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Procedura : 2010/2966(RSP)
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Testi presentati :

RC-B7-0635/2010

Discussioni :

PV 25/11/2010 - 12.3
CRE 25/11/2010 - 12.3

Votazioni :

PV 25/11/2010 - 13.3

Testi approvati :

P7_TA(2010)0450

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 25 novembre 2010 - Strasburgo Edizione GU

12.3. Myanmar - svolgimento delle elezioni e liberazione della leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sette proposte di risoluzione sulla Birmania – svolgimento delle elezioni e liberazione della leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi(1).

 
  
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  Véronique De Keyser, autore.(FR) Signora Presidente, talvolta, anche nelle situazioni di emergenza, arrivano buone notizie. Vorrei pertanto che tutti ricordassero l’emozione che ci ha sopraffatti quando abbiamo assistito alla liberazione di Aung San Suu Kyi alla televisione. È vero: siamo particolarmente legati a questa donna eccezionale, vincitrice di uno dei primi premi Sacharov assegnati dal Parlamento europeo, nel 1990, e che negli ultimi 20-21 anni, ne ha passati ben 15 in condizioni di prigionia. È il simbolo di una donna, una rappresentante politica, in grado di continuare a vivere in un paese duro come la Birmania, libera e senza mai cedere. È straordinario.

Questo evento non ci deve fare dimenticare che la sua libertà è molto fragile; già in passato è stata liberata e poi ricondotta agli arresti domiciliari. In secondo luogo, non dobbiamo dimenticare che le elezioni che si sono recentemente svolte in Birmania sono state una vera farsa, un simulacro di democrazia. Prima delle elezioni sono state approvate leggi tese a reprimere la libertà di espressione, ad alcune persone, come i monaci, è stato impedito di votare. Attualmente in Birmania vi sono ancora 22 000 prigionieri di coscienza e il paese rimane una delle peggiori dittature al mondo.

Chiediamo pertanto alle autorità birmane di rispettare i diritti di associazione e la libertà di espressione e di rilasciare i prigionieri politici. E confidiamo che questa donna eccezionale, che aspettiamo qui al Parlamento europeo o che andremo a trovare noi se non potrà venire a ritirare il suo Premio Sacharov, riesca a conservare uno spirito di libertà in questo paese ormai in ginocchio.

 
  
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  Marietje Schaake, autore.(EN) Signora Presidente, il 13 novembre, meno di una settimana dopo lo svolgimento delle contestate elezioni politiche, Aung San Suu Kyi è stata liberata dagli arresti domiciliari dopo essere stata confinata nella sua abitazione per 15 degli ultimi 21 anni per le sue posizioni filodemocratiche.

Come ha detto una donna iraniana nel film The Green Wave, dopo essere stata liberata dalla prigione di Evin a Teheran: “Nel momento in cui sono uscita, mi sono resa conto che mi trasferivo da una prigione piccola a una prigione più grande: una prigione chiamata Iran”.

Nessuno dovrebbe vivere in prigioni, né piccole né grandi, a causa delle proprie convinzioni. L’Unione europea cercherà di promuovere altri diritti e libertà per tutti i cittadini birmani e continua ad essere preoccupata per le condizioni e la sicurezza di Aung San Suu Kyi che rimane comunque sotto la sorveglianza dei servizi di sicurezza statali.

La sua liberazione, che accogliamo con grande gioia, deve portare ad ulteriori miglioramenti dei diritti di tutti i cittadini che sono sistematicamente limitati dalla costituzione del 2008 e dalla giunta militare. Elezioni come quelle che si sono svolte in Birmania questo mese, anche se si sono tenute in un clima di paura e repressione, spesso sono utilizzate dai regimi come una rivendicazione di legittimità nel tentativo di far credere che sia stata instaurata la democrazia. La legittimità di qualsiasi governo deriva tuttavia dalla sua capacità di assicurare benessere ai propri cittadini e il concetto di democrazia va del ben oltre il principio “una testa, un voto”; si incarna nelle istituzioni democratiche, nel buon governo, nello stato di diritto e nel rispetto dei diritti umani.

