimento di tecnologia. Da un lato, la diligenza nei negoziati sul clima è importante; dall’altro, però, questo non deve offuscare il valore delle decisioni che verranno effettivamente prese alla conferenza. Si dovrebbero anche trarre conclusioni dai risultati deludenti della conferenza di Copenaghen sul cambiamento climatico in occasione della quale non si sono prese importanti decisioni specifiche. Pertanto, durante la XVI conferenza delle parti, l’Unione europea dovrebbe contribuire a ricreare fiducia nei negoziati internazionali sul cambiamento climatico. La discussione si è già protratta abbastanza. Ora a Cancún si dovranno elaborare le corrispondenti misure specifiche sulla base delle quali sarà possibile pervenire a un accordo internazionale completo in Sudafrica nel 2011.
Presidente. – L'ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul futuro del partenariato strategico UE-Africa alla vigilia del terzo vertice UE-Africa.
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio, a nome del Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto vi sono estremamente grato per avermi offerto l’opportunità di parlare del prossimo vertice Unione europea-Africa che so interessa molti di voi.
Se il primo vertice, svoltosi al Cairo nel 2000, ha avviato il processo di cooperazione continentale, il secondo, tenutosi a Lisbona nel 2007 ha definito il nuovo programma per le relazioni UE-Africa. Il terzo, a Tripoli, dovrebbe consolidare il nostro partenariato strategico e portare infine a risultati concreti.
È in materia di pace e sicurezza che il ruolo guida dell’Unione africana è della massima importanza. L’Unione africana è stata la prima a inviare una missione per il mantenimento della pace in Sudan. Grazie al gruppo presieduto da Mbeki, l’Unione africana sta assumendo un ruolo politico globale di primo piano nel Darfur. I recenti progressi ottenuti nei negoziati su un accordo quadro Nord-Sud costituiscono un importante passo avanti verso una transizione pacifica. L’impiego dell’Unione per una missione di osservazione elettorale sottolinea chiaramente la nostra determinazione a contribuire a garantire una transizione pacifica in Sudan. La missione AMISOM dell’Unione africana in Somalia è l’unico attore fisicamente presente a Mogadiscio.
Per quanto attiene ai colpi di stato, la rigida norma della tolleranza zero applicata dall’Unione africana offre protezione e svolge un ruolo decisivo nel ristabilire un ordine costituzionale. L’Unione africana è ormai divenuta un’organizzazione che fissa norme non solo in questo campo ma anche in materia di governance politica e nel processo di integrazione economica sul continente africano. Essa fornisce il quadro politico che permette agli stati membri e alle comunità economiche regionali di promuovere gli scambi intrafricani e le infrastrutture transnazionali. L’intero portafoglio del Nuovo partenariato per lo sviluppo dell'Africa, incluso il programma di sviluppo socioeconomico, è ora completamente integrato nell’Unione africana.
Questo processo interno procede di pari passo con le riforme attuate nelle strutture di governance internazionali in materia di rappresentanza africana.
L’Unione africana gode di un’ottima posizione al fine di coordinare, sulla scena internazionale, le posizioni africane.
Per quanto riguarda il cambiamento climatico, ad esempio, l’Unione africana ha incaricato il Primo ministro etiope di parlare sulla scena internazionale a nome dell’Africa.
L’Unione africana è divenuta indispensabile all’Unione europea nei casi in cui servono soluzioni e contributi dall’Africa, che si tratti di mantenimento della pace, migrazione, traffico di droga, cambiamenti climatici o Corte penale internazionale. Il continente africano offre anche opportunità che l’Unione dovrebbe esplorare: ad esempio la cooperazione in materia di energia, il trattato sul commercio delle armi e le prospettive offerte dal settore privato, per nominarne solo alcune. Nell’ambito della cooperazione Unione europea-Africa, una sfida particolare è chiaramente rappresentata dalla Corte penale internazionale. I nostri partner africani hanno contribuito alla sua istituzione e la loro cooperazione rimane essenziale per raggiungere questo obiettivo politico che riveste una fondamentale importanza per l’Unione europea. Ciò nonostante essi hanno criticato il modo in cui ci si è occupati del caso del Presidente del Sudan al-Bashir e il fatto che il Consiglio di sicurezza non abbia invocato una sospensione del procedimento, portando l’Unione africana a prendere le distanze dalla Corte. L’Unione europea resta assolutamente favorevole all’indipendenza della Corte; ovviamente possiamo lasciare la questione in mano al Consiglio di sicurezza solamente per quanto riguarda un’eventuale procedura di sospensione. Durante il prossimo vertice esprimeremo in modo chiaro il nostro parere, pur sapendo perfettamente che il vertice di certo non porterà ad un cambiamento nella posizione dell’Unione africana, che è stata stabilita in modo altrettanto chiaro.
L’Europa rimane il partner più importante dell’Africa. La cooperazione politica, economica, istituzionale e allo sviluppo supera sempre quella di qualsiasi altro partenariato regionale o di qualunque relazione con un governo nazionale. L’Unione non dovrebbe tuttavia sottovalutare il rapido aumento di partecipazione dei partner emergenti. Questo nuovo contesto dovrebbe essere gradito all’Unione europea, ma poiché esso influisce sulle relazioni Unione europea-Africa, chiediamo anche una rinnovata attenzione agli elementi noti che costituiscono la nostra carta vincente e un valore aggiunto, al fine di garantire un migliore coordinamento e dare priorità alle situazioni che costituiscono un vantaggio per tutti.
L’Unione europea si trova in una posizione istituzionale unica: in un mondo dove due Unioni puntano all’integrazione regionale e desiderano contribuire all’avvento di un sistema multilaterale di governance globale. L’Unione africana segue con interesse la creazione delle nuove istituzioni introdotte in virtù del trattato di Lisbona. Un’Africa serena, corteggiata da più partner che offrono per la prima volta, la prima volta dopo tanto tempo, promettenti prospettive di crescita, vorrà chiaramente essere trattata da pari.
Fervono dunque i preparativi per il vertice. Le discussioni con i nostri ospiti libici e i nostri interlocutori dell’Unione africana sono state utili. Molti leader sia europei che africani hanno confermato la loro presenza ai massimi livelli. Le principali discussioni al vertice tratteranno il tema centrale: investimenti, crescita economica e creazione di occupazione, ma toccheranno anche temi secondari ad esso associati. Ci auguriamo che le discussioni portino a risultati concreti.
I partecipanti a livello ministeriale al dialogo politico che si è svolto in Malawi sono riusciti a ultimare il comunicato del vertice, la dichiarazione di Tripoli, e il piano d’azione comune per il periodo 2011-2013. Quest’ultimo rappresenta una solida base per i nostri futuri impegni garantendo un buon equilibrio tra priorità tradizionali di sviluppo – infrastrutture, obiettivi di sviluppo del Millennio, temi politici – pace e sicurezza, governance democratica e diritti umani, migrazione, mobilità, occupazione e nuovi promettenti settori di cooperazione, quali l’energia rinnovabile, i cambiamenti climatici, le tecnologie dell’informazione e lo spazio, per nominarne solo alcuni.
Infine, a nome del Presidente Van Rompuy, desidero esprimere la mia approvazione per la partecipazione costruttiva del Parlamento alle discussioni sul futuro delle relazioni tra Africa e Unione europea, e approvo l’incontro tra il Parlamento europeo e il Parlamento panafricano, che si terrà a Tripoli il 27 novembre, alla vigilia del vertice. Tale incontro rappresenta un’ottima occasione per redigere le raccomandazioni di base per la discussione in plenaria che avrà luogo durante il vertice. Sono soddisfatto anche del tenore della discussione di oggi e ascolterò con interesse i vostri pareri.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, è vero che il partenariato europeo con l'Africa è incentrato sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio e sulla lotta alla povertà. Ma al contempo le nostre relazioni vanno ben oltre. Le opportunità di cooperazione tra i due continenti sono straordinarie.
Questo mese la Commissione ha presentato proposte su come consolidare le nostre relazioni, rafforzandole e concentrandosi sulla crescita sostenibile e inclusiva a lungo termine. Il vertice di Tripoli sarà un’ottima occasione per discutere di come migliorare la nostra cooperazione.
La Commissione ritiene che sia necessario valorizzare il dialogo politico andando oltre gli scenari di sviluppo tradizionali. L’Unione europea e l’Africa devono cooperare tra loro, anche sulla scena internazionale per promuovere gli interessi comuni: i cambiamenti climatici, gli obiettivi di sviluppo del Millennio, la pace e la sicurezza, la governance democratica e i diritti umani.
Tale obiettivo mira a garantire che entrambe le parti possano affrontare insieme le sfide globali che saranno il tema centrale di discussione al vertice e preparare il terreno per una cooperazione più efficace e vantaggiosa per entrambi.
Considerando i temi centrali del vertice, investimenti, crescita e creazione di occupazione, dobbiamo stringere un accordo di collaborazione per superare la crisi economica e finanziaria. Ciò richiederà in particolare la promozione di un ambiente più favorevole agli affari e agli investimenti. Sarà l’occasione di esaminare settori promettenti quali le energie rinnovabili, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, la scienza. Si tratta di aree nelle quali le necessità africane sono enormi e al contempo l’Europa ha molto da offrire. Possiamo costruire anche sui successi ottenuti congiuntamente finora: pace e sicurezza, integrazione regionale.
Questo ambizioso programma impone di costruire sui successi del vertice di Lisbona del 2007 e sui risultati ottenuti da allora dalla strategia comune Africa-UE e dal suo primo piano d’azione. Abbiamo imparato che un maggiore impegno da entrambe le parti è necessario al fine di superare l’attuale frammentazione dei quadri politici e degli strumenti finanziari. È necessario migliorare la sinergia tra le politiche comunitarie, in particolare con l’Africa subsahariana e la regione mediterranea, atta a garantire una reale coerenza e una maggiore efficacia e visibilità. Serve anche un migliore coordinamento interno con gli Stati membri e l’attivo coinvolgimento di tutti gli attori in gioco: il Parlamento, la società civile, il settore privato.
Al fine di ottenere risultati migliori, il piano d’azione per il periodo 2011-2013 dovrebbe dare la priorità alle attività con un chiaro valore aggiunto a livello regionale, continentale o globale. Il vertice sarà l’occasione perfetta per tracciare il nostro cammino futuro. Questo richiederà anche cambiamenti da parte dell’Europa, e ci costringerà a migliorare il nostro modo di gestire le relazioni con l’Africa.
Sono del parere che dovremo continuare la discussione dopo il vertice ma sono altresì impaziente di ascoltare la discussione di oggi, che ci permetterà di arrivare al vertice preparati.
Filip Kaczmarek, a nome del gruppo PPE. – (PL) Signora Presidente, le sfide comuni alle quali l’Africa e l’Unione europea si trovano di fronte sono chiare e inequivocabili. Sia il Presidente del Consiglio Chastel che il Commissario Piebalgs hanno discusso di questo. Indubbiamente possiamo includervi sradicamento della povertà, pace e sicurezza, democrazia e diritti umani, governance globale e cambiamenti climatici. Abbiamo fissato anche degli obiettivi specifici a livello internazionale: gli obiettivi di sviluppo del Millennio. Concordo con il Commissario Piebalgs che il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio sarà in effetti cruciale per la cooperazione allo sviluppo e per il futuro dell’Africa.
Abbiamo formulato anche degli altri obiettivi, fondamentali per le relazioni tra l’Unione europea e l’Africa. Essi sono: il miglioramento della qualità della governance politica e una governance efficace, onesta e sostenibile delle risorse naturali ed economiche. L’auspicio è che il partenariato tra l’Unione europea e l’Africa, così come le strategie e le misure comuni, producano effetti ben precisi. Ci auguriamo ad esempio che la crescita economica alla quale stiamo assistendo in molti paesi africani promuova l’inclusione sociale e riduca povertà e disuguaglianza sociale. In proposito intendiamo in effetti creare le condizioni per gli investimenti e il commercio e, di conseguenza, per la creazione di nuovi posti di lavoro. Ci auguriamo altresì che tale sviluppo sia sostenibile e che quindi comporti la costruzione di un’economia efficiente, ecologica e competitiva.
Un altro aspetto al quale verrà data certamente moltissima importanza al vertice è l’enorme potenziale dell’Africa, attualmente non sfruttato, nel campo delle energie rinnovabili, incluse energia idrica, solare, geotermica, eolica e da biomassa. Si tratta di un potenziale che finora non è stato sfruttato appieno e, come altri aspetti del potenziale africano, ciò non sempre va a favore degli abitanti. Concentrandoci su una buona governance e sull’utilizzo di questo potenziale otterremo, o potremmo ottenere, un cambiamento qualitativo.
Monika Flašíková Beňová, a nome del gruppo S&D. – (SK) Signora Presidente, l’unico partenariato intercontinentale istituito dall’Unione europea è il partenariato strategico con l’Africa.
Dopo la lettura del testo che la Commissione ha pubblicato in vista dell’imminente vertice, non ho potuto fare a meno di pensare che fosse quasi troppo positivo, come se fosse stato scritto da qualcuno particolarmente ottimista.
La realtà è tuttavia ben lungi dall’essere così. Se vogliamo superare i problemi dobbiamo parlarne apertamente. In Africa continua a prevalere la frammentazione. Il mandato politico dell’Unione africana è debole e il continente africano è tuttora diviso, anche economicamente.
Gli accordi di partenariato economico tra l’Unione europea e i paesi africani non funzionano e le comunità economiche regionali africane rendono il quadro generale ancora più confuso.
In breve, è difficile parlare dell’Africa come di un’unità. D’altra parte l’Unione e gli Stati membri non perseguono politiche coerenti in Africa e spesso nel partnenariato assumono un atteggiamento paternalistico o adottano un approccio utilitaristico. Pertanto auspico che la Commissione tenga conto anche di questi aspetti nella propria relazione.
Charles Goerens, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signora Presidente, il momento attuale, caratterizzato dalla crisi, dovrebbe lasciare poco spazio a metodi già collaudati e quanto già sentito. Se vogliamo che il vertice UE–Africa non sia vano, vi dovremo affrontare i problemi reali. Esso dovrebbe inoltre aprirsi alla prospettiva del notevole potenziale di cui gode il continente africano, che è l’aspetto di gran lunga più importante.
Dall’Africa vogliamo un messaggio chiaro riguardo al miglioramento della governance, alla sua capacità di realizzare valore aggiunto e alla sua determinazione di porre fine alle razzie delle proprie risorse. Vogliamo anche che l'Africa indichi quali sono gli ostacoli che non è ancora in grado di eliminare con le proprie forze.
Dall’Europa ci aspettiamo che sviluppi la propria capacità di ascolto, il proprio contributo al progresso dell’Africa, il proprio impegno a liberare il continente nero dal giogo politico, economico e commerciale. L’Europa ha una grandissima responsabilità in queste aree.
Se il vertice Unione europea-Africa contribuirà ad aprire la strada ad una migliore rappresentanza dell’Africa nel Consiglio di sicurezza e nel G20 e la metterà in una posizione migliore per sradicare la povertà, il vertice non sarà stato vano.
Judith Sargentini, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signora Presidente, le relazioni tra l’Europa e l’Africa sono tese. È mio parere che questo non sia dovuto solamente alla crisi economica, ma anche al nostro modo di pensare a breve anziché a lungo termine. Vogliamo – a breve – il libero commercio in tutto il continente africano e dunque far passare l’accordo di partenariato europeo tra tutte quelle nazioni, oppure vogliamo in Africa – sul lungo periodo – un’economia stabile, in crescita, per poi fare affari in modo più ampio? Vogliamo che l’Africa si tenga ora i propri emigranti o riconosciamo che le nostre popolazioni sono destinate a invecchiare e avremo quindi in futuro bisogno di manodopera? Vogliamo evitare di pagare ora per il riscaldamento globale e i problemi da esso provocati in Africa per poi trovarci di fronte un paese, o un continente, destabilizzante, e numerosi gruppi di profughi? Vogliamo entrare involontariamente in conflitto con la Cina ora per ottenere quanto prima le materie prime, oppure vogliamo poter continuare a beneficiare della prosperità africana anche in futuro? Essenzialmente, inoltre, come garantiamo che il continente africano possa trarre beneficio dalle proprie materie prime anche a lungo termine? Come garantire che i cittadini africani possano chiamare i propri leader a rendere conto delle loro azioni? Dopotutto il presente vertice UE-Africa a Tripoli dimostra anche che abbiamo a che fare con leader che hanno fatto il loro tempo: Bouteflika, dos Santos, Mugabe: è lecito chiedersi se qualcuno di loro abbia le migliori intenzioni per il proprio popolo. È necessario trovare una risposta a queste domande.
Nirj Deva, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signora Presidente, l’Africa è il continente più ricco del mondo e la sua gente è la più povera in termini di reddito pro capite. Com’è possibile? Credo che il Commissario Piebalgs abbia toccato le corde giuste affermando che servono azioni concrete a livello regionale e continentale.
A tal fine non servono ulteriori donazioni che non fanno altro che mantenere le persone a un livello di povertà di sussistenza; dobbiamo adoperarci per creare crescita economica. Quest’ultima può nascere solamente da imprenditorialità ed istruzione, che a loro volta possono esserci solamente se vi sono gli strumenti atti a creare crescita economica. Ad esempio: gran parte del continente africano non dispone di elettricità e quindi non dispone di un’istruzione idonea o di computer idonei o di infrastrutture idonee alla crescita economica. Ora è necessario portare più elettricità in Africa, serve acqua pulita e serve la sicurezza alimentare. Sono soddisfatto che l’Unione Africana stia perseguendo ora una politica di tolleranza zero in materia di colpi di stato. Evviva, come ha dichiarato il Consiglio.
Ora dobbiamo guardare all’Africa come a una moderna tigre economica emergente e alimentarla più rapidamente affinché si arricchisca.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo149, paragrafo 8, del regolamento)
Richard Howitt (S&D). – (EN) Signora Presidente, ringrazio l’onorevole Deva per il suo contributo ma vorrei chiedergli se, quando afferma che le donazioni in euro sono esaurite, non concorda sul fatto che tutti gli Stati membri, Regno Unito incluso, debbano attenersi al calendario fissato per il raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo del Millennio dell’ONU stanziando lo 0,7 per cento del PNL agli aiuti allo sviluppo entro il 2013?
Se così non fosse, com’è possibile, senza che la comunità internazionale mantenga le promesse in merito ai livelli di aiuti, soddisfare la sua aspirazione ad acqua pulita, sicurezza alimentare e fine della povertà?
Nirj Deva (ECR). – (EN) Signora Presidente, ringrazio il deputato per il suo intervento. Ho dichiarato in quest’Aula che le donazioni indubbiamente non allevieranno la povertà.
Sostengo ovviamente gli obiettivi di sviluppo del Millennio e plaudo al governo conservatore che, pur dovendo tagliare il nostro bilancio nazionale circa del 30 per cento, incluso il bilancio per l’istruzione, ha fatto muro intorno al bilancio per gli aiuti allo sviluppo e l’ha aumentato del 27 per cento.
Sono grato all’onorevole Howitt per avermi permesso di ricordare in questa sede questo straordinario atto di coerenza e generosità da parte del governo di coalizione di Londra.
Pur aumentando il bilancio del 27 per cento tuttavia, e perfino raggiungendo gli obiettivi di sviluppo del Millennio, non elimineremo la povertà in Africa fino a quando non aiuteremo gli africani a diventare più ricchi.
L’Europa non è diventata ciò che è ora solamente eliminando la povertà e vivendo a livello di sussistenza. Essa si è arricchita creando ricchezza. Non avremo successo fintanto che non creeremo una ricchezza duratura in Africa.
Elie Hoarau, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signora Presidente, l’Unione europea spesso presenta gli accordi di partenariato economico come un’opportunità per i paesi africani. Ma anche dispera di vedere una rapida sottoscrizione di tali accordi.
Ciò che ci preme tuttavia è sapere perché questi paesi non si affrettino a firmare accordi che sarebbero così vantaggiosi per loro. Evidentemente i pareri sulla qualità di tali accordi sono discordanti, e fintanto che perdureranno tali disparità di vedute il gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) si opporranno alla loro firma.
Non sarebbe forse consigliabile impegnarsi ulteriormente nel dialogo e nella comprensione dando ascolto alle preoccupazioni e alle aspettative del gruppo degli Stati ACP? Questi Stati vogliono discutere di strategie di sviluppo mentre l’Europa spesso risponde solo in termini di apertura di mercati.
L’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE mette in pratica questo ascolto. Ritengo che le altre istituzioni europee debbano procedere allo stesso modo se si vuole costruire un vero partenariato strategico tra Africa e Unione europea.
Giancarlo Scottà, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, il terzo summit tra l'Unione europea e l'Africa è un'occasione fondamentale per consolidare le relazioni tra le due parti.
Durante questo evento, in cui si parlerà di crescita economica, di sviluppo sostenibile e di governance politica, si prenderanno in considerazione alcuni dossier, fra cui l'esame del settore agricolo e della sicurezza alimentare nel quadro degli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Per garantire a tutti l'accesso agli alimenti, contrastare la povertà nelle zone rurali e migliorare la qualità della produzione agricola è necessaria la partecipazione delle organizzazioni dei produttori e delle associazioni di categoria, per permettere loro di essere impegnati e consapevoli e di migliorare la distribuzione e la gestione delle risorse naturali.
L'Unione europea deve impegnarsi a sfruttare queste opportunità per intensificare il dialogo e la cooperazione a sostegno dell'integrazione regionale dell'Africa. In particolare, bisogna contrastare i disequilibri e la corruzione delle iniziative di cooperazione. Le responsabilità dei governi non devono predominare su quelle della società civile e si deve garantire la partecipazione di tutti gli attori coinvolti nelle strategie di crescita economica e sociale sostenibile.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signora Presidente, al vertice UE-Africa verranno discusse per la crescita e l’occupazione specifiche iniziative, che vedo con favore. Non approvo tuttavia che un progetto assurdo come l’autostrada transafricana venga costruito con il sostegno dell’Unione europea, perché i 500 km di strada, progettati per il 2012, da costruire passando attraverso Tanzania e Kenya, proprio attraverso la più grande riserva naturale del mondo, il Serengeti, sono da rifiutare. Ogni anno milioni di animali selvatici migrano nel Serengeti per raggiungere le pozze d’acqua a nord. Gli scienziati hanno segnalato specificatamente l’incombente disastro ecologico: se gli animali non avranno accesso all’acqua, l’ecosistema crollerà, e si perderà la biodiversità a danno del turismo locale, che rappresenta il 23 per cento delle entrate della Tanzania. Invito pertanto il Consiglio e la Commissione a esprimere un netto rifiuto al progetto che rappresenta una pazzia ecologica ed economica. Dobbiamo proteggere le ultime risorse dell’Africa, dobbiamo nuovamente salvare il Serengeti. Vi pregherei anche di firmare – se vorrete – la dichiarazione scritta contro il progetto, l’autostrada del Serengeti, da me presentata.
Cristian Dan Preda (PPE). – (RO) Signora Presidente, il vertice UE-Africa che si svolgerà a Tripoli la settimana prossima ci offre l’opportunità di riflettere sulla direzione verso la quale vogliamo indirizzare questo partenariato che ci lega all’Africa.
Accolgo con favore in questo contesto la comunicazione della Commissione europea dell’11 novembre. Condivido in particolare l’attenzione prestata nel documento alla necessità di integrare la cooperazione allo sviluppo con misure specifiche che potrebbero avviare una crescita sostenibile, inclusiva nella regione.
Se effettivamente vogliamo che le nazioni africane diventino autentici partner dell’Unione europea e assumano il controllo del proprio destino, l’unica strada percorribile è quella di promuovere la crescita economica. Desidero sottolineare tre aspetti che ritengo particolarmente importanti nelle nostre future relazioni con l’Africa:
– innanzi tutto, se vogliamo far sentire la voce dell’Unione in Africa, dobbiamo assicurarci di trattare con un partner ricettivo al nostro messaggio. Tenendo questo a mente, è prioritario rafforzare l’Unione africana in termini istituzionali e operativi;
– in secondo luogo, in base a un’analisi della Commissione e di esperti, credo che il partenariato nel campo della pace e della sicurezza sia il settore della cooperazione con l'Africa che al momento funzioni meglio. Ritengo tuttavia che si possa fare di più. Sono del parere che si debbano rafforzare l’aspetto della prevenzione dei conflitti e i meccanismi di consolidamento politico poiché sia i conflitti che la fragilità di alcuni Stati nella regione ovviamente influiscono sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio;
– desidero infine ribadire quanto sia essenziale stabilire la democrazia e il rispetto dei diritti umani. L’Unione europea e l’Africa sono spesso in disaccordo su tali questioni. Il dialogo politico deve essere rafforzato e la democrazia in questa regione deve essere una priorità da ribadire sistematicamente nelle relazioni con l’Africa.
Joanna Senyszyn (S&D). – (PL) Signora Presidente, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio occupa una posizione strategica nel nuovo piano d'attuazione di una comune strategia Africa-UE. Una questione fondamentale è ridurre la povertà che è peggiorata in seguito alla crisi. Quasi il 30 per cento della popolazione mondiale vive in estrema povertà, cioè con meno di 1,25 dollari americani al giorno. Oltre 100 milioni di persone non hanno accesso ad acqua pulita. Quasi 80 persone muoiono di fame ogni minuto, inclusi 60 bambini. Questo significa 40 milioni di persone, equivalenti alla popolazione di un grande paese europeo, ogni anno. La situazione è estremamente difficile in Africa, in particolare nell’Africa subsahariana.
Oltre alle misure strategiche, bisogna aumentare gli aiuti immediati. I moribondi non possono aspettare. L’Unione è il più grande donatore di aiuti allo sviluppo. Oltre la metà degli aiuti ufficiali proviene dall’Unione. Dovremmo esserne fieri. Dobbiamo intensificare gli aiuti per l’Africa e renderli maggiormente efficaci. Appoggio pertanto la Commissione e i suoi piani di rafforzamento della cooperazione allo sviluppo, basato su crescita sostenibile e interventi per prevenire l’esclusione sociale.
Louis Michel (ALDE). – (FR) Signora Presidente, Presidente Chastel, nel 2007 noi europei e africani siamo stati molto ambiziosi. La nostra strategia comune si basava su un piano d'azione incentrato su otto partenariati strategici molto concreti.
Al vertice di Tripoli adotteremo un secondo piano d’azione. Da parte mia desidero porre l’accento su quattro requisiti che devono essere soddisfatti affinché detto piano strategico possa avere realmente successo. Innanzi tutto insisterei su una maggiore partecipazione dei parlamenti nazionali, sia europei che panafricani, all’attuazione della strategia comune.
In secondo luogo deve esserci un migliore collegamento tra la strategia comune e l’accordo di Cotonou.
In terzo luogo, per avere successo, il vertice di Tripoli, dedicato a investimenti, crescita economica e creazione di occupazione, deve occuparsi con urgenza della questione di migliorare il clima per gli affari: diversi oratori lo hanno ricordato, ma è essenziale. L’inviolabilità legale e giuridica degli investimenti privati è una delle chiavi dello sviluppo economico e sociale africano. Non vi è altra strategia di sviluppo se non l’apertura dei mercati onorevole Hoarau. Tutto il resto è carità e, sfortunatamente, finora non ha funzionato, perlomeno non in misura sufficiente.
Per concludere, l’elemento finale: Desidero chiedere a lei, signor Commissario, di valutare se sia utile discutere rapidamente della questione a livello di Commissione e redigere qualche proposta atta a garantire che le imprese europee che operano in paesi in via di sviluppo, in particolare nel settore delle risorse naturali, ottemperino alla Dodd Act adottata dal Congresso americano, o siano in linea con essa, perché questo costituirebbe un passo enorme nella lotta contro il saccheggio delle risorse naturali e contro la corruzione.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo149, paragrafo 8, del regolamento)
Nirj Deva (ECR). – (EN) Signora Presidente, volevo chiedere all’onorevole Michel, data la sua onorevole carriera quale commissario allo sviluppo e la sua immensa esperienza in Africa, se si potesse conferire potere ai parlamenti africani – in particolare alle commissioni di scrutinio pubblico in materia di finanza e bilancio dei parlamenti africani – e rafforzarli e concedere loro un maggiore sostegno di modo che possano realmente mettere in discussione quanto sta succedendo con i loro ministri e presidenti riguardo a promulgazione, chiarezza e affidabilità del processo legislativo e di spesa. È d’accordo che potrebbe costituire un aspetto molto importante da poter effettivamente realizzare?
Louis Michel (ALDE). – (FR) Signora Presidente, sarebbe senz’altro possibile. Devo dire inoltre che da molti anni ormai la Commissione finanzia le attività e capacità dei parlamenti nazionali nei paesi in via di sviluppo proprio per dare loro i mezzi per esercitare tale controllo. Saprete anche che in un altro parlamento, in un’altra epoca, il nostro collega Glenys Kinnock ha patrocinato l’idea di discutere per necessità, io direi quasi per precauzione, i documenti strategici per ciascun paese e i documenti regionali nei parlamenti nazionali.
Saprete anche – ad esempio - che al fine di ottenere quella che viene definita assistenza al bilancio, una delle condizioni per ottenere il sostegno diretto al bilancio, che equivale a un atto di fiducia nelle istituzioni di un paese in via di sviluppo, è che il bilancio nazionale, e dunque l’utilizzo che si farà dei fondi allo sviluppo, venga discusso nel parlamento nazionale. Credo che per quanto riguarda la Commissione, a tal proposito, si ricorra già in ogni caso a un’intera serie di condizioni e di metodi.
Charles Tannock (ECR). – (EN) Signora Presidente, talvolta nell’affrontare le molte sfide in Africa l’Unione africana si è dimostrata una delusione. Fin troppo spesso l’Unione africana tace di fronte ad autocrazia, corruzione, frodi elettorali e colpi di stato illegali.
Se l’UE e l’Africa intendono in futuro approfondire e intensificare la cooperazione strategica, noi non possiamo esimerci dall’esprimere le nostre aspettative in modo franco e deciso. In pratica questo significa che l’Unione africana deve divenire un’organizzazione più responsabile e reattiva, dotata di un’autentica autorità morale e politica.
Quando l’Africa avrà bisogno di aiuto per far fronte a crisi umanitarie dovremo certamente continuare a fornire le risorse finanziarie e umane necessarie. L’Unione europea in particolare deve garantire che il proprio solido impegno in merito agli obiettivi di sviluppo del Millennio rimanga immutato. L’Unione europea dovrebbe altresì riflettere sui danni causati alle economie africane dalle sue politiche commerciali e dal suo regime – talvolta alquanto assurdo – di sussidi all’agricoltura.
In definitiva però solo gli africani possono risolvere i problemi dell’Africa. Dobbiamo comprendere questa realtà e farne l’elemento centrale del nostro approccio a questo continente strategico e della nostra relazione con esso.
Mariya Nedelcheva (PPE). – (FR) Signora Presidente, è superfluo ricordare che una strategia comune è una strategia che fissa priorità e obiettivi comuni. Una tale strategia esiste già. Ora occorre creare strumenti specifici per raggiungere tali obiettivi.
A tale scopo servono linee politiche chiare, politiche economiche coerenti e criteri sociali stabili. A livello politico il rispetto dei valori democratici e dei diritti umani rimane il nostro principio guida. A questo proposito desidero invitare i nostri partner a ratificare quanto prima la carta africana sulla democrazia e assicurarsi che gli impegni assunti da entrambe le parti vengano rispettati.
A livello economico, assicurare finanziamenti della strategia adeguati e trasparenti e combattere la corruzione a tutti i livelli sono le garanzie supplementari per il successo delle nostre attività congiunte. È altresì essenziale continuare a impegnarci per la costituzione di mercati regionali nei quali l’agricoltura abbia una posizione riconosciuta.
A livello sociale deve essere prioritario il dialogo con le ONG locali e tutti gli attori della società civile. Dobbiamo mirare sempre più in alto in materia di politica sociale. A tale proposito ritengo che, al fine di rilanciare una nuova dinamica globale, si debba assegnare un posto speciale all’istruzione, alla formazione e alla mobilità dei giovani. I nostri due parlamenti, quello panafricano e quello europeo, devono impegnarsi a dare un regolare seguito, con l’ausilio di esperti comuni, alle relazioni e ai piani d’azione annuali. Ci troviamo dunque di fronte a diverse sfide, che esigono il superamento delle differenze tra i nostri due continenti e di quelle al loro interno. Il vertice UE-Africa è l’occasione per proporre delle soluzioni comuni efficaci: spetta a noi cogliere tale opportunità.
Norbert Neuser (S&D). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, gli auspici per il vertice UE-Africa sono ottimi. Il vertice sarà interamente imperniato su un partenariato equo per un comune futuro migliore. Due mesi dopo il vertice sugli obiettivi di sviluppo del Millennio di New York abbiamo un’occasione unica di adottare ulteriori misure vincolanti specifiche nella lotta contro la povertà in Africa.
Stiamo naturalmente seguendo con grande apprensione tutte le operazioni della Cina nel continente africano, volte a garantirsi la fornitura di materie prime. Esse ci rammentano il comportamento degli Stati coloniali. L’Unione europea deve pertanto premere per un regolamento che promuova il bene comune dei paesi africani e il loro progresso sociale, che crei occupazione sostenibile. Accolgo dunque con favore la proposta della Commissione di adottare controlli efficaci nella gestione delle materie prime. Dobbiamo dare il nostro sostegno – insieme ai partner africani – a una politica strutturale che promuova la crescita e la tutela climatica in modo che i popoli africani riescano a sfuggire alla trappola della povertà. Appoggiamo le proposte della Commissione in materia di coesione sociale in quanto contribuiranno a creare posti di lavoro. Dobbiamo far sì che la gente in Africa sia in grado di guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro.
Vorrei infine riassumere quelle che sono le priorità. Innanzi tutto dobbiamo rafforzare l’Unione africana e la sua rappresentanza in tutti gli organismi internazionali: il Consiglio di sicurezza, il G20 e il parlamento panafricano. È necessario realizzare gli obiettivi del Millennio in Africa entro il 2015 ricorrendo a nuove iniziative. Dobbiamo garantire che qualunque accordo economico e commerciale tra l’Unione europea e l’Africa includa obbligatoriamente e in modo vincolante gli standard sociali fissati dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).
Geoffrey Van Orden (ECR). – (EN) Signora Presidente, il piano d’azione per il partenariato strategico UE-Africa prevede una sezione sulla governance democratica e sui diritti umani, considerati un elemento chiave per lo sviluppo sostenibile. Ma siamo stati molto carenti nel dare attuazione a tali obiettivi.
Un tipico esempio è di non essere riusciti a portare a un vero cambiamento in Zimbabwe. Nel 2007, nella fase preparatoria al primo vertice UE-Africa abbiamo protestato amaramente riguardo all’ipocrisia comunitaria di imporre un divieto di viaggio e un congelamento del patrimonio nei confronti di Mugabe e dei suoi pari da una parte, e di invitarlo dall’altra ad un vertice in una capitale europea: Lisbona. Ora scopriamo che Mugabe è nuovamente invitato ad un vertice UE-Africa, anche se in Libia, e noi seguiamo docilmente come se niente fosse. Venire a contatto con Mugabe è un affronto ai nostri principi ed è in netta contraddizione con la posizione ufficiale dell’Unione europea. Che alcuni governi africani abbiano ancora una qualche considerazione per Mugabe è una nostra sconfitta diplomatica in Africa.
Signora Presidente, vorrei rivolgere due domande al Consiglio e alla Commissione. I rappresentanti europei esprimeranno in Libia la loro disapprovazione per la presenza di Mugabe? E che cosa sta facendo l’Unione europea per promuovere attivamente la buona governance? Senza di essa le speranze di un futuro prospero e democratico per l’Africa sono poche.
Enrique Guerrero Salom (S&D). – (ES) Signora Presidente, signor Commissario, in solo poche settimane l’Unione europea ha svolto un ruolo di primo piano in numerosi vertici: Cina, Asia, Stati Uniti e G20. Ben presto ci recheremo a Cancún e la prossima settimana al vertice UE-Africa.
Potremmo considerare questo semplicemente come parte del nostro programma, un normale susseguirsi di vertici che si tengono ogni anno o comunque a intervalli regolari di tempo. Potremmo al contrario considerarlo come una serie di vertici nei quali dobbiamo fare progressi sulle questioni e introdurre le necessarie riforme al fine di far fronte ad un mondo che sta cambiando in termini di problemi, risposte e attori.
Dobbiamo guardare all’imminente vertice UE-Africa in questi termini. Vi si incontreranno 80 nazioni, rappresentanti un terzo dei paesi delle Nazioni Unite e 1,5 miliardi di abitanti, ovvero uno ogni quattro. Non possiamo purtroppo affermare di avere la stessa proporzione come prodotto interno lordo, in quanto tra le 53 nazioni africane vi sono alcuni dei paesi più poveri del mondo.
Quali azioni intraprendere per migliorare i nostri interventi? Innanzi tutto dobbiamo concentrarci su maggiori infrastrutture, maggiore sicurezza alimentare e maggiore sostegno alla governabilità: queste devono essere le nostre priorità
In secondo luogo dobbiamo mettere a fuoco i nostri strumenti di assistenza, sostenere la società civile, sostenere l’iniziativa privata e rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e del parlamento panafricano. Infine dobbiamo unirci all’Africa in una serie di relazioni strategiche, ad esempio per quanto riguarda le istituzioni finanziarie internazionali.
La riforma della Banca mondiale ha concesso maggiori poteri ai paesi emergenti, ma ha ridotto i poteri dell’Africa. In aprile il presidente della Banca mondiale ha dichiarato che ora il concetto di ‘terzo mondo’ è stato relegato nei libri di storia. Purtroppo in realtà non è così, ma possiamo intervenire al fine di garantire che lo diventi in un prossimo futuro.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, dovremmo preliminarmente ricordare che l'Africa è la decima potenza mondiale, seppur nell'anno in cui noi celebriamo la memoria di una vicenda importante che riguarda la povertà, certamente una povertà che riguarda l'Africa così come riguarda molti altri continenti.
Bisogna rafforzare gli accordi di associazione, bisogna intervenire per una sostenibilità economica che passi prevalentemente da infrastrutture, istruzione, salute, risorse idriche, con controlli reali sulla congruità dei mezzi finanziari deliberati nei confronti dei paesi africani e ricordando che l'Africa è molto diversa fra regione e regione. Vi sono regioni con esigenze particolari che determinano per esempio flussi migratori spesso clandestini. Bisogna correlare i flussi migratori invece alle ragioni effettive del mercato del lavoro. Un dialogo costruttivo può certamente tutelare i diritti fondamentali e sostenere la governance in quel continente così importante.
Ana Gomes (S&D). – (EN) Signora Presidente, all’imminente vertice EU-Africa in Libia, i leader europei si troveranno di fronte Meles Zenawi, il Primo ministro etiope. In Africa l’Etiopia non è solo il secondo paese per numero di abitanti e il quartiere generale dell’Unione Africana, ma anche il partner – in termini di accordo di Cotonou – che, per evitare che le irregolarità e la manipolazione delle elezioni diventassero note, ha impedito la consegna del rapporto elettorale dell’Unione europea in Addis Abeba nel 2005, e più di recente nel 2010.
A cosa servono le discussioni su democrazia, diritti umani e buona governance che l’Unione europea intende condurre con gli interlocutori africani, se Meles Zenawi, il dittatore etiope, è l’interlocutore per l’Africa?
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Signora Presidente, siamo tutti consapevoli che le popolazioni di molti paesi africani dipendono ora dall’assistenza umanitaria dei paesi sviluppati. In futuro, tuttavia, la nostra assistenza dovrebbe essere rivolta a stimolare lo sviluppo economico delle aree popolose, di modo che i cittadini dei paesi africani possano gradualmente modificare il carattere dei loro stessi paesi con il proprio impegno.
Le risorse minerarie e le risorse umane forniscono alle nazioni africane il potenziale per sfuggire all’arretratezza e alla povertà, con una qualche assistenza ben ponderata dei paesi industrializzati. Se i paesi africani devono richiamare lavoro, know-how e grossi investimenti, serve chiaramente una maggiore stabilità politica, un quadro normativo normale e norme accettabili per gli imprenditori che così saranno disposti a sviluppare in maniera onesta le loro attività nei paesi africani.
Un grosso ostacolo a tale quadro globale è costituito dalla presenza di feroci regimi autoritari il cui comportamento scoraggia tutte le persone oneste dal vincolarsi a qualsiasi forma di cooperazione. Ritengo che questo sia il problema che lede maggiormente le prospettive di sviluppo del continente africano. È un problema che va risolto.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signora Presidente, tutti conoscono il proverbio africano che asserisce che la povertà è come un leone: se non lo si combatte si viene divorati. Se si considerano gli attuali aiuti allo sviluppo e la cooperazione in atto tra Africa e Unione europea, non si può fare a meno di pensare che al momento miliardi vengono gettati come cibo al leone anziché essere utilizzati per aiutare le persone.
Il continente africano presenta naturalmente tutta una serie di problemi. Vi sono ad esempio i numerosi conflitti armati che non riusciamo proprio a portare a una conclusione pacifica e che il denaro fornito in aiuti –che spesso finisce nelle mani sbagliate – contribuisce continuamente ad alimentare. In secondo luogo vi è la questione che i tassi di crescita economica vanno difficilmente di pari passo con il successo nella lotta contro la povertà. In proposito dobbiamo considerare seriamente le critiche rivolte all’Unione europea, per il fatto che sta spingendo gli Stati africani ad aprire i mercati malgrado ciò possa aggravare povertà e fame. Bisogna sollevare questa questione nelle discussioni sugli accordi di libero scambio al vertice UE-Africa, e deplorare il fatto che le esportazioni alimentari a basso costo stiano insidiando i mezzi di sostentamento di interi gruppi della popolazione.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signora Presidente, l’imminente vertice UE-Africa è un’ottima occasione per concepire una strategia di cooperazione realistica.
Ritengo che le proposte presentate dalla Commissione europea agevoleranno l’adozione di uno specifico piano d’azione durante il vertice, rafforzando le relazioni tra i due continenti. Le decisioni adottate dai capi di Stato o di governo che si riuniranno in questa occasione incideranno su 1,5 miliardi di persone in 80 paesi.
Lo sradicamento della povertà, i diritti umani e la governance economica sono sfide comuni che richiedono un approccio comune. Per questo motivo è importante che il partenariato UE-Africa non rimanga un legame donatore-beneficiario ma diventi un partenariato tra pari.
Come già durante le discussioni sulla lotta contro la povertà, vorrei qui ribadire quanto sia importante realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio. Credo che in particolare serva un migliore coordinamento delle quattro aree d’azione prioritarie: finanziamenti, sicurezza alimentare, sanità e istruzione.
Alf Svensson (PPE). – (SV) Signora Presidente, ritengo si debba anche rilevare che di recente l’Africa stessa ha in effetti compiuto dei miglioramenti. Sappiamo comunque che c’è ancora molta strada da percorrere.
La crisi economica ha sconvolto e sta ancora sconvolgendo l’Europa. Noi analizziamo la vita quotidiana, ma prestiamo ben poca attenzione a quanto è avvenuto nei paesi in via di sviluppo in seguito alla crisi economica globale. Credo sia essenziale analizzare l’influenza della crisi economica sui paesi in via di sviluppo.
Vorrei anche ribadire quanto sia importante per noi agevolare, o meglio migliorare, le condizioni d’investimento nei paesi in via di sviluppo, inclusi gli investimenti europei. Non mancano le idee e gli investimenti degli stessi paesi in via di sviluppo, però vi è bisogno di stabilità. Sarebbe estremamente positivo se gli aiuti – o comunque si vogliano chiamare – potessero contribuire a creare stabilità per idee, progetti e investimenti di natura nazionale, veramente realizzabili nei paesi in via di sviluppo.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, è stata una discussione molto fertile e vorrei soltanto ribadire certi punti in risposta ad alcune domande.
Credo sarebbe un errore non riconoscere che l’Africa è cambiata notevolmente. L’Africa ha ora maggiore fiducia in se stessa, e a buona ragione. La crescita economica è reale e, in un certo senso, l’Africa ha affrontato la crisi economica e finanziaria meglio dell’Europa.
Con l’Unione africana l’Africa è molto più organizzata e molto più forte – perfino più della Commissione europea – e ha più potere. Al contempo sarebbe un errore paragonare l’Unione africana con l’Unione europea, essendo unioni di tipo diverso, e non è opportuno cercare di fare un confronto. Comunque è evidente che esiste un’Unione africana.
È anche importante che l’Africa comprenda il proprio potere sulla scena internazionale. I paesi africani cercano rappresentanza in linea con la loro politica, rendendo il presente vertice un vertice molto particolare. Decisamente non si tratta di un vertice tra donatore e beneficiario. Forse questo vertice non ha nemmeno un alto profilo, ma dobbiamo far prosperare questa relazione.
Ritengo si debbano affrontare due questioni critiche. Una è più semplice: si tratta di realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) in maniera sostenibile tramite la crescita inclusiva. Per questo motivo ci occupiamo di energia. Per questo motivo l’attenzione è rivolta all’agricoltura sostenibile: senza di essa i risultati ottenuti riguardo a OSM, lotta alla povertà e maggiore stabilità sarebbero in pericolo.
La seconda questione è una discussione politica molto seria. Sì, la buona governance e i diritti umani sono nel programma. Ma non si tratta più di una situazione in cui una parte ascolta e l’altra spiega il proprio punto di vista. È una strada a doppio senso. Da un lato è una sfida, dall’altro un’opportunità. I diritti umani e una buona governance sono per noi la spina dorsale della stabilità nelle nostre società. Non vogliamo fare la predica, però riteniamo che non si possano raggiungere gli OSM e sradicare la povertà senza affrontare questi aspetti.
Ciò significa che in tutti i programmi che affrontiamo la chiave è la buona governance. Con la procedura ex-ante non ci impegniamo con governi che non diano speranza di una buona governance. In questi casi trattiamo con le ONG, cerchiamo di dare sostegno alla popolazione in altro modo. E in ogni singolo progetto diamo sempre più importanza al ruolo della buona governance e dei diritti umani.
Anche la sostenibilità occupa una posizione preminente nella nostra politica. Non finanziamo, ad esempio, i progetti del Serengeti. Nessun fondo comunitario è coinvolto in progetti dannosi per l’ambiente. Ogni progetto viene valutato in base al suo impatto ambientale. Abbiamo un approccio molto sostenibile ai progetti. Ma allo stesso tempo è evidente che non possiamo aspettarci che in un continente che raddoppierà in breve tempo la propria popolazione questo sviluppo non abbia alcun impatto sull’ambiente.
Il nostro ruolo ora, considerata la situazione attuale, è proprio quello di mirare a una crescita sostenibile, della quale l’energia rinnovabile è la chiave.
Ritengo che questo sia un vertice molto particolare. Esso non riguarda più di tanto gli slogan politici, ma piuttosto la fiducia esistente, che è alquanto fragile. Potremmo trarre grandi benefici da queste relazioni, così come potremmo trarne grande danno.
Credo che questo vertice avrà un impatto duraturo in quanto ritengo che vi si dia risalto alle aree giuste. Guardiamo al ruolo politico dell’Africa dal punto di vista dell’Africa. Abbiamo fatto molto perché l’Africa arrivasse dov’è oggi, e ci siamo impegnati a farla progredire con il nostro sostegno, incoraggiandola decisamente ad impossessarsi dei propri processi.
PRESIDENZA DELL’ON. KOCH-MEHRIN Vicepresidente
Olivier Chastel, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, ad integrazione di quanto appena dichiarato dalla Commissione e per concludere, desidero affermare che il terzo vertice Unione europea-Africa a Tripoli deve inviare un importante segnale politico mirato all’approfondimento della nostra cooperazione con l’Africa negli anni a venire.
Si tratterà di una cooperazione migliore nelle sfide che i due continenti devono affrontare, del migliore sfruttamento delle possibilità offerte dalla combinazione del loro enorme potenziale e di un migliore coordinamento delle nostre posizioni sulla scena internazionale. I leader africani ed europei riusciranno a trovare le indicazioni sulla strada da percorrere. Durante la presente discussione ne sono state nominate alcune specifiche, che ovviamente non mancheremo di riferire. Tutti i contributi, in particolar modo quelli dei parlamentari, sono ben accetti.
Desidero anche replicare ad una questione in particolare. Alcuni di voi hanno menzionato esplicitamente gli accordi di partenariato economico che in effetti sono una questione delicata, e sono stati causa di grandi disaccordi durante il vertice di Lisbona nel 2007. Data la grande riluttanza da parte dell’Africa a concludere accordi di partenariato economico, determinati attori hanno chiesto un segnale politico da parte nostra, sul fatto che teniamo conto della posizione africana; altri sono a favore di un approccio molto più cautelativo e concreto riguardo alla natura delle nostre proposte.
Al vertice, riteniamo sinceramente che sia meglio cercare un accordo al fine di riaprire comunque i negoziati .
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà durante la prossima tornata di dicembre.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Il partenariato strategico Africa-UE istituito nel 2007 al vertice di Lisbona ha consentito ai due continenti di definire interessi comuni e obiettivi strategici, superando la politica di sviluppo tradizionale dell’Unione europea. Gli obiettivi delineati sono stati concretizzati con l’adozione della strategia comune Africa-UE e il piano d’azione 2008-2010, che individua otto aree prioritarie: pace e sicurezza; governance democratica e diritti umani; commercio, integrazione regionale e infrastrutture; gli obiettivi di sviluppo del Millennio; energia e cambiamenti climatici; migrazione, mobilità e occupazione; scienza; società dell’informazione e spazio. Il terzo vertice Africa-UE, che si svolgerà a Tripoli, la capitale della Libia, avrà come tema ‘Investimenti, crescita economica e creazione di occupazione’, con l’obiettivo di delineare direttive comuni a lungo termine in materia, garantendo al contempo le priorità della strategia Europa 2020. Credo che per gli imprenditori portoghesi si tratti di un’opportunità per stringere rapporti più stretti sul mercato africano come parte delle loro reti commerciali, ma ciò nonostante bisogna affrontare gli aspetti di insicurezza e gli alti livelli di criminalità presenti all’interno della comunità portoghese, in particolare la comunità di Madeira residente in Sud Africa. È pertanto di vitale importanza rafforzare e sviluppare una cooperazione concreta e decisa, e allo stesso tempo adattarla alle nuove sfide nelle relazioni internazionali.
16. Situazione nel Sahara occidentale (discussione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca il dibattito sulla situazione nel Sahara occidentale.
Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione.
Andris Piebalgs, membro della Commissione, a nome del Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signora Presidente, ringrazio l’Aula per questo tempestivo dibattito sul Sahara occidentale. Rispondo a nome di Catherine Ashton, sulla scorta dell’interrogazione orale presentata da alcuni deputati al Parlamento europeo.
L’Unione europea è preoccupata per gli avvenimenti verificatisi a Laâyoune a inizio novembre e si duole della perdita di vite umane. Ora a Laâyoune è tornata la calma, sebbene continuino a permanere tensioni. L’Unione europea teme che le violenze scoppiate a Laâyoune possano ostacolare i tentativi del Segretario generale delle Nazioni Unite di giungere a una soluzione al conflitto nel Sahara occidentale accettabile per entrambe le parti.
Per quanto riguarda i timori di cui stiamo parlando oggi, sarà nostra cura farli pervenire alle autorità marocchine avvalendoci degli appositi canali. Il problema del Sahara occidentale è all’ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio di associazione di dicembre e potrebbe essere altresì sollevato in sede di commissione parlamentare mista tra il Parlamento europeo e il Marocco.
L’Unione europea continua a impegnarsi con il Marocco affinché introduca riforme in ambiti quali il buon governo, lo Stato di diritto e il rispetto per i diritti umani. L’Unione europea mantiene un dialogo politico corretto e franco con il Marocco nell’ambito degli organismi che si occupano del seguito da dare al nostro accordo di associazione. In questo quadro, l’Unione europea ha ricordato al nostro partner quanto sia importante che esso adempia gli impegni internazionali assunti nel campo del rispetto dei diritti umani. Per quanto attiene allo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale, il Marocco è tenuto a tener fede ai propri obblighi sanciti dal diritto internazionale, ivi compresi quelli relativi allo sfruttamento delle risorse naturali nella zona.
L’Unione europea appoggia gli sforzi del Segretario generale delle Nazioni Unite volti a giungere a una soluzione politica giusta, duratura e reciprocamente accettabile che preveda l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, in conformità alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza.
Bernd Posselt (PPE). – (DE) Signora Presidente, aspetto da 70 minuti che inizi il Tempo delle interrogazioni e vorrei chiedere quando si svolgerà effettivamente. Solitamente, la discussione viene interrotta dal Tempo delle interrogazioni, dopodiché prosegue.
Presidente. – Non vi sarà alcun Tempo delle interrogazioni poiché così è stato deciso dai presidenti di gruppo in sede di Conferenza dei presidenti. Penso pertanto che non vi sia alcuna ragione perché lei attenda oltre.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE. – (ES) Signora Presidente, si dice che il filosofo Aristotele stesse passeggiando nella sua famosa scuola peripatetica con i suoi studenti quando uno di loro espresse un commento che mise a disagio il maestro. Per scusarsi, il giovane disse “il commento non era mio, ma del vostro maestro Platone”. Al che Aristotele si fermò e pronunciò una frase che spesso è stata ripetuta sulla scena europea dal quarto secolo AC a oggi, ovvero: “Platone mi è amico, ma ancor di più lo è la verità”.
Signora Presidente, il Marocco è un partner sicuro e attivo dell’Unione europea, ed è inoltre un alleato strategico e fondamentale per il contenimento del fondamentalismo islamico radicale. Ciononostante, come dichiarò il Presidente Sarkozy quando intervenne in quest’Aula, il Parlamento è il cuore pulsante della democrazia dell’Unione europea e deve impegnarsi in modo irrevocabile e innegabile per la causa dei diritti umani. Pertanto, laddove tali diritti non siano riconosciuti, esso non può voltare le spalle e guardare dall’altra parte. Deve parlare forte e in difesa dei principi che ci guidano.
Signora Presidente, l’Unione europea è stata, è e sarà un partner leale del Marocco, ma tale partenariato si basa su principi e valori, principi e valori che dobbiamo proclamare a gran voce.
Concluderò, signora Presidente, dicendo che la moderazione nel carattere o nel temperamento è sempre invero una virtù, ma la moderazione nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali, soprattutto della libertà di espressione, è sempre un vizio, sempre una debolezza, sempre codardia, e che in veste di rappresentanti dei cittadini dell’Unione europea non possiamo permetterci un siffatto comportamento.
Véronique De Keyser, a nome del gruppo S&D. – (FR) Signora Presidente, è stato difficile negoziare questa risoluzione, ma alla fine siamo riusciti a ottenere un testo che penso soddisfi tutti i gruppi. Desidero ringraziare i colleghi deputati che hanno compiuto questo sforzo, perché non osiamo più discutere del Sahara, conoscendo bene la delicatezza dell’argomento. Pertanto qui non prenderemo posizione sul conflitto tra Marocco e Sahara.
D’altro canto, il primo punto condanna le violenze che si sono verificate durante lo smantellamento dell’accampamento nei pressi di Laâyoune; questa condanna della violenza è chiara anche se al momento non abbiamo in mano tutti gli elementi per chiarire le responsabilità.
Per quanto concerne il secondo punto, lamentiamo, per esprimerci con toni pacati, l’assenza della libertà di stampa e il fatto che le organizzazioni umanitarie e i parlamentari non abbiano la possibilità di recarsi nella zona. Riteniamo che questo sia inaccettabile.
Il terzo punto è strettamente correlato a quest’ultimo. Prendiamo atto del fatto che il Marocco avvierà un’indagine, ma siamo convinti e chiediamo che si indica anche un’inchiesta internazionale per fare luce sugli eventi.
Detto questo, per quanto riguarda il conflitto politico, ci rimettiamo alle decisioni dell’ONU e invitiamo entrambe le parti a riprendere i negoziati.
Ivo Vajgl, a nome del gruppo ALDE. – (SL) Signora Presidente, signor Commissario, questa discussione e la risoluzione che voteremo domani sono il risultato di due incidenti: la morte di un quattordicenne ucciso dalla pallottola di un poliziotto marocchino e, qualche giorno dopo, il violento smantellamento dell’accampamento di protesta che ospitava oltre diecimila nativi del Sahara occidentale, i quali avevano tentato di richiamare - con metodi pacifici - l’attenzione del mondo, inclusa la nostra, sull’intollerabilità della loro situazione sociale, politica ed economica.
Questi incidenti hanno provocato nuove vittime, e ce ne rammarichiamo. Esse hanno pagato il prezzo più alto che ci sia per questo problema ancora irrisolto e noto a tutti noi. Il Sahara occidentale è l’ultimo esempio al mondo di un processo di decolonizzazione rimasto incompiuto, nel quale il paese confinante gode dei vantaggi dell’occupazione illegale di un territorio estero, respinge le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, ignora costantemente gli inviti dell’ONU a indire un referendum e a rispettare il diritto all’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale e viola i diritti umani e le norme del diritto internazionale.
Il Sahara occidentale, un paese di sabbia e pietre attraversato da un muro della vergogna lungo un migliaio di chilometri, è sufficientemente ricco per attirare le mire e le aspettative del Marocco e dei paesi che sostengono attivamente o passivamente la sua posizione intransigente. Sappiamo chi sono. Il problema del Sahara occidentale è un problema politico, è un problema di decolonizzazione. Si può risolvere in un solo modo, nello stesso modo in cui problemi simili sono stati risolti altrove, ossia nel rispetto del diritto internazionale, dell’autodeterminazione delle nazioni e degli accordi. Occorre rafforzare il ruolo delle Nazioni Unite nel Sahara occidentale; il mandato della MINURSO è troppo limitato: la missione sta semplicemente mantenendo lo status quo, dimostrando di essere impotente, nient’altro che una pura formalità.
Signor Commissario, grazie per essere stato chiaro. Nonostante esistano interessi divergenti di alcuni Stati membri molto influenti, o proprio a causa di tali interessi, l’Unione europea è chiamata a svolgere un ruolo più attivo e a utilizzare tutti i mezzi a disposizione. Anche il Marocco, che gode di sostegno e di comprensione in molte sedi, deve sforzarsi di risolvere la situazione in modo costruttivo.
Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signora Presidente, positivo innanzitutto mi compiaccio di avere finalmente l’opportunità di discutere del Sahara occidentale e di adottare una risoluzione. Per una volta la pressione del Marocco non ha trionfato, come è avvenuto in altre occasioni. Ritengo che questo faccia bene alla credibilità del Parlamento, ma anche alla trasparenza degli avvenimenti in corso nel Sahara occidentale.
In secondo luogo, desidero condannare vivamente, con grande chiarezza e fermezza, il modo irresponsabile e provocatorio con cui è stato smantellato il campo di Gdaim Izyk. È vero che violenze sono state commesse da molte parti, ma ritengo sia del tutto ingiustificabile mettere coloro che si stanno difendendo da un attacco sullo stesso piano di coloro che li stanno reprimendo, perseguitando e torturando.
chiediamo pertanto che si conduca un’indagine indipendente sotto l’egida delle Nazioni Unite. Non stiamo parlando di un conflitto alla pari. Non tutti hanno lo stesso livello di responsabilità e non tutti coloro che sono coinvolti in questo conflitto stanno adottando le stesse strategie o le stesse armi.
Dobbiamo infatti chiedere a tutte le parti in causa di mantenere la calma, ma, soprattutto, dobbiamo chiedere al Regno del Marocco di cessare il suo atteggiamento di ostilità nei confronti del popolo del Sahara, e di smettere di molestare i parlamentari, i media e gli attivisti per i diritti umani.
L’Unione europea non può continuare a far finta di non vedere tutto questo, come se nulla stesse accadendo. L’Unione europea, e soprattutto alcuni paesi come la Spagna e la Francia, hanno un’enorme responsabilità storica.
Dobbiamo quindi agire in modo ragionevole, come il Ministro Jiménez ci ha chiesto di fare, ma la cosa sensata da fare ora è dire “basta” al regime marocchino. Va benissimo desiderare buoni rapporti commerciali con il Marocco. Si tratta di una cosa necessaria e positiva, ma non a discapito dei diritti umani o a costo di violare il diritto internazionale.
Ministro Jiménez, Alto rappresentante Ashton, per giungere a una soluzione equa, sostenibile e reciprocamente accettabile è necessario che si svolga il referendum sull’autodeterminazione. Rendiamolo possibile.
Charles Tannock, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signora Presidente, il conflitto latente nel Sahara occidentale sta destabilizzando la regione circostante. L’intransigenza del Marocco continua a negare giustizia al popolo del Sahara occidentale, che attende un referendum per l’indipendenza da 20 anni.
Se da un lato penso anch’io che il Marocco sia un importante alleato dell’occidente nella lotta al terrorismo, è assolutamente increscioso che il Marocco non rispetti gli impegni previsti nel piano di pace dell’ONU. Ora, alla luce della relazione sulle violenze contro la popolazione del Sahara occidentale, dobbiamo affidare alla missione ONU presente nella regione il mandato di vegliare sui diritti umani del popolo saharawi. Ma gli sforzi di ampliare questo mandato sono stati purtroppo costantemente bloccati dalla Francia. Questa missione è un caso quasi unico: fra quelle dell’ONU, infatti, è l’unica a non avere un mandato nel campo dei diritti umani. Il Marocco e il Fronte Polisario devono entrambi comprendere cosa si attende da loro la comunità internazionale in ambito normativo. L’Unione europea può esercitare una grande influenza sul Marocco, soprattutto nel campo dei diritti di pesca e degli aiuti.
Speriamo che l’imminente referendum previsto per il Sudan meridionale, che creerà un nuovo Stato sovrano nel sud, fornisca nuove motivazioni a tutte le parti coinvolte per ricercare una risoluzione definitiva a questa lunga controversia sul Sahara occidentale: un territorio e una popolazione che, a mio parere, meritano un futuro di pace e di prosperità.
Willy Meyer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (ES) Signora Presidente, vorrei iniziare in modo forse scontato: dobbiamo dire al Regno del Marocco che questo non è il suo parlamento. La sovranità di questo Parlamento si fonda sui cittadini europei, pertanto esso decide autonomamente quali saranno l’ordine del giorno, le tematiche e le risoluzioni; le costanti interferenze su questa istituzione da parte del Regno del Marocco sono inaccettabili.
In secondo luogo, onorevoli colleghi, la questione fondamentale è che stiamo parlando di un’occupazione da parte dell’esercito, della polizia e di coloni marocchini; un’occupazione illegale di un territorio privo di governo autonomo, secondo la definizione del diritto internazionale. Il Marocco non ha sovranità sul Sahara occidentale; ripeto: nessuna sovranità. Non può applicare le proprie leggi né la propria sovranità; il Parlamento deve pertanto mandare un messaggio molto chiaro alla comunità internazionale e al popolo saharawi, cui spetterà decidere del proprio futuro con un referendum sull’autodeterminazione, come deliberato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Tutte le violazioni e la repressione oggi perpetrata nel Sahara occidentale dal governo del Marocco hanno un solo obiettivo: impedire che la popolazione eserciti il diritto all’autodeterminazione. Il Parlamento europeo, pertanto, deve dar prova di maggiore fermezza nel difendere tale diritto, nel restare al fianco del popolo sahariano e nel condannare gli abusi. Non si sarebbe mai dovuto permettere lo smantellamento del “Campo della dignità”.
Mi ero recato sul posto con qualche ora di anticipo. Ricopro una carica elettiva e mi fu impedito di sbarcare da un aereo spagnolo per essere presente agli avvenimenti che purtroppo si svolsero qualche ora più tardi perché non volevano testimoni. Hanno molto da nascondere, e il Parlamento non può restare a guardare il sistematico occultamento di tutto ciò che questa repressione significa. Onorevoli colleghi, Baronessa Ashton, purtroppo assente: quando sarà congelato l’accordo di associazione? Quando diremo che percorrere questa strada è inaccettabile? Credo che il Parlamento debba parlare forte e chiaro, onorevoli colleghi.
Jarosław Leszek Wałęsa (PPE). – (PL) Signora Presidente, il Sahara occidentale oggi si trova a un bivio. Non possiamo ignorare gli ultimi atti del governo del Marocco. Esistono testimonianze divergenti su quello che è davvero accaduto nel campo alla periferia della città di Laâyoune. Tuttavia, non dobbiamo considerare con leggerezza il fatto che 15 000 persone abbiano perso casa e siano state costrette ad abbandonare le città in cui vivevano: in realtà questo è solo un esempio delle violazioni dei diritti umani, violazioni che risalgono al 1975. Noi deputati del Parlamento europeo dobbiamo studiare attentamente la storia di questa regione e le crudeltà di cui sono stati vittima i saharawi e dobbiamo inoltre rafforzare le politiche volte a risolvere il conflitto e questo problema.
Alcuni Stati membri hanno cercato di risolverli collaborando con l’ONU, ma i loro sforzi si sono mostrati vani. Non sono riusciti a concordare le raccomandazioni necessarie affinché il Marocco risponda delle sue azioni. Le attività delle forze di sicurezza dell’ONU nel Sahara occidentale sono state ostacolate, mentre dovrebbero essere libere di poter esercitare il loro completo controllo e vegliare sugli aiuti umanitari. Inoltre, il Marocco non ha revocato le restrizioni al libero accesso dei giornalisti e degli osservatori internazionali alla regione.
Un osservatore ONU ha dichiarato, giustamente, che concentrare l’attenzione su questa regione dell’Africa potrebbe salvare la vita e proteggere i saharawi dalla politica di sterminio attuata dal Marocco. Amnesty International chiede che si conduca un’indagine indipendente sulle violenze. È una buona idea che pratica andrebbe realizzata. Non si sa, ad oggi, quanti siano i morti, i feriti gravi o i dispersi provocati dalle azioni del Marocco.
Infine, desidero invitare la nostra Assemblea a formulare una reazione ben precisa che faccia cessare l’attuale lentezza mostrata dalla diplomazia internazionale e a definire una soluzione che protegga i saharawi da ulteriori crudeltà.
María Muñiz De Urquiza (S&D). – (ES) Signora Presidente, le violenze che hanno scosso il Sahara occidentale - che condanniamo nel modo più assoluto come pure lamentiamo la perdita di vite umane e chiediamo il rispetto dei diritti umani - non devono ripetersi.
Occorre trovare una soluzione permanente, giusta e reciprocamente accettabile, sotto l’egida delle Nazioni Unite, a un conflitto che dura ormai da più di 30 anni e che sta condannando migliaia di profughi sahariani alla disperazione e una regione vicina di fondamentale importanza per l’Unione europea all’instabilità.
Perciò chiediamo al Marocco, un partner importante e affidabile dell’Unione europea con cui condividiamo grandi interessi e progetti, di raddoppiare i propri sforzi di dialogo per porre fine al conflitto con i negoziati. Invitiamo altresì alla calma i saharawi e i loro rappresentanti, a cui offriamo un messaggio di solidarietà, considerate le loro condizioni. Inoltre chiediamo loro di tenere aperto il canale del dialogo con un atteggiamento aperto e costruttivo.
Dobbiamo chiedere all’Unione europea di contribuire agli sforzi del gruppo di paesi amici del Sahara, che comprende il mio paese, la Spagna, per agevolare tale dialogo in veste di negoziatore credibile nella regione. L’apertura di un’indagine parlamentare marocchina sugli eventi verificatisi nel Sahara e il fatto che le autorità marocchine siano disposte a informare il parlamento su ciò che è successo sono importanti segnali che certamente apprezziamo. Tuttavia, non sostituiscono una politica di trasparenza dell’informazione che garantisca la presenza di tutti i media nella regione.
La risoluzione che adotteremo domani è il risultato di un accordo complesso che rispecchia le preoccupazioni del Parlamento per la stabilità nel Maghreb e per i diritti umani. Dimostra inoltre il sostegno del Parlamento a una fine negoziata del conflitto, senza condizioni, ma fondata sulle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che sanciscono il diritto della popolazione saharawi all’autodeterminazione.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). – (ES) Signora Presidente, le autorità del Marocco meritavano la nostra condanna per l’attacco al campo Gdaim Izyk, in seguito al quale si sono verificati i gravi incidenti di Laâyoune. Sono stati violati i diritti individuali della popolazione saharawi, che chiedeva pacificamente migliori condizioni di vita. Inoltre, la libertà di stampa e di informazione è stata limitata, e decine di deputati di questo e di altri parlamenti, compreso quello del mio paese, il parlamento basco, si sono visti negare il permesso di accedere alla zona.
Non esistono informazioni affidabili, perciò chiediamo alle Nazioni Unite di condurre un’indagine ufficiale su quanto accaduto. Tuttavia, sappiamo con certezza che vi sono stati morti, feriti, e centinaia di arresti. Siamo dispiaciuti per tutte le morti provocate da questi incidenti, perché sono tutte irreparabili, sia tra la polizia marocchina, sia tra gli attivisti saharawi. Desidero esprimere la mia solidarietà a tutte le famiglie coinvolte.
Il campo è stato attaccato il giorno in cui a New York iniziava la terza tornata di riunioni informali sulla situazione nel Sahara occidentale. Questo attacco non favorisce il dialogo, gli accordi o la pace; al contrario, ostacola un esito pacifico e giusto dell’occupazione del Sahara occidentale.
Chiedo alle parti di mantenere la calma. Risolvere questo problema richiede un dialogo permanente tra il Marocco e la popolazione saharawi fondato sul rispetto reciproco, con l’obiettivo di rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite, le quali sanciscono tra l’altro il diritto della popolazione sahariana all’autodeterminazione.
Concluderò con un po’ di autocritica: dobbiamo sempre criticare le violazioni dei diritti umani. Non importa da chi, dove, come o perché siano commesse, perché i principi democratici e i valori devono sempre prevalere sui nostri interessi. Richiedo pertanto all’Unione europea un impegno maggiore.
João Ferreira (GUE/NGL). – (PT) Signora Presidente, gli avvenimenti delle ultime settimane nel Sahara occidentale non sono stati episodi isolati. Essi si inseriscono in una storia lunga tre decenni e mezzo di repressione, violenze e oppressione di un popolo. La storia del Sahara occidentale è segnata da numerosi e costanti tentativi del Marocco di bloccare i negoziati sull’attuazione dell’inalienabile diritto della popolazione saharawi all’autodeterminazione.
È giunto quindi il momento di condannare ancora una volta la brutale repressione perpetrata dalle autorità marocchine di chiunque, nei territori occupati, si opponga alla colonizzazione e lotti per il legittimo diritto del loro popolo all’autodeterminazione. È giunto anche il momento di denunciare la vera e propria tragedia umanitaria di cui oggi è vittima la popolazione saharawi, obbligata a vivere nei campi profughi, lontano dalla propria terra, e di chiedere che gli aiuti umanitari internazionali siano intensificati. Dobbiamo inoltre chiedere che si applichi il diritto internazionale e le risoluzioni dell’ONU e che si svolga un referendum.
L’Unione europea e gli Stati membri, in tutto questo, hanno notevoli responsabilità che non possono ignorare per non diventare complici, dato che il Marocco è un paese che gode di uno status speciale, in seguito a numerosi accordi firmati con l’Unione europea.
Santiago Fisas Ayxela (PPE). – (ES) Signora Presidente, migliaia di saharawi hanno abbandonato le loro città e hanno costruito pacificamente il campo di Gdaim Izyk per domandare condizioni di vita migliori. Le forze di sicurezza marocchine hanno distrutto il campo con la violenza, dopodiché ad Al Aaiún sono scoppiati gravi disordini. L’esercito marocchino ha ucciso un giovane sahariano, mentre un cittadino spagnolo è morto in circostanze ancora da chiarire.
Attualmente non esistono cifre affidabili riguardanti il numero di morti, feriti, dispersi o di arresti durante gli scontri. A molti eurodeputati è stato anche impedito di entrare nel Sahara mentre i giornalisti incontrano ancora gravi difficoltà nello svolgimento del proprio lavoro.
Il Marocco è amico e alleato strategico dell’Europa: non è bene nutrire dubbi o fraintendimenti tra amici. Se il Marocco non ha nulla da nascondere, deve acconsentire a chiarire cosa è accaduto. Perciò, benché sia vero che il parlamento marocchino abbia creato una commissione d’indagine, penso sia fondamentale istituire una commissione internazionale, garantire libertà di accesso alla zona ai politici e ai giornalisti europei e consentire alla missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara occidentale di ampliare il proprio mandato, includendovi la protezione dei diritti umani, sia nella zona controllata dal Marocco, sia in quella controllata dal Fronte Polisario.
La Commissione e i governi europei, soprattutto quello spagnolo, non possono distogliere lo sguardo di fronte a questa situazione. La Realpolitik non deve essere una scusa per chiudere un occhio. Devono domandare spiegazioni su questi gravi fatti e chiedere al Marocco e al Fronte Polisario di riprendere i negoziati quanto prima per giungere a un accordo di pace basato sulle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Pier Antonio Panzeri (S&D). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, dico subito all'onorevole Salafranca che, in attesa di dirimere il conflitto tra Platone e la verità, forse avevamo bisogno di un po' di tempo in più prima di produrre questa risoluzione, e questo almeno per due ragioni.
In primo luogo, perché si potessero raccogliere tutte le informazioni utili al fine di garantire una presa di posizione parlamentare più solida; in secondo luogo, perché erano stati messi in cantiere una serie di confronti e audizioni nelle commissioni competenti. Il Parlamento ha legittimamente deciso di procedere subito. Tuttavia, questo non fa venir meno l'esigenza di queste audizioni e la necessità di tenere aperto il confronto con il Marocco.
Per questo credo che dopo il voto sia utile investire i nostri sforzi in tre precise direzioni: determinare un nuovo protagonismo dell'Europa, con la sua diplomazia e con le sue politiche di vicinato; contribuire a uno sbocco positivo dei negoziati aperti dall'ONU; utilizzare infine tutti gli strumenti parlamentari, a partire dalla commissione AFET e dalla commissione mista, perché il confronto vada avanti e aiuti a trovare soluzioni. Io penso che sia utile lavorare con determinazione per questi precisi obiettivi.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) Signora Presidente, desidero ringraziare il Commissario, il quale stasera ha dimostrato con grande chiarezza di essere a favore della pacificazione. Sì, dovevamo condannare la violenza da entrambe le parti. Sì, dovevamo domandare una soluzione duratura a questo conflitto, che va avanti ormai da oltre 30 anni. Sì, ovviamente, dovevamo parlare dell’importanza della libertà di stampa, pietra miliare di qualsiasi paese democratico.
Detto ciò, deploro comunque lo scarso equilibrio di questo testo in alcuni punti. Per esempio, avrei desiderato che si facesse menzione della sorte di Mustapha Salma, il dissidente del Fronte Polisario sequestrato per aver osato invitare al dialogo. I diritti umani sono citati, naturalmente, ma non per tutti; lo deploro. In questo conflitto, non ci sono innocenti da una parte e colpevoli dall’altra. Vi sono responsabilità, benché impari, da entrambi i fronti di questo conflitto, che dura da oltre 30 anni.
Soprattutto – e si tratta di un elemento fondamentale – tutte le parti oggi hanno il compito di formulare una soluzione giusta, realistica e sostenibile, e quando dico tutte le parti, intendo il Marocco, il Fronte Polisario e anche l’Algeria, un attore simbolico fondamentale che viene citato soltanto nell’ultima riga della nostra risoluzione.
Concludendo, vorrei solo dire, signora Presidente, che sostengo appieno le proposte di prosecuzione di questo dialogo costruttivo espresse dall’onorevole Panzeri.
Marco Scurria (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, con gli amici si parla chiaro e si dicono le cose come stanno. Per questo diciamo al Marocco che deve fare molto di più per risolvere il caso del Sahara occidentale.
L'Unione europea non può continuare e non poteva continuare a far finta di nulla, perché rischiamo di commettere un grave errore. Rischiamo di far capire a chi ha scelto, come ha fatto il popolo saharawi attraverso il Fronte Polisario, la via della pace, che ha scelto la via sbagliata.
Chi non manda kamikaze, chi non fa attentati, chi si è affidato solo agli organismi internazionali non fa notizia, non è tutelato, per lui non si convocano i potenti della terra. Signora Presidente, questo non è giusto, perché i saharawi sono un popolo coraggioso ma mite, vivono nella loro giusta maniera la loro religiosità e le loro donne hanno ruoli importanti nella società. I saharawi lottano per la propria terra, per cui hanno un amore sconfinato quanto il loro deserto, lottano per la loro identità, e non è giusto che rimangano soli.
Il voto che noi abbiamo fortemente voluto domani in questa sessione plenaria è un segnale importante che l’Unione europea dà per riprendere anche in mano il destino di questa zona di terra.
Norbert Neuser (S&D). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, accolgo con favore le chiare parole scelte dal Commissario Piebalgs. È importante che il Parlamento europeo esprima con chiarezza la propria posizione e condanni altresì le brutalità perpetrate. Abbiamo dovuto attendere a lungo per tenere questa discussione sul Sahara occidentale in quest’Aula; credo che siamo stati troppo esitanti nelle nostre azioni e che stiamo agendo solo ora, dopo che vi sono stati dei morti.
Sono soddisfatto perché domani potremo adottare una risoluzione con tutte le parti, che forse per alcuni gruppi non sarà sufficientemente coraggiosa rispetto a quanto auspicato, ma che rappresenta un ampio consenso ed è un segnale chiaro, diretto al Marocco e alla popolazione del Sahara occidentale, del fatto che il Parlamento europeo è coerente con i suoi valori fondamentali.
In qualità di presidente dell’intergruppo, vorrei esprimere i miei sinceri ringraziamenti a tutti i deputati che hanno fatto sì che il Sahara occidentale sia restato, e continui a restare, all’ordine del giorno. Sono certo che, assieme al commissario Piebalgs e alla baronessa Ashton, dobbiamo confermare il nostro impegno verso il Sahara occidentale.
Ana Gomes (S&D). – (PT) Signora Presidente, il brutale attacco contro la protesta pacifica del campo saharawi ha sferrato un duro colpo ai negoziati sotto l’egida dell’ONU. Mi ha fatto ricordare i peggiori momenti a Timor Est: all’ONU si discute, mentre la popolazione viene attaccata allo scopo di far fallire le trattative. La Spagna potrebbe fungere da avvocato della ex colonia che ha abbandonato, proprio come il Portogallo lo è stato per l’autodeterminazione di Timor Est, ma non lo fa perché non desidera compromettere i propri interessi, commerciali e non, in Marocco.
Ora sappiamo che Madrid e l’ONU erano state avvisate dell’attacco. Dalla negligenza alla complicità il passo è breve. La Francia è responsabile soprattutto di aver incoraggiato il Marocco a proseguire nella sua occupazione. Per quanto riguarda l’Unione europea, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ne ha parlato a distanza di settimane dall’attacco, e l’ha fatto in un comunicato estremamente succinto e ininfluente. In questa risoluzione il Parlamento chiede a gran voce all’Unione europea di sollecitare l’avvio di un’indagine internazionale indipendente su quanto accaduto e l’identificazione dei morti, dei dispersi e dei detenuti, domanda un accesso illimitato per la stampa internazionale, le organizzazioni e gli osservatori umanitari, chiede che l’ONU vigili sul rispetto dei diritti umani nel Sahara occidentale e sollecita l’immediato rilascio di tutti i saharawi detenuti in Marocco o nel territorio occupato del Sahara occidentale.
Guido Milana (S&D). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, io ho un solo rammarico in quest'Aula stasera, e cioè che stiamo discutendo dei Saharawi solo perché i marocchini hanno invaso la tendopoli fuori El Ayun, e questo è un rammarico per la democrazia in questo Parlamento.
Il Parlamento avrebbe dovuto maturare da solo la volontà di discutere di questa questione che marcisce da trent'anni sui tavoli internazionali. Questo è il dato politico più rilevante. Noi siamo stati costretti da atti di violenza e non perché autonomamente abbiamo deciso di far garantire dei diritti umani. Che cos'è, se non il rispetto dei diritti umani, il fatto che debba esserci lì un referendum per l'autodeterminazione?
Proprio perché il Marocco è nostro amico, perché il Marocco è la parte forte delle relazioni, noi dobbiamo chiedere con forza e con tutti gli atti conseguenti che ci sia una volontà non più rinviabile. Dobbiamo cercare di costruire le condizioni affinché la missione MINURSO non sia da sola a costruire le condizioni di un referendum che viene costantemente rinviato. Dobbiamo cercare di usare tutti i mezzi a disposizione dell'Unione europea per condizionare questo evento e per far sì che quel referendum faccia giustizia di trent'anni di sofferenze di un popolo.
Gilles Pargneaux (S&D). – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, mettendo da parte la discussione di questo pomeriggio e la risoluzione che prenderemo in esame domani, ritorniamo sulla tematica principale, che non ho ancora sentito citare nel corso del dibattito.
Vera e propria causa nazionale per il Marocco, questa importante questione politica, non dimentichiamolo, rappresenta una sfida diplomatica per le relazioni del Marocco con i paesi dell’Africa e del Maghreb, soprattutto con l’Algeria.
In secondo luogo, si tratta di una sfida economica perché la questione è di ostacolo alla formazione di un Maghreb prospero e stabile. Si tratta anche di una sfida per la sicurezza a causa dell’attivismo dell’organizzazione terroristica Al-Qaeda nel Maghreb islamico, inoltre è una sfida umanitaria per la popolazione saharawi coinvolta, soprattutto per gli abitanti dei campi di Tindouf, a cui non è consentito uscire.
Dobbiamo tornare all’essenziale: la risoluzione 1920, adottata all’unanimità dall’ONU, che ci chiede di mettere sul tappeto la questione dell’autonomia proposta dal Marocco e che auspica altresì che siano consentite le visite familiari tra il Sahara occidentale e i campi di Tindouf.
Queste, fondamentalmente, sono le sfide che riteniamo importanti. Come suggerito dal collega Panzeri, occorre riaprire il dialogo con tutte le parti, in particolare con le autorità del Marocco nelle settimane che seguiranno, cosa che faremo, perché è previsto che il ministro degli Esteri compaia dinanzi a noi il 1° dicembre.
Antonio Masip Hidalgo (S&D). – (ES) Signora Presidente, il 18 novembre, al Parlamento spagnolo, il ministro Jiménez ha sottolineato che il parere della Corte internazionale di giustizia dell’Aia affermava che la decolonizzazione non è ancora avvenuta e che non vi può essere alcuna assimilazione identitaria del Sahara occidentale con il Marocco. Sono trascorsi 35 anni di sofferenze e di occupazione illegale. Il campo è il paradigma della distanza tra il Marocco e la popolazione saharawi, per quanti coloni e soldati possa aver introdotto nel territorio da cui ha espulso migliaia di abitanti autoctoni.
Il Marocco reprime con odio quello che sa essere un popolo diverso. Presto ci saranno processi coloniali come quello celebratosi il 5 novembre a Casablanca, dove osservatori esteri ed europei hanno subito violenze. Impediamo la distruzione di una popolazione nobile ed eroica, amica dell’Europa.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, un fatto così grave come si è verificato nelle settimane scorse a danno della popolazione saharawi non può non essere sanzionato ed è quindi giusto e doveroso l'intervento del Parlamento europeo.
Di contro non v'è dubbio – lo diceva correttamente il collega Salafranca – che la popolazione del Marocco ha nel tempo portato avanti una serie di contributi importanti in Africa che consentono di ritenere quel popolo non soltanto amico, ma particolarmente vicino alle posizioni dell'Unione europea.
Ferma restando la sanzione, doverosa e assolutamente essenziale, va certamente collegato a questa un rinnovato percorso di negoziato, peraltro già avviato dall'apposita commissione congiunta, che consenta realmente la tutela dei diritti fondamentali – per come sono stati violati non possono essere ancora violati – in attesa che l'ONU, definendo l'istruttoria, faccia piena luce sulla vicenda della quale oggi stiamo parlando per mettere luce su una violazione dei diritti fondamentali che va realmente sanzionata.
Metin Kazak (ALDE). – (BG) Signora Presidente, anch’io desidero congratularmi con il Commissario Piebalgs per la sua descrizione straordinariamente equilibrata dell’atteggiamento della Commissione europea verso gli avvenimenti nel Sahara occidentale. Ritengo che con questa risoluzione rischiamo di fare più male che bene perché non dedichiamo attenzione alcuna agli sforzi che il Marocco sta compiendo per giungere a una soluzione giusta e duratura al conflitto nel Sahara occidentale.
Vorrei ricordare che molte organizzazioni internazionali si trovano ancora nella zona e conducono le proprie indagini su quanto è accaduto. Credo che il migliore forum di dialogo con il Marocco sia la commissione parlamentare mista UE-Marocco. Penso che occorra appoggiare gli sforzi compiuti per trovare una soluzione reciprocamente accettabile sotto l’egida delle Nazioni Unite, piuttosto che esprimere dichiarazioni poco equilibrate.
Janusz Władysław Zemke (S&D). – (PL) Signora Presidente, non mi stancherò di sottolineare che la situazione nel Sahara occidentale è giustamente fonte di preoccupazione per noi. In questa Aula, sappiamo benissimo che il conflitto, che prosegue da molti anni, potrebbe ripercuotersi su territori molto più lontani. Ci sono persone che non hanno speranza, che vengono represse e umiliate al contempo. In una siffatta situazione, le persone che sono state umiliate possono spesso costituire una riserva naturale per attività terroristiche, possono diventare sensibili all’indottrinamento dei terroristi, e il Sahara occidentale può diventare un luogo da cui viene esportato il terrore. Pertanto, l’Unione europea deve condannare tutti i casi di violazione delle leggi, ma penso sia ancora più necessario compiere sforzi per aiutare le forze ONU a garantire con maggiore efficacia la sicurezza nella regione.
Nicole Kiil-Nielsen (Verts/ALE). – (FR) Signora Presidente, l’8 novembre le autorità del Marocco hanno commesso violenze durante lo smantellamento dell’accampamento sorto nei pressi di Laâyoune, nel Sahara occidentale, provocando morti e feriti.
Sono assolutamente scandalizzata per il fatto che uno Stato membro, nella fattispecie la Francia, si opponga alla richiesta di una missione di inchiesta ONU sui fatti in questione. La proposta dell’Uganda alla riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 16 novembre era tuttavia legittima e auspicabile. La Francia ha buon gioco a nascondersi dietro l’indecisione del Consiglio di sicurezza per abusare del peso del proprio potere di veto per impedire che si faccia luce su questi incidenti. La verità sarebbe così difficile da affrontare?
L’Europa, a cui piace pensare di essere esemplare nel proteggere i diritti umani, deve chiedere l’apertura di una missione di inchiesta indipendente e trasparente sotto l’egida delle Nazioni Unite, e una proroga del mandato alla missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara occidentale (MINURSO). Più in generale, ci affidiamo alla Baronessa Ashton perché si giunga a una soluzione equa e duratura a questa situazione inaccettabile per la popolazione saharawi.
Dominique Vlasto (PPE). – (FR) Signora Presidente, come i colleghi, anch’io deploro la perdita di vite umane in questo conflitto. Ma vorrei dire che il testo proposto è poco equilibrato e mi rincresce che la votazione su questa risoluzione sia stata frettolosa. Sarebbe stato meglio attendere i risultati delle indagini prima di tenere una vera e propria discussione su basi solide, per permettere ai colleghi di farsi un’idea corretta di ciò che sta effettivamente accadendo. Infatti tale modo di procedere potrebbe essere visto come un modo di influenzare i negoziati ONU sul futuro del Sahara occidentale. Devo dire che ciò mi preoccupa, in un momento in cui si sta rilanciando la politica euromediterranea. Servirà tempo per stabilire la realtà dei fatti e le responsabilità di ciascuno. A mio parere, si tratta di un elemento fondamentale per la stabilità di questa delicatissima regione e per il benessere della sua popolazione.
John Bufton (EFD). – (EN) Signora Presidente, anche oggi parlerò dei preoccupanti sviluppi nel Sahara occidentale.
Come abbiamo appreso dai giornali, ci sono stati violenti scontri nei campi profughi in cui la maggior parte della popolazione del Sahara occidentale è stata reclusa fin dall’invasione del Marocco negli anni ’70. Invadere il loro paese è una cosa, ma relegare gran parte della popolazione nei campi profughi è un altro discorso.
Il movimento del Sahara occidentale in esilio ha portato coraggiosamente la propria situazione all’attenzione del mondo. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha esaminato quest’ultimo episodio di violenze, ma non è giunto a chiedere che si avvii un’inchiesta indipendente.
È facile prevedere che le autorità del Marocco non saranno proprio imparziali se l’indagine sarà lasciata nelle loro mani. Esse non sanno nemmeno stabilire quante persone siano state uccise nell’irruzione nel campo di Laâyoune. Data la vicinanza del Sahara occidentale all’Europa e le possibilità di destabilizzare la delicata regione nordafricana se non si agirà per tempo, le cose potrebbero peggiorare.
Ritengo che occorra davvero un’inchiesta indipendente e invito il Consiglio di sicurezza dell’ONU ad avviarne una.
Bernadette Vergnaud (S&D). – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzitutto non credo sia giusto esprimere il nostro parere così presto in una votazione riguardante gli avvenimenti svoltisi a Laâyoune l’8 novembre, dato che ancora non abbiamo a disposizione tutti gli elementi necessari per garantire il distacco e l’obiettività necessari.
Nondimeno, stante la situazione, sono sollevata nel vedere che abbiamo raggiunto una risoluzione congiunta relativamente equilibrata e misurata che tiene conto del concetto dei diritti umani e che non condanna indebitamente una delle due parti, benché contenga alcuni punti discutibili. In ogni caso, il punto più importante, a mio avviso, è evitare di gettare altra benzina sul fuoco, affinché sia possibile condurre indagini e negoziati in un’atmosfera di calma, perciò ritengo sia saggio non cadere nella tentazione di mettere in discussione lo status privilegiato di un paese partner limitrofo sulla scorta di resoconti parziali e spesso contraddittori.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signora Presidente, il tentativo del Marocco di sopprimere le testimonianze sugli incidenti verificatisi nel Sahara occidentale non mette il paese in buona luce. Quando è stata attaccata la flottiglia di aiuti umanitari per Gaza, ha suscitato subito l’indignazione di tutto il mondo. Tuttavia, quando è stato sgomberato un accampamento di protesta nel Sahara occidentale occupato, con morti e feriti, e quando la città in questione è stata dichiarata zona proibita, persino ai giornalisti, è mancata un’azione combinata e dinamica della comunità internazionale.
Naturalmente, era prevedibile che, data la spinosità della situazione, a un certo punto il movimento di liberazione non si sarebbe più sentito vincolato dalla tregua, collegata anche a un referendum sul Sahara occidentale, su cui non si è mai raggiunto un accordo non essendo riusciti a definire chi dovessero essere i votanti. Nel frattempo sempre più marocchini si sono insediati nella zona. A mio parere, occorre fare piena luce su questi incidenti. L’Unione europea deve agire in veste di mediatore neutrale e cercare di riportare entrambe le parti al tavolo delle trattative.
Ulrike Rodust (S&D). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono a favore del compromesso raggiunto per la risoluzione. In qualità di coordinatore del gruppo dell’Alleanza progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo presso la commissione per la pesca, anch’io sono interessato all’accordo di pesca con il Marocco. È positivo che nella risoluzione sollecitiamo il rispetto del diritto internazionale, per quanto concerne lo sfruttamento delle risorse del Sahara occidentale. Purtroppo, la maggior parte dei deputati in quest’Aula non sanno che esiste un parere emesso dal servizio giuridico del Parlamento che dichiara che l’attuale accordo di pesca con il Marocco viola il diritto internazionale se non è dimostrato che la popolazione del Sahara occidentale profitta dell’accordo. Attualmente non è così, quindi la Commissione europea ha congelato i negoziati per il rinnovo dell’accordo. Spero ardentemente che si possa trovare una soluzione diplomatica a questo stato di cose. Ciononostante deve essere chiaro che non possiamo ignorare il diritto internazionale per interessi economici.
Ulrike Lunacek (Verts/ALE). – (DE) Signora Presidente, anch’io sono molto lieta della risoluzione finalmente raggiunta in quest’Aula sul conflitto nel Sahara occidentale. Penso che avremmo dovuto farlo già da tempo per altri motivi, non soltanto dopo che si sono verificati gli atroci incidenti nel campo di Gdaim Izyk.
Non capisco davvero perché il Marocco non sia disposto ad acconsentire a un’inchiesta indipendente. Se non ha nulla da nascondere, l’inchiesta deve poter essere avviata. Quindi, perché questo non avviene? Spero ardentemente che questa risoluzione sia adottata dal Parlamento domani; chiaramente ciò non significa che si debba cessare di dialogare con il Marocco. La prossima settimana, i ministri degli Esteri del Marocco e dell’Algeria e il Fronte Polisario sono invitati a essere presenti alla riunione della commissione per gli affari esteri. Spero che vengano e si impegnino a discutere con noi.
Tuttavia, non ritengo che la proposta di rinviare la risoluzione sia ragionevole, perché, come Parlamento europeo, dobbiamo rispettare e sostenere il principio del rispetto dei diritti umani, nonché il principio del diritto di un popolo all’autodeterminazione, nella fattispecie il popolo saharawi. Feci visita ai campi nei pressi di Tindouf per la prima volta 23 anni fa. Da allora, questa popolazione lotta per poter finalmente rispettare la propria legge e per indire un referendum equo e giusto. Perciò sono lieta che questa risoluzione sia ora all’esame e che domani, auspicabilmente, sia anche adottata.
Cristian Dan Preda (PPE). – (FR) Signora Presidente, in primo luogo vorrei dire che è vero che avremmo potuto discutere più a lungo e proporre un testo diverso. Tuttavia, al testo è stato assegnato più o meno lo stesso tempo solitamente dedicato alle risoluzioni d’urgenza. Ai nostri partner marocchini dovremmo pertanto dire che questo è effettivamente il consenso raggiunto dai diversi gruppi politici.
Penso che si tratti di una fase di questo dialogo. Appoggio, probabilmente per la prima volta, la proposta dell’onorevole Panzeri di mantenere un dialogo costante in sede di commissione parlamentare su alcuni argomenti che ci legano ai nostri colleghi marocchini. Si tratta di una commissione creata di recente che può essere appoggiata (perché no?) da un gruppo di amici del Marocco, perché ve ne sono molti anche qui. Inoltre attendo con impazienza il dialogo con il ministro degli Esteri di quel paese. Egli ha annunciato che parlerà alla commissione per gli affari esteri la settimana prossima. Ecco un’altra opportunità per proseguire questo dialogo.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, dopo aver seguito con grande attenzione il dibattito, vorrei confermare la mia dichiarazione iniziale, in quanto credo sia molto equilibrata e corretta.
Ne vorrei ripetere l’ultima frase: l’Unione europea sostiene gli sforzi del Segretario generale delle Nazioni Unite per giungere a una soluzione politica giusta, duratura e reciprocamente accettabile che preveda l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, in accordo con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Vorrei certamente invitare entrambe le parti ad appoggiare gli sforzi delle Nazioni Unite.
Presidente. – Sono state presentate sette proposte di risoluzione(1) a conclusione della discussione. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 12.
(La seduta, sospesa alle 20.00, riprende alle 21.00)
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Dominique Baudis (PPE), per iscritto. – (FR) Esaminando con attenzione le immagini disponibili su Internet, è possibile misurare il livello di violenza usata contro le forze dell’ordine marocchine. Le scene a cui si è assistito nel campo Gdaim Izyk e sulla strada per Laâyoune descrivono atti di violenza letale indirizzata contro i servizi di sicurezza marocchini. Neppure i veicoli di emergenza sono stati risparmiati. La realtà è molto diversa da ciò che la propaganda ci vorrebbe far credere. Quindi il nostro Parlamento deve dar prova di misura e usare discrezione, e non incolpare indebitamente le autorità del Marocco, ritenendole le uniche responsabili di questa situazione.
Debora Serracchiani (S&D), per iscritto. – Le ultime sanguinose vicende, legate al contenzioso tra Marocco e Fronte Polisario sul Sahara Occidentale, richiedono maggiore attenzione per gli effetti negativi che potrebbero avere sulla stabilità della regione. Lo sgombero dell'accampamento di El Aayoun avrebbe provocato una dozzina di morti, oltre 700 feriti, 150 dispersi e 160 arresti da parte delle autorità marocchine, e avrebbe portato all’uccisione del cittadino spagnolo di origini saharawi Baby Hamday Buyema. Non dobbiamo lasciare solo il popolo Saharawi ma occorre terminare il negoziato condotto sotto l’egida delle Nazioni Unite, in conformità con i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in particolare l'articolo 2. L'Unione europea deve intervenire ed invitare il governo marocchino ad evitare altri spargimenti di sangue e a rilasciare i saharawi detenuti illegalmente. La ripresa dei colloqui informali tra le parti, avvenuta il 7 e 8 novembre, deve essere un primo segnale affinché una soluzione equa possa essere accettata pacificamente dalle parti.
Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione presentata dalla Commissione a nome della Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sull’Ucraina. Desidero innanzi tutto concedere la parola al signor Commissario De Gucht a nome della Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la baronessa Ashton.
Karel De Gucht, membro della Commissione, a nome della Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (FR) Signor Presidente, sono molto lieto di discutere questa sera sulla situazione in Ucraina a nome della Vicepresidente e Alto rappresentante Ashton, la quale si rammarica di non essere presente.
Oggi è un giorno importante per l’Ucraina: la sua presidenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) nel 2013 è stata annunciata questa mattina. Questo è un privilegio, ma anche una responsabilità, che offrirà all’Ucraina l’opportunità di dimostrarsi all’altezza delle aspettative, indubbiamente alte.
Vorrei soffermarmi ora sulle relazioni bilaterali, sottolineate lo scorso lunedì da un vertice tenutosi a Bruxelles, al castello di Val Duchesse, al quale hanno partecipato il presidente Yanukovych, nonché i Presidenti Van Rompuy e Barroso. La Vicepresidente Ashton ha preso parte alla discussione sulle questioni internazionali. Anch’io ero presente per tracciare le prospettive volte a creare nell’immediato futuro una zona di libero scambio globale, estesa e con obiettivi ambiziosi. I colloqui sono stati franchi, e sono convinto che il vertice abbia messo sulla buona strada una rapporto che merita di essere più ampio e concreto.
I due risultati più importanti del vertice sono stati l’adozione di un piano d’azione per la libera circolazione delle persone e la firma di un protocollo per l’accordo di partenariato e cooperazione, finalizzato a consentire all’Ucraina di partecipare a programmi dell’Unione europea.
Tra gli altri punti all’ordine del giorno figuravano la situazione interna dell’Ucraina, i negoziati in corso sul futuro accordo di associazione e il processo di riforma. L’Ucraina è un paese vicino e stiamo quindi tentando di aumentare questo vicinato. A loro volta, gli stati limitrofi all’Ucraina non stanno certo a guardare, basti pensare al vertice NATO di questa settimana e alle conclusioni odierne dei negoziati bilaterali a Bruxelles, dove mi trovavo solo poche ore fa. Tali negoziati consentiranno all’Unione europea di appoggiare l’adesione della Russia all’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC).
Ritornando al vertice, il governo attuale ha compiuto una serie di riforme economiche fondamentali che sono state accolte con favore. Vi è innanzi tutto la legge sugli appalti pubblici, che deve svolgere un ruolo importante nella lotta alla corruzione. Sono stati stipulati accordi con il Fondo monetario internazionale e introdotte riforme importanti in quello che è un settore chiave, il settore energetico. Il governo ucraino è riuscito a stabilizzare la situazione nel paese, risultato di estrema importanza.
Fonte di preoccupazione sono tuttavia le continue segnalazioni in merito al deterioramento delle libertà fondamentali e dei principi democratici in Ucraina. Destano gravi timori in particolare le inquietudini espresse in merito alla libertà dei media, di riunione e di associazione. La Corte costituzionale ucraina ha inoltre recentemente abrogato, come sapete, la costituzione del 2004 adottata durante la Rivoluzione arancione. È tornata quindi in vigore la costituzione del 1996, che conferisce maggiori poteri al Presidente. Tale decisione altamente controversa dimostra che in Ucraina si rende necessario un processo di riforma costituzionale aperto e partecipativo.
Questo processo deve mirare a creare un sistema sostenibile di controlli incrociati secondo standard europei, come evidenziato anche dalla vostra risoluzione di febbraio.
Un’altra decisione recente adottata dalla Corte costituzione che lascia spazio a diverse interpretazioni, riguarda la durata dell’attuale mandato parlamentare. Mentre la costituzione del 1996, al momento in vigore, prevede un mandato di quattro anni, la Corte ha stabilito che i poteri dell’attuale parlamento scadranno dopo soli cinque anni, essendo stato eletto quando era in vigore la costituzione del 2004. Questa decisione esprime l’approccio à la carte assunto in misura crescente dall’attuale amministrazione. L’Ucraina, ancora una volta, ha fortemente bisogno di un processo di riforma costituzionale aperto e partecipativo e non di decisioni prese in funzione delle circostanze.
Negli ultimi anni, il livello di libertà politica in Ucraina è stato molto alto: istituzioni attendibili hanno definito le varie elezioni conformi agli standard internazionali. È pertanto deplorevole constatare che le ultime elezioni comunali del 31 ottobre siano state criticate dalla maggior parte degli osservatori. Nonostante tali critiche siano state rivolte solo agli aspetti tecnici e procedurali, il fatto rappresenta in ogni caso un passo indietro.
I valori e i principi democratici, così come i diritti umani, sono principi fondamentali per gli Stati membri dell’Unione europea e non possono essere oggetto di compromesso, soprattutto dal momento che si tratta di un partner cruciale.
Valori comuni per un futuro condiviso: questa è la sfida della futura associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea. Come abbiamo fatto durante il vertice dello scorso lunedì e fintanto che i problemi persisteranno, dobbiamo continuare a mandare un messaggio molto chiaro in merito al rispetto dei valori fondamentali.
Elmar Brok, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero porgere i miei più sentiti ringraziamenti in merito alla dichiarazione presentata oggi a nome dell’Alto rappresentante e rispetto alla quale ho in realtà poco da aggiungere. Ritengo che si possa sicuramente affermare, anche per ragioni legate alla stabilità parlamentare, che siano state adottate riforme e si sia ottenuta una maggiore stabilità. Tali sviluppi vanno accolti con favore, ma dobbiamo anche constatare che, nonostante le ultime elezioni parlamentari si siano svolte in modo giusto ed equo, quelle locali non sono state condotte allo stesso modo in quanto sono state modificate e l’opposizione non ha avuto la stessa opportunità di presentare le proprie liste elettorali ovunque. A mio avviso dobbiamo inoltre renderci conto che il capo dei servizi segreti svolge anche un ruolo di primo piano nel controllo della Corte costituzionale in cui i giudici vengono sostituiti allo scopo di abrogare la costituzione della Rivoluzione arancione. Questi sono i fatti. Sono dunque grato per la dichiarazione che ha ribadito che i valori comuni e i diritti fondamentali rivestono un ruolo cruciale. La prospettiva europea dell’Ucraina rappresenta indubbiamente un argomento importante.
D’altro canto, sono lieto che in occasione del vertice di lunedì si siano compiuti progressi significativi su questioni importanti. Le parole di critica appena espresse non devono dipendere o essere rese subordinate a quanto sta avvenendo in tema di agevolazioni dei visti. È senza dubbio positivo e importante compiere progressi in questo settore.
Dobbiamo procedere in direzione di un approfondimento della zona di libero scambio che avvicini l’Ucraina al mercato interno europeo e ribadisca con chiarezza che sia le prospettive politiche che quelle economiche dell’Ucraina risiedono in Europa. Non ha alcun senso adottare il sistema economico russo senza poter disporre delle sue materie prime. Il mercato europeo sarà quindi sempre più interessante per l’Ucraina e procederà di pari passo con l’accordo di associazione. Ritengo però necessario essere consapevoli che quanto detto non è solamente nell’interesse dell’Ucraina, ma anche nel nostro, e che dobbiamo far sì che tanto lo sviluppo esterno che quello interno della Turchia procedano in modo soddisfacente per i nostri comuni interessi nell’area.
Adrian Severin, a nome del gruppo S&D. – (EN) Signor Presidente, la filosofia del gruppo a cui appartengo in merito alle relazioni tra Ucraina e Unione europea può essere riassunta dalla seguente parafrasi di un famoso discorso: non chiederti cosa l’Ucraina può fare per l’Unione europea, ma chiediti cosa l’Unione europea può fare per l’Ucraina, affinché quest’ultima divenga un pilastro affidabile del progetto dell’Unione europea.
L’approccio dell’Unione europea verso l’Ucraina deve quindi essere equilibrato, giusto, strategico e pragmatico. A mio avviso, tali criteri sono stati soddisfatti dai risultati ottenuti nell’ultimo vertice e desidero ringraziare il Commissario per aver descritto il nostro approccio in questi termini.
“Equilibrato” significa chiedere miglioramenti e al contempo offrire assistenza. “Giusto” vuol dire evitare di prendere posizione nelle controversie di politica interna e impiegare i medesimi standard nel valutare le azioni dei partiti a prescindere dal loro colore. “Pragmatico” denota la decisione di riporre la propria fiducia nelle prove e non nelle semplici dichiarazioni, dicerie e pregiudizi. “Strategico” indica la promozione di politiche volte a consentire all’Ucraina di integrarsi organicamente nel progetto dell’Unione europea, scoraggiando invece quelle politiche che tendono a usare l’Ucraina per contrapporci ai suoi vicini.
La risoluzione di compromesso che dovremmo adottare a seguito della discussione odierna è un esempio non perfetto, ma perlomeno accettabile, del suddetto approccio. Lamento alcuni errori commessi nella stampa del testo. Dobbiamo chiedere a tutti i responsabili politici in Ucraina di non presentare questa risoluzione come una vittoria dell’uno sull’altro. La risoluzione infatti intende inviare a tutte le forze politiche ucraine il segnale che è giunto il momento di adottare una serie di priorità condivise a livello nazionale e di attuare le riforme, le politiche e i risultati politici attesi da tempo. Questi risultati garantirebbero il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e fornirebbero una migliore opportunità al paese con l’obiettivo dell’integrazione europea. Non occorre internazionalizzare le controversie interne dell’Ucraina.
nostri Facciamo il nostro dovere su entrambi i fronti e il futuro ci ripagherà tutti.
Adina-Ioana Vălean, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, è interessante constatare che l’Ucraina figura così spesso all’ordine del giorno. Auspico che questo significhi un progresso nei nostri rapporti con quel paese.
Tendo a ritenere che, con il pragmatismo e il rispetto reciproco, la comprensione delle differenze e la ricerca di interessi condivisi, si possano consolidare progetti comuni e giungere a un partenariato onesto.
Apprezzo le recenti dichiarazioni rilasciate dalla leadership ucraina che mi auguro abbia accantonato la paura che l’Ucraina si stia allontanando da un futuro europeo. D’altro canto, ogni discussione sull’Ucraina tende a tramutarsi in una guerra tra le diverse famiglie politiche europee dell’opposizione e i partiti politici al potere in Ucraina. A mio avviso questo non aiuta, perché non si tratta di chi sia meglio, governo o opposizione, né di chi sia maggiormente sostenuto dagli europei, ma stiamo parlando del futuro democratico dei cittadini ucraini e di come garantire loro un paese forte, prospero e democratico.
Il vertice tenutosi questa settimana ha ottenuto buoni risultati, sia favorendo l’accesso ai programmi europei che nei negoziati sull’accordo di associazione. Sono particolarmente lieta di constatare i progressi lungamente attesi compiuti sul fronte dell’istituzione di una zona di libero scambio.
Naturalmente c’è ancora molto da fare in termini di riforme economiche e istituzionali e si deve consolidare quanto è già stato avviato. Non si dovrà ammettere alcuna deroga alla legge sugli appalti pubblici introdotta all’inizio di quest’anno, nemmeno nel caso del campionato europeo di calcio.
Sebbene un nuovo codice tributario costituisca un passo avanti positivo verso il miglioramento del quadro fiscale, esso non deve finire per gravare sulle piccole e medie imprese che svolgono un ruolo essenziale in ogni economia sana.
Mi spiego: non si tratta di dire all’Ucraina come si deve comportare e cosa deve fare per noi. Si tratta innanzi tutto di quello che l’Ucraina deve fare per se stessa, poiché le riforme istituzionali ed economiche rappresentano il prerequisito per un futuro democratico e prospero, e questo è nel migliore interesse dei cittadini ucraini.
Rebecca Harms , a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli ultimi giorni si sono svolte forti proteste a Kiev, Lugansk e Charkiv e in molte altre piccole e grandi città dell’Ucraina. Decine o centinaia di migliaia di cittadini ucraini si riversano sulle strade e protestano contro le leggi fiscali che ritengono ingiuste. Dovendo dedicare la nostra risoluzione a qualcuno, ritengo che in questo contesto la si debba dedicare ai cittadini ucraini che, protestando, garantiscono la continuazione dello sviluppo dell’Ucraina come democrazia. La risoluzione esprime preoccupazione per l’erosione di una democrazia ed è indubbiamente indirizzata al governo e alle autorità, soprattutto in relazione alle proteste, in particolar modo al ministero ucraino degli affari interni che va esortato affinché permetta il proseguimento delle proteste. A Kiev domani si prevedono centinaia di migliaia di persone, forse milioni. Ammetto di seguire con impazienza gli sviluppi, non senza preoccupazione su ciò che potrebbe succedere. Fin qui è andato tutto bene, toccando ferro. Negli ultimi giorni il governo ha mostrato che la libertà di riunione esiste, e mi auguro che si continui così.
Ritengo sia stato importante aver conferito alla risoluzione un approccio trasversale a tutti i gruppi politici. Commetteremmo un grave errore per lo sviluppo dell’Ucraina se in futuro una parte di quest’Aula appoggiasse il Partito delle regioni e l’altra quello di Yulia Tymoshenko. Ciò non aiuterebbe lo sviluppo democratico dell’Ucraina. Mi auguro che la risoluzione sia accolta con serietà, anche qualora venisse adottata dopo il vertice, specialmente alla luce delle gravi proteste e delle preoccupazioni espresse dai cittadini in merito agli effetti della riforma del FMI. Mi auguro inoltre che continuiamo a seguire attentamente gli avvenimenti di Kiev e in generale in Ucraina. Ringrazio per l’attenzione e mi auguro che il Parlamento e la Commissione continuino a essere solidali nel proprio lavoro con questo paese così vicino a noi europei.
Paweł Robert Kowal, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, nel Parlamento europeo si sono svolte per diverse settimane discussioni avvincenti sulle questioni ucraine. Ritengo sia stato molto positivo. I risultati delle sedute vengono seguiti in Ucraina con grande interesse, maggiore rispetto a quello di molti paesi dell’Unione europea. Prendiamo quindi la nostra risoluzione come una lettera indirizzata ai cittadini ucraini, e non all’uno o all’altro partito, nella quale affermare con sincerità che stiamo seguendo con interesse gli avvenimenti, che siamo pronti ad aprire la porta all’Ucraina e che auspichiamo contatti più frequenti con i cittadini del paese. Desidero ringraziare l’onorevole Harms per le splendide parole pronunciate: intuisce sempre molto bene quello che è necessario dire in questi momenti.
Cerchiamo quindi di parlare sinceramente, riconoscendo che non possiamo dirci soddisfatti delle elezioni che per molti versi hanno lasciato a dir poco a desiderare. Non è stato possibile mantenere l’andamento favorevole delle elezioni precedenti, però esiste ancora un’opportunità per l’Ucraina e noi intendiamo aiutarla. Si potrebbe dunque parlare degli avvenimenti positivi che si stanno verificando e ribadire che nel settore dell’economia, della politica e soprattutto nell’ambito delle relazioni con i cittadini ucraini, la porta dell’Europa rimane aperta. È positivo constatare che dal vertice UE-Ucraina sia giunto un simile segnale questa settimana. È una coincidenza fortunata discutere oggi di questa risoluzione, che non è rivolta a un partito piuttosto che a un altro bensì a tutti i cittadini ucraini, e adottarla insieme.
Jaromír Kohlíček, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Signor Presidente, ogni volta che si accenna all’Ucraina, il cittadino comune dell’Unione europea pensa al pugile Klitschko che sconfigge con facilità i propri avversari. In termini economici l’Ucraina ha però un peso altrettanto importante e diversi paesi dell’Unione europea e dei Balcani dipendono dalle reti che li riforniscono, attraverso il territorio ucraino, di petrolio e gas naturale provenienti dall’Asia centrale e dalla Siberia. È senza dubbio l’attore più importante tra i paesi del partenariato orientale. Accolgo quindi con favore il miglioramento delle relazioni con la Russia e i risultati ottenuti in seno al vertice UE-Ucraina. In molti paesi dell’Unione europea, i cittadini ucraini costituiscono una parte cospicua dei lavoratori stranieri e gli scambi reciproci registrano una crescita dinamica. I problemi dell’Ucraina sono gli stessi che si trovano a fronteggiare molti paesi dell’Unione europea: corruzione, regime dei visti sfavorevole e leggi incompatibili tra loro. Occorre ricordare che, secondo gli osservatori, le elezioni comunali si sono svolte in assenza di grosse lacune tecniche. La risoluzione proposta trasversalmente dallo schieramento politico rappresenta un compromesso equilibrato e, nonostante le mie riserve su alcuni dettagli, il gruppo GUE/NGL la appoggia.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo EFD. – (NL) Signor Presidente, le molte irregolarità, talvolta anche incredibili, nelle elezioni locali e regionali tenutesi in Ucraina il 31 ottobre devono essere un segnale d’allarme per l’Unione europea. Per fare solo un paio di esempi: schede elettorali aggiuntive stampate in gran numero e in modo incontrollato in molte regioni, altre schede fotografate, e che dire dell’enorme pressione esercitata su funzionari, insegnanti, medici e professori per evitare che si candidassero per i partiti di opposizione? L’Unione europea può e deve adottare una posizione dura contro questo approccio sbagliato e antidemocratico in merito alle elezioni parlamentari del 2012, mantenendo i propri valori politici a fronte delle tendenze autoritarie in Ucraina. In caso contrario, rischiamo di perdere credibilità presso le classi dirigenti del paese e in particolare tra le forze democratiche e riformiste. Fortunatamente, signor Commissario, il suo intervento chiaro non offre motivi di preoccupazione a tal riguardo.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, sappiamo tutti che l’Ucraina è uno dei paesi limitrofi più grandi dell’Unione europea e che possiede un enorme potenziale per il futuro. È pertanto un partner estremamente importante per l’Unione europea. Da un punto di vista politico, però, non c’è dubbio che voglia prendere le distanze dall’Unione. Non è un caso che nelle ultime elezioni locali abbia avuto il sopravvento la fazione pro-russa determinando probabilmente anche una sconfitta per l’Unione europea. È chiaro quindi che l’UE sta perdendo il proprio potere di attrazione per i cittadini ucraini. I cittadini dell’Ucraina vorrebbero forse essere europei, ma non necessariamente far parte dell’Unione europea, che sta gradualmente sprecando le sue carte migliori e si atteggia a superpotenza arrogante. È fuor di dubbio invece che i cittadini ucraini vorrebbero essere considerati partner paritari sia dall’Unione europea che dalla Russia.
Non dobbiamo quindi starcene a guardare i cittadini ucraini dall’alto del nostro empireo, come se la loro unica e massima aspirazione fosse quella di entrare a far parte dell’Unione europea. Offriamo loro l’opportunità di sviluppare la propria identità negli anni a venire e quindi di decidere se vogliono avvicinarsi all’Unione o invece rimanere indipendenti.
Michael Gahler (PPE). – (DE) Signor Presidente, come è emerso chiaramente durante il vertice, vi è un enorme potenziale di cooperazione tra l’Unione europea e l’Ucraina. Il duplice esempio del piano di azione per la liberalizzazione dei visti e l’accordo di associazione sta a dimostrarlo.
Nella risoluzione di compromesso, come si evince dagli elementi che la compongono, abbiamo sottolineato gli aspetti potenzialmente positivi. Vorrei però citare un proverbio inglese: “the proof of the pudding is in the eating”, ossia sono i risultati a contare. Resta da vedere se il pacchetto e le leggi di riforma verranno di fatto attuate.
Il Commissario ha ricordato la legge sugli appalti pubblici, nella quale è stata appena introdotta un’eccezione significativa. Tutti gli appalti in relazione al campionato europeo di calcio sono stati esclusi dal campo di applicazione della presente legge; mi è facile immaginare sin d’ora chi farà soldi a palate grazie a tale deroga. Questo è un esempio di come si parli tanto di principi mentre in pratica le cose vanno assai diversamente.
Vorrei ringraziare espressamente il Commissario per essersi preoccupato della libertà di stampa, di riunione e di espressione e per aver affermato in modo chiaro, almeno stando alla traduzione tedesca, che le elezioni locali rappresentano un passo indietro. Tale opinione è condivisa anche dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) e anche noi abbiamo espresso lo stesso parere esplicitamente.
Quando l’onorevole Severin sostiene che non vi sia alcuna necessità di internazionalizzare i conflitti interni, si tratta a mio avviso di un modo più elegante di indicare quello che in precedenza veniva chiamato principio di non ingerenza negli affari interni. Lo conosciamo fin troppo bene e pertanto non deve essere questo il principio che guida le nostre azioni nei confronti dell’Ucraina. Proprio perché vogliamo avvicinare il paese all’Europa, la nazione deve poter anche essere misurata secondo standard europei. L’onorevole Harms ha quindi ragione nell’affermare che dobbiamo restare in stretto contatto con l’Ucraina e garantire che i risultati ottenuti in termini di democrazia e di diritti umani non vengano contestati ancora una volta da una politica passatista.
Hannes Swoboda (S&D). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo onesti. Sfortunatamente, e desidero sottolineare questo avverbio, la Rivoluzione arancione non ha ottenuto il risultato sperato. La motivazione tra l’altro risiede nella contrapposizione tra la leader dell’opposizione Tymoshenko e l’ex presidente Yushchenko. È interessante che quest’ultimo sostenga oggi che la Tymoshenko non sia diversa dall’attuale presidente Yanukovych. Purtroppo le elezioni locali non hanno soddisfatto le aspettative: gli standard europei non sono stati rispettati e questo risulta ora evidente anche ai cittadini ucraini.
Siamo onesti, onorevole Gahler, quello che intendeva l’onorevole Severin era decisamente diverso. Lei dovrebbe parlare alla leader Tymoshenko come facciamo noi con i nostri amici del partito ucraino delle regioni, e incoraggiarla a seguire la rotta europea. Lasciamoci alle spalle gli oligarchi e puntiamo a uno stato democratico. Se non cercherete di interrompere il lavoro del Parlamento, noi eserciteremo senz’altro pressioni per garantire che gli standard giuridici europei vengano soddisfatti. L’onorevole Harms è seduta al centro. Anche se ciò non corrisponde sempre alla linea del gruppo Verde/Alleanza libera europea, condividiamo la sua opinione. Aiutiamo questo paese sulla base degli standard e del sistema giuridico europei, è importante per tutti. È la nostra politica e continueremo a seguirla fino a che non otterremo qualcosa. È il motivo per cui siamo stati critici sull’andamento delle elezioni. Assicuratevi che la leader Tymoshenko contribuisca a formare un’opposizione costruttiva e consigliatela, come abbiamo fatto noi con il presidente Yanukovych.
Marek Henryk Migalski (ECR). – (PL) Signor Presidente, signor Commissario, inizierò con le parole dell’onorevole Severin che ha detto una cosa molto importante, cioè che dovremmo pensare a quello che possiamo fare noi per l’Ucraina e non a ciò che gli ucraini possono fare per noi. Vorrei ringraziare l’onorevole Severin per le parole pronunciate, che esprimono in modo preciso l’obiettivo da perseguire.
È vero che le elezioni non sono state condotte nel modo in cui volevamo. Sono accadute cose che non avrebbero dovuto verificarsi. Condivido tuttavia il parere dell’onorevole Harms, secondo la quale non dobbiamo cercare il sostegno dell’uno o dell’altro partito, ma guardare a quello che vogliono i cittadini ucraini e a quello che vogliamo noi. L’integrazione dell’Ucraina nelle strutture europee, e diciamolo chiaramente l’adesione all’Unione europea, è nell’interesse dell’Unione e dell’Ucraina stessa. A mio avviso questo innalzamento degli standard che ci si aspettava dai cittadini ucraini è un po’ disonesto. Il fatto è che in quest’Aula alcuni sono molto magnanimi verso i propri partner strategici sulle questioni dei diritti umani, della libertà di parola e di stampa. Al contempo essi stanno innalzando e aumentando considerevolmente gli standard che ci si attende dagli amici ucraini. In questa sede dobbiamo dare prova di moderazione. I cittadini ucraini meritano la nostra cooperazione e le nostre parole di sostegno indipendentemente, come affermato dall’onorevole Swoboda, dallo schieramento politico di appartenenza. Lo stesso talvolta accade anche a noi: alcune divisioni perdono di valore, è la questione in sé a essere più importante, e in questo caso la questione è una forma più stretta di cooperazione tra l’Unione europea e l’Ucraina.
David Campbell Bannerman (EFD). – (EN) Signor Presidente, conosco l’Ucraina grazie alle visite compiute a Kiev e in Crimea, e colleziono opere di artisti ucraini come Tetenko e Shishko. I cittadini ucraini sono un popolo buono, generoso e cordiale, tuttavia da un punto di vista politico consiglio molta prudenza. L’Ucraina è un paese diviso tra un ovest pro-occidentale e un est che si affaccia alla Russia. Con i suoi 45 milioni di abitanti è inoltre un attore importante che la Russia tende a considerare come facente parte della propria orbita.
Ho visitato la flotta russa a Sebastopoli, nella penisola di Crimea, da dove i russi sorveglieranno gelosamente l’accesso al Mar Nero. Qualsiasi prospettiva di far aderire l’Ucraina alla NATO costituirebbe un grave affronto per la Russia.
Un approccio diplomatico mal impostato da parte della baronessa Ashton potrebbe esasperare le tensioni in un momento già difficile mentre, in termini di sovvenzioni agricole, aiuti regionali e migrazione di massa, il costo di forzare l’Ucraina a entrare nell’Unione europea sarebbe proibitivo. È meglio aiutare il paese in modo diverso e mantenere l’Ucraina una nazione fiera e indipendente che non appartiene all’Unione europea.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, conveniamo tutti, mi sembra, sul fatto che, alla luce delle sue estese dimensioni geografiche e della sua popolazione, l’Ucraina abbia un valore strategico e forse addirittura una importanza fondamentale per l’Unione europea.
Trovo tuttavia che manchino due punti nella relazione. Il primo riguarda la menzione delle minoranze in Ucraina. Come sappiamo, solo il 65-70 per cento della popolazione, ivi compresi i ruteni, è ucraino. É presente inoltre una minoranza russa abbastanza consistente, nonché molti ungheresi, tatari e rumeni. Propongo con vigore che la relazione ne tenga conto e che le nostre richieste evochino le nostre preoccupazioni per le minoranze. Va evidenziata inoltre la necessità di sostenere l’istruzione a livello locale, ossia l’istruzione delle minoranze e l’uso delle lingue minoritarie, nonché ricordare gli atti di vandalismo compiuti contro i monumenti locali della minoranza ungherese subcarpatica.
Noto con rammarico il secondo punto, e cioè che non ci siamo pronunciati in modo più categorico contro i brogli commessi durante le elezioni locali. Esorto quindi l’Unione europea a chiedere chiarimenti all’Ucraina in merito ai due punti citati.
Paweł Zalewski (PPE). – (PL) Signor Presidente, questa è una settimana positiva per le relazioni UE-Ucraina. Durante il vertice tenutosi lunedì abbiamo innanzi tutto adottato congiuntamente una tabella di marcia per la deregolamentazione dei visti. Domani, inoltre, voteremo un’ottima risoluzione del Parlamento europeo, che crea opportunità per una ulteriore cooperazione e un rafforzamento della collaborazione tra Unione europea e Ucraina. La risoluzione offre tale possibilità e al contempo conclude una discussione estremamente importante svoltasi a riguardo in seno al Parlamento europeo.
Il raggiungimento di un compromesso e il consenso ottenuto sono positivi. Siamo unanimi nel rivolgerci innanzi tutto agli stessi cittadini ucraini, e non a un particolare gruppo politico in Ucraina, a quello al potere del presidente Yanukovych o all’opposizione della leader Tymoshenko. Vogliamo che l’Ucraina metta in atto un processo di riforme che in futuro le permettano di entrare a far parte dell’Unione europea. Si tratta di un aspetto di estrema importanza. È fondamentale valutare il lavoro del governo ucraino secondo i suoi meriti e in base alle azioni intraprese.
Va detto innanzi tutto che questo è il primo governo dopo molti anni ad aver avviato l’introduzione delle riforme in cooperazione con il Fondo monetario internazionale, e oggi si può constatare che queste riforme stanno avendo effetti benefici sull’economia così come vi sono segnali che il periodo di stagnazione, ben visibile negli ultimi anni in Ucraina, possa giungere a termine. D’altro canto, l’Ucraina stessa sta affermando la propria volontà di far parte dell’Unione europea, ecco perché ci sta conferendo il diritto di valutare il paese secondo gli standard europei. Per questo motivo dobbiamo affrontare le questioni legate alle irregolarità avvenute durante le recenti elezioni.
Marek Siwiec (S&D). – (PL) Signor Presidente, oggi la discussione si sta svolgendo in un’atmosfera diversa da quella del mese scorso. Le emozioni si sono placate. Le parole introdotte nella proposta di risoluzione sono più consone alla situazione reale. È positivo che il Parlamento stia tentando di parlare con una voce sola, nonostante queste parole siano talvolta inopportune e a volte dimostrazione di incapacità.
In che cosa consiste la risoluzione? Verte sulla qualità della democrazia e sull’importanza per il Parlamento europeo che la democrazia in Ucraina sia di grande qualità. La risoluzione è indirizzata a entrambe le parti ossia allo schieramento arancione e a quello blu. Negli ultimi cinque anni la situazione in Ucraina ha visto trionfare prima il partito arancione, poi la fazione blu e ancora una volta quella arancione. Ora a essere al governo è di nuovo il partito blu. Vorrei che quest’Aula facesse sentire a tale gruppo, che riunisce il presidente Yanukovych, il primo ministro Azarov e il partito delle regioni, la loro responsabilità per la salvaguardia del ricco patrimonio di piazza dell’Indipendenza, la grande eredità di ciò che diversi milioni di persone hanno reclamato in questa piazza parecchi anni fa. Essi ne sono responsabili, in quanto attuali detentori del potere.
Desidero inoltre che Yulia Tymoshenko ascolti queste parole, perché è lei l’immagine dell’opposizione. Vorrei che la leader capisse che quando si è all’opposizione non è sufficiente chiedere il potere. È necessario avere un’alternativa per il paese, mostrarla ai cittadini e risvegliarne l’interesse, affinché possano comprendere. Se a entrambi i gruppi fosse chiara questa alternanza al potere e che l’Ucraina ha bisogno della stessa cura, immaginazione e coraggio in modo permanente, avremmo riscosso un grande successo, perché li avremmo aiutati a capire.
All’onorevole collega della Repubblica ceca: non è stato Victor Klitschko, ma Vitali Klitschko a dare una batosta agli americani sui ring di pugilato tedeschi. Ci sono due Klitschko. Il fatto che l’Ucraina abbia creato due simili pugili è un segno della grandezza del paese.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, uno dei risultati più importanti ottenuti dal crollo dell’Unione Sovietica è rappresentato dalla creazione di uno stato ucraino indipendente. Si tratta di un paese che può essere considerato come un futuro membro della Comunità europea.
Non posso che accogliere con favore il fatto che il presidente Yanukovych e il nuovo parlamento abbiano confermato le proprie aspirazioni di far parte dell’Europa, in quanto uno stato ucraino realmente indipendente e democratico, immune dalla corruzione e dalla paura di oligarchi e strutture di potere, nonché fermamente basato sullo stato di diritto, rappresenta ora e in futuro un fattore insostituibile per la stabilità dell’intero continente. Senza un’Ucraina realmente democratica, è difficile immaginare una Russia parimente democratica.
La giornata di ieri ha segnato il sesto anno dall’inizio della Rivoluzione arancione. Sfortunatamente, l’enorme potenziale di quel cambiamento è stato sprecato. La vittoria dei manifestanti democratici nel dicembre del 2004 ha però affermato la credibilità delle elezioni pluripartitiche e della libertà di stampa. Nella proposta di risoluzione, il Parlamento europeo esprime preoccupazione in merito al numero crescente di segnalazioni, secondo le quali le libertà e i diritti democratici, compresa la libertà dei media, sono stati minacciati e i servizi di sicurezza hanno iniziato a intervenire ancora una volta nelle attività democratiche dei cittadini.
Vorrei inviare un messaggio importante al nuovo governo: l’Europa è pronta a cooperare in tutti i settori, ma non a costo di ignorare la repressione delle libertà fondamentali. In quanto amici veri dell’Ucraina, dobbiamo essere più che mai onesti, amichevoli e coerenti nel sostenere i nostri valori. È deplorevole che dopo sei anni la nuova élite non sia ancora capace di accettare la Rivoluzione arancione come autentica espressione della volontà popolare. Accogliere le cause e i risultati della rivoluzione può solo migliorare l’integrazione della società ucraina.
Lena Kolarska-Bobińska (PPE). – (PL) Signor Presidente, non voglio parlare di quello che dobbiamo fare per l’Ucraina o di ciò che l’Ucraina può fare per noi, bensì di cosa questo paese possa fare per se stesso, in quanto il suo destino è, di fatto, nelle sue mani. Da un lato, l’Ucraina dichiara di volersi integrare nell’Unione europea, ma dall’altro continuiamo a registrare segnalazioni concernenti violazioni delle libertà civili. Negli ultimi giorni il Parlamento europeo ha ricevuto un appello da alcuni giornalisti nella stazione televisiva ucraina TVi, che denunciano pressioni politiche e constanti controlli. Situazione analoga a quella all’emittente televisiva commerciale Channel 5. D’altro canto, centri di analisi indipendenti in Ucraina hanno recentemente rilevato che su 69 riforme in programma solo 4 sono state adottate.
Nel corso delle recenti discussioni in seno al Parlamento europeo, alcuni deputati erano del parere che criticare comportamenti scarsamente democratici avrebbe disincentivato sia la Commissione europea che le autorità ucraine dal creare relazioni più strette fra di loro, pertanto sarebbe stato opportuno non condannare le autorità ucraine, bensì incoraggiarle ad attuare le riforme. Ritengo però che il Parlamento europeo debba innanzi tutto custodire i valori democratici e richiamare l’attenzione sulla necessità dello stato di diritto. Una politica realistica, fatta di pressioni, di incentivi e di negoziati deve essere perseguita dai governi, mentre il Parlamento europeo ha il compito di condannare la violazione delle libertà fondamentali e persuadere la Commissione a utilizzare gli strumenti a disposizione a tale scopo, e con questo intendo i programmi volti alla promozione della democrazia.
Sono lieta che a seguito del vertice UE-Ucraina, tenutosi lunedì, sia stato firmato un protocollo che consentirà all’Ucraina di partecipare a certi programmi dell’Unione europea, e che siano state adottate misure per l’abolizione dell’obbligo del visto. I progressi in materia di riforme e democrazia sono tuttavia nelle mani dell’Ucraina.
Jan Kozłowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, durante la tornata di ottobre il Commissario Füle ha ribadito che le relazioni con l’Ucraina dovrebbero essere considerate dal punto di vista di tre eventi, ovvero: gli incontri a livello ministeriale tra Unione europea e Ucraina, le elezioni locali e il vertice UE-Ucraina.
Sono particolarmente turbato dalle elezioni locali che ho avuto l’opportunità di osservare assieme al collega Kowal. Sfortunatamente, l’introduzione di cambiamenti nella legge elettorale a tre mesi dalle elezioni e l’abrogazione della Costituzione del 2004 possono lasciare intendere che i cittadini ucraini non abbiano un senso della certezza e della stabilità della legge. Inoltre, le violazioni avvenute durante le elezioni stesse potrebbero far dubitare del rispetto degli standard democratici. Anche la lotta alla corruzione e la crescente trasparenza nel lavoro dell’amministrazione pubblica dovrebbero costituire un importante elemento di riforma. Vorrei comunque esprimere la speranza che la risoluzione possa incoraggiare l’Ucraina a continuare il percorso di riforme economiche e istituzionali che ha ora intrapreso.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D). – (LT) Signor Presidente, la risoluzione di compromesso del Parlamento sull’Ucraina è fondamentale per il popolo ucraino, ma non dimentichiamo che è molto significativa anche per i cittadini dell’Unione europea, perché l’Ucraina è un nostro partner importante, soprattutto nell’attuazione della politica europea di vicinato con l’Europa orientale. È dunque molto importante per noi continuare a perseguire una stretta cooperazione, in particolare nell’ambito delle procedure di visto. Sia la Commissione che il Consiglio devono quindi redigere quanto prima un piano d’azione sulla creazione di un regime senza visti. Dobbiamo anche trovare presto un accordo sul libero mercato. Per assicurare stabilità politica a lungo termine sia all’interno del paese sia con i paesi vicini, è senza dubbio molto importante che l’Ucraina adotti riforme costituzionali, ma noi – l’Unione europea e le sue istituzioni – dobbiamo capire che questo richiede tempo e non dobbiamo sempre criticare, ma aiutare l’Ucraina a integrarsi nella nostra famiglia.
Siiri Oviir (ALDE). – (ET) Signor Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, l’Ucraina è prevedibilmente imprevedibile. Sono molto lieta che questa valutazione dello European Policy Centre inizi a perdere terreno. Sono molto felice che il governo ucraino sia riuscito a stabilizzare la situazione. È positivo che anche la disoccupazione stia diminuendo e l’economia sia in crescita. L’Ucraina è interessata a cooperare con l’Unione europea, ma l’interesse è reciproco: è infatti interesse dell’Unione europea che ai suoi confini vi sia un governo democratico.
Oggi possiamo richiamare l’Ucraina per la situazione dei diritti umani e dei diritti fondamentali. Siamo spaventati dalla corruzione e dai suoi intrecci con la politica. L’Ucraina comunque sa che l’Unione europea non farà concessioni su questo punto. Dobbiamo creare una vera cooperazione su questo tema. Infine, non posso concludere senza affermare che la decisione presa dal Parlamento lo scorso mese di posporre l’adozione della relazione è stata saggia. Domani adotteremo una relazione completa ed equilibrata da cui l’Ucraina potrà veramente trarre beneficio.
Dimitar Stoyanov (NI). – (BG) Signor Presidente, ho fatto parte della delegazione parlamentare che ha visitato l’Ucraina. Sinceramente sono ritornato con sensazioni contrastanti. Mentre eravamo lì abbiamo assistito a proteste e numerosi disordini, ma abbiamo visto anche alcuni segnali positivi. Accolgo con favore la decisione della corte costituzionale sulla durata del mandato parlamentare, poiché elimina un enorme ostacolo che ostruisce la strada verso la stabilità.
Onorevoli colleghi, quasi un milione di persone di origine bulgara vive in Ucraina. Questo significa un milione di potenziali ambasciatori dell’idea europea in Ucraina che non sono coinvolti nei giochi di potere oligarchici nè vi sono in alcun modo implicati. Dobbiamo trovare un modo, all’interno della politica dei visti, per assicurarci che queste persone – che con i loro antenati sono separate dalla propria patria da più di 300 anni – abbiano la possibilità di entrare liberamente in Bulgaria e da lì esportare i nostri ideali europei in Ucraina.
Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (LT) Signor Presidente, non molto tempo fa l’Ucraina era sicuramente avanti rispetto ad altri vicini orientali in termini di applicazione degli standard europei, riforme economiche e giuridiche e processo politico interno. Gli avvenimenti recenti in questo paese sono sicuramente preoccupanti e quindi ritengo che dobbiamo assolutamente esprimere al partner ucraino la nostra preoccupazione per il male che vediamo, in particolare i poteri conferiti ai servizi di sicurezza ucraini e i provvedimenti che tali servizi hanno adottato per cercare di intimidire le organizzazioni non governative e controllare la stampa. Al contempo, vorrei aggiungere altro. Dovremmo sostenere il processo di integrazione europea dell’Ucraina. Possiamo usare la politica del bastone e della carota, ma ci deve essere più carota. Dovremmo far avvicinare l’Ucraina all’Unione europea e non allontanarla ulteriormente. Credo che l’adesione dell’Ucraina all’UE sia anche un obiettivo strategico, dobbiamo quindi trovare mezzi sostenibili per raggiungere quell’obiettivo.
Alexander Mirsky (S&D). – (LV) Signor Presidente, ho una domanda per tutti i colleghi. Perché avevamo bisogno di questa risoluzione sull’Ucraina proprio ora? Per aiutare il nuovo governo ucraino o per interferire negli affari interni del paese prima delle elezioni locali e impedire ad esse di migliorare autonomamente la situazione nel paese? Per interferire prima delle elezioni locali, a quanto sembra. È stato redatto surrettiziamente un testo contenente l’opinione che in Ucraina tutto stia andando molto male. E comunque chi voglia presentare la situazione reale in Ucraina sotto una luce diversa si sbaglia. D’ora in poi dovremmo innanzitutto mostrare i fatti in modo appropriato e più contestualizzato e solo successivamente stendere documenti. Dobbiamo essere molto seri nelle nostre conclusioni, perché raccoglieremo quello che abbiamo seminato. Vi ringrazio.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, un punto importante nel dibattito odierno è stata la critica alla trasparenza e all’integrità delle elezioni locali del 31 ottobre. Essa è stata legittimamente rivolta alla accresciuta influenza del governo sui media, al ruolo politico dei servizi segreti e all’adozione di una nuova legge elettorale che pone i partiti all’opposizione in condizione di svantaggio.
L’Ucraina rimane un partner fondamentale per l’Unione europea. A questo proposito approvo il coinvolgimento dell’Unione europea nel processo di riforma e democratizzazione, riconfermato durante il vertice di lunedì. La cooperazione con l’Ucraina è naturale anche per la Romania, dato il ruolo importante che i due Stati svolgono nella regione del Mar Nero e le sfide comuni in termini di sicurezza energetica.
Come già avvenuto per la Repubblica moldova, perfezioneremo un accordo sul traffico frontaliero locale con l’Ucraina, in conformità ai regolamenti dell’Unione europea. Anche il mio paese ha espresso il suo sostegno a favore dell’avvio del piano d’azione UE per la liberalizzazione dei visti per i cittadini ucraini.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzitutto rispondere ad una domanda precisa concernente la normativa sugli appalti pubblici che mi è stata posta dall’onorevole Vălean.
Quando la legge fu approvata noi l’appoggiammo, ma gli emendamenti successivi ne hanno alterato la qualità. La Commissione sta seguendo da vicino questi sviluppi recenti e un emendamento migliorativo è una delle condizioni per il nostro esborso di bilancio nel settore energetico. Accolgo inoltre con molto favore l’accordo trasversale su quella che dovrebbe essere l’analisi della situazione attuale in Ucraina. Tutto ciò trova debito riscontro nella risoluzione che sarà sottoposta a votazione domani.
Sono fermamente convinto che se noi – come Parlamento europeo e Unione europea – vogliamo avere un’influenza su questa questione specifica, è estremamente importante poter contare su un accordo trasversale sui principi che informano la nostra posizione. Esprimo quindi la mia approvazione a nome della Commissione e dell’Alto rappresentante.
Presidente. – (EN) Sono state presentate sei proposte di risoluzione(1) per concludere la discussione. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 12.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Cristian Dan Preda (PPE), per iscritto. – (RO) Vorrei ricordare che ogni Stato ha il diritto di diventare membro, come stipulato dall’articolo 49 del trattato sull’Unione europea. È proprio perché l’Ucraina vuole diventare un giorno un membro dell’Unione europea che sono profondamente preoccupato per il modo in cui si sono svolte recentemente le elezioni locali in questo paese. Le elezioni non sono state libere, giuste o democratiche. L’emendamento legislativo apportato poco prima della votazione, il fatto che il partito delle regioni sia stato “spinto” in cima alle liste elettorali nell’85 per cento dei casi tramite la tardiva registrazione dei partiti di opposizione e gli altri ostacoli che hanno impedito la giusta rappresentaza dei partiti di opposizione sollevano un punto interrogativo sulla natura del sistema politico.
Come ha sottolineato anche il governo americano, le elezioni locali sono state chiaramente al di sotto degli standard delle elezioni presidenziali di gennaio. Per dimostrare il loro impegno verso i valori democratici, i leader ucraini devono adottare una legislazione elettorale che aderisca agli standard internazionali.
Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto. – (PL) La natura complicata della situazione interna del nostro vicino orientale è dimostrata dall’intensa discussione avvenuta recentemente in quest’Aula. Certamente non possiamo ignorare le irregolarità di cui siamo stati testimoni prima e dopo le recenti elezioni locali, poiché queste irregolarità significano che l’Ucraina non si è ancora avvicinata a quello che noi consideriamo lo standard europeo in termini di cultura politica. Non possiamo comunque ignorare gli effetti positivi dei cambiamenti che stanno avvenendo in Ucraina e, in particolare, lo sforzo profuso nella realizzazione di riforme economiche, come confermato anche dal recente vertice UE-Ucraina. È questo compromesso che dovrebbe diventare la posizione del Parlamento.
20. Diritti umani e norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali - Politiche commerciali internazionali nel quadro degli imperativi dettati dai cambiamenti climatici - Responsabilità sociale delle imprese negli accordi commerciali internazionali (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni sul tema del commercio internazionale:
– A7-0312/2010 dell’onorevole Saïfi, a nome della commissione per il commercio internazionale, sui diritti umani e le norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali (2009/2219(INI));
– A7-0310/2010 dell’onorevole Jadot, a nome della commissione per il commercio internazionale, sulle politiche commerciali internazionali nel quadro degli imperativi dettati dai cambiamenti climatici (2010/2103(INI));
– A7-0317/2010 dell’onorevole Désir, a nome della commissione per il commercio internazionale, sulla responsabilità sociale delle imprese negli accordi commerciali internazionali (2009/2201(INI)).
Tokia Saïfi, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, l’argomento di questa relazione ha dato inizio a un dibattito all’interno della comunità internazionale. I paesi in via di sviluppo ritengono che i paesi dall’economia più avanzata, nel segnalare il dumping sociale e ambientale dei primi, si appellino al rispetto dei diritti dell’uomo al fine di instaurare una sorta di mascherato protezionismo. Ho voluto adottare un approccio positivo mostrando come gli standard sociali e ambientali e gli interessi commerciali possano sostenersi a vicenda se tutti i paesi sono in condizioni di parità.
È necessario che l’Unione europea eserciti la propria influenza nell’ambito del commercio internazionale affinché la situazione inizi a cambiare. Agendo in questo modo l’Unione rispetterebbe i propri atti costituenti, secondo i quali essa è tenuta a promuovere in particolare lo sviluppo sostenibile, il commercio equo e libero e il rispetto dei diritti dell’uomo. A mio avviso è necessario intervenire simultaneamente a livello multilaterale, bilaterale e unilaterale.
A livello multilaterale, l’Unione europea deve incoraggiare le organizzazioni internazionali, specialmente l’Organizzazione mondiale del commercio, affinché prendano maggiormente in considerazione gli standard sociali e ambientali. Allo stesso tempo dovrebbe intensificarsi anche la collaborazione tra queste organizzazioni. Proprio per questo motivo propongo che l’Organizzazione mondiale del commercio conceda lo status di osservatore ufficiale al suo interno all’Ufficio internazionale del lavoro.
Per quanto riguarda l’ambiente, ritengo prioritario migliorare l’accesso a prodotti e tecnologie verdi, in quanto essi non solo promuovono nuove forme di politica dell’occupazione, ma forniscono anche nuove opportunità di crescita alle aziende europee altamente performanti che operano nel settore. Bisogna inoltre valutare l’eventuale istituzione di una vera e propria organizzazione mondiale dell’ambiente alla quale poter segnalare i casi di dumping ambientale.
È a livello bilaterale che l’Unione europea può veramente dare il buon esempio. Sebbene mi rallegri del fatto che gli accordi di libero scambio di “nuova generazione” includano la clausola vincolante del rispetto dei diritti dell’uomo, desidererei che tale clausola venisse estesa anche al capitolo relativo allo sviluppo sostenibile.
Inoltre, essendo la Commissione europea a negoziare gli accordi, dovrebbe garantire l’inclusione di una serie di standard sociali e ambientali e il rispetto di tali standard da parte di tutti i partner commerciali dell’Unione europea. A seconda del grado di sviluppo economico, sociale e ambientale di un paese si potrebbero integrare gli standard di base con ulteriori convenzioni, volta per volta. La gradualità e la flessibilità di un simile approccio comporterebbero una maggiore equità nelle relazioni con i vari partner commerciali. È necessario soprattutto monitorare con maggiore intensità l’attuazione degli accordi bilaterali. Propongo pertanto di effettuare valutazioni d’impatto prima, durante e alla fine dei negoziati, e che esse riguardino non solo lo sviluppo sostenibile, ma anche la questione dei diritti dell’uomo.
Infine, data l’imminenza della riforma del sistema delle preferenze generalizzate auspico vivamente che si proceda con celerità a livello unilaterale. È risaputo che il Sistema delle preferenze generalizzate prevede la ratifica di una trentina di convenzioni internazionali in tema di diritti dell’uomo, diritti del lavoro, tutela ambientale e buon governo. Ciononostante, a un’ampia ratifica di tali convenzioni non è corrisposta una pari attuazione: è pertanto questo il punto su cui dobbiamo focalizzare i nostri sforzi. È necessario che la Commissione indaghi a riguardo e arrivi perfino a revocare le preferenze accordate in presenza di dubbi motivati sull’attuazione delle convenzioni.
In conclusione, anche agendo subito il cambiamento non si verificherà dall’oggi al domani. Per instaurare rapporti commerciali più giusti ed equi l’azione dell’Unione europea deve essere graduale a tutti i livelli.
Yannick Jadot, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, mentre l’Unione europea sta tentando di ridefinire la propria politica commerciale a seguito del trattato di Lisbona e di riconciliarla al contempo con la propria politica industriale, è apprezzabile che questo Parlamento discuta simultaneamente tre relazioni aventi temi affini e appartenenti allo stesso ambito di discussione politica e pubblica, ovvero la natura del commercio e la possibilità di conciliarlo con questioni di natura sociale, ambientale e di rispetto dei diritti dell’uomo.
In effetti ci troviamo ovunque in una situazione di schizofrenia permanente: le aziende delocalizzano, i diritti sociali vengono messi in discussione, il degrado ambientale è in aumento e contemporaneamente stiamo negoziando accordi di libero scambio e tutta una seria di misure all’interno dell’OMC che sfortunatamente sono in totale disarmonia con il dibattito pubblico al quale i nostri cittadini stanno cercando di partecipare.
Come possiamo spiegare ai nostri cittadini che uno stesso pallone da calcio importato nel mercato europeo può essere stato prodotto in condizioni lavorative appropriate e nel rispetto dell’ambiente oppure sfruttando il lavoro minorile o in paesi dove i sindacati sono dichiarati fuorilegge? Non è possibile spiegare una simile situazione, pertanto oggi è nostra responsabilità integrare questioni ambientali e sociali nelle relazioni commerciali.
Per quanto concerne la mia relazione nello specifico, vi sono attualmente alcuni paesi europei dove in ambito commerciale l’importazione di prodotti compensa ampiamente la riduzione di emissioni. Un terzo delle emissioni europee non sono prodotte in Europa ma sono da attribuire a prodotti importati. Di conseguenza è fondamentale includere la questione climatica nelle nostre politiche commerciali.
Come possiamo spiegare ai nostri cittadini che, in concomitanza della stipula di un accordo di libero scambio che può portare potenzialmente alla deforestazione, ci apprestiamo a negoziare a Cancùn l’accordo di Riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado delle foreste nei paesi in via di sviluppo (REDD), mirante alla compensazione finanziaria dei paesi dell’emisfero meridionale che rinunciano alla deforestazione? È di vitale importanza riconciliare questioni così differenti.
In fase di redazione della relazione – e colgo l’occasione per ringraziare tutti i relatori ombra dei vari gruppi – abbiamo cercato di essere più costruttivi possibile, e spero che ciò si rifletta sul voto di domani. Abbiamo inoltre tentato di porre fine alle discussioni eccessivamente categoriche. Non affermiamo più che la liberalizzazione degli scambi commerciali e la lotta al cambiamento climatico distruggeranno la totalità delle industrie in Europa dove, in un certo senso, il problema ci tocca meno in quanto è comunque il fattore climatico a dover prevalere.
Quando ci occupavamo della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ad esempio, ci siamo sempre premurati di specificare quale settore fosse a rischio e quali strumenti avremmo potuto sviluppare per difenderlo. Lo stesso vale sia per le leggi che regolamentano il quadro di discussione delle misure antidumping in seno all’OMC, sia per i processi e i metodi produttivi. Per tutte le questioni menzionate abbiamo cercato di elaborare assieme agli altri gruppi proposte efficaci, e credo che anche in questo caso le proposte siano concrete e proporzionate alle nostre ambizioni, al mandato della Commissione europea e a quello di tutte le istituzioni comunitarie
Vorrei ribadire la mia speranza che lo spirito costruttivo e collaborativo con il quale abbiamo redatto la relazione si rifletta sul voto di domani e ringrazio nuovamente i colleghi per il lavoro svolto.
Harlem Désir, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anch’io vorrei esordire ringraziando i colleghi della commissione per il commercio internazionale, e in particolare i relatori ombra dei vari gruppi per la collaborazione nella stesura della terza relazione sul tema in questione. Tale collaborazione ci consente oggi di presentarvi un insieme di proposte innovative e concrete, capaci portare avanti il tema della responsabilità etica delle aziende all’interno del quadro della politica commerciale dell’Unione europea.
A seguito della crisi internazionale e dei conseguenti danni sociali ed economici, dei dibattiti da essa provocati, delle aspettative espresse da parte dei cittadini e della classe politica affinché si imparasse da quanto successo, ci siamo convinti che la politica commerciale europea debba contribuire più che mai al raggiungimento degli obiettivi di regolamentazione della globalizzazione, e in particolare degli obiettivi sociali e ambientali.
Tale regolamentazione riguarda gli Stati e le relative economie, sebbene sia chiaro che i principali protagonisti nell’ambito del commercio mondiale siano le imprese, e soprattutto le multinazionali. Sono queste ultime ad aver beneficiato maggiormente della liberalizzazione dei mercati, non solo in termini di acquisizione di clienti, ma anche di parziale delocalizzazione della produzione e di diversificazione del parco fornitori, sfruttando spesso i paesi in cui i costi di produzione sono bassi e soprattutto dove le regole sociali e ambientali vengono applicate con minor rigore.
La liberalizzazione del commercio ha comportato una forte concorrenza sia da parte dei paesi a caccia di investitori stranieri, sia tra le imprese. Troppo spesso questa situazione ha portato ad abusi inaccettabili ai danni delle condizioni lavorative, a violazioni dei diritti dell’uomo e a danni ambientali.
Di esempi ve n’è una moltitudine: dal disastro ai danni della filiale di una multinazionale chimica a Bhopal, in India, a causa del quale morirono migliaia di persone e per il quale la società controllante a oggi non è ancora stata punita; all’azione delle società petrolifere e minerarie in Africa, in Myanmar e in molti altri paesi, che sta distruggendo l’ambiente e riducendo i lavoratori al rango di schiavi; al lavoro minorile nelle fabbriche tessili in Asia per arrivare all’uccisione di sindacalisti da parte delle holding agricole in America centrale. Il fatto che rende tali violazioni ancor meno tollerabili è che a perpetrarle spesso sono imprese, consociate e fornitori provenienti da paesi industrializzati, perfino dall’Europa.
Molti anni fa questi fenomeni hanno dato vita a un dibattito e a una campagna che sono stati poi sostenuti in varie occasioni all’interno del Parlamento attraverso l’adozione di risoluzioni sulla responsabilità sociale e ambientale delle imprese. I progressi ottenuti nel campo della responsabilità sociale delle imprese (RSI) non vanno ancora di pari passo con il dibattito sugli standard sociali negli accordi commerciali, che rappresenta l’argomento della relazione Saïfi. Si tratta di un fatto facilmente comprensibile, in quanto gli accordi commerciali consistono in regole legalmente vincolanti tra gli Stati, mentre la responsabilità sociale delle imprese rappresenta un impegno su base volontaria delle aziende. Al contempo però è paradossale che la RSI e le clausole sociali e ambientali convergano nella stessa direzione, ovvero verso una globalizzazione maggiormente rispettosa dei diritti dell’uomo e dell’ambiente e foriera di sviluppo sostenibile.
Proponiamo quindi di incorporare la RSI negli accordi commerciali e specificatamente di includere una clausola di responsabilità sociale delle imprese nei capitoli dedicati allo sviluppo sostenibile, soprattutto nel caso degli accordi di libero scambio, contenente un insieme di impegni chiari e verificabili da parte delle imprese. In primo luogo vi deve essere un impegno reciproco da parte dell’Unione europea e dei propri partner volto sia a incoraggiare le imprese a sottoscrivere obblighi in ambito di RSI, sia a verificarne il rispetto: l’istituzione di sportelli finalizzata non solo a incoraggiare lo scambio di informazioni, ma anche al ricevimento di reclami da parte dei sindacati e della società civile; l’obbligo per le società per azioni di pubblicare i propri bilanci regolarmente, in modo da promuovere la trasparenza; gli obblighi di fornire rendiconti sul proprio operato, di operare secondo la due diligence e di intraprendere misure preventive.
Infine proponiamo che, in caso di serie violazioni dei principi alla base della RSI, dei diritti sociali e delle leggi sociali e ambientali, vi debba essere un meccanismo…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – Perdonatemi, ma vi sono cose che non possono accadere. Lei ha a disposizione quattro minuti per il suo intervento. Nonostante le mie interruzioni ha parlato per più di quattro minuti e mezzo. Le regole sono chiare per tutti i membri di quest’Aula e cerco di essere più equo possibile, però lei ha affermato a metà del suo intervento di tenere d’occhio l’orologio e non l’ha fatto. Se desideriamo discussioni più vivaci, ciò non significa necessariamente che siamo obbligati a leggere i nostri interventi più velocemente. Non deve pensare esclusivamente ai suoi elettori francesi – discorso che vale per tutti gli onorevoli deputati, che invito a non concentrarsi solamente sul proprio elettorato – perché tutti i cittadini dell’Unione europea hanno la possibilità di accedere alla trascrizione degli interventi tradotti nella loro lingua sul sito dell’UE. Se gli interpreti non sono in grado di seguire gli interventi a causa dell’eccessiva velocità di lettura, i cittadini europei non potranno comprendere il suo intervento. Mi appello quindi a tutti affinché rispettino i tempi di intervento e non invadano quelli degli altri oratori, perché il risultato finale è una riduzione del tempo dedicato alla procedura catch the eye.
William (The Earl of) Dartmouth (EFD). – (EN) Signor Presidente, è la seconda volta che assisto all’interruzione di un oratore da parte del Presidente a causa dell’eccessiva velocità di lettura.
Non so quanto spesso le capiti di prendere parola, ma la invito a considerare il fatto che tali interruzioni rovinano completamente gli interventi.
Sebbene mi trovi in totale disaccordo con le parole dell’onorevole Désir ritengo che, essendo gli interpreti degli impiegati pagati per il proprio lavoro, nel caso in cui non riescano a seguire il filo del discorso il problema sia loro. Non è compito del Presidente interrompere gli interventi in questo modo.
Presidente. – Rientra certamente tra i miei compiti interrompere gli interventi. Si può pagare un centometrista 1 milione di euro per correre i cento metri in 10 secondi, però anche pagandolo 100 milioni di euro non riuscirebbe a percorrere quella distanza in 5 secondi. Sono obbligato a interrompere gli oratori troppo rapidi. Da 13 anni sono membro di quest’Aula e so molto bene che quando gli interpreti non riescono a seguire premono un bottone che fa illuminare una lampadina sul mio banco. La invito a venire qui e accertarsene di persona. Sul bottone sta scritto “Rallentare”. La stessa cosa mi è successa durante le sedute di varie commissioni. A un certo punto gli interpreti annunciano di stare per fermarsi, e se un deputato si lamenta l’intero sistema si blocca e il deputato deve interrompere il proprio intervento.
(Interruzioni)
Onorevole Berès, sto facendo esattamente ciò che fa anche lei all’interno della sua commissione, spiego la situazione nel caso in cui venga sollevato un richiamo al regolamento.
(Interruzioni)
Si tratta esattamente della stessa cosa.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, le assicuro che se dovessi correre i 100 metri impiegherei almeno 15 secondi, per cui almeno da questo punto di vista non rappresento un grosso problema.
In primo luogo vorrei ringraziare i relatori e la commissione per il commercio internazionale per le relazioni, che sollevano alcune importanti questioni in merito al contributo della politica commerciale dell’Unione europea per il raggiungimento di alcuni obiettivi fondamentali delle politiche pubbliche: il rispetto dei diritti dell’uomo, il perseguimento del benessere economico e della giustizia sociale, l’ottenimento di una crescita sostenibile e il rispetto per l’ambiente, in particolare per il sistema climatico.
Comprenderete che, nel breve tempo a mia disposizione oggi, non sarà possibile entrare nel dettaglio di ognuno di essi. Permettetemi però di fare alcune considerazioni generali.
Le tre relazioni hanno numerosi punti in comune, in quanto affrontano la questione della coerenza delle politiche e in particolare la necessità che la politica commerciale venga portata avanti nel quadro degli obiettivi generali dell’Unione europea, specialmente degli obiettivi economici, sociali e ambientali. Sono totalmente d’accordo con il traguardo di utilizzare al massimo gli strumenti a nostra disposizione per raggiungere tali obiettivi. Allo stesso tempo va sottolineato il fatto che l’efficacia di qualsiasi azione dipende dall’utilizzo degli strumenti più adatti per ciascuna questione.
Considero la politica commerciale uno dei fattori principali di promozione e salvaguardia del modello sociale, dei valori e dei principi dell’Unione europea, e sono conscio delle grandi aspettative in merito. Dobbiamo però tenere a mente che la politica commerciale non rappresenta necessariamente la soluzione di tutti i problemi. Altre politiche potrebbero fornire gli elementi chiave o addirittura strumenti migliori per delineare soluzioni efficaci. Va ricordato anche che il compito principale dell’azione politica consiste nel bilanciare i diversi interessi in gioco, pertanto ci troveremo sempre di fronte a delle scelte.
Anche le sfide cambieranno, a seconda che prendiamo in considerazione strumenti autonomi come il sistema di preferenze generalizzate, gli accordi bilaterali o multilaterali. La relazione Saïfi sui diritti dell’uomo e sugli standard sociali e ambientali negli accordi commerciali riconosce che ciascuna delle tre dimensioni citate offre diverse possibilità.
In generale la cooperazione internazionale ha il potenziale per innescare azioni maggiormente efficaci. D’altra parte bisogna essere in due per ballare il tango, pertanto dobbiamo prendere in considerazione cosa sono disposti a fare i nostri partner commerciali, e a quale prezzo.
Soprattutto nel caso degli accordi multilaterali il raggiungimento del consenso può risultare estremamente difficoltoso. L’Unione europea è interessata in generale a migliorare la governance internazionale, anche attraverso una maggiore coerenza tra gli interventi in ambiti diversi come l’OMC, l’Ufficio internazionale del lavoro, i negoziati internazionali sul clima, eccetera.
Le tre relazioni descrivono varie possibili strade percorribili a questo proposito. Dobbiamo essere pragmatici e capaci di discernere tra le iniziative in grado di rivelarsi efficaci nel breve termine e quelle i cui benefici si vedranno più a lungo termine. È necessario che ci concediamo il tempo di pensare in maniera lungimirante e in grande. Alla fine dei conti, la Commissione vuole che la politica commerciale e l’operato delle istituzioni commerciali abbiano un impatto e portino a dei risultati.
Il discorso vale anche per i nostri accordi bilaterali. Le disposizioni degli accordi di libero scambio non devono fungere da semplici dichiarazioni di buone intenzioni, bensì essere implementabili.
Passando ora alla relazione Jadot sul cambiamento climatico, desidero sottolineare la necessità di garantire che qualsiasi soluzione scegliamo sia in grado di ridurre efficacemente il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e sia applicabile a costi ragionevoli. È noto a tutti, ad esempio, che soluzioni come le misure alla frontiera comportino tutta una seria di questioni come le modalità di misurazione, le modalità di monitoraggio, eccetera. La verità è che dobbiamo valutare con cautela ogni aspetto rilevante della questione prima di giungere a conclusioni affrettate. Detto ciò, è opportuno che l’Unione europea continui a vagliare tutte le opzioni fattibili a disposizione.
Per quanto concerne la relazione Désir sulla responsabilità sociale delle imprese, va notata l’affermazione “le iniziative della Commissione dovrebbero concentrarsi sul sostegno alle attività di RSI più che sulla loro regolamentazione”. Va operato però un sottile distinguo tra il sostegno, la regolamentazione e l’attuazione, e nonostante il relatore abbia esplorato questo aspetto abilmente, esso implica un gran numero di considerazioni pratiche e politiche. Sicuramente la RSI non può de sostituirsi agli Stati o esentarli dalla propria responsabilità di far rispettare le leggi, così come non spetta agli enti statali l’attuazione di politiche aziendali. È interessante osservare che l’aggiornamento delle linee guida dell’OCSE per le multinazionali, la cui adozione è prevista per il 2011, prende in considerazione molte delle questioni già citate e rappresenta quindi un esempio dell’utile lavoro in corso di svolgimento e nel quale siamo attivamente coinvolti.
Le relazioni in esame oggi sono accomunate da orientamenti molto specifici sulle possibili strade per aumentare l’entità, l’efficacia, la coerenza e la trasparenza delle nostre azioni in campo di disposizioni sociali e ambientali negli accordi di libero scambio, comprese le disposizioni in materia di RSI e sulle questioni di cambiamento climatico. È superfluo ribadire che la Commissione continuerà a tenere in considerazione questi orientamenti. In base agli avvertimenti già espressi, dovrete quindi aspettarvi sia importanti riserve su numerosi punti, sia un totale accordo su altri.
Non mancheranno le occasioni nei prossimi mesi o anni, ad esempio in sede di revisione del SPG l’anno prossimo, per continuare a discutere questi temi, anche nel contesto della discussione delle prossime procedure legislative o di approvazione. La Commissione europea è disposta a identificare assieme al Parlamento europeo i mezzi più adatti, efficaci e attuabili per garantire che la politica commerciale rifletta in maniera appropriata gli interessi della società. Il principio guida deve essere una definizione delle politiche cauta, analitica e basata sia su obiettivi lungimiranti che su aspettative realistiche.
David Martin, relatore per parere della commissione per gli affari esteri – (EN) Signor Presidente, la politica commerciale europea deve mirare semplicemente all’ottenimento del massimo vantaggio economico oppure deve essere utilizzata per rafforzare e promuovere obiettivi più ampi, come una politica ambientale sostenibile, la lotta contro il cambiamento climatico, il nostro modello sociale, la promozione dei diritti dell’uomo e dei valori democratici? Tre oratori che mi hanno preceduto, ribadisco tre relatori, hanno confermato che la risposta giusta è la seconda, e mi rallegro che anche il Commissario sia della stessa opinione. Stiamo certamente già includendo i diritti dell’uomo, la tutela dell’ambiente e gli standard lavorativi negli accordi bilaterali, ma la domanda che ci dobbiamo porre è se lo stiamo facendo in maniera da poterne garantire poi un’attuazione e una conformità adeguate.
La sottocommissione per i diritti dell’uomo del Parlamento nutre seri dubbi sulla nostra efficacia in questo senso finora. Per gli accordi commerciali futuri vorremmo assicurarci che, prima di entrare in vigore, gli accordi di libero scambio siano sottoposti a una valutazione di impatto sui diritti dell’uomo, in modo che tali accordi non portino solo benefici economici, ma anche miglioramenti dal punto di vista umanitario.
Riteniamo che il sistema di sospensione degli accordi di libero scambio in caso di abuso dei diritti dell’uomo debba essere reso più trasparente e accessibile, e riconosco che l’onorevole De Gucht abbia intrapreso questa strada per l’accordo di libero scambio con la Corea.
Crediamo inoltre che in merito al SPG+, i beneficiari devano essere sottoposti a un’analisi comparativa sistematica e più equa al fine di garantire il costante mantenimento di un alto livello degli standard ambientali, sociali e dei diritti dell’uomo.
Gli onorevoli Saïfi, Désir e Jadot hanno espresso molto chiaramente il concetto che il commercio, invece di essere considerato fine a sé stesso, deve far parte di una strategia globale più ampia e mirante alla promozione di un pianeta più equo, sicuro e pulito.
Filip Kaczmarek, relatore per parere della commissione per lo sviluppo. – (PL) Signor Presidente, mi rallegro che gli onorevoli De Gucht, Désir e Saïfi comprendano molto bene che l’ottenimento di condizioni commerciali eque vada di pari passo con una vasta armonizzazione degli standard intesi in senso ampio, e quindi comprendenti gli standard sociali, ambientali e di diritti umani. Questi standard rappresentano una questione di estrema importanza, non solo per il commercio mondiale, ma anche per la cooperazione allo sviluppo e soprattutto per il perseguimento di quelli che chiamiamo i valori fondamentali.
La commissione per lo sviluppo ha presentato numerosi commenti sulla relazione Saïfi. È deplorevole che l’Unione europea non abbia un approccio globale in tema di rispetto degli standard dei diritti dell’uomo da parte del mondo degli affari, permettendo in questo modo alle aziende e agli Stati membri di ignorarli. Insistiamo sull’importanza dell’osservanza degli standard fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro come prerequisito per stipulare accordi commerciali.
Catherine Grèze, relatore per parere della commissione per lo sviluppo – (FR) Signor Presidente, a nome del comitato per lo sviluppo vorrei esordire elencando una serie di concetti chiave.
Vorrei reiterare il concetto che sono le popolazioni più vulnerabili, come i popoli indigeni, a essere maggiormente colpite dal cambiamento climatico, per cui è essenziale la loro partecipazione nella definizione delle politiche, specialmente di quella commerciale
Inoltre le politiche commerciali dell’Unione europea devono essere compatibili con la lotta al cambiamento climatico e alla povertà. Richiediamo l’inserimento di clausole ambientali in tutti gli accordi commerciali dell’Unione europea e dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), una revisione dei meccanismi per lo sviluppo pulito, un reale trasferimento di tecnologie e la lotta alla biopirateria.
Infine, poiché il 20 per cento delle emissioni sono causate dai mezzi di trasporto, è necessario procedere in direzione di canali di distribuzione brevi, soprattutto in campo agricolo. In questo modo aumenterà l’occupazione nei nostri paesi e in quelli in via di sviluppo, e si ridurranno le emissioni.
Pervenche Berès, relatore per parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, a nome della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali concordiamo con la logica della relazione stilata dall’onorevole Désir all’interno della commissione per il commercio internazionale. Sia in seno alla nostra commissione, sia in altri contesti, il fine della responsabilità sociale delle imprese rappresenta uno degli argomenti di discussione più caldi. Si tratta di un obiettivo fine a sé stesso oppure dovrà diventare materia di legge non appena un congruo numero di imprese la metterà in pratica? I contorni della discussione non sono chiari e questo ci incoraggia a riflettere sulla governance aziendale e a riconciliare i due dibattiti.
All’interno della commissione per l'occupazione e gli affari sociali riteniamo che la responsabilità sociale sia fondamentale per combattere l’evasione fiscale il lavoro nero per mezzo degli accordi commerciali. Crediamo inoltre che i sindacati, i centri per il lavoro europei e il dialogo sociale diano un contributo fondamentale per far acquisire maggior profilo alla responsabilità sociale delle imprese, e che pertanto li si debba coinvolgere pienamente. Per garantire il massimo utilizzo di questi strumenti a nostro avviso è molto importante il ruolo svolto dal Consiglio per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite col la sua iniziativa “Proteggere, rispettare, rimediare”, dalla quale dobbiamo trarre vantaggio.
Riteniamo anche che la responsabilità sociale delle imprese rappresenti uno strumento di competitività da esplorare. Questo accadrà non appena si giungerà a un consenso a riguardo, non appena la responsabilità sociale delle imprese verrà delineata attraverso standard finalmente accettati da tutti, senza però che si sostituisca alle leggi sul lavoro o agli accordi collettivi.
Infine siamo dell’opinione che la responsabilità sociale delle imprese, anche in tema di accordi commerciali, debba essere dinamica e capace di adattarsi ai nuovi settori.
Richard Howitt, relatore per parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali. – (EN) Signor Presidente, in veste di relatore del Parlamento sulla responsabilità sociale delle imprese per più di tre mandati, accolgo con estrema approvazione l’iniziativa del collega Désir in ambito di commercio e RSI.
Le aziende affermano spesso la necessità di sdoganare la RSI, e questa iniziativa indica che anche le politiche pubbliche debbano fare lo stesso. Spero fortemente che le raccomandazioni del signor Commissario De Gucht si riflettano nella comunicazione della nuova politica commerciale.
Negli ultimi anni il mio lavoro è consistito in misura sempre maggiore nel rappresentare gli interessi europei a portare avanti il meccanismo di RSI globale. In quanto sostenitore delle linee guida dell’OCSE, a mio avviso lo standard internazionale di RSI più elevato al momento e quello sottoscritto dai governi, sostengo di conseguenza con forza il paragrafo 25, secondo cui gli accordi commerciali futuri dell’Unione europea devono citare specificatamente tali linee guida.
La Commissione gestisce ufficialmente i centri di contatto nazionali secondo le linee guida e spero che si prenda in considerazione anche questo impegno.
Avendo consultato il Professor John Ruggie sui temi degli affari e dei diritti dell’uomo, avallo il requisito citato nel considerando Q della relazione, secondo il quale le aziende devono operare secondo due diligence. Mi congratulo inoltre con la precedente Presidenza svedese per il pieno sostegno mostrato verso le raccomandazioni del Rappresentante speciale delle Nazioni Unite nelle conclusioni del Consiglio.
In fase di acquisizione di maggiore competenza in tema di investimenti, invito il signor Commissario in particolare a leggere la forte critica di Ruggie nei confronti del fallimento da parte dei governi nel rispettare le considerazioni sui diritti dell’uomo.
In veste di membro del comitato consultivo dell’iniziativa “Global Reporting” posso avallare l’obiettivo di trasparenza del paragrafo 15, ma anche richiedere che l’imminente consultazione pubblica da parte della Commissione sulla trasparenza non finanziaria si muova con decisione verso il principio di relazione integrata sull’impatto finanziario, sociale, ambientale e per i diritti dell’uomo da parte delle aziende.
Presidente. – Ve lo ricordo ancora una volta. Questa volta mi sono trattenuto dall’interrompere l’oratore poco prima della fine del suo intervento. Non appena si è concluso l’intervento, però, gli interpreti hanno detto: “Ci dispiace, ma l’oratore parla veramente troppo veloce,.” Invito perciò gli onorevoli colleghi a mantenere una velocità di esposizione normale.
Daniel Caspary, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, onorevole Wieland, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con tutti e tre relatori per il lavoro svolto. Ritengo che le discussioni e i negoziati a proposito delle tre relazioni siano stati un ottimo esempio della possibilità di arrivare a un approccio comune in Parlamento su temi importanti come questo.
Vorrei soffermarmi principalmente su un punto. Ho l’impressione che le relazioni abbiano affrontato in gran dettaglio la questione del contributo della politica commerciale per le tre aree di politica citate. La relazione Désir è incentrata sulle aziende, la relazione Saïfi sui diritti dell’uomo e gli standard ambientali e infine la relazione Jadot sul cambiamento climatico. In esse abbiamo esaminato da vicino le modalità con cui la politica commerciale può contribuire alle altre aree di politica citate. Spesso però mi domando cosa ottengano individualmente queste altre aree. Stiamo esercitando sufficiente pressione sui responsabili delle politiche sociali e ambientali e sui responsabili delle politiche in altri ambiti affinché ognuno svolga opportunamente il proprio compito, ciascuno per la propria area?
Per evitare fraintendimenti, penso di poter dire che concordiamo tutti con gli obiettivi. A volte però mi preoccupa l’eccessivo carico di responsabilità che grava sulla politica commerciale, quando spesso altre aree di politica non danno il proprio contributo. Ad esempio i responsabili della politica ambientale a Copenaghen non sono riusciti a trovare una soluzione nell’ambito della politica sul cambiamento climatico. Per sopperire a tale mancanza la conseguenza è stata un sovraccarico di responsabilità sulla politica commerciale.
Apprezzerei molto se nei prossimi mesi il Parlamento prendesse in seria considerazione il possibile contributo di altre aree alla politica commerciale in quest’ambito. Pertanto mi auguro che in futuro si cominci a parlare di “commercio e …” e non si continui a discutere prima di tutto il resto e poi anche di commercio.
Kriton Arsenis, a nome del gruppo S&D. – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, sono sicuro che i suoi collaboratori le avranno spiegato come alcune misure necessarie in tema di cambiamento climatico non possano essere attuate.
La minaccia del cambiamento climatico però è talmente grave che la domanda non è quali misure adottare, bensì come affrontare il problema e come attuare le misure necessarie.
A proposito del contributo del commercio al cambiamento climatico, una delle soluzioni in corso di discussione è la compensazione fiscale alla frontiera, ovvero una tassa sulle importazioni da paesi che non implementano le nostre stesse misure contro il cambiamento climatico.
È anche necessario contemplare l’adozione di disincentivi al commercio di tali prodotti. Sebbene l’acqua sia una risorsa locale, paesi come Francia e Belgio sono al contempo i maggiori esportatori e importatori d’acqua a livello europeo.
Metin Kazak, a nome del gruppo ALDE. – (BG) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei ringraziare i tre relatori, gli onorevoli Saïfi, Désir e Jadot per il buon lavoro svolto. Accolgo con favore la richiesta di elaborare clausole legalmente vincolanti sugli standard di diritti dell’uomo negli accordi commerciali internazionali, e sostengo l’idea di prestare maggior attenzione alla loro attuazione.
Vorrei concentrare l’attenzione in particolare sul rispetto delle leggi sul lavoro, specialmente quelle relative a donne e bambini nei paesi con cui l’Unione europea ha rapporti commerciali. Sia il sistema di preferenze generalizzate che SPG + sono strumenti efficaci per promuovere i valori democratici nei paesi partner. È necessario però stabilire un legame più stretto tra le clausole sui diritti dell’uomo e SPG +. Va aumentato il coordinamento tra l’Organizzazione mondiale del commercio, da una parte e l’Alto signor Commissario per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite e l’Ufficio internazionale del lavoro dall’altra. È per questo che ritengo necessario concedere all’UIL lo status di osservatore ufficiale all’interno dell’OMC.
Ultimo punto, ma non per questo meno importante: per stare al passo con i nuovi poteri attribuiti al Parlamento europeo grazie al trattato di Lisbona, in quanto rappresentanti dei cittadini europei dovremmo essere dettagliatamente informati sui negoziati degli accordi commerciali internazionali.
Per quanto riguarda la relazione Jadot dobbiamo naturalmente promuovere il “commercio verde”, rimanendo però estremamente vigili sulle credenziali dei prodotti definiti“verdi”. In modo simile dobbiamo sostenere con maggiore enfasi fonti di energia rinnovabili rispettose dell’ambiente, invece di sovvenzionare i combustibili fossili.
Accolgo con favore un altro punto importante della relazione, ovvero l’azione di stabilire un equo prezzo ambientale in armonia con gli standard di tutela del clima globale. Poiché non vi sono i presupposti per giungere a un accordo multilaterale sul clima a breve, è importante lavorare a livello europeo al fine di elaborare un meccanismo per ridurre le emissioni di biossido di carbonio. Dato l’impatto contraddittorio che biocombustibili e biomasse hanno sull’ambiente, ritengo vadano inclusi tra i criteri obbligatori di sostenibilità.
Ringrazio nuovamente gli onorevoli colleghi e mi auguro che queste relazioni abbiano un impatto importante sui negoziati degli accordi internazionali.
Keith Taylor, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, sono stato il relatore ombra del Gruppo Verde/Alleanza libera europea sia per le relazioni Saïfi e Désir, che accogliamo con favore come importanti passi avanti per assicurare migliori standard sociali, ambientali e di diritti umani nei paesi che sono nostri partner commerciali.
Se tali paesi intendono accedere ai lucrativi mercati dell’Unione europea dobbiamo incoraggiarli ad adottare standard adeguati e sostenibili in patria. L’unico modo di garantire un miglioramento in questo senso è l’introduzione di clausole e requisiti obbligatori negli accordi commerciali.
L’onorevole Saïfi ha svolto un lavoro eccellente in veste di relatore e discute in maniera costruttiva e su piani differenti i diversi livelli e aspetti degli standard sociali, ambientali e di diritti dell’uomo. Concordiamo con la proposta dell’onorevole Saïfi di formare un’organizzazione mondiale dell’ambiente e di rafforzare lo status dell’UIL. Abbiamo inoltre apprezzato il capitolo sullo sviluppo sostenibile negli accordi di libero scambio, ritenendo però che tali standard siano vincolanti, non su base volontaria. Similmente, i programmi del SPG vanno resi più incisivi e attuabili.
Non concordiamo però con il relatore sul fatto che la clausola sui diritti dell’uomo nell’accordo di libero scambio con la Colombia fosse soddisfacente. Al contrario la riteniamo una clausola insignificante e stereotipata che si prende gioco delle aspirazioni di quest’Aula in materia di diritti dell’uomo.
Passando ora alla relazione Désir, concordiamo pienamente con l’identificazione delle aziende transnazionali come una causa di effetti negativi sull’ambiente e sui nostri standard sociali. Tali aziende hanno beneficiato della liberalizzazione degli scambi, sfruttato la manodopera e troppo spesso anche i materiali a basso costo, senza però ridistribuire equamente la ricchezza accumulata sulle spalle altrui.
Abbiamo modificato con successo entrambe le relazioni e le sosterremo in fase di voto. Per concludere, vorrei sottolineare rapidamente che è necessario sforzarsi di scegliere quali diritti dell’uomo e quali responsabilità debbano avere la priorità. Dobbiamo infine puntare su requisiti obbligatori e non su codici su base volontaria.
Peter van Dalen, a nome del gruppo ECR. – (NL) Signor Presidente, l’onorevole Saïfi ha stilato una relazione valida. Gli interessi puramente commerciali non possono finire per danneggiare gli esseri umani di altri paesi, in particolare dei paesi in via di sviluppo. Includo nell’elenco anche i paesi in cui i cristiani e altre minoranze religiose vengono perseguitati per la propria fede. L’Unione europea intrattiene relazioni commerciali con il Pakistan, ad esempio, paese al quale stiamo cercando di concedere alcuni vantaggi commerciali al fine di agevolarne la ripresa in seguito alle alluvioni. Utilizziamo le relazioni commerciali per segnalare la persecuzione religiosa e la legislazione in materia di blasfemia in Pakistan. A questo proposito vorrei citare anche i negoziati tra l’Unione europea e l’India. L’Europa non deve cedere alle pressioni dell’India affinché le questioni non commerciali vengano lasciate fuori dai negoziati del nuovo accordo commerciale. I diritti dell’uomo e il lavoro minorile non possono essere disgiunti da commercio e investimenti. Chiedo alla Commissione e agli onorevoli colleghi di adottare una posizione ferma a riguardo, in armonia con la risoluzione del Parlamento europeo del marzo 2009.
Helmut Scholz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevole De Gucht, onorevoli colleghi, vi è un buon motive per affrontare le tre relazioni in discussione congiunta. Vorrei ringraziare i tre relatori per l’eccellente lavoro. Tutte le relazioni illustrano chiaramente l’intenzione di tutti i gruppi del Parlamento europeo di collocare la politica commerciale in un contesto più ampio.
L’era degli ingenti aiuti economici esterni unilaterali dovrebbe essere finita ora, e l’odierna discussione avviene in un contesto e in un momento estremamente opportuni perché si basa sulla strategia commerciale presentata dall’onorevole De Gucht, contenente una serie di proposte, considerazioni e progetti specifici.
La tutela del clima, dell’ambiente e della dignità umana, assieme all’eliminazione della povertà in tutto il mondo sono stati indicati e riconosciuti come compiti comuni a tutto il genere umano, e ricoprono un’importanza ben maggiore degli interessi commerciali convenzionali. È indispensabile però che tali obiettivi vengano incorporati nella moderna politica commerciale.
L’innalzamento di quello che l’indice di sviluppo umano definisce il livello di prosperità e dello stato di diritto vanno a tutto vantaggio dell’economia europea, permettendole di intrecciare con successo rapporti con altre economie. La responsabilità sociale delle imprese copre parzialmente questi aspetti, che però non possono essere attuati in mancanza di un quadro nazionale.
Vorrei sottolineare che il mio gruppo avrebbe apprezzato un maggiore approfondimento di alcuni punti nelle tre relazioni. Nonostante sia apprezzabile che le imprese prendano l’iniziativa al fine di dimostrarsi all’altezza delle proprie responsabilità sociali, è un fatto innegabile che migliaia di persone nel mondo scoprano ogni giorno che i loro diritti esistono nel migliore dei casi solo sulla carta e che vengono ignorati sul posto di lavoro. Le condizioni lavorative delle aziende in subappalto e dei fornitori, compreso il settore della produzione di materie prime, sono sconvolgenti, lo dimostrano i filmati sul lavoro minorile nell’industria cioccolatiera.
Come indica nella sua strategia, onorevole De Gucht, per garantire una fornitura sostenibile e ininterrotta di materie prime ed energia è necessario prendere in considerazione questi aspetti sollevati dalle relazioni.
William (The Earl of) Dartmouth, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, il commercio dà origine a prosperità reciproca, e desidero sottolineare la parola “reciproca”: Ne consegue che una politica commerciale non debba mai essere appesantita da un’agenda politica.
A livello personale nutro un grande rispetto per i tre relatori, eppure la filosofia alla base delle relazioni è stata ripetutamente oggetto di voto ed è stata generalmente respinta.
Si sta cercando di manipolare la politica commerciale dell’Unione europea, alla quale sfortunatamente il Regno Unito è legata al momento, al fine di attuare nascostamente un’agenda di forte impronta socialista che è sempre stata bocciata.
A livello politico le macchinazioni dei relatori appaiono stupefacenti. Essendo un democratico però mi trovo costretto a oppormi, ed è per questo che domani voteremo no.
Laurence J.A.J. Stassen (NI) . – (NL) Signor Presidente, le cause e gli effetti del cambiamento climatico trovano fondamento in una teoria di natura più religiosa che altro. Ciononostante tutto è subordinato a tale religione, come si può constatare leggendo la relazione sul commercio internazionale. Oggetto della proposta è una vera e propria diplomazia del clima, secondo la quale l’Unione europea è disposta a fare affari solo ad alcune severe condizioni di neutralità climatica di propria scelta, come se i partner commerciali non attendessero altro che impegnarsi senza indugio nello sviluppo di un mercato unico. Dopo tutto, esportare significa trasportare, e un aumento dei trasporti sarebbe fortemente negativo per le emissioni globali di biossido di carbonio. Ebbene, l’Europa aiuterà davvero i paesi in via di sviluppo su questo fronte, in particolare i paesi che dipendono dalle esportazioni di prodotti agricoli competitivi ad esempio. Che cosa ha a che vedere l’Unione europea con questo? Signor Presidente, il documento evidenzia una mancanza di comprensione degli aspetti economici. Vorrei citare il paragrafo 57 della relazione Jadot: “deplora che una parte significativa del commercio internazionale sia costituita da prodotti omogenei che potrebbero essere facilmente prodotti localmente”. Quale genio economico ha concepito questo concetto? Chiunque abbia un’infarinatura di studi economici conoscerà il principio secondo cui la specializzazione e il commercio sono la vera forza motrice alla base della crescita economica. La maniera ingenua di ragionare della relazione si rivelerebbe disastrosa per l’economia globale. Non c’è da stupirsi se la maggioranza dei cittadini e delle attività può sopravvivere benissimo senza gli obiettivi climatici dell’Europa. Eppure l’Europa persiste nel fissare l’ennesima serie di assurdi obiettivi climatici. A economie emergenti come la Cina e l’India queste cose non interessano e raccoglieranno i profitti delle restrizioni che l’Europa si è autoimposta. Chi pagherà alla fine il prezzo per il perseguimento di questa utopia da parte dell’Europa? Saranno i cittadini e le imprese.
Małgorzata Handzlik (PPE). – (PL) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto vorrei ringraziare l’onorevole Désir per l’ottima collaborazione in fase di stesura della relazione sulla responsabilità sociale delle imprese negli accordi commerciali internazionali. Sono stata relatrice ombra del Gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano) per questa relazione. Da qualche tempo si parla di responsabilità sociale delle imprese nel contesto della discussione sul commercio internazionale, in riferimento ai principi di responsabilità sociale negli accordi commerciali siglati di recente tra Unione europea e paesi come Corea del sud, Colombia e Perù.
Mi rallegro che con questa relazione il Parlamento abbia sottolineato la necessità di prolungare l’utilizzo di queste referenze, chiamate clausole di responsabilità sociale delle imprese all’interno della relazione. Sono certa che l’introduzione di tali clausole negli accordi internazionali porterà a una maggiore riconoscibilità degli strumenti di responsabilità sociale delle imprese e a promuoverne un’attuazione più vasta da parte delle aziende stesse. Non va dimenticato che l’adeguato funzionamento di tali strumenti dipende in gran parte dalla volontà delle imprese, in quanto sono loro a decidere di oltrepassare i limiti degli standard legalmente vincolanti.
Onorevoli colleghi, durante la mia recente visita in India ho domandato agli uomini d’affari che ho avuto occasione di incontrare come operassero nell’area della responsabilità sociale delle imprese. Ciascuno di loro mi ha fornito esempi estremamente specifici delle misure intraprese, cosa che personalmente mi riempie di ottimismo. Mi auguro che la relazione Désir ispiri l’adozione di una serie di misure da parte dell’Unione europea e contribuisca a un’applicazione ancora più estesa degli standard di responsabilità sociale delle imprese.
George Sabin Cutaş (S&D). – (RO) Signor Presidente, vorrei congratularmi con l’onorevole Jadot per le ambiziose proposte portate avanti nella relazione, e specialmente per la prontezza con cui ha raggiunto un compromesso con gli emendamenti presentati dagli altri gruppi politici.
Dobbiamo ammettere che vi sono stati momenti chiave nei quali l’Unione europea ha avuto l’opportunità di esprimersi con un’unica voce. Copenaghen è stato uno di quei momenti. L’intero pianeta si aspettava che l’Unione europea assumesse il ruolo di protagonista nella lotta contro il cambiamento climatico e si trascinasse sulla sua scia gli stati più cauti. Sfortunatamente le aspettative vennero deluse e sostituite da un gran disappunto.
Si può trarre la conclusione che vi fosse una mancanza di consenso all’interno dell’Unione europea. Vi sono governi nazionali completamente impreparati ad assumersi l’impegno di ridurre sostanzialmente le emissioni di gas serra. Una spiegazione certa è che la crisi finanziaria ed economica abbia frenato lo slancio di tali paesi verso l’impegno di sottoscrivere un’ambiziosa politica ambientale.
La battaglia contro il cambiamento climatico a livello locale e globale però deve rimanere una causa di preoccupazione costante per tutti i paesi del mondo. Non si tratta solamente di una questione di futuro in pericolo per le generazioni a venire, ma anche di una questione di giustizia sociale.
Non è giusto che siano i paesi in via di sviluppo a dover pagare i costi del riscaldamento globale, mentre i paesi industrializzati possono continuare a pensare concretamente ai propri bisogni. È necessaria un’autentica solidarietà tra nord e sud.
Per questo ritengo il vertice di Cancún un’opportunità per ottenere ben più di un accordo operativo. Cancún deve portare a un accordo globale, legalmente vincolante in grado di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di due gradi Celsius.
È necessario anche definire una procedura di verifica più chiara di quella stabilita a Copenaghen. Oltre a ciò i soli sforzi dell’Unione europea per combattere il cambiamento climatico non possono garantire il successo di un accordo post 2012. Dobbiamo persuadere le altre parti in causa a sottoscrivere impegni più ambiziosi nell’ambito della riduzione di emissioni, compresa l’emissione di gas serra.
Infine, vorrei commentare la relazione tra commercio internazionale e cambiamento climatico. Il commercio rappresenta un importante strumento di trasferimento di tecnologie ai paesi in via di sviluppo, di conseguenza devono essere rimosse le barriere al “commercio verde” ad esempio attraverso la rimozione dei tassi per i prodotti verdi almeno all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio. Allo stesso tempo dobbiamo renderci conto della spaccatura causata a livello globale dall’attuale sistema dei commerci nell’ambito del lavoro e della produzione basati sul trasporto. È per questo che concludo il mio intervento con un appello per incoraggiare la produzione locale all’interno dell’Unione europea.
Catherine Bearder (ALDE). – (EN) Signor Presidente, vorrei segnalare alla Commissione che il concetto e la pratica della responsabilità sociale delle imprese si è diffuso rapidamente nel mondo del business nel corso dell’ultima decade. Chi può obiettare a valori di base come la necessità di trattare bene i dipendenti e di rispettare i diritti dell’uomo e l’ambiente da parte delle aziende?
Eppure fino a ora il legame tra commercio e responsabilità sociale delle imprese nel migliore dei casi si è potuto definire tenue, e le discussioni abbondano. Il commercio internazionale è governato da accordi tra gli stati, ma la RSI deve divenire un impegno vincolante a sottoscrizione obbligatoria da parte delle aziende, oppure la sottoscrizione può essere su base volontaria?
I cittadini europei stanno acquisendo sempre maggiore consapevolezza. Molti disastri recenti, tra cui la fuoriuscita di greggio della BP, hanno evidenziato la necessità di monitorare gli standard e l’etica con cui le aziende europee operano nel mondo.
I normali cittadini europei non sono più disposti ad accogliere e sostenere l’espansione a livello di commercio internazionale a titolo puramente economico. Quando il commercio si rende responsabile della distruzione dell’ambiente naturale e porta a un abbassamento degli standard di vita delle popolazioni locali, i cittadini non ci stanno più. Solo i governi possono stabilire standard in grado di garantire che chi si comporta in maniera etica e trasparente non possa essere battuto slealmente da altri.
L’Unione europea deve incoraggiare le aziende ad adottare e documentare i propri obblighi di RSI in tutte le proprie attività aziendali, sia in patria che all’estero. In mancanza di ciò la RSI rischia di rimanere poco più di un esercizio di pubbliche relazioni per una manciata di multinazionali.
Accolgo con favore questa relazione nata da un’iniziativa spontanea che richiede alla Commissione di includere il tema della RSI nei negoziati degli accordi commerciali internazionali dell’Unione europea. Dobbiamo garantire che il rispetto per lo sviluppo sostenibile e per i diritti del lavoro ricoprano uguale importanza nella promozione dei propri interessi commerciali nel mondo da parte dell’Unione europea.
Jacky Hénin (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, difendendo il rampante liberalismo di mercato e nell’orchestrare lo smantellamento commerciale dell’Unione europea la Commissione ha recitato il proprio ruolo servile di strumento al servizio di interessi molto specifici e dannosi per i lavoratori dipendenti europei. La concorrenza libera e non falsata è un mito che distrugge vite e posti di lavoro.
Se la concorrenza è libera, allora tutte le forme di dumping sono possibili, a partire dal dumping fiscale, sociale, monetario e ambientale. La concorrenza per sua natura è falsata. Per uscire da una situazione attuale che uccide l’occupazione nelle industrie e porta alla rovina i lavoratori e le loro famiglie, vi deve essere un severo controllo dei movimenti di capitale da parte degli Stati membri, i paradisi fiscali vanno eliminati e i settori fondamentali per la vita – energetico, dell’acqua, farmaceutico, agricolo e della formazione – non devono più essere accessibili al commercio. È necessario soprattutto che i criteri ambientali e sociali a garanzia dell’equità nell’attività commerciale e i diritti dell’uomo
siano definiti e fatti rispettare.
Elisabeth Köstinger (PPE). – (DE) Signor Presidente, l’Unione europea detiene la grossa responsabilità di far rispettare i diritti dell’uomo, gli standard sociali e la tutela dell’ambiente nelle relazioni commerciali attuali e future. Questi standard formano un’importante base di discussione sul tema degli accordi di libero scambio. L’Unione europea dovrebbe fungere da esempio in tutti i negoziati e richiedere condizioni di impiego giuste e l’uso sostenibile delle risorse. In questo contesto vorrei evidenziare in particolare i negoziati in corso con il Mercosur e con l’India. L’Unione europea intende veramente importare prodotti a buon mercato realizzati sfruttando il lavoro minorile e distruggendo le risorse naturali? Il nostro obiettivo deve essere garantire buone condizioni lavorative e salari decenti nei paesi citati, e non rapidi guadagni. La Commissione europea deve continuare a incorporare standard chiari nei futuri accordi commerciali e includerli nei negoziati internazionali.
Questi standard però non riguardano solo le considerazioni etiche e i valori che l’Unione europea rappresenta, ma anche il trattamento equo dei produttori dentro e fuori l’Europa. Altri fattori importanti sono la crescente domanda da parte dei consumatori europei di prodotti realizzati con metodi rintracciabili. Riconsiderando la relazione Jadot in luce di queste premesse, il paragrafo 48 appare altamente critico del modello agricolo comune, sebbene garantisca una fornitura costante di cibi di alta qualità. La relazione parla di evidenti impatti negativi sul cambiamento climatico. Vorrei puntualizzare che la priorità è l’approvvigionamento sicuro di cibo per i nostri 500 milioni di abitanti. L’Unione europea deve rimanere autosufficiente per quanto riguarda l’approvvigionamento alimentare e non può permettersi di dipendere dalle importazioni, perché ciò sarebbe un disastro. Provo un forte senso del dovere nei confronti dei cittadini europei e di conseguenza non posso sostenere questo passaggio della relazione.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Signor Presidente, sono coinvolta molto da vicino nella nuova strategia in ambito di commercio internazionale. In veste di membro della commissione per il commercio internazionale nella sua formazione precedente, ho chiesto con pazienza che la politica commerciale divenisse uno strumento a sostegno della concorrenza equa e la chiave per il mantenimento dei valori e degli interessi commerciali europei sui mercati globali. L’esercizio di pressioni finalizzate all’innalzamento degli standard sociali e ambientali rappresenta la soluzione per eliminare l’iniquità e la diseguaglianza di condizioni nella concorrenza commerciale internazionale. Per sei anni mi sono battuta affinché tutti gli accordi commerciali includessero clausole sui diritti dell’uomo e affinché il rispetto di tali clausole divenisse una delle condizioni per le politiche preferenziali.
In conclusione, tramite la relazione il Parlamento europeo oggi sta chiedendo alla Commissione di predisporre una bozza di regolamento al fine di proibire l’importazione all’interno dell’Unione europea di beni prodotti sfruttando forme moderne di schiavitù e di lavoro forzato e da paesi in cui i diritti dell’uomo di base sono violati. Questo deve valere sia per gli Stati dell'Africa dei Caraibi e del Pacifico che per la Cina. Vorrei esprimere i miei ringraziamenti e le mie congratulazioni più sincere all’onorevole Saïfi per una relazione che dimostra i progressi del Parlamento in questo ambito.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, le opportunità offerte dall’adozione del trattato di Lisbona rendono possibile il tanto atteso raggiungimento di un equilibrio tra legge commerciale e diritti dell’uomo. Credo fermamente che l’Unione europea debba sfruttare attivamente questa opportunità nell’interesse della propria credibilità e integrità, e debba iniziare a promuovere sistematicamente i diritti dell’uomo attraverso le proprie politiche interne ed esterne.
Vorrei mettere in rilievo la richiesta alla Commissione di siglare accordi contenenti clausole su democrazia, diritti dell’uomo e rispetto degli standard sociali, ambientali e di salute, e allo stesso tempo garantire l’effettivo monitoraggio del rispetto e dell’attuazione di tali standard nella pratica. Gli accordi commerciali che riguardano aspetti inerenti ai diritti di proprietà intellettuale meritano un’attenzione speciale per garantire la tutela del diritto alla salute, legato strettamente al diritto alla vita. Mi congratulo con l’onorevole Saïfi per l’audacia e la coerenza del documento.
Carl Schlyter (Verts/ALE). – (SV) Signor Presidente, ritengo di poter riassumere le tre relazioni affermando che invece di considerare le persone uno strumento al servizio del commercio, stiamo cominciando a concepire il commercio come uno strumento a servizio delle persone. Dobbiamo allontanarci dalla logica secondo cui a ogni euro di profitto commerciale corrispondono due euro persi in costi sociali o ambientali. Le relazioni contengono anche numerose proposte specifiche, ad esempio quella eccellente dell’onorevole Saïfi di istituire un’organizzazione mondiale per l’ambiente, quella di aumentare i poteri dell’Ufficio internazionale del lavoro o di applicare aggiustamenti fiscali alle frontiere al fine di ridurre la concorrenza sleale e le emissioni negative per il clima, così come la proposta di consultare le comunità locali prima di investirvi.
Queste, signor Commissario, non sono semplicemente buone intenzioni di cui prendere nota. Vogliamo vedere i risultati concreti delle nostre richieste, l’introduzione di nuove leggi o una diversa attuazione delle leggi esistenti ove necessario, e la Commissione prendere l’iniziativa nei negoziati internazionali per migliorare le regole.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio partito, Jobbik – il movimento per una migliore Ungheria – attribuisce molta importanza alla tutela dell’ambiente e al recupero dell’equilibrio ecologico. Siamo convinti che l’Europa non sia solo di fronte a una crisi economica e alla recessione, ma anche a una crisi ambientale. A questo proposito consideriamo particolarmente importante il raggiungimento di un’autonomia all’interno dell’Unione europea da parte delle industrie leggere e alimentari. È incomprensibile che l’Unione europea importi enormi quantitativi di aglio e peperoni dalla Cina e di pollame dal Brasile quando potrebbero essere prodotti o allevati localmente. Per questo motivo affermiamo la necessità di autonomia locale delle industrie leggere e alimentari. Il Parlamento europeo ha la responsabilità di proteggere i coltivatori europei, le PMI e i nostri cittadini, dando a questi ultimi la possibilità di acquistare prodotti sicuri e di alta qualità dai produttori locali. Crediamo inoltre che rivesta cruciale importanza l’introduzione obbligatoria di tecnologie rispettose per l’ambiente.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, la concorrenza è l’anima del commercio. Ovviamente per competere bisogna essere in condizione di farlo, eppure alcuni degli accordi in vigore con paesi terzi vanno a svantaggiare i nostri produttori.
L’onorevole Köstinger ha fatto riferimento al Mercosur e non vi è dubbio che numerosi prodotti agricoli e ittici importati nell’Unione europea vengano prodotti a standard nettamente inferiori rispetto a quelli vigenti al suo interno. Si tratta di una questione che va certamente affrontata.
Passando ora alle note positive, alcuni degli accordi siglati negli ultimi tempi sono molto buoni, ad esempio l’accordo di libero scambio con la Corea. Abbiamo bisogno di altri accordi di questo genere e ritengo che tutti concordino sul fatto che tali accordi vadano a beneficio sia nostro che loro.
Vorrei chiedere al signor Commissario se vi siano piani a proposito di un partenariato economico con il Giappone. Lo studio economico di Copenaghen ha dimostrato che tale accordo farebbe guadagnare a noi 33 miliardi di euro e al Giappone 18.
Karel De Gucht, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, penso che sia stata una discussione molto interessante. Sebbene il pensiero alla base delle tre relazioni sia simile, non mi è possibile affrontare adeguatamente i dettagli, le idee e le risposte discusse oggi nel breve tempo a disposizione. Alcune idee sono fattibili, altre meno perché operiamo in un quadro legale, istituzionale e politico sia in quanto Unione di 27 Stati membri, sia in quanto membro dell’OMC. Cercherò di mettere in evidenza le considerazioni che ritengo salienti in ciascuna relazione, purtroppo senza poter essere esaustivo.
A proposito della relazione Saïfi alcuni di voi hanno sollevato la possibilità di concedere all’UIL lo status di osservatore all’interno dell’OMC. Il mio punto di partenza è che vi sia molto da fare in termini di miglioramento della governance internazionale e del coordinamento tra le organizzazioni internazionali. Ritengo inoltre che sia necessario stabilire obiettivi raggiungibili per poter utilizzare la politica commerciale come leva al fine di ottenere migliori condizioni sociali e ambientali. I tempi di attuazione dei cambiamenti strutturali sono molto lunghi, per cui l’ampliamento dell’agenda in seno all’OMC a comprendere anche aspetti non commerciali sarà un impegno a lungo termine.
In merito alla proposta della relazione Saïfi di introdurre una valutazione di impatto degli accordi di libero scambio sui diritti dell’uomo, ritengo che dovrebbe avvenire durante i negoziati. Lo scenario che prevede un periodo speciale tra la fine dei negoziati e l’entrata in vigore dell’accordo mi lascia piuttosto scettico. Se ne è discusso stamane in un altro contesto, e ritengo opportune attenersi alla procedura prevista dal trattato di Lisbona, secondo cui spetta alla Commissione dare inizio agli accordi, dopodiché comincia la procedura di ratifica e si arriva alla firma del Consiglio, che rappresenta la sua modalità di ratifica. Successivamente il Parlamento europeo ha il diritto e il dovere di ratificare tramite il voto. Per quanto riguarda l’idea di condurre la valutazione di impatto sui diritti dell’uomo prima di dare inizio ai negoziati, rendendo così tale valutazione una sorta di precondizione, non sono d’accordo. Ritengo però che la proposta di valutare l’impatto sui diritti dell’uomo di un accordo in sé sia valida e sono positivo a riguardo.
Vi sono state anche alcune interrogazioni specifiche, ad esempio a proposito del lavoro minorile. Come sapete al momento stiamo negoziando un accordo di libero scambio con l’India e dovremo affrontare anche l’intera questione della sostenibilità. L’India è molto scettica a proposito del capitolo sulla sostenibilità dell’accordo, ma noi continueremo a insistere sulla sua legittimità e credo che alla fine riusciremo a farlo includere.
In sede di discussione vorrei chiedervi semplicemente di prendere in considerazione il fatto che le opinioni dei singoli paesi terzi a proposito del capitolo sulla sostenibilità possano riguardare non solo il contenuto, ma anche il pensiero che vi sta alla base.
Per quanto concerne la relazione Jadot, e in particolare le richieste di introdurre un capitolo sul clima in ogni accordo bilaterale, sono completamente a favore della sostenibilità ambientale perché il futuro non appartiene a noi. Ritengo però necessario essere cauti e riconoscere che i vari elementi necessari per dare una risposta soddisfacente alla sfida del cambiamento climatico – dai tetti alle emissioni agli aspetti finanziari – non si possono traslare in disposizioni da inserire nei nostri accordi commerciali. Credo vi sia un ampio foro di discussione a riguardo e nel caso in cui si raggiunga un consenso al suo interno, allora tale consenso si deve sicuramente riflettere negli accordi bilaterali di libero scambio. È molto opinabile che ciò avvenga nel corso del ciclo di Doha per sviluppo, il ciclo appena discusso, perché manca il consenso tra i partecipanti al processo multilaterale sulla opportunità di includere un capitolo sul clima nel risultato finale. La nostra posizione sarà comunque a favore di tale introduzione.
In merito alla relazione Désir ritengo infine che arrivi al momento giusto dato che la nuova comunicazione della Commissione sul tema della responsabilità sociale delle imprese è in preparazione.
La Commissione e i membri dell’OCSE stanno contribuendo attivamente all’aggiornamento degli attuali benchmark dell’OCSE in vista dell’incontro ministeriale previsto per il maggio 2011.
In tutte le nostre attività in campo di RSI dovremo vagliare con attenzione le varie opzioni per promuovere un operato responsabile da parte delle aziende europee, indifferentemente dalle aree in cui operano e con un occhio di riguardo alla fattibilità e alle possibilità conseguenze.
Vorrei aggiungere che non si tratta solamente di una questione commerciale o relativa agli accordi bilaterali e multilaterali. Stati Uniti hanno adottato di recente alcune leggi secondo cui le multinazionali, non solo quelle operanti nel paese ma anche quelle con la sola sede, devono rispondere delle proprie operazioni e transazioni finanziarie in ambito di materie prime e poterle documentare.
La ritengo un’iniziativa molto lodevole e completamente slegata dagli accordi bilaterali. Gran parte delle operazioni relative alle materie prime non sono coperte dagli accordi bilaterali, per cui si tratta semplicemente di operazioni finanziarie e industriali da parte di multinazionali, però nel caso in cui abbiano sede negli Stati Uniti le autorità del paese possono intervenire a riguardo.
Credo sia un’ottima idea fare esattamente lo stesso nei confronti delle aziende europee attive soprattutto in paesi del terzo mondo, e poi estendere lo stesso approccio a paesi come Canada e Australia in modo da coprire la maggior parte di tali attività industriali e delle industrie estrattive del mondo. Un’azione del genere rappresenterebbe un contributo considerevole allo sviluppo di condizioni sostenibili.
In breve, vorrei esprimere le mie congratulazioni per le tre relazioni e sono sicuramente disponibile per continuare la discussione di tali temi nei prossimi mesi e anni.
Tokia Saïfi, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, il tempo a disposizione non è sufficiente per riaprire il dibattito in merito alle risposte che ci ha appena dato, pertanto continueremo la discussione come ha suggerito.
Vorrei esordire ringraziando tutti gli oratori e in particolare i relatori ombra e gli onorevoli Jadot e Désir per la collaborazione. I temi affrontati erano simili e complementari, e questo ci ha permesso di scambiarci idee e di dimostrare la solidità di approccio al nostro compito: rendere il commercio più permeabile ai concetti di diritti dell’uomo, legislazione sul lavoro e legislazione ambientale.
Come ha affermato in precedenza, signor Commissario, servirà del tempo per cambiare la mentalità delle persone, però non possiamo aspettare che la cambino spontaneamente. Di conseguenza, se implementiamo alcune delle misure proposte nelle varie relazioni presentate questa sera ci dirigeremo gradualmente verso un’economia più equa e giusta. L’Unione europea deve dare inizio al cambiamento e fungere da esempio per i propri partner.
Yannick Jadot, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei esprimere i miei ringraziamenti al Commissario De Gucht per le risposte e le proposte di lavoro. Ho preso nota dei suoi commenti in relazione al capitolo sul clima, spero che riusciremo a lavorare sugli aspetti rimanenti e a presentare proposte che poi si tradurranno in azioni concrete, portando all’introduzione di alcuni elementi negli accordi commerciali. Infine, il fatto che i negoziati commerciali di indubbia complessità in seno all’Organizzazione mondiale del commercio si siano interrotti offre all’Unione europea varie opportunità di integrare elementi più innovativi negli accordi bilaterali e di tentare la costruzione di nuove tipologie di accordo a ulteriore integrazione degli obiettivi dell’Unione europea in tema di ambiente, clima, diritti dell’uomo e diritti sociali.
Di conseguenza ci troviamo di fronte a un’opportunità, per certi versi. La ritengo una richiesta molto forte, e in caso di vasto sostegno alle relazioni domani credo che rappresenterà un segnale estremamente importante alla Commissione e al Consiglio da parte del Parlamento europeo.
In risposta all’onorevole Stassen, che ha lasciato l’Aula, la pubblicazione di saggi di economia è continuata anche dopo il 19° secolo. Di conseguenza è possibile vedere come le sfide relative alle modalità di integrazione delle questioni sociali e ambientali nei costi di produzione sono divenute un fattore importante per definire la realtà dei vantaggi comparati.
Similmente, onorevole Muscardini, le garantirò sempre il mio sostegno se si parla di sovranità alimentare dell’Unione europea. Inoltre avrà il mio sostegno se è pronta a battersi con me e gli altri contro l’accordo di Blair House, che in fin dei conti è il principale ostacolo a una reale sovranità alimentare e al sicuro approvvigionamento dell’Europa oggi.
Ringrazio quindi tutti i colleghi e il signor Commissario per il grado di apertura dimostrato nei confronti del lavoro e delle proposte concrete in vista degli accordi che verranno negoziati e siglati a breve.
Harlem Désir, relatore. – (FR) Signor Presidente, come vede mi rimangono due minuti. Lei ne era a conoscenza e se avesse avuto bisogno di più tempo avrebbe potuto ricavarlo a scapito i questa parte del mio intervento, che di conseguenza sarebbe stato più breve.
Vorrei ringraziare specialmente i colleghi e il signor Commissario per la sua replica.
Ciò che mi ha colpito in questa discussione è il vasto consenso raggiunto indipendentemente dalle differenze tra i gruppi, e motivato dalla necessità di rendersi maggiormente conto delle dimensioni sociali e ambientali nella politica commerciale e negli accordi che negoziamo
Quando mi ha interrotto per dare inizio al suo intervento molto interessante, che i nostri cittadini in tutta Europa hanno trovato sicuramente affascinante, intendevo semplicemente sollevare un punto affrontato successivamente anche da lei e su cui ha perfettamente ragione, ovvero l’impossibilità della responsabilità sociale delle imprese di sostituire il rispetto della legge e le responsabilità degli Stati membri.
Inoltre, signor Commissario, ha ragione anche a proposito dell’attuale proposta di nuove azioni in merito alla responsabilità delle multinazionali sia in sede dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, sia dell’Organizzazione mondiale per il commercio per merito della relazione del professor Ruggie, menzionata dall’onorevole Howitt. La responsabilità non si intende come limitata al settore estrattivo ma estesa a molte altre aree appartenenti alle sfere di influenza delle multinazionali, della loro supply chain e specialmente in riferimento alle loro filiali all’estero. In caso di reati contro le regole ambientali e sociali la cooperazione giudiziaria garantirà che le società controllanti non possano sfuggire alle proprie responsabilità in merito all’operato delle proprie filiali o dei subfornitori.
Nonostante ammetto che possa essere difficile, credo semplicemente nella necessità di stabilire un collegamento con gli accordi commerciali. Negli accordi con la Corea e con in paesi dell’America latina vi è già un piccolo numero di riferimenti alla responsabilità sociale delle imprese. Sono dell’avviso che attraverso il dialogo iniziato oggi con la Commissione dovremo continuare a garantire che gli obiettivi di RSI e di sviluppo sostenibile siano coerenti tra loro all’interno degli accordi commerciali internazionali.
Presidente. – La ringrazio, onorevole Désir.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì 25 novembre 2010, alle 12.
21. Casi di antidumping - situazione attuale e prospettive (discussione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la discussione sull'interrogazione orale alla Commissione sui casi di antidumping – situazione attuale e prospettive di Daniel Caspary, Cristiana Muscardini, Tokia Saïfi, Georgios Papastamkos, Kader Arif, Bernd Lange, Gianluca Susta, Metin Kazak, Niccolò Rinaldi, Marielle De Sarnez, Yannick Jadot, Carl Schlyter, Helmut Scholz, Robert Sturdy, Syed Kamall, Jan Zahradil, a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), il gruppo dell'Alleanza progressista di socialisti e democratici al Parlamento europeo, il gruppo dell'Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa, il gruppo Verde/Alleanza libera europea, i Conservatori e riformisti europei, il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (O-0132/2010 – B7-0562/2010).
Daniel Caspary, autore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, le misure di antidumping rivestono un ruolo importante nel mondo. Per noi deputati al Parlamento europeo, e penso di poter parlare a nome della maggioranza dei presenti, non si tratta di protezionismo, bensì di un utilizzo sensato dello strumento di antidumping. Dobbiamo essere in grado di difenderci nel caso in cui altri paesi ricorrano alla concorrenza sleale utilizzando sovvenzioni statali. Dobbiamo essere in grado di proteggerci se le aziende vendono prodotti sul mercato a un prezzo inferiore al costo di produzione al fine di eliminare la concorrenza dal mercato e acquisire così un vantaggio illegittimo.
Vorrei esaminare un punto in particolare, e che la Commissione rispondesse alle seguenti domande: la Commissione ha avuto una forma di feedback da parte del Consiglio sul grado di coinvolgimento di governi esteri nelle attività citate? Vi sono casi di governi, nei cui paesi hanno sede determinate aziende, che hanno tentato di influenzare le decisioni del comitato per le pratiche antidumping? Vi sono state reazioni o tentativi di esercitare influenza che hanno causato differenze nei risultati delle votazioni? Vorrei avere delle risposte a riguardo, perché varie aziende mi hanno espresso le proprie preoccupazioni in passato.
Il secondo punto riguarda il fatto che in varie occasioni sono stato avvicinato da aziende che mi chiedevano di intercedere presso la Commissione in modo da impedire la conduzione di indagini in materia di antidumping. Se decidete di imporre l’obbligo di rinunciare alla pratica di dumping vi sarà un effetto negativo su tutte le aziende europee che operano in altre aree, come l’Asia. Sarei interessato a conoscere l’opinione della Commissione in merito. Com’è la situazione attuale? Vi sono casi di questo genere?
Vital Moreira, autore. – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero esortare il Commissario a chiarire nella maniera più completa possibile la posizione della Commissione in materia di strumenti di difesa commerciale, che comprendono anche le misure antidumping. In un recente comunicato la Commissione ha affermato che il libero commercio dipende dalla concorrenza leale tra produttori nazionali ed esteri, aggiungendo che noi proteggiamo la produzione dell’Unione europea dalle distorsioni e dagli sconvolgimenti del commercio internazionale mettendo in campo strumenti di difesa commerciale nel rispetto delle regole (dell’Organizzazione mondiale del commercio). Sulla carta suona molto bene, però oltre a una buona base giuridica vi è anche la necessità di un meccanismo decisionale efficace e prevedibile che consenta di raggiungere gli obiettivi.
La mia domanda è la seguente: è possibile che la recente proposta del Consiglio, secondo cui gli Stati membri devono controllare le misure di attuazione della Commissione, incluse le misure di difesa commerciale, sia legata al desiderio di garantire l’effettiva attuazione di tali misure? Ricordo che tale decisione da parte del Consiglio prevede eccezioni alle regole generali del comitato, rendendo quindi possibile l’ostacolo, il blocco, il ritardo o comunque la politicizzazione del processo decisionale che spetta alla Commissione. La mia seconda domanda riguarda l’affermazione da parte della Commissione che prenderà in esame le modalità con cui portare avanti l’aggiornamento e la modernizzazione dei nostri strumenti di difesa commerciale e l’utilità di questa operazione. Il mio timore è il seguente: se la Commissione non respinge la proposta da parte del Consiglio relativa alla procedura decisionale in merito alle misure di difesa commerciale, come potrà garantirci che in fase di revisione delle misure saprà resistere agli Stati membri interessati a ostacolarne e indebolirne l’attuazione?
Niccolò Rinaldi, Autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor signor Commissario, siamo in pochi questa sera a parlare di antidumping, che pure è un tema di cui nei nostri paesi si parla moltissimo. Credo che nelle questioni del commercio internazionale non ci sia tematica più nel cuore degli imprenditori, di grandi e piccole aziende, dei sindacati e dei consumatori, che non il dumping. Il confronto col dumping è di fatto una sorta di pane quotidiano per tanta parte della nostra realtà produttiva.
La Commissione si sta impegnando e sta sicuramente facendo il suo dovere per quanto riguarda le iniziative antidumping, ma noi chiediamo un'azione che sia ispirata ai seguenti principi.
Innanzi tutto la trasparenza dell'azione, la piena trasparenza delle procedure, dei criteri di valutazione adottati e dei risultati, e poi la comunicazione e una strategia della comunicazione, perché le azioni antidumping della Commissione dell'Unione europea rappresentano un elemento di rassicurazione per i nostri imprenditori e per i nostri lavoratori.
In secondo luogo, c'è un margine di discrezionalità nelle procedure antidumping. Questo appartiene al buon senso, ma a volte ho l'impressione che si ecceda nella discrezionalità riguardo alle decisioni che sono intraprese.
In terzo luogo, nella fase post Lisbona il Parlamento europeo deve essere associato, coinvolto e informato in modo maggiore. Mi pare che esista una sorta di fatica da parte della Commissione nel riconoscere pienamente questo ruolo del Parlamento nel commercio internazionale – anche se molti sforzi sono stati fatti e ne siamo grati al signor Commissario – e certamente il Parlamento ha bisogno di avere più voce in capitolo anche sull'antidumping.
Infine, la questione del dialogo con la società. Anche su questo forse c'è ancora molto da fare da parte della Commissione. Il Parlamento non può rimanere solo ad ascoltare gli attori della società, anche per quanto riguarda le questioni dell'antidumping. Anche in questo la Commissione deve probabilmente registrare le nuove esigenze rispetto alle competenze esclusive sul commercio internazionale che le competono da Lisbona.
Infine, è chiaro che per noi l'antidumping deve essere parte di una strategia commerciale coerente e di una politica integrata ispirata ai criteri di lealtà e di apertura. Con questo l'Europa potrà andare avanti a testa alta.
Carl Schlyter, autore. – (SV) Signor Presidente, ora è possibile che ci rendiamo conto delle conseguenze. È una vergogna che la Commissione non abbia colto l’opportunità di riformare gli strumenti di difesa commerciale nel 2007, quando si parlava di quell’Europa globale che forse rappresentava l’intenzione originaria. Quando si discute sulla questione del trattato di Lisbona e sulla procedura decisionale da adottare, forse nessuna delle procedure esistenti è veramente adatta alle nostre intenzioni. Noi Verdi però non abbiamo alcun problema in materia di implementazione, l’importante è che le regole siano chiare, trasparenti e giuste.
Vorrei enfatizzare il fatto che in questo contesto sia importante la salvaguardia non solo degli interessi dei produttori, ma anche di quelli dei consumatori e l’effettivo obiettivo in sé descritto dall’onorevole Caspary, ovvero la cessazione del fenomeno di dumping sottocosto. A questo proposito però vorrei sottolineare la necessità di includere nei costi effettivi il dumping ambientale. L’ottenimento di un vantaggio economico attraverso l’aggiramento della legislazione ambientale equivale a ricevere un’altra forma di sovvenzione oltre al dumping economico, ma sotto forma ambientale. Deve essere possibile includerla nel momento in cui prenderemo in esame la questione del dumping.
In precedenza abbiamo parlato della politica commerciale come di uno strumento per raggiungere altri obiettivi. In questo caso potrebbe essere più efficace usare misure antidumping per impedire, ad esempio, la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio all’interno del sistema di scambio di quote di emissioni. Il sistema attuale prevede una lunga lista di centinaia di settori che copre decine di migliaia di aziende, quattro differenti criteri sulla base dei quali le aziende hanno diritto all’esenzione dal sistema di scambio o all’assegnazione di quote gratuite. Naturalmente in questo caso è molto più semplice avviare procedure antidumping quando un’azienda europea è oggetto di concorrenza sleale a causa della mancanza di responsabilità ambientale da parte di altri paesi.
Helmut Scholz, autore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, abbiamo già affrontato nella discussione precedente la necessità di collocare la politica commerciale in un contesto più ampio e di rispettare, proteggere e attuare il diritto internazionale. Uno dei quadri giuridici dei quali l’Unione europea e i suoi Stati membri fanno parte è l’Organizzazione mondiale del commercio. Fin dal principio però il mio gruppo si è sempre dichiarato contrario alle manchevolezze di tale organizzazione, e in particolare su questo fronte. La Commissione ha l’obbligo di proteggere le aziende europee e i loro dipendenti dalla concorrenza sleale utilizzando strumenti di antidumping permessi dall’OMC. In termini concreti si tratta di vendita di prodotti sotto costo. Vi chiediamo di estendere la definizione di costi di produzione e di applicarla a livello multilaterale, perché il dumping sociale e il dumping ambientale permettono un notevole abbassamento dei costi di produzione, come già sottolineato da altri oratori. Il risultato alla fine è una concorrenza sleale alle aziende europee che potrebbe perfino metterne a repentaglio la sopravvivenza. Siamo minacciati da una spirale globale verso il basso che non possiamo accettare e che non accetteremo.
Considerando il contesto è necessario continuare a lavorare alla definizione di criteri oggettivi per l’utilizzo di tali strumenti, perché attualmente hanno la reputazione sia all’esterno che all’interno dell’Unione europea di essere arbitrari. Una delle ragioni è la mancanza di un organo di ricorso funzionante. Alcune aziende di media grandezza all’interno dell’Unione europea si lamentano del fatto che i loro interessi sono considerati meno importanti rispetto a quelli delle aziende più grandi nell’utilizzo degli strumenti di antidumping. Il discorso vale particolarmente per la suddivisione globale del lavoro per le aziende manifatturiere in Europa, che si domandano se la Commissione abbia ancora una visione chiara delle conseguenze derivanti dalle misure che impone. Vorrei che la Commissione replicasse riferendosi all’esempio specifico del caso AD549, relativo al gruppo europeo Saint-Gobain. La decisione della Commissione in merito a tale azienda potrebbe anche rivelarsi utile, però dal nostro punto di vista mette a rischio numerosi posti di lavoro nelle piccole e medie imprese manifatturiere. Desidero quindi chiederle, signor Commissario, se avete condotto indagini adeguate, se vi sono state opportunità appropriate per intervenire, se avete sfruttato tali opportunità e se avete fornito alle piccole e medie imprese informazioni sufficienti riguardo alle procedure.
Robert Sturdy, autore. – (EN) Signor Presidente, ciò che vorrei dire al Commissario è che fin dall’inizio della flessione economica la Commissione ha promesso ripetutamente di non volersi avvalere di politiche protezionistiche, preferendo invece abbracciare la liberalizzazione – verso cui anche lei si è espresso in termini molto favorevoli – e creare opportunità per le aziende europee e rendere l’Europa una meta più attraente per gli investimenti.
Sebbene concordi che si debba ricorrere alle misure antidumping ove necessario, il problema è se utilizzarle come misura protezionistica o meno, perché l’ingente numero di inchieste in materia sembra suggerire un simile utilizzo.
Signor Commissario, devo dissentire da lei in merito a un problema particolare che si verifica in Belgio ai danni di una azienda di elettronica di cui le ho parlato non più di tre o quattro settimane fa. In realtà l’azienda è giunta a un compromesso e ha risolto il problema da sola, ciononostante lei non ha fatto decadere la procedura antidumping contro quell’azienda. Si trattava di un’azienda cinese e di un’azienda di elettronica belga che alla fine hanno risolto la questione e stanno lavorando insieme specificatamente con l’obiettivo di creare posti di lavoro nell’Unione europea.
Le cito un altro esempio. Nel Regno Unito c’è il problema, comune al resto d’Europa, della fibra di vetro, su cui pesa un dazio di importazione del 43,6 per cento (correggetemi se sbaglio). Si tratta di un materiale utile e impiegato nel Regno Unito e in Europa per la produzione di una serie di prodotti.
Infine, signor Commissario, desidero ricordarle che non è stato né lei, né il suo predecessore, bensì il predecessore del suo predecessore a far passare la legislazione antidumping sui fertilizzanti. Per quanto riguarda i prodotti agricoli al momento siamo molto preoccupati per via di costi di produzione, approvvigionamento e sicurezza alimentare. Eppure il costo dei fertilizzanti è aumentato del 173 per cento a causa della legislazione antidumping in vigore. Perché ciò si sta verificando? Dobbiamo tenere aperti i mercati. Confido che tra tutti lei sarà in grado di liberare effettivamente l’Europa da questo protezionismo e attendo di sentire le sue risposte.
Karel De Gucht, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, mi rallegro che il Parlamento europeo concordi con noi nel ritenere la difesa della produzione dell’Unione europea dalle distorsioni del commercio internazionale una componente necessaria di una strategia commerciale aperta e giusta.
Condivido la vostra opinione che le decisioni in merito agli strumenti di difesa commerciale debbano continuare a essere basate su elementi tecnici e fattuali, e sono certo che disponiamo di uno dei sistemi di difesa più efficaci e corretti al mondo. Sono conscio sia della coesistenza di interessi in gioco nei casi di indagini antidumping e anti-sovvenzioni, sia del fatto che alcuni cerchino di influenzare il processo decisionale. Ciononostante posso confermare che il processo è efficace, trasparente e basato su prove fattuali e analisi approfondite.
Riconosco che vi sono stati tentativi di influenzare le nostre decisioni esercitando pressioni su industrie, o addirittura su Stati membri o aziende operanti nei paesi terzi citati in precedenza. Condanno con forza tali azioni e a questo proposito l’entrata in vigore del trattato di Lisbona fornisce la possibilità di affrontare il problema.
Desidero assicurare che il numero di casi relativi a strumenti di difesa commerciale rimane stabile nel medio e lungo termine, per cui in risposta all’onorevole Sturdy, posso affermare che il numero di tali casi non è in aumento. Siamo riusciti a evitare aumenti significativi che sarebbero potuti derivare dalla recessione mondiale e abbiamo garantito che lo strumento di antidumping non venisse utilizzato per fini protezionistici.
La maggior parte delle statistiche mostra che il numero di casi nell’Unione europea è inferiore a quello registrato dai nostri principali partner commerciali. La Cina rimane la principale causa di commercio sleale (circa il 35 per cento delle azioni intentate dall’Unione europea sono contro tale paese). Sono determinato ad agire ove necessario, e il discorso vale anche per le azioni antisovvenzioni.
L’onorevole Sturdy mi ha interrogato anche a proposito del cosiddetto “caso del modem”, del quale la Commissione aveva preso in esame tre aspetti: il dumping, l’erogazione di sovvenzioni e le salvaguardie. Si investigò sui primi due aspetti sulla base di una segnalazione da parte dell’azienda coinvolta. Secondo il regolamento di base, chi sporge segnalazione ha poi la facoltà di ritirarla. Il diritto dell’Unione europea sancisce che in caso di archiviazione di un caso è possibile terminare anche i procedimenti, a meno che ciò non leda gli interessi della Comunità. Al momento stiamo esaminando le implicazioni dei ritiri delle segnalazioni. Va sottolineato che in passato la Commissione ha accettato tali ritiri e ha interrotto le indagini senza intraprendere alcuna azione.
Il terzo caso era relativo agli apparati di protezione ed era partito dalla segnalazione del governo coinvolto, il governo belga, per cui ha seguito una procedura in qualche modo diversa. L’azienda in questione (Option NV) ha informato la Commissione di aver chiesto al governo belga di ritirare la richiesta di imporre misure di salvaguardia, però il governo belga non ha ancora comunicato alla Commissione le proprie intenzioni; attendiamo siamo dunque in attesa che il governo belga assuma la propria posizione. Questo è precisamente quanto è successo in questo caso.
Tornando ora a questioni più ampie, gli strumenti di difesa commerciale esistono per validi motivi. In assenza di regole internazionali sulla concorrenza e di altre regole vigenti in mercati funzionanti a dovere, gli strumenti di difesa commerciale rappresentano l’unico mezzo possibile per proteggere la nostra industria dai beni commercializzati scorrettamente.
Ci impegniamo a utilizzare questi strumenti nella maniera più efficiente possibile per le nostre industrie. L’esistenza di limiti temporali assicura tempi rapidi per l’industria e prevedibilità per gli esportatori. Ho intenzione di mantenere alta l’efficacia e la correttezza dei nostri strumenti a beneficio di tutti gli operatori economici coinvolti
Le regole internazionali di difesa commerciale sono state rinegoziate in seno all’Organizzazione mondiale del commercio. La posizione dell’Unione europea su questo fronte è chiara: vogliamo mantenere l’efficacia dei nostri strumenti e tutelare al contempo le imprese europee da azioni protezionistiche di altri. I negoziati presso l’OMC e i cambiamenti apportati dal trattato di Lisbona rivestirebbero grande importanza nel momento in cui dovessimo decidere di rivedere le nostre regole.
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese gli strumenti di difesa commerciale rappresentano in effetti una sfida, sia in termini di costi che di complessità. È necessario ridurre il peso amministrativo delle indagini di difesa commerciale per tali imprese. A questo proposito ho commissionato uno studio per valutare le difficoltà specifiche delle PMI alle prese con le misure di difesa commerciale e le possibili soluzioni a riguardo.
In merito agli aspetti istituzionali avrete notato che la proposta di comitatologia presentata dalla Commissione in marzo prevede che il Parlamento sia pienamente informato sull’avanzamento dei lavori del comitato. La Commissione fornirà anche informazioni a riguardo delle misure proposte sulle quali le altre commissioni sono tenute a esprimere un parere, delle misure finali e dell’adozione finale da parte della Commissione. Il Parlamento può inoltre fare richiesta di ulteriori informazioni in qualsiasi momento.
In questo contesto vi confermo che la Commissione è effettivamente pronta a presentare una proposta di allineamento degli strumenti di difesa commerciale incentrata sul nuovo sistema di controllo dei poteri delegati e delle competenze di esecuzione chiamato “trade omnibus”. Come sapete però è in corso una discussione importante tra le istituzioni sulla questione delle competenze di esecuzione. La Commissione sta seguendo con attenzione la discussione e valutando sulla base dei contatti con le altre istituzioni quando adottare la proposta. A scanso di equivoci vorrei chiarire che la questione non è se la proposta sarà presentata, ma quando.
Anche l’onorevole Moreira ha formulato un’interrogazione specifica in tema di comitatologia, e su questo fronte vorrei essere estremamente chiaro. Non trovo alcuna motivazione all’interno del trattato di Lisbona perché l’argomento della comitatologia in relazione al commercio debba avere un trattamento speciale e sicuramente ci opporremo a riguardo. Naturalmente la decisione spetta al Parlamento e al Consiglio, nonostante anche la Commissione e la Corte di giustizia possano fare la propria parte a riguardo. L’introduzione di una diversa maggioranza per avere il sopravvento sulla Commissione in merito a questioni di carattere commerciale – perché alla fine dei conti è questo a cui si mira - non ci sembra accettabile, e non lo è certamente per me.
Infine, per quanto riguarda l’utilizzo degli strumenti di difesa commerciale da parte di paesi terzi abbiamo osservato un aumento dall’inizio della crisi economica.
Desidero garantirvi che seguiamo le azioni di difesa commerciale da parte di paesi terzi molto attentamente e che agiamo quando necessario. Tra le azioni includo l’intenso monitoraggio e il sostegno efficace agli esportatori dell’Unione europea colpiti e l’inizio delle procedure di risoluzione delle controversie in seno all’OMC.
In molti casi le azioni della Commissione portano all’interruzione delle indagini senza imposizione di misure. In altri casi gli interventi consistono nell’imposizione di misure minori.
Una delle interrogazioni verteva sulle possibili forme di rivalsa contro i paesi terzi che esercitano pressioni sulle aziende europee. Abbiamo ricevuto petizioni a riguardo da varie aziende europee ma non ne menzioneremo i nomi per proteggerle. Ad esempio, in un recente caso con protagonista la Cina, il paese asiatico ha attaccato la risoluzione di controversia in seno all’OMC e il panel ci ha sostenuto, dopodiché i nomi delle aziende coinvolte non sono stati resi pubblici anche per ragioni di tutela.
Le ultime due interrogazioni erano incentrate sull’eventualità di rivedere i nostri strumenti di difesa commerciale. La risposta è no perché non credo sia necessario. Vi è un enorme mole di lavoro da fare in campo commerciale negli anni a venire, e non intendo riaprire discussioni già concluse attraverso un processo di revisione, che potrei prendere in considerazione solo quando il ciclo di Doha sarà concluso.
Vi era anche una specifica interrogazione da parte di un deputato appartenente al gruppo dei Verdi. Onorevole Schlyter, l’interrogazione è interessante perché, come sicuramente saprà, i casi di antidumping sono intentati dalle aziende attraverso apposite denunce. Nel caso in cui un’azienda sollevasse la questione da lei citata e relativa alla riallocazione delle emissioni di carbonio, allora la Commissione avvierebbe sicuramente indagini e valuterebbe l’eventualità di imporre misure punitive. La questione però non esula certamente dall’ambito delle controversie che già gestiamo. Noi prendiamo in esame le controversie che le aziende ci sottopongono, pertanto se un’impresa ci sottoponesse la questione da lei sollevata noi indagheremmo senza indugi.
Cristiana Muscardini, a nome del gruppo PPE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor signor Commissario, l'antidumping, che rappresenta uno dei più incisivi strumenti di difesa della correttezza commerciale dell'Unione per poter competere equamente nel mercato, ha bisogno di regole chiare e applicabili all'interno della nuova comitatologia.
Il trattato di Lisbona dice chiaramente che gli atti esecutivi spettano alla Commissione. Al Consiglio spetta, insieme al Parlamento, il potere di controllare l'operato della Commissione. Il compromesso in esame oggi toglie invece di fatto al Parlamento il ruolo che Lisbona gli ha assegnato e potrebbe creare così un nuovo deficit democratico all'interno delle istituzioni.
Nello specifico, non capiamo e rigettiamo la proposta di riservare un trattamento differenziato delle misure di antidumping, trattamento che introduce elementi di discrezionalità, politicizzazione e incertezza giuridica in procedimenti il cui fine, invece, dovrebbe essere di tutelare gli interessi legittimi di imprese danneggiate da pratiche di concorrenza sleale.
In un momento di grave crisi economica come quella che stiamo attraversando, ci sembra irragionevole e autolesionista rendere di fatto complicata e forse impraticabile la conclusione delle procedure antidumping. Questo sarebbe infatti il risultato della proposta attualmente presentata se non fosse modificata.
Ci appelliamo al senso di responsabilità degli Stati membri, oltre che della Commissione, Stati membri il cui interesse comune deve essere quello di garantire maggiore sviluppo. Lo sviluppo è possibile solo in presenza di regole che impediscono lo stravolgimento del mercato, che rispettano i ruoli istituzionali e che rendono celeri le procedure.
Mario Pirillo, a nome del gruppo S&D. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, negli ultimi anni il numero di procedure antidumping applicato dalla Commissione europea è aumentato. Questa è la spia dell'incremento di pratiche sleali di altri paesi nei confronti delle imprese europee. Nonostante la crisi economica e finanziaria, ben 332 misure protezionistiche sono state adottate dai partner internazionali nell'ultimo biennio.
Noi crediamo in un commercio internazionale libero ma equo, basato sulla condivisione di regole uguali per tutti. È importante salvaguardare l'efficacia degli strumenti di difesa commerciale europei che intervengono per correggere situazioni di illegalità.
Nutro profonde preoccupazioni sugli effetti che gli attuali tentativi di riforma della comitatologia potranno avere sull'efficacia di questi strumenti. Lasciare spazio a negoziati politici e diplomatici per decidere sull'applicazione di misure antidumping rischia di snaturare un processo che deve invece rimanere basato su dati concreti e oggettivi.
Jan Zahradil, a nome del gruppo ECR. – (CS) Signor Presidente, vorrei ritornare sull’argomento affrontato dall’onorevole Sturdy. L’antidumping è un buon servo ma un cattivo padrone. Così come serve a proteggere le aziende europee e l’economia dalla concorrenza sleale e da pratiche commerciali scorrette, allo stesso modo se ne può abusare a fini protezionistici sfortunatamente, ad esempio per chiudere i mercati europei alle importazioni da paesi terzi. Pertanto chiedo alla Commissione e a lei, signor Commissario, di impedire un tale sviluppo, e agli onorevoli colleghi di vigilare per impedire che si abusi delle misure di antidumping nell’interesse del protezionismo e della chiusura del mercato europeo e della sua economia al resto del mondo. A mio avviso se l’Europa si tramutasse in una fortezza nessuno ne beneficerebbe e la storia insegna che se l’Europa si apre e collabora con il resto del mondo ne può trarre solo benefici, cosa che vi invito a tenere a mente.
Elisabeth Köstinger (PPE). – (DE) Signor Presidente, il lavoro a buon mercato e il dumping sociale sono metodi utilizzati molto di frequente nei paesi in via di sviluppo e nei paesi emergenti. Il problema dell’antidumping dimostra l’importanza in primo luogo degli standard sociali e ambientali, e in secondo luogo delle misure di protezione del commercio nel corso dei negoziati sugli accordi di libero scambio con paesi terzi. Le aziende europee in tutte le aree manifatturiere non devono essere svantaggiate a causa dei propri standard elevati, che naturalmente si riflettono sui prezzi. Gli sviluppi degli attuali negoziati con il Mercosur sono fonte per me di grande preoccupazione in proposito.
Non dobbiamo concedere varchi al dumping sociale, al contrario è necessario incorporare un approccio sostenibile negli accordi commerciali. Il dumping è un problema grave per l’industria agricola, in particolare quando porta alla scomparsa delle piccole aziende agricole indipendenti, che vengono rimpiazzate da subappaltatori.
In questo contesto vorrei evidenziare la relazione di iniziativa sulle relazioni commerciali tra l’Unione europea e l’America latina, che spiega chiaramente le problematiche in tema di standard sociali, ambientali e produttivi. Ringrazio gli onorevoli colleghi che hanno portato una questione di tale importanza all’attenzione della Commissione.
Karel De Gucht, membro della Commissione.– (EN) Signor Presidente, la mia risposta sarà estremamente breve. Devo ancora replicare all’interrogazione dell’onorevole Scholz in merito al caso della fibra di vetro della Saint-Gobain.
I dazi antidumping possono rendere i rifornimenti più costosi, e questo vale anche per le PMI. La Commissione ne prende in considerazione il potenziale impatto all’interno del test di interesse pubblico. Le PMI possono partecipare ai procedimenti e abbiamo istituito un numero verde per agevolare loro la collaborazione. In questo caso però l’impatto è ridotto perché la Cina detiene solo il 14 per cento del mercato dell’Unione europea.
Per quanto riguarda l’interrogazione dell’onorevole Zahradil sull’utilizzo degli strumenti di difesa commerciale per fini protezionistici e sul rischio che ciò accada, gli unici fattori che influenzano il numero di casi è il numero di segnalazioni che la Commissione riceve e la qualità delle prove presentate. La politica di difesa commerciale della Commissione consiste in un sistema basato su regole in linea con il regolamento dell’OMC. Nel caso in cui la segnalazione sia sufficientemente supportata da prove di dumping in atto, alla Commissione non rimane altro che avviare un’indagine.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Per proteggere l’economia europea è necessario introdurre restrizioni efficaci al processo di lobbying a favore dei prodotti provenienti da paesi terzi. Si tratta di prodotti realizzati spesso utilizzando materiali dannosi per l’ambiente e per i consumatori. Un esempio lampante sono i giocattoli per bambini. Le sostanze pericolose presenti nelle parti plastiche o nelle vernici possono causare problemi di salute, così come l’assemblaggio approssimativo può essere causa di incidenti e portare all’ospedale. È proprio in questo modo, ovvero utilizzando materiali scadenti e non curando l’assemblaggio, che è possibile offrire i prodotti a prezzi bassi e a inondare il mercato. Dobbiamo intensificare rigorosamente il controllo della produzione degli articoli importati e garantire l’effettivo rispetto delle leggi sull’introduzione di prodotti a buon mercato provenienti da paesi terzi sul mercato europeo. Gli strumenti di protezione del commercio devono essere efficaci e garantire condizioni di concorrenza corrette per le nostre imprese.
22. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale