Presidente. – Prima di iniziare la nostra seduta, vorrei fare delle osservazioni preliminari. Mi preme rammentarvi che giovedì scorso la Conferenza dei presidenti ha deciso che domani, martedì, alle ore 16, si svolgerà una discussione sulle relazioni Jędrzejewska e Trüpel concernenti il nuovo progetto di bilancio per il 2011. La votazione sulle relazioni è prevista per mercoledì. In secondo luogo, domani ci sarà anche una discussione sulle conclusioni della conferenza sul clima COP 16. La comunità internazionale ha messo a segno qualche progresso a Cancún. Anche una delegazione piuttosto ampia del Parlamento europeo ha preso parte ai negoziati, e gli europarlamentari in questione sono oggi presenti in Aula. Valuteremo congiuntamente col Commissario Hedegaard il nostro livello di soddisfazione in merito all’accordo raggiunto e quali dovrebbero essere i prossimi passi sulla questione prima della conferenza che si terrà nella Repubblica del Sud Africa.
In terzo luogo, il 21 ottobre è stato proclamato il vincitore dell’edizione di quest’anno del Premio Sacharov per la libertà di pensiero del Parlamento europeo. Come ricorderete, il premio è stato conferito al dissidente cubano Guillermo Fariñas. Purtroppo, Guillermo Fariñas avrà difficoltà a venire qui a ricevere di persona il premio mercoledì prossimo, malgrado io sia intervenuto personalmente in tal senso con una lettera indirizzata al Presidente cubano Raul Castro. Presumiamo che lady Ashton prenderà atto delle difficoltà del vincitore a venire a Strasburgo e che ne terrà conto nei rapporti futuri con Cuba. Continuiamo a nutrire la speranza che il vincitore del nostro premio riesca a venire da noi. Se dovesse prendere l’aereo da Cuba nelle prossime ore, potrebbe ancora farcela a presenziare alla nostra seduta di mercoledì.
In quarto luogo, vorrei ricordarvi che 30 anni fa, il 13 dicembre 1981 per l’esattezza, in Polonia venne dichiarata la legge marziale, nel tentativo delle autorità comuniste di reprimere il movimento Solidarność che si stava affermando con crescente determinazione. Migliaia di attivisti dell’opposizione vennero arrestati e più di 100 persone persero la vita. Quasi tre decenni dopo questi eventi, vorrei che commemorassimo quanti dimostrarono tanto coraggio da mettere a rischio la propria vita per liberare l’Europa dal giogo del comunismo. Quinto e ultimo punto, per quanto riguarda la condotta dell’onorevole Bloom nella plenaria del 24 novembre e considerando che non ha colto nessuno dei tre inviti che gli sono stati rivolti per scusarsi delle sue parole, sulla base degli articoli 9 e 153 del regolamento, ho deciso di comminargli una sanzione che consiste nel provarlo del diritto di ricevere l’indennità giornaliera per un periodo di sette anni. Ho già informato l’onorevole Bloom della mia decisione.
Passiamo ora ad alcuni annunci: la firma degli atti legislativi adottati con la procedura legislativa ordinaria. Colgo l’occasione per informarvi che mercoledì io e il Presidente del Consiglio sottoscriveremo i prossimi 10 atti giuridici adottati con procedura legislativa ordinaria, ai sensi dell’articolo 74 del regolamento. I titoli degli atti legislativi verranno pubblicati nel processo verbale di questa seduta. In secondo luogo, l’onorevole Gruny mi ha informato per iscritto che il suo mandato di europarlamentare è scaduto in quanto è stata eletta all’Assemblea nazionale francese. Il Parlamento ne prende atto e, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2 dell’atto in materia di elezione dei rappresentanti del Parlamento europeo con suffragio universale diretto e ai sensi degli articoli 4, paragrafi 1 e 4 del regolamento, conferma che a decorrere dal 14 dicembre 2010 ci sarà un seggio vacante . Infine, terzo punto, ho ricevuto una richiesta dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa affinché l’onorevole Cornelis van Baalen prenda il posto dell’onorevole Haglund in seno alla delegazione interparlamentare per i rapporti con l’Afghanistan. Vi sono osservazioni? Non mi sembra. La nomina viene pertanto approvata.
4. Firma di atti adottati in conformità della procedure legislativa ordinaria vedasi processo verbale
5. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
6. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
Presidente. – È stata distribuita la versione finale della bozza di ordine del giorno come redatta dalla Conferenza dei presidenti nella riunione di giovedì, 9 dicembre 2010, ai sensi degli articoli 137 e 138 del regolamento.
Sono stati proposti i seguenti emendamenti:
Mercoledì
Ho ricevuto una richiesta del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) di aggiungere all’ordine dei lavori la relazione Szájer concernente i meccanismi di controllo degli Stati membri sull’esercizio dei poteri esecutivi della Commissione.
József Szájer (PPE). – (EN) Signor Presidente, come ha giustamente ricordato, il nostro gruppo chiede che venga inserito nell’ordine del giorno il regolamento in materia di atti esecutivi. Mi sento un po’ a disagio, visto che non si tratta di una richiesta avanzata soltanto dal mio gruppo: diversi altri gruppi sono del medesimo parere. In seno alla commissione per gli affari legali c’è stata una votazione unanime su questa relazione e sulle varie dichiarazioni e intenti comuni ad essa allegati.
Vorrei ricordare agli onorevoli colleghi che il trattato di Lisbona è entrato in vigore un anno fa. Il regolamento sugli atti esecutivi è il risultato di un anno di negoziati molto ardui in un’area in cui i nuovi atti delegati ed esecutivi rappresentano una questione molto importante per questo Parlamento. A un anno di distanza, ritengo che possiamo esercitare totalmente tale diritto. Per questo sarebbe opportuno discutere e adottare questo nuovo regolamento.
Vorrei inoltre informarvi che – come i nostri onorevoli colleghi sanno – si era creata una situazione molto difficile in sede di Consiglio, con due minoranze di blocco. Si tratta pertanto di un atto molto delicato, per questo ritengo che la soluzione migliore sia trattarlo il prima possibile. La relazione tiene conto di tutti i diritti del Parlamento. Chiedo il sostegno di tutti gli altri gruppi.
Presidente. – Grazie, onorevole Szájer. Vi è consenso per questa proposta?
Hannes Swoboda (S&D). – (DE) Signor Presidente, non ci opponiamo all’inserimento di questo punto nel nostro ordine del giorno. Vorrei comunque richiamare la vostra attenzione sul fatto che i membri di alcune commissioni – e non solo del nostro gruppo, suppongo – nutrono ancora dei dubbi sulle norme specifiche. Ci serve sicuramente una scadenza per la presentazione degli emendamenti, in modo da poter votare al più tardi giovedì. Vorrei tuttavia aggiungere che sono ancora in corso alcune discussioni e che non posso anticipare se il nostro gruppo voterà o meno a favore. Le discussioni si devono ancora svolgere. Non ho tuttavia obiezioni all’inserimento di questo punto nel nostro ordine del giorno.
Presidente. – Vi propongo di procedere come segue. Terremo la discussione mercoledì prossimo e la seduta si chiuderà alle 21:00. La scadenza per la presentazione degli emendamenti sarà mercoledì alle 10. La votazione si svolgerà giovedì.
(Il Parlamento approva la proposta)
Catherine Trautmann (S&D). – (FR) Signor Presidente, il mio gruppo desidererebbe che venissero reinserite nell’ordine del giorno le due interrogazioni orali concernenti sia la relazione della task force Van Rompuy, sia i sei pacchetti legislativi della Commissione sulla governance economica.
In primo luogo per ragioni istituzionali, visto che l’articolo 9 del trattato di Lisbona ci concede questa prerogativa e questo potere di far applicare la clausola sociale orizzontale e, in particolare, lo studio sull’impatto sociale per le grandi disposizioni, le grandi direttive e decisioni che comportano conseguenze per i nostri cittadini.
John Monks, il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati, ha appena espresso per iscritto il proprio timore nel vedere che i piani di austerità potrebbero avere ripercussioni dirette sui redditi dei salariati, sulle loro retribuzioni e anche sulle loro pensioni. La ragione politica che mi induce ad avanzare tale richiesta a nome del mio gruppo, signor Presidente, è che al momento di discutere della regolamentazione del mercato, non solo esprimiamo il nostro verdetto sui mercati, bensì votiamo e legiferiamo a favore dei nostri concittadini.
Vorrei che la nostra Assemblea sostenesse la reiscrizione di queste interrogazioni orali.
Presidente. – Chi vuole intervenire a favore? Chi prende la parola per esprimersi a favore della richiesta?
Francesco Enrico Speroni (EFD). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, proprio per quei rapporti che devono intercorrere fra le tre Istituzioni – Consiglio, Commissione e Parlamento – ritengo opportuno appoggiare la proposta della collega.
Presidente. – Qualcuno vuole intervenire contro la proposta? Non vedo nessuno che voglia esprimere parere contrario. Procediamo pertanto alla votazione.
(Il Parlamento accoglie la proposta)
Le due interrogazioni orali in questione verranno inserite all’ordine del giorno di mercoledì pomeriggio. La seduta proseguirà fino a verso le 21:00.
(L’ordine del giorno viene approvato)
15. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.
Teresa Jiménez-Becerril Barrio (PPE). – (ES) Signor Presidente, il mese scorso ho organizzato un’audizione in questo Parlamento concernente le vittime del terrorismo, a cui hanno partecipato il Presidente del Parlamento e vari membri del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano).
Le vittime si sono rivolte a noi, quali loro rappresentanti in Europa, per garantire loro il diritto alla giustizia, che è stato frequentemente calpestato nei loro paesi, quali la Spagna, in cui il governo Zapatero continua a mentire al popolo spagnolo in merito a un processo negoziale con un gruppo terroristico che non ha ancora abbandonato le armi.
È per questa ragione che non sono ancora stati indagati a fondo incidenti gravi quali la soffiata nel caso del Bar Faisán, in cui i terroristi erano stati avvertiti dell’operazione organizzata per arrestarli.
I governi democratici non possono voltare le spalle alle vittime del terrorismo; hanno già pagato il prezzo più alto nella lotta per la libertà.
Il Parlamento deve insistere per far approvare una Carta europea che riconosca le richieste legittime delle vittime, quali non negoziare con i terroristi e accertarsi che scontino per intero le pene detentive cui vengono condannati.
Ádám Kósa (PPE). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell’ultima settimana lavorativa dell’anno vorrei fornirvi un resoconto della mia esperienza con l’amministrazione del Parlamento europeo. In linea col parere del Mediatore europeo del 6 dicembre, vorrei sottolineare che i collaboratori e il personale del Parlamento europeo meritano un elogio per il lavoro svolto al fine di promuovere le pari opportunità e, in particolare, per migliorare la situazione dei disabili. Spero che in futuro non faremo passi indietro su tali questioni. Vorrei ringraziare tre persone. In primo luogo, per ragioni di adattamento, vorrei ringraziare Erica Landi e Pierre Debaty, responsabili dell’unità competente per la formazione, e Rosa Brignone, responsabile dell’unità competente per le pari opportunità e la diversità, per aver assunto al Parlamento europeo 61 disabili. Il programma offre loro un impiego e un’assistenza adeguata. Vorrei chiedere al Presidente Buzek di continuare a prendere in considerazione tali programmi per il bene dell’Unione europea futura.
Csaba Sógor (PPE). – (HU) Signor Presidente, mi riempie di soddisfazione constatare che la vincitrice rumena del Premio giornalistico 2010 per l’Anno europeo conferito dalla Commissione europea appartenga alla comunità nazionale ungherese della Romania. La vincitrice del premio si è aggiudicata il riconoscimento della Commissione con un articolo scritto in ungherese, sua lingua madre. L’ungherese non è una lingua ufficiale in Romania, ma per la comunità ungherese di un milione e mezzo di persone che vive in quel paese rappresenta la lingua in cui ci si informa degli eventi che accadono nel mondo circostante. Sono riconoscente alla Commissione per aver capito che non può essere motivo di esclusione il fatto che un candidato non partecipi al concorso con una pubblicazione redatta nella lingua ufficiale del suo paese. Ho tuttavia anche la sensazione di essermi perso qualcosa, in quanto le comunità nazionali che non parlano una lingua ufficiale dell’UE – quali catalani, baschi, corsi, e l’elenco potrebbe continuare – non avevano la possibilità di partecipare al concorso se fornivano informazioni alle loro comunità nella propria lingua madre. È tempo che in tutte le decisioni della Commissione si tenga conto della realtà europea, del multilinguismo e della coesistenza delle culture.
Antonio Masip Hidalgo (S&D). – (ES) Signor Presidente, come si evince dagli arresti terroristici sotto il governo Zapatero, è evidente che le accuse che sono state formulate oggi contro il governo spagnolo sono chiaramente infondate.
Tuttavia, per passare al mio punto, in questi giorni si celebra il centenario del poeta Miguel Hernández, una perdita insostituibile nella guerra civile spagnola e una voce straordinaria che scaturisce con purezza dal cuore delle persone. Pastore di “capre e dolori”, era contemporaneo di Neruda e Aleixandre, vincitori del Premio Nobel.
In questa sede, che dovrebbe essere un luogo di libertà, tolleranza, pace e cultura, vorrei leggervi questi versi: “Sono una finestra aperta che ascolta/come scorre tenebrosa la vita/Ma c’è un raggio di sole nella lotta/che sempre lascia l’ombra sconfitta”.
In questi giorni cupi, andiamo avanti nella speranza del raggio di sole del poeta, che sconfiggerà le tenebre, le tenebre di quei giorni e per sempre. Parafrasando Miguel Hernández, “Dobbiamo parlare di molte cose”, o citando la poesia di Vallejo, menzionata da Vargas Llosa la scorsa settimana a Stoccolma, “Fratelli, c’è molto da fare” in questa Europa …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Daciana Octavia Sârbu (S&D). – (RO) Signor Presidente, la scorsa settimana la Commissione europea ha pubblicato una relazione sull’attuazione della strategia del 2007 sulla nutrizione e l’obesità. Tale relazione poneva l’accento non soltanto su alcune azioni specifiche adottate nella lotta contro le diete poco sane e l’obesità nell’Unione europea, ma anche sul fatto che molti degli obiettivi prefigurati dalla strategia non sono stati raggiunti. La strategia prevedeva azioni per ampliare e sostenere l’educazione alimentare dei bambini. Tuttavia, a livello comunitario è stato fatto troppo poco per onorare tali impegni. Ad esempio, il programma europeo per il consumo di frutta nelle scuole contiene elementi didattici, ma si rivolge solamente a un numero limitato di bambini. Benché l’impatto sia comunque positivo, la nostra sensazione è che sia piuttosto ridotto.
Un’altra questione rilevante è la pubblicità alimentare rivolta ai bambini. Nel 2007 la Commissione ha elaborato codici di condotta per regolamentare la commercializzazione di prodotti alimentari destinati ai bambini. Purtroppo, ancora oggi in alcuni Stati membri circolano annunci pubblicitari diretti di alimenti poco sani indirizzati ai bambini, e si riscontrano inoltre interpretazioni completamente diverse delle linee guida concernenti il codice di condotta.
Ivo Vajgl (ALDE). – (SL) Signor Presidente, vorrei che oggi noi membri del Parlamento europeo rivolgessimo la nostra attenzione e interesse all’allarme sul processo di pace in Medioriente lanciato al pubblico mondiale da 26 uomini e donne che in passato ricoprivano cariche prestigiose in seno ai governi dell’Unione europea.
Parlo di figure individualmente autorevoli a livello internazionale e che sono pertanto in grado di attrarre pubblicità. Ritengo che sarebbe opportuno che noi membri di questa stessa Assemblea prestassimo particolare attenzione alle parole di questo monito, che ci esortano a impegnarci di più per rafforzare le iniziative di pace in questa regione e, se necessario, per adottare una posizione più risoluta nel portare Israele al tavolo dei negoziati e nell’assicurare la pace non solo nella regione, ma anche nello Stato di Israele e per i suoi cittadini.
Michail Tremopoulos (Verts/ALE). – (EL) Signor Presidente, il meccanismo europeo di sostegno attribuisce alla Commissione obblighi aggiuntivi nei confronti della difesa dello stato di diritto europeo. Mi ha tuttavia sorpreso constatare che sta accadendo l’esatto contrario. Ho in mano una risposta scritta del Commissario Rehn riguardante il memorandum con la Grecia. Ha sottoscritto personalmente questa risposta, che dichiara che l’iniziativa e la responsabilità dei termini spettano esclusivamente al governo greco. Possiedo inoltre un’altra risposta scritta del Commissario Almunia in cui afferma esplicitamente che non considera necessario fornirci le informazioni che gli abbiamo chiesto sull’esercizio del controllo parlamentare.
La Commissione dà l’impressione di voler creare intenzionalmente delle zone grigie nell’applicazione dello stato di diritto europeo e delle politiche europee per tutta una serie di paesi. Il controllo democratico viene eluso, in quanto i governi nazionali si nascondono dietro la Commissione e la troika per le misure più basilari, mentre la Commissione rimanda tali questioni ai governi nazionali. Pertanto, da custode dei trattati, la Commissione si sta tramutando in una custode di uno stato informale di emergenza che ha personalmente e tacitamente dichiarato. In queste circostanze difficili, mettere in atto il meccanismo di sostegno non può significare esautorare lo stato di diritto europeo.
Georgios Toussas (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, la politica antipopolare dell’Unione europea, del Fondo monetario internazionale e dei governi borghesi degli Stati membri è degenerata in una guerra contro gli stipendi di base, i diritti sociali e del lavoro che la classe operaia tanto ha faticato a conquistare.
La disoccupazione di massa, la povertà, l’abolizione dei contratti collettivi nazionali, i tagli drastici delle retribuzioni e delle pensioni, le età pensionabili più elevate, l’abolizione delle professioni pesanti e poco salutari, l’incremento dell’IVA, i redditi delle fasce basse decurtati del 25 per cento nei settori privato e pubblico, la svendita delle aziende pubbliche, l’acuirsi dell’autocrazia e la repressione selvaggia della classe operaia e dei movimenti popolari. Esempi tipici in tal senso sono l’imposizione della misura deplorevole della politica che prevede di richiamare i marinai disoccupati in Grecia, la dichiarazione dello stato di emergenza ai danni dei controllori del traffico aereo disoccupati in Spagna, gli alunni e studenti inglesi vittima di percosse e la messa in discussione delle libertà fondamentali di base in generale.
Al contempo, tuttavia, abbiamo un pacchetto di sovvenzioni e agevolazioni fiscali ingiuriose …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Nikolaos Salavrakos (EFD). – (EL) Signor Presidente, si sta per concludere un anno difficile sia per l’umanità sia per l’Europa, un’Europa messa alla prova sul fronte della valuta comune e della coesione. Sono state create e messe all’opera nuove istituzioni di tutela e sostegno per difendere la moneta unica e aiutare due paesi importanti con economie completamente diverse: la Grecia e l’Irlanda. Ritengo che tutti noi, e in particolare i leader europei, abbiamo tratto insegnamenti da questa crisi, e che adesso siamo uniti da un senso di solidarietà più solido. Sono certo che sia così. Credo pertanto che verranno intraprese le iniziative giuste per mantenere la coesione sociale nel 2011, senza gli estremi causati dalla rigorosa austerità di bilancio. Devo rilevare che negli Stati Uniti vige una politica economica opposta. Dobbiamo accettare che nella zona dell’euro vanno adottate misure volte a creare le condizioni ideali per una ripresa fluida dei mercati in Grecia, Irlanda e Portogallo e ad evitare problemi analoghi in Spagna.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli ultimi sei mesi il governo ungherese, con una maggioranza di due terzi, ha lanciato un’offensiva contro le istituzioni democratiche. Nell’ambito di questo processo, è stato soppresso l’ente di vigilanza dei media, che in precedenza si basava sul criterio della parità, al posto del quale è stato istituito un organo composto solamente da delegati del partito al governo. Ai sensi della cosiddetta costituzione dei media adottata di recente in Ungheria, il governo ha inoltre la possibilità di censurare a propria discrezione determinati siti Internet, sulla falsariga del modello di censura cinese. La presidente dell’autorità per i media, Annamária Szalai, si è vantata con orgoglio di tale possibilità durante un’intervista. A titolo di esempio, ha citato il portale di notizie di destra con il maggior numero di lettori, www.kuruc.info, che, in virtù dell’anonimato garantito da Internet, era uno dei mezzi principali di denuncia delle violazioni commesse dal governo precedente. Chiedo al Parlamento europeo e alla Commissione di esortare il partito Fidesz a porre termine quanto prima ai processi antidemocratici attualmente in corso in Ungheria. L’unica arma che è rimasta all’opposizione ungherese è il potere dell’opinione pubblica, e adesso ci vogliono privare anche di quello.
Barbara Matera (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, è trascorso più di un mese dalla condanna per blasfemia a carico della contadina cattolica pakistana Asia Bibi.
Non possiamo non ricordare l'importanza della tutela dei diritti inviolabili dell'essere umano, tra i quali annoveriamo, nelle nostre Carte dei diritti, la libertà di espressione.
In paesi come il Pakistan l'accusa di blasfemia ha già causato la morte, negli ultimi dieci anni, di 46 persone, alimentando sempre di più l'intolleranza religiosa e, quindi, l'integralismo islamico. Tutte queste persone sono state uccise fuori dal carcere in seguito ad accuse di blasfemia oppure sono state trovate morte in prigione. Asia Bibi rischia la vita non solo in applicazione della legge del Pakistan, ma anche per mano di qualche fanatico. La legge pakistana alimenta quindi questo clima di persecuzione e di morti ingiuste.
Concludo ed esorto la comunità internazionale tutta affinché solleciti fermamente l'abolizione della legge sulla blasfemia del codice penale pakistano e affinché tutti i condannati per reati che ledono la libertà di espressione siano resi liberi in breve tempo.
Mariya Nedelcheva (PPE). – (BG) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, oggi verrà resa pubblica una dichiarazione sottoscritta da me e da quattro colleghi in cui viene chiesta una distribuzione equa delle sovvenzioni per l’agricoltura tra gli Stati membri vecchi e nuovi dopo il 2013. Ai sensi dell’attuale politica agricola comune, tutti gli agricoltori dell’Unione europea sono soggetti agli stessi obblighi, che comportano investimenti ingenti. Tuttavia, nonostante gli obblighi siano i medesimi, i diritti sono diversi. Ritengo pertanto che a decorrere dal 2013 il sistema dei pagamenti diretti debba garantire la parità di trattamento di tutti gli agricoltori dell’Unione europea. Dobbiamo archiviare il modello storico, definire criteri comuni e tener conto delle esigenze specifiche dell’agricoltura nelle singole regioni. Occorre inoltre istituire un sistema che autorizzi un trasferimento dei fondi dal secondo al primo pilastro, per consentire a un numero più cospicuo di produttori agricoli dei nuovi Stati membri di beneficiare delle misure e strumenti di sostegno. È giunto il momento di porre fine alle distinzioni operate dalla PAC tra Stati membri vecchi e nuovi, e spero sinceramente che appoggerete tutti questa causa.
Maria Da Graça Carvalho (PPE). – (PT) Signor Presidente, il tornado che si è abbattuto sul Portogallo martedì scorso ha causato danni enormi nella regione di Tomar. Questo tipo di catastrofe naturale sta purtroppo diventando sempre più frequente. È importante mettere a disposizione meccanismi di emergenza che consentano interventi tempestivi per soccorrere le popolazioni sinistrate.
Il ruolo dell’Unione europea è di importanza vitale, in quanto essa dispone di meccanismi e strumenti volti a rispondere a questa problematica specifica, quali il Fondo di solidarietà. Tuttavia, è assolutamente imprescindibile che tali meccanismi vengano attivati e applicati in maniera tempestiva, flessibile e semplice. Chiedo pertanto alla Commissione e al Consiglio di rendere più flessibile il Fondo di solidarietà per poterlo applicare con la tempestività richiesta da questo e da altri casi analoghi.
George Sabin Cutaş (S&D). – (RO) Signor Presidente, nel periodo precedente l’adesione della Romania all’Unione europea, la Commissione europea ha sottoposto a controlli rigorosi la situazione concernente le adozioni internazionali e ha raccomandato di porre fine a tali attività quando sono venute alla luce pratiche di adozione irregolari. Tuttavia, nel 2009, nel contesto della conferenza organizzata dalla Commissione europea e dal Consiglio d’Europa sul tema delle problematiche associate alle procedure di adozione in Europa, ho inviato a Jacques Barrot una lettera tesa a richiamare l’attenzione sulle ripercussioni della riapertura del mercato delle adozioni internazionali. Chiedevo inoltre alla Commissione europea di essere coerente.
In seguito a un’inchiesta condotta da un quotidiano rumeno, è emersa la possibilità che la Commissione europea abbia commesso un abuso di potere, dimostrato dal fatto che la Commissione ha imposto la chiusura della relazione ufficiale della conferenza, in cui si raccomandava l’istituzione di un’agenzia europea per le adozioni. Ritengo che l’immagine dell’Unione europea verrebbe offuscata dal coinvolgimento della custode dei trattati europei in un tentativo di falsificazione di un documento ufficiale. Per questo mi attendo una risposta chiara e motivata dalla Commissione europea, una risposta che elimini il punto interrogativo associato alla sua struttura verticale.
Gianni Pittella (S&D). - Signor Presidente, onorevole colleghi, da oltre un mese un gruppo di 250 persone, fra cui 80 eritrei, sono tenuti in ostaggio da trafficanti nel deserto del Sinai, in Egitto. Una parte di questo gruppo era stata precedentemente respinta dalle coste di alcuni paesi europei. Per il loro rilascio i rapitori chiedono 8.000 dollari di riscatto e intanto li sottopongono alle forme più atroci di abusi e privazioni. Già vi sono stati i primi sei 6 morti, mentre si parla anche di espianto di organi, immessi sul mercato illegale.
È tempo che la comunità internazionale e l'Unione europea dicano "Basta!", è tempo di parole chiare sulla garanzia del diritto di asilo ovunque, è tempo di riconsiderare per alcuni governi le fallaci politiche di respingimento! Lo ha chiesto il Santo Padre, lo hanno chiesto fondazioni, associazioni e personalità politiche.
Noi chiediamo che lei, signor Presidente, insieme al Commissario Ashton, si attivi immediatamente per far cessare questo calvario.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D). – (HU) Signor Presidente, a decorrere da gennaio l’Ungheria sarà il terzo Stato membro di recente adesione ad assumere la Presidenza di turno dell’UE. Sarà un banco di prova importante e una sfida per l’Ungheria. L’assunzione della Presidenza avverrà in concomitanza con l’avvio della governance economica dell’UE, il primo semestre finanziario, e la modifica del trattato di Lisbona per l’istituzione di un meccanismo permanente per la gestione delle crisi. Auspichiamo che si concludano i negoziati di adesione con la Croazia e che Romania e Bulgaria entrino a far parte dello spazio Schengen. I partiti democratici ungheresi, ad eccezione dell’estrema destra, sono concordi e intendono cooperare per la buona riuscita della Presidenza ungherese. Tuttavia, questo Parlamento dovrebbe anche occuparsi della contraddizione insita nel fatto che la Presidenza ungherese debba vigilare sul rispetto delle libertà fondamentali nell’UE mentre l’attuale governo del paese impone restrizioni gravi ai danni della democrazia, della libertà di parola e dei diritti sindacali. Mi auguro che il governo ungherese scelga di adottare per l’Europa una condotta diversa da quella intrapresa a livello nazionale.
Kristiina Ojuland (ALDE). – (EN) Signor Presidente, una delle questioni affrontate al vertice UE-Russia della scorsa settimana a Bruxelles è stata lo stato di diritto nella Federazione russa.
Mi preme ricordarvi che il verdetto sul secondo processo a carico di Mikhail Khodorkovsky e di Platon Lebedev verrà emesso nella mattinata del 15 dicembre.
I membri della comunità internazionale, tra cui l’UE, hanno seguito con attenzione il processo, e sono convinta che l’esito dello stesso ci consentirà di trarre alcune conclusioni concrete sullo stato di diritto in Russia. Poiché la prossima riunione della commissione di cooperazione parlamentare UE-Russia si terrà questa settimana a Strasburgo, auspico di poter sollevare la questione con i colleghi della Duma russa e del consiglio della federazione, e vorrei invitare i miei onorevoli colleghi a fare lo stesso.
Pat the Cope Gallagher (ALDE). – (GA) Signor Presidente, l’Unione europea ha svolto un ruolo importante per la promozione del processo di pace e riconciliazione in Irlanda del Nord e nelle regioni di confine del paese. L’Unione europea ha investito complessivamente 1,3 milioni di euro in tre programmi PEACE dal 1994. Dal 1989, l’Unione ha investito 349 milioni di euro nel Fondo internazionale per l’Irlanda. Tale Fondo ha sostenuto oltre 6 000 progetti in Irlanda.
(EN) Il sostegno comunitario ha permesso alle comunità dell’Irlanda del Nord e delle regioni di confine di sfruttare le opportunità derivanti dal processo di pace. Il ripristino della pace e della riconciliazione è un processo a lungo termine ed io sono fermamente convinto che sia ancora necessario proseguire con il sostegno offerto da Peace III e dal Fondo internazionale per l’Irlanda (IFI). Accolgo con favore la posizione adottata di recente dagli Stati Uniti e condivisa dalle autorità britanniche e irlandesi di valutare l’opportunità di proseguire il programma IFI dopo il 2010 in una maniera limitata e mirata. Per concludere, continuare a sostenere il programma per la pace è essenziale.
Oriol Junqueras Vies (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, la direttiva del 1989 “televisione senza frontiere” stipulava che gli Stati membri non debbano ostacolare le trasmissioni audiovisive degli altri Stati membri.
La revisione della direttiva nel 2007 si è tradotta in un rafforzamento e adeguamento di questa finalità alle nuove tecnologie e ai mutamenti della struttura del mercato audiovisivo. Tuttavia, il confine di Stato della Catalogna settentrionale continua a rappresentare una barriera culturale e linguistica che viola tali direttive. In pratica, ci si trincera dietro criteri tecnici per escludere sistematicamente le radio e televisioni in catalano dall’ambito delle trasmissioni regolamentate.
Le istituzioni europee dovrebbero pertanto far applicare le loro direttive, e le emittenti con vocazione transfrontaliera dovrebbero poter erogare i propri servizi a tutta la loro comunità linguistica e culturale se la stessa, come nel caso della Catalogna, abbraccia il territorio di più Stati.
Grazie mille.
Bairbre de Brún (GUE/NGL). – (GA) Signor Presidente, accolgo con favore gli accordi raggiunti a Cancún in seno al COP 16. Non dovremmo tuttavia illuderci di aver raggiunto il nostro traguardo. Occorre ora stabilire obiettivi più concreti, chiari e vincolanti.
I governi devono partire dal lavoro svolto a Cancún per dare vita a un accordo ambizioso e vincolante il prossimo anno, in Sudafrica. Dobbiamo anche impegnarci sul fronte interno.
Ci deve essere un consenso immediato sulla riduzione di almeno il 30 per cento della rilocalizzazione della CO2 in Europa – non solo per rispettare l’accordo internazionale, ma anche per il nostro bene – per poter essere competitivi a partire da adesso.
L’Europa deve garantire una maggiore efficienza in termini di consumo energetico. Il fatto che l’obiettivo del 20 per cento di efficienza energetica non sia stato conseguito rappresenta un nostro fallimento in tal senso. Le cose devono cambiare.
Slavi Binev (NI). – (BG) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei richiamare la vostra attenzione sui problemi che affliggono gli autotrasportatori bulgari, che rischiano di precipitare nell’indigenza se consentiremo l’imposizione di altri obblighi in materia di inquinamento atmosferico, emissioni di rumore e altro. Il settore è in crisi e aumentando tali obblighi si rischia non solo di acuire la crisi, ma anche di impedire al settore di rinnovare la flotta. In veste di cittadino bulgaro, mi oppongo ai calcoli effettuati dalla Commissione, che non hanno tenuto in considerazione le differenze in termini di ubicazione territoriale dei singoli Stati membri. La Bulgaria si trova in periferia del territorio comunitario, e gli autotrasportatori bulgari sarebbero i maggiormente penalizzati da questi oneri aggiuntivi. Basta esaminare i dati delle ricerche per constatare che l’economia bulgara è destinata a essere penalizzata da tutti questi scenari.
Onorevoli colleghi, spero che il Parlamento europeo abbia la volontà politica di impedire che i problemi che affliggono i paesi di confine dell’Unione europea si aggravino.
Nadezhda Neynsky (PPE). – (BG) Signor Presidente, qualche giorno fa il Presidente Barroso ha fatto presente che l’Europa si trova faccia a faccia con una nuova ondata di populismo e nazionalismo. Si è rivolto ai leader europei affinché combattano le manipolazioni che fanno leva sulle paure delle persone e su argomentazioni irrazionali che, a suo avviso, hanno permesso al populismo di prosperare in molti paesi. Il suo intervento mi ha fornito la motivazione per richiamare la vostra attenzione sui rischi che la democrazia corre nei paesi ex comunisti. È proprio in questi paesi, più che in altri, che i leader europei non devono scendere a compromessi di fronte ai tentativi di compromettere il diritto alla proprietà privata. La nazionalizzazione parziale dei contributi versati a titolo personale in fondi pensione professionali e il loro trasferimento agli enti previdenziali statali ne è un esempio. L’Europa deve inoltre vigilare sul diritto alla libera scelta e impedire che venga compromesso in qualsiasi forma. I leader europei devono essere intransigenti soprattutto nei confronti dei tentativi di manipolare l’opinione pubblica e dell’utilizzo diffuso di apparecchiature speciali per la sorveglianza, nonché della rivelazione ufficiale di informazioni riservate per mettere sotto pressione le persone e violare i diritti umani.
Jim Higgins (PPE). – (GA) Signor Presidente, sto per intavolare una questione importante. Sussiste una differenza chiara e ingente tra i profitti realizzati dagli agricoltori e gli utili incassati dalle catene di supermercati.
Nel mio paese, circa 22 000 persone lavorano nell’industria casearia. Solo in Irlanda, il mercato caseario vale un miliardo di euro l’anno. Non credo che l’Unione europea si stia impegnando a sufficienza per aiutare gli agricoltori; e non parlo delle sovvenzioni – le sovvenzioni sono accettabili.
Ci sono molte cose che non vanno in questo mercato. Ad esempio, gli agricoltori dovrebbero venir pagati per i loro prodotti entro 30 giorni. Siamo molto lontani da questo traguardo. Inoltre, il supermercato vende il latte scontato, ma è l’agricoltore che ci perde.
Mi delude che non ci sia l’intenzione di trattare tali problemi. Dobbiamo fare molto di più per proteggere gli agricoltori dal potere dei supermercati.
Ioan Enciu (S&D). – (RO) Signor Presidente, i diritti fondamentali costituiscono i principi di base dell’Unione europea. Tutte le istituzioni europee hanno il dovere primario di vigilare sull’osservanza di tali diritti.
In Romania, un paese membro dell’Unione europea, stiamo assistendo a violazioni gravi dei diritti fondamentali. Dopo aver mandato in bancarotta il paese dal punto di vista economico e sociale, il governo rumeno attuale sta ora attuando misure assurde, che costituiscono una violazione grave dei diritti fondamentali riconosciuti nell’Unione europea – il diritto a percepire una pensione, i diritti sindacali, il diritto a una retribuzione e i diritti delle giovani madri. Mi preme inoltre sottolineare che in Romania sono in corso preparativi per emendare la legge in materia di protezione e promozione dei diritti dei disabili. L’approvazione della proposta di legge presentata dal governo rumeno non farà che complicare la vita dei disabili, rendendoli dipendenti dallo Stato invece che aumentare la loro protezione e promuoverne l’inclusione sociale. Ne conseguiranno ripercussioni deleterie di ampio respiro ai danni degli interessi e della dignità dei disabili.
Alexander Mirsky (S&D). – (LV) Signor Presidente, vorrei chiedervi che cosa significa l’espressione “pilota per i collaudi”. Significa pilota incaricato di collaudare l’aeromobile durante il volo. Che cos’è un “passeggero per i collaudi”? Tale concetto è stato coniato di recente dalla compagnia aerea lettone airBaltic. Purtroppo, però, airBaltic non ha informato i passeggeri del fatto che stavano partecipando a un collaudo. Ad esempio, airBaltic fa accomodare i passeggeri a bordo e poi, durante il volo, si scopre che il velivolo ha problemi tecnici, in seguito ai quali effettua un atterraggio di emergenza. A mio parere, un aeromobile dovrebbe essere approntato prima di volare, non durante il volo, soprattutto se trasporta dei passeggeri.
Ultimamente la airBaltic ha dovuto affