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Procedura : 2010/2103(INI)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A7-0310/2010

Discussioni :

PV 24/11/2010 - 20
CRE 24/11/2010 - 20

Votazioni :

PV 25/11/2010 - 8.13
CRE 25/11/2010 - 8.13
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P7_TA(2010)0445

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 25 novembre 2010 - Strasburgo Edizione GU

9. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
Processo verbale
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0683/2010

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE). (LT) Signor Presidente, ho votato a favore di questa risoluzione sui negoziati in corso sul bilancio 2011. Il fallimento del comitato di conciliazione tra il Parlamento ed il Consiglio ha suscitato grande preoccupazione in tutta l'Unione europea. È deplorevole che in alcuni ambienti non si avverta ancora la necessità di aderire al trattato di Lisbona. Se non riuscissimo a trovare un accordo sul bilancio e su altre questioni connesse entro la fine dell'anno, le conseguenze sarebbero estremamente gravi. Sarebbe molto difficile creare il servizio europeo per l'azione esterna e le tre nuove istituzioni per il controllo delle istituzioni finanziarie dell'Unione europea senza finanziamenti. A causa della mancanza di fondi, sarebbe impossibile mettere adeguatamente in atto la politica di coesione, una delle politiche più importanti dell'Unione europea, per non parlare di cosa accadrebbe alla strategia Europa 2020 e al programma GALILEO. Ritengo pertanto che la posizione costruttiva e flessibile del Parlamento europeo dimostri ancora una volta che, dinanzi alla situazione provocata dalla crisi finanziaria, l'Assemblea sta veramente agendo in maniera responsabile.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, per quanto concerne il disastro nei negoziati sul bilancio 2011, prima di tutto vorrei dire che il diritto di redigere il bilancio è un diritto centrale di tutti i parlamenti democratici. In secondo luogo, un parlamento autorevole deve esercitarlo. In terzo luogo chiedo al Consiglio europeo di rispettare e di accettare questo diritto intrinseco dell'Assemblea. In quarto luogo deve essere definito un processo atto a garantire che la voce del Parlamento sia ascoltata in sede di definizione delle decisioni sul bilancio.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, ho votato a favore di questo bilancio e, se il Parlamento ha dei poteri in materia di bilancio, dobbiamo ovviamente esercitarli.

Ora, però, dobbiamo definire un'azione responsabile. Potrei dire che, per molti versi, il contenuto del bilancio non rispecchia gli ideali comuni dell'Unione europea. Mi piacerebbe che fosse possibile rivedere molti aspetti in dettaglio in modo da mettere in luce la presenza di vestigia del passato che non hanno più alcuna pertinenza affinché il bilancio possa essere usato per compiere nuovamente un esame su questi elementi. Ovviamente è altresì importante garantire che l'Unione europea riceva i finanziamenti che le spettano affinché possa adempiere alle funzioni che abbiamo convenuto insieme e che ci sono state conferite dal trattato di Lisbona.

Vi sono infatti tematiche su cui dovremmo adottare una prospettiva nuova e, al contempo alimentiamo ambiti vetusti, come il sostegno per la filiera del tabacco e via dicendo, che credo oggi non rientrino più tra le funzioni dell'UE. Dobbiamo pensare al qui ed ora, costruendo un bilancio atto a conferire un vero stimolo all'economia europea.

 
  
  

Relazione Saïfi (A7-0312/2010)

 
  
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  Antonello Antinoro (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione della collega Saïfi perché la relazione si è proposta e ha raggiunto gli obiettivi di definire un rafforzamento della difesa dei diritti dell'uomo e delle norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali.

Tutto ciò permetterà alle maggiori organizzazioni internazionali di cooperare in maniera più stretta affinché gli aspetti sociali trovino spazio negli accordi multilaterali. Sarebbe utile una riforma dell'Organizzazione mondiale del commercio che possa dare spazio a tale collaborazione, anche se l'ostracismo di alcuni paesi rende tale riforma difficile da attuare.

Infatti, la clausola sui diritti umani compare già negli accordi internazionali più recenti e tale pratica costituirà un caposaldo dei futuri accordi commerciali. Vi è la necessità, quindi, di garantire l'effettiva implementazione delle convenzioni dei 27 paesi nell'ambito del sistema GSP e delle misure di accompagnamento destinate a rafforzare la capacità di applicazione.

Infine, le preferenze generalizzate dovrebbero effettivamente essere concentrate per i paesi più bisognosi quando si riformerà il sistema.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE).(EN) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione. Essendo relatrice del Parlamento per la relazione annuale sui diritti umani nel mondo quest'anno, posso solamente reiterare l'importanza delle clausole e delle regole sui diritti umani nell'ambito degli accordi commerciali internazionali.

Il commercio può svolgere un ruolo importante per garantire i diritti civili e politici, ma anche quelli economici e sociali. Basti pensare alla funzione dei programmi di assistenza correlati agli scambi che assicurano lo sviluppo in molti paesi poveri in tutto il mondo. Dobbiamo ricordare che le clausole sui diritti umani fanno parte di tutti gli accordi commerciali bilaterali che l'UE sottoscrive e anche nei regimi SPG e SPG+ con i paesi in via di sviluppo.

Dobbiamo rafforzare siffatte clausole e la condizionalità, controllandone più rigorosamente l'attuazione. Dobbiamo pensare ad una valutazione in tema di diritti umani per i paesi terzi che hanno relazioni commerciali con l'Unione europea e concedere le preferenze commerciali ai paesi che hanno ratificato e che effettivamente attuano le principali convenzioni internazionali sullo sviluppo sostenibile, i diritti sociali e la buona governance.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signor Presidente, gli scambi commerciali hanno lo scopo di massimizzare la prosperità ed i vantaggi per entrambe le parti. I paesi non commerciano gli uni con gli altri, sono le imprese e le persone che intraprendono questa attività. Eppure, nella relazione, e più in generale nella politica commerciale dell'UE, emerge la determinazione della Commissione ad inserire negli accordi commerciali ogni genere di criteri del tutto estranei, non solo in relazione ai diritti umani, alle norme ambientali e così via, ma anche, e in maniera ancor più deleteria, dei parametri volti a costringere altre parti del mondo a costituirsi in blocchi commerciali sulla falsariga dell'Unione europea.

Il commercio, infatti, si basa sugli scambi determinati dalle differenze reciproche. Non ha senso, ad esempio, che i paesi dell'America centrale formino un'unione commerciale tra loro in cui si scambiano banane, caffè e fiori recisi. Allo stesso modo, non è opportuno che l'Europa formi un blocco di economie industrializzate simili, in cui ci si taglia fuori dai mercati in espansione nel resto del mondo. È deleterio per i paesi in via di sviluppo e per la sfera di influenza anglosassone ed è particolarmente catastrofico per il mio paese, che si è impantanato in una ristretta e decadente unione doganale regionale.

 
  
  

Relazione Belet (A7-0286/2010)

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, i media svolgono un ruolo speciale e importante nella società democratica. Essi garantiscono un'informazione di alta qualità e quindi rendono un contributo significativo al funzionamento della democrazia. Sono convinto che un ambiente qualitativamente elevato e bilanciato per i mezzi di comunicazione pubblici si ripercuota positivamente anche sul livello dei media privati. I mezzi di comunicazione sia pubblici che privati hanno bisogno gli uni degli altri e si influenzano positivamente. Se vogliamo un ambiente improntato all'informazione e ben calibrato per i media, dobbiamo sostenere le emittenti pubbliche indipendenti come controparti delle emittenti private. È questo uno dei presupposti fondamentali della libertà di stampa senza il quale non potrebbe esserci alcuna effettiva libertà di espressione nella nostra comunità.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dell'onorevole Belet, contrariamente alle raccomandazioni del mio gruppo, poiché penso sia molto importante riconoscere la necessità di salvaguardare il servizio pubblico in ambito radiotelevisivo, compreso quello erogato dalle società nazionali. Il tema riveste grande importanza e si può affermare che l'esperienza sia stata sostanzialmente positiva nelle democrazie.

Ovviamente servono anche i canali commerciali. Questi due diversi tipi di servizio, ovverosia i canali commerciali ed il servizio pubblico, possono fungere da complemento l'uno per l'altro. A mio parere, è un diritto fondamentale assoluto ed è vitale per la libertà di espressione che vi sia un canale pubblico che si mantenga sul piano pubblico e che si dedichi alla produzione di informazioni d'attualità e di aggiornamento per i cittadini sia a livello nazionale che europeo.

Questa relazione è eccellente e va sostenuta. Spero che in tutti gli Stati membri si delinei la tendenza a salvaguardare il servizio pubblico radiotelevisivo.

 
  
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  Sonia Alfano (ALDE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Belet perché valorizza e precisa il ruolo fondamentale del settore pubblico nella radiotelevisione dei paesi europei. Ritengo questo un passo importante per il Parlamento europeo, che si esprime chiaramente sulla necessaria indipendenza del servizio pubblico rispetto al potere politico.

Questa relazione sembra scritta su misura per l'Italia, dove la RAI è ormai in avanzato stato di decomposizione a causa della completa occupazione dei partiti, a danno dello spessore culturale e informativo della radiotelevisione pubblica e dunque dell'intero paese. Basta vedere quello che è successo la scorsa settimana al programma "Vieni via con me".

I Minzolini, i Masi, i professionisti della disinformazione pubblica e i loro padroni sono incompatibili con quanto oggi approvato dal Parlamento europeo. L'Unione europea ne prenda atto e agisca di conseguenza. Fuori i partiti dalla RAI!

 
  
  

Proposta di risoluzione (RC-B7-0624/2010)

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE).(FI) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione. Il Parlamento europeo deve celebrare la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU riguardante le donne, la pace e la sicurezza.

Il 90 per cento delle vittime della guerra sono civili, di cui la maggior parte sono donne e bambini. Lo stupro e la schiavitù sessuale sono la cruda realtà quotidiana dei conflitti bellici. Ai sensi della convenzione di Ginevra, lo stupro e la schiavitù sessuale sono considerati crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Va inoltre osservato che lo stupro è una forma di genocidio ed è riconosciuto come tale dalla comunità internazionale. È assolutamente importante quindi che gli autori di questi crimini siano chiamati a rispondere delle loro azioni.

Le donne devono essere coinvolte nelle iniziative che vengono messe in atto per prevenire i conflitti e per promuovere la gestione delle crisi ed i negoziati di pace. È altresì importante consentire alle donne di prendere parte alla ricostruzione post-bellica nei propri paesi.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE).(LT) Signor Presidente, ho votato a favore di questa importante risoluzione, poiché non possiamo ignorare il fatto che si sta intensificando la violenza contro le donne. Si può vedere, in particolare, nelle zone di guerra e di conflitto. Anch'io ritengo che, ai livelli più alti dell'UE, deve essere assegnata un'attenzione appropriata all'attuazione della risoluzione n. 1325 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, la prima risoluzione in cui si affrontano le conseguenze sproporzionate e singolari che i conflitti armati producono sulle donne. Il tema deve rivestire un posto speciale nella revisione in corso della politica sui diritti umani dell'Unione europea in sede di elaborazione della strategia complessiva per paese in tema di diritti umani e in sede di valutazione delle linee guida UE sulla violenza contro le donne e le ragazze nelle linee guida UE sui bambini ed i conflitti armati nonché nella lotta contro tutte le forme di discriminazione contro queste categorie. Sostengo l'appello di stanziare un finanziamento adeguato per contrastare la violenza contro le donne e per sostenere la partecipazione femminile nei processi di pace, di sicurezza e di riconciliazione.

 
  
  

Proposta di risoluzione (B7-0622/2010)

 
  
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  Dimitar Stoyanov (NI).(BG) Ho votato a favore della risoluzione sull'apicoltura e sul sostegno al settore, poiché questa forma di produzione agricola rappresenta l'attività agricola più specializzata. Di solito, quando si pensa agli insetti, le associazioni che ci vengono in mente non sono molto piacevoli. Gli insetti non sono creature gradevoli, ma dobbiamo conviverci. Ad ogni modo, voglio semplicemente mettere in luce il fatto che le api non sono solo insetti addomesticati ai fini della produzione agricola e alimentare, ma rivestono un'importanza fondamentale.

Non dimentichiamoci che, senza api, verrebbe a mancare buona parte della produzione attuale, visto che questi insetti sono deputati all'impollinazione. È assolutamente importante che il Parlamento europeo si assicuri periodicamente che le norme siano allineate tra l'UE ed i paesi terzi, soprattutto nel comparto agricolo e particolarmente nel caso dell'apicoltura. La Commissione deve tenere conto di questo aspetto.

 
  
  

Relazione Kolarska-Bobińska (A7-0313/2010)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, desidero ringraziare l'onorevole Kolarska-Bobińska per la valida cooperazione e per l'eccellente relazione – un testo che oggi qui in Parlamento è stato ulteriormente migliorato dalla maggioranza, che ha assunto una posizione sulla necessità di incrementare l'obiettivo della riduzione dell'anidride carbonica, passando dal 20 al 30 per cento. È questo il presupposto per divenire pionieri, oltre che per compiere dei progressi nel comparto ambientale, ma anche per garantirci la competitività nel comparto della tecnologia ambitale verde. In questo modo, proteggeremo l'occupazione, l'economia e l'ambiente e troveremo simultaneamente le risposte alle principali sfide che dobbiamo affrontare in Europa. È una bella giornata per l'Europa grazie al voto di oggi.

 
  
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  Jan Březina (PPE). (CS) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione sulla strategia energetica in cui sono enunciate le direttici future della politica energetica dell'Unione europea. Tengo ad enfatizzare il ruolo dell'energia nucleare nel mix energetico presente e futuro dell'UE, compreso l'implicito riferimento alla necessità di estendere il ciclo di vita delle strutture esistenti. La strategia può essere considerata bilanciata dalla prospettiva delle singole fonti, anche se non menziona nemmeno una volta il ruolo, a mio parere, importate del carbone usato come combustibile nelle moderne centrali. È difficile ipotizzare un incremento della sicurezza energetica e dell'indipendenza dell'UE senza il carbone come risorsa primaria stabile in grado di rispondere in maniera flessibile agli improvvisi picchi nella domanda di energia. Il punto debole è la natura eccessivamente generica della relazione e l'assenza di normative di accompagnamento. La forma specifica e pratica della strategia sarà inoltre enormemente influenzata dal piano d'azione atto a conseguire un'economia a basso livello di carbonio entro il 2050, la cui pubblicazione è prevista per l'inizio del prossimo anno.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE).(EN) Signor Presidente, ho votato a favore di questo importante documento. Il testo contribuisce in maniera costruttiva al dibattito che si sta svolgendo in Europa sulla definizione di una strategia energetica comune fattibile.

La sicurezza energetica è sicuramente uno degli aspetti chiave di questa strategia. L'Unione europea deve favorire il varo di una politica energetica comune, se non unica. In tutta Europa i legislatori e le istituzioni devono avere un ruolo più ampio. La Commissione europea deve svolgere una funzione più incisiva nell'azione volta a sviluppare percorsi alternativi per l'energia, prima di tutto, passando dall'Azerbaijan e dall'Asia centrale e dal Nord Africa nonché da altri paesi. L'Europa deve investire di più nei terminali per il gas naturale liquefatto, aiutando i suoi membri più recenti a fare altrettanto.

Ci vogliono anche altre misure, tra cui il miglioramento dell'efficienza energetica, l'investimento nell'energia nucleare ed il varo di nuove iniziative per le tecnologie delle energie rinnovabili. Un tassello essenziale del mosaico è la liberalizzazione del mercato interno dell'energia. Per tale ragione dobbiamo sostenere appieno l'iniziativa del Presidente Buzek e dell'ex Presidente della Commissione Jacques Delors affinché sia istituita una comunità europea per l'energia.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, anch'io ritengo che la relazione dell'onorevole Kolarska-Bobińska sia eccellente. È importante che funga da orientamento per la strategia energetica europea per i prossimi dieci anni. È eccellente, in quanto assegna grande attenzione al concetto di approvvigionamento energetico, ma anche all'efficienza energetica oltre che al risparmio di energia. Sono tematiche importanti.

Inoltre è fondamentale investire nella ricerca e nelle nuove applicazioni per le diverse tecnologie ambientali. Le innovazioni in questo campo saranno del tutto necessarie se vogliamo costruire un'Europa più pulita e meno dipendente dagli altri per l'energia. Pertanto dobbiamo essenzialmente guardare a forme alternative di energia. È vero che l'energia nucleare deve essere la forma base di energia, ma occorre un nuovo investimento in energie alternative. Spero che sarà possibile eliminare gradatamente l'uso del carbone. Non voglio vedere un futuro sporco di carbone per l'energia in Europa.

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE).(LT) Signor Presidente, ho votato a favore di questa relazione sulla strategia energetica dell'Unione europea che verte su numerosi punti e questioni importanti e in cui si parla di energia rinnovabile, ricerca, innovazione, riduzione dell'inquinamento e ovviamente dell'intensificazione della sicurezza energetica. In particolare, sostengo la disposizione dell'Assemblea ai sensi della quale le reti energetiche, anche quelle a carattere commerciale, devono essere disciplinate da accordi intergovernativi trasparenti senza toccare gli interessi degli Stati membri. Gli accordi ed i progetti bilaterali di alcuni Stati membri, come il gasdotto "Nord Stream", provocano sfiducia non solo sul piano ambientale, ma anche in relazione al principio complessivo di solidarietà. Due paesi hanno raggiunto un accordo, uno di questi è membro dell'UE, ma il principio della solidarietà previsto dai trattati UE viene sostanzialmente trascurato. Per questa ragione anch'io ritengo che gli oleodotti ed i gasdotti esterni e le altre reti per l'energia nel territorio dell'Unione europea debbano essere disciplinati da accordi intergovernativi trasparenti, redatti nel rigoroso rispetto del diritto UE. Siffatti oleodotti e gasdotti devono essere soggetti alle norme del mercato interno, comprese le norme sull'accesso di parti terze.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(GA) Signor Presidente, è stato un piacere votare a favore di questa relazione e desidero rivolgere un plauso all'onorevole Kolarska-Bobińska per il risultato che ha conseguito.

Ho seguito il dibattito in Parlamento, ma non sono riuscito ad attirare l'attenzione del Presidente nell'ambito della procedura "catch the eye". Pertanto desidero sottolineare due concetti. In primo luogo, l'Unione europea deve concentrarsi sulla ricerca, sullo sviluppo e sull'innovazione. In secondo luogo, deve essere costituita una rete europea per il deposito e la trasmissione dell'elettricità nell'Unione. Se agiremo in questo modo, compiremo grandi progressi.

Infine, sono stato molto lieto che una grande maggioranza dei deputati abbia votato a favore della relazione.

 
  
  

Proposta di risoluzione (B7-0616/2010)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, ovviamente sono lieto che il Parlamento abbia approvato una risoluzione contenente una proposta negoziale a sostegno del Commissario competente per il clima, che si recherà a Cancún per prendere parte ai negoziati. Ad ogni modo, considerando i molteplici problemi che abbiamo avuto l'anno scorso per presentare una posizione UE unitaria al COP 15 a Copenhagen, il testo ci invita a riflettere sulle divisioni interne all'Assemblea, come è emerso chiaramente sia negli emendamenti che nella risoluzione nel suo insieme. In proposito forse potremmo trarre un piccolo insegnamento sul vantaggio che si potrebbe ricavare, ridimensionando le istanze in merito alla tassa Tobin e ad altre imposte, poiché siffatti temi concorrono a creare divisioni in Parlamento. A parità di condizioni, sarebbe stato meglio se avessimo ridimensionato le nostre richieste, inviando quindi i negoziatori con un mandato più chiaro e ampio rispetto a quanto è stato definito.

 
  
  

Proposta di risoluzione (RC-B7-0675/2010)

 
  
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  Antonio Masip Hidalgo (S&D).(ES) Signor Presidente, com'è stato detto, la condanna espressa contro il Marocco è stata troppo lieve considerando la portata della repressione contro i diritti umani condotta nel Sahara occidentale, in cui il Marocco riveste il ruolo di paese occupante senza poter vantare alcuna sovranità o altro titolo giuridico. È importante, tuttavia, far presente che l'Europa tutta ed il Parlamento non sono più disposti a tollerare la violenza.

Proprio ieri ho parlato della Corte dell'Aia qui in Parlamento. Spero che la comunità internazionale – che purtroppo ha fallito nei tentativi messi in atto per impedire il genocidio in Ruanda, in Jugoslavia e in Darfur – riesca in questo caso ad impedirli nel Sahara occidentale senza che la questione debba finire dinanzi ad un tribunale, sempre all'Aia, ma questa volta dinanzi alla Corte per i crimini di guerra.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE).(FI) Signor Presidente, è deprecabile che la politica estera messa in atto da diversi paesi membri dell'UE continui ad avere un carattere estremamente colonialista. È apparso molto chiaramente nel caso del Sahara occidentale. La Spagna e la Francia, che sostengono il Marocco, hanno una responsabilità particolare per il fatto che il conflitto si sia trascinato. Il Sahara occidentale è l'ultima colonia dell'Africa ed è stata una risoluzione dell'ONU del 1996 a proporre per la prima volta che il territorio venisse liberato dal regime coloniale.

Ultimamente la situazione nell'area si è deteriorata. Le autorità marocchine stanno perpetrano una violenza inaudita. Sarebbero molti i morti, i feriti e gli scomparsi. L'area di crisi è stata isolata, quindi non può nemmeno ricevere gli aiuti internazionali. La crisi che sta investendo il Sahara occidentale e l'intero confitto devono essere risolti quanto prima possibile. È questo il compito del ministro degli Esteri dell'UE, Baronessa Ashton, e anche di tutti gli Stati membri dell'UE.

 
  
  

Proposta di risoluzione (RC-B7-0650/2010)

 
  
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  Dimitar Stoyanov (NI).(BG) Signor Presidente, ovviamente ho votato a favore della risoluzione sull'Ucraina. Ho ampiamente illustrato le mie argomentazioni a favore nel corso del dibattito di ieri.

Ad ogni modo, mi avvalgo di questa possibilità per fare un importante precisazione, in quanto sono state divulgate informazioni inesatte nel dibattito di ieri. Infatti l'onorevole Brok si è sbagliato, affermando che il capo dei servizi di sicurezza nomina e concorre a nominare i giudici costituzionali in Ucraina.

Ho controllato stasera e ho appurato che non è così. La corte costituzionale viene nominata dal presidente, dal parlamento ucraino e dalla magistratura. In pratica, il capo dei servizi di sicurezza non ha alcun ruolo nella nomina dei giudici della corte costituzionale. Ci tenevo a fare questa precisazione.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE).(EN) Signor Presidente, finalmente il Parlamento adotta una risoluzione sull'Ucraina. Siamo sicuramente preoccupati in merito ai recenti sviluppi che hanno interessato il paese. Se l'Ucraina è un nostro partner strategico, credo sia nostro dovere esprimere preoccupazione sui malfunzionamenti che rileviamo – ed esempio, gli eccessivi poteri dei servizi di sicurezza ucraini e le misure che tali servizi hanno assunto per intimidire le ONG che operano nel paese e per controllare i media nazionali.

Siamo altresì preoccupati per il processo politico nel suo insieme, anche perché i partiti di opposizione subiscono regolarmente restrizioni e discriminazioni quando prendono parte alle elezioni. D'altro canto, dobbiamo continuare a sostenere le prospettive d'integrazione europea dell'Ucraina, usando più la carota del bastone affinché il paese si avvicini all'Europa – invece di allontanarsi ancor più – e dobbiamo adoperarci al massimo delle nostre capacità per conseguire questo obiettivo strategico.

 
  
  

Relazione Jadot (A7-0310/2010)

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE).(PL) Signor Presidente, l'Unione europea mette in atto un'ampissima politica di tutela ambientale, che riguarda altresì l'agricoltura e l'industria. Tuttavia, nelle condizioni attuali di produzione e di concorrenza, non è possibile smettere di usare i prodotti chimici in agricoltura o cambiare i metodi usati per la manifattura dei vari prodotti in modo da non usare quantità esorbitanti di energia. È inoltre assolutamente inappropriato accusare l'Unione di non occupare una posizione di spicco nella politica ambientale, indicando gli Stati Uniti e la Cina come modelli. Questi paesi, dopo tutto, sono ai primi posti per le emissioni di anidride carbonica. La rilevanza assoluta della protezione ambientale rappresenta però un fatto innegabile, motivo per cui dobbiamo adoperarci al massimo per rendere sostenibile l'economia europea – industria, agricoltura e trasporti. I doni della natura sono i nostri beni più preziosi ed è difficile recuperarli quando vanno persi. Deve essere fatto tutto il possibile per trovare la proverbiale via di mezzo.

 
  
  

Relazione Désir (A7-0317/2010)

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE).(PL) Signor Presidente, è molto importante perseguire un equilibrio tra gli interessi economici e gli interessi sociali, ma è anche molto difficile riuscirvi. La cooperazione economica che va di pari passo al rispetto per le norme elementari della democrazia e del benessere dei cittadini rappresenta il fondamento dell'Unione europea. Per tale ragione è così importante introdurre norme unificate sui diritti umani nonché regole sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali. Se adottassimo questo tipo di standard nella politica commerciale dell'UE, l'Unione verrebbe percepita positivamente dai cittadini e migliorerebbero anche le relazioni con i suoi partner. La cooperazione internazionale in questo ambito è eccezionalmente importante ed il Parlamento europeo deve dare un sostegno quanto più ampio possibile.

 
  
  

Proposta di risoluzione (B7-0623/2010)

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE).(PL) Signor Presidente, gli accordi orizzontali sono oggetto di una vasta gamma di regolamenti ed i meccanismi di controllo previsti dalla legge – che ci piaccia o no – possono uccidere la concorrenza. La questione pertanto riveste un'importanza cruciale e, al contempo, è una materia in cui bisogna evitare errori. Bisogna assolutamente conseguire un equilibrio mediante regolamenti adeguati e procedure di standardizzazione, promuovendo al contempo un accordo tra le parti interessate. I diritti di proprietà intellettuale non possono essere trascurati e le violazioni in questo ambito devono essere passibili di gravi conseguenze. Sostengo inoltre le istanze avanzate dall'autore sul miglioramento della qualità dei testi legislativi varati. Il linguaggio che si utilizza attualmente in numerosi documenti molto spesso è difficile da comprendere ed è inaccessibile ai comuni cittadini.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

Proposta di risoluzione (B7-0683/2010)

 
  
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  Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) È in atto l'ennesima farsa tra i rappresentanti politici del capitale ed i governi borghesi, inscenata per manipolare il popolo. Il punto non verte tanto sull'opportunità di aumentare il bilancio, ma conta più di tutto la destinazione dei fondi. Anche questo è già stato deciso. Sono stati tagliati i sussidi per piccole e medie imprese agricole in difficoltà previsti dalla PAC, mentre i soldi stornati dai fondi agricoli andranno a progetti "eleggibili", ossia a progetti assegnati direttamente a grandi gruppi commerciali o mediante partenariati tra pubblico e privato. Così facendo, il bilancio comunitario viene usato anche per monopolizzare siffatti gruppi. Da un lato, eventuali aumenti nel bilancio UE saranno canalizzati per finanziare la politica e le azioni dell'UE contro le masse, come il meccanismo recentemente varato del Servizio europeo per l'azione esterna, volto a promuovere la politica interventista, imperialista e politico-militare dell'UE.

Il bilancio dell'Unione è l'ennesimo strumento usato per tagliare i redditi delle masse affinché siano poi ridistribuiti al capitale monopolista. La lotta interna imperialista nell'UE non riguarda il popolo: è una lotta tra le classi borghesi e gli esponenti del capitale che vogliono conquistarsi la parte del leone nel bottino sottratto dai redditi del proletariato.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Si sa quali sono i problemi che hanno nuovamente scosso l'Unione europea in relazione all'approvazione del bilancio 2011. La Commissione europea ed il Parlamento avevano chiesto un aumento di circa il 5 per cento per poter mettere in atto le nuove politiche europee (disciplina dei mercati finanziari, politica estera comune, eccetera) che sono state definite in risposta alle sfide da affrontare. In considerazione delle attuali restrizioni di bilancio, il Parlamento alla fine ha accettato di ridurre l'aumento al 2,91 per cento, purché siano ottemperate certe condizioni politiche (dibattito sulla concessione delle risorse proprie all'Unione europea in modo da porre fine ai baratti tra Stati membri, flessibilità di bilancio ed il finanziamento delle priorità strategiche fondamentali). Visto che il Consiglio europeo ha bocciato queste istanze, ho votato a favore della nuova risoluzione in cui viene definita chiaramente la posizione essenzialmente ragionevole, costruttiva e al contempo ambiziosa del Parlamento. Se io ed i colleghi siamo disposti a tirare la cinghia insieme a tutti in Europa, vogliamo altresì enfatizzare quanto siano importanti i contributi europei per il coordinamento ed il sostegno delle politiche perseguite dall'Unione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho espresso sostegno per la relazione. Il trattato di Lisbona ha apportato molti cambiamenti in diversi campi, conferendo altresì nuovi poteri al Parlamento europeo. Il tentativo fallito di raggiungere un accordo con il Consiglio sul bilancio 2011 ha segnato il primo sforzo serio profuso dall'Assemblea per avvalersi dei poteri che gli sono stati accordati. Il Parlamento europeo è pronto ad addivenire ad un accordo quanto prima possibile affinché l'Unione europea possa cominciare il 2011 con un bilancio approvato, evitando ritardi nello stanziamento dei finanziamenti ad aree e a progetti importanti. Ad ogni modo, le istanze dell'Assemblea devono trovare una collocazione nell'accordo con il Consiglio e deve esserci un terreno comune su taluni meccanismi di flessibilità al fine di assicurare un finanziamento adeguato nel 2011 e quindi un finanziamento per le politiche che discendono dalle nuove competenze conferite all'UE dal trattato di Lisbona e per la strategia Europa 2020. La Commissione si deve impegnare a presentare delle proposte sulle nuove risorse proprie per l'Unione e bisogna trovare un accordo con il Consiglio sulla riforma della struttura finanziaria. Inoltre le tre istituzioni devono accordarsi su un metodo operativo comune, in cui deve essere assicurata la partecipazione del Parlamento nel processo negoziale in relazione al prossimo quadro finanziario pluriennale. Il Parlamento europeo deve perseguire le istanze che ha presentato. Oltre al fatto che da queste istanze dipende la definizione futura del bilancio comunitario, esse sono destinate altresì a stabilire un precedente volto ad espandere l'influenza dell'unica istituzione eletta a suffragio universale nella governance dell'Unione europea.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) Il Parlamento europeo non deve cedere alle pressioni della Commissione e accettare il bilancio 2011. Sarebbe come modificare il trattato sul funzionamento dell'Unione, sarebbe come se l'organismo più democratico dell'UE, l'unico che viene eletto a suffragio universale, ne violasse le disposizioni. A giudicare alle reazioni degli esponenti della Commissione europea, sembra che il Parlamento non sia d'accordo sul bilancio che è stato definito proprio per dimostrare chi davvero detiene il potere. Ad ogni modo, il Parlamento, che ha votato unanimemente contro il bilancio 2011 proposto dalla Commissione, ha ovviamente cose più importanti cui dedicarsi e non intende farsi coinvolgere in futili lotte di potere. Ad ogni modo, il bilancio non tiene contro dei nuovi poteri dell'Unione e non prevede finanziamenti per la strategia Europa 2020, che gode di un sostegno unanime.

Non possiamo essere incoerenti nell'assumere le decisioni. Non possiamo definire e approvare strategie fondate su buone intenzioni senza prevedere un'adeguata copertura finanziaria volta ad assicurarne l'attuazione. Il Parlamento ha il diritto di tracciare la via che l'Unione deve imboccare l'anno prossimo, è un diritto conferito dal trattato di Lisbona. L'azione coesa intrapresa dai gruppi parlamentari dell'Assemblea è tesa solamente a dimostrare che il bilancio deve essere rivisto su una base molto più flessibile.

 
  
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  Françoise Castex (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della risoluzione, poiché ci ricorda, in termini tecnici, i tre requisiti da cui dipende il voto del Parlamento sul bilancio 2011. Infatti bisogna mantenere l'opzione di mobilitare lo strumento di flessibilità, che è uno strumento di bilancio necessario al fine di garantire un finanziamento minimo per le competenze e le priorità dell'Unione. La Commissione europea deve impegnarsi ad avanzare proposte specifiche sulle nuove risorse proprie entro il luglio 2011. Il Parlamento deve essere ampiamente coinvolto nei dibattiti futuri sul sistema di finanziamento dell'Unione europea, in particolare sul tema delle risorse proprie e nella stesura del prossimo quadro finanziario. Questa risoluzione riafferma i cambiamenti apportati al Consiglio dal trattato di Lisbona affinché il Consiglio finalmente riconosca la nuova legittimità del Parlamento nelle questioni di bilancio. A parte la battaglia interistituzionale, dobbiamo comprendere che la questione dell'integrazione europea presuppone ancora una volta lo spirito comunitario ed il rispetto per i cittadini dell'Unione. Per concludere, gli Stati membri, che hanno ratificato individualmente il trattato, devono essere pienamente consapevoli dei loro obblighi e devono sposare le ambizioni che esso incarna.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Prima che la Commissione presenti una nuova proposta di bilancio, il Parlamento europeo ha voluto riaffermare il ruolo che intende svolgere nei negoziati sul prossimo quadro finanziario pluriennale. Abbiamo fissato tre condizioni. In primo luogo, vogliamo che sia mantenuto il meccanismo di flessibilità, perlomeno per poter mobilitare importi nell'ordine di milioni di euro in aiuti di emergenza per i paesi in via di sviluppo. In secondo luogo la Commissione deve presentare proposte sostanziali sulle nuove risorse proprie. In terzo luogo, il Consiglio deve impegnarsi ad esaminarle insieme al Parlamento nel corso dei negoziati sul prossimo quadro finanziario pluriennale. La risoluzione è stata adottata con una vastissima maggioranza, il che denota la determinazione del Parlamento di sostenere l'adozione del bilancio 2011, sempre posto che siano ottemperate queste tre condizioni.

 
  
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  Göran Färm, Olle Ludvigsson e Marita Ulvskog (S&D), per iscritto. (SV) Ci dispiace che i negoziati sinora non siano riusciti a conseguire un risultato. Benché il Parlamento europeo si sia adoperato molto in questo ambito – ha accettato la proposta di bilancio per il 2011 del Consiglio, ha offerto una soluzione su progetti finanziari difficili e di grande entità, come il progetto di ricerca sulla fusione ITER, e ha promesso di approvare in tempi brevi l'emendamento n. 10 al bilancio, in virtù del quale gli Stati membri ricevono indietro oltre 600 milioni di euro – una minoranza di Stati membri, compresa la Svezia, ha bloccato i negoziati.

La risoluzione del Palamento sottolinea che i negoziati dovrebbero continuare, ma indica altresì delle condizioni per il futuro.

Affinché l'Unione possa evitare altre crisi di bilancio e riesca a finanziare le principali priorità come la politica sul clima e la strategia 2020, è necessaria una maggiore flessibilità nel bilancio negli anni a venire. Ad ogni modo, non crediamo che il livello complessivo del bilancio UE debba essere aumentato. Per evitare il rischio di veto del Parlamento, qualora potesse solamente adottare una posizione sul pacchetto tra Stati membri una volta terminati i negoziati, all'Assemblea deve essere dato modo di partecipare ai negoziati preparatori sul prossimo bilancio a lungo termine dell'Unione dopo il 2013 e nei dibattiti sul finanziamento futuro del quadro finanziario, senza per questo dover adottare una posizione sul tema delle risorse proprie. In fine teniamo ad enfatizzare che questi requisiti permangono entro le competenze conferite al Parlamento dal trattato di Lisbona.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Ci troviamo ad uno stallo istituzionale in merito al bilancio 2011, in quanto alcuni Stati membri in Consiglio bloccano la proposta della Commissione. Spero che questa paralisi possa essere superata quanto prima, in quanto il bilancio deve essere in linea con gli impegni e le responsabilità dell'Unione europea, come prevede il trattato di Lisbona.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Il Parlamento vuole che il trattato di Lisbona sia rispettato e vuole che prevalga la pace istituzionale in seno all'Unione europea. In realtà, stando al trattato, il Parlamento deve essere coinvolto – con il voto o rilasciando dei pareri – nel nuovo accordo interistituzionale, nel prossimo quadro finanziario pluriannuale e nell'istituzione delle risorse proprie. Per quanto attiene all'accordo interistituzionale, è ovvio che il rispetto per gli impegni assunti dalle istituzioni europee, specificatamente dal Consiglio, dipende dalla flessibilità che sarà conferita al presente quadro finanziario pluriennale.

La strategia Europa 2020, il programma ITER, il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAS) e la vigilanza finanziaria sono solo alcuni esempi per cui è necessario un finanziamento. Il Consiglio deve ottemperare al trattato di Lisbona, sia dal punto di vista delle nuove competenze che rientrano nella sfera dell'Unione europea, come indica il bilancio, che dal punto di vista dei poteri rafforzati del Parlamento europeo, nondimeno per quanto concerne il bilancio. Queste modifiche vanno a rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni dell'Unione. L'impegno del metodo comunitario invece della procedura intergovernativa rende più democratica la governance. Il Parlamento sta solamente chiedendo il minimo di quanto sarebbe auspicabile, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio degli Stati membri.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Dissentiamo in merito alla proposta di bilancio per il 2011. Al contempo non condividiamo nemmeno le giustificazioni che sta adducendo la maggioranza del Parlamento per impedire l'adozione del bilancio 2011.

Il dibattito che è stato avviato sulle prospettive finanziarie dopo il 2013 è già stato compromesso per una serie di ragioni, tra cui l'incapacità delle istituzioni europee – Parlamento e Consiglio – di giungere ad un accordo nei negoziati sul bilancio 2011, i tentativi perpetrati di diversi Stati membri per ridurre forzatamente i fondi per i bilanci futuri, l'insistenza di altri sulle nuove risorse proprie dell'UE, suggerendo la creazione di tasse europee oltre alle tasse nazionali da far gravare sui cittadini e non sul settore finanziario, l'insistenza sulla piena attuazione del trattato di Lisbona ed il rifiuto dei paesi ricchi di aumentare considerevolmente i propri contributi al bilancio UE.

Tuttavia, pur riconoscendo che a nuove responsabilità corrisponde anche la necessità di nuove risorse, non possiamo sostenere una risoluzione che non presuppone una distribuzione dei fondi UE per sostenere la coesione economica e sociale, per affrontare la crisi e promuovere l'occupazione e i diritti del lavoro e che rafforza invece il militarismo e la repressione.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della risoluzione sui negoziati in corso sul bilancio 2011, poiché è essenziale che il Parlamento si assuma il suo nuovo e legittimo ruolo nella definizione del bilancio dell'Unione europea ora che è entrato in vigore il trattato di Lisbona. Visto che in comitato di conciliazione non è stato possibile raggiungere un accordo, nonostante gli sforzi profusi dal Parlamento, abbiamo riformulato una serie di punti su cui il Consiglio deve mostrarsi disponibile. In primo luogo, è necessaria una maggiore flessibilità fino alla fine del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2007-2013 per poter tenere conto delle nuove competenze conferite all'Unione europea. In secondo luogo, il Parlamento deve essere pienamente coinvolto nei negoziati sul quadro finanziario dopo il 2013. Infine, quando la Commissione avrà acconsentito a presentare proposte dettagliate sulla creazione delle risorse proprie per l'UE, vogliamo che il Consiglio si impegni ad includere appieno l'Assemblea nelle discussioni in merito a siffatte proposte. Questa risoluzione invierà un messaggio forte al Consiglio europeo che si riunirà il 16 e il 17 dicembre 2010.

 
  
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  Anna Hedh (S&D), per iscritto. (SV) Mi dispiace che i negoziati sinora non siano riusciti a conseguire un risultato. Benché il Parlamento europeo si sia adoperato molto in questo ambito – ha accettato la proposta di bilancio per il 2011 del Consiglio, ha offerto una soluzione su progetti finanziari difficili e di grande entità, come il progetto di ricerca sulla fusione ITER, e ha promesso di approvare in tempi brevi l'emendamento n. 10 al bilancio, in virtù del quale gli Stati membri riavranno indietro oltre 600 milioni di euro – una minoranza di Stati membri, compresa la Svezia, ha bloccato i negoziati.

La risoluzione del Palamento sottolinea che i negoziati dovrebbero continuare, ma indica altresì delle condizioni per il futuro.

Affinché l'Unione possa evitare altre crisi di bilancio e riesca a finanziare le principali priorità come la politica sul clima e la strategia 2020, è necessaria una maggiore flessibilità nel bilancio negli anni a venire. Ad ogni modo, non crediamo che il livello complessivo del bilancio UE debba essere aumentato. Per evitare il rischio di veto del Parlamento, qualora potesse solamente adottare una posizione sul pacchetto tra Stati membri una volta terminati i negoziati, all'Assemblea deve essere dato modo di partecipare ai negoziati preparatori sul prossimo bilancio a lungo termine dell'Unione dopo il 2013 e nei dibattiti sul finanziamento futuro del quadro finanziario, senza per questo dover adottare una posizione sul tema delle risorse proprie. In fine desidero enfatizzare che questi requisiti permangono entro le competenze conferite al Parlamento dal trattato di Lisbona. Anche se mi son opposta all'introduzione di questo trattato, ora non abbiamo altra scelta se non quella di accettare le conseguenze della ratifica, agendo ai sensi delle nuove disposizioni.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) Il bilancio dell'Unione europea forma il quadro entro cui gli Stati membri possono agire. In particolare durante periodi di incertezza economica è importante poter contare sugli impegni presi in questo ambito. I cittadini devono poter contare sull'effettiva erogazione dei finanziamenti. Mi riferisco, in particolare, agli agricoltori. Il fatto che vi siano fondi inutilizzati nel comparto agricolo non significa che tali fondi non fossero necessari. Vuole semplicemente dire che sono stati gestiti oculatamente. Gli agricoltori non devono essere puniti mediante lo storno dei fondi verso altri settori. L'agricoltura deve essere salvaguardata sul piano finanziario negli interessi dei cittadini dell'Unione. Deve essere raggiunto un compromesso quanto prima possibile in modo da poter approvare il bilancio 2011. Solo dopo siffatta approvazione, potrà essere salvaguardato il finanziamento dell'agricoltura, evitando strozzature a livello nazionale.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della risoluzione sul bilancio, ma mi sono astenuto sull'emendamento 1b, che verte sulle risorse proprie. Sono del tutto convinto che l'Unione debba ricercare nuove fonti di finanziamento, ma non credo che a questo scopo si debbano ricercare impegni prematuri da parte del Consiglio. Dobbiamo tenere una discussione aperta in merito a tutte le opzioni possibili.

 
  
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  Barbara Matera (PPE), per iscritto. − Il mancato accordo, entro fine anno, tra Parlamento e Consiglio sul bilancio 2011 può comportare importanti conseguenze sul finanziamento dei programmi comunitari, implicare gravi ritardi nella creazione degli organismi di supervisione e inficiare il funzionamento di strumenti di emergenza quali il Fondo di adeguamento alla globalizzazione e il Fondo di solidarietà.

Le future negoziazioni devono tuttavia vedere questo Parlamento agire con fermezza. Quanto è stato richiesto al Consiglio rappresenta, infatti, il semplice rispetto delle prerogative del trattato di Lisbona. Il Parlamento non ha fatto altro che difendere il bilancio dell'UE da tagli sconsiderati che avrebbero ricadute sul'occupazione e vedrebbero i nostri cittadini pagare lo scotto di una posizione di blocco da parte di alcuni Stati membri. Auspico un alto senso di responsabilità in occasione dei prossimi negoziati, al fine di non aggiungere a una crisi economica in atto anche una crisi istituzionale.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il trattato di Lisbona ha conferito nuove responsabilità al Parlamento, che ovviamente implicano un aumento dei costi. Per soddisfare questo tipo di esigenze, serve un bilancio 2011 leggermente più cospicuo di quello del 2010, in modo che il Parlamento possa adempiere al proprio ruolo in maniera adeguata. Nessuno ci guadagna dallo stallo che si è creato nei negoziati con il Consiglio e, nonostante la crisi che sta investendo l'Europa, è necessario trovare un terreno comune affinché l'Unione possa centrare gli obiettivi enunciati nella strategia UE 2020.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Soprattutto in tempi di crisi, quando ai cittadini viene chiesto di tirare la cinghia ed accettare tagli massicci nella sfera sociale e della famiglia, bisogna rigorosamente risparmiare anche nel bilancio dell'UE. Invece, è previsto l'aumento di un buon 3 per cento. Alcuni progetti sono stati semplicemente congelati, quindi, nel prossimo futuro, ci si può tranquillamente aspettare una spesa immediata esorbitante. Sarebbero numerose le opportunità per risparmiare, ad esempio, in relazione alle due sedi delle sedute plenarie oppure mettendo in atto un'efficace lotta contro le frodi a livello comunitario e recuperando i fondi che sono stati stanziati in maniera non corretta. Dobbiamo inoltre chiederci se tutti i progetti prestigiosi devono davvero continuare. Alcuni certamente sono improntati al futuro, ma per altri sussistono dei dubbi in merito ai motivi che vi stanno alla base o all'approccio utilizzato. Non posso quindi assolutamente sostenere il bilancio per il 2011.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) I colloqui sul bilancio sono falliti a causa del conflitto tra stabilità e adattabilità del bilancio. I rappresentanti del Parlamento europeo chiedono quindi un'ampia flessibilità di bilancio, ma senza considerare gli interessi dei paesi che sono contribuenti netti. Sono, però, propri questi Stati che finanziano l'Unione europea, che hanno la responsabilità di riavviare il motore dell'economia dopo la crisi e che stanno salvando paesi con elevati deficit di bilancio e lo stesso euro. È pertanto giustificabile che essi vogliano mantenere le risorse obbligatorie in modo che il saldo netto non possa essere modificato retroattivamente sulla scia del momento, provocando uno spreco di denaro. Chi investe e conferisce fondi deve avere la garanzia che vi sia la massima stabilità. Allo stesso modo l'atteggiamento critico sulla tassazione UE non ha nulla a che vedere con l'apparente "mancanza di solidarietà". È semplicemente dovuto al fatto che la maggioranza degli Stati membri si oppone chiaramente, sospendendo la ratifica nei parlamenti nazionali in nome della sussidiarietà. L'emancipazione del Parlamento europeo che viene spesso citata in questo contesto appare più come un'emancipazione molto disturbante per i cittadini europei. Pertanto ho votato contro questa proposta di risoluzione.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato, come la stragrande maggioranza di voi, a favore del progetto di bilancio, in quanto ritengo che il Parlamento non può non essere preso in considerazione. E questo non solo da un punto di vista simbolico, per il fatto che il Parlamento rappresenta 500 milioni di cittadini europei, ma soprattutto da un punto di vista "costituzionale", dal momento che il trattato richiede il consenso del Parlamento europeo stesso per l'adozione del futuro Quadro finanziario pluriennale (QFP).

L'aumento che il Parlamento richiede non è un capriccio ma è volto al bene dei cittadini dell'Unione europea. Ne sono testimonianza i forti benefici apportati dai fondi e dalle iniziative attuate a livello comunitario. Certamente concordo però con chi ritiene importante forse pensare a una ripartizione diversa per evitare che vi siano stati meramente contributori netti e che ottengono molti meno benefici. Mi auguro che, in fase di concertazione e di conciliazione, tutte queste esigenze possano essere prese in considerazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Visto che la posizione del Consiglio sulla proposta di bilancio ha limitato gli stanziamenti, imponendo un tetto del 2,91 per cento all'aumento rispetto al bilancio 2010, e considerando che il 15 novembre 2010 il comitato di conciliazione Parlamento-Consiglio non è riuscito a raggiungere un accordo su un testo congiunto sul bilancio 2011, ho votato a favore della risoluzione, poiché condivido le condizioni che il Parlamento ha imposto al Consiglio e alla Commissione per favorire l'accordo sul bilancio 2011.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Mi sono astenuto nella votazione sulla risoluzione relativa al bilancio 2011 e al finanziamento futuro delle politiche europee, anche se condividevo tutti gli emendamenti volti a migliorare la posizione del Parlamento nella discussione e in tema di controllo sulle decisioni di bilancio. In realtà, il testo di compromesso rappresenta il ritorno alle posizioni precedenti assunte dall'Assemblea, ossia quelle che hanno provocato la rottura nell'ambito della prima conciliazione con il Consiglio.

Nella nuova forma di rifusione, la posizione degli Stati membri non garantisce il punto fondamentale in questo negoziato, ossia non arrivare nuovamente al quadro restrittivo attualmente imposto ai paesi più ricchi dell'UE per il 2012 e il 2013. D'altro canto, la posizione del Parlamento non garantisce lo svolgimento di una conferenza democratica nel quadro di un dibattito, con la partecipazione dei parlamenti nazionali, in merito alle nuove risorse destinate a finanziare le nuove prospettive finanziarie. Astenendomi, ho voluto sostenere la posizione dell'Assemblea, che è critica rispetto alle posizioni dei governi che vogliono maggiori poteri europei con meno soldi, ma non sostengo gli accordi scadenti o la mediocrità nel bilancio.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Questa risoluzione è un chiaro segnale dell'impegno del Parlamento a superare l'attuale stallo sul bilancio per il 2011.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Per quanto concerne il bilancio definitivo per il 2011, il Consiglio ha indicato che l'aumento del livello delle riserve di pagamento non deve superare il 2,91 per cento rispetto al bilancio 2010. Soprattutto per gli Stati membri che hanno votato contro il bilancio indicato nella posizione di maggioranza del Consiglio in agosto, questa era una linea invalicabile. Il Parlamento nei triloghi sul bilancio 2011 ha compiuto un passo in avanti, mostrandosi disposto ad accettare siffatta posizione, dopo aver avuto delle rassicurazioni in merito agli impegni supplementari che ci collocano al di sopra del tetto massimo mediante lo strumento di flessibilità sia al titolo 1A (competitività) e al titolo 4 (azione esterna) in modo da poter coprire le priorità politiche più ampie incluse nel titolo 1° (segnatamente l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita) e le esigenze supplementari del titolo 4 (segnatamente la Palestina). Inoltre, per quanto attiene al programma ITER (dove è necessaria l'unanimità in Consiglio) il compromesso consentirebbe di avere un ulteriore importo di 1,4 miliardi per gli esercizi 2012 e 2013, usando i margini inutilizzati nei vari titoli del 2010 e – ma questa parte è ancora in discussione, visto che era collegata al potenziamento dei meccanismi di flessibilità ai sensi del regolamento sul quadro finanziario pluriennale – il ridispiegamento del settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo.

 
  
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  Peter Skinner (S&D), per iscritto. (EN) Mi sono astenuto sul testo originale del paragrafo 1(6), perché l'idea di chiedere nuove proposte sulle risorse proprie mediante azioni fiscali e altri programmi come il sistema di scambio delle emissioni costituisce il presupposto per introdurre una fiscalità comunitaria. Questo voto è in linea con il mio atteggiamento e con l'approccio che avevo assunto sulle proposte in merito al sistema fiscale UE.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. (EN) Questa risoluzione invia un segnale chiaro alle altre istituzioni, affermando che il Parlamento europeo è disposto ad avviare negoziati seri per superare l'attuale stallo sul bilancio e per definire il bilancio per il 2011 quanto prima possibile. Raggiungendo un accordo, si eviterebbero i ritardi nel pagamento unico per l'agricoltura e si scongiurerebbero le conseguenze sui Fondi strutturali. I deputati europei, in quanto unici rappresentanti eletti a suffragio universale nell'UE, devono partecipare alla definizione della prossima prospettiva finanziaria per conseguire un pacchetto il più adeguato possibile per i cittadini britannici. Devono essere presi dei provvedimenti per rendere più flessibile il bilancio dell'Unione. In questo modo, l'Unione potrebbe attivarsi più rapidamente dinanzi alle crisi e potrebbe finanziare necessità impreviste. La risoluzione chiede inoltre che si tenga un dibattito, che è estremamente necessario, in merito a nuove modalità per finanziare l'UE, riducendo il costo di questa Unione per i cittadini britannici.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto.(DE) Ho votato a favore della risoluzione sui negoziati in corso sul bilancio 2011, perché sinora dai negoziati su questo tema purtroppo si denota palesemente che il Consiglio negli ultimi 12 mesi non ha trovato il tempo di leggere e di capire il trattato di Lisbona. Insistiamo essenzialmente sui diritti e sulle procedure che si basano rigorosamente sui dettami di Lisbona – nulla di più e nulla di meno. È stato il Consiglio ad insistere sulla necessità di varare un nuovo trattato ed ora deve rispettarlo senza permettere che le differenze all'interno dei suoi ranghi possano influire negativamente sui cittadini d'Europa.

In questo contesto apprezzo la grande determinazione di cui ha dato prova il Parlamento affinché il bilancio 2011 sia definito quanto prima possibile ed in ogni caso entro la fine dell'anno. Inoltre occorre flessibilità. Servono urgentemente anche delle nuove autorità di vigilanza finanziaria, come emerge quotidianamente nella situazione che si è venuta a creare in Irlanda.

 
  
  

Relazione Saïfi (A7-0312/2010)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) L’inserimento della clausola in materia di diritti umani o ancora l’applicazione delle norme sociali ed ambientali nei negoziati accordi commerciali sono principi che l’Unione europea ha il dovere di garantire. Approvo quindi l’obiettivo dell’Unione europea, che sottolinea la necessità di esercitare pressioni all’interno delle organizzazioni internazionali, in particolare l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), nonché promuovere la creazione di una nuova organizzazione dell’ambiente per sostenere il commercio equo.

L’Europa ha il dovere di rispettare rigorosi standard sociali e ambientali, ma al contempo deve poter esigere che anche i paesi partner facciano altrettanto e i progressi compiuti nell’ambito degli accordi di libero scambio dimostrano che queste è possibile. Rimane tuttavia fondamentale un chiaro quadro di standard all’interno delle organizzazioni internazionali, che può essere realizzato attraverso un rafforzamento del dialogo tra le organizzazioni stesse, soprattutto per quanto riguarda l’applicazione obbligatoria di dette norme nell’ambito degli accordi commerciali, i meccanismi di sorveglianza e gli incentivi necessari, nonché il rafforzamento degli organismi di arbitrato. Grazie agli strumenti del sistema di preferenze generalizzate (SPG), che consentono all’Unione europea di concedere preferenze commerciali unilaterali, l’UE dovrebbe poter individuare meglio i beneficiari, tenendo conto del loro livello di sviluppo e assicurare una verifica degli impegni assunti da tali paesi.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ogni anno, l’Unione europea sottoscrive una serie di accordi commerciali, in linea con le competenze in materia di affari esteri sancite nei trattati e ora estese anche all’ambito dei diritti dell’uomo (la Carta dei diritti fondamentali è ora legislazione primaria) e dello sviluppo sostenibile (uno dei cinque obiettivi chiave della strategia Europa 2020). Ho ritenuto fondamentale esprimere il mio sostegno alla relazione della collega, onorevole Saïfi, volta a garantire una maggiore risonanza di tali questioni all’interno degli accordi commerciali dell’Unione europea. La relazione propone una maggiore collaborazione tra le organizzazioni internazionali attuali, nonché l’introduzione di norme relative alle problematiche in questione e presenta altresì nuove idee, che mirano alla creazione di un nuovo organismo internazionale, l’Organizzazione mondiale dell’ambiente, a cui rivolgersi nei casi di dumping ambientale. Questa proposta si ricollega all’idea di istituire un “meccanismo d’inclusione del carbonio”, complementare al sistema di vendita all’asta delle quote di CO2; questo duplice approccio permetterebbe di prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di CO2 verso paesi terzi.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Accolgo con favore la relazione Saïfi. Le distorsioni della concorrenza e i rischi di dumping ambientale e sociale sono sempre più frequenti nell’ambito degli scambi internazionali, a danno delle imprese e dei lavoratori dell'Unione europea, i quali, diversamente dai loro partner commerciali non europei, sono tenuti al rispetto di norme sociali, ambientali e fiscali molto severe. Gli accordi bilaterali e multilaterali conclusi dall’Unione europea devono vincolare tutte le parti, e non solo le aziende europee, al rispetto di tali norme. È necessario che gli accordi commerciali dell'Unione portino ad elevati standard di trasparenza e severe norme in materia di appalti pubblici, al fine di combattere la fuga illecita di capitali. Questi obiettivi richiedono la collaborazione attiva dell’UE in materia commerciale con i partner internazionali, ovvero l’Organizzazione mondiale del commercio, l’Organizzazione internazionale del lavoro e le Nazioni Unite.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente relazione poiché ritengo indispensabile agire a favore di un giusto equilibrio tra diritto commerciale e diritti fondamentali dell’uomo e per rafforzare il dialogo fra le principali organizzazioni internazionali, in particolare fra l’Organizzazione internazionale del lavoro e l’Organizzazione mondiale del commercio. Inoltre, l’inclusione dei diritti umani e delle norme sociali e ambientali negli accordi commerciali può apportare valore aggiunto a tali accordi internazionali, consentendo un maggiore sostegno alla stabilità politica e sociale e creando così un clima più favorevole agli scambi. Non bisogna infatti dimenticare che in Europa le società industriali e commerciali europee sono soggette al rispetto rigoroso di norme sociali e ambientali molto severe.

Condivido la posizione del Parlamento europeo, secondo il quale, se l’Unione europea è tenuta al rispetto di norme vincolanti, deve anche poter esigere che i suoi partner commerciali, in particolare i paesi emergenti, facciano altrettanto e deve promuovere requisiti di qualità e sostenibilità, segnatamente per i prodotti alimentari che entrano nel suo territorio, al fine di tutelare un contesto commerciale leale ed equo. Desidero infine insistere sulla necessità di garantire che tutti i futuri accordi commerciali prevedano il divieto dello sfruttamento del lavoro minorile, in particolare per l'estrazione e la lavorazione delle pietre naturali, allo scopo di promuovere i diritti fondamentali dell’uomo e le politiche sociali in ambito commerciale internazionale.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Sono convinta che norme sociali e ambientali non siano incompatibili con gli interessi commerciali dell’Unione europea e dei suoi partner. La cooperazione tra organizzazioni internazionali deve essere potenziata in vista di un accordo globale sul clima, in particolare a livello dei “meccanismi d’inclusione del carbonio” per il sistema europeo di delle scambio delle quote di emissione, fermando al contempo le attuali rilocalizzazioni. Ritengo inoltre che l’Unione europea abbia il dovere di operare in prima linea per promuovere accordi di libero scambio che includano disposizioni relative sia ai diritti dell’uomo sia allo sviluppo sostenibile.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Riconosco la complessità della questione all’ordine del giorno, ovvero l’inclusione dei diritti umani e delle norme sociali ed ambientali negli accordi commerciali. Sono consapevole dello squilibrio attualmente esistente tra le regole del commercio internazionale e le altre norme del diritto internazionale. Ritengo che l’Unione europea abbia un ruolo determinante nella ricerca di una nuova governance mondiale e debba pertanto favorire la coerenza delle politiche perseguite dalle istituzioni internazionali.

L’Unione europea deve, a mio avviso, trovare un equilibrio tra un approccio commerciale restrittivo e un’impostazione liberista, nonché un compromesso tra la tutela dei propri interessi commerciali e la necessità di rispettare le norme e i valori che le sono propri. È cruciale incoraggiare il dialogo e la cooperazione con le organizzazioni internazionali, specialmente l’Organizzazione mondiale del commercio e l’Organizzazione internazionale del lavoro. Il trattato di Lisbona ha introdotto modifiche alle politiche commerciali che riguardano direttamente alcune delle proposte illustrate nella presente relazione e per questo motivo mi esprimo a favore del pacchetto di misure in essa contenute.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Sono favorevole alla relazione Saïfi, che suggerisce il concetto di commercio di ampio respiro e non fine a se stesso. In quest’ottica, la nostra strategia commerciale futura dovrebbe diventare un ulteriore strumento per promuovere dei valori e degli interessi europei. Le disposizioni che regolano lo sviluppo sostenibile rappresentano un beneficio per tutte le parti coinvolte e l’inclusione negli accordi commerciali di norme sociali e ambientali contribuisce alla regolamentazione della globalizzazione. Scegliere di ignorarle significherebbe adottare un approccio poco lungimirante e controproduttivo, non soltanto contrario ai principi che guidano la nostra politica estera, ma anche dannoso per il modello sociale europeo. Le relazioni commerciali bilaterali dell’Unione europea con terzi diventano cruciali per i diritti dell’uomo e le norme sociali ed ambientali, soprattutto se nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) si prospettano scarse possibilità di progresso. È comunque nostro dovere continuare ad esercitare pressioni affinché sia accordato all’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) lo status di osservatore presso l’OMC ed il diritto di prendere parola durante le sue conferenze ministeriali; si propone inoltre l'istituzione, in seno all’OMC, di un comitato per il commercio ed il lavoro dignitoso. Sebbene, infatti, l’inclusione di norme vincolanti sui diritti dell’uomo all’interno degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sia una pratica lodevole, lo scarso livello di controllo e attuazione la rendono virtualmente inutile. Per questo sarà necessario considerare tale problematica in tutti gli accordi futuri.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Gli accordi commerciali internazionali dovrebbero rappresentare per l’Unione europea un’opportunità per incoraggiare i propri partner a conformarsi alle attuali norme in materia sociale ed ambientale. La presente relazione è stata adottata a vasta maggioranza e contiene proposte che sanciscono che i beni importati rispettino gli stessi requisiti sociali ed ambientali imposti ai prodotti europei. Si propone inoltre la possibilità di fare ricorso all’Organizzazione internazionale del lavoro per i casi di dumping sociale o ambientale, o all’Organizzazione mondiale dell’ambiente, che deve essere istituita al più presto. I negoziati per accordi di libero scambio devono includere anche le norme relative ai diritti umani e agli standard sociali, economici ed ambientali. In caso contrario, lo svantaggio competitivo così creatosi comprometterà la competitività dell’Unione europea, con esposta ai prezzi più bassi dei prodotti d’importazione di scarsa qualità. È in gioco il futuro dell’agricoltura e dell’industria europee.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della presente relazione sui diritti umani e le norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali, poiché le politiche commerciali devono essere sempre in linea con gli obiettivi dell’Unione e contribuire alla tutela del modello sociale e ambientale europeo. È fondamentale per l’Unione assicurare l’applicazione di determinati standard sociali ed ambientali nell’ambito degli accordi commerciali internazionali.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il dibattito circa l’opportunità o meno di intrattenere rapporti commerciali con partner che dimostrano uno scarso rispetto dei diritti umani non è certo una novità in materia di relazioni internazionali e potrebbe protrarsi all’infinito. Ritengo che l’Unione europea debba fare del suo meglio per garantire la maggiore accettazione possibile degli standard minimi e coinvolgere quei paesi con cui intrattiene dei rapporti commerciali nell’impegno globale di rispetto di tali diritti. A livello economico e diplomatico, è fondamentale sottolineare l’importanza e la centralità della questione al momento di instaurare rapporti commerciali duraturi; sappiamo però bene che l’Unione europea non è nella posizione di imporre standard o avanzare richieste di questo tipo. Spesso questi standard vengono formalmente rispettati, ma siamo comunque consapevoli che questo rispetto è incostante nel caso di alcuni partner, tra cui i suoi principali fornitori di energia. Detto questo, desidero ribadire l’importanza di lottare costantemente in difesa dei diritti umani, affinché diventino una condizione imprescindibile per la creazione di solide relazioni commerciali.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) L’inclusione della clausola in materia di diritti umani, e l’applicazione delle norme sociali ed ambientali nei negoziati commerciali sono problemi complessi che dividono la comunità internazionale. Da un lato, i paesi del Nord denunciano il dumping sociale e ambientale praticato dai paesi emergenti, che costituisce una distorsione della concorrenza commerciale negli scambi commerciali; dall’altro, i paesi del Sud temono che, attraverso l’applicazione di tali norme, quelli del Nord vogliano compromettere il loro sviluppo economico e ricorrano a una forma di protezionismo dissimulato.

Mi sono espresso a favore della presente relazione in quanto ritengo che le politiche commerciali debbano costituire uno strumento al servizio degli obiettivi dell’Unione europea e che sia quindi cruciale considerare il commercio non un fine in sé, ma uno strumento che permette di promuovere gli interessi commerciali europei, nonché uno scambio equo, capace di generalizzare l'inclusione e l'attuazione effettiva di norme sociali e ambientali con tutti i partner commerciali dell'Unione.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Mi sono espressa a favore della presente relazione sull’inclusione dei diritti umani e delle norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali, in quanto è fondamentale che la politica commerciale europea proceda di pari passo con i suoi obiettivi politici. Il testo, notevolmente migliorato dal gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, afferma chiaramente che il commercio non può più essere considerato come un fine in sé, ma che d’ora in poi tutti gli accordi dovranno contenere disposizioni di natura sociale ed ambientale. Queste ultime dovranno essere vincolanti e prevedere la possibilità di ricorrere all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo in caso di violazione.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Concordo con la presente relazione poiché non fatto dovremmo dimenticare che l’industria e le imprese europee sono vincolate da severe norme sociali e ambientali. Se l'Unione europea rispetta norme vincolanti, deve anche poter esigere che i suoi partner commerciali, in particolare i paesi emergenti, facciano altrettanto e deve promuovere requisiti di qualità e sostenibilità, segnatamente per i prodotti alimentari che entrano nel suo territorio, al fine di tutelare un contesto commerciale leale ed equo. È quindi fondamentale migliorare l’accesso ai beni ed alle tecnologie verdi per raggiungere gli obiettivi di uno sviluppo sostenibile; si invita inoltre a giungere ad una rapida conclusione dei negoziati sulla riduzione o l’eliminazione delle barriere tariffarie e non tariffarie per i beni e i servizi ambientali, onde promuovere nuove forme di politiche dell'occupazione e la creazione di posti di lavoro che rispondano alle norme OIL sul lavoro dignitoso, nonché le opportunità di crescita per le industrie e le piccole medie imprese europee.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. (PL) Il raggiungimento di un equilibrio tra interessi economici e sociali è un traguardo tanto cruciale quanto arduo da raggiungere. La cooperazione sul piano economico, che va di pari passo con il rispetto delle norme base della democrazia ed il benessere dei cittadini, è il fondamento dell’Unione europea e per questo è fondamentale introdurre delle norme uniformi in materia di diritti umani e in campo sociale ed ambientale negli accordi commerciali internazionali.

L’adozione di tali norme nella politica commerciale europea avrebbe riscontri positivi sulla percezione che ne hanno i cittadini europei e migliorerebbe le relazioni dell’UE con i suoi partner. La cooperazione internazionale in quest’ambito è dunque fondamentale e il Parlamento europeo deve sostenerla con tutti i mezzi a disposizione.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della presente relazione, poiché le norme in materia di diritti umani e in campo sociale e ambientale devono trovare applicazione non soltanto in Europa, ma in tutti i paesi del mondo. I partner commerciali europei rientrano nella sfera di influenza dell’Unione e non possiamo sottrarci alle responsabilità che questo comporta. La presente relazione indica la giusta direzione verso un commercio equo, anche sia equo anche in ambito sociale ed ambientale. Se riusciamo a migliorare in queste aree, allora è nostro dovere impiegare tutti i mezzi a nostra disposizione per farlo.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con grande favore le proposte della presente relazione, che individua nella politica commerciale europea molto più che uno strumento al servizio del massimo guadagno economico. Gli accordi commerciali conclusi dall’Unione europea devono prevedere rigide disposizioni sociali, ambientali e in materia di diritti umani.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) La presente relazione sottolinea una serie di questioni molto attuali, quali la revisione periodica del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani sul rispetto delle disposizioni legate ai diritti umani negli accordi commerciali internazionali, la capacità dell’OIL di ricorrere all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, il coinvolgimento dei parlamenti nazionali e dei cittadini dei paesi terzi nelle fasi negoziali e la lotta alle moderne forme di schiavitù.

È positivo che lo stesso Parlamento che appoggiò il colpo di stato in Honduras e ha sottoscritto accordi commerciali con i leader del golpe dimostri oggi una tale attenzione per i diritti umani.. Lasciando da parte i miei dubbi circa il reale impatto delle affermazioni sui diritti umani, la volontà espressa nella relazione di introdurre accordi di libero scambio ovunque, nonché la promozione della compravendita del diritto ad inquinare che chiamiamo “mercato del carbonio”, sono motivi sufficienti per non votare a favore.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Gli Stati membri dell’Unione europea e i loro operatori economici rispettano rigorosamente le norme sociali e ambientali e le disposizioni circa i diritti umani; è quindi perfettamente legittimo esigere che i nostri partner commerciali all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio facciano altrettanto, al fine di creare un contesto commerciale più equo e corretto. Siamo consapevoli che dette norme non sono sempre facili da rispettare, in particolare da parte dei paesi emergenti. L’Unione europea ha comunque il dovere di impegnarsi a questo fine e, assieme al Parlamento, deve garantire il rispetto della vita umana e affermare ribadire che la dignità del lavoro è uguale ovunque e per tutti e che il valore dei diritti ambientali e sociali, inclusi idiritti sindacali e la lotta al lavoro minorile, ha portata universale.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato a favore della presente relazione in quanto dichiara esplicitamente la necessità da parte dell’Unione europea di contribuire attivamente allo sviluppo sostenibile a livello mondiale, alla solidarietà tra i popoli, al commercio equo e all’eliminazione della povertà. Sostengo inoltre l’importanza e la necessità, come precisato nella risoluzione, di rendere vincolante il rispetto dei diritti umani negli accordi commerciali internazionali, con un costante e rigoroso controllo. A questo proposito, la proposta di accordare all’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) lo status di osservatore ufficiale presso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è, a mio avviso, estremamente positiva, in particolare con la creazione di un comitato per il commercio ed il lavoro dignitoso all’interno dell’OIL a supervisione degli accordi commerciali in collaborazione con l’OIL e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Un’altra ragione alla base del mio voto è la chiarezza con cui si afferma la necessità di creare una “vera e propria Organizzazione mondiale dell’ambiente”, nonché la ferma posizione a difesa dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile e del rispetto dell’ambiente, cui viene attribuita la priorità rispetto agli attuali modelli commerciali internazionali.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Siglare accordi commerciali con partner al suo stesso livello è senza dubbio nell’interesse dell’Unione europea; questo richiede però una maggiore attenzione ai diritti umani e alle norme sociali ed ambientali, se l’Unione europea rispetta tali norme, deve anche poter esigere che i suoi partner commerciali facciano altrettanto. In questi ambiti, tuttavia, l’Unione si scontra con le diverse opinioni dei paesi con cui ha concluso accordi commerciali bilaterali. Mi sono astenuto dalla votazione perché non sono certo della reale possibilità di attuare quanto proposto dal relatore.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Cari colleghi, la questione dei Diritti umani e l'applicazione delle norme sociali e ambientali nei negoziati commerciali sono problemi alquanto complessi e di estrema difficoltà. Pertanto, è fondamentale che la clausola sociale compaia sempre più di frequente negli accordi bilaterali. Nonostante sia evidente l'attuale squilibrio fra le regole del commercio internazionale e le altre norme del diritto internazionale, ritengo di fondamentale importanza votare a favore della relazione della collega Saïfi, affinché si possano coltivare nuovi percorsi di riflessione per un reale coordinamento tra le organizzazioni internazionali. Dato il ruolo preponderante dell'UE nella ricerca di una nuova Governance mondiale, è mio parere favorire la coerenza delle politiche perseguite dalle istituzioni internazionali. Ho votato a favore della relazione perché si avvii e si persegua una nuova politica commerciale basata sulla fermezza e sul dialogo, considerando le norme in materia ambientale per conseguire obiettivi "legittimi".

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Mi sono espressa a favore della presente relazione sui diritti umani e le norme sociali ed ambientali negli accordi commerciali internazionali, perchè sono favorevole all’inserimento della clausola in materia di diritti umani e all’applicazione delle norme ambientali e sociali nei negoziati commerciali.

Sussiste un clima di reale tensione: da un lato i paesi del Nord denunciano il dumping sociale e ambientale praticato dai paesi emergenti, dall’altro i paesi del Sud temono che, attraverso l'applicazione di tali norme, quelli del Nord vogliano compromettere il loro sviluppo economico e ricorrano a una forma di protezionismo dissimulato. Tale conflitto di interessi non deve impedire all’Unione europea di adottare una approccio positivo e nel contempo giuridicamente vincolante nell’ambito dei negoziati, che preveda disposizioni in materia di sviluppo sostenibile, in particolare per quanto riguarda gli accordi bilaterali.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Attraverso le proprie politiche, ed in particolare la politica commerciale, l’Unione europea è tenuta a tutelare i propri interessi commerciali, nel rispetto dei propri valori e standard, ed garantendo che i suoi partner facciano altrettanto. Questa considerazione deve servire alle varie istituzioni europee per promuovere e condurre una nuova e ambiziosa politica commerciale basata su fermezza e dialogo. Non dobbiamo dimenticare che in Europa industrie ed imprese europee devono sottostare a severe norme di natura sociale ed ambientale. Se l'Unione europea rispetta norme vincolanti, deve anche poter esigere che i suoi partner commerciali, in particolare i paesi emergenti, facciano altrettanto e deve promuovere requisiti di qualità e sostenibilità, segnatamente per i prodotti alimentari che entrano nel suo territorio, al fine di tutelare un contesto commerciale leale ed equo.

In tal senso, le norme rigorose del mercato unico europeo in materia di salute, sicurezza, ambiente e protezione dei lavoratori e dei consumatori rappresentano un modello europeo specifico, che deve essere fonte di ispirazione a livello internazionale e nelle sedi multilaterali, ed avere altresì un riscontro nei negoziati degli accordi commerciali bilaterali in corso.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della presente relazione in quanto ritengo che l’Unione europea svolga un ruolo primario nell’elaborazione di una nuova governance economica mondiale e per questo debba incoraggiare le istituzioni internazionali ad adottare politiche coerenti tra loro. Attualmente si constata uno squilibrio crescente tra le regole del commercio internazionale e le altre norme del diritto internazionale e, in quanto attori principali, dobbiamo coltivare nuovi percorsi di riflessione, adoperandoci soprattutto per un reale coordinamento tra le organizzazioni internazionali.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) L’inserimento della clausola in materia di diritti umani e l’applicazione delle norme sociali e ambientali nei negoziati commerciali sono problemi complessi che dividono la comunità internazionale. Da un lato, i paesi del Nord denunciano il dumping sociale e ambientale praticato dai paesi emergenti, che costituisce una distorsione della concorrenza negli scambi commerciali; dall'altro, i paesi del Sud temono che, attraverso l'applicazione di tali norme, quelli del Nord vogliano compromettere il loro sviluppo economico e ricorrano a una forma di protezionismo dissimulato. Ben si comprende quindi l'estrema difficoltà a trattare serenamente il problema delle norme nelle sedi multilaterali, e soprattutto in seno all'Organizzazione mondiale del commercio, sebbene la clausola sociale compaia sempre più di frequente negli accordi commerciali bilaterali.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Siamo favorevoli alla relazione sui diritti umani e le norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali, perché troppo spesso i paesi terzi che non rispettano i diritti dei lavoratori e non accettano di essere parte attiva nella lotta ai cambiamenti climatici fanno concorrenza sleale alle imprese dell'UE.

Le nostre imprese devono rispettare norme severissime di tutela dei lavoratori e di elevati livelli contributivi sia salariali che fiscali, devono rispettare leggi che impongono controlli severi sulle emissioni nell'ambiente e rispettare condizioni poste dai piani regolatori locali. È evidente che le imprese concorrenti di altri paesi terzi, ad esempio Cina e India, non sono sottoposte agli stessi controlli e regole e hanno un prodotto finale nettamente concorrenziale rispetto a quello europeo.

Intervenendo in sede di commissione per l'ambiente e alla riunione interparlamentare sull'energia, ho richiesto un interessamento dell'UE presso il WTO, affinché fosse possibile per l'Europa applicare una carbon tax ai paesi che non sottoscrivono gli accordi sulla lotta ai cambiamenti climatici. Lo stesso discorso dovrebbe valere per quei paesi che producono con metodi troppo differenti da quelli europei, ad esempio con l'utilizzo di manodopera infantile, o non riconoscono i diritti ai lavoratori.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. (PL) Ho votato a favore della presente risoluzione sui diritti umani e le norme sociali e ambientali negli accordi commerciali internazionali. L’Unione europea ha una serie di valori fondanti, che comprendono anche il rispetto dei diritti umani e per questo attribuisce grande importanza a che tale rispetto abbia portata globale.

Il trattato di Lisbona ribadisce che l’azione esterna dell’Unione europea, di cui il commercio è parte integrante, deve essere guidata dagli stessi principi che hanno ispirato la sua creazione. Esprimo dunque il mio sostegno alla proposta di introdurre negli accordi internazionali siglati dall’Unione clausole giuridicamente vincolanti sui diritti umani, ma desidero sottolineare la necessità di verificarne l’attuazione, nonché all'eventuale applicazione di sanzioni economiche ai paesi che non rispettano le norme stabilite.

Ai sensi del paragrafo 15 della risoluzione, ritengo fondamentale l’inserimento in tutti gli accordi di libero scambio negoziati dall’UE di una serie di norme sociali e ambientali che includano un elenco di standard minimi che tutti i partner commerciali dell'Unione devono rispettare e un elenco di convenzioni addizionali da applicare, in modo graduale e flessibile, tenendo conto dell'evoluzione della situazione economica, sociale ed ambientale del partner interessato.

In particolare approvo la decisione di includere in tutti i futuri accordi commerciali il divieto dello sfruttamento del lavoro minorile, nonché la promozione di una maggiore collaborazione tra l’Organizzazione mondiale del commercio e i principali organismi delle Nazioni Unite in materia di diritti umani.

 
  
  

Relazione Nedelcheva (A7-0275/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Nel 2009, il Mediatore europeo ha ricevuto 3 098 denunce, 727 di esse rientranti nel suo mandato. Il Mediatore europeo, istituita dal trattato di Maastricht nel 1992, funge da intermediario tra i cittadini europei e le autorità dell’Unione europea: cittadini e imprese europee, ma anche istituzioni e chiunque viva o abbia residenza legale in uno Stato membro, hanno diritto di presentare una denuncia al Mediatore. Quest’ultimo è eletto dal Parlamento Europeo all’inizio di ogni mandato e per la sua durata, conduce indagini sui casi di cattiva amministrazione portati alla sua attenzione e presenta una relazione annuale sulla sua attività. Votando a favore di questa risoluzione, mi associo all’approvazione generale espressa dal Parlamento europeo per questo anello fondamentale della catena democratica.>

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) La figura del Mediatore europeo salvaguarda il diritto, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, di ogni cittadino “a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione”. L’entrata in vigore del trattato di Lisbona rafforza la legittimità democratica del Mediatore grazie alla sua elezione da parte del Parlamento europeo ed estende il suo mandato alla politica estera e di sicurezza comune nonché alle attività del Consiglio europeo. Ho votato a favore di questa risoluzione perché sono soddisfatto dei risultati delle attività del 2009: il tempo medio necessario per esaminare le denunce è diminuito di 4 mesi nell’anno in oggetto e oltre la metà delle procedure avviate si sono concluse con una soluzione amichevole. Questi dati dimostrano l’effettiva cooperazione in atto tra il Mediatore e le istituzioni e gli organi dell’Unione. Ritengo necessario rafforzare la fiducia dei cittadini europei nell’Unione e nelle sue istituzioni e, soprattutto, fare in modo che abbiano accesso a tutte le informazioni di cui hanno bisogno e che credano nella capacità delle istituzioni europee di difendere i loro diritti.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa relazione perché attraverso la sua attività il Mediatore sta aiutando le istituzioni europee ad adottare decisioni trasparenti e accessibili a tutti i cittadini e persone legali. L’entrata in vigore del trattato di Lisbona rafforza la legittimità democratica al Mediatore grazie alla sua elezione da parte del Parlamento europeo ed estende il suo mandato alla politica estera e di sicurezza comune nonché alle attività del Consiglio europeo. La trasparenza, l’accesso all’informazione e il rispetto del diritto alla buona amministrazione sono le condizioni preliminari indispensabili per mantenere la fiducia dei cittadini nella capacità delle istituzioni di far valere i loro diritti. I casi più comuni in materia di presunta cattiva amministrazione riguardavano la mancanza di trasparenza. È quindi essenziale garantire che i cittadini ricevano risposte rapide e concrete alle loro richieste d’informazioni, denunce e petizioni Le istituzioni e gli organismi europei devono fornire ai cittadini le informazioni di cui hanno bisogno. Accolgo con favore la collaborazione tra il Mediatore europeo e i mediatori e altre figure analoghe a livello nazionale, regionale e locale negli Stati membri.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Il ruolo dell’amministrazione europea è ampio e complesso. Ho votato a favore di questa relazione poiché sono convinta che sia fondamentale assicurare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee attraverso un’amministrazione efficiente, dotata di procedure trasparenti e di infrastrutture accessibili. Mi compiaccio dei risultati positivi ottenuti nella riduzione delle denunce e nella migliore gestione a livello europeo.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Il lavoro del Mediatore è essenziale: aumenta il livello di trasparenza, avvicina l’Unione europea ai cittadini e rafforza la loro fiducia nella capacità delle istituzioni di far valere i loro diritti. Nel 2009, il numero delle denunce è leggermente diminuito (9 per cento) rispetto al 2008: delle 335 indagini avviate, circa 318 sono state concluse. è estremamente positivo che il 56 per cento delle procedure si sia concluso con un accordo amichevole o si sia risolto, a dimostrazione della cooperazione costruttiva tra il Mediatore e le istituzioni e gli organi dell’Unione europea che, nella maggior parte dei casi, considerano le denunce presentate come un’opportunità per rimediare ad errori e per cooperare con il Mediatore nell’interesse dei cittadini.

Vorrei sottolineare l’importanza del trattato di Lisbona, che inscrive il diritto a una buona amministrazione nel novero dei diritti fondamentali emananti dalla cittadinanza europea. Sono stati inoltre inseriti due importanti emendamenti, che prevedono l’elezione del Mediatore, rafforzandone così la legittimità democratica, e l’estensione del suo mandato alla politica estera e di sicurezza comune.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. - Il resoconto dell'attività svolta dall'ufficio del Mediatore europeo nel 2009 è di grande interesse, poiché consente di valutare se e in quale misura il rapporto fra Istituzioni comunitarie e cittadini sia trasparente, agile ed efficace. Non sono poche, infatti, le materie sulle quali Parlamento e Commissione si esprimono senza ricevere altro riscontro dai cittadini se non le segnalazioni fatte al Mediatore.

Tuttavia, pur approvando la relazione, ritengo che la figura stessa del Mediatore europeo, così come le sue funzioni, vadano più ampiamente pubblicizzate, specie negli Stati membri in cui essa non è immediatamente riconoscibile. Infatti, non va mai dimenticato come un esiguo numero di denunce possa significare tanto una bassa percezione di illeciti quanto una scarsa fiducia in una possibile soluzione giudiziaria ai problemi. Una maggiore pubblicità consentirebbe, a livello metodologico, di ampliare la casistica, così da poter affermare, con maggiore confidenza, in presenza di quale delle due situazioni delineate ci si trovi.

Tuttavia, pur approvando la relazione, ritengo che la figura stessa del Mediatore europeo, così come le sue funzioni, vadano più ampiamente pubblicizzate, specie negli Stati membri in cui essa non è immediatamente riconoscibile. Infatti, non va mai dimenticato come un esiguo numero di denunce possa significare tanto una bassa percezione di illeciti quanto una scarsa fiducia in una possibile soluzione giudiziaria ai problemi. Una maggiore pubblicità consentirebbe, a livello metodologico, di ampliare la casistica, così da poter affermare, con maggiore confidenza, in presenza di quale delle due situazioni delineate ci si trovi.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nel 2009, il Mediatore ha ricevuto complessivamente 3 098 denunce rispetto alle 3 406 del 2008, con una diminuzione del 9 per cento. Le indagini avviate interessavano la Commissione (56 per cento), l’amministrazione del Parlamento europeo (11 per cento), l’Ufficio di selezione del personale delle Comunità europee (9 per cento), il Consiglio (4 per cento) e la Corte di giustizia europea (3 per cento). La fattispecie principale di presunta cattiva amministrazione consisteva nella mancanza di trasparenza, incluso il rifiuto di fornire informazioni, fattori di primo piano per la pubblica sicurezza e fiducia nell’UE. Questo dimostra la necessità di continuare a lavorare per migliorare il settore amministrativo e verso una maggiore trasparenza delle istituzioni, risultati raggiungibili attraverso gli sforzi congiunti del Mediatore e delle istituzioni, in particolare attraverso lo scambio costante di buone prassi.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che riprende e sostiene le attività svolte dal Mediatore nel 2009. Il Mediatore costituisce un importante collegamento con i cittadini e il suo lavoro contribuisce a creare fiducia nelle istituzioni europee e a renderle più accessibili.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. - L'obiettivo del Mediatore europeo è garantire che i diritti dei cittadini, sanciti dalla legislazione comunitaria, siano rispettati a tutti i livelli dell'Unione e che l'operato di istituzioni e organi comunitari sia conforme ai più alti standard amministrativi.

Ultimamente la collaborazione con la rete europea dei difensori civici gli ha consentito di proseguire nell'attuazione di un programma di miglioramento qualitativo delle informazioni fornite ai cittadini e ai potenziali denuncianti in merito ai diritti loro riconosciuti. Egli deve continuare ad adoperarsi per garantire che le esigenze dei cittadini acquisiscano un ruolo centrale in tutte le attività svolte dalle istituzioni e dagli organi dell'UE e deve, pertanto, perseguire ogni opportunità di pervenire a una soluzione amichevole delle controversie, avviando nuove indagini di propria iniziativa intese a individuare i problemi e a promuovere le buone prassi.

Ho sostenuto questa relazione perché intende incoraggiare il Mediatore a continuare a lavorare con le istituzioni per promuovere la buona amministrazione e una cultura del servizio e per intensificare gli sforzi di comunicazione, in modo che i cittadini che necessitano di ricorrere ai suoi servizi siano adeguatamente informati al riguardo, rafforzando di conseguenza la loro fiducia nei confronti dell'UE e delle sue istituzioni e migliorando la nostra stessa credibilità.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il ruolo del Mediatore riveste grande importanza poiché contribuisce ad avvicinare il pubblico alle istituzioni europee. Nel 2009, ha ricevuto complessivamente 3 098 denunce rispetto alle 3 406 del 2008, con una diminuzione del 9 per cento. Sono state avviate 335 indagini in seguito a denunce, mentre 230 denunce sono state dichiarate irricevibili.

La maggior parte delle indagini aperte dal Mediatore interessava la Commissione (56 Per cento). Sono state altresì svolte indagini relative all’amministrazione del Parlamento europeo (11 per cento), l’Ufficio di selezione del personale delle Comunità europee EPSO (9 per cento), il Consiglio (4 per cento) e la Corte di giustizia europea (3 per cento). Altre 59 indagini hanno riguardato altre 23 istituzioni e organi dell’UE (17 per cento). I dati presentati nella relazione dimostrano ampiamente l’efficienza del Mediatore e il suo peso per la trasparenza delle relazioni tra le istituzioni europee e il pubblico.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato a favore di questa risoluzione perché concordo sulla necessità di una maggiore trasparenza sulle attività della Commissione e di un avvicinamento delle istituzioni dell'Unione al popolo europeo. La relazione presentata dal Mediatore perché riflette il suo lavoro di condanna della cattiva amministrazione e in favore di una maggior trasparenza, rispondendo alle denunce dei casi di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni e degli organi europei presentate dai cittadini. Con il mio voto sostengo il lavoro del Mediatore, in collaborazione con il Parlamento, nella risoluzione di numerosi casi attraverso accordo soluzioni amichevoli. Reputo positivo l’incoraggiamento che questa relazione dà al Mediatore ad avviare indagini autonome per risolvere i problemi strutturali delle istituzioni.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Da decenni, l’Unione europea si impegna per ridurre la burocrazia e aumentare la trasparenza; spesso però questo impegno non si riscontra in Parlamento. Al contrario, ho l’impressione che il lavoro d’ufficio e la burocrazia aumentino di anno in anno. Prima delle audizioni per le ultime elezioni, la parola trasparenza era sulla bocca di tutti. Grazie all’autorità e ai diritti derivanti dalla loro posizione, i membri del Parlamento possono far sentire le loro voci; non è lo stesso invece per i cittadini europei e per questo esiste il Mediatore. Oltre un terzo delle indagini svolte dal Mediatore riguarda casi di mancanza di trasparenza e che il 56 per cento dei casi si è concluso con un accordo: questo dimostra l’importanza della figura del Mediatore. Mi astengo tuttavia dal voto, non potendo sostenere completamente quanto affermato dal relatore.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. - Cari colleghi, poiché la salvaguardia e il rispetto dei Diritti umani costituiscono un punto chiave dell'Unione Europea, è evidente che in tale ambito non può essere tralasciata l'importanza del ruolo del mediatore Europeo . Questo è il motivo per cui ho votato a favore della relazione della collega Nederlandese, in quanto il ruolo del mediatore europeo quale promotore del rispetto dei diritti dei cittadini non può essere ignorato. Questa importante figura a livello europeo si adopera per garantire che le esigenze dei cittadini acquisiscano un ruolo centrale in tutte le attività svolte dalle istituzioni e persegue ogni opportunità' di pervenire ad una soluzione amichevole delle controversie avviando nuove indagini atte ad individuare i problemi e a promuovere la buona prassi. La presenza di un mediatore, pronto e disponibile a risolvere controversie e divergenze fra i cittadini, facilita i processi di comunicazione e convivenza tra persone con idee, vissuti e progetti diversi. Questo è il punto di partenza per rafforzare e promuovere tale figura in Europa affinché' ci sia una buona promozione ed un'equa amministrazione del servizio.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) La relazione annuale concernente le attività del Mediatore europeo nel 2009 dimostra l’intensità del suo lavoro. Il nuovo quadro normativo non ha ostacolato il lavoro, pur riflettendo i cambiamenti dello status del Mediatore e l’entrata in vigore del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che prevede che anche la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e le attività del Consiglio europeo rientrino nel mandato del Mediatore. La durata media del trattamento delle denunce è passata da 13 a nove mesi. Merita di essere sottolineata la chiara volontà delle istituzioni e degli organi dell’Unione europea di considerare le denunce presentate al Mediatore come un’opportunità di rimediare ad errori e di cooperare con il Mediatore nell’interesse dei cittadini.

Ho perciò votato a favore della presente risoluzione, che approva la relazione annuale 2009 e introduce alcune linee guida per il futuro. Tra queste, vorrei evidenziare richieste quanto segue: l’invito al Mediatore ad attuare la Carta dei diritti fondamentali, ormai giuridicamente vincolante con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona; l’invito alla Commissione europea ad elaborare una legge amministrativa europea comune a tutti gli organi, le istituzioni e le agenzie dell’Unione; l’invito al Mediatore di prestare attenzione alla nuova procedura di selezione del personale dell’Unione da parte dell’Ufficio di selezione del personale delle Comunità europee (EPSO).

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché mette in luce il ruolo cruciale del Mediatore nel garantire il rispetto dei diritti dei cittadini europei e nel promuovere una cultura del servizio pubblico presso le istituzioni, basata sulle migliori prassi amministrative.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE) per iscritto. (ES) La relazione annuale concernente le attività del Mediatore europeo nel 2009 è stata presentata ufficialmente al Presidente del Parlamento europeo, onorevole Buzek, il 19 aprile 2010 e il Mediatore, onorevole Diamandouros, ha presentato la sua relazione alla commissione per le petizioni il 4 maggio 2010. La relazione offre un quadro d’insieme delle attività del Mediatore nel corso dell’ultimo anno. I risultati delle diverse indagini sono suddivisi per categorie in base alla natura dei casi di cattiva amministrazione denunciati o dell’istituzione interessata. È stato altresì presentato un Compendio di sei pagine. Questa pubblicazione rende conto dei risultati più importanti conseguiti per i denuncianti ed evidenzia le principali tematiche affrontate nel corso dell’ultimo anno.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto.(DE) Naturalmente, ho votato a favore dell’approvazione della relazione annuale concernente le attività del Mediatore europeo perché, in quanto membro della commissione per le petizioni, ho potuto apprezzare in numerose occasioni l’approccio scrupoloso e obiettivo del Mediatore. I suoi risultati sono stati eccellenti: nel 2009, il 70 per cento delle indagini si sono concluse entro un anno e di queste il 55 per cento nell’arco di soli tre mesi.

 
  
  

Relazione Paliadeli (A7-0293/2010)

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione speciale del Mediatore europeo in quanto rende conto dell’indagine di propria iniziativa condotta dal Mediatore europeo sulle regole applicate dalla Commissione alle richieste di accesso, da parte cittadini del pubblico, a documenti relativi a procedure di infrazione. Le denunce presentate dai cittadini costituiscono un'importante fonte di informazione su eventuali violazioni del diritto dell’UE. La Commissione riceve un numero particolarmente elevato di denunce da parte dei cittadini riguardanti la cattiva amministrazione ed è pertanto fondamentale che adotti misure volte a assicurare che tali richieste ricevano una risposta tempestiva. È auspicabile profondere sforzi al fine di una maggiore cooperazione con la commissione per le petizioni del Parlamento europeo e un regolare scambio di informazioni con il Mediatore. Quest’ultimo dovrebbe tenere informato il Parlamento europeo sulle indagini condotte e sui risultati ottenuti; la Commissione da parte sua dovrebbe adottare una posizione più aperta e proattiva per quanto riguarda le informazioni sulle procedure di infrazione.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – Ritengo che, per correttezza, il Parlamento avrebbe dovuto prestare ascolto anche alle ragioni del Commissario Verheugen sul merito della vicenda. Non ritengo pertanto di poter esprimere un giudizio di censura nei suoi confronti.

Tuttavia, appoggio la posizione del Mediatore, in quanto reputo che la collaborazione fra le Istituzioni sia e debba continuare a essere uno dei punti di forza dell'attività stessa del suo ufficio. A tale proposito, le risposte tardive e l'evasione di obblighi non legislativi ma morali segnalano un atteggiamento censurabile. La costruzione del capitale sociale infatti, nell'accezione di Putnam, va oltre la liceità dei comportamenti, per guardare alla buona fede, alla coerenza e alla moralità degli stessi.

Pertanto, a prescindere dalle motivazioni del Commissario, la mia solidarietà va senza dubbio al Mediatore.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. (RO) Mi compiaccio per le eccellenti relazioni istituzionali tra il Mediatore e la commissione per le petizioni in termini di rispetto reciproco delle relative competenze e poteri. Ritengo che la pratica già introdotta dal Mediatore di assicurare la presenza di un rappresentante a tutte le riunioni della commissione per le petizioni sia un buon segno.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La relazione speciale del Mediatore europeo fa seguito al rifiuto da parte della Commissione di mettere a disposizione di un'organizzazione non governativa per la protezione dell'ambiente tre lettere, su diciotto, inviate dalla Porsche AG al Commissario Verheugen, relative allo scambio di informazioni tra la Commissione e alcuni costruttori di automobili sul possibile approccio alle emissioni di biossido di carbonio prodotte dagli autoveicoli. A seguito della richiesta da parte del Mediatore di un parere motivato della Commissione in merito alla mancata divulgazione delle tre lettere, la Commissione ha rinviato per sei volte, nell’arco di 15 mesi, la presentazione della sua risposta, violando i principi di buona fede e cooperazione e minando il dialogo interistituzionale e l'immagine pubblica dell'UE. Il Parlamento, in qualità di unico organo eletto dell'Unione, ha la responsabilità di salvaguardare e proteggere l'indipendenza del Mediatore europeo nello svolgimento delle sue funzioni nei confronti dei cittadini europei, nonché di vigilare sull'attuazione delle sue raccomandazioni alla Commissione.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) L'articolo 228 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea dà facoltà al Mediatore europeo di ricevere le denunce di qualsiasi cittadino dell'Unione in merito a casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni o degli organi dell’Unione. Le denunce presentate dai cittadini costituiscono un'importante fonte di informazione su eventuali violazioni del diritto dell’UE.

Ai sensi dell'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea "Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione". Nel contesto delle consultazioni di cui all’articolo 4, paragrafo 4 del regolamento (CE) n. 1049/2001, la Commissione deve stabilire un termine di risposta per il terzo autore di un documento esercitare tale potere in modo da rispettare i propri termini. La Commissione non può inoltre ritardare o ostruire le indagini del Mediatore nei casi relativi all’accesso a documenti e deve rispondere al Mediatore senza indugio, così da rispettare il proprio dovere di leale cooperazione, come previsto nel trattato.

 
  
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  Alan Kelly (S&D), per iscritto. (EN) Il Mediatore offre un importante servizio ai cittadini irlandesi. Qualora essi ritengano che l'UE o il governo non operino, apparentemente, nel loro interesse, possono sempre rivolgersi all’ufficio del Mediatore per ottenere giustizia. Alla luce dei rapporti intrattenuti con l’ufficio, ho riscontrato che offre un’assistenza esauriente e professionale ai cittadini irlandesi e il mio voto a favore dell'approvazione della relazione dimostra la fiducia che nutro nell’ufficio del Mediatore.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione in quanto ritengo che l’atteggiamento non cooperativo della Commissione in questo e in altri casi rischi di intaccare la fiducia dei cittadini nella Commissione e di compromettere la capacità del Mediatore europeo e del Parlamento europeo di controllare la Commissione in modo adeguato e efficace; in quanto tale, questo atteggiamento è contrario allo stesso principio dello stato di diritto sul quale l’Unione europea è fondata. Appoggio le richieste rivolte alla Commissione affinché si assuma l’impegno, nei confronti del Parlamento europeo, di adempiere al suo dovere di leale cooperazione con il Mediatore europeo in futuro.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il ruolo del Mediatore europeo consiste nella funzione chiaramente definita di indagare sulle denunce contro le istituzioni e gli organi dell’UE. Questi poteri implicano maggiore trasparenza nelle relazioni tra le istituzioni europee e i cittadini, le società, le associazioni e gli altri organi con sede legale nell'UE.

La denuncia presentata dall'organizzazione non governativa (ONG) a cui si fa riferimento in questa relazione riguarda l'accesso ai documenti di cui dispone la Commissione. Il Mediatore aveva accordato alla Commissione un termine di tre mesi per formulare un parere circostanziato, che è stato tuttavia presentato solo quindici mesi più tardi. Questo comportamento indica che la Commissione ha violato l’obbligo di cooperare con il Mediatore con sincerità e in buona fede durante la sua indagine, pregiudicando in questo modo non soltanto il dialogo interistituzionale bensì anche l’immagine pubblica dell’UE. Ritengo che il Parlamento, in qualità di unico organo eletto dell'Unione, abbia la responsabilità di salvaguardare e proteggere l'indipendenza del Mediatore nell'adempimento delle sue funzioni nei confronti dei cittadini dell'Unione.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato a favore della presente risoluzione poiché condivido la critica espressa nei confronti della Commissione per aver dato priorità agli interessi della multinazionale Porsche a scapito del diritto del pubblico di accedere ai documenti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione. La risoluzione critica l'atteggiamento non cooperativo della Commissione, che va a detrimento del dialogo interistituzionale nonché dell'immagine pubblica dell'UE. Il mio sostegno a favore della risoluzione si basa sul fatto che condivido la critica nei confronti della quotidiana mancanza di trasparenza della Commissione, che viola costantemente il principio di cooperazione leale tra le istituzioni europee mediante la pratica generalizzata “di ritardare e ostruire le indagini del Mediatore nei casi relativi all’accesso a documenti".

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Le istituzioni dell’Unione europea cooperano abitualmente in maniera efficace con il Mediatore europeo. Se da un lato in seno all'Unione tutto è regolamentato, ad esempio i termini di pagamento consentiti alle aziende, dall'altro pare strano che la Commissione, nel momento in cui consulta una parte terza, non sia in grado di fissare un termine che permetta a quest’ultima di rispettarlo. Se consideriamo che la Commissione è stata in grado di rispettare i termini prescritti nell'UE solamente in meno di un quinto dei casi, ci rendiamo conto di come ciò rifletta la sua noncuranza per le buone maniere. È oltremodo deplorevole che sia necessaria una relazione speciale del Mediatore per rendere pubblico qualcosa di così semplice come il diritto dei cittadini europei di accedere a documenti. Per citare le parole del Mediatore: i cittadini hanno il diritto di sapere che cosa stanno effettivamente facendo l'Unione europea e la sua amministrazione. Potrei forse ampliare il discorso aggiungendo che i nostri cittadini hanno anche il diritto di sapere come l'Unione europea spende le loro imposte e come invece spreca le risorse. Per questi motivi, non posso che votare a favore della relazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione speciale del Mediatore europeo al Parlamento che ha fatto seguito al suo progetto di raccomandazione alla Commissione europea in merito alla denuncia 676/2008/RT, relativa all’eccessivo ritardo nel fornire una risposta ai servizi del Mediatore. Condivido le preoccupazioni e le critiche del Mediatore in quanto i ritardi eccessivi nel fornirgli risposte, a prescindere dal motivo che li ha causati, costituiscono una violazione del dovere di leale cooperazione previsto dal trattato di Lisbona.

La mancata risposta ostacola infatti lo svolgimento dell'attività del Mediatore e, per questo motivo, concordo sulla necessità di fissare i termini entro i quali la Commissione deve rispondere, che devono essere scrupolosamente rispettati, così da non compromettere la fiducia del pubblico nelle istituzioni europee.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) La relazione speciale del Mediatore fa seguito a una denuncia presentata in merito al rifiuto della Commissione di divulgare tre lettere inviate dalla Porsche AG al Commissario Verheugen, e alle successive sei proroghe richieste dalla Commissione del termine di presentazione del suo parere circostanziato sul progetto di raccomandazione del Mediatore. È di cruciale importanza che non si ripetano simili situazioni. Le istituzioni europee hanno il dovere di cooperare reciprocamente in buona fede ed è essenziale che questo obbligo sia rispettato, così da salvaguardare la fiducia dei cittadini nei confronti degli attori istituzionali dell'Unione.

 
  
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  Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Si è votata oggi, in Plenaria, la relazione speciale del Mediatore europeo a seguito del progetto di raccomandazione alla Commissione europea relativamente alla denuncia 676/2008/RT.

Nel marzo 2007, un'organizzazione non governativa attiva nell'ambito della protezione ambientale ha chiesto l'accesso ad alcuni documenti ai sensi del regolamento (CE) n. 1049/2001 relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione.

Il Parlamento europeo, a nome della commissione per le petizioni, appoggia le critiche del Mediatore europeo e la sua raccomandazione alla Commissione in merito alla denuncia 676/2008/RT e riconosce che i ritardi eccessivi accumulati per rispondere al Mediatore in questa questione costituiscono una mancanza della Commissione al suo dovere di cooperazione leale che risulta dal TFUE.

Inoltre, la commissione per le petizioni è dell'avviso che l'attitudine non cooperativa della Commissione in questa questione e in altre questioni riguardanti l'accesso ai documenti rischia di minare la fiducia dei cittadini nella Commissione e di intaccare la capacità del Mediatore e del Parlamento europeo di supervisionare la Commissione in maniera adeguata ed efficace.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) Le relazioni speciali rappresentano l'ultima risorsa del Mediatore europeo. Le decisioni del Mediatore europeo non sono giuridicamente vincolanti e si basano pertanto sulla persuasione, sulla sua abilità di convincere grazie ad argomentazioni ragionate e, talvolta, sulla pubblicità e sul peso dell'opinione pubblica. Il numero esiguo di relazioni speciali che il Mediatore europeo ha dovuto presentare al Parlamento europeo (solo 17 dal 1995) dimostra la cooperazione esistente tra le istituzioni dell’UE nella stragrande maggioranza dei casi. Parte del contesto che fa da sfondo a tale cooperazione, tuttavia, è l’esistenza del potere di presentare una relazione speciale al Parlamento europeo. In particolare, quando viene elaborato un progetto di raccomandazione, il fatto di sapere che il prossimo passo potrebbe essere una relazione speciale spesso incoraggia l’istituzione o l’organo interessati a modificare la loro posizione. Le relazioni speciali devono quindi essere presentate soltanto quando siano in gioco questioni importanti e quando il Parlamento può contribuire a incoraggiare l’istituzione o l'organo interessati a modificare la propria posizione. In quanto organo politico, il Parlamento europeo ha il potere di gestire le relazioni speciali del Mediatore europeo, sia in termini di procedura sia in termini di tematiche e azioni.

 
  
  

Relazione Lichtenberger (A7-0291/2010)

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione. Il trattato sull’Unione europea definisce le responsabilità degli Stati membri relativamente all’applicazione del diritto comunitario, mentre alla Commissione, custode dei trattati, attribuisce la competenza e la responsabilità di garantire la corretta applicazione del diritto. Considerate l’estensione dell’acquis e le dimensioni dell’Unione europea, i cittadini, i gruppi d’interesse della società civile e le aziende hanno diverse domande e numerosi dubbi. Il progetto EU Pilot è stato lanciato nel 2008 per permettere la comprensione e la corretta applicazione del diritto. Su tale base è stata istituita una banca dati confidenziale online per la comunicazione tra i servizi della Commissione e le autorità degli Stati membri, per osservare l’attuazione del diritto comunitario e avviare procedimenti d’infrazione. Concordo con il parere espresso nella risoluzione, ovvero che questa iniziativa risponde alla necessità di cooperazione tra tutte le istituzioni dell’Unione europea nell’interesse di un sistema che funzioni in modo efficace e sia incentrato sul cittadino. Ritengo che, in quanto istituzione che rappresenta i cittadini europei, il Parlamento debba avere accesso a questa banca dati per poter svolgere la sua funzione di controllo sul modo in cui la Commissione adempie al suo ruolo di custode dei trattati.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione perché, nella loro forma attuale, le relazioni annuali della Commissione “sul controllo dell’applicazione del diritto dell’Unione europea” non offrono ai cittadini o alle altre istituzioni informazioni sufficienti in merito allo stato reale dell’applicazione del diritto dell’Unione europea. Nella sintesi della Commissione sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario si pone maggiormente l’accento sul recepimento anziché sull’applicazione effettiva. La Commissione fa riferimento soltanto ai procedimenti formali aperti contro Stati membri che non hanno recepito il diritto dell’UE nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali. Cittadini e Parlamento dovrebbero pertanto essere informati nel momento in cui la Commissione avvia procedimenti d’infrazione per il recepimento scorretto o errato del diritto dell’UE nonché ricevere dettagli relativi a tali procedimenti. Il trattato di Lisbona, inoltre, fornisce ai cittadini la possibilità di stabilire l’agenda legislativa e di contribuire a garantire la corretta applicazione ed osservanza del diritto dell’Unione europea come pure la trasparenza e l’affidabilità delle corrispondenti procedure.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) È deplorevole che diversi Stati membri sottovalutino l’importanza di una corretta e tempestiva attuazione del diritto dell’Unione europea. Le carenze e i ritardi nel recepimento delle norme e una loro inadeguata attuazione e applicazione creano incertezza giuridica e impediscono ai cittadini e alle imprese di beneficiare appieno dei vantaggi del mercato interno. Nel 2008, il 55 per cento dei recepimenti necessari è avvenuto in ritardo, in molti casi di due anni o più. Sebbene i dati indichino un miglioramento del 15 per cento per l’anno in corso, dobbiamo tener conto del fatto che vi è stata una riduzione del 40 per cento del volume di trasposizioni da effettuare.

È inaccettabile che a maggio 2009 da uno fino a cinque Stati membri non avessero ancora trasposto completamente circa 22 direttive con termini di recepimento scaduti da oltre due anni. Al fine di assicurare un’attuazione corretta, efficace e tempestiva del diritto dell’Unione europea e di rilevare fin dall’inizio eventuali problemi di attuazione, è necessario rafforzare la cooperazione tra le istituzioni dell’Unione e le autorità nazionali, nonché tra le amministrazioni degli Stati membri.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea è un ente giuridico basato su trattati e atti legislativi ed è quindi fondamentale che la loro attuazione sia corretta e uniforme nei 27 Stati membri. Sappiamo però che spesso gli Stati non attuano o recepiscono in maniera tempestiva le norme provenienti dal diritto comunitario, oppure le attuano o recepiscono in modo carente o incompleto. Come ha ricordato la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori “le carenze e i ritardi nel recepimento delle norme e una loro inadeguata attuazione e applicazione creano incertezza giuridica e non consentono ai cittadini e alle imprese di beneficiare appieno dei vantaggi del mercato interno”. È pertanto fondamentale che gli Stati membri non sottovalutino il valore di una corretta e tempestiva attuazione del diritto comunitario e che la Commissione tenga il Parlamento debitamente informato circa il relativo stato di applicazione.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Le carenze e i ritardi nel recepimento delle norme e una loro inadeguata attuazione e applicazione creano incertezza giuridica e non consentono ai cittadini e alle imprese di beneficiare appieno dei vantaggi del mercato interno. Per questo si rende necessaria una cooperazione permanente e più stretta tra le istituzioni dell’Unione europea e le autorità nazionali, nonché tra le amministrazioni degli Stati membri, al fine di assicurare un’applicazione corretta, efficace e tempestiva del diritto comunitario. È importante che il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali utilizzino il nuovo quadro di cooperazione istituito dal trattato di Lisbona procedendo a verifiche annuali del processo di attuazione in un settore selezionato del mercato unico.

Desidero evidenziare il paragrafo di questa relazione che sollecita la Commissione a presentare dati dettagliati su tutti i tipi di infrazione e a garantire che la totalità di tali dati sia liberamente consultabile dal Parlamento per consentirgli di svolgere la sua funzione di controllo. La collazione e la categorizzazione di tali dati dovrebbe essere coerente con le precedenti relazioni annuali in modo da assistere il Parlamento nel realizzare valutazioni pertinenti sui progressi compiuti dalla Commissione.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della presente relazione in quanto valuta il controllo effettuato dalla Commissione dell’applicazione del diritto dell’Unione europea nel 2008. L’analisi è incentrata sulla relazione della Commissione intitolata “EU Pilot Evaluation Report”, in cui si propone una valutazione dei risultati del progetto “EU Pilot” dopo i primi 22 mesi di operatività. La commissione giuridica solleva alcune questioni chiave sul funzionamento del progetto “EU Pilot” e sul ruolo svolto dai cittadini nel garantire il rispetto del diritto dell’Unione sul terreno, e invita la Commissione a fornire i dati pertinenti atti a consentire un’analisi del valore aggiunto che il progetto “EU Pilot” apporta all’attuale processo di gestione dei procedimenti d’infrazione. La commissione giuridica suggerisce inoltre di invitare la Commissione a proporre un “codice procedurale” per la procedura d’infrazione, fondato sulla nuova base giuridica fornita dall’articolo 298 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al fine di far rispettare i diritti dei cittadini e la trasparenza.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Le relazioni annuali sul controllo dell’applicazione del diritto dell’Unione europea sono fondamentali per verificare come viene applicato il diritto comunitario in seno agli Stati membri. Nel 2008, il 55 per cento dei recepimenti necessari è avvenuto in ritardo, in molti casi di due anni o più. Sebbene i dati indichino un miglioramento del 15 per cento per l’anno in corso, dobbiamo tener conto del fatto che vi è stata una riduzione del 40 per cento del volume di trasposizioni da effettuare. Possiamo pertanto concludere che vi è ancora un lungo cammino da percorrere perché le norme provenienti dal diritto dell’Unione europea siano debitamente e tempestivamente recepite dagli Stati membri. Cittadini e imprese potranno beneficiare appieno dei vantaggi del mercato interno solo a fronte del pieno raggiungimento di questo obiettivo.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Le valutazioni sono strumenti atti ad apportare aggiustamenti, ove necessario. La cosiddetta “EU Pilot Evaluation Report” ha sollevato, in seno alla commissione responsabile, una serie di questioni e per questo la Commissione europea è stata invitata a fornire i dati pertinenti. Dobbiamo valutare quale sia la procedura più sensata in particolari casi: se il progetto “EU Pilot” o le precedenti procedure di violazione del trattato. In un simile contesto non dovrebbe essere scartata neppure la possibilità di un riesame delle procedure di violazione del trattato. Ciò che importa è che, indipendentemente dalla forma, dal riesame o dalla combinazione di queste che dovesse essere scelta in futuro, l’esito non dovrà comportare una maggiore burocrazia e, soprattutto, dovrà rispondere all’obiettivo europeo di maggiore trasparenza. Quantunque la relazione in esame contenga proposte valide, non può comunque raggiungere i succitati obiettivi e per questo mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Oggi mi sono espresso a favore della relazione sul controllo dell’applicazione del diritto dell’Unione europea, che si incentra sull’efficacia del progetto “EU Pilot” nel favorire la cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri al fine di assicurare la corretta applicazione dei trattati.

La relazione sottolinea la necessità di adottare un codice procedurale sotto forma di un regolamento che stabilisca i vari aspetti della procedura di infrazione, comprese le notifiche, le scadenze, il diritto di audizione e l’obbligo di motivazione al fine di far rispettare i diritti dei cittadini e la trasparenza. In qualità di custode dei trattati, la Commissione dovrà pertanto fornire tutti i dati pertinenti atti a consentire un’analisi del valore aggiunto che il progetto “EU Pilot” apporta all’attuale processo di gestione dei procedimenti di infrazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) La 26a relazione annuale sul controllo dell’applicazione del diritto dell’Unione europea (2008) mira a evidenziare i problemi relativi al recepimento e all’applicazione del diritto comunitario. Si tratta di un documento che, debitamente elaborato e con un approccio sistematico esaustivo, potrebbe rappresentare un meccanismo di controllo e di agevolazione del processo di evoluzione del diritto dell’Unione europea.

La mancanza di nuove metodologie e le informazioni incomplete della relazione annuale giustificano le critiche del Parlamento europeo, alle quali mi associo esprimendo voto favorevole alla relazione Lichtenberger.

Non posso esimermi dal sottolineare che i ritardi nel recepimento e nella corretta applicazione del diritto comunitario, oltre a provocare una mancanza di fiducia nelle istituzioni europee, influiscono su tutti noi, cittadini europei, e comportano ulteriori costi in termini di mancato godimento dei diritti creati dalla legislazione, creando incertezza giuridica e non consentendo ai cittadini di beneficiare appieno del mercato interno. Mi associo pertanto al desiderio di garantire che la Commissione continui a presentare dati dettagliati su tutti i tipi di infrazione e che la totalità di tali dati sia liberamente consultabile dal Parlamento al fine di svolgere la sua funzione di controllo per quanto riguarda l’adempimento del ruolo di custode dei trattati da parte della Commissione.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Ritengo che si debba effettuare un’analisi del valore aggiunto che il progetto “EU Pilot” apporta all’attuale processo di gestione dei procedimenti di infrazione. Da questo, è evidente, dipende la fornitura di dati pertinenti. Desidero inoltre osservare che, come indicato nella relazione, gli organi giudiziari nazionali svolgono un ruolo essenziale nell’applicazione del diritto dell’Unione europea. Per questo dobbiamo sostenere gli sforzi dell’Unione volti a migliorare e coordinare la formazione in materia giudiziaria per i giudici nazionali e per i professionisti legali in genere.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) La presente relazione valuta il controllo effettuato dalla Commissione dell’applicazione del diritto dell’Unione europea nel 2008. L’analisi è incentrata sulla relazione della Commissione intitolata “EU Pilot Evaluation Report”, in cui essa propone una valutazione dei risultati del progetto “EU Pilot” dopo i primi 22 mesi di operatività. La commissione giuridica solleva alcune questioni chiave sul funzionamento del progetto “EU Pilot” e sul ruolo svolto dai cittadini nel garantire il rispetto del diritto dell’Unione sul terreno, e invita la Commissione a fornire al Parlamento i dati pertinenti atti a consentire un’analisi del valore aggiunto che il progetto “EU Pilot” apporta alle attuali procedure d’infrazione. La commissione giuridica suggerisce inoltre di invitare la Commissione a proporre un “codice procedurale” per la procedura d’infrazione, fondato sulla nuova base giuridica fornita dall’articolo 298 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al fine di far rispettare i diritti dei cittadini e la trasparenza.

 
  
  

Relazione Belet (A7-0286/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) La tradizione audiovisiva europea ha permesso l’emergere di un modello mediatico pluralistico basato su un sistema duale. Questo sistema unico permette alle emittenti di servizio pubblico e privato di operare in un rapporto equilibrato e complementare, ma la rivoluzione digitale vi ha posto nuovi limiti. La comparsa di nuovi canali di comunicazione e di reti alternative minaccia l’ordine tradizionale. Per preservare la complementarità del vecchio sistema e lasciare al contempo spazio alle nuove vie di comunicazione, la radiodiffusione europea necessita di una riforma. Questo è il senso della risoluzione in esame, in merito alla quale ho espresso voto favorevole in quanto tenta di raccogliere la triplice sfida della modernizzazione, della convergenza e del rispetto del pluralismo.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) I mezzi di radiodiffusione figurano tra le fonti di informazione più importanti di cui dispongono i cittadini negli Stati membri dell’Unione europea e, in quanto tali, costituiscono un fattore importante nella formazione dei valori e delle opinioni delle persone. Il panorama audiovisivo dell’Unione ha caratteristiche uniche: basato su un autentico equilibrio tra emittenti di servizio pubblico e emittenti commerciali, garantisce una programmazione diversificata e liberamente accessibile e contribuisce al pluralismo dei media, alla diversità culturale e linguistica, alla concorrenza editoriale, nonché alla libertà di espressione. Ho votato a favore della risoluzione in esame perché il Parlamento europeo sostiene il mantenimento di un servizio pubblico di radiodiffusione indipendente, forte e vitale, adeguandolo al contempo alle condizioni poste dall’era digitale e facilitando il passaggio da televisione analogica a digitale per i consumatori. Ritengo che gli Stati membri debbano affrontare meglio il problema della frattura digitale e garantire che, grazie alla digitalizzazione, tutte le persone in tutte le regioni godano di pari accesso al servizio pubblico di radiodiffusione.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) I mezzi di radiodiffusione figurano tra le fonti di informazione più importanti di cui dispongono i cittadini negli Stati membri dell’Unione europea e, in quanto tali, costituiscono un fattore importante nella formazione dei valori e delle opinioni delle persone. Un sistema europeo equilibrato svolge un ruolo fondamentale per la promozione della democrazia, della coesione e dell’integrazione sociali, e della libertà di espressione e, in particolare, per la salvaguardia e la promozione del pluralismo dei media, dell’alfabetizzazione mediatica, della diversità culturale e linguistica e della conformità alle norme europee in materia di libertà di stampa.

La Commissione deve adattare i diritti d’autore alla nuova era digitale, permettendo alle emittenti di mantenere una vasta offerta di contenuti europei di qualità e studiare i modi specifici con cui facilitare il riutilizzo di contenuti d’archivio e la creazione di sistemi di canone collettivo estesi e di sistemi di sportello unico facilmente accessibili per il versamento dei diritti.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) In una società democratica europea è fondamentale che i cittadini abbiano accesso alle informazioni e possano partecipare a un dibattito pubblico. È fondamentale che esista un settore audiovisivo e della stampa indipendente e competitivo. Nell’attuale settore audiovisivo europeo è di interesse generale salvaguardare il cosiddetto sistema duale, garantendo un vero equilibrio tra i servizi di radiodiffusione pubblico e privato. Solo in questo modo potremo garantire l’esistenza di una programmazione sufficientemente diversificata, contribuendo al pluralismo dei media, alla diversità culturale e linguistica, alla concorrenza editoriale, nonché alla libertà di espressione.

È di vitale importanza avere un sistema di emissioni di servizio pubblico forte e vitale, libero da pressioni politiche e senza perdite in termini di indipendenza editoriale, che goda del necessario sostegno finanziario, quantunque si debba sempre prestare attenzione a non mettere a rischio una concorrenza equa tra emittenti di servizio pubblico e media privati. Spetta all’Unione europea riunire i vari portatori di interesse del settore mediatico nell’intento di mantenere un’industria sana e vitale. Credo che l’attuazione del meccanismo di controllo del pluralismo dei mezzi di comunicazione di massa potrà svolgere un ruolo fondamentale in questo senso.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – Per ragioni anagrafiche non ho memoria dei tempi del monopolio di Stato sui servizi radiotelevisivi e, in tutta sincerità, non ne sento la mancanza.

Nonostante le enormi barriere all’ingresso finiscano per limitare l’accesso di nuovi attori al mercato e benché dunque, per motivi strutturali, la concorrenza in tale settore risulti in ogni caso ristretta, ho assistito personalmente a una notevole evoluzione della competitività nel settore dell’editoria televisiva.

Premesso ciò, ritengo che non sia nemmeno pensabile un sistema esclusivamente pubblico, poiché ciò finirebbe per comprimere ulteriormente quella spinta all’efficienza rappresentata dalla presenza di concorrenti, a discapito dei consumatori. D’altro canto, una televisione esclusivamente commerciale potrebbe non avere interesse a perseguire obiettivi di interesse generale, così come alla trasmissione di contenuti educativi, non sempre premianti in termini di audience ma necessari per la loro stessa natura. Occorre pertanto mantenere il sistema duale, purché vi siano regole volte a consentire una competizione libera e sana e purché si vigili sull’assenza di collusioni tra azienda pubblica e aziende private, nel rispetto delle scelte editoriali ma nella consapevolezza della funzione sociale che il servizio di radiodiffusione deve svolgere.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. (RO) Il servizio pubblico di emittenza radiotelevisiva deve mantenere la propria indipendenza dalla politica e godere di finanziamenti sufficienti a fornire programmi d’informazione di buona qualità, offrendo una maggiore accessibilità ai cittadini in tutte le regioni dello Stato membro. Ritengo, al contempo, che l’applicazione di nuove tecnologie contribuirà a produrre programmi di qualità, indirizzati a tutti i gruppi di utenti. Bisogna prestare maggiore attenzione ai giovani, che sono sempre all’avanguardia nelle nuove tecnologie, e per questo è necessario prevedere programmi specificatamente rivolti a loro, anche via Internet.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) L’Unione europea invita regolarmente al rispetto della libertà di espressione in diversi paesi terzi; tuttavia anch’essa deve dimostrarsi virtuosa e rispettare tale principio. La risoluzione adottata il 25 novembre scorso ad ampia maggioranza invita gli Stati membri a porre fine alle ingerenze politiche nei contenuti delle emissioni pubbliche e ricorda che il rispetto delle norme europee in materia di libertà di espressione, pluralismo e indipendenza dei media, nonché di finanziamento dei media di servizio pubblico deve essere una priorità in tutti gli Stati membri. Il Parlamento propone che l’Osservatorio europeo dell’audiovisivo analizzi il modo in cui gli Stati membri hanno applicato le norme in questione e insiste sul fatto che gli Stati membri dovrebbero essere chiamati a rispondere del mancato rispetto degli impegni assunti. Il Parlamento, inoltre, coglie l’occasione di questa votazione per ricordare che l’indipendenza dei media passa attraverso un finanziamento adeguato e stabile alle emittenti di servizio pubblico e attraverso la trasparenza delle proprietà delle emittenti private. Invita infine gli Stati membri ad adottare leggi sul servizio pubblico di radiodiffusione via Internet, adattando i diritti d’autore alla nuova era digitale.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della presente relazione perché difende la necessità che i media di servizio pubblico e privato svolgano ciascuno il proprio ruolo senza subire pressioni politiche ed economiche. Il sistema duale europeo può svolgere un ruolo fondamentale nella promozione della democrazia e della libertà di espressione e in particolare per la salvaguardia e la promozione del pluralismo dei media e della diversità culturale e linguistica.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) L’importanza di garantire il pluralismo dei media deriva dal ruolo centrale che questi svolgono nella nostra società, sia in termini di informazione e di pluralismo, sia in termini di promozione dei diritti, delle libertà e delle forme di garanzia, contribuendo chiaramente a una società più informata e partecipativa. Diventa, pertanto, fondamentale garantire che tali servizi godano di indipendenza finanziaria ed editoriale, evitandone la politicizzazione o la sottomissione a interessi economici. Recentemente, in Portogallo, sono state denunciate diverse presunte ingerenze governative nel settore dei notiziari, incluse la sostituzione dei direttori di un quotidiano e di un radiogiornale, la cancellazione improvvisa di un nuovo programma di un canale commerciale e persino la sostituzione del direttore generale del canale stesso. Si sono verificati altresì diversi episodi di rimozione di colonnisti critici e c’è stato il presunto tentativo di un’azienda in cui lo Stato detiene una “golden share” di acquisire una partecipazione in un’impresa mediale che possiede un canale privato. Su queste basi, è fondamentale accordare la priorità a un sistema duale in seno all’Unione europea, che garantisca l’indipendenza a tutti i livelli e assicuri la libertà di espressione ai media di servizio sia pubblico che privato, dato che anche questi ultimi non sono immuni dall’ingerenza politica.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Il panorama audiovisivo dell’UE è distinto da quello che è stato descritto come un “sistema duale”. La coesistenza di emittenti di servizio pubblico ed private ha garantito una programmazione diversificata, ed ha contribuito al pluralismo dei media, alla diversità culturale e linguistica, alla concorrenza editoriale (in termini di qualità e diversità dei contenuti), nonché alla libertà di espressione. Desidero sottolineare la necessità che gli Stati membri affrontino il problema della frattura digitale tra aree urbane e aree rurali, garantiscano che, grazie alla digitalizzazione, tutte le persone in tutte le regioni godano di pari accesso al servizio pubblico di radiodiffusione e offrano contenuti attrattivi e di qualità, al fine di rivolgersi ai giovani che accedono ai media.

 
  
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  Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. (RO) Il messaggio principale che volevamo trasmettere con questa relazione è che dobbiamo preservare l’indipendenza del servizio pubblico di radiodiffusione. Negli emendamenti apportati alla proposta di risoluzione, abbiamo insistito sulla necessità che i membri dei consigli di amministrazione siano nominati esclusivamente in base alle competenze e non per ragioni di ordine politico.

Ci siamo adoperati, inoltre, per rendere il più evidente possibile il nostro desiderio di avere non solo canali pubblici con contenuti accattivanti e di qualità, ma anche di assistere all’integrazione con le nuove piattaforme, sempre tenendo conto delle ultime tecnologie. Un elemento su cui abbiamo insistito è stato l’investimento sul servizio pubblico di radiodiffusione, fattore senza il quale è impossibile operare ad alti livelli.

 
  
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  Timothy Kirkhope (ECR), a nome della delegazione dei conservatori britannici, per iscritto. (EN) La delegazione dei conservatori britannici ha sostenuto la relazione in esame perché essa riconosce che, in conformità dei principi del protocollo di Amsterdam, la definizione del mandato del servizio pubblico e la garanzia di finanziamento alle emittenti di servizio pubblico spettano esclusivamente agli Stati membri. Questo elemento è importante per il Regno Unito, in virtù del modello unico di finanziamento di cui gode la BBC e siamo lieti di sentire che il Parlamento europeo non cercherà di intromettersi nei metodi di finanziamento che il Regno Unito usa per la BBC.

Su due punti la delegazione britannica non ha potuto appoggiare questa relazione: l’invito ai motori di ricerca e ai fornitori di servizi online di contribuire al finanziamento della creazione di contenuti su Internet e l’invito all’Osservatorio europeo dell’audiovisivo di raccogliere dati sulle emittenti pubbliche nazionali. La delegazione del Regno Unito ha pertanto richiesto votazioni separate su questi paragrafi, in merito ai quali ha espresso parere contrario. Nel complesso, tuttavia, la relazione dimostra un approccio equilibrato all’argomento e la delegazione dei conservatori britannici l’ha quindi supportata.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore questa risoluzione, che riafferma l’impegno del Parlamento nei confronti del sistema duale di radiodiffusione in cui i media di servizio pubblico e privato svolgono ciascuno il proprio ruolo senza subire pressioni politiche ed economiche e chiede che l’accesso a una radiodiffusione del livello più elevato possibile sia garantito a prescindere dalla capacità di pagare dei consumatori e degli utenti.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) È raro assistere alla difesa di un servizio pubblico in quest’Aula. Quantunque io nutra delle riserve sul fatto che un sistema duale consenta indubbiamente il pluralismo dei media e ritenga impossibile sottrarre i mezzi di comunicazione privati alle logiche finanziarie, accolgo con favore questa relazione che esorta a mantenere il servizio pubblico di radiodiffusione. Solo quest’ultimo può essere controllato dal popolo sovrano e può garantire a tutti l’accesso a un’informazione pluralista e di qualità, situazione che non si riscontra attualmente in Francia né in altri paesi dove domina l’oligarchia.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Abbiamo assistito un po’ in tutta Europa a interferenze da parte del potere politico nei servizi di radiodiffusione sia pubblici che privati. Di recente, in Portogallo, si sono verificate diverse situazioni strane, come la sospensione di nuovi programmi, la sostituzione di persone chiave e direttori generali senza motivi apparenti, che fanno pensare a ragioni soggiacenti di ordine politico.

Quantunque dobbiamo essere consapevoli che il servizio pubblico di radiodiffusione è più soggetto a questo tipo di pressioni, neppure quello privato ne è immune, in quanto spesso le entrate sono legate alla vendita di spazi pubblicitari al settore statale. I cittadini hanno diritto a un servizio di radiodiffusione, sia esso pubblico o privato, indipendente e libero di adottare un approccio oggettivo su tutti i contenuti. Sono convinto che il sistema duale europeo svolgerà un ruolo fondamentale nella promozione della democrazia e della libertà di espressione e in particolare per la salvaguardia e la promozione del pluralismo dei mezzi di comunicazione, nonché della diversità culturale e linguistica.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) L’informazione vale oro. Per fornire ai cittadini un’informazione oggettiva e adempiere al compito educativo, esistono le emittenti di servizio pubblico nel settore televisivo e mediatico. In cambio dell’emissione di programmi di alta qualità, tali emittenti hanno il diritto di ricevere finanziamenti attraverso le imposte. La radiodiffusione rappresenta la principale fonte di informazione dei cittadini. Alcune emittenti di servizio pubblico hanno modificato con notevole successo i propri programmi a fronte della concorrenza con le emittenti private. Il migliore esempio è rappresentato dall’emittente britannica BBC; altre, come l’austriaca ORF, non solo soffrono di cali di audience, ma non riescono neppure a soddisfare pienamente le condizioni di imparzialità e oggettività a causa delle influenze esercitate dai partiti politici. Le emittenti private, inoltre, hanno avviato un dibattito circa la legittimità dei canoni radiotelevisivi, considerato che anche le emittenti pubbliche introiti possono contare sulle entrate dalla vendita di spazi pubblicitari. L’organizzazione e le condizioni quadro del settore differiscono da uno Stato membro all’altro e non è quindi possibile prendere alcuna decisione di normalizzazione a livello comunitario. Per questa ragione mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. (LT) Mezzi di comunicazione liberi e indipendenti costituiscono uno dei principali pilastri della democrazia. Ho votato a favore della presente relazione perché concordo con l’idea che servizi pubblici di radiodiffusione liberi da pressioni politiche e interessi commerciali rappresentino un elemento fondamentale di questo sistema. Le attuali tendenze, tuttavia, non sono incoraggianti. In alcuni paesi, le emittenti di servizio pubblico devono affrontare crescenti pressioni politiche e il finanziamento del settore si trova a dipendere dalla volontà del partito politico di turno al potere; in altri paesi, le strutture aziendali stanno acquisendo crescente influenza sulle emittenti. Condivido l’opinione secondo cui cultura e media sono di competenza esclusiva degli Stati membri, ma ritengo anche che le istituzioni dell’Unione europea possano svolgere un ruolo rilevante: possono contribuire allo scambio di buone pratiche e, in alcuni casi, rendere pubblicamente note e condannare pratiche negative. Durante la crisi economica, le emittenti di servizio pubblico dovrebbero sfruttare meglio l’opportunità di ottenere prestiti agevolati dalla Banca europea per gli investimenti, fattore che contribuirebbe ad ammodernare le infrastrutture e aumentare il livello delle emittenti pubbliche, aiutandole così a far fronte alle sfide del XXI secolo.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Mi sono espresso favorevolmente sulla relazione del collega Belet sul servizio pubblico di radiodiffusione. l’Europa è entrata oramai nell’era del digitale e le istituzioni devono garantire un equilibrio nel sistema duale affermatosi tra emittenti commerciali private e pubbliche. Ne vale tutto un sistema che si basa sugli ascolti delle emittenti radiotelevisive capaci di influenzare l’intera opinione pubblica. L’adeguamento dei finanziamenti dell’UE per il sistema pubblico di radiodiffusione degli Stati Membri è fondamentale perché direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione e garantire un’informazione diversificata e di libera espressione. Poiché questo è un argomento di competenza delle autorità nazionali dei singoli Stati, l’UE auspica un maggiore incentivo per i servizi di radiodiffusione pubblici, al fine di rilanciare un servizio che in molti paesi soffre il peso della politica e del controllo delle informazioni ed evitare squilibri con la concorrenza privata a volte poco obiettiva.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Il pluralismo dei mezzi di comunicazione può essere salvaguardato solo garantendo che media pubblici e privati coesistano senza ostruzionismi o discriminazioni. Per raggiungere questo obiettivo sono necessari due prerequisiti: dobbiamo garantire anzitutto che i gestori delle emittenti sia pubbliche che private si adeguino all’era digitale, aggiornando i propri servizi senza aumentare i costi per il consumatore (fattore, questo, decisamente importante) e, in secondo luogo, dobbiamo mantenere una sfera vitale sufficiente, nel nuovo ambiente digitale, per far coesistere radio e televisione con altre fonti di informazione, come quotidiani e riviste, specialmente ora che la stampa è in piena recessione in tutta Europa. In altre parole, abbiamo bisogno di finanziamenti adeguati e di piani nazionali in seno agli Stati membri.

L’Unione europea può e deve dimostrare che sostiene tali parametri sia attraverso forme di finanziamento, come quelle provenienti dal Fondo di investimento per la digitalizzazione dei mezzi di comunicazione, sia attraverso il coordinamento dello scambio di migliori prassi nelle procedure di digitalizzazione di radio e televisioni in seno agli Stati membri. Ritengo che questi elementi siano ben evidenziati nella relazione in esame e per questo ho votato a favore.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della risoluzione sul servizio pubblico di radiodiffusione nell’era digitale: il futuro del sistema duale, perché ritengo che il ruolo del servizio pubblico di radiodiffusione in una società multimediale non possa non tener conto della concentrazione e del pluralismo dei mezzi di comunicazione di massa in seno all’Unione europea, della letteratura mediatica nel mondo digitale, della diversità dei contenuti mediatici e della garanzia di indipendenza del servizio pubblico di radiodiffusione in seno alla società dell’informazione.

Di fatto, il sistema duale di radiodiffusione, in cui i media di servizio pubblico e privato svolgono ciascuno il proprio ruolo senza subire pressioni politiche ed economiche, è importante per garantire l’accesso a un’informazione della massima qualità e per la promozione della democrazia. Il servizio pubblico di radiodiffusione e quello privato sono chiamati a svolgere un ruolo cruciale per quanto riguarda la produzione audiovisiva europea, la diversità e l’identità culturale, l’informazione, il pluralismo, la coesione sociale, la promozione delle libertà fondamentali e il funzionamento della democrazia.

Mi associo alle raccomandazioni formulate, sottolineando l’invito allo scambio di migliori prassi tra gli Stati membri e all’intensificazione della cooperazione tra le autorità nazionali di regolamentazione dei media in seno alla piattaforma europea delle autorità di regolamentazione (EPRA).

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Reputo molto importante che l’Unione europea riunisca i diversi attori e le parti interessate del settore mediatico per procedere verso la creazione di un’industria sana ed economicamente vitale. La rapida trasformazione dei mezzi di comunicazione, in particolar modo quelli digitali, renderà necessario trovare nuove soluzioni e porterà inevitabilmente alla definizione di una “nuova ecologia dei mezzi di comunicazione di massa”.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) La radiodiffusione è un settore unico nel suo genere: influenza i valori e le opinioni delle persone e rappresenta ancora la principale fonte di informazioni per la maggior parte dei cittadini europei. Proprio per questo, la radiodiffusione possiede una valenza eccezionale nella tutela e nella promozione delle libertà fondamentali e della democrazia, inclusa la coesione sociale. Come sottolinea la direttiva sui servizi di media audiovisivi, il panorama audiovisivo dell’Unione europea è caratterizzato dal cosiddetto “sistema duale”. La compresenza di emittenti pubbliche e commerciali ha assicurato una programmazione diversificata, contribuendo al pluralismo dei media, alla diversità culturale e linguistica, alla concorrenza editoriale (in termini di qualità e diversità dei contenuti), nonché alla libertà di espressione. Un sistema pubblico di radiodiffusione forte, vitale e adeguatamente finanziato è parte di questo contesto; in un sistema duale ben funzionante, le emittenti di servizio pubblico possono elevare il livello qualitativo del mercato.

 
  
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  Marie-Thérèse Sanchez-Schmid (PPE), per iscritto. (FR) La radiodiffusione si trova al centro di una rivoluzione tecnologica: la digitalizzazione dei contenuti mediatici e la loro accessibilità grazie a Internet ne ha rivoluzionato il paradigma. Negli anni ‘70, gli attori commerciali e privati faticavano a ottenere radiofrequenze rispetto ai monopoli di Stato; oggi, il moltiplicarsi delle possibilità offerte ai consumatori per accedere ai contenuti multimediali ci obbliga a definire il necessario equilibrio tra servizio pubblico e media privati. Per che cosa ci battiamo, in questa relazione? Considerando la concentrazione delle proprietà dei media e la concorrenza commerciale, il servizio pubblico necessita di particolare attenzione per poter contribuire, senza ingerenze politiche, al mantenimento di uno spazio pubblico che fornisca programmi di alta qualità e un’informazione oggettiva. Chiediamo agli Stati di prevedere risorse necessarie per accompagnare la digitalizzazione del servizio pubblico e, soprattutto, per contrastare una pericolosa frattura digitale.

Che vivano in aree urbane o rurali, che siano poveri oppure abbienti, tutti devono avere un accesso equo e di qualità alla radiodiffusione di servizi pubblici. A fronte delle ineguaglianze di reddito tra giganti come Google e i siti cui essi rimandano, dobbiamo riflettere circa un maggior contributo dei motori di ricerca al finanziamento della creazione di contenuti.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0624/2010

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) La risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulle donne, la pace e la sicurezza non è stata la prima risoluzione in materia adottata dal Consiglio dalla sua istituzione a oggi. Nondimeno, essa dev’essere considerata come un momento fondamentale per l’integrazione delle donne e per la loro inclusione nelle operazioni di sicurezza e mantenimento della pace. Per celebrare il decimo anniversario dell’adozione di questo testo, che coincide con la Giornata internazionale contro la violenza contro le donne, le mie colleghe ed io abbiamo voluto esprimere la volontà del Parlamento europeo di promuovere gli obiettivi della risoluzione, anzitutto attraverso le azioni intraprese dall’Unione europea. Attraverso la politica di sicurezza e difesa comune, il nuovo servizio europeo per l’azione esterna e in partenariato con gli altri organismi internazionali di cooperazione strategica, desideriamo migliorare la situazione femminile nelle zone di grave conflitto.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché è necessario prestare grande attenzione alla sicurezza delle donne al momento di programmare missioni di pace e nel corso di conflitti armati. Vorrei sottolineare che dovrebbe essere condotta una revisione costante della politica europea in materia dei diritti dell’uomo, quando si tratterà di elaborare una strategia dettagliata per paese sui diritti umani e di valutare le linee guida dell’Unione europea sulla violenza contro le donne e le ragazze e le linee guida dell’Unione sui minori e i conflitti armati e la lotta contro ogni forma di discriminazione nei loro confronti. Bisogna ricordare che. ai sensi della Convenzione di Ginevra, la violenza sessuale e la riduzione in schiavitù a fini di sfruttamento sessuale sono riconosciute quali crimini contro l’umanità o crimini di guerra quando rientrano in una prassi diffusa e sistematica.

Inoltre, la violenza sessuale è adesso riconosciuta anche quale elemento del crimine di genocidio se commessa nell’intento di distruggere, in tutto o in parte, un determinato gruppo. L’Unione europea, pertanto, dovrebbe intraprendere azioni concrete per porre fine all’impunità dei responsabili di atti di violenza sessuale nei confronti di donne e bambini. Vi è infine la necessità stabilire un codice di condotta per i funzionari dell’Unione europea assegnati a missioni militari e civili che consideri lo sfruttamento sessuale un comportamento ingiustificabile e criminale.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Le donne, la pace e la sicurezza sono tematiche cui bisogna prestare la massima attenzione. Il decimo anniversario della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è un’opportunità per progredire in questi ambiti, come lo sono tutte le revisioni delle politiche europee in corso, in particolare concerne della politica UE in materia di diritti dell’uomo e la lotta alla violenza contro le donne, lo sfruttamento di minori nei conflitti armati e la lotta contro tutte le forme di discriminazione. Inoltre, un altro aspetto che mi sembra rilevante, in questa relazione, è l’invito a promuovere la partecipazione delle donne nelle attività di riconciliazione, costruzione della pace e prevenzione dei conflitti, elemento che mi ha portato a votare a favore della sua adozione.

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Il trattamento e la sicurezza di donne e bambini in zone di conflitto armato nei territori attorno all’Unione europea è una questione che suscita crescente preoccupazione. È fondamentale fare tutto il possibile per limitare le conseguenze derivanti da tale stato di cose in quelle regioni e per questo ho deciso di sostenere la proposta di risoluzione in esame.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Ho votato contro la proposta di risoluzione comune sul decimo anniversario della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riguardante le donne, la pace e la sicurezza perché tale documento presenta una visione distorta dell’eguaglianza di genere. A mio avviso l’eguaglianza non si ottiene con la presenza femminile nelle organizzazioni militari o nelle forze di polizia internazionali. La sicurezza delle donne, nel significato che la risoluzione 1325 delle Nazioni Unite le attribuisce, si salvaguarda creando posti di lavori fissi, in modo da prevenire i conflitti, utilizzando mezzi civili e pacifici e non con l’intervento militare. Questa specifica risoluzione, invece, invita ad aumentare il numero delle donne assegnate alle missioni militari e di polizia e chiede all’Unione europea di nominare un maggior numero di funzionari di polizia e soldati donna per le missioni di politica di sicurezza e difesa comune. Un’ulteriore ragione per cui ho votato contro la risoluzione in esame è stato il rifiuto degli emendamenti proposti dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, volti a eliminare questi inviti e a chiedere un maggiore coinvolgimento delle donne nell’EUPOL e nell’EUSEC, nonché una maggiore presenza femminile in seno alla Repubblica democratica del Congo.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Stiamo celebrando il decimo anniversario della prima risoluzione delle Nazioni Unite che ha affrontato l’impatto sproporzionato ed eccezionale dei conflitti armati sulle donne. Spero che l’Unione europea possa cogliere quest’occasione per inviare un forte segnale politico e rafforzare gli sforzi per la sua attuazione, sia attraverso orientamenti politici, sia attraverso un aumento delle risorse finanziarie. Mi auguro che l’attuale revisione politica dell’Unione europea in materia di diritti dell’uomo possa portare all’elaborazione di una strategia coerente in termini di diritti umani e a una valutazione delle linee guida dell’Unione sulla violenza contro le donne e le ragazze e sulla situazione dei minori nei casi di conflitti armati, con l’obiettivo di combattere ogni forma di violenza e discriminazione.

Ritengo che l’istituzione del servizio europeo per l’azione esterna possa contribuire a una migliore attuazione di queste risoluzioni e, al contempo, mettendo in luce al contempo il ruolo dell’Unione europea in tale ambito. Mi congratulo con i 10 Stati membri, tra cui il Portogallo, che hanno già adottato un piano d’azione nazionale per attuare la risoluzione e spero che tutti gli altri seguano tale esempio quanto prima.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – Ritengo sorprendente come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si sia per la prima volta interessato alla particolare condizione in cui versano le donne in territorio di guerra solo dieci anni fa. Tuttavia, occorre ora prendere atto dei risultati raggiunti e continuare in questa direzione. L’Unione Europea ha la sensibilità necessaria per prendere in considerazione tali tematiche. In particolare, è giunto il momento di compiere un passo in avanti, e di riconoscere che la donna subisce traumi diversi, e inoltre vive certe condizioni e subisce certe costrizioni in maniera assai più profonda di quanto non accada, mediamente, agli uomini. Fornisco pertanto il mio pieno appoggio alla risoluzione, poiché chi ha intenzione di portare la pace in contesti bellici, deve anzitutto farsi portatore di serenità a livello individuale. A tal fine, differenziare il target è il modo migliore per realizzare un impiego più efficiente delle risorse, obiettivo che teniamo a perseguire, soprattutto se il risultato è un sincero e aggraziato sorriso di donna.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) Purtroppo, tutti i testi preparati (le risoluzioni, i piani nazionali e internazionali volti a migliorare il livello di protezione delle donne nelle zone di conflitto) non sono riusciti a eliminare quest’arma barbarica cui spesso si ricorre nella guerra moderna: la violenza sessuale. Anzi, l’impunità crea condizioni tali da agevolare la diffusione di questa pratica, diametralmente opposta ai nostri valori.

Come molti altri, mi sono più volte espresso contro gli stupri di massa perpetrati in Congo, in Liberia e in altre zone di conflitto, principalmente in Africa. Il problema più grave è che sono stati segnalati incidenti relativi ad atrocità perpetrate nelle immediate vicinanze dalle basi delle forze delle Nazioni Unite. Le migliaia di donne vittime di abusi sessuali e di violenza sono inoltre condannate a portare in futuro il marchio sociale ed il peso di terribili malattie, come l’HIV. L’Unione europea deve rafforzare le proprie azioni per combattere queste gravi violazioni dei diritti umani, in modo tale che le risoluzioni delle Nazioni Unite non rimangano un semplice pezzo di carta.

La Giornata internazionale contro la violenza contro le donne, che celebriamo il 25 novembre, deve ricordarci che le donne sono vittime di violenza domestica (fenomeno che si verifica con allarmante frequenza), violenza sessuale da parte del coniuge, molestie sessuali e traffico di esseri umani.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Quando pensiamo ai conflitti armati e ai più tradizionali scenari di guerra, pensiamo all’uomo come alla prima vittima. Invece, purtroppo, ovunque vi sia un conflitto armato e la pace sia minacciata, le prime e più numerose vittime, quantunque silenziose, sono donne e bambini. Le donne affrontano innumerevoli minacce, sia in un contesto di guerra e di conflitto, con la pratica di usanze barbare che ne violano i diritti, sia a causa della povertà e dell’esclusione sociale. è per questo importante che l’Europa non dimentichi le donne che vedono violati quotidianamente i propri diritti più basilari, come la vita e l’integrità fisica, le donne che vengono condannate a morte per lapidazione, le donne cui è negato l’accesso all’istruzione, le donne obbligate a fuggire e vivere da profughe per poter godere delle libertà che la Carta dei diritti conferisce a noi tutti, nonché le donne vittime di discriminazione meramente a causa del proprio genere. Insomma, è fondamentale che l’Europa non dimentichi e non volti le spalle a tutte le donne che non hanno ancora la garanzia di un futuro di libertà e di speranza.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Le violenze contro le donne nelle zone di conflitto sono spesso un’estensione della discriminazione di genere che purtroppo esiste anche in tempi di pace. Ho votato a favore della relazione in oggetto perché concordo circa la necessità di assegnare risorse finanziarie e umane per la partecipazione delle donne e l’integrazione della dimensione di genere nel campo della politica estera e di sicurezza (PSDC). Sottolineo la necessità di istituire adeguate procedure pubbliche di denuncia nell’ambito della politica estera e di sicurezza, che favoriscano in particolare la segnalazione delle violenze sessuali e di genere e invito l’Alto rappresentante/Vicepresidente della Commissione ad includere informazioni dettagliate su donne, pace e sicurezza nella valutazione semestrale delle missioni PSDC.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo voto contrario a questa risoluzione perché crediamo non basti avere una prospettiva di genere nelle missioni civili e militari. I problemi della discriminazione delle donne non verranno risolti e le guerre non diventeranno più giuste grazie al coinvolgimento di un maggior numero di donne nelle missioni militari impegnate in conflitti e occupazioni come è accaduto in Iraq o in Afghanistan. La realtà ci dimostra che le cose non stanno così.

Gli interventi militari non aiutano a proteggere i diritti delle donne, ma, anzi, ne aumentino le violazioni. Soltanto la prevenzione dei conflitti e l’applicazione di misure civili in situazioni di conflitto possono mantenere la promessa formulata nella risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Per tale ragione, ci rammarichiamo che non siano state approvate le proposte di emendamento che abbiamo presentato.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signor presidente, cari colleghi, oggi é il 25 novembre, giorno in cui si celebra la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Con il voto odierno sulla proposta di risoluzione comune sul decimo anniversario della risoluzione numero 1325 (2000) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riguardante le donne, la pace e la sicurezza, vogliamo dare un segno tangibile del nostro impegno come membri del Parlamento europeo ma, soprattutto, come cittadini europei. È giusto ricordare questo decimo anniversario, per non dimenticare che l’80 per cento delle vittime delle guerre sono civili, soprattutto donne e bambini. Il tema dei diritti fondamentali dell’uomo e dell’estensione della loro tutela deve sempre essere al centro del dibattito europeo, al fine di poter elaborare delle strategie comuni ed efficaci, a tutela sia delle donne sia dei bambini. Sempre più spesso assistiamo al compimento di atti di violenza su tali categorie di persone, ma oltre ad adoperarci affinché gli autori di questi crimini ne rispondano personalmente, a seguito dell’intervento dell’autorità giudiziaria, dobbiamo porre in essere alcune condizioni essenziali per far sì che il fenomeno si riduca il più possibile, cercando di prevenire i conflitti e partecipando alla ricostruzione delle aree colpite dagli stessi.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione, che chiede l’assegnazione di risorse finanziarie, umane e organizzative specifiche e ingenti quanto alla partecipazione delle donne e all’integrazione della dimensione di genere nel campo della politica estera e di sicurezza; chiede di aumentare il numero delle donne assegnate alle missioni militari e di polizia, alle missioni attinenti alla giustizia e allo stato di diritto e alle operazioni di mantenimento della pace, nonché alle missioni diplomatiche e all’impegno per la costruzione della democrazia; invita gli Stati membri a promuovere attivamente la partecipazione delle donne nelle loro relazioni bilaterali e multilaterali con Stati e organizzazioni extra UE.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) celebrando Celebriamo oggi il decimo anniversario della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riguardante le donne, la pace e la sicurezza, ma rimane comunque ancora molto da fare in materia, soprattutto per quanto attiene alla violenza contro le donne, alle linee guida dell’Unione sui minori e i conflitti armati e alla lotta contro ogni forma di discriminazione nei loro confronti. Questo è il momento di unire gli sforzi di tutti per raggiungere tale obiettivo.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Nonostante io concordi con molti dei punti inseriti nella risoluzione, in particolar modo con la necessità di far progredire verso la parità di genere nella cooperazione allo sviluppo, ho votato contro il documento in esame perché mi oppongo a un aumento di funzionari di polizia e soldati, siano essi uomini o donne, in quanto questo rappresenta un avanzamento nella corsa alla militarizzazione dell’Unione europea. La risoluzione “sottolinea che è importante che l’UE nomini un maggior numero di funzionari di polizia e soldati donna alle missioni PSDC”, il che è fortemente contrario al sostegno del mio gruppo alla smilitarizzazione della politica di sicurezza e difesa comune. Il documento, inoltre, fa costantemente riferimento al servizio europeo per l’azione esterna, alla cui istituzione mi sono sempre dimostrato contrario, in virtù del fatto che rappresenta un passo verso la crescente militarizzazione della politica estera europea.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) Se la risoluzione 1325 del 31 ottobre 2000 segna la presa di coscienza da parte degli Stati membri delle Nazioni Unite dell’impatto che i conflitti armati hanno sulle donne, delle violenze che queste subiscono nei periodi di guerra e dell’importante ruolo che esse potrebbero svolgere nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, il decimo anniversario di questo documento, che celebriamo quest’oggi, è anche un occasione per stilare un bilancio. A tale proposito possiamo citare le risoluzioni 1820 (2008) e 1888 (2009), che, per la prima volta, riconoscono esplicitamente il ricorso alla violenza sessuale come tattica di guerra, elemento che necessita di risposte politiche e di sicurezza specifiche.

L’onorevole Wallström è stata inoltre nominata rappresentante speciale per le questioni relative alle “violenze sessuali ai danni di donne e ragazze nei conflitti armati”. Questa grave problematica merita tutta la nostra attenzione e per questo, in qualità di copresidente dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE, ho tenuto particolarmente a che fosse inserita all’ordine del giorno della seduta plenaria dell’Assemblea, che si terrà a Kinshasa il prossimo 2 dicembre.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Le donne continuano a essere oggetto di discriminazione in molti paesi del mondo. La violenza contro le donne è all’ordine del giorno e questa realtà è particolarmente drammatica nelle situazioni di conflitto. Alcuni studi rivelano che le donne nelle regioni di crisi con conflitti militari sono spesso oggetto di violenza o di schiavitù sessuale. Punire la violenza sessuale contro le donne come un crimine contro l’umanità deve essere un obiettivo prioritario, anche nelle regioni colpite dalla guerra. Lo sfruttamento sessuale è sempre un comportamento ingiustificabile e criminale e anche le nazioni occidentali ne condividono la responsabilità. La relazione affronta questioni importanti e pertanto mi sono espresso a favore.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – La violenza contro le donne nelle zone colpite da conflitti è spesso un’estensione della discriminazione di genere; considerando poi che quest’anno la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne coincide con il decimo anniversario della risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza, questo potrebbe e/o dovrebbe segnare l’inizio di un percorso rafforzato per l’attuazione di tale risoluzione, sulla quale non potrebbero esserci progressi senza una guida politica di alto livello e senza maggiori risorse. Ritengo che tale questione debba essere affrontata nel quadro della revisione in corso della politica dell’UE in materia di diritti dell’uomo, attraverso l’assegnazione di specifiche risorse finanziarie, umane e organizzative per la partecipazione delle donne e l’integrazione di genere. Ritengo tale occasione il punto di partenza per un’azione mirata di rafforzamento, potenziamento e sviluppo dell’integrazione delle donne. La questione delle donne, della pace e della sicurezza dovrebbe diventare parte integrante della programmazione e pianificazione degli strumenti finanziari esterni per la democrazia ed i diritti umani, la cooperazione e lo sviluppo tra i popoli.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Sono passati dieci anni dall’adozione delle risoluzioni 1325 (2000) e 1820 (2008) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (CSNU), sulle donne, la pace e la sicurezza, e della risoluzione 1888 (2009) del CSNU sulla violenza sessuale contro le donne e i bambini in situazioni di conflitto armato. Tali risoluzioni accentuano la responsabilità che tutti gli Stati condividono di porre fine all’impunità e perseguire i responsabili di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra, compresi quelli legati alla violenza sessuale e a crimini di altro tipo contro donne e ragazze.

Sono passati dieci anni dall’adozione delle risoluzioni e, come indicato nella risoluzione in oggetto e alla quale ho espresso voto favorevole, molto deve essere ancora fatto. La Giornata internazionale della contro la violenza contro le donne, che si celebra il 25 novembre, data della votazione di questa risoluzione, non è soltanto una celebrazione, ma è anche un richiamo ad una realtà purtroppo ancora attuale. questioni Questi problemi devono essere trattati al più alto livello e rimanere nell’agenda politica fino alla definitiva eliminazione di questo flagello che non conosce razza, fede, né età.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) La risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 31 ottobre 2000, afferma che, nel corso della storia, le donne non sono state coinvolte nel processo d’istituzione di pace e stabilità in nessun paese e invita a un loro equo coinvolgimento a tutti i livelli, dalla prevenzione dei conflitti alla ricostruzione post-bellica e al mantenimento della pace e della sicurezza. Il decimo anniversario dall’adozione di questo documento dovrebbe segnare l’inizio di una nuova agenda, che verrà introdotta e che non sarà possibile realizzare senza una guida politica al più alto livello e senza le risorse necessarie. L’Unione europea deve promuovere attivamente la nomina di quante più donne possibile in posizioni manageriali al fine di coordinare e garantire coerenza alle politiche e alle azioni comunitarie, nonché per verificare l’effettivo rispetto degli impegni presi.

L’Unione europea deve nominare almeno cinque donne per i ruoli manageriali del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) in modo da rispettare l’equilibrio di genere nel numero di specialisti assunti. Il SEAE, al contempo, necessita di un’unità organizzativa incaricata delle questioni di genere, che preveda almeno una posizione a tempo pieno per ciascuna area geografica e per ciascuna delegazione dell’Unione che si occupi delle questioni di genere, e che sia responsabile per le donne, la pace e la sicurezza.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Mi auguro che il decimo anniversario della risoluzione 1325 (2000) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite segni l’inizio di un’agenda rafforzata per l’attuazione degli impegni presi in materia di donne, pace e sicurezza.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) Sono lieto dell’adozione di questa risoluzione, che sottolinea che il decimo anniversario della risoluzione 1325 (2000) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve segnare l’inizio di un’agenda rafforzata per l’attuazione della risoluzione stessa, sulla quale non è possibile realizzare progressi senza una guida politica al più alto livello e senza maggiori risorse. Il testo raccomanda vivamente che la questione venga debitamente affrontata nel quadro della revisione in corso della politica comunitaria in materia di diritti dell’uomo, quando si tratterà di elaborare una strategia dettagliata per paese sui diritti umani e di valutare le linee guida dell’Unione europea sulla violenza contro le donne e le ragazze e sui minori e i conflitti armati e la lotta contro ogni forma di discriminazione nei loro confronti e chiede l’assegnazione di specifiche e significative risorse finanziarie, umane e organizzative per la partecipazione delle donne e l’integrazione della dimensione di genere nel campo della politica estera e di sicurezza.

 
  
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  Charles Tannock (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei sostiene pienamente le pari opportunità, i pari diritti e la non discriminazione di genere per tutte le donne, come stabilito nella risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sostiene con forza l’inestimabile ruolo delle donne nel settore della pace e della sicurezza e condanna il barbarico ed orrendo trattamento cui sono sottoposti donne e bambini nelle zone di conflitto.

Il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, tuttavia, è sempre stato contrario all’istituzione di quote rosa in seno a enti regionali, nazionali e internazionali, nonché all’istituzione del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).

 
  
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  Marc Tarabella (S&D), per iscritto. (FR) Sono lieto dell’adozione di questo documento commemorativo del decimo anniversario della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riguardante le donne, la pace e la sicurezza che avviene proprio in questa data simbolica del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Vorrei sottolineare la necessità di promuovere la partecipazione femminile in ogni settore operativo, tra cui le attività di riconciliazione, negoziazione, consolidamento, ripristino e mantenimento della pace e prevenzione dei conflitti. È fondamentale che tutte le parti presenti tengano conto delle necessità specifiche delle donne, in quanto è solo attraverso una maggiore presenza femminile sul posto che riusciremo a migliorare la situazione.

Inoltre, la maggiore visibilità accordata alle donne sul territorio permetterebbe di sensibilizzare le popolazioni circa la natura inumana del ricorso alla violenza sessuale come arma di guerra e, forse, di porre fine all’impunità di cui godono gli autori di simili violenze.

Tale presenza, infine, permetterà l’instaurarsi di una reciproca fiducia tra le vittime civili di conflitti, principalmente donne e bambini, e gli operatori sul campo.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0622/2010

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della presente risoluzione perché la mortalità delle api sta aumentando, mentre il numero degli apicoltori è in diminuzione. Si tratta di una situazione problematica per l’agricoltura e per la biodiversità, considerando che l’84 per cento delle specie di piante e il 76 per cento della produzione alimentare dipendono dall’impollinazione ad opera delle api. Propendo per una maggiore ricerca, che contribuisca all’attuazione di soluzioni migliori, e sostengo l’adozione di misure a favore della biodiversità e dell’attenuazione degli effetti del cambiamento climatico, in quanto la vita di un’ape operaia è molto breve ed estremamente vulnerabile alle alterazioni dell’ambiente. Per tale ragione, anche la produzione di miele è stata compromessa, non solo dalla durata e dalla stabilità delle stagioni sempre più incerte, ma anche dall’aumento delle aggressioni esterne, quali il ricorso a pesticidi, gli acari o altro. I programmi attuali devono pertanto essere rafforzati nell’ambito della nuova Politica agricola comune, in modo da trovare soluzioni più efficaci anche a questo livello.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Il 2010 è stato dichiarato Anno europeo della biodiversità per attirare l’attenzione del mondo intero sulle minacce alla biodiversità. Anche il settore dell’apicoltura, che nelle aree rurali rappresenta un’importante fonte di occupazione e di reddito, è a rischio a causa del recente aumento della mortalità e delle malattie delle api. Ho votato a favore di questa risoluzione in cui il Parlamento europeo invita la Commissione a finanziare studi specifici per migliorare la conoscenza e la comprensione dei fattori che influiscono sulla salute delle api. La risoluzione in esame osserva che le colture geneticamente modificate e la diffusione di tossine attraverso i pollini possono influire sulle malattie e sulla mortalità delle api. Visto che grano, frutta e verdura in Europa dipendono dall’impollinazione ad opera delle api, tali colture e l’agricoltura in generale sono soggette al grosso rischio di diverse malattie. Reputo che, a fronte di tanta incertezza, la Commissione europea debba condurre urgentemente una ricerca indipendente, che valuti gli effetti sull’ambiente e su specie specifiche delle colture geneticamente modificate e della diffusione di tossine attraverso i pollini e garantire che tali dati siano resi pubblici.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Le api svolgono un ruolo importante nell’equilibrio ecologico e la loro estinzione avrebbe gravi conseguenze sulla catena alimentare. La relazione in esame sostiene la necessità di promuovere e migliorare il settore dell’apicoltura, soprattutto per quanto concerne i dati statistici relativi alle previsioni di produzione di miele, il miglioramento e l’armonizzazione dei programmi di monitoraggio e di ricerca, una maggiore chiarezza nelle disposizioni concernenti l’etichettatura d’origine del miele, l’elaborazione dei programmi destinati all’apicoltura e della relativa legislazione, e lo sviluppo di trattamenti innovativi ed efficaci per combattere l’acaro varroa.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – L’effetto moltiplicatore del fenomeno dell’impollinazione, vale a dire il rapporto tra il valore economico dell’impollinazione stessa e del miele prodotto grazie ad essa, porta a risultati eccezionali dal punto di vista economico.

Appare pertanto un controsenso, in tempi in cui si ricerca l’efficienza in tutte le sue forme, che si vada cessando un’attività nella quale il rapporto tra costi e benefici mostra tutta l’insensatezza di una simile scelta. Poiché le ragioni non vanno ricercate in parametri economici, ma piuttosto in condizioni esterne, ritengo che la relazione della commissione colga nel segno proponendosi di contrastare tutti i fattori che ostacolano, al momento, l’allevamento delle api.

Ritengo inoltre che valga la pena incentivare, mediante misure collaterali, questa attività, e reputo necessario accogliere con favore qualsiasi contributo scientifico in tal senso.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. (RO) Credo che la Commissione europea debba adeguare la portata e il finanziamento della Politica veterinaria europea in modo da tener conto delle specificità delle api e dell’apicoltura con l’obiettivo di controllare più efficacemente le malattie e la disponibilità di medicinali veterinari standard in tutta l’Unione in collaborazione con le organizzazioni degli apicoltori.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Attualmente, il 40 per cento del mercato europeo del miele dipende dalle importazioni, fattore che determina una considerevole volatilità dei prezzi ed ha comportato un pesante svantaggio concorrenziale per gli apicoltori di tutta l’Unione europea, inclusi quelli portoghesi, rispetto al miele proveniente da paesi terzi. Secondo le statistiche ufficiali, in Portogallo esistono 17 291 apicoltori, per un totale di 38 203 arnie e 562 557 colonie. Nel 2009 la produzione ammontava a 6 654 tonnellate di miele e 235 tonnellate di cera, ovvero all’1,9 per cento della produzione di miele dell’intera Unione europea (351 mila tonnellate). L’azione delle api e l’apicoltura sono fondamentali per la manutenzione degli ecosistemi, per l’equilibrio ecologico della flora e per la conservazione della biodiversità oltre a essere, dal punto di vista economico, un’attività che l’Europa deve proteggere e incoraggiare per diventare meno dipendente dalle importazioni.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Le api sono indispensabili per l’impollinazione delle colture, per il mantenimento dell’equilibrio ecologico e quale elemento di preservazione della biodiversità. Mi rammarico quindi per la diminuzione del numero di colonie di api, un fenomeno circa il quale necessitiamo di dati scientifici che ci permettano di comprendere i meccanismi che favoriscono la diffusione delle api e di sviluppare mezzi per garantirne la preservazione. è fondamentale puntare sul miele europeo, che viene progressivamente sostituto da altri mieli di qualità inferiore che non rispettano i criteri di produzione dell’Unione europea.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. – Gentile Presidente, onorevoli colleghi, l’apicoltura è uno dei modelli di sfruttamento agricolo con minor impatto ambientale e rappresenta, di conseguenza, un’attività particolarmente adatta alle zone protette. Nella mia regione l’ampia diffusione dell’apicoltura costituisce non solo un ottimo esempio di gestione territoriale, ma anche una testimonianza della storia, della tradizione e dell’identità locale. Da moltissimi anni la coltura delle api in Veneto realizza prodotti di ottima qualità e contribuisce al sostentamento delle aree più svantaggiate. Il settore non può, però, continuare a dare tali risultati senza che l’Unione europea contribuisca a finanziarlo, in collaborazione con i livelli di governo nazionale, regionale e locale. Come indicato nella proposta di risoluzione, è importante incentivare la ricerca contro le malattie delle api e sostenere i produttori europei nella concorrenza che devono affrontare con i paesi terzi, dopo l’apertura del mercato UE alle importazioni di miele. Voterò, pertanto, a favore di tale proposta.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente relazione perché il settore dell’apicoltura svolge un ruolo strategico nella società, fornendo prestazioni pubbliche ed ecologiche. Oggi assistiamo a un’allarmante riduzione di insetti impollinatori, tra cui le api mellifere. Considerato che l’84 per cento delle specie di piante e il 76 per cento della produzione alimentare in Europa dipendono dall’impollinazione ad opera delle api, il valore economico dell’impollinazione risulta decisamente maggiore del valore del miele prodotto. Il 40 per cento del mercato europeo del miele dipende dalle importazioni e in passato l’apertura del mercato dell’Unione europea al miele proveniente da Stati terzi ha comportato un pesante svantaggio concorrenziale per gli apicoltori di tutta l’Unione. Dobbiamo pertanto sostenere lo sviluppo futuro dell’apicoltura europea, contribuendo a preservare la biodiversità. È importante adottare un approccio globale e sostenibile che comprenda, in particolare, lo sviluppo rurale, il cambiamento climatico e la biodiversità, soprattutto incoraggiando le misure volte a mantenere ed estendere i pascoli fioriti. È importante sostenere l’apicoltura europea in modo ancora più ampio e coerente, utilizzando strumenti supplementari nel quadro della futura Politica agricola comune, in particolare misure volte a valorizzare la biodiversità, ad attenuare gli effetti del cambiamento climatico, a preservare il patrimonio di tradizioni e culture nazionali che danno lavoro a numerose famiglie europee e a salvaguardare e migliorare la qualità e il buon funzionamento del mercato dei prodotti dell’apicoltura.

 
  
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  Peter Jahr (PPE), per iscritto. (DE) Le api sono creature estremamente importanti, senza le quali non avremmo l’impollinazione. Per questo il sempre crescente numero di relazioni sulla diminuzione delle colonie di api è preoccupante e necessita di indagini urgenti, e questo vale in particolar modo per il settore dell’apicoltura, estremamente dipendente dall’utilissimo lavoro delle api. Purtroppo è evidente che l’industrialismo e la vita moderna hanno reso più difficile la sopravvivenza di queste api benefiche. Fenomeni come l’estinzione delle api a causa dell’acaro varroa, un inspiegato esodo delle colonie di api negli Stati Uniti e la minaccia proveniente dall’elettrosmog e dalle sementi trattate in modo scorretto, purtroppo, non sono incidenti isolati. Per tutti questi motivi sono lieto che il Parlamento abbia oggi convenuto di sostenere, in futuro, il settore dell’apicoltura. Ritengo sia importante concentrarci sulla ricerca relativa alle popolazioni delle api.

Senza dati scientifici precisi, non saremo in grado di identificare i problemi e di affrontarli in modo efficace. Spero che riusciremo a spiegare e prevenire il declino delle colonie di api, in modo da continuare a beneficiare degli importanti e molteplici ruoli che esse svolgono.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) L’apicoltura è estremamente importante per l’agricoltura, soprattutto per l’impollinazione, dalla quale dipendono raccolti da. La continua moria di api in diverse regioni è ancor più preoccupante e si rende necessario adottare misure per affrontare il problema. Sostengo pertanto la risoluzione in esame, che invita la Commissione a inserire le malattie delle api nell’ambito d’azione della Politica veterinaria europea e a stabilire un piano d’azione per combatterne la mortalità. Si invita la Commissione ad assicurare che il sostegno attualmente concesso al settore dell’apicoltura sia mantenuto nel quadro della Politica agricola comune dopo il 2013, al fine di garantire la continuità del settore. Il 40 per cento del mercato europeo del miele dipende dalle importazioni, in parte a causa dell’apertura del mercato dell’Unione europea al miele proveniente da Stati terzi, e i prezzi rasentano i limiti della profittabilità.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, egregi Colleghi, ho votato a favore della proposta di risoluzione sull’apicoltura perché è importante garantire attenzione ad un comparto che difende la biodiversità e che produce un alimento completo quale il miele. In ragione di tale ruolo è stato previsto un aumento del contributo annuale al comparto in Europa che passa da 26 milioni di euro per il periodo 2008-2010 a 32 milioni di euro per il 2011-2013. Questi finanziamenti saranno finalizzati proprio a sostenere l’apicoltura anche attraverso progetti nazionali di ricerca su nuovi metodi per contrastare l’elevata mortalità delle api, che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli di allarme. D’altra parte, però, è importante garantire equa trasparenza nella distribuzione degli aiuti e garantire maggiori risorse agli Stati che effettivamente ne hanno bisogno. Io ho votato a favore di un’implementazione del sistema di censimento dei dati entro il 2012. Una scelta in direzione della trasparenza affinché gli aiuti siano distribuiti sulla base dei dati censiti delle arnie presenti nei vari Stati membri e non sulla base di dati stimati. Ho ritenuto ciò estremamente importante al fine di garantire equità per la spesa pubblica e tutela per quanti praticano realmente l’attività apistica.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Nel 2010, Anno europeo della biodiversità, su scala mondiale il settore dell’apicoltura è gravemente minacciato poiché si osservano perdite tra cento e mille volte più rapide del normale. Il settore dell’apicoltura svolge una funzione strategica per la società, poiché le sue attività sono un limpido esempio di “occupazione ecologica” (miglioramento e mantenimento della biodiversità, equilibrio ecologico e conservazione della flora) e un modello di produzione sostenibile nel mondo rurale. Accolgo quindi con favore la risoluzione, che presenta proposte volte a migliorare la situazione del settore dell’apicoltura.

 
  
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  Mario Mauro (PPE), per iscritto. – La mortalità delle api in preoccupante aumento e il numero degli apicoltori in diminuzione potrebbero avere conseguenze molto negative sulla produzione alimentare europea poiché, come tutti sappiamo, la maggioranza delle colture e delle piante dipendono dall’impollinazione.

È opportuno quindi che questo Parlamento chieda all’Unione europea di aumentare il sostegno al settore dell’apicoltura in vista del rinnovamento della politica agricola comune. È necessario un intervento forte e concreto per contrastare questo fenomeno e per scongiurarne gli effetti negativi sulla nostra economia sia nel settore agricolo che commerciale.

Il piano d’azione richiesto nella risoluzione per contrastare la mortalità delle api è solo la prima di una serie di misure che vanno adottate. Il mio voto è favorevole.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea dipende fortemente dalle importazioni in questo settore considerando che il 40 per cento del miele che consumiamo proviene da paesi terzi. Vista l’importanza dell’apicoltura, che svolge una funzione strategica per la società, fornendo prestazioni pubbliche ed ecologiche, e considerato che le sue attività sono un limpido esempio di “occupazione ecologica” (miglioramento e mantenimento della biodiversità, equilibrio ecologico e conservazione della flora) e un modello di produzione sostenibile nel mondo rurale, è nel pieno interesse di tutti appoggiare la crescita sostenibile di tale settore e renderci meno dipendenti dai paesi terzi. Anche nel mio paese tale settore necessita di cure perché i benefici che ne derivano siano visibili in termini sia economici che ambientali e per permettere un aumento della produzione di miele, che attualmente ammonta solo all’1,9 per cento della produzione dell’Unione europea.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Il mio sostegno alla risoluzione sulla situazione nel settore dell’apicoltura è dovuto alla preoccupazione che nutro per la grave riduzione delle api, animali fondamentali e insostituibili per la loro importantissima attività di impollinazione che, assieme agli altri insetti impollinatori, forniscono all’84 per cento delle specie vegetali. Per questo, ritengo che sia fondamentale aiutare a migliorare la situazione di questo settore che, come indica la risoluzione, l’apicoltura “svolge una funzione strategica per la società, fornendo prestazioni pubbliche ed ecologiche”.Sono lieto che la risoluzione inviti la Commissione a considerare obbligatoria la consultazione degli apicoltori da parte delle autorità europee e nazionali nel corso dell’elaborazione dei programmi destinati all’apicoltura e della relativa legislazione, in quanto ritengo che ciò rappresenti un progresso verso una maggiore partecipazione dei cittadini e una maggiore democrazia. Ho votato a favore del documento in esame anche perché concordo sul fatto che la Commissione debba garantire l’aumento degli aiuti al settore dell’apicoltura nel quadro della Politica agricola comune dopo il 2013.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La diminuzione nel numero delle colonie delle api rappresenta un problema che interessa l’intera Unione europea, con cause ancora inspiegabili. Fattori come l’uso di prodotti fitosanitari, tecniche agricole non sostenibili, cambiamenti climatici, agenti patogeni e parassiti e la penuria di alimenti e di aree di raccolta a causa dell’aumento delle monocolture hanno già portato a una significativa riduzione del numero di api mellifere. Oltre alle conseguenze di ordine ecologico, il fenomeno comporta un impatto economico, in quanto rende necessario importare maggiori quantitativi di miele. Per affrontare il problema, il settore europeo dell’apicoltura deve ricevere maggiore sostegno in futuro. La relazione in esame adotta un approccio complessivamente equilibrato e per questo ho votato a suo favore.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Nel 2010, il settore dell’apicoltura ha subito perdite massicce e le colonie di api sono sensibilmente diminuite, con un conseguente impatto negativo sull’ambiente in genere e sull’agricoltura, in quanto le api sono importanti agenti impollinatori e la situazione risulta particolarmente negativa quando si guarda alle api mellifere. Per questo mi sono espresso a favore della relazione in esame, che adotta misure volte ad affrontare l’alta mortalità delle api.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo con favore la risoluzione approvata ad ampia maggioranza durante la seduta plenaria di Strasburgo del 25 novembre, che include importanti contributi presentati direttamente dagli apicoltori delle Azzorre in occasione di una consultazione che ho svolto personalmente.

Il testo definitivo della risoluzione è un po’ deludente a fronte delle mie aspettative iniziali, in quanto alcune tematiche di importanza fondamentale per i produttori, come la questione degli standard di qualità e dell’etichettatura del miele d’importazione, avrebbero dovuto essere maggiormente approfondite. Probabilmente, questo è dovuto a una mancata sensibilità rispetto ad alcuni importanti problemi del settore che ha portato, ad esempio, ad escludere la questione dell’etichettatura locale dal testo definitivo della risoluzione.

Il documento affronta comunque aspetti fondamentali per l’apicoltura delle Azzorre e per quella nazionale in generale, grazie al lavoro svolto in collaborazione con il settore, quali ad esempio la questione del miele importato da paesi terzi, che presenta gravi problemi di qualità cui ora si aggiungono un’etichettatura inadeguata, la necessità di continuare a garantire un’agricoltura diversificata per assicurare l’impollinazione e, infine, l’importanza di standard e ricerca comuni in seno all’Unione europea.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Il settore dell’apicoltura svolge una funzione strategica per la società, poiché le sue attività sono un limpido esempio di “occupazione ecologica” (miglioramento e mantenimento della biodiversità, equilibrio ecologico e conservazione della flora) e un modello di produzione sostenibile nel mondo rurale. Il settore affronta, a livello europeo, una serie di sfide e difficoltà, segnatamente questioni di commercializzazione, la volatilità dei prezzi, la partecipazione delle nuove leve di apicoltori, il calo delle colonie di api e l’aumento della mortalità. È pertanto sensato aumentare il sostegno a detto settore.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) Sono lieto dell’adozione di questa risoluzione, con la quale il Parlamento europeo accoglie favorevolmente la relazione della Commissione del 28 maggio 2010. Il Parlamento osserva, tuttavia, che i programmi vigenti scadono nel 2013 ed è preoccupato per le sfide e le difficoltà cui il settore europeo dell’apicoltura deve ancora far fronte, segnatamente questioni di commercializzazione, la volatilità dei prezzi, la partecipazione delle nuove leve di apicoltori, l’invecchiamento degli apicoltori nell’Unione europea, il calo delle colonie di api e i problemi più generali legati alla mortalità delle api a causa di molteplici fattori. Il Parlamento invita la Commissione ad accettare le richieste degli Stati membri e degli operatori del settore, ad esempio, migliorando i dati statistici relativi alle previsioni di produzione, compresa l’introduzione di identici requisiti di qualità per il miele, e migliorando e armonizzando i programmi di monitoraggio e di ricerca nel settore dell’apicoltura.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D), per iscritto. (FR) Sono lieto dell’adozione della proposta presentata dall’ottimo collega e presidente di commissione, onorevole de Castro. In effetti, le conseguenze legate alla diminuzione del numero di api nel mondo sono relativamente sconosciute al grande pubblico, mentre le api svolgono un ruolo fondamentale per la sostenibilità della nostra catena alimentare. Abbiamo bisogno di una politica di ricerca ambiziosa per comprendere meglio i meccanismi che contribuiscono alla diffusione della specie e per dotarci dei mezzi necessari alla sua preservazione. Non possiamo accettare il miele cinese, di qualità inferiore e non rispondente ai nostri rigorosi criteri di produzione, come una fatalità, come l’unica alternativa alla progressiva carenza di miele che si registra in Europa. Mi rincresce che i colleghi del Parlamento europeo non abbiano votato l’insieme degli emendamenti che avevo presentato e condanno il fatto che il vergognoso e illimitato uso di neurotossine sia stato ipocritamente sostenuto, in accordo con i grandi gruppi dell’industria chimica. Einstein ha detto: “Se l’ape sparisse dalla faccia della terra, all’uomo resterebbero solo quattro anni da vivere”. Facciamo in modo di non dover mai verificare la veridicità di tale affermazione.

 
  
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  Artur Zasada (PPE), per iscritto. (PL) Adottando la risoluzione sulla situazione nel settore dell’apicoltura compiamo un passo in avanti nel rafforzamento e nel miglioramento dello stato in cui esso versa. I problemi di questo importante settore, che continua a essere sottovalutato, hanno dimensione globale in quanto le api rivestono un’importanza economica ed ambientale fondamentali. L’elevato tasso di mortalità nelle famiglie di api sta avendo effetti negativi sulla produzione agricola. Abbiamo quindi bisogno di nuovi meccanismi di sussidio nelle prossime prospettive finanziarie dopo il 2013, in modo da permettere una maggiore ricerca scientifica a fronte della diminuzione del numero delle api e in modo da compiere passi significativi per ribaltare questa tendenza negativa. Dobbiamo fornire il nostro sostegno anche alle campagne d’informazione e alla formazione, in modo da incentivare nuove leve a diventare attive nel settore dell’apicoltura.

 
  
  

Relazione Kolarska-Bobińska (A7-0313/2010)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione “Verso una nuova strategia energetica per l’Europa 2011-2020” poiché ritengo sia necessaria una nuova strategia energetica per attuare un piano competitivo, sostenibile e sicuro. In un periodo in cui l’Europa è sempre più dipendente dalle importazioni di energia, ritengo fondamentale che continui a svolgere un ruolo preminente nelle questioni energetiche, concentrando la propria attenzione su innovazione e tecnologia.

Per raggiungere una maggiore sostenibilità della nostra strategia energetica, è necessario concentrarsi sulle energie rinnovabili, introducendo una maggiore concorrenza nel settore, per ottenere l'effettiva attuazione del mercato interno dell’energia, che consentirà un abbattimento dei costi e un aumento della competitività dell’economia, creando, al contempo, ricchezza e impiego, fattori importanti per l’equilibrio commerciale.

Provengo da una regione ultraperiferica con un livello di autosufficienza energetica del 27 per cento circa e che intende raggiungere il 75 per cento entro il 2012. Le Azzorre si sono poste obiettivi specifici più ambiziosi rispetto all’Unione e hanno già ottenuto risultati riconosciuti a livello europeo, particolarmente in ambito di energia geotermica, tramite un’ambiziosa politica di partenariati tra la regione e i migliori centri di ricerca nazionali e internazionali.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) L’obiettivo della nuova strategia energetica per l’Europa è di attuare il trattato di Lisbona in ambito di: mercato unico dell’energia, sicurezza dell’approvvigionamento, efficienza energetica, riduzione della dipendenza dalle importazioni e aumento della produzione energetica locale. Sostengo questa risoluzione perché l’Unione europea deve attuare rapidamente una normativa in questo settore e in ambito di strategie energetiche globali. È necessaria una strategia lungimirante, che garantisca il corretto funzionamento del mercato, il sostegno a reti integrate all’avanguardia, un migliore utilizzo del potenziale comunitario di efficienza energetica, la promozione di ricerca, sviluppo e innovazione e che metta gli interessi dei consumatori al centro della politica energetica dell’Unione. Ho pertanto votato a favore della relazione, che rappresenta un primo passo verso una politica energetica comunitaria di ampio respiro, all’interno della strategia Europa 2020.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Sebbene l’Europa abbia una posizione dominante in ambito di energie alternative, siamo ancora fortemente dipendenti dai combustibili fossili, in particolare dal petrolio. Questa dipendenza genera conseguenze a livello internazionale, poiché le fonti di combustibili fossili si trovano principalmente fuori dai confini dell’Unione. Il trattato di Lisbona assegna all’Unione europea nuove competenze in materia di energia, un settore di estrema importanza. Il Parlamento ha quindi adottato una strategia energetica per il periodo 2011-2020, che ho appoggiato e che include la promozione degli investimenti in quest’ambito, promuovendo altresì le iniziative dedicate alle energie rinnovabili. L’obiettivo è di garantire la sicurezza di approvvigionamento nell’Unione e per questo la gestione dei gasdotti e degli oleodotti che riforniscono l’Europa è considerata una priorità. La strategia unisce le esigenze di sicurezza energetica a breve termine ai progetti per la gestione delle future esigenze energetiche dell’Unione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho espresso il mio sostegno a questa relazione. L'inserimento di un capitolo specifico sull'energia nel trattato di Lisbona offre ora una solida base giuridica per lo sviluppo di iniziative in materia basate sulla sostenibilità, la sicurezza di approvvigionamento, l'interconnessione delle reti e la solidarietà. L’Unione deve fronteggiare il problema della tardiva o carente applicazione della legislazione sull'energia, che richiede una forte leadership da parte della Commissione per colmare il divario accumulato. Nei prossimi dieci anni, saranno necessari grandi investimenti nel settore interno dell’energia, destinati soprattutto a nuove centrali, connessioni e reti, che plasmeranno il mix energetico per il lungo termine, contribuendo alla creazione di un mercato energetico pulito e sostenibile. È necessario fornire finanziamenti pluriennali trasparenti a progetti in ambito energetico, garantire l’inclusione della regione del Mar Baltico nel mercato unico comunitario dell’energia e un pagamento delle fonti energetiche paritario a quello di altri Stati membri.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto.(FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione presentata dall’onorevole Kolarska-Bobińska perché condivido il suo punto di vista sull’orientamento delle future strategie energetiche dell’Unione europea: maggiore autonomia nei confronti dei paesi terzi che forniscono combustibili fossili, apertura degli Stati membri “isolati” dal punto di vista energetico e non ancora collegati adeguatamente al sistema energetico europeo, incentivi allo sviluppo delle energie rinnovabili e fornitura energetica esterna nel quadro del servizio europeo per l’azione esterna. È necessaria una strategia energetica comunitaria coerente e rivolta al futuro.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto.(RO) La politica di sicurezza energetica dell’Unione europea deve consentire non solo di reagire alle situazioni di crisi, ma anche di anticiparle; basta ricordare ad esempio la crisi del gas del 2009. Questa idea deve andare di pari passo con il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e dei consumi di energia del 20 per cento entro il 2020. Non sarà un compito semplice, anche perché i soli contributi finanziari per gli obiettivi ambientali raggiungeranno i 58 miliardi di euro e vi saranno finanziamenti destinati alla riduzione della sempre maggiore dipendenza dell’UE da fonti energetiche esterne. Dobbiamo unire gli aspetti interni ed esterni affinché l’Unione europea non sia più vulnerabile in materia di approvvigionamento energetico, adeguando le politiche di conseguenza. Tutte le misure volte a garantire il corretto funzionamento del mercato energetico interno devono essere associate a un’intensa attività diplomatica, che miri al rafforzamento della cooperazione con i principali paesi produttori, di transito e consumatori. È necessario preparare piani nazionali che contengano misure preventive e di emergenza, la cui efficacia sarà garantita da un coordinamento a livello comunitario.

 
  
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  Jan Březina (PPE), per iscritto. (CS) Ho votato a favore della relazione sulla strategia energetica, che indica la direzione da seguire per la futura politica energetica comunitaria. Desidero sottolineare il ruolo dell’energia nucleare nell’attuale e nel futuro mix energetico dell’Unione, nonché l’implicito riconoscimento della necessità di estendere il ciclo vitale degli impianti esistenti. La strategia può essere considerata equilibrata dal punto di vista delle fonti individuali, sebbene non citi mai l’importante ruolo, a mio avviso, del carbone, utilizzato nelle centrali elettriche moderne. Mi è difficile concepire come si possano aumentare la sicurezza e l’indipendenza energetica dell’Unione senza considerare il carbone come una solida risorsa primaria in grado di rispondere in modo flessibile a improvvisi aumenti della domanda energetica. Il punto debole della relazione è la sua natura eccessivamente generale e la mancanza di una normativa di accompagnamento. L’attuazione pratica che sarà data alla strategia sarà influenzata dal piano d’azione in fase di elaborazione per il raggiungimento di un'economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050, che sarà pubblicato all’inizio del prossimo anno. Alla luce della costante assenza di mercati regionali e di accoppiamento dei mercati, ritengo molto ambizioso l’obiettivo di creare un mercato interno unico entro il 2015, soprattutto se ricordiamo che la Commissione europea, a mio avviso, non controlla adeguatamente l’effettiva attuazione della normativa energetica comunitaria negli Stati membri. La Commissione europea ha giustamente inserito il “pacchetto infrastrutture” nella strategia energetica, il che semplificherà la creazione di reti di energia in tutta l’Unione europea.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) Lo sviluppo di una vera strategia europea per l’energia è ormai fondamentale. Come spiega la relazione dell’onorevole Kolarska-Bobińska, l’Unione europea si dibatte fra una pesante dipendenza dalle importazioni di energia e notevoli lacune nella propria legislazione. Come la relatrice, desidero evidenziare la necessità per l’Unione europea di dotarsi delle risorse pratiche e finanziarie necessarie per il raggiungimento dei propri obiettivi, anche attraverso un adeguato finanziamento di ricerca e sviluppo in ambito energetico. Sono convinto che la sicurezza dell’approvvigionamento vada di pari passo con un solido partenariato con la Russia. È sempre più evidente la necessità di ampliare la costruzione di gasdotti che trasportino il gas naturale in Europa dalle altre zone del mondo e di migliorare i collegamenti tra le reti degli Stati membri per aumentare la solidarietà energetica.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Il settore dell’energia costituisce una forza trainante della crescita economica. Dal 2008, l’Europa dispone di una strategia per l’energia e la lotta al cambiamento climatico e la sua attuazione è fondamentale.

Il trattato di Lisbona, però, ci consente di andare oltre, aprendo la strada alla creazione di una vera e propria comunità energetica all’interno dell’Unione. Dobbiamo sviluppare un mercato interno dell’energia, creare e consolidare i legami fra le reti di energia, garantire la sicurezza e la solidarietà energetica e porre il consumatore al centro di ogni questione. Sono necessari maggiori finanziamenti pubblici e lo sviluppo di strumenti e programmi che incentivino l’efficienza energetica; la ricerca scientifica e la tecnologia ricoprono un ruolo fondamentale nel raggiungimento di questi obiettivi. Alla luce di quanto detto, accolgo con favore l’avvio di numerose iniziative industriali europee nel quadro del piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET) ed esorto la Commissione ad attuare anche le rimanenti misure del piano. L’ottavo programma quadro deve portare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative in cima alle priorità del settore energetico. è quindi fondamentale lo stanziamento di fondi adeguati al sostegno delle tecnologie pulite e sostenibili: solo così sarà possibile mantenere la competitività delle nostre aziende e promuovere la crescita economica e la creazione di occupazione.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Ho votato contro la relazione “Verso una nuova strategia energetica per l’Europa 2011-2020”. Il testo è pienamente in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020, che elimina quel che rimane dell’Europa sociale, e promuove il rafforzamento della competitività europea, che genera però riduzioni tangibili nei salari e nei diritti dei lavoratori di questo settore. Al contempo, in piena crisi economica e mentre il settore energetico europeo (centrali elettriche, reti) tende a essere privatizzato, la relazione prevede maggiori stanziamenti alle infrastrutture energetiche, ad esempio finanziando indirettamente le grandi aziende. Ritengo che il tentativo della relazione di collegare la politica energetica comunitaria agli obiettivi di riduzione del cambiamento climatico sia pretestuoso, giacché i riferimenti sono vaghi e non dimostrano una ferma volontà politica.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della risoluzione “Verso una nuova strategia energetica per l'Europa 2011-2020”. I principali obiettivi presentati dalla relazione mirano al passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio e a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico per tutti gli Stati membri. Entrambi gli obiettivi si fondano su una garanzia di competitività dell’Unione e di distribuzione dell’energia a prezzi accessibili grazie alla sicurezza di approvvigionamento. Per garantire la sicurezza energetica, ritengo sia fondamentale estendere i regolamenti attuati nel mercato comunitario interno dell’energia ai paesi vicini, nonché adoperarsi per diversificare le fonti di energia e le vie di trasporto per le importazioni energetiche.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. (RO) L'Unione europea ha fissato una serie di obiettivi molto ambiziosi per il prossimo decennio, uno dei quali mira all’aumento dell’efficienza energetica entro il 2020. Questo obiettivo consentirà di aumentare il volume di investimenti nella regione e, di conseguenza, di creare occupazione sia in zone rurali, sia in zone urbane. In questo contesto, ritengo sia utile non solo assegnare incentivi finanziari a progetti simili, ma anche lanciare campagne di sensibilizzazione sull’efficienza energetica e sulla quantità di risorse utilizzabili dal consumatore e dai prodotti connessi all’energia.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione “Verso una nuova strategia energetica per l’Europa 2011-2020” perché ritengo necessaria una nuova guida strategica per il settore al fine di raggiungere gli obiettivi esposti dall’articolo 194 del trattato di Lisbona, gli obiettivi 20-20-20 stabiliti dal pacchetto energia e cambiamento climatico e l’obiettivo a lungo termine di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra tra l’80 e il 95 per cento entro il 2050.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La Commissione ha indicato tre obiettivi per la politica energetica comunitaria: (i) passare a un sistema energetico a basse emissioni di carbonio; (ii) garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico; (iii) garantire un consolidamento della competitività dell’Unione e dell’approvvigionamento di energia per tutti i cittadini a prezzi accessibili. Concordo pienamente con questi tre obiettivi, ma ritengo ve ne sia un quarto, forse più importante, che non è stato citato: la riduzione della dipendenza energetica, particolarmente per quanto concerne i combustibili fossili. Inoltre, l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio deve essere studiato con molta attenzione, per ridurre al minimo i rischi di dispersione del carbonio e di perdita di competitività delle aziende europee.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Il documento della Commissione “Verso una nuova strategia energetica per l'Europa 2011-2020” costituisce un ottimo contributo a una politica comunitaria di ampio respiro per il settore energetico nel quadro della strategia Europa 2020. Il trattato di Lisbona offre una solida base giuridica per lo sviluppo di iniziative in materia di energia basate sulla sostenibilità, la sicurezza dell’approvvigionamento, l'interconnessione delle reti e la solidarietà. Possiamo attuare una nuova strategia per il settore energetico per raggiungere gli obiettivi dell’articolo 194 del trattato di Lisbona e gli obiettivi 20-20-20 del pacchetto clima.

Le nuove iniziative del settore energetico devono mirare al passaggio a un sistema energetico a basse emissioni di carbonio, in cui la sicurezza di approvvigionamento è garantita per tutti, alla assicurando al contempo la competitività dell’Unione e prezzi di approvvigionamento accessibili a tutti. Dobbiamo raggiungere gli obiettivi fissati dal trattato di Lisbona: mercato unico dell'energia, sicurezza dell'approvvigionamento, efficienza e risparmio energetico, sviluppo di forme di energia nuove e rinnovabili e promozione delle reti energetiche. Questa strategia deve essere attuata con spirito di solidarietà e responsabilità, affinché nessuno Stato membro rimanga isolato o sia abbandonato.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La strategia energetica sostenuta nella presente relazione e in numerose comunicazioni in materia di energia della Commissione è strettamente collegata alla definizione di politica comunitaria data dal trattato di Lisbona: “completamento del mercato interno dell'energia dell'UE”.

La relatrice chiede di “elaborare piani per una Comunità europea dell'energia”, insistendo sull’applicazione e la trasposizione, da parte degli Stati membri, delle attuali direttive in materia di mercato interno, considerando “in ultima istanza, la possibilità di ripresentare le principali disposizioni delle attuali direttive sul mercato interno sotto forma di regolamenti per garantirne la piena e diretta applicazione in tutto il mercato unico”. Come abbiamo più volte affermato, siamo in totale disaccordo con la presente proposta quale soluzione energetica per l’Europa e, pertanto, abbiamo votato contro la relazione.

Si tratta di un settore strategico per il funzionamento e l’economia di uno Stato, che deve essere sovrano nel decidere le proprie politiche energetiche.

Una maggiore dipendenza dalle importazioni di risorse primarie e il rincaro dei prezzi dell’energia per i consumatori, uniti a una riduzione degli investimenti nelle infrastrutture energetiche, hanno già dimostrato il fallimento di questa strategia del mercato privato. Il settore pubblico è l’unico che può garantire l’accesso universale all’energia, assicurandone l’efficienza e una gestione efficace e riducendo la dipendenza dai combustibili fossili.

 
  
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  Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, gli obiettivi della proposta di risoluzione sono condivisibili: creazione di un mercato unico europeo dell'energia, sicurezza dell'approvvigionamento, risparmio energetico, sviluppo di nuove e rinnovabili fonti di energia, nonché promozione delle reti energetiche.

Concordo pienamente con la richiesta alla Commissione di adottare un piano di azione ambizioso per l'efficienza energetica, al fine di ridurre la dipendenza dell'UE, combattere il cambiamento climatico, aumentare la creazione di posti di lavoro e contrastare l'aumento delle tariffe.

È necessario, inoltre, garantire il funzionamento corretto del mercato integrato creando un sistema appropriato d'infrastrutture per il gas e l'energia. Da sottolineare, però, come particolare enfasi sia stata data a determinati progetti, senza citarne espressamente altri, sempre di interesse europeo, che concorrono comunque allo scopo di raggiungere una sicurezza energetica. Ritengo che per concretizzare tale obiettivo sia necessario non solo supportare la realizzazione di determinate infrastrutture, ma anche avere un approccio neutrale su tutti i diversi progetti.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. (FR) L’Unione europea è uno dei protagonisti del mercato energetico internazionale, eppure dispone di scarse materie prime ed è costretta a importarle in grandi quantità. Questo aspetto solleva dubbi sulla sicurezza dell’approvvigionamento e sulla dipendenza del nostro continente dal resto del mondo. Sono questioni che da anni preoccupano l’Unione europea e per questo, unitamente ai colleghi deputati, ho votato a favore dell’adozione di una risoluzione che esorta l’Unione europea a diversificare le proprie fonti per evitare futuri problemi di approvvigionamento e creare un approccio strategico più rigoroso per il settore. Con il mio voto a favore della risoluzione, ho voluto sottolineare che l’efficienza energetica deve essere una priorità per l’Unione europea. A mio avviso, questo è il modo migliore per ridurre la dipendenza energetica dell’Unione, ma soprattutto per lottare contro i cambiamenti climatici, una necessità sempre più pressante.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Concordo con la presente relazione e desidero innanzi tutto ringraziare la relatrice e i relatori ombra per aver presentato la prima strategia energetica dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona. La strategia rispecchia le principali sfide: solidarietà in ambito energetico e sicurezza dell’approvvigionamento di energia. In primo luogo, gli Stati membri devono attuare la normativa già adottata in ambito energetico; in secondo luogo, dobbiamo creare un mercato unico comunitario dell’energia, nonché un mercato delle energie rinnovabili; in terzo luogo, le infrastrutture energetiche transeuropee devono essere migliorate e modernizzate. L’Unione europea deve quindi superare ostacoli amministrativi e finanziari e gli Stati membri devono riconciliare i propri interessi e dimostrare sostegno reciproco. Tutti i progetti devono essere soggetti alle stesse regole, dal gasdotto Yamal al gasdotto nordeuropeo. Come sappiamo, la dipendenza europea dai paesi produttori di petrolio e gas è in aumento; gli Stati membri dell’Europa orientale devono pagare un duro prezzo per questo monopolio: non vi è concorrenza, i diritti dei consumatori non sono tutelati e non è possibile creare un mercato unico. Dipendiamo dai combustibili fossili, che si stanno però esaurendo e quindi, per attenuare le conseguenze del cambiamento climatico, diventa particolarmente urgente non solo sviluppare energie rinnovabili, ma anche l’efficienza energetica. Una grave lacuna nella politica energetica dell'Unione è la mancanza di finanziamenti dell'UE a favore di un settore che, malgrado la recessione, rimane assolutamente prioritario per i governi e i cittadini europei. Il settore energetico deve concentrare la propria attenzione sul consumatore e sulla tutela dei suoi diritti, mentre l’Unione deve adoperarsi per garantire prezzi dell’energia accessibili a consumatori e aziende.

 
  
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  Karin Kadenbach (S&D), per iscritto. (DE) Accolgo con favore quanto affermato nella relazione, secondo cui la Commissione e gli Stati membri devono garantire i più elevati standard di sicurezza per centrali nucleari vecchie e nuove. Ho votato a favore di questa clausola, ma desidero comunque sottolineare che il mio obiettivo principale rimane l’abbandono dell’energia nucleare. Sebbene la produzione di energia attraverso combustibili fossili debba essere abbandonata, l’energia nucleare non può rappresentare un’alternativa. Il rischio potenziale rimane troppo elevato e non è ancora stata risolta la questione dello stoccaggio finale delle scorie nucleari. La promozione di fonti di energia a basso consumo di carbonio è un’argomentazione ampiamente utilizzata dalla lobby nucleare per mitigare la percezione dei rischi dell’energia nucleare. Il cambiamento climatico non può essere utilizzato per giustificare l’espansione dell’energia nucleare.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. (PL) La politica energetica costituisce un tema molto importante per l’attività dell’Unione europea: una priorità delle istituzioni comunitarie deve essere la prevenzione di crisi energetiche nei paesi vicini e la garanzia della sicurezza energetica negli Stati membri. È importante raggiungere il giusto equilibrio tra politica energetica e tutela ambientale e questo scopo dobbiamo promuovere, nella maggiore misura possibile, un aumento dell’utilizzo di fonti rinnovabili di energia, che non consente solo di ridurre le emissioni di sostanze nocive, ma anche di limitare notevolmente la dipendenza del mercato europeo da fonti estere di energia.

Per garantire la sicurezza energetica, di fondamentale importanza per tutti i cittadini degli Stati membri, è necessario promuovere buone relazioni tra Unione europea e paesi terzi, particolarmente con quegli Stati che forniscono prodotti energetici all’Europa. Altrettanto importante è la diversificazione delle forniture di gas e di petrolio, affinché l’Unione europea sia meno vulnerabile alle crisi energetiche nei paesi vicini.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) Una strategia europea dell’energia è un requisito fondamentale per la sicurezza dell’approvvigionamento di energia e, pertanto, deve affrontare tutti gli aspetti della fornitura di energia. Un approvvigionamento ottimale di energia è importante per un’economia prospera, poiché fornisce e crea occupazione. Accolgo con favore l’enfasi posta dalla relazione sul potenziale delle biomasse per la produzione di biocombustibili di seconda generazione negli Stati membri; l’utilizzo di energia fossile deve essere ridotto in modo sostanziale nei prossimi anni e le biomasse possono svolgere un ruolo importante nella sostituzione di petrolio e gas. Per garantire l’indipendenza e la sicurezza dell’approvvigionamento, le risorse necessarie devono essere disponibili anche nel settore energetico e l’agricoltura può offrire un contributo sostanziale per il raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. Dobbiamo pensare al futuro e investire in fonti rinnovabili di energia e in tecnologie verdi. Concordo con il relatore sulla richiesta di misure per lo sviluppo di una politica energetica sostenibile in Europa di rilevanza internazionale.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio presidente, cari colleghi, ho votato a favore della relazione sulla strategia energetica poiché essa contribuisce in maniera costruttiva al dibattito europeo in materia e delinea gli orientamenti per il futuro della politica energetica europea. Non sfugge a nessuno come oggi l'Unione europea si trovi ad affrontare molteplici sfide, così come non sfugge che in tema di energia l'UE dipenda in misura sempre maggiore dalle importazioni dall'estero. Il Trattato di Lisbona costituisce, in questa direzione, il primo passo verso l'inversione di rotta, poiché mette a disposizione un quadro e una base giuridica forti (articolo 194) per poter intervenire nel settore della politica energetica e definisce in maniera puntuale una serie di obiettivi da raggiungere, tra i quali ricordiamo il funzionamento del mercato unico dell'energia, la sicurezza dell'approvvigionamento, l'efficienza energetica nonché la promozione delle reti energetiche e delle fonti di energia rinnovabili. Ritengo, pertanto, tale documento un utilissimo contributo al fine di elaborare e mettere concretamente in atto per i prossimi decenni una strategia energetica comune capace di rafforzare l'Europa.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la presente relazione dedicata a una nuova strategia energetica per l’Europa, dove si sostiene che ogni futura strategia debba essere tesa alla realizzazione dei principali obiettivi del trattato di Lisbona: mercato unico dell'energia, sicurezza dell'approvvigionamento, efficienza e risparmio energetico, sviluppo di forme di energia nuove e rinnovabili e promozione delle reti energetiche. La nuova strategia deve inoltre contribuire a: tariffe accessibili per tutti i consumatori, potenziamento delle energie rinnovabili nel quadro della produzione di energia sostenibile, sviluppo di reti energetiche interconnesse, integrate, interoperabili e “intelligenti”, riduzione della dipendenza dalle importazioni di energia e aumento della produzione energetica locale, mantenendo la competitività, la crescita industriale e il processo di riduzione delle emissioni di gas serra.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La strategia energetica per l’Europa 2011-2020 definisce una serie di orientamenti generali che mirano al consolidamento del mercato energetico interno recentemente creato. La relazione rafforza la competitività e gli strumenti del mercato, senza però essere ambiziosa in materia di energie rinnovabili o di riduzione dei consumi energetici e senza prestare la dovuta attenzione alla microgenerazione o all’uguaglianza nell’approvvigionamento energetico. Vincola la sicurezza energetica europea a una stretta collaborazione con la NATO. Per queste e altre ragioni ho deciso di esprimere voto contrario.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) La presente relazione è un’ode all’energia nucleare, al mercato del carbonio e al progetto Desertec, sostenendo peraltro una stretta collaborazione con la NATO. Nel rispetto dei principi di pace ed ecologia che difendo, ho votato contro la presente relazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) I tre obiettivi definiti dalla Commissione in materia di politica energetica comunitaria sono chiari e ambiziosi: passare a un sistema energetico a basse emissioni di carbonio, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, garantire un consolidamento della competitività dell’Unione e dell’approvvigionamento di energia per tutti i cittadini a prezzi accessibili. Per raggiungere questi obiettivi, è necessario un grande sforzo finanziario e umano.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) Il trattato di Lisbona fornisce all’Unione una solida base giuridica e un forte quadro giuridico, ovvero l’articolo 194, nell’ottica di intraprendere un’azione in materia di politica energetica. Per raggiungere gli obiettivi 20-20-20 del pacchetto clima entro il 2020, sono necessarie una prospettiva a lungo termine e una nuova strategia energetica: l’Unione europea deve dimostrare volontà e ambizione. A livello di energia, l'UE dipende in misura sempre maggiore dalle importazioni dall'estero e per questo deve inserire le questioni energetiche tra le proprie politiche e azioni esterne, oltre a promuovere investimenti a lungo termine sul territorio comunitario. Le nostre priorità devono essere efficienza energetica e risparmio energetico, soprattutto attraverso l'adozione di un piano d’azione per l’efficienza energetica e di un programma di incentivi che promuova le energie rinnovabili a livello europeo.

L’Unione deve estendere le attività di ricerca e sviluppo nella maggior misura possibile, prestando grande attenzione alla competitività dell’Unione europea e all’accessibilità economica dell’energia alle imprese e ai consumatori privati in Europa.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Nella sua relazione, la relatrice tratta un tema importante: migliorare l’approvvigionamento di energia in Europa. Dalla relazione, sembra che questo obiettivo debba essere raggiunto attraverso un aumento dell’influenza europea sul settore dell’energia, ma la politica energetica è una tema che varia di paese in paese. L'Europa è lontana da un accordo sull’utilizzo dell’energia nucleare e delle energie rinnovabili.

Per questo motivo, e perché ritengo che sia giusto continuare a decidere da soli come e da dove ottenere l’energia, sono convinto che la politica energetica debba rimanere di competenza dei singoli Stati membri. Ho dunque votato contro questa modifica.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Cari colleghi, la mia motivazione nel votare a favore della relazione della collega Lena Kolarska-Bobińska, risiede nella consapevolezza che la strada verso il futuro energetico dell'Europa è al momento piena di ostacoli e difficoltà che hanno bisogno di essere superati. Le sfide davanti le quali l'Europa intende porsi in modo deciso e risolutorio non sono poche: il sistema energetico europeo necessita di cospicui investimenti proprio in uno dei momenti più delicati in cui si sta ancora affrontando la crisi economica che ha investito numerosi settori. Vista l'attuale situazione dell'UE, ritengo sia il momento di procedere all'attuazione di una nuova strategia energetica in vista del conseguimento degli obiettivi previsti dal pacchetto sul clima (20-20-20). Sarebbe utile un miglior impiego delle risorse di bilancio destinate alla politica energetica e climatica dell'UE. Inoltre l'elaborazione di strumenti in grado di incentivare lo sviluppo e la modernizzazione delle reti energetiche si posizionerebbe nell'ottica di un'interessante strategia, di cui la mia posizione prende positivamente le parti.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento “Verso una nuova strategia energetica per l’Europa 2011-2020” [2010/2108(INI)] in quanto, come la relatrice, ritengo che con l’inclusione di un capitolo dedicato all’energia il trattato di Lisbona fornisca ora una solida base giuridica per lo sviluppo di iniziative energetiche basate su sostenibilità, sicurezza dell’approvvigionamento, interconnessione delle reti e sostenibilità.

A tal fine, è fondamentale fronteggiare il problema della tardiva o carente applicazione della legislazione sull'energia e dell’assenza di strategie energetiche coordinate da una forte leadership da parte della Commissione, insieme a una dimostrazione concreta e convincente della determinazione e del sostegno degli Stati membri. Il documento intitolato “Verso una nuova strategia energetica per l'Europa 2011-2020” è un primo passo verso una completa politica energetica europea nell'ambito della strategia Europa 2020.

Desidero sottolineare i seguenti temi inclusi nella strategia europea proposta: garantire sostegno a reti integrate moderne e la sicurezza dell’approvvigionamento; promuovere ricerca, sviluppo e innovazione nel settore dell’energia, ponendo consumatori e opinione pubblica al centro della politica energetica europea.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Il trattato di Lisbona stabilisce una serie di obiettivi per la politica energetica: funzionamento del mercato unico dell'energia, sicurezza dell'approvvigionamento, efficienza energetica, promozione delle reti energetiche e delle fonti di energia rinnovabili. L’Unione deve pertanto adottare una nuova strategia per il settore energetico, che consenta di raggiungere questi obiettivi, unitamente agli obiettivi 20-20-20 del pacchetto clima.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) Il nostro gruppo ha deciso di astenersi dal voto sulla risoluzione a causa dell’eccessiva enfasi posta sulla combustione del carbone. Sebbene due emendamenti chiave (relativi ai paragrafi 32 e 52) siano decaduti, ci risulta comunque difficile accettare i contenuti della relazione.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. (PL) La relazione dell’onorevole Kolarska-Bobińska richiama l’attenzione su importanti problemi, quali la mancanza di una politica energetica armonizzata che tenga conto delle caratteristiche specifiche di ciascuno Stato membro, nonché della necessità di importare fonti di energia da paesi terzi. Le previsioni indicano che la dipendenza dal petrolio greggio aumenterà in futuro e per questo la strategia energetica deve avere, tra l’altro, anche una dimensione internazionale, che superi i confini dell’Unione europea. Considerata la vicinanza geografica degli Stati membri con la Russia, l’Unione europea deve rafforzare la cooperazione con i nostri vicini orientali, alle giuste condizioni. I nostri sforzi devono concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi del trattato di Lisbona e, di conseguenza, sulla creazione di un mercato unico dell’energia, garantendo, al contempo, la sicurezza dell’approvvigionamento di energia. Per raggiungere questi traguardi, è necessario investire nelle infrastrutture delle reti, favorendo così l’integrazione dei mercati regionali dell’energia, nonché l’ammodernamento delle reti energetiche paneuropee. Come giustamente proposto dall’onorevole Kolarska-Bobińska, la costruzione di nuovi impianti in grado di trasportare gas da tutto il mondo consentirebbe di individuare nuove fonti di importazione, soprattutto in aree ricche di giacimenti come l’Asia centrale. Il Presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, e l’ex Presidente della Commissione, Jacques Delors, hanno proposto di offrire un’assistenza finanziaria per lo sviluppo di infrastrutture, poiché una rete energetica estesa e moderna costituisce un requisito fondamentale per la costruzione di una politica energetica coerente.

 
  
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  Peter Skinner (S&D), per iscritto. (EN) É sempre più importante mantenere un approccio strategico all’energia all’interno dell’Unione, specialmente quando le risorse sono scambiate come titoli futures e i regimi in altre parti del mondo continuano a deviare queste scarse risorse soltanto nella propria direzione. Concordo sul fatto che il risparmio energetico sia una soluzione efficace, ma ritengo anche che costituisca solamente una parte del più ampio approccio necessario. È fondamentale sviluppare tecnologie energetiche, quali la fusione e il mix di fonti rinnovabili di energia, ma potremo raggiungere questo obiettivo soltanto sostenendo la politica della sicurezza energetica con altre organizzazioni occidentali, quali la NATO.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE) , per iscritto. – (PT) Per attuare le nuove politiche previste dal trattato di Lisbona, è fondamentale una strategia energetica per l’Europa. Ora disponiamo di solide basi giuridiche per elaborare iniziative energetiche fondate sulla sostenibilità, la sicurezza dell’approvvigionamento di energia, l’interconnessione di reti e la solidarietà. Tra gli obiettivi di un piano strutturato, come presentato in Parlamento, devono figurare la creazione di un mercato unico dell’energia e la sicurezza ed efficienza dell’approvvigionamento di energia. Sappiamo che il settore energetico in Europa deve affrontare numerose sfide, sia ora sia in futuro. L’Unione europea dipende in misura sempre maggiore dalle importazioni di energia, mentre la produzione energetica interna all’Unione richiede maggiori investimenti, in un periodo in cui si sentono ancora pesantemente le conseguenze della crisi economica. Vorrei sottolineare l’importanza di sfruttare meglio il potenziale delle energie rinnovabili nell’Unione, nonché di porre i consumatori e l’opinione pubblica europei al centro della politica energetica comunitaria. Per tutti questi motivi, ho votato a favore del documento.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. (EN) Si prevede che entro il 2030, il 70 per cento dell’energia europea sarà importata, spesso da regioni instabili. La sicurezza dell’approvvigionamento deve quindi costituire una priorità per l’Unione europea e la presente risoluzione definisce la strategia europea per fare fronte a questa dipendenza. L’efficienza energetica, in particolare, deve rappresentare una priorità per l’Unione, perché è il modo più efficace di ridurre le spese per i consumatori in tutta l’Unione europea. La risoluzione esorta la Commissione a garantire che una corretta attuazione della normativa vigente, soprattutto per quanto concerne il mercato unico dell’energia, e ribadisce la richiesta del Parlamento relativa ai contatori intelligenti, che migliorerebbero il servizio ai cittadini e consentirebbero di monitorare meglio la quantità di energia utilizzata.

 
  
  

Proposta di risoluzione (B7-0616/2010)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto .(PT) Ho votato a favore della presente risoluzione perché ritengo che l’Unione europea debba contribuire attivamente a rendere la conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici trasparente e positiva, particolarmente per quanto concerne i finanziamenti per l'adattamento, la silvicoltura, l'efficienza delle risorse, il trasferimento di tecnologia, il monitoraggio, la comunicazione e la verifica.

L’Unione europea dovrà promuovere un forte impegno politico nei confronti dei paesi terzi, attraverso lo sviluppo di politiche intese a mettere a punto efficaci meccanismi di cooperazione internazionale sui cambiamenti climatici, sia nel quadro della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sia al di fuori di esso. Va sottolineata la responsabilità storica dei paesi sviluppati in relazione al carattere irreversibile del cambiamento climatico e si ricorda l'obbligo di assistere i paesi in via di sviluppo e i paesi meno sviluppati per consentire loro di adattarsi a tale cambiamento, fornendo, tra l'altro, sostegno finanziario per i programmi d'azione nazionali di adattamento (NAPA - National Adaptation Programmes of Action), quali importanti strumenti di adattamento al cambiamento climatico che promuovono la responsabilizzazione.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) La settimana precedente il vertice di Cancún sui cambiamenti climatici, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione riguardante gli obiettivi della conferenza. Il fallimento del vertice di Copenaghen, per il quale nutrivamo invece grandi speranze, è ancora presente nelle nostre menti e ci auguriamo tutti che questa nuova occasione di far progredire la cooperazione internazionale sui cambiamenti climatici non vada sprecata. Purtroppo, ritengo che la risoluzione approvata nella scorsa sessione plenaria, giovedì, non sia di grande utilità. I miei colleghi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico Cristiano) ed io volevamo mantenere l’obiettivo di riduzione dei gas a effetto serra del 20 per cento entro il 2020, che avrebbe costituito un’ottima base di negoziazione con Stati Uniti e Cina. Il gruppo Verde/Alleanza libera europea e il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, però, sono riusciti a far approvare il poco realistico obiettivo del 30 per cento. Ritengo che questo approccio unilaterale non sia positivo per gli imminenti negoziati di Cancún e mi rammarico per l’approvazione della risoluzione, alla quale ero contraria.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto.– (LT) Ho votato a favore della risoluzione. Alla conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici non è stato possibile definire impegni concreti; ulteriori negoziati in Germania e in Cina non hanno prodotto i risultati previsti e, per questa ragione, vi sono grandi aspettative per la conferenza di Cancún, che deve portare ad azioni concrete, quali la conclusione di un accordo internazionale di ampio respiro post 2012. Queste azioni devono essere coerenti con le recenti scoperte scientifiche e con le nostre intenzioni di fermare il riscaldamento dell’atmosfera entro il 2020, nonché di limitare il riscaldamento globale a 2°C entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990. Concordo con la posizione presentata dalla risoluzione: l’Unione europea deve assumere un ruolo guida nei negoziati sul clima e contribuire attivamente a rendere più trasparente e costruttiva la conferenza di Cancún. Solo l’Unione europea ha approvato obiettivi vincolanti di riduzione del cambiamento climatico e intende adottarne di ancora più ambiziosi. è dunque nell’interesse dell’Unione che anche altri paesi si assumano questi impegni, poiché da essi dipendono la crescita economica e la competitività europee.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Ad alcuni giorni dall’inizio della conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici, la risoluzione congiunta votata dal Parlamento invita i “Capi di Stato e di governo del mondo intero a dare prova di vera determinazione e leadership politica durante i negoziati”. Sono necessarie misure rapide e specifiche, perché la valutazione è impietosa: allo stato attuale, il nostro impegno probabilmente non riuscirà a ridurre i danni causati dai cambiamenti climatici. In altre parole, i nostri governi devono fare di più e più velocemente. L’Unione europea deve assumere il ruolo di guida nei negoziati, deve parlare a una sola voce per avere maggiore peso nella discussione con Cina e Stati Uniti. Per quanto concerne gli obiettivi, è necessaria una maggiore ambizione: dobbiamo adottare un obiettivo interno di riduzione del 30 per cento delle emissioni di gas a effetto serra di qui al 2020, rispetto ai livelli del 1990 (paragrafo 16). Sebbene la lotta ai cambiamenti climatici sia una delle principali sfide politiche da alcuni anni, non abbiamo ancora ottenuto i risultati previsti: per esempio, per quanto concerne gli obiettivi per il 2020 sull’efficienza energetica e il tasso di utilizzo di energie rinnovabili del 20 per cento, i conti non tornano. Cancún è l’occasione di ottenere risultati migliori, non sprechiamola anche questa volta.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione perché l’Unione europea deve assumere un ruolo guida nei negoziati sul clima, per ristabilire un clima di fiducia nei negoziati internazionali sul cambiamento climatico in seguito ai deludenti risultati della conferenza di Copenaghen. Sostengo l’invito del Parlamento europeo ad agire concretamente per fermare la deforestazione, nonché la proposta di creare un mercato globale funzionante per lo scambio di emissioni. Desidero sottolineare l’importanza di promuovere l’assorbimento naturale delle emissioni di gas a effetto serra che promuova la conservazione della biodiversità. Mi auguro che a Cancún si raggiungano accordi in linea con i progressi scientifici più recenti, per tutelare la sopravvivenza di nazioni, popoli ed ecosistemi.

è importante cha a Cancún si prendano decisioni concrete circa il finanziamento, e in particolare circa il grado di addizionalità degli aiuti per l'adattamento, la silvicoltura, l'efficienza delle risorse, il trasferimento di tecnologia e il monitoraggio, la comunicazione e la verifica. Infine, è importante garantire la piena trasparenza e un risoluto impegno politico per quanto concerne l'attuazione del finanziamento rapido.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Il successo della conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici è fondamentale per la credibilità del processo di negoziazione nel quadro delle Nazioni Unite. è quindi fondamentale l’adozione di impegni concreti e obiettivi realistici, nonché raggiungere un accordo sulle politiche relative alla tutela delle foreste, al trasferimento di tecnologia ai paesi in via di sviluppo e ai finanziamenti.

Se non si dovesse raggiungere un accordo globale, l’Europa dovrà dimostrarsi disponibile a considerare la possibilità di un secondo periodo di impegno previsto dal protocollo di Kyoto, imponendo però determinate condizioni, soprattutto in merito all’integrità ambientale dell’accordo, alla riforma del meccanismo per lo sviluppo pulito e all’assunzione di impegni da parte dei principali emettitori mondiali, come la Cina e gli Stati Uniti.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La prima versione della risoluzione sulla conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici è stata notevolmente modificata e il contenuto è stato edulcorato dall’aggiunta dell’emendamento presentato dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico Cristiano). Ho comunque votato a favore, perché ritengo vi sia urgente necessità di un’azione rapida e coordinata a livello internazionale per contrastare il cambiamento climatico; la risoluzione, nel complesso, contiene numerosi punti positivi e costituisce un importante contributo dell’Unione alla conferenza di Cancún. Nel testo si critica la scarsa preparazione per la conferenza, sottolineando la necessità di ridurre le emissioni almeno del 40 per cento e invitando Unione europea e Stati membri ad applicare il principio della "giustizia climatica”. La relazione sottolinea, inoltre, la responsabilità storica dei paesi sviluppati, ricorda il loro impegno finanziario e l’obiettivo dell’aiuto pubblico allo sviluppo, corrispondente almeno allo 0,7 per cento del RNL (reddito nazionale lordo). La relazione concentra la propria attenzione sulla conservazione della biodiversità e degli ecosistemi e riconosce il diritto di accesso all’acqua potabile, nonché la necessità di preservare le foreste e di sviluppare una politica di rimboschimento. Viene infine giustamente sottolineato che il potenziale di risparmio energetico non è pienamente sfruttato e si evidenzia la necessità di aumentare l’efficienza energetica di edifici e trasporti.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – Il cambiamento climatico è un problema di rilevanza mondiale e richiede pertanto risposte congiunte. Un impegno unilaterale rappresenta senz'altro un segnale positivo ed è pertanto auspicabile, ma non è sufficiente.

Benché i dati confermino come non sia l'UE a subire i maggiori danni in conseguenza dell'aumento di CO2, ciò non basta a escludere il nostro senso di responsabilità, anche per ciò che è stato fatto in passato. Non possiamo pertanto ritrarci dal nostro impegno a fornire un contributo concreto alla riduzione delle emissioni, benché valga la pena di sottolineare come il nostro sforzo sia di natura essenzialmente diplomatica.

In particolare, è necessario convogliare il consenso su alcune questioni fondamentali e quindi affrontarle insieme agli altri attori. L'incentivo a un comportamento di tipo "free riding" può essere infatti molto forte, ma va contrastato con ogni mezzo, pena l'inutilità dei costi che il nostro sistema produttivo sta già iniziando a pagare, e che si pagano volentieri ma a patto che si raggiungano i risultati.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2010 sulla conferenza di Cancún sul cambiamento climatico, nell’ottica di raggiungere l’obiettivo generale di limitare l’aumento medio annuale della temperatura a 2°C (“l’obiettivo dei 2°C”). Il mancato rispetto dell’obiettivo dei 2°C potrebbe avere conseguenze molto gravi: sino al 40 per cento delle specie saranno a rischio di estinzione, si avranno milioni di sfollati a causa dell'innalzamento del livello dei mari e dell'intensificarsi di eventi climatici estremi, le rese delle coltivazioni diminuiranno, i prezzi dei prodotti agricoli aumenteranno e la produzione economica mondiale subirà una contrazione almeno dell'ordine del 3 per cento. Le argomentazioni scientifiche sul cambiamento climatico e le sue conseguenze sono palesi ed è per questo fondamentale creare un quadro giuridico che controlli l’adeguata attuazione delle misure.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Ritengo che l'Unione europea e i suoi Stati membri debbano definire e applicare il principio di "giustizia climatica", includendo una clausola di equità nei futuri negoziati internazionali sul clima. La maggiore ingiustizia sarebbe che il mondo non riuscisse a limitare il cambiamento climatico, dal momento che ne risentirebbero soprattutto le persone meno abbienti nei paesi più poveri.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di gran parte delle misure e proposte presentate dalla relazione. Dopo l'esito deludente della conferenza di Copenaghen sul clima, occorre ripristinare la fiducia nei negoziati internazionali sul cambiamento climatico. Ancora una volta, spetta all'Unione europea assumere un ruolo guida nei negoziati sul clima e a contribuire attivamente affinché la conferenza di Cancún sia più trasparente e costruttiva e porti a impegni concreti.

L’Unione europea deve intensificare la propria attività diplomatica sul clima, ricercando un forte impegno politico con i paesi terzi attraverso lo sviluppo di politiche che creino strumenti e meccanismi efficaci per la cooperazione internazionale in materia di tutela ambientale e cambiamento climatico. In vista di questa ricerca di risultati più ambiziosi e significativi, nella fase finale della COP 16, l'Unione europea dovrebbe accordare al suo negoziatore principale un certo margine di manovra affinché questi possa reagire all'evolvere della situazione nel corso dei negoziati.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) L’Unione europea deve parlare a una sola voce e mostrarsi ambiziosa e persuasiva nel corso della conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici: non si deve ripetere il fallimento di Copenaghen. Sono necessarie misure rapide e specifiche, perché la valutazione è impietosa: allo stato attuale, i nostri impegni probabilmente non ridurranno i danni causati dai cambiamenti climatici. L’Unione europea deve ricoprire un ruolo guida nel corso dei negoziati, parlando a una sola voce per avere maggiore peso nella discussione con Cina e Stati Uniti. Il principale obiettivo da perseguire è la riduzione del 30 per cento delle emissioni di gas a effetto serra in Europa entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990. I paesi industrializzati, come gli Stati Uniti, devono impegnarsi per aiutare i paesi in via di sviluppo nella lotta e nell’adattamento al cambiamento climatico, contrastando, tra l’altro, la deforestazione e la desertificazione. I nostri governi devono prendere atto delle sfide climatiche che ci attendono e raggiungere un accordo politico che consenta l’attuazione di una politica davvero globale di lotta al cambiamento climatico.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE), per iscritto. (FR) Nel corso della Presidenza francese del 2008, l’Unione europea ha adottato l’ambizioso obiettivo di ridurre del 20 per cento le emissioni di CO2 entro il 2020. È già piuttosto difficile far accettare questo obiettivo agli altri paesi coinvolti nelle negoziazioni internazionali sul cambiamento climatico; in mancanza di un accordo internazionale, questo obiettivo europeo può portare a una perdita di competitività in alcuni settori dell’economia da parte delle imprese europee.

La proposta di un nuovo obiettivo di riduzione del 30 per cento delle emissioni di CO2 nell’Unione europea è sproporzionata e per questo ho votato contro la presente proposta di risoluzione. La posizione adottata oggi dal Parlamento non consente all’Unione europea di assumere una posizione credibile per giungere a un accordo con i paesi partner sulla conferenza di Cancún della prossima settimana.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione sulla conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici perché ritengo che il Parlamento debba inviare un messaggio chiaro: i leader mondiali devono dimostrare la propria leadership politica nei negoziati, per progredire verso il livello della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e del Protocollo di Kyoto.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Indipendentemente dalla discussione sulle cause del cambiamento climatico, sulle possibili responsabilità dell’uomo e sull'opportunità di porvi rimedio, è chiaro che la questione del cambiamento climatico ha gravi conseguenze nelle aree più disparate della vita umana e rischia di causare squilibri a livello globale; deve per questo essere monitorato con attenzione e rigore. Nello specifico, il cambiamento climatico ha causato un preoccupante innalzamento del livello dei mari, migrazioni forzate, la lotta per l’accesso alle vie di navigazione e alle terre più fertili e, come in Sudan, ha contrapposto pastori nomadi e agricoltori sedentari. L’Unione europea deve partecipare attivamente all’impegno globale e monitorare il problema, cercando soluzioni durevoli, che, idealmente, consentano di riconciliare il progresso scientifico-tecnologico e lo sviluppo delle popolazioni con la qualità ambientale e il rispetto della natura. La conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici rappresenta un’ottima opportunità per perseguire questo obiettivo e indicare traguardi ancor più ambiziosi, nonché per giungere a un impegno collettivo di ampio respiro per contrastare il problema.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Sono a favore di un accordo vincolante che preveda un sistema internazionale di sanzioni nella conferenza di Cancún sul clima. Chiaramente, un accordo di questo tipo funzionerà soltanto se vincolerà i principali emettitori globali: Stati Uniti, Cina e India. L’Unione ha un ruolo preminente nella lotta al cambiamento climatico e deve consolidare la propria leadership, senza dimenticare i grandi sforzi già compiuti dalle nostre imprese per rispettare le riduzioni obbligatorie delle emissioni in Europa. Ricordiamo che l’Unione europea è responsabile di circa il 15 per cento delle emissioni globali e che questa percentuale dovrebbe scendere al 10 per cento nel 2030; Stati Uniti, Cina e India sono invece responsabili del 50 per cento delle emissioni globali, stima peraltro in continuo aumento.

Non posso concordare su una riduzione unilaterale, da parte dell’Unione, delle emissioni di CO2 del 30 per cento, anziché del 20 per cento, se detta riduzione non sarà applicata anche da altri paesi, principalmente gli Stati Uniti; questo non significa però che le ambizioni europee debbano essere ridimensionate. Al contrario, sono convinto che, anche se gli altri paesi non ci seguono, dobbiamo continuare a concentrare i nostri sforzi sulla ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica per fonti di energia senza carbonio, l’efficienza energetica e la creazione di posti di lavoro verdi, per aumentare la nostra competitività.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La presente risoluzione presenta ancora alcune lacune, debolezze ed errori della posizione adottata dal Parlamento alla conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici, senza riconoscere le ragioni alla base del suo enorme fallimento. La discussione è troppo centrata sugli obiettivi di riduzione, a scapito delle modalità per raggiungerli, sminuendo così l’intera discussione. Si insiste su un approccio di mercato, sebbene gli strumenti del mercato abbiano già dimostrato di essere inefficaci e deviati. Siamo lontani da quanto sarebbe necessario per la discussione sulle distorsioni introdotte dai meccanismi di flessibilità e dalla necessità di abolirli o riformularli. Vi è una manifesta incomprensione sul significato e l’importanza del principio di “responsabilità comune ma differenziata” quando si pongono sullo stesso piano i principali emettitori globali, come gli Stati Uniti, il principale emettitore mondiale pro capite, che si rifiuta di assumere impegni concreti per la riduzione delle proprie emissioni, ed economie emergenti quali Cina o India, le cui emissioni pro capite sono, rispettivamente, 10 e 4 volte inferiori a quelle degli Stati Uniti.

Per quanto concerne il finanziamento di adattamento e mitigazione nei paesi in via di sviluppo, continuano a essere ignorati i pesanti vincoli che gravano su questi paesi, come l’ingiusto e pesantissimo debito estero dei paesi meno sviluppati. Nonostante alcuni punti positivi, il contenuto generale della presente risoluzione non merita il nostro sostegno.

 
  
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  Carlo Fidanza (PPE), per iscritto. – Dopo il fallimento della Conferenza di Copenaghen ci aspettiamo finalmente un passo avanti. Accolgo con favore la risoluzione sulla conferenza sul cambiamento climatico di Cancún, e in particolar modo gli emendamenti del gruppo del PPE che affermano un principio di buon senso e pragmatismo: nessun aumento della quota di riduzione delle emissioni può essere deciso unilateralmente dall'UE in assenza di concreti impegni da parte degli altri grandi players mondiali.

Certamente l'Europa deve continuare a essere avanguardia nel contrasto alle emissioni inquinanti, ma questo non può essere fatto in nome di un ideologismo ecologista che prescinde da una comune assunzione di responsabilità, finendo con il penalizzare centinaia di migliaia di piccole e medie imprese europee, tanto più in un periodo di crisi.

 
  
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  Karl-Heinz Florenz (PPE), per iscritto. (DE) Ho votato contro la proposta di risoluzione odierna sulla conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici (COP 16) poiché mi sento in dovere nei confronti della tutela del clima; mi riferisco a una tutela ambientale realistica che unisca sostenibilità e sviluppo economico. È per me molto significativo votare contro una relazione alla quale ho contribuito attivamente, ma la proposta di risoluzione è una “chimera verde” che persegue obiettivi eccessivi e non realistici. Siamo riusciti a ridimensionare alcune richieste, come la limitazione dell’aumento della temperatura media a 1,5°C. Se avessimo dato seguito a questa richiesta, saremmo stati costretti a ridurre a zero le nostre emissioni nei prossimi dieci anni e a perseguire emissioni negative nel breve o lungo termine. Non siamo riusciti a ottenere risultati positivi sull’aumento unilaterale degli impegni di riduzione europei, nonostante queste decisioni non agevolino i negoziati e non vi siano studi su come le riduzioni specifiche debbano avere luogo. Dobbiamo evitare simili richieste, perché rischiamo di perdere credibilità agli occhi dei nostri partner a livello mondiale, soprattutto tra coloro che ancora non hanno espresso la volontà di unirsi a noi. La credibilità è il nostro bene più prezioso ora e, nel garantirlo, l’Europa deve parlare con una sola voce. Per queste ragioni sostengo il Consiglio e la Commissione.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) La conferenza di Copenaghen ha infranto molto speranze non riuscendo a definire obiettivi ambiziosi per la lotta al riscaldamento globale. L’Unione europea deve essere ferma nel suo impegno per raggiungere un risultato positivo al vertice di Cancún. A tal fine, il Parlamento ha adottato una risoluzione che mira a portare l’obiettivo comunitario di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dal 20 al 30 per cento entro il 2020. Ho votato a favore della risoluzione perché non vi è tempo da perdere e se continueremo ad attendere e a tergiversare, sarà troppo tardi. L’Unione europea deve essere il motore della comunità internazionale per raggiungere risultati concreti.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato contro la presente risoluzione.

La mancanza di realismo degli obiettivi presentati è sorprendente.

L’adozione unilaterale da parte dell’UE di un obiettivo di riduzione delle emissioni del 30 per cento entro il 2020 avrebbe pesanti ripercussioni in Francia in termini di competitività e occupazione.

Vi sono troppi fattori di incertezza che gravano sui negoziati perché l’Unione stabilisca un obiettivo così severo. Lo scorso anno, l’Europa ha erroneamente creduto di riuscire a imporre il proprio punto di vista ai partner al vertice di Copenaghen; se l'Unione ripeterà questi errori, non sarà neppure necessario andare al tavolo dei negoziati.

Potremo tornare a parlare di una riduzione del 30 per cento soltanto quando si sarà raggiunto un accordo internazionale in merito.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della risoluzione sulla conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici perché, dopo il fallimento del vertice di Copenaghen, l’Unione europea deve essere unita per raggiungere obiettivi importanti. La relazione definisce un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nell’Unione del 30 per cento entro il 2020 allo scopo di limitare l’aumento globale della temperatura a 2°C. Questa relazione, molto realista, tiene conto del fatto che gli Stati membri detengono una “responsabilità comune ma differenziata” a seconda del loro sviluppo e crescita e propone la creazione di un “fondo verde per il clima”, che può essere utilizzato per fornire finanziamenti quando necessari, dando priorità ai paesi vulnerabili.

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE), per iscritto. (SL) Ho votato contro la risoluzione. è forse stato possibile contare quanti al Parlamento europeo hanno richiesto all’Unione di parlare con una sola voce a Cancún? La votazione odierna ha dimostrato che il Parlamento non ne è ancora in grado. Una delle principali posizioni negoziali dell’Unione è di non accettare nuovi impegni unilaterali e il Parlamento ha respinto questo punto con una lieve maggioranza. Per queste ragioni ho votato contro la risoluzione e mi auguro che il Commissario Hedegaard sia coerente con le posizioni precedentemente concordate.

 
  
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  Dan Jørgensen (S&D), per iscritto. (DA) I socialdemocratici danesi si sono astenuti dal voto sull’impegno di riduzione del 40 per cento in quanto, sebbene sosteniamo questo obiettivo in linea di principio, abbiamo deciso di sostenere il 30 per cento quale obiettivo raggiungibile nella pratica, il che si riflette nel risultato finale.

 
  
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  Karin Kadenbach (S&D), per iscritto. – (DE) Mi rammarico del fatto che, nel quadro della risoluzione sulla conferenza sul clima, la proposta di una tassa globale sulle transizioni finanziarie, i cui proventi potrebbero essere utilizzati per combattere deforestazione e desertificazione, ad esempio, non abbia ricevuto il sostegno della maggioranza del Parlamento europeo. Purtroppo, la maggioranza conservatrice non ha seguito le indicazioni dei socialdemocratici sulla questione. Sono lieta che sia stato adottato l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 2°C, senza escludere la possibilità di scendere a 1,5°C, per garantire la sopravvivenza di tutti i paesi, popoli ed ecosistemi.

 
  
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  Alan Kelly (S&D), per iscritto. (EN) Il cambiamento climatico è una sfida reale e pressante per i paesi dell’Unione europea. Bisogna prendere rapidamente una decisione a livello globale per evitare le conseguenze peggiori del cambiamento climatico e mi auguro pertanto che vi saranno progressi alla conferenza di Cancún.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della presente risoluzione, che stabilisce quale sarà la posizione del Parlamento alla conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici. Il testo sottolinea la necessità di concordare misure concrete a Cancún, al fine di spianare la strada alla conclusione di un accordo internazionale globale post 2012, da siglare nel 2011 in Sud Africa, che sia in linea con i progressi scientifici più recenti e coerente con il raggiungimento almeno dell'obiettivo dei 2°C, senza pregiudicare la possibilità di passare all'obiettivo di un contenimento entro 1,5°C dell'aumento della temperatura, per garantire la sopravvivenza di tutti i paesi, i popoli e gli ecosistemi. La risoluzione invita l’Unione europea ad assumere nuovamente un ruolo guida nei negoziati sul clima e a contribuire attivamente a rendere più trasparente e costruttiva la conferenza di Cancún.

 
  
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  Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Il mio voto favorevole alla proposta di Risoluzione riguardante i preparativi per la conferenza sul clima che avrà luogo a Cancún dal 29 novembre all’11 dicembre, è dovuto essenzialmente alla necessità di arrivare in Messico con una posizione comune chiara e netta. Bene l’atteggiamento costruttivo dell’Unione europea con l’accettazione di prendere in considerazione un secondo periodo di impegno ai sensi del protocollo di Kyoto. Tuttavia non si arretri neppure di un centimetro rispetto alle condizioni dettate riguardo le emissioni. Nessuno degli attori che fanno parte della comunità internazionale deve arrivare a pensare di abbandonare l’Europa e sé stessa sperando che essa risolva da sola i problemi del mondo intero.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La presente risoluzione accetta alcune argomentazioni presentate al vertice di Cochabamba. Ne sono lieto, ma mi stupisce che non sia assolutamente citato all’interno della risoluzione, nella quale si propone di definire e di applicare il principio della giustizia climatica e si riconosce, pur senza citarlo, il debito climatico che i paesi settentrionali hanno nei confronti dei paesi meridionali. Gli obiettivi proposti in ambito di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sono coerenti con quelli stabiliti dall’IPCC.

La sobrietà energetica, o qualunque sia il termine utilizzato, è finalmente stata inserita in agenda. Se lo scambio di diritti di inquinamento noto come “mercato del carbonio” e la creazione di un “mercato globale del carbonio” non fossero uno dei pilastri della presente risoluzione, avrei votato a favore.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT)Anche questa volta vi sono grandi aspettative per la conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici. I paesi con le principali responsabilità devono continuare a impegnarsi per una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Questo problema, che è fonte di grande preoccupazione in tutto il mondo, richiede una soluzione rapida.

L’Unione deve essere in grado di assumere un ruolo guida nella lotta ai cambiamenti climatici. Ciascun paese, dagli Stati Uniti ai paesi emergenti, tra cui la Cina, tutti grandi inquinatori, deve assumersi le proprie responsabilità in una lotta che lascia sempre meno spazio alle nuove opportunità. È a rischio il futuro sostenibile dell’umanità: se non agiamo in tempo, potremmo raggiungere un punto di non ritorno.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Nel corso della conferenza di Cancún sul clima, si dovranno concordare limiti vincolanti per le emissioni di gas a effetto serra, come la CO2, poiché il protocollo di Kyoto scade nel 2012. Mentre l’Unione europea è impegnata a ridurre le emissioni di CO2 del 20 per cento entro la fine del decennio, il Parlamento mira a una riduzione del 30 per cento: non siamo ancora riusciti a raggiungere i nostri obiettivi climatici e la situazione non migliorerà aumentando la percentuale di riduzione. Questo è particolarmente vero considerando che lo scambio di emissioni ha consentito semplicemente di spostarne alcune.

In Europa siamo molto sensibili alle tematiche ambientali, a differenza di alcune economie emergenti, quali ad esempio Cina o India. Sono piuttosto scettico sul sistema utilizzato finora principalmente per l’intenzione di costruire numerose centrali nucleari per ridurre le emissioni di CO2.. Stiamo passando dalla padella alla brace e non posso sostenere una proposta di questo tipo.

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE), per iscritto. (LT) Il cambiamento climatico è uno dei più grandi problemi ambientali dei nostri tempi e sta causando numerosi disastri naturali. Qualche tempo fa, ci siamo impegnati a ridurre le emissioni di gas a effetto serra nell’atmosfera, ma potremmo non raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti. Del resto, nessun obiettivo può essere raggiunto finché i principali inquinatori al mondo non si uniscono all’Unione europea e stabilire obiettivi ancora più ambiziosi senza aver raggiunto obiettivi minori è un’azione irresponsabile. Inoltre, se ci poniamo obiettivi più ambiziosi, ci troveremo con le spalle al muro: dovendo rispettare requisiti più severi, le imprese europee non saranno in grado di competere alla pari con imprese di paesi stranieri che non devono rispettare requisiti altrettanto rigidi. Sebbene obiettivi ambiziosi ci permettano di essere leader nella lotta al cambiamento climatico, non contribuiscono assolutamente all’obiettivo comunitario di diventare la regione più competitiva al mondo. Ho votato contro il documento finale perché, pur essendo sicura che l’Unione possa ricoprire un ruolo guida nella riduzione del cambiamento climatico e conoscendo i nostri impegni nei confronti della natura, dobbiamo porci obiettivi realistici e perseguirli in modo coerente.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) L’economia europea ha dovuto ridurre la produzione a causa della crisi, con una conseguente riduzione dei livelli di emissioni, ma questo dato non può giustificare una riduzione del 30 per cento delle emissioni di CO2 da parte del Commissario per l’azione per il clima Hedegaard, ora che l’obiettivo del 20 per cento può essere raggiunto facilmente a causa della crisi economica. La tutela del clima può avere successo solo se condotta a livello globale; non ha senso ridurre le emissioni di CO2 in tutta l’Unione europea per poi spostare le imprese dannose per il clima e i rifiuti tossici dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo. D’altro canto, misure comunitarie molto severe rallentano la nostra economia e ostacolano le nostre imprese nella concorrenza internazionale. Dobbiamo sostenere la tutela del clima, ma non a spese delle nostre imprese e nemmeno se siamo gli unici ad attuare dette misure. Per queste ragioni ho votato contro la proposta di risoluzione.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore della proposta di risoluzione sulla conferenza sul cambiamento climatico di Cancun perché l'Europa esprima il suo parere a sostegno degli accordi sul clima in una conferenza di valore mondiale. L'auspicio del Parlamento Europeo é quello che i Capi di Stato attribuiscano alla questione massima priorità concordando misure concrete in cui la stessa UE possa essere protagonista ribadendo l'impegno per il protocollo di Kyoto. Il surriscaldamento globale é oramai scientificamente provato dunque l'obiettivo deve essere quello di stabilizzare le emissioni globali di gas a effetto serra entro e non oltre il 2015 per arrivare a una diminuzione delle emissioni del 50% nel 2050 al fine di contenere l'aumento della temperatura entro 2`C salvando cosi paesi, popoli ed ecosistemi.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici (COP 16) è fondamentale per gli europei e per tutti i popoli del mondo. È necessaria una politica responsabile e ambiziosa da parte di tutte le parti politiche. L’Unione europea ha un ruolo fondamentale e deve guidare le ambizioni in materia di cambiamento climatico.

In quest’ottica, ho votato contro la risoluzione del Parlamento perché ritengo che gli obiettivi stabiliti non siano sufficientemente ambiziosi. Non posso accettare un obiettivo superiore a 1,5°C in un futuro accordo internazionale globale post 2012, da siglare nel 2011 in Sud Africa, visti i progressi scientifici più recenti. Per quanto concerne gli impegni di riduzione delle emissioni, l'aumento deve rimanere sotto 1,5°C, il che implica che le emissioni globali di gas a effetto serra raggiungano il livello più alto al massimo entro il 2015 e che si riducano almeno del 50 per cento, rispetto al 1990, entro il 2050, continuando poi a diminuire.

Questi non sono solo numeri, ma obiettivi stabiliti su basi scientifiche, fondamentali per avviare una svolta radicale nel cammino che stiamo seguendo verso la distruzione di parti notevoli della biodiversità del nostro pianeta.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della presente risoluzione nella ferma convinzione che a Cancún, quest’anno, otterremo un risultato diverso. In seguito all’esperienza positiva di Nagoya nel mese di ottobre e di quella negativa a Copenaghen nel 2009, ritengo che l’Unione parlerà con una sola voce. L’Unione europea e gli Stati membri devono continuare a ricoprire un ruolo costruttivo sulla scena globale, per raggiungere un accordo post-Kyoto giuridicamente vincolante. Le organizzazioni non governative e la società civile devono essere coinvolte nell’accordo affinché possa essere attuato in modo adeguato e si possa ottenere una maggiore trasparenza. Per queste ragioni accolgo con soddisfazione l’inclusione di 5000 rappresentanti della società civile nei lavori della COP 16.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della presente risoluzione perché ritengo che l’Unione europea debba dimostrare un impegno e determinazione per trovare soluzioni globali per limitare il cambiamento climatico e i suoi effetti.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. (FR) Ammettiamolo: la conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici non sarà un successo. Questo pessimismo è fondato sulla mancanza di volontà dimostrata in questi mesi dai principali protagonisti, Stati Uniti e Cina in primis, senza i quali non si può contemplare un accordo vincolante. Cancún non sarà necessariamente la copia di Copenaghen, né sarà causa di delusione tra i cittadini. Nella risoluzione approvata oggi, il Parlamento europeo ha ricordato la necessità di mirare a un obiettivo di limitazione dell’aumento della temperatura media di 1,5°C per garantire la sopravvivenza di tutte le nazioni, i popoli e gli ecosistemi: è una questione di responsabilità nei confronti delle generazioni future. La risoluzione ricorda che, per essere credibile, l’Unione europea non deve soltanto onorare l'impegno di 30 miliardi di dollari di aiuti ai paesi più poveri nel periodo 2010-2012, ma deve anche dimostrare fantasia per salvare il pianeta e trovare nuove fonti di finanziamento: un’imposta sulle operazioni finanziarie, imposte internazionali sugli scambi commerciali, imposte nazionali sulle emissioni, contributi sui biglietti aerei, tutte proposte che io e altri 292 membri del Parlamento sosteniamo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) La risoluzione della commissione ENVI è stata approvata con un margine molto ristretto (votazione finale 292/274/38) con le seguenti modifiche e commenti: il riferimento “senza pregiudicare la possibilità di passare all'obiettivo di un contenimento entro 1,5°C dell'aumento della temperatura” è stato eliminato con una maggioranza ridotta (AN emendamento 14 ed emendamento 18: 307/304/xx); l’affermazione esplicita che le lacune di LULUCF e AAU potrebbero annullare tutti gli obiettivi dell’allegato I è stata eliminata (emendamento 16: 316/301/xx), mentre sono stati conservati nell’allegato I altri paragrafi che richiedono solide norme concepite per ottenere riduzioni delle emissioni. In mancanza di un controllo elettronico, si è affermato di aver respinto un paragrafo che ripeteva la quarta relazione di valutazione dell’UNFCCC e l’obiettivo del 40 per cento (sebbene, in una differente votazione sullo stesso paragrafo, la parte riguardante la riduzione del 40 per cento richiesta dagli studi scientifici per il raggiungimento dell’obiettivo dei 2°C fosse ancora presente). Il paragrafo che ribadisce “che l'Unione europea deve adottare un obiettivo interno di riduzione del 30 per cento delle emissioni di gas a effetto serra di qui al 2020, rispetto ai livelli del 1990, nell'interesse della sua futura crescita economica” è stato mantenuto (emendamento 20 del PPE respinto per AN: 298/316/xx). In generale, si tratta di una buona risoluzione, che contiene numerosi commenti positivi sul protocollo di Kyoto, limiti a compensazioni e critiche alle lacune di LULUCF e AAU, nonché un linguaggio forte sulla responsabilità storica dei paesi industrializzati e la necessità di finanziare gli sforzi in materia di clima dei paesi in via di sviluppo.

 
  
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  Peter Skinner (S&D), per iscritto. – (EN) Con l’approssimarsi della data della conferenza, è sempre più evidente la possibilità per l’Unione europea di dare un contributo positivo a Cancún. Dopo aver ascoltato l’intervento dell’onorevole Leinen, presidente della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sono convinto che sarà possibile raggiungere un accordo multilaterale soltanto se saranno eliminati i sospetti dei paesi BRIC. Parimenti, la conferenza dovrà sostenere l’impegno di aiuto assunto da parte di molti paesi nei confronti dei paesi in via di sviluppo.

 
  
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  Alf Svensson (PPE), per iscritto. (SV) Nel corso della votazione di ieri al Parlamento europeo, ho sostenuto la risoluzione sulla conferenza di Cancún sui cambiamenti climatici (COP 16), perché affronta un tema molto importante: l’Unione deve dimostrare un’astuta leadership politica nei negoziati sul clima. I paesi in via di sviluppo sono particolarmente colpiti e i leader mondiali devono fare tutto il possibile per garantire che i negoziati sul clima non compromettano il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Desidero sottolineare il mio voto contrario al testo della risoluzione che esorta l’Unione, nel corso dei negoziati, a proporre un’imposta dello 0,01 per cento sulle transazioni finanziarie, che non costituisce la soluzione adeguata e non aiuterà i paesi in via di sviluppo nella lotta e nell’adattamento al cambiamento climatico.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0675/2010

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Nuovi gravi incidenti si sono verificati recentemente nel Sahara occidentale. Questo territorio, amministrato dalla Spagna fino al 1976, è ancora al centro di forti tensioni tra le autorità marocchine e il movimento indipendentista. Situato tra l’oceano Atlantico, la Mauritania e il sud del Marocco, il Sahara occidentale è stato diviso tra questi ultimi due paesi dopo il ritiro della Spagna. La risoluzione proposta da alcuni miei colleghi sui tragici eventi del 24 ottobre 2010 è stata redatta con la massima urgenza, anche se in simili casi è essenziale un certo grado di distacco. Ho pertanto deciso di astenermi dal voto e seguirò con attenzione l’indagine in corso.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Appoggio questa risoluzione. Dopo oltre 30 anni, il processo di decolonizzazione del Sahara occidentale resta ancora incompleto. La situazione dei diritti umani, gli atti di violenza all’interno degli accampamenti civili, il conflitto in atto e le sue conseguenze sull’intera regione destano preoccupazione. Condivido l’apprensione manifestata nella risoluzione in merito agli attacchi contro la libertà di stampa e d’informazione subiti anche da numerosi giornalisti europei. È necessario condurre un’indagine internazionale indipendente sotto l’egida delle Nazioni Unite per fare luce sulla morte e la sparizione di civili. È inoltre importante istituire un meccanismo di monitoraggio dei diritti umani, adoperarsi per il rilascio degli attivisti per i diritti umani e consentire il libero accesso alla regione a stampa, osservatori indipendenti e organizzazioni umanitarie.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Sono a favore dell’indagine delle Nazioni Unite sugli ultimi avvenimenti nel Sahara occidentale e della richiesta rivolta alle autorità marocchine di consentire il libero accesso alla regione a giornalisti, osservatori indipendenti e organizzazioni umanitarie. So bene che il Marocco rappresenta un partner e alleato strategico dell’Unione europea nella lotta al fondamentalismo islamico radicale.

Non accetto però l’atteggiamento delle autorità marocchine rispetto ai gravi e violenti incidenti verificatisi l’8 novembre nell’accampamento di Gdaim Izyk, nel Sahara occidentale, che hanno causato un numero ancora imprecisato di vittime. Mi compiaccio di far parte di un’istituzione come il Parlamento europeo, che annovera tra i propri principi fondamentali la salvaguardia e la promozione dei diritti umani. Per questo motivo ritengo necessario fare appello alle agenzie delle Nazioni Unite proponendo di istituire un meccanismo per il monitoraggio dei diritti umani nel Sahara occidentale. Mi congratulo con il Segretario generale delle Nazioni Unite e il suo inviato personale per i loro sforzi volti a trovare una soluzione politica giusta, duratura e accettabile da entrambe le parti e che consenta l’autodeterminazione della popolazione del Sahara occidentale.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La situazione nel Sahara occidentale si trascina ormai da oltre 30 anni senza un’apparente soluzione. Assieme al conflitto israeliano-palestinese e alla questione di Cipro, si configura come un caso di difficile risoluzione che si protrae da lungo tempo. Nonostante alcune singole iniziative volte ad aprire canali di dialogo e da accogliere con favore, oggi appare chiaro che le parti in causa non siano state ancora in grado di muovere passi concreti nella direzione di una soluzione negoziata del conflitto. Le recenti notizie degli incidenti accaduti presso l’accampamento di Gdaim Izyk sono fonte di grande preoccupazione relativamente al rispetto dei diritti umani della popolazione del Sahara occidentale da parte delle autorità marocchine e fanno pensare a uno spiacevole inasprimento del conflitto. Auspico che il problema venga risolto definitivamente con una soluzione politica e amministrativa che possa conciliare gli interessi delle parti in causa.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Ci rallegriamo che il Parlamento europeo abbia condannato con forza i violenti incidenti avvenuti l’8 novembre presso l’accampamento di Gdaim Izyk, nel Sahara occidentale, che hanno causato un numero ancora imprecisato di vittime.

Auspichiamo che la Commissione e il Consiglio esigano l’applicazione delle misure qui proposte, sottolineando la necessità che gli organismi delle Nazioni Unite propongano l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio dei diritti umani nel Sahara occidentale e chiedano il rispetto delle risoluzioni già adottate, compresa l’autodeterminazione da parte della popolazione del Sahara occidentale.

Come recita la risoluzione, “le Nazioni Unite sarebbero l'organizzazione più idonea a condurre un'inchiesta indipendente internazionale finalizzata ad accertare gli avvenimenti, le morti e le sparizioni”.

Gli attacchi contro la libertà di stampa e d’informazione subiti da numerosi giornalisti europei sono deprecabili e si dovrebbe sollecitare il Regno del Marocco a consentire il libero accesso e la libertà di circolazione nel Sahara occidentale a stampa, osservatori indipendenti e organizzazioni umanitarie.

Vorremmo infine sottolineare quanto sia importante stanziare finanziamenti supplementari e fornire gli aiuti umanitari necessari ai rifugiati saharawi che vivono nella regione di Tindouf, il cui numero varia, secondo le stime, da 90 000 a 165 000, per aiutarli a soddisfare le necessità primarie di cibo, acqua, alloggio e cure mediche e per migliorare le loro condizioni di vita.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. – Gentile Presidente, onorevoli colleghi, l'autodeterminazione dei popoli rappresenta da sempre una delle priorità della Lega Nord. Quest'oggi, votiamo una proposta di risoluzione che si prefissa di garantire il rispetto dei diritti umani e di accettabili condizioni socio-economiche per la popolazione del Sahara Occidentale. Stigmatizziamo la reazione violenta e ingiustificata del governo marocchino che ha represso nel sangue una manifestazione di protesta pacifica e democratica. A tal proposito, invitiamo la Commissione e il Consiglio a sospendere i negoziati dell'accordo di associazione tra UE e Marocco. Sulla base di questi presupposti, appoggio decisamente la risoluzione.

 
  
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  Richard Howitt (S&D), per iscritto. (EN) Per me è stato un onore contribuire come co-autore, a nome del gruppo S&D, alla risoluzione del Parlamento sul Sahara occidentale. Trovo desolante che le proteste nel Sahara occidentale siano state represse dalle autorità ricorrendo alla violenza e condivido le preoccupazioni espresse in questa risoluzione per la sicurezza dei difensori saharawi dei diritti umani. La situazione del Sahara occidentale rappresenta una delle ultime tracce della decolonizzazione e, dopo 30 anni, deve essere risolta. Accolgo con favore la richiesta contenuta nella risoluzione di una soluzione politica giusta, duratura e accettabile per entrambe le parti, in piena conformità con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e desidero ancora una volta dare risonanza alla richiesta avanzata dalle Nazioni Unite che si tenga un referendum nella regione.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della risoluzione sulla difficile situazione nel Sahara occidentale. Sono profondamente colpito dai violenti incidenti accaduti nell’accampamento di Gdaim Izyk e nella città di El Aaiun, come dall’uso della forza proprio nello stesso giorno in cui a New York si inaugurava il terzo ciclo di colloqui informali sulla situazione del Sahara occidentale. Deploro la perdita di vite umane ed esprimo la mia solidarietà alle famiglie dei morti, dei feriti e degli scomparsi. Sollecito l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente e trasparente sotto l’egida delle Nazioni Unite, incaricata di chiarire le responsabilità delle parti nello scatenare gli eventi citati e definire il numero delle vittime. Mi sbalordisce che sia stato negato l’ingresso alla regione ai parlamentari europei e ai giornalisti e chiedo alle autorità marocchine di consentire il libero accesso all’area alla stampa e alle organizzazioni non governative.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La situazione nel Sahara occidentale è molto preoccupante e il Parlamento europeo dovrebbe emettere un chiaro segnale di condanna rispetto a quanto sta accadendo nella regione. Gli atti di violenza da entrambe le parti devono cessare per lasciare spazio a un dialogo trasparente e in buona fede, che segni la fine di un conflitto che ha già causato sin troppe vittime ed è ancora causa di un grande numero di sfollati e rifugiati. L’Unione europea deve adoperarsi per fornire aiuti umanitari ai rifugiati e assicurare loro le condizioni basilari per la sopravvivenza.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato a favore di questa risoluzione perché invia un messaggio chiaro e forte a sostegno del diritto all’autodeterminazione della popolazione saharawi e condanna le atrocità perpetrate dal governo marocchino. È una risoluzione positiva perché stigmatizza la violenza con la quale il Marocco ha smantellato il Dignity Camp saharawi, la morte del giovane Nayem El-Garhi e il blocco dell’informazione imposto dalla forza di occupazione nel Sahara occidentale, impedendo a giornalisti, organizzazioni non governative e funzionari eletti di accedere alla regione. Nonostante il mio gruppo avesse chiesto la sospensione dell’accordo di associazione tra Unione europea e Marocco per violazione della seconda clausola, appoggio questa risoluzione perché sollecita un’indagine internazionale condotta dalla Nazioni Unite, chiede al Marocco “il rispetto del diritto internazionale in merito allo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale” e “insiste sulla necessità di invitare gli organismi delle Nazioni Unite a proporre l'istituzione di un meccanismo di monitoraggio dei diritti umani nel Sahara occidentale”. Per tutti questi motivi ho espresso voto favorevole, sebbene avrei apprezzato una condanna più ferma e più chiara.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Onorevoli colleghi, il motivo per cui ho votato a favore sulla questione dell'attuale situazione nel Sahara occidentale ha la sua ragion d'essere nell'impegno che da sempre è stato dimostrato, ponendo molta attenzione all'evolversi del contenzioso tra Marocco e Fronte Polisario sul Sahara occidentale, soprattutto per le evidenti implicazioni che tale problematica ha sulla stabilità della regione.

In diverse situazioni è stato chiaro l'invito al Marocco a mantenere un dialogo aperto, flessibile e senza precondizioni per ottenere piccoli ma importanti progressi nel negoziato di pace condotto sotto l'egida delle Nazioni Unite. Ho personalmente sempre sostenuto gli sforzi dell'ONU e del suo Ambasciatore Ross nell'ottica di un dialogo bilaterale politico, negoziato e sostenibile tra le due parti.

In numerosi paesi dell'UE, cosi come in Italia, sussiste una diffusa sensibilità e attenzione per le condizioni in cui versa il popolo Saharawi, con particolare comprensione per le posizioni e i punti di vista del Marocco. L'Unione e in particolare i paesi del Mediterraneo sono da sempre in prima linea per gli aiuti umanitari alla popolazione Saharawi, poiché è fondamentale il principio di solidarietà verso popolazioni che vivono tali problematiche.

Il mio voto si pone nell'ottica di un graduale miglioramento dell'attuale situazione attraverso un impegno reciproco alla cooperazione e al dialogo.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho appoggiato questa risoluzione perché ritengo che la lotta per i diritti umani sia fondamentale. Dal Sahara occidentale sono stati riferiti casi di violenza perpetrata da funzionari di polizia ai danni di cittadini che protestavano pacificamente, accampandosi poco distante dalla città di El Aaiun, per la situazione sociale, politica ed economica e le condizioni in cui vivono. Le forze di polizia hanno usato gas lacrimogeni e manganelli contro i dimostranti per sgomberare l’accampamento.

Non si tratta di un semplice problema politico con uno Stato vicino, bensì di una violazione dei diritti umani che dobbiamo condannare senza alcuna eccezione. Voto pertanto a favore della risoluzione e mi associo all’appello rivolto dai miei colleghi alle parti in causa, con la richiesta di mantenere la calma e astenersi da qualsiasi atto di violenza.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) Dopo molteplici tentativi da parte del regime marocchino di impedire che il Parlamento europeo si pronunciasse sulla situazione dei diritti umani nel Sahara occidentale, dobbiamo rallegrarci che in questa occasione la lobby marocchina abbia fallito. Ritengo inaccettabili le continue interferenze da parte del Marocco. La risoluzione non è altro che un compromesso tra posizioni basate su analisi estremamente diverse. Desidero pertanto dare voce alla posizione del mio gruppo a favore della popolazione saharawi e, in particolare, alla nostra condanna del provocatorio e irresponsabile smantellamento dell’accampamento Gdaim Izyk. Non possiamo porre sullo stesso piano coloro che aggrediscono, torturano e massacrano e coloro che cercano semplicemente di difendersi. È necessario condurre un’indagine indipendente e garantire libertà di accesso e di circolazione nella regione ai responsabili dei mezzi di comunicazione e dell’informazione. L’Unione europea, la Spagna e la Francia, in particolare, devono assumersi le proprie responsabilità storiche ed esigere che il Marocco abbandoni questo atteggiamento inibitorio e intransigente, anche sospendendo i numerosi accordi commerciali attualmente in vigore e le relazioni particolari esistenti e adoperandosi in ogni modo per garantire lo svolgimento del referendum sull’autodeterminazione previsto in numerose risoluzioni delle Nazioni Unite.

 
  
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  Marie-Thérèse Sanchez-Schmid (PPE), per iscritto. (FR) I violenti incidenti avvenuti nel Sahara occidentale durante lo smantellamento dell’accampamento Gdaim Izyk e nella città di El Aaiun sono molto gravi e devono essere condannati con forza. Il Parlamento europeo esprime una giusta preoccupazione in merito al deterioramento della situazione nella regione. Come sottolineato dalle Nazioni Unite, è necessario che le parti coinvolte nel conflitto concordino sulla ricerca di una soluzione politica realistica giusta, sostenibile e accettabile per entrambe, nonché in linea con le risoluzioni pertinenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. È però deplorevole che la risoluzione sia stata redatta prima che il Parlamento potesse avere accesso a fatti e informazioni dettagliate sulle circostanze che hanno scatenato questa tragedia, oltre che sul numero esatto delle vittime. Affinché si possa far luce su quanto accaduto, è necessario concedere tempo e possibilità di accesso alla città di El Aaiun e agli accampamenti dei rifugiati a giornalisti, inquirenti indipendenti, osservatori e responsabili politici. La difficile situazione della popolazione saharawi non va in alcun modo strumentalizzata incitando a nuovi atti di violenza.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della risoluzione comune B7-0675/2010 sul Sahara occidentale. Ciononostante, mi rammarica molto che nella risoluzione non si faccia alcun cenno né alcuna critica all’accordo illegale di pesca tra l’Unione europea e il Marocco, che consente alle flotte pescherecce europee di operare in acque appartenenti al territorio occupato del Sahara occidentale.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. (NL) Ho espresso voto a favore della risoluzione comune sulla situazione del Sahara occidentale perché rappresenta un forte segnale di condanna del Parlamento europeo verso la recente ripresa delle violenze in questa regione. L’8 novembre, gli accampamenti di protesta saharawi sono stati smantellati facendo ricorso alla violenza e causando numerose vittime da entrambe le parti e numerosi feriti tra gli abitanti. Gli accampamenti non erano altro che un segnale della protesta pacifica della popolazione saharawi contro la repressione, l’emarginazione e la depredazione delle risorse naturali (compreso il pesce) da loro subite e delle misere condizioni di vita loro imposte durante l’occupazione marocchina. La risoluzione chiede che si ponga immediatamente fine alla violenza e si avvii un’indagine indipendente su quanto accaduto a Gdaim Izyk e a El Aaiun. Si richiede inoltre alle autorità marocchine di consentire libero accesso al Sahara occidentale a giornalisti, organizzazioni umanitarie, parlamentari europei e osservatori indipendenti.

L’inasprirsi della repressione contro gli attivisti per i diritti umani e gli attivisti saharawi da parte delle autorità marocchine, con arresti, accuse e detenzioni arbitrari, è estremamente preoccupante. Questi eventi accresceranno la tensione durante i colloqui informali tra il Marocco e il Fronte Polisario sotto l’egida delle Nazioni Unite, la cui ripresa è prevista per gli inizi di novembre. Si rende comunque necessaria una soluzione politica giusta e duratura per migliorare la situazione della popolazione saharawi.

 
  
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  Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della risoluzione comune B7-0675/2010 sul Sahara occidentale. Ciononostante, mi rammarica molto che nella risoluzione non si faccia alcun cenno né alcuna critica all’accordo illegale di pesca tra l’Unione europea e il Marocco, che consente alle flotte pescherecce europee di operare in acque appartenenti al territorio occupato del Sahara occidentale.

 
  
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  Dominique Vlasto (PPE), per iscritto. (FR) Non posso che associarmi alla condanna già manifestata dai miei colleghi per quanto di recente accaduto nel Sahara occidentale e desidero esprimere appoggio e solidarietà alle famiglie delle vittime. Premesso questo, ho deciso di non votare a favore della risoluzione perché contiene una serie di errori fattuali, omette informazioni molto importanti e non presenta un quadro obiettivo delle violenze accadute l’8 novembre 2010. La formulazione della risoluzione sarebbe dovuta essere caratterizzata da una dose di diplomazia associata a fatti reali e incontrovertibili. Questo testo poco equilibrato contiene invece una valutazione frettolosa e male informata della situazione e, senza alcuna motivazione, boccia senza appello l’indagine indipendente condotta dalle autorità marocchine. Sono delusa da questa dichiarazione parziale rilasciata in tutta fretta perché ostacolerà i colloqui informali in corso presso le Nazioni Unite tra il Regno del Marocco e il Fronte Polisario, oltre a generare tensioni sul campo. Abbiamo perso di vista quelle che dovrebbero essere le nostre priorità, ovvero la ricerca di accordo equilibrato e accettabile per entrambe le parti che consenta il ripristino della stabilità e della sicurezza per la popolazione civile. Dobbiamo a tutti i costi impedire la creazione di un nuovo fronte nella tanto contesa regione del Sahel e tentare di salvaguardare la nostra partnership strategica con il Marocco.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0650/2010

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) In seguito alla dissoluzione dell’Unione sovietica l’Ucraina si è posta al centro di un’importante questione geopolitica per l’Europa. Dopo la riconquista dell’indipendenza, il paese è ancora considerato parte integrante della regione del “vicino estero” da parte della Russia. Con l’obiettivo di trarre il massimo vantaggio dalla propria autonomia e di concentrare l’attenzione sui forti legami storici con l’Unione europea, per un certo periodo l’Ucraina ha espresso l’intenzione di entrare a far parte dell’Unione. Essendo un paese dotato di abbondanti risorse naturali e situato nel cuore di una regione strategica, l’Ucraina dovrebbe essere considerata un potenziale cardine per l’Unione. Ho espresso voto favorevole per la risoluzione del Parlamento europeo che accoglie con favore le prospettive europee del paese. La risoluzione cita i progressi ancora necessari in questa fragile democrazia, sottolineando gli sforzi già effettuati e i significativi passi avanti compiuti di recente. Pur misurata nei toni, la risoluzione conferma che l’Ucraina va incontro a un futuro europeo.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Sono a favore della risoluzione. Si teme che negli ultimi mesi libertà democratiche come la libertà di riunione, la libertà di espressione e la libertà dei media siano state minacciate in Ucraina. Le autorità dovrebbero indagare sulle riferite violazioni dei diritti e delle libertà e adottare misure adeguate per porvi rimedio. È inoltre importante che le autorità si astengano da qualsiasi tentativo di controllare, in maniera diretta o indiretta, il contenuto delle informazioni riportate dai media nazionali. Le norme elettorali continuano a essere argomento di discussione: è necessario adottare misure efficaci per migliorare il sistema elettorale e la legislazione in materia prima delle prossime elezioni parlamentari. Inoltre, è necessario rafforzare la credibilità, la stabilità e l’indipendenza delle istituzioni e garantire che la gestione dello stato si basi su principi di democrazia e sullo stato di diritto. Le autorità ucraine devono impegnarsi maggiormente nella lotta alla corruzione.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Concordo con la risoluzione del Parlamento mediante la quale si chiede all’Ucraina di adottare ulteriori provvedimenti per conseguire stabilità politica dentro e fuori i propri confini. Il paese rappresenta un partner importante per l’Unione per l’implementazione della politica di vicinato con l’Europa orientale. È dunque fondamentale continuare a perseguire una stretta collaborazione, specie in materia di visti; a tal proposito, il Parlamento europeo chiede alla Commissione e al Consiglio di redigere un piano d’azione per istituire l’esenzione da visti per l’ingresso in Ucraina. Al fine di assicurare stabilità politica nel lungo periodo sia all’interno del paese, sia con i paesi vicini, è importante implementare riforme costituzionali che aiutino a stabilire un equilibrio adeguato tra l’esecutivo e il sistema giudiziario. Ulteriori riforme si rendono necessarie anche per consolidare la libertà dei media e il pluralismo. Le istituzioni statali vanno inoltre esortate ad adottare misure volte a garantire la libertà di stampa. L’Unione europea si impegna fermamente a sostenere l’Ucraina nell’implementazione delle riforme, cercando di instaurare una stretta collaborazione con il paese al fine di consolidarne la democrazia e accelerarne l’integrazione.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Esprimo la mia critica nei confronti delle elezioni locali tenutesi il 31 ottobre in Ucraina e auspico che la libertà della stampa venga rispettata. Deploro le modifiche dell’ultimo minuto alle regole elettorali prima del 31 ottobre e il fatto che si sia impedito ai partiti dell’opposizione di presentare i propri candidati nelle circoscrizioni. Concordo con la posizione del Parlamento di rifiuto nei confronti del restringimento degli standard democratici e di sostegno invece alla libertà di espressione. Mi associo alla condanna espressa dal Parlamento europeo nei confronti del governo di Kiev per i fallimenti riportati in questo ambito così delicato.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – Nelle lingue slave "Ucraina" significa "Terra di confine". Per i russi è sempre stata una provincia lontana e ormai l'Ucraina è terra di confine anche per l'Unione europea, in conseguenza del penultimo allargamento.

Tuttavia, per una volta non vogliamo che nel nome di un luogo sia scritto il destino di un popolo. Con la prudenza suggerita dal rispetto della volontà democratica, l'Unione europea svolge coerentemente il suo ruolo di attore globale, offrendosi come garante di libertà, democrazia e pluralità in una situazione in cui il rispetto di tali valori può consentire di raggiungere quella stabilità che tanto serve al paese.

Infatti, nel processo di allargamento non entrano in gioco solamente valutazioni di natura strategica e commerciale – per quanto anche tali aspetti siano da ritenere rilevanti – ma soprattutto una costante e pacifica opera di ampliamento della sfera culturale che fa riferimento all'universo di valori di cui l'UE è portatrice.

Da sei anni ormai, a partire dalla Rivoluzione arancione che fra poche settimane vedrà cadere il suo anniversario, il paese sta attraversando una fase di assestamento democratico. Auspichiamo che la nostra presenza e vicinanza concreta siano di supporto alla formazione di un'autentica coscienza democratica e al suo rispetto.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Esprimo voto favorevole per questa proposta di risoluzione. Le relazioni tra l’Unione europea e l’Ucraina, uno dei maggiori partner dell’Unione tra i vicini orientali, sono estremamente importanti per la stabilità, la sicurezza e la prosperità in tutta Europa. Consapevoli delle responsabilità condivise nella promozione della stabilità, l’Unione europea e l’Ucraina hanno intensificato i negoziati e cercato di creare nuove partnership di cooperazione che vadano oltre la semplice cooperazione economica, abbracciando lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, aree in cui resta ancora molto da fare nel paese, come dimostrato dalla recente involuzione del processo elettorale.

Desidero inoltre sottolineare la grande importanza del processo di integrazione europea dell’Ucraina affinché il paese possa attuare le necessarie riforme economiche, sociali e politiche. Alla luce di questa considerazione, ritengo che la stipula di un accordo di associazione sia particolarmente rilevante al fine di garantire un’attuazione efficace dell’agenda di associazione UE-Ucraina.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nonostante le prime misure adottate dal Presidente Yanukovych e le successive dichiarazioni rilasciate dalle autorità ucraine sulla volontà del paese di entrare a far parte dell’Unione europea, adottare i modelli di buon governo europei e rispettare i diritti umani e le libertà civili della popolazione, una certa dose di cautela è inevitabilmente necessaria. Di fatto, vi sono crescenti segnalazioni di ostacoli alla libertà di espressione e associazione, oltre che di influenze politiche su media e autorità giudiziarie e sulle azioni dei servizi di sicurezza. Ritengo che se le promesse dei leader politici saranno mantenute, l’Ucraina potrà intraprendere il cammino verso l’appartenenza all’Unione, il cui primo passo dovrebbe essere l’istituzionalizzazione della libertà e dello stato di diritto.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Ritengo che l’Ucraina sia uno dei partner strategici cruciali per l’Unione europea. Di conseguenza, devo esprimere la mia preoccupazione per gli eccessivi poteri concessi ai servizi di sicurezza di intimidire le organizzazioni non governative operanti nel paese e controllare i media nazionali. Occorre inoltre sottolineare quanto sia importante consentire la partecipazione dei partiti di opposizione alle elezioni senza restrizioni né discriminazioni. Ritengo che possiamo confermare il nostro appoggio alla prospettiva di un’integrazione europea dell’Ucraina per assicurare una partnership strategica con il paese solo se le raccomandazioni contenute in questa risoluzione vengono comprese e accettate.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE), per iscritto. (EN) Ho espresso voto favorevole per la risoluzione sull’Ucraina. Mi rammarica però che questa Assemblea abbia posticipato il voto già due volte, con la conseguenza che il vertice UE-Ucraina, per il quale la risoluzione era stata redatta, si sia tenuto prima del voto. Il Parlamento europeo considera un dovere e una prerogativa assumere una posizione prima che si svolgano vertici con paesi terzi, al fine di poterla comunicare al momento giusto. L’impatto di una risoluzione adottata successivamente sarà molto più debole e, se tale ritardo è stato un tentativo da parte di alcuni colleghi di non arrecare troppi disturbi alla nuova amministrazione ucraina, si tratta certamente di una politica ben poco lungimirante.

L’Unione europea è e sarà aperta a tutti gli ambiti di cooperazione, ma non a costo di ignorare gli allarmanti tentativi di distruggere i più importanti successi della Rivoluzione arancione, ovvero libere elezioni e libertà di informazione. Concordo con la dichiarazione rilasciata ieri dal Commissario De Gucht: non possiamo scendere a compromessi su alcuni principi comuni europei.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione sull’Ucraina. Accolgo con favore gli sforzi compiuti dalla coalizione attualmente al governo per ripristinare la stabilità politica nel paese, una condizione essenziale per il consolidamento della democrazia. Si può assicurare una stabilità politica duratura solo mediante modifiche costituzionali volte a istituire una chiara separazione dei poteri e un sistema adeguato di controlli e contrappesi tra il potere esecutivo, legislativo e giudiziario e all’interno di ciascuno di essi.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) In considerazione delle dichiarazioni della missione di osservazione elettorale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa/Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell’uomo (OSCE/ODIHR), secondo le quali gli standard internazionali sono stati largamente rispettati, le recenti elezioni in Ucraina sono il segno che questo paese continua a evolvere positivamente avanzando verso una futura integrazione all’interno dell’Unione europea. Ciononostante, è fondamentale che i politici e le autorità del paese si impegnino ad attuare presto la stabilizzazione politica ed economica. Per il raggiungimento di tale obiettivo devono essere implementate le riforme costituzionali necessarie, con il consolidamento dello stato di diritto, la creazione di un’economia sociale di mercato e rinnovati sforzi per combattere la corruzione e migliorare il clima per gli affari e gli investimenti.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. (LT) Le recenti elezioni locali tenutesi in Ucraina hanno esteso l’influenza del partito del Presidente Viktor Yanukovych nelle regioni. Purtroppo le modifiche apportate al sistema elettorale diversi mesi prima delle consultazioni, con il ritorno a un sistema maggioritario, hanno determinato un contrasto ancora più acceso tra governo e opposizione e motivato le accuse di propositi antidemocratici mosse contro il governo. La risoluzione esprime una certa preoccupazione in merito al recente aumento delle violazioni della libertà di espressione e di assemblea nonché ai vincoli posti alla libertà dei media. Ho votato a favore della risoluzione perché chiede all’Ucraina, che mira a entrare nell’Unione europea nel lungo periodo, di adottare una legislazione in materia di attività dei media in linea con gli standard internazionali e sottolinea la necessità di rafforzare l’indipendenza e l’efficacia delle istituzioni statali. Questo è l’unico modo per garantire il buon funzionamento della democrazia e lo stato di diritto nel paese. Appoggio gli appelli rivolti a Kiev dagli autori della risoluzione affinché persegua l’ammodernamento delle infrastrutture di approvvigionamento energetico e implementi progetti per la diversificazione delle fonti energetiche assieme agli Stati membri dell’Unione. Accolgo con favore il piano d’azione per la liberalizzazione dei visti e la proposta di linee guida pratiche che ne consentano una rapida implementazione, ovvero il consolidamento dello stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Credo che migliorare i rapporti con uno Stato vicino, nello specifico uno Stato del Partenariato Orientale, stipulare accordi commerciali e aumentare gli scambi di informazioni nonché agevolare gli spostamenti dei cittadini nei diversi paesi, sia un ambito fondamentale al quale l'UE non dovrà mai rinunciare; per questo ho votato a favore della proposta di risoluzione sull'Ucraina. Concordo totalmente col contenuto della risoluzione che con l'attuazione dell'Action Plan fissa le condizioni per una liberalizzazione dei visti di breve durata nell'UE e rafforza la posizione dell'Unione nei confronti dello sviluppo democratico del paese dopo le ultime elezioni locali. Inoltre, la risoluzione consentirà all'Ucraina di partecipare ai programmi dell'Unione e definirà l'attuazione delle nuove leggi sul gas dopo l'adesione di Kiev alla comunità dell'energia.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Il nuovo contesto politico e il nuovo quadro istituzionale in Ucraina, oltre che la prontezza del Presidente Viktor Yanukovych, eletto di recente, e del Verkhovna Rada (Parlamento ucraino) nel confermare la volontà del paese di entrare a far parte dell’Unione europea, sono un nuovo passo verso l’avvio del processo di adesione.

Secondo l’articolo 49 del trattato sull’Unione europea, l’Ucraina può richiedere di diventarne membro, come qualsiasi altro Stato europeo che si attenga ai principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nonché dello stato di diritto.

Ho votato a favore di questa risoluzione, che identifica le proposte da presentare alle autorità ucraine. La stabilità istituzionale che riconosce la piena partecipazione di tutti gli attori politici, determinando passaggi di potere sani, non è stata ancora raggiunta. Auspico che i forti legami storici, culturali ed economici tra Unione europea e Ucraina si consolidino e, a tempo debito, consentano l’ingresso del popolo ucraino nell’Unione. A tal proposito, desidero sottolineare l’importanza del rafforzamento della cooperazione nell’ambito degli scambi per giovani e studenti e dello sviluppo di programmi di borse di studio che consentano agli studenti ucraini di familiarizzare con l’Unione europea e gli Stati membri.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) Questa risoluzione è frutto di un relativo consenso e afferma che l’Ucraina, a norma dell’articolo 49 del trattato sull’Unione europea, possa presentare domanda di adesione all’Unione europea come tutti gli Stati europei che si attengono ai principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nonché dello stato di diritto. Si sottolinea inoltre che l’Ucraina, intende paese intenzionato a entrare a far parte dell’Unione europea, abbia forti legami storici, culturali ed economici con l’Unione e rappresenti uno dei partner principali tra i vicini orientali, esercitando un’influenza significativa su sicurezza, stabilità e prosperità dell’intero continente.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. (LT) Dopo le ultime elezioni tenutesi a Kiev all’inizio dell’anno, in molti pensavano di assistere alla ‘fine’ del paese. Il punto, però, è che il nuovo governo ucraino è molto più pragmatico e aperto alle riforme di quanto ci si aspettasse. Una stretta cooperazione con l’Ucraina è fondamentale se si traduce anche nella più piccola opportunità di assicurare stabilità nella regione. Negli ultimi anni, l’Ucraina si è trasformata in un campo di battaglia politico, con una contesa tra la Russia e l’occidente per guadagnare influenza all’interno del paese durante la Rivoluzione arancione e le ultime elezioni. Che la scelta dell’Ucraina ricada sulla Russia o sull’occidente ha poca importanza: ora l’Unione europea ha la possibilità di implementare una nuova politica sull’Ucraina che coinvolga la Russia, e in questo ambito la Lituania, il mio paese, può rivestire un ruolo.

La sicurezza e l’energia rappresentano due aree in cui sarà necessaria una cooperazione di lungo periodo per risolvere alcune dei problemi di Kiev. Mentre l’Ucraina si impegna a modernizzare la propria economia e a conseguire una migliore integrazione in Europa, è importante che i principi democratici e i diritti umani siano rispettati. Auspico pertanto che in occasione del vertice UE-Ucraina, in programma a Bruxelles il 22 novembre, si compiano significativi passi avanti.

 
  
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  Joachim Zeller (PPE), per iscritto. (DE) Il crollo dell’Unione sovietica diede al popolo ucraino la prima possibilità nella storia di decidere del proprio futuro liberamente e in autonomia nazionale. Gli Stati e i popoli europei hanno un debito di solidarietà e sostegno nei confronti del grande popolo ucraino, che durante il periodo stalinista e la seconda guerra mondiale ha pagato un prezzo enorme con la perdita di diversi milioni di vite. La Rivoluzione arancione ha provato che il popolo ucraino desidera plasmare il proprio futuro in condizioni democratiche che prevedano il rispetto dello stato di diritto, e coloro che detengono responsabilità politiche, economiche e sociali nel paese non dovrebbero mai dimenticarlo. La gestione delle recenti elezioni regionali e gli eventi che hanno preceduto e seguito la consultazione elettorale hanno dato motivo di domandarsi se le azioni di coloro che detengono la responsabilità politica nel paese rispecchino realmente i principi di libertà, democrazia e stato di diritto. Questa risoluzione rafforza la posizione del Parlamento europeo secondo la quale gli ucraini possono contare sulla solidarietà dei popoli europei, chiedendo nel contempo ai politici del paese di rispettare la volontà del popolo di vivere in democrazia, in libertà e in uno stato di diritto. In quanto firmatario, ho votato a favore di questa proposta di risoluzione comune.

 
  
  

Relazione Jadot (A7-0310/2010)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho espresso voto favorevole per questa risoluzione perché ritengo che l’Unione europea debba svolgere un ruolo di primo piano nella lotta ai cambiamenti climatici, rafforzando così la competitività dell’economia attraverso il risparmio energetico e l’energia rinnovabile, due settori che possono contribuire a migliorare la sicurezza energetica e sono dotati di grandi potenzialità in termini di sviluppo industriale, innovazione, assetto territoriale e creazione di posti di lavoro.

Ciononostante, per svolgere questo ruolo e beneficiare dei vantaggi in termini di competitività, l’Unione europea dovrà modificare le politiche commerciali, a livello bilaterale, regionale o multilaterale, dal momento che il commercio di beni e servizi è responsabile di circa il 20 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra. Dovrà favorire i mutamenti necessari nei metodi di produzione e di consumo nonché nelle strategie di investimento. L’Unione dovrebbe inoltre essere attiva in materia di emissioni originate dal trasporto internazionale e di tecnologie rispettose del clima. Nonostante la strada da percorrere sia ancora lunga, si sono già mossi importanti passi in avanti, soprattutto in relazione alle importazioni illegali di legname, ai biocombustibili e alle emissioni prodotte dal settore dell’aviazione.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) Il commercio di beni e servizi genera circa il 20 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra. Sono favorevole a perseguire politiche commerciali miranti a differenziare prodotti e servizi a seconda del loro impatto sul clima. Ho votato a favore della risoluzione perché identifica le tappe che consentiranno all’Unione europea di proseguire su questa via, rafforza l’interazione positiva tra commercio e protezione del clima nonché gli strumenti a garanzia di coerenza tra il commercio e il clima e promuove prezzi giusti nel commercio internazionale, evitando così la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.

Desidero sottolineare che l’Unione europea non sarà in grado di assumere un ruolo preminente nella lotta ai cambiamenti climatici se non rafforzerà la competitività in campo economico attraverso il risparmio energetico e lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili. Questi due settori sono dotati di enormi potenzialità in termini di sviluppo industriale, innovazione, assetto territoriale e creazione di posti di lavoro e possono migliorare la sicurezza energetica dell’Europa.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) In occasione del vertice delle Nazioni Unite tenutosi a dicembre 2009 purtroppo l’Unione europea non è stata in grado di svolgere il ruolo auspicato. Come pioniere in materia di sviluppo sostenibile, ritengo importante che l’Unione europea estenda gli impegni assunti alla politica commerciale internazionale. Per questo motivo, alla vigilia del vertice di Cancún, assieme ai miei colleghi ho manifestato la volontà di conferire un mandato proattivo alla delegazione che dovrà perorare la posizione europea. Chiediamo alla Commissione europea di operare una distinzione tra i beni importati sulla base della propria impronta ecologica e di istituire un sistema di monitoraggio del carbonio per tutte le politiche commerciali. Poiché la lotta ai cambiamenti climatici incide sulla competitività, la nostra risoluzione chiede che tutti i settori industriali siano resi consapevoli dei pericoli della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e che si ponga fine al sovvenzionamento dei combustibili fossili, in particolare agli esoneri fiscali per il settore dell’aviazione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione. Nella lotta contro i cambiamenti climatici, le priorità dell’Europa sono i risparmi energetici e le energie rinnovabili, che contribuiscono a migliorare la sicurezza energetica dell’Unione europea e sono dotati di grandi potenzialità in termini di sviluppo industriale, innovazione, assetto territoriale e, con lo sviluppo di energia verde, creazione di posti di lavoro. Questa lotta determina tuttavia anche un impatto negativo sulla competitività dell’intero mercato dell’Unione. Le regole del commercio internazionale sono fondamentali nella lotta al cambiamento climatico, ma l’accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) non contiene alcun riferimento diretto al cambiamento climatico, alla sicurezza alimentare né agli obiettivi di sviluppo del Millennio. Ritengo necessario modificare le norme dell’OMC per garantire la coerenza e la consistenza con gli impegni previsti nel protocollo di Kyoto e negli accordi ambientali multilaterali (AAM). Così facendo, si assicurerebbe che tutti i paesi aderiscano ai medesimi standard, mentre attualmente, con il sovvenzionamento dei prezzi dell’energia e l’assenza di restrizioni o quote alle emissioni di CO2, alcuni paesi godono di un maggiore vantaggio competitivo e non hanno alcun interesse ad aderire agli accordi multilaterali in materia di cambiamenti climatici.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa relazione perché identifica obiettivi strategici e fasi che l’Unione europea può continuare a seguire mentre si cerca un accordo migliore sui cambiamenti climatici. Vorrei sottolineare che l’Unione europea ha già mosso i primi passi nella direzione giusta in materia di importazioni di legname illegale, agrocarburanti ed emissioni del settore dell’aviazione. Inoltre, va ricordato che la lotta al cambiamento climatico è un fattore di competitività e le priorità europee in questo senso sono rappresentate dai risparmi energetici e le energie rinnovabili, che contribuiscono a migliorare la sicurezza energetica dell’Unione europea e offrono un grande potenziale in termini di sviluppo industriale, innovazione, assetto territoriale e creazione di posti di lavoro.

Poiché il risultato del vertice delle Nazioni Unite sul clima, svoltosi a Copenaghen, è stato un accordo deludente, l’Unione europea deve rendersi più visibile, unita ed efficace, dedicare maggiore attenzione agli obiettivi di riduzione delle emissioni e di aiuto ai paesi in via di sviluppo che siano all’altezza delle raccomandazioni degli esperti e delle richieste del Parlamento.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) La relazione Jadot ci ricorda che il commercio di beni e servizi genera circa il 20 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra, un dato di cui si dovrebbe tenere conto negli impegni assunti per contrastare i cambiamenti climatici. Le politiche climatiche messe a punto dall’Unione europea sono ambiziose, ma anche le politiche commerciali devono rispecchiare questa priorità politica. Associandomi al relatore, deploro il fatto che alcuni paesi sovvenzionino i prezzi dell’energia e non applichino restrizioni né impongano quote alle emissioni di CO2, godendo così di un potenziale vantaggio competitivo. È un peccato che tali paesi non abbiano alcun interesse ad aderire agli accordi multilaterali in materia di cambiamenti climatici e incoraggino così una concorrenza sleale. La politica commerciale dell’Unione europea non è fine a se stessa, ma deve restare uno strumento di regolamentazione politica. Dobbiamo garantire una concorrenza leale ed evitare che il nostro impegno contro i cambiamenti climatici si trasformi in uno svantaggio in termini di scambi mondiali.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – L'impegno dell'Unione europea per porre un freno alle emissioni di CO2 non può essere portato avanti attraverso le dichiarazioni di principio e le contrapposizioni ideologiche. Quali che siano le conseguenze del problema, e senza considerare le soluzioni spesso radicali che emergono da studi più o meno argomentati, è nostra responsabilità non spingere l'ambiente a cambiare perché non sappiamo con certezza a quali problematiche andiamo incontro.

In questo quadro le politiche commerciali devono fare la loro parte. È facile chiedere agli Stati membri di ridurre le emissioni, ma è inutile se gli impianti produttivi maggiormente inquinanti vengono spostati in paesi a ridosso dei nostri confini. È politicamente comodo promuovere campagne sul consumo di prodotti locali, ma è privo di senso se per ottenerli si acquistano materie prime o prodotti intermedi dall'altro lato del mondo. Agire in maniera responsabile richiede anche una calibrazione attenta delle politiche commerciali, sulla base di un'attenta considerazione di tutto ciò che circonda i problemi. Chiudere gli occhi significa ingannare prima di tutto noi stessi.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa risoluzione perché penso che la relazione sia indirizzata verso l’assunzione di impegni audaci da parte dell’Unione europea nella lotta al cambiamento climatico. La risoluzione propone una riduzione del 30 per cento delle emissioni di gas a effetto serra nell’Unione europea. Appoggio questa proposta ambiziosa, ma al tempo stesso ritengo che gli sforzi dell’Unione debbano essere sostenuti a livello mondiale dagli sforzi dei grandi paesi industrializzati. Dobbiamo trovare il modo di coinvolgere anche gli attori statali internazionali più riluttanti a seguirci in questo percorso. Inoltre, come relatore ombra per il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, presentando degli emendamenti al testo originale, ho sottolineato la necessità di istituire l’Organizzazione mondiale dell’ambiente e di introdurre criteri ambientali nella riforma del sistema delle preferenze generalizzate.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Le politiche commerciali comunitarie determinano un impatto sul clima e le responsabilità dell’Unione europea non possono limitarsi alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra all’interno dei nostri confini. Una vasta maggioranza del Parlamento europeo ha votato a favore di questa risoluzione, che cerca di migliorare i legami tra commercio e azione climatica mediante proposte volte ad adottare politiche discriminatorie verso alcuni prodotti a seconda del loro impatto ambientale e a creare un sistema di monitoraggio del carbonio per tutte le politiche commerciali. Mi rammarica che i conservatori non fossero disponibili ad appoggiare alcune delle proposte più ambiziose; ciononostante, l’adozione di questa relazione rappresenta un chiaro appello a fare dei criteri ecologici una componente integrante della nostra economia.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa relazione “sulle politiche commerciali internazionali nel quadro degli imperativi dettati dai cambiamenti climatici” perché – considerato che il commercio di beni e servizi è responsabile di circa il 20 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra – sono necessarie misure a livello di politica commerciale comune per limitare il riscaldamento globale.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Dopo lo stallo del vertice sul clima svoltosi a Copenaghen, è importante che l’Unione europea prosegua lungo la strada percorsa sinora in termini di un fermo impegno verso lo sviluppo sostenibile e del tentativo di ridurre le emissioni di carbonio senza pregiudicare l’industria europea. È tuttavia necessario che qualsiasi impegno di riduzione delle emissioni non perda di vista l’efficienza economica né comprometta la sostenibilità economica degli Stati membri, che stanno attualmente attraversando una crisi economica senza precedenti. Non possiamo permettere che il maggiore trasferimento di tecnologia verso i paesi in via di sviluppo sia un mezzo per affrontare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e non possiamo permettere che le politiche volte a ridurre le emissioni di CO2 pregiudichino l’industria europea.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Il risultato del vertice delle Nazioni Unite sul clima, svoltosi a Copenaghen, è stato un accordo deludente perché incapace di limitare il riscaldamento del pianeta entro i 2°C e, inoltre, di carattere né globale né vincolante. L’Unione europea è lungi dall’essere la maggiore responsabile di questo fallimento: al contrario, ha assunto un ruolo di leadership nella lotta ai cambiamenti climatici, che dovrebbe essere incoraggiata a potenziare, senza però dimenticare gli incredibili sforzi già operati dalle nostre industrie per rispettare le riduzioni obbligatorie delle emissioni all’interno dei confini europei.

Va notato che l’Unione europea è responsabile di circa il 15 per cento delle emissioni globali, un dato che, secondo le stime, scenderà al 10 per cento nel 2030, mentre Stati Uniti, Cina e India sono responsabili della metà delle emissioni globali e il dato è tuttora in crescita. Rispetto alle politiche commerciali internazionali dell’Unione europea nel quadro dei cambiamenti climatici, anche se gli altri non ci seguiranno nel cammino, il nostro obiettivo dovrebbe consistere nel concentrare gli sforzi sulla ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica relativa alle fonti di energia diverse dal carbonio, l’efficienza energetica e la creazione di posti di lavoro verdi, al fine di incrementare la nostra competitività.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Implementando gran parte delle misure proposte in questa relazione non si muoverebbero i passi giusti nella lotta ai cambiamenti climatici. Al contrario, con il sostegno al trattato di Lisbona e al “libero commercio” e l’implementazione di controlli palliativi sul degrado ambientale causato dalla liberalizzazione del commercio non si farà che aggravare il degrado che minaccia sempre più il pianeta e la popolazione. La posta in gioco è accettare o meno che si continuino a sfruttare senza limiti le risorse naturali, i lavoratori e i popoli per servire il sistema capitalista dominante, che vive una crisi continua. Noi non possiamo appoggiarlo e, di conseguenza, siamo contrari a tutto ciò che segue: continuare a insistere sul controllo delle emissioni attraverso il sistema di scambio delle quote, che fa aumentare le emissioni, invece di ridurle, come si è dimostrato; maggiore apertura dei mercati e divisione del lavoro a livello globale, per consentire ai capitali dell’Unione europea di appropriarsi delle risorse dei paesi in via di sviluppo, abbassando i costi e incrementando i profitti; infine, il capitalismo verde, che associa “protezione del clima e liberalizzazione degli scambi” a “scambi di beni e servizi ambientali”.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) L’Unione europea ha la responsabilità di integrare aspetti di politica ambientale relativi al commercio nella sua politica di commercio internazionale. Appoggio i primi passi mossi in questa direzione dall’Unione europea negli accordi commerciali sottoscritti. Si potrebbe però fare molto di più. Non ho potuto appoggiare l’articolo 48: le sovvenzioni agricole sono necessarie per garantire la sicurezza alimentare e l’indipendenza di 500 milioni di europei e, a mio parere, questo è un aspetto di importanza fondamentale. Le sovvenzioni consentono inoltre la diversificazione delle pratiche agricole e contribuiscono alla conservazione del paesaggio.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato contro la relazione sulle politiche commerciali internazionali nel quadro degli imperativi dettati dai cambiamenti climatici perché mi trovo in totale disaccordo con l’opinione e l’argomentazione del relatore. La richiesta di rafforzare gli obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, a prescindere dai risultati finali dei negoziati internazionali, avrebbe come sola conseguenza la creazione di uno svantaggio competitivo per le imprese europee. La proposta del relatore di compensare tale svantaggio mediante misure protezionistiche, come l’imposizione di una tassa sul carbonio ai confini dell’Unione e prezzi minimi regolamentati per la CO2, non farebbe che incrementare lo svantaggio competitivo rispetto ad altri settori a valle della catena di produzione industriale. Inoltre, tali misure danneggerebbero la politica in materia di commercio estero dell’Unione, rendendo più difficile la conclusione di futuri accordi commerciali bilaterali e multilaterali.

Il vertice tenutosi a Copenaghen un anno fa ha dimostrato che se l’Unione europea compie passi in avanti unilaterali, la sua politica climatica è destinata al fallimento: i partner economici non consentiranno che gli obiettivi e i metodi europei vengano loro imposti. L’Unione deve sostenere gli sforzi delle imprese volti a ridurre il consumo energetico mantenendo al contempo la competitività internazionale. Un approccio più pragmatico nei negoziati internazionali sarebbe un buon inizio.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore questa relazione, che delinea come le politiche commerciali dell’Unione europea possano contribuire a contrastare i cambiamenti climatici. Il relatore si augura che l’Unione europea assuma un ruolo di leadership internazionale in questa materia e valuta la possibilità di un’imposta sulle operazioni finanziarie, una riforma dell’OMC (in particolare delle regole antidumping), il divieto alla Banca europea per gli investimenti di accordare prestiti a favore di progetti che comportano un impatto negativo sul clima e la sospensione delle sovvenzioni alle esportazione di prodotti agricoli, tutte misure che valuto favorevolmente.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Il commercio di beni e servizi è responsabile di circa il 20 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra. In numerosi Stati membri, le emissioni legate al consumo superano i livelli di quelle legate alla produzione. L’Unione europea deve agire contro questo ‘scambio’ di emissioni: questa è l’unica strategia per iniziare a contrastare efficacemente i cambiamenti climatici. Per esempio, l’Unione non può finanziare gli sforzi per contrastare la deforestazione e, al tempo stesso, incentivare le importazioni di legname e biocarburanti. L’Unione deve trasformare le modalità di produzione e consumo, e non limitarsi a trasferire all’estero le emissioni; deve adeguare le proprie politiche commerciali in senso discriminatorio nei confronti dei prodotti in base al loro impatto sul clima, favorendo così le mutazioni necessarie nei metodi di produzione e di consumo nonché le strategie di investimento.

Le politiche climatiche dei nostri partner commerciali non possono essere messe a repentaglio per accrescere la quota di mercato europea. L’Unione europea deve essere attiva in materia di emissioni generate dal trasporto internazionale e assicurare l’accesso alle tecnologie rispettose del clima per i paesi in via di sviluppo. Ho votato a favore della relazione perché indica questa linea di condotta.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Non è compito facile trovare un equilibrio tra le politiche commerciali internazionali e gli imperativi dettati dai cambiamenti climatici, ma è necessario operare uno sforzo per ridurre significativamente i livelli di emissioni di gas a effetto serra di cui è responsabile il commercio internazionale. Non è tuttavia possibile farlo a spese della perdita di competitività dell’industria europea, specie durante una fase di grave crisi economica e disoccupazione crescente. Dobbiamo istituire politiche rispettose dell’ambiente ma anche di stimolo all’economia e ridurre gli allarmanti livelli di disoccupazione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La relazione è un tentativo di risolvere il problema della globalizzazione, un problema che la stessa Unione europea ha creato. In paesi al di fuori dell’Unione si fabbricano, in condizioni totalmente diverse, prodotti a basso costo che vengono poi importati in Europa a tariffe altrettanto basse, esercitando pressioni sui livelli dei salari europei e indebolendo la nostra economia.

Questa relazione si occupa degli elevati livelli di CO2 che ne derivano, senza però cercare di imporre un adeguato svantaggio commerciale ai prodotti in questione. Al contrario, appoggia la libera distribuzione della tecnologia e delle competenze europee a tutto il mondo. Questo non servirà a ridimensionare il problema della globalizzazione: al contrario, non farà che aggravarlo. È per questo motivo che ho espresso voto sfavorevole per la relazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulle politiche di commercio internazionale nel quadro degli imperativi dettati dai cambiamenti climatici perché accolgo favorevolmente l’ambizioso obiettivo del Consiglio europeo di ridurre entro il 2050 le emissioni di gas a effetto serra dell’Europa di una percentuale tra l’80 e il 95 per cento rispetto ai livelli del 1990, un obiettivo necessario affinché l’Unione europea possa riconquistare un ruolo di leadership rispetto alle questioni climatiche, stimolando altri paesi a contrarre impegni più ambiziosi.

Vorrei sottolineare quanto sia importante raggiungere un accordo vincolante a livello internazionale sulla protezione del clima e sostengo con forza l’avvio di un dibattito pubblico sulla creazione di un’Organizzazione mondiale dell’ambiente. Ritengo inoltre essenziale consolidare l’interazione positiva tra commercio e protezione del clima, per rendere più giusti i prezzi del commercio internazionale ed evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, favorire la differenziazione dei prodotti a seconda del loro impatto sul clima, assicurare che la liberalizzazione del commercio non metta a repentaglio le politiche climatiche ambiziose, includere a pieno il trasporto nelle problematiche commerciali e climatiche, rafforzare gli strumenti che riconcilino commercio e clima e potenziare la coerenza dell’Unione europea in materia commerciale e climatica dal punto di vista dei paesi in via di sviluppo.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Per assumere la leadership nella lotta al cambiamento climatico, l’Unione europea deve potenziare la competitività della propria economia mediante il risparmio energetico e il ricorso a fonti di energia rinnovabili. Queste due aree possono incrementare la sicurezza energetica dell’Unione e offrono grandi potenzialità in termini di sviluppo industriale, innovazione, assetto territoriale e creazione di posti di lavoro.

Al tempo stesso, l’Unione europea deve modificare tutte le proprie politiche commerciali, che siano bilaterali, regionali o multilaterali. Si tratta di una misura necessaria perché il commercio di beni e servizi è responsabile di circa il 20 per cento delle emissioni di gas a effetto serra. Il progetto è impegnativo, ma l’Unione europea ha già mosso i primi passi verso la giusta direzione rispetto a importazioni di legname illegale, biocombustibili ed emissioni del settore dell’aviazione. Lo scopo della relazione, frutto di numerosi dibattiti che hanno coinvolto imprese, associazioni, rappresentanti sindacali e la Commissione, è identificare i prossimi passi che consentano all’Unione di proseguire in questa direzione.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) Il vertice delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico tenutosi a Copenaghen ha prodotto un accordo deludente, di carattere né globale né vincolante e incapace di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2 °C. L’Unione europea è lungi dall’essere l’unica responsabile di questo fallimento, ma si è spesso resa invisibile e inefficace a causa della sua mancanza di unità, della sua incapacità di parlare con una sola voce, di presentare obiettivi di riduzione delle emissioni e di aiuto ai paesi in via di sviluppo che fossero all'altezza delle raccomandazioni degli esperti e delle richieste del Parlamento europeo. Perché tanti problemi? Di certo non esiste una risposta univoca a questa domanda, ma il problema nasce principalmente dal fatto che numerosi paesi non hanno ancora sperimentato una trasformazione ecologica su ampia scala della propria economia e continuano a metterne in dubbio i vantaggi economici, sociali o democratici di agricoltura e di trasporti pubblici più sostenibili, nonostante il moltiplicarsi degli studi e delle esperienze di successo in materia di transizione energetica.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. – Siamo fortemente contrari a questa relazione perché non possiamo accettare un atteggiamento strumentale e totalmente contrario agli interessi economici della nostra realtà sociale e produttiva. Pensare che da soli come Europa si possa risolvere il problema dell'emissione di CO2 nell'ambiente é pura utopia. Dopo aver chiesto troppo al vertice di Copenaghen l'anno scorso, non abbiamo imparato la lezione e di nuovo si sta preparando un documento che chiede troppo anche in vista del prossimo vertice sui cambiamenti climatici a Cancún. Non abbiamo dubbi sull'esito se quel testo quando arriverà in aula sarà approvato, farà la stessa fine del precedente, gettato nel cestino. Questa relazione sembra voler fissare i punti per il prossimo documento che sarà predisposto per il vertice sulla lotta ai cambiamenti climatici (COP16).

 
  
  

Relazione Jadot (A7-0310/2010) e proposta di risoluzione (RC-B7-0616/2010)

 
  
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  Robert Goebbels (S&D), per iscritto. (FR) Mi sfugge la logica dietro l’operato del Parlamento europeo riguardo ai cambiamenti climatici. Secondo numerosi eurodeputati, l’Unione dovrebbe fare sempre di più per ridurre le emissioni – riduzione del 30 per cento, 40 per cento, 50 per cento – ma nel frattempo non siamo in grado di attuare la famosa strategia del 2020. A maggior ragione visto che il resto del mondo non prende nota delle mosse che sta facendo l’Europa. A Copenhagen “è stato raggiunto un accordo tra americani, cinesi, indiani, brasiliani e africani” mentre l’Unione europea non era neppure stata invitata.

A Cancún non ci sarà un accordo “vincolante” sui famosi certificati di emissione di CO2, per la semplice ragione che i legislatori di Stati Uniti, Canada e Australia non lo vogliono e che Cina, India, Brasile e gli altri non si lasceranno imbrigliare in quel modo. L’Unione europea dovrebbe investire maggiormente in nuove tecnologie, e non in attività che servono solo alla speculazione finanziaria.

 
  
  

Relazione Désir (A7-0317/2010)

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. (FR) La responsabilità sociale delle imprese negli accordi internazionali ci porta verso una migliore amministrazione dell’economia globale, incoraggia una globalizzazione più equa, sociale e umana e aiuta lo sviluppo sostenibile. In un’epoca di globalizzazione, io sostengo questa proposta che ha lo scopo di rendere più morali le pratiche commerciali internazionali.

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) La globalizzazione e la crisi sociale e finanziaria hanno rafforzato l’esigenza di regole più severe per l’economia mondiale, poiché al momento la politica del commercio internazionale è strutturata in modo da favorire solo gli interessi di pochi operatori economici, che hanno tratto vantaggio dalla liberalizzazione del mercato per trasferire all’estero parte della propria produzione e per diversificare gli accordi di fornitura, sfruttando i paesi dove i costi di produzione sono bassi e i regimi normativi meno severi.

Accetto di conseguenza i principi proposti nella relazione, in quanto mirano a una condotta commerciale più coerente con gli obiettivi dell’Unione, soprattutto con la sua politica estera. È possibile ottenere tale scopo attraverso l’implementazione della responsabilità sociale e ambientale delle imprese nel commercio, cosicché cessino di violare i principi di responsabilità sociale. Si tratta di una forma di dumping sociale che va regolamentata accettando le proposte di questa relazione, soprattutto quelle riguardanti i meccanismi di collaborazione giudiziaria tra l’UE e i paesi partner, affinché sia possibile perseguire le multinazionali per gravi violazioni delle norme ambientali o dei diritti fondamentali, e attraverso l’adozione di una nuova iniziativa da parte della Commissione.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) In seguito alla Seconda guerra mondiale l’Unione europea ha tratto enormi benefici dall’apertura dei mercati internazionali. Al tempo stesso, il modello sociale europeo che ha accompagnato la globalizzazione in Europa ha purtroppo avuto ben poco impatto sulle trattative commerciali internazionali. È questo lo scopo della relazione a favore della quale ho votato questa settimana. Con il testo della risoluzione ho voluto sollecitare l’Unione europea ad adottare una posizione forte sul dumping sociale. La risoluzione richiede che il concetto di responsabilità sociale delle imprese, concetto riconosciuto dall’OCSE, dall’OIL e dalle Nazioni Unite venga incluso nel sistema delle preferenze generalizzate. La risoluzione invita inoltre la Commissione a intraprendere nuove valutazioni d’impatto per valutare gli effetti degli accordi commerciali sulle piccole e medie imprese (PMI). Da ultimo la risoluzione richiede che tutti i nuovi accordi contengano automaticamente una clausola di responsabilità sociale delle imprese. Come nel campo dello sviluppo sostenibile, l’Unione europea deve affermare le proprie convinzioni in materia di modello sociale e usarlo per portare avanti il progresso assieme alla globalizzazione.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione perché enuncia le proposte del Parlamento europeo che forniscono misure concrete per promuovere la responsabilità sociale delle imprese nel contesto della politica commerciale dell’Unione europea. Vorrei far notare come la crisi economico-finanziaria internazionale abbia generato una crisi sociale in tutto il mondo, e come questo non abbia fatto altro che aumentare la necessità di regole severe per assicurare una più efficace sorveglianza dell’economia mondiale, affinché non si sviluppi a detrimento delle nostre imprese. Nel caso dell’Europa, quindi, la politica commerciale deve essere condotta in modo coerente con tutti gli obiettivi dell’Unione e in particolare con gli obiettivi di politica estera. Inoltre è molto importante che l’Europa faccia in modo che la politica commerciale comunitaria aiuti a salvaguardare i propri modello sociale e politica ambientale, e non il contrario.

Concordo con l’esortazione del Parlamento alla Commissione europea affinché migliori il modello di valutazione di impatto per la sostenibilità, rifletta correttamente le implicazioni economiche, sociali, ambientali e dei diritti umani – compresi i traguardi di mitigazione dei cambiamenti climatici – degli accordi commerciali. La Commissione dovrebbe inoltre dare seguito agli accordi commerciali con i paesi partner dell’UE eseguendo, prima e dopo la firma di un accordo commerciale, studi di valutazione di impatto per la sostenibilità, con particolare riguardo ai settori vulnerabili.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) L’UE svolge un ruolo cruciale negli sforzi per creare una nuova governance. Con questo obiettivo in mente bisogna promuovere la coerenza tra le politiche delle istituzioni internazionali. Sta diventando evidente che, nel momento in cui rivedrà la propria strategia commerciale, l’UE dovrà riflettere sulle politiche commerciali che intende adottare. Nel caso in cui voglia inviare un chiaro messaggio anti-protezionistico, deve assicurarsi che il commercio internazionale sia equo.

L’Unione europea deve sostenere i propri interessi commerciali, rispettando i propri valori e norme e facendo in modo che anche gli altri li rispettino. Non dobbiamo dimenticare che le imprese in Europa sono vincolate da severe regole ambientali e sociali. Per mantenere un commercio equo e giusto l’UE deve poter esigere lo stesso atteggiamento da parte dei suoi partner commerciali, in particolare dai paesi emergenti, e insistere sulla qualità e sostenibilità soprattutto per i prodotti alimentari che entrano nel suo territorio.. L’Unione deve stabilire un dialogo con i propri partner e trovare un terreno comune per trasmettere i propri valori. Sulla base di questo sforzo alla trasparenza e all’instaurazione di un dialogo e in luce dei nuovi poteri che gli sono stati conferiti, il Parlamento europeo ha un ruolo chiave da svolgere e il dovere di conferire alle trattative un mandato politico e morale.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Nel mezzo della globalizzazione economica e del commercio internazionale c’è stato un aumento della pressione competitiva tra i paesi, che talvolta ha portato a gravi abusi dei diritti umani e dell’ambiente. Ho votato a favore di questa relazione perché la ritengo particolarmente pertinente nell’assicurare lo sviluppo di politiche più sostenibili, che tengano conto delle questioni ambientali e sociali, soprattutto promuovendo la responsabilità sociale delle imprese (RSI).

È di vitale importanza che le imprese operanti in aree diverse dall’Europa agiscano in linea con i valori europei e gli standard accettati a livello internazionale. In particolare la relazione propone che i futuri accordi commerciali negoziati dall’Unione europea debbano contenere un articolo riguardante lo sviluppo sostenibile contenente una clausola sulla responsabilità sociale delle imprese, che io considero cruciale.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto (IT). Dalla relazione in esame emerge come l'obiettivo consista nel trasmettere ai comportamenti delle imprese quei valori che contraddistinguono l'Unione europea e i suoi antesignani da sempre.

Il fine è pienamente condivisibile, purché tuttavia venga attuato in maniera corretta e non imponga alle nostre imprese degli oneri che ne pregiudichino la competitività, già ristretta da norme spesso rigide in materie quali il diritto del lavoro e gli standard ambientali (materie in cui peraltro nessuno, all'interno degli Stati membri, mette in dubbio i benefici sociali che si accompagnano agli appesantimenti delle strutture di costo).

Ritengo pertanto che sia necessario agire con cautela, poiché non è il momento adatto per imporre oneri che non siano sorretti da un unanime riconoscimento e da una condivisa volontà collettiva.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) L’investimento estero rappresenta una questione economica cruciale per i paesi emergenti e in via di sviluppo. La legislazione sociale e ambientale carente di questi paesi implica però il rischio di condizioni lavorative insensate, violazioni dei diritti umani e danni ambientale. È per questo che il Parlamento europeo ha richiesto l’inserimento della clausola di responsabilità sociale negli accordi commerciali stipulati dall’Unione europea per le imprese che investono nei paesi in via di sviluppo. Tale clausola richiederà alle imprese, alle loro consociate e alla rete di fornitori di impegnarsi in maniera chiara e dimostrabile in campo di impatto ambientale e sociale delle loro attività commerciali. La clausola permetterà inoltre alle vittime di intraprendere azioni legali Si tratta della soluzione migliore per assicurare protezione sociale e standard ambientali migliori in tutto il mondo.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché sostiene l’esigenza di un nuovo approccio normativo al commercio internazionale. Queste norme, di maggiore efficacia e di migliore attuazione, dovrebbero contribuire allo sviluppo di politiche più sostenibili che tengano davvero conto dei problemi ambientali e sociali, e non solo del profitto a tutti i costi per le imprese.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) I principi che guidano la responsabilità sociale delle imprese sono pienamente riconosciuti a livello internazionale e si concentrano sull’aspettativa di un comportamento responsabile delle aziende, il che presuppone il rispetto per le leggi vigenti, soprattutto per quanto riguarda tassazione, occupazione, rapporti di lavoro, diritti umani, ambiente, diritti dei consumatori, e anche del loro impegno nella lotta contro la corruzione. Ritengo quindi molto positivo che l’UE intenda ora includere nei futuri accordi commerciali un articolo sullo sviluppo sostenibile, che comprenderà anche la clausola della responsabilità sociale delle imprese.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea sostiene l’obiettivo di promuovere la responsabilità sociale delle aziende. L’Unione deve assicurarsi che le proprie politiche estere diano un contributo efficace allo sviluppo sociale e sostenibile dei paesi interessati. Deve anche assicurarsi che le azioni delle imprese europee, dovunque esse operino e investano, siano in linea con i valori europei e le norme concordate a livello internazionale.

In base all’articolo 207 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea: “La politica commerciale comune è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell'azione esterna dell'Unione” e in base all’articolo 3 dovrebbe, tra l’altro, “contribuire allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, in particolare i diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite”.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione sulla responsabilità sociale delle imprese negli accordi commerciali internazionali. La globalizzazione ha fatto nascere una feroce concorrenza tra i paesi, e questo a sua volta ha portato a pratiche inaccettabili da parte di numerose multinazionali nei paesi in via di sviluppo: inosservanza delle norme fondamentali del lavoro, violazioni dei diritti umani e danni ambientali. Il Parlamento richiede che venga inclusa una clausola di responsabilità sociale delle imprese in tutti gli accordi commerciali internazionali sottoscritti dall’Unione europea. Tale clausola richiederà la pubblicazione regolare di relazioni che dettaglino l’impatto sociale e ambientale di ciascuna attività delle imprese, comprese le consociate e la catena logistica. La relazione richiede la creazione di meccanismi di collaborazione legale tra l’UE e gli Stati firmatari e accordi commerciali, affinché sia garantito il ricorso al sistema giudiziario per le vittime nel caso in cui le multinazionali e le loro consociate non si attengano alla legislazione sociale e ambientale.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Sono d’accordo con la relazione perché, come sapete, l’espansione del commercio internazionale è giustificata se contribuisce allo sviluppo economico, alla creazione di posti di lavoro e al miglioramento degli standard di vita. Solo in questo caso la liberalizzazione del commercio è considerata un fattore positivo ed è accettato. Al contrario, quando distrugge posti di lavoro o mina le condizioni di vita, i diritti sociali e l’ambiente scatena un’opposizione molto forte. Di conseguenza, la politica commerciale comune non può essere ridotta a una serie di misure progettate per servire solo gli interessi economici immediati di pochi attori economici. L’impatto economico e sociale della liberalizzazione dei commerci varia in maniera sostanziale da paese a paese, e quell’impatto deve essere gestito e a volte rettificato perché la liberalizzazione rappresenta un processo in cui vi sono sempre dei vincitori e dei perdenti. L’espansione del commercio internazionale va a beneficio di tutti solo se si rispettano certe condizioni, da qui la necessità di gestire la liberalizzazione del commercio includendo accordi pratici e il volume degli scambi, una necessità che è diventata sempre più sentita per via dell’accelerazione del processo di globalizzazione. L’Europa e la comunità internazionale nel complesso si trovano quindi di fronte a un imperativo: devono incorporare nelle norme che regolano il commercio internazionale garanzie vere riguardo allo sviluppo sostenibile e ai diritti dei lavoratori. Tale imperativo, coerente con i principi sia delle Nazioni Unite, sia dell’Unione europea, è in totale sintonia con le aspettative pubbliche dell’Europa. Fino a ora, il legame tra commercio internazionale e responsabilità sociale delle imprese è stato, a dir poco, esile. Inserire i principi di RSI nelle regole che governano il commercio internazionale darebbe all’UE il potere di esercitare pressione sulle imprese affinché migliorino il propri comportamento, e sugli Stati firmatari degli accordi commerciali affinché si attengano alle norme ambientali e del lavoro.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione perché ritengo che le aziende impegnate nel commercio abbiano delle responsabilità verso i propri lavoratori. In primo luogo l’inserimento della clausola di responsabilità sociale negli accordi commerciali con i paesi terzi crea pari condizioni per le aziende nell’Unione e in questi paesi terzi, fornendo inoltre protezione ai lavoratori. Quando verranno redatte le clausole, però, bisognerà tenere conto del principio di proporzionalità. Esse devono raggiungere un equilibrio e non essere impostate in modo da ostacolare gli scambi in misura tale da avere un effetto deleterio prima sulle imprese e poi anche sui consumatori.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) L’impatto economico e sociale della liberalizzazione del commercio varia da un paese all’altro e in molti casi va tenuto sotto controllo. La politica commerciale comunitaria deve essere coerente con gli obiettivi complessivi dell’Unione europea e non servire semplicemente gli interessi a breve termine dei grandi operatori economici.

Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo che l’integrazione dei principi della responsabilità sociale delle imprese nelle norme commerciali internazionali darà all’Unione l’opportunità di esercitare una certa pressione sulle attività commerciali e sugli Stati che sottoscrivono accordi commerciali con l’Unione per assicurare il rispetto dei valori e delle norme stipulate a livello internazionale.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la relazione dell’onorevole Désir sulla responsabilità sociale delle imprese. A suo giudizio la RSI è uno strumento efficace per migliorare la competitività, le competenze, le opportunità di formazione, la sicurezza sul lavoro e l’ambiente lavorativo, per proteggere i diritti dei lavoratori e i diritti delle comunità locali e autoctone, per promuovere una politica ambientale sostenibile e incoraggiare lo scambio di buone prassi a livello locale, nazionale, europeo e mondiale. Egli chiarisce però che queste non possano soppiantare la regolamentazione del lavoro o gli accordi collettivi generali o di settore.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) La responsabilità sociale delle imprese può essere illusoria, e pur limitando certi tipi di abusi, può dare l’impressione che altri siano accettabili. In ogni caso può fornire un quadro concettuale e legale per l’intervento statale nella produzione e le condizioni sociali ed ecologiche nelle le quali si svolge. Sostengo quindi la relazione in riferimento a questo obiettivo.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) I principi che governano la legislazione in vigore, soprattutto per quanto riguarda tassazione, impiego, relazioni industriali, diritti umani, ambiente, diritti dei consumatori e anche il loro coinvolgimento nella lotta alla corruzione devono essere adottati da tutte le imprese che operano nel commercio internazionale. L’inserimento di questo genere di clausole negli accordi commerciali futuri è quindi fondamentale.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Questa relazione mira anche a una maggiore regolamentazione delle attività commerciali da parte dell’Unione europea. Ma l’Unione europea ha spesso dimostrato che le proprie restrizioni non rafforzano le attività commerciali o migliorano la qualità della vita, tendendo invece a essere controproducenti. Per fortuna il relatore è consapevole dell’importanza di porre un limite ai peggiori eccessi della globalizzazione. Richiede molto specificamente che il commercio internazionale sia liberalizzato solo nella misura in cui possa produrre benefici a tutti i livelli della società e a condizione che migliori la qualità della vita. È per questa ragione che mi sono astenuto.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. (IT) Dopo le crisi climatica, energetica e alimentare, quella finanziaria internazionale, che ha comportato ovunque una crisi sociale, non fa che accrescere l'esigenza di regole forti in grado di far sì che l'economia mondiale sia meglio inquadrata e non si sviluppi a danno delle società.

Il commercio internazionale, che è al cuore della globalizzazione, non sfugge a questa esigenza. Per i cittadini, ovunque nel mondo, lo sviluppo del commercio internazionale è infatti giustificato solo nel caso in cui contribuisca allo sviluppo economico, all'occupazione e al miglioramento del tenore di vita. È solo a questa condizione che l'apertura degli scambi è vissuta come positiva e accettata. Essa provoca viceversa fortissime opposizioni allorché avviene distruggendo posti di lavoro o mettendo in discussione le condizioni di vita, i diritti sociali e l'ambiente.

La politica commerciale non può dunque essere ridotta ai soli interessi immediati di alcuni operatori economici. Per l'Europa la politica del commercio deve essere coerente con tutti gli obiettivi dell'Unione, in particolare con quelli della sua politica estera di cui costituisce una delle leve intese a promuovere la concezione di una regolamentazione della globalizzazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) La risoluzione del Parlamento europeo sulla responsabilità sociale delle imprese negli accordi commerciali internazionali è intesa come un monito e un passo avanti sulla strada verso un nuovo modello sociale basato sull’etica e la responsabilità sociale nel mondo delle attività commerciali. Il fallimento dello stato sociale come lo conosciamo richiede la creazione di realtà nuove e la RSI può essere la forza trainante di un nuovo paradigma di cambiamento.

I problemi globali sono effettivamente stati esacerbati dalla crisi finanziaria e dalle sue conseguenze sociali. I principi che governano la RSI sono pienamente riconosciuti a livello internazionale sia dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE), che dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e dalle Nazioni Unite (ONU).

La promozione della RSI rappresenta un obiettivo sostenuto dall’Unione europea e che sottoscrivo anch’io. In considerazione di ciò, vorrei anche sottolineare il mio appoggio a una Commissione per il commercio e il lavoro dignitoso nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) per fornire una sede per la discussione di problematiche quali le norme del lavoro, soprattutto in relazione al lavoro minorile, e la RSI in relazione al commercio internazionale.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) In questa risoluzione il Parlamento europeo afferma che le sfide globali siano state aggravate dalla crisi finanziaria e dalle sue conseguenze sociali, innescando un dibattito globale riguardo alla necessità di un nuovo approccio normativo e alle problematiche di governance nell’economia globale, compreso il commercio internazionale. Secondo la relazione regole di maggiore efficacia e di migliore applicazione possono contribuire allo sviluppo di politiche più sostenibili che tengano veramente conto dei problemi sociali e globali. La relazione afferma inoltre che la globalizzazione ha aumentato la concorrenza tra le imprese e la pressione competitiva tra i paesi per attirare gli investitori stranieri. Il risultato è stato che, a volte, per attirare commercio e investimenti i governi abbiano tollerato gravi abusi sociali e dei diritti umani e seri danni all’ambiente.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0623/2010

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Fin dall’inizio l’Unione europea ha cercato di realizzare l’obiettivo di creare un mercato unico. La regolamentazione in materia di concorrenza ha aiutato a sostenere questi sforzi. Lungi dal favorire i grandi gruppi, la politica della concorrenza è in realtà intesa a proteggere i piccoli operatori dalle pratiche che la distorcono. Gli accordi tra le imprese – per esempio a sostegno dei programmi di ricerca – possono nascondere restrizioni commerciali ideate per eliminare un rivale. Al contrario, il dinamismo dell’economia europea è in parte legato a quella stessa capacità di collaborazione. Di conseguenza, la Commissione europea ha adottato una politica programmatica. La Commissione stabilisce regolarmente delle categorie di accordi che permettono di aggirare le severe regole della concorrenza nei casi in cui ciò si dimostra vantaggioso. La Commissione europea è impegnata in consultazioni ad ampio raggio ora che queste regole stanno per essere riesaminate. Nel complesso, la legislazione proposta ha accolto le posizioni espresse dal Parlamento europeo ed è in linea con la nostra posizione sull’argomento. Ho quindi votato a favore del testo.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) I Regolamenti (CE) n. 2658/2000 e 2659/2000, concernenti il regime di esenzione degli accordi di specializzazione e degli accordi di ricerca e sviluppo scadranno il 31 dicembre 2010. La Commissione intende adottare due nuovi regolamenti di esenzione che emendano i precedenti e alcune linee guida, in modo che i soggetti interessati aiutino ad analizzare e a capire se gli accordi di collaborazione siano in sintonia con le norme sulla concorrenza. Vi è attualmente un nuovo insieme di norme provenienti dalla Commissione e dalla giurisprudenza che devono essere codificate. Ho sostenuto questa relazione, e in particolare l’intento del Parlamento europeo di garantire la certezza del diritto ai soggetti interessati. Ritengo che quando l’Unione europea stabilirà delle linee guida, dovrà tenere conto dell’esperienza delle autorità nazionali e mondiali garanti in materia di concorrenza. Credo che sarebbe bene iniziare trattative internazionali sulla convergenza delle leggi in materia di concorrenza in tutto il mondo, dal momento che molti accordi e pratiche sono soggetti a regimi di concorrenza differenti che impediscono ai soggetti interessati di competere sul mercato con le stesse opportunità.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – Una sana economia di mercato non può prescindere da un monitoraggio continuo e costante sullo stato della concorrenza al proprio interno. Tuttavia tale controllo non può assumere i contorni ideologici di un insieme di parametri che valgano per tutti. È opportuno infatti esaminare caso per caso la situazione di ogni nicchia di mercato, al fine di compiere un'equa valutazione in ordine al rispetto di quei principi che, applicati meccanicamente, finirebbero per generare situazioni paradossali e anti-economiche. Va pertanto apprezzato il tentativo della Commissione di tenere sotto controllo la cooperazione orizzontale negli accordi di specializzazione e in quelli di ricerca e sviluppo, due settori alquanto delicati e le cui peculiarità giustificano il trattamento riservato di cui sono oggetto.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Le intese orizzontali tra le aziende in linea con le disposizioni di legge sono una forma di collaborazione commerciale spesso essenziale per creare considerevoli benefici economici, che in ultima analisi avvantaggiano il mercato e i consumatori. Sono normalmente attività di collaborazione che non comportano alcun coordinamento del comportamento concorrenziale da parte degli operatori del mercato, e dunque non hanno alcun effetto sulla concorrenza, ma promuovono guadagni che sarebbero altrimenti impossibili. Per questa ragione sono esentati dall’applicare l’articolo 101, paragrafo 1 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Ciò è particolarmente importante per gli accordi di specializzazione e gli accordi di ricerca e sviluppo enunciati nel Regolamento (CE) n. 2659/2000 e N.2658/2000, che la Commissione si propone ora di riesaminare. In un momento in cui l’Europa ha bisogno di investimenti in ricerca e sviluppo e dovrebbe investire in innovazione, è di fondamentale importanza che vengano predisposti i requisiti legali per la creazione delle necessarie sinergie tra le aziende che operano sul mercato, in osservanza della legge in materia di concorrenza.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) In conformità agli articoli 101, paragrafi 1 e 3, 103, paragrafi 1 e 105, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, le forme di cooperazione orizzontale tra le aziende sono permesse a patto che tali accordi contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti, o a promuovere il progresso economico o tecnologico, e che siano di beneficio per i consumatori. Ho votato a favore della relazione perché credo che, dati i significativi cambiamenti normativi da quando sono stati adottati i regolamenti e le line guida orizzontali, e la susseguente esperienza che la Commissione ha ottenuto nell’applicazione di questa regole, vi sia la necessità di una nuova serie di regole emanate dalla Commissione che tenga conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea in questo campo.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Sono d’accordo con la proposta perché in genere questi accordi orizzontali creano più preoccupazioni in materia di concorrenza di quelli verticali, e quindi sono lieto che la Commissione mantenga un approccio più restrittivo nello stabilire la soglia della quota di mercato per quello che riguarda gli accordi orizzontali. Sono inoltre del parere, però, che un tale approccio non debba portare a un quadro normativo più complicato.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione e accolgo con altrettanto favore il fatto che la Commissione abbia aperto due diverse consultazioni pubbliche in riferimento al riesame delle regole in materia di concorrenza applicabili agli accordi di cooperazione orizzontale. La risoluzione sottolinea l’importanza di ascoltare e prendere il più possibile in considerazione nel processo decisionale i pareri dei soggetti interessati per poter raggiungere un quadro normativo realistico ed equilibrato.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La revisione delle regole in materia di concorrenza applicabili agli accordi di cooperazione orizzontale è fondamentale per aumentare la collaborazione tra le imprese, soprattutto in termini di ricerca e sviluppo, e quindi aiuta a creare sinergie per un maggiore sviluppo in tutte le aree di cooperazione. Dobbiamo però tenere a mente che lo scopo di questo tipo di cooperazione non è quello di prendersi gioco delle regole in materia di concorrenza.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Gli accordi di cooperazione orizzontale possono portare considerevoli vantaggi economici: i concorrenti condividono i rischi, si riducono i costi, investimenti, know-how e la qualità dei prodotti migliorano e l’innovazione può essere implementata più rapidamente. D’altro canto, gli accordi di cooperazione orizzontale possono ridurre la concorrenza se i concorrenti stabiliscono i prezzi, fissano la produzione o forzano la divisione dei mercati. Sarebbero dunque auspicabili degli accordi chiari che assicurino stabilità. Mi astengo dal voto perché alcuni punti non sono ancora enunciati in modo sufficientemente chiaro.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della risoluzione per la revisione delle regole in materia di concorrenza applicabili agli accordi di cooperazione orizzontale perché prende in considerazione l’attività della Commissione, in particolare la trasparenza nei propri rapporti con il Parlamento e lo spirito di apertura con cui ha cominciato questo processo di revisione, con l’intento di ascoltare tutti i soggetti interessati.

Bisogna considerare la certezza giuridica ogni qual volta si riesamina una normativa. Ritengo cruciale che, una volta adottato il nuovo quadro normativo finale, un sommario e un elenco di risposte a domande frequenti spieghino in dettaglio questo quadro a tutti gli operatori del mercato. Condivido la preoccupazione del Parlamento che questo debba essere considerato un quadro regolamentare integrato sulla protezione dei diritti di proprietà intellettuale. I diritti di proprietà intellettuale rappresentano un contributo chiave all’innovazione, di conseguenza è fondamentale che vengano rispettati.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (ES) In questa risoluzione il Parlamento europeo accoglie con favore il fatto che la Commissione abbia aperto due diverse consultazioni pubbliche sulla revisione delle regole in materia di concorrenza applicabili agli accordi di cooperazione orizzontale. La risoluzione evidenzia l’importanza di ascoltare ed esaminare il più possibile nel corso del processo decisionale i punti di vista delle parti interessate per poter raggiungere un quadro normativo realistico ed equilibrato. La risoluzione esorta infine anche la Commissione a indicare chiaramente alla fine del processo di revisione in che modo si è tenuto conto dei contributi delle parti interessate.

 
  
 

(La seduta, sospesa alle 13.20, è ripresa alle 15.00)

 
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