 
  
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  Adam Bielan, autore.(PL) Signora Presidente, tutti coloro che si erano illusi che le cosiddette elezioni organizzate il 7 novembre – che sono state una farsa – avrebbero portato un po’ di democrazia in Birmania si sentiranno sicuramente delusi. È vero che una settimana dopo le elezioni la vincitrice del Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, è stata rilasciata, ma nulla lascia presagire che la stessa sorte possa toccare agli altri prigionieri politici nel paese, che sono più di duemila. In realtà, alcuni giorni fa, abbiamo saputo che la giunta militare che governa la Birmania ha sospeso la pubblicazione di altri nove giornali, limitando ulteriormente la già scarsa libertà di espressione nel paese.

Per questo motivo, è necessaria una maggiore pressione da parte della comunità internazionale. Innanzi tutto, l’Unione europea deve premere con maggiore determinazione sulla Cina, in quanto, senza la Cina, la giunta al governo in Birmania non potrebbe continuare a detenere il potere. Desidero infine ringraziare il Presidente del Parlamento, onorevole Buzek, per aver invitato Aung San Suu Kyi alla cerimonia per la consegna del Premio Sacharov il mese prossimo a Strasburgo.

 
  
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  Barbara Lochbihler, autore.(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, le immagini della leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi dopo la sospensione dagli arresti domiciliari sono ancora fresche nella nostra memoria. Mostrano una persona che non è stata piegata da anni di isolamento e non lasciano dubbi sul fatto che continuerà a lottare per il cambiamento democratico nel suo paese. Dobbiamo accogliere con estremo favore qualsiasi passo verso la democratizzazione e il miglioramento nel problematico contesto dei diritti umani in Birmania.

Non sarà in ogni caso un processo semplice. La costituzione attualmente in vigore in Birmania, a seguito delle recenti elezioni, assolutamente antidemocratiche, mette il Presidente al di sopra della legge e concede l’amnistia per le pregresse violazioni dei diritti umani. Di fronte a una simile situazione, l’Unione europea non dovrebbe risparmiare critiche così come non lo dovrebbe fare di fronte alle continue e gravi violazioni dei diritti umani perpetrate contro le minoranze etniche spesso strappate alle loro terre, costrette ai lavori forzati e ad assistere al reclutamento dei loro figli come bambini soldato.

Dobbiamo intensificare gli sforzi tesi a portare dalla nostra parte paesi che godono di una certa influenza sul governo birmano, quali Cina e India; dobbiamo convincerli ad esercitare la loro influenza a favore della popolazione birmana. Devono dare seguito agli impegni in termini di rispetto dei diritti umani che hanno assunto ratificando la carta ASEAN, una carta che prevede che gli Stati membri intervengano per combattere le violazioni sistematiche dei diritti umani.

 
  
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  Rui Tavares, autore.(PT) Signora Presidente, cominciamo dalle elezioni. Come sappiamo, e come è già stato ricordato qui al Parlamento, le elezioni si sono svolte in un clima di paura e intimidazione. Sono state una totale farsa e non hanno avuto altro scopo che quello di voler conferire un’apparenza civile alla giunta militare. A molti è stato impedito di votare; migliaia di cittadini birmani (1 000 secondo gli stessi generali della giunta militare) hanno cercato rifugio in Thailandia, dove già vivono 100 000 birmani e dove ora, lungo il confine con la Birmania, il rischio di conflitti armati cresce. Tutto ciò ci aiuta a ricordare che, se da una parte la liberazione di Aung San Suu Kyi ci riempie evidentemente di gioia e di speranza, ora che potremo incontrare questa donna eccezionale, come è già stato ricordato, e riceverla qui al Parlamento, dall’altra non possiamo distogliere la nostra attenzione dal problema più importante per la Birmania, ossia la liberazione di un intero popolo e degli oltre 2 000 prigionieri politici e la necessità di porre fine al clima di intimidazione e paura che regna nel paese.

L’Unione europea non deve abbassare la guardia; abbiamo bisogno di molta concentrazione, attenzione e tenacia: non dobbiamo assolutamente indulgere in atteggiamenti di autocompiacimento. In questa situazione, credo che sia opportuno affermare che certi Stati membri devono essere più determinati e, soprattutto, più coerenti quando si tratta di sostenere i diritti umani. Gli affari che molti Stati membri continuano a condurre in Birmania devono essere allineati agli impegni dell’Unione europea in materia di diritti umani. Ricordo, per esempio, che la compagnia petrolifera TOTAL ha aziende in Birmania che contribuiscono per il 7 per cento al bilancio della giunta locale. Il Parlamento continuerà ed essere unito e attento a questo problema e speriamo che anche la Commissione e gli Stati membri seguano questa linea.

 
  
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  Bernd Posselt, autore.(DE) Signora Presidente, intervengo a mio nome e della collega, onorevole Andrikienė, per dire che la notizia della liberazione della vincitrice del nostro Premio Sacharov ci riempie di gioia. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che ci sono ancora almeno altri 2 200 prigionieri politici detenuti in condizioni terribili dalla dittatura militare birmana. Come è già stato ricordato, il paese è paragonabile ad una prigione a cielo aperto. Proprio per questo è ora necessario da parte nostra un atteggiamento critico e attento. Si è trattato solo di un’operazione di facciata oppure le elezioni, oggetto di una brutale manipolazione, hanno esposto la vera natura del regime? Ora dobbiamo servirci di tutti i meccanismi di cui disponiamo per spingere verso il cambiamento, un cambiamento che può essere considerato come una cartina al tornasole. Dobbiamo insistere perché sia consentito alla vincitrice del nostro Premio Sacharov di venire qui in dicembre per ritirare il suo premio con 20 anni di ritardo e perché le sia consentito di tornare indisturbata in patria. Solo allora potremo forse cominciare a sperare che le cose stiano effettivamente cambiando per un popolo che da decenni soffre il giogo di una dittatura socialista corrotta.

 
  
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  Cristian Dan Preda, a nome del gruppo PPE.(RO) Signora Presidente, innanzi tutto desidero rallegrarmi per il rilascio di Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione in Birmania, dopo anni di arresti domiciliari. Vorrei anche formulare l’auspicio che questa liberazione possa essere seguita da quella di oltre 2 000 altri prigionieri politici perché altrimenti, come ha ricordato l’onorevole Posselt, saremo costretti a considerarlo unicamente come un gesto di facciata.

Ritengo sia necessario da parte nostra offrire sostegno ad Aung San Suu Kyi nella ricostruzione del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia, sciolto illegalmente in maggio. La aspetta sicuramente un lavoro enorme. Per questo credo che occorra continuare a esercitare pressione a livello internazionale, perché la giunta militare non si è impegnata in un processo di democratizzazione, ma va nella direzione opposta, dato che le elezioni di novembre non sono state né libere né corrette. Per questo credo che non dobbiamo allentare la nostra attenzione su questa regione.

 
  
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  David Martin, a nome del gruppo S&D.(EN) Signora Presidente, mi fa piacere constatare quanto l’Unione europea abbia dato prova di unità sulla questione birmana. Ho letto la dichiarazione del Consiglio, la dichiarazione della Baronessa Ashton e anche la dichiarazione del nostro Presidente. Nessuno si è lasciato trarre in inganno dalle elezioni che si sono tenute in Birmania e che sono state viziate da gravi brogli; tutti hanno accolto con gioia il rilascio di Aung San Suu Kyi dagli arresti domiciliari, ma tutti hanno condannato il fatto che altre libertà sono ancora negate.

Signora Presidente, se però giochiamo bene le nostre carte, queste elezioni potrebbero – ed sottolineo “potrebbero” – costituire un nuovo inizio per la Birmania. Se, come hanno affermato altri colleghi, riusciremo a convincere la giunta a liberare tutti i prigionieri politici, se riusciremo a convincere la giunta a concedere a Aung San Suu Kyi piena libertà, sia in termini di movimento sia in termini di dichiarazioni politiche pubbliche e, infine, se il nuovo parlamento e il nuovo governo birmani inizieranno a migliorare la situazione dei diritti umani e fondamentali nel paese e a migliorare le condizioni socio-economiche della popolazione, allora forse, nel giro di qualche anno, le nostre istituzioni potranno avere buoni motivi per avviare negoziati e impegnarsi con il regime birmano e forse si comincerà a intravedere un futuro migliore per il paese.

 
  
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  Ryszard Czarnecki, a nome del gruppo ECR.(PL) Signora Presidente, le autorità birmane hanno liberato una personalità molto nota, quasi a voler dimostrare al mondo che il paese è democratico, che si è convertito ai diritti umani, mentre dietro la facciata non c’è nulla, nessun cambiamento reale e concreto. È una messa in scena, e grazie al cielo questa donna straordinaria ha riconquistato la libertà. Dietro a questa messa in scena si sta però purtroppo svolgendo una tragedia: come abbiamo già detto, molte migliaia di persone sono ancora in carcere. Lo slogan “rilasciare i prigionieri politici” è perciò ancora valido in Birmania.

Il messaggio della più nota prigioniera politica nella regione, appena liberata, ha un valore tale da diffondersi in tutta l’Asia; è a lei che i dissidenti cinesi si rivolgono e credo valga la pena ricordarlo. Per questo motivo, il Parlamento deve lottare per i diritti umani e per la libertà dei rifugiati politici nella regione.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D).(RO) Signora Presidente, nel febbraio 2010 il Parlamento europeo aveva già chiesto il rilascio di Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari dal 1990. La decisione delle autorità birmane di liberarla qualche mese dopo questa fondamentale richiesta da parte dei nostri eurodeputati è un primo passo nella giusta direzione. Non possiamo tuttavia considerarlo un segnale del ripristino dei diritti umani in Birmania, dato che in carcere vi sono ancora molti sostenitori della democrazia.

Il trattato di Lisbona sancisce che l’Unione europea si impegni per promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli; i nostri valori comuni sono il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia e i diritti umani. L’Unione europea ha il dovere di non limitarsi a promuovere questi valori solo all’interno del proprio territorio. Per questo esorto a trasmettere un messaggio di solidarietà ai cittadini birmani che patiscono la repressione delle autorità governative e combattono una battaglia quotidiana per il rispetto dei loro diritti fondamentali.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D).(FR) Signora Presidente, il 7 novembre, in Birmania, si sono svolte le prime elezioni in 20 anni. In un momento in cui queste elezioni avrebbero dovuto riempirci di gioia, oggi siamo invece ancora una volta costretti a condannare questo paese in cui dovrebbero essere garantiti, tra le altre cose, diritti umani e libertà di espressione. Le elezioni dovrebbero essere sinonimo della scelta che ogni singolo esprime attraverso il proprio voto.

Come possiamo parlare di scelta quando i partiti dell’opposizione non hanno la possibilità di parlare, quando non possono esprimersi liberamente o rappresentare correttamente intere popolazioni?

Stiamo parlando ancora una volta della Birmania, un paese che non è libero e che è nelle mani della giunta militare da molti, molti anni. Come tutti sanno, si tratta di un potere ormai fossilizzato che rimarrà tale fino a quando non saranno organizzate elezioni davvero libere e giuste.

La liberazione di Aung San Suu Kyi è un passo nella giusta direzione; dobbiamo riconoscerlo e apprezzarlo. Speriamo che possa essere seguita da altre azioni, come è stato precedentemente già auspicato, in particolare nei confronti di tutti gli altri prigionieri politici, e sono tanti.

 
  
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  Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questo momento siamo tutti ancora a compiacerci per la liberazione di Aung San Suu Kyi e abbiamo tutti nella mente le immagini della folla che con entusiasmo ha salutato il suo ritorno a casa, dove ha ritrovato figli che ha lasciato che avevano pochi anni e che ritrova più che maggiorenni.

È un momento di grande entusiasmo, è una festa per il popolo e per l'opposizione di Myanmar, ma è sicuramente uno il dato che deve emergere. Il nostro interlocutore oggi è indubbiamente la giunta militare, che deve chiarire in maniera non più differibile se la liberazione di Aung San Suu Kyi è stato un atto propagandistico, uno specchietto per le allodole o, al contrario, il primo passo verso un riconoscimento dei diritti di libertà di espressione a lei, e quindi anche a tutti gli altri prigionieri politici birmani, e un passo verso elezioni libere e democratiche.

È questo che l'Europa deve chiedere e pretendere. Alla gioia per la liberazione di Aung San Suu Kyi deve assolutamente associarsi una forte richiesta in questo senso.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE).(PL) Signora Presidente, ci ricordiamo tutti dell’epoca in cui Lech Wałęsa è stato rilasciato dal carcere e Nelson Mandela è stato liberato dopo anni di prigionia. Sono eventi che ci hanno fatto sperare in un mondo libero, che ci hanno fatto sperare che tutta la pressione esercitata su quei governi avesse avuto un effetto. La liberazione della leader dell’opposizione in Birmania, Aung San Suu Kyi, rappresenta una grande sfida anche per noi. Se non ci sarà l’impegno della comunità internazionale, se non si eserciterà pressione sulla giunta al potere in Birmania, il paese non conoscerà mai la democrazia. Ricordo quando i leader del mondo libero venivano in Polonia durante la dittatura comunista: oltre alle visite ufficiali, andavano tutti a trovare il leader del movimento clandestino, Lech Wałęsa. Si dovrebbe anche ora adottare questa politica e mi fa piacere che la Baronessa Ashton si rechi tra breve in Birmania per incontrare Aung San Suu Kyi. Spero anche che una delegazione del Parlamento europeo possa presto parlare con lei in Birmania e a Strasburgo.

 
  
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  Janusz Lewandowski, membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, come tutti, anch’io vorrei rivolgere un tributo ad Aung San Suu Kyi, che ha appena riconquistato la libertà. Vincitrice del Premio Nobel e del Premio Sacharov del Parlamento europeo, rimane un simbolo di forza d’animo e di speranza per un futuro migliore che sicuramente il popolo del suo paese merita.

È essenziale che Aung San Suu Kyi goda di piena libertà di movimento e di espressione. È altrettanto importante che tutti gli altri prigionieri politici ancora in carcere (sono più di 2 000, secondo gli onorevoli Posselt e Preda) siano liberati. Un intervento di questo tipo consentirebbe una transizione credibile verso un sistema di governo più inclusivo.

Le elezioni in Birmania/Myanmar non hanno rispettato le norme internazionali, in particolare per quanto riguarda le condizioni di partecipazione imposte ai partiti dell’opposizione. Il fatto che la società civile, nonostante le difficoltà, sia comunque riuscita in parte ad organizzarsi politicamente è positivo. Comprendiamo e accettiamo la decisione di certi partiti dell’opposizione di non partecipare, ma è anche importante segnalare che altri partiti, compresi quelli che rappresentano certi gruppi etnici, hanno invece partecipato; la loro volontà di cogliere quella che consideravano un’opportunità è lodevole.

Il fatto che in un paese si svolgano delle elezioni non è sufficiente a renderlo un paese democratico. Le elezioni possono tuttavia offrire lo spunto per un nuovo inizio e se non altro introducono un certo livello di pluralismo nel sistema. Nonostante gli evidenti vizi, se queste elezioni potranno costituire l’inizio di un processo positivo, ne saremo sicuramente lieti.

Abbiamo ripetutamente affermato che l’Unione europea era disposta ad impegnarsi con il governo, sfruttando l’opportunità offerta dalle elezioni per avviare una nuova fase positiva nella storia del paese. D’ora in poi dovremo verificare scrupolosamente se e come il nuovo governo e il nuovo parlamento renderanno conto del proprio operato alla società, dovremo verificare se le nuove istituzioni garantiranno il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e se attueranno politiche più idonee a migliorare la situazione economica e sociale dei cittadini.

Per migliorare la situazione dei diritti umani nel paese, occorre stabilire un dialogo costruttivo tra tutte le parti interessate. Un dialogo di questo tipo – oltre a favorire la transizione, attesa ormai da tempo, verso un sistema di governo civile, legittimo e responsabile – dovrebbe anche portare alla creazione di un sistema politico basato sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. L’Unione europea ha ripetutamente espresso la propria disponibilità a sostenere un simile processo.

Continueremo a servirci di ogni mezzo di cui disponiamo (dialogo e impegno, canali delle Nazioni Unite, misure restrittive, assistenza) per cercare di convincere il nuovo governo a migliorare il proprio operato. Gli aspetti relativi ai diritti umani sono parte integrante dei nostri programmi di aiuto; stiamo cercando di stabilire rapporti con la società civile e parti dell’amministrazione e cercheremo di impegnarci con il governo insistendo sulle sue responsabilità per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. La promozione dei nostri valori – ossia diritti umani, sviluppo e dialogo – è, e rimarrà, la pietra angolare della nostra politica.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Kristiina Ojuland (ALDE), per iscritto.(EN) Accolgo con grande gioia il rilascio di Aung San Suu Kyi dagli arresti domiciliari da parte delle autorità birmane, ma non dobbiamo per questo ammorbidire la nostra posizione nei confronti della giunta militare. Dobbiamo invece continuare ad occuparci delle violazioni dei diritti umani e delle libertà civili con il vigore di cui abbiamo sempre dato prova. Il fatto che ci siano 2 200 prigionieri politici rinchiusi in condizioni disumane nei penitenziari e che l’esercito birmano continui a rendersi responsabile di esecuzioni extragiudiziarie, lavori forzati, violenze sessuali e altre violazioni dei diritti umani non può essere fatto passare in secondo piano dal rilascio di un’attivista politica, per quanto importante. Come sappiamo, Aung San Suu Kyi, vincitrice del Premio Sacharov nel 1990, ci ha chiesto di servirci della nostra libertà per promuove la sua. Vorrei cogliere questa occasione per chiedere all’Unione europea e ai suoi Stati membri di servirsi di tutta la loro influenza economica e politica per accelerare la transizione di regime in Birmania.

 
  
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  Jarosław Leszek Wałęsa (PPE), per iscritto.(EN) La situazione in Birmania è giunta ad uno snodo critico. È importante che il Parlamento europeo tenga duro nei suoi rapporti con la Birmania. Dobbiamo concentrarci sul trattamento che il governo riserva ai cittadini, in una situazione in cui il 40 per cento della popolazione appartiene ad una minoranza etnica che, dopo le recenti elezioni, è stata costretta a fuggire in Thailandia. La liberazione di Aung San Suu Kyi è un fatto positivo, ma la storia ci ha mostrato che il governo birmano ha la pessima abitudine di tornare ai vecchi metodi quando tutta l’opposizione, o parte di essa, è in carcere. Attualmente, oltre 1 000 “prigionieri politici” sono ancora detenuti. Il palese disprezzo dell’importanza di elezioni libere è un chiaro indice del fatto che il nuovo governo non è minimamente interessato ad assicurare una vera democrazia al popolo birmano. Il Parlamento europeo deve sostenere la proposta delle Nazioni Unite tesa ad approfondire il dialogo con la Birmania e dobbiamo portare avanti i nostri sforzi tesi a proteggere i cittadini birmani da future ingiustizie. Sono convinto che la nostra costante attenzione e un dialogo aperto siano cruciali per il popolo birmano e che questo Parlamento e le altre organizzazioni internazionali debbano trasmettere un chiaro segnale di unità.

 
  

(1)Cfr. Processo verbale

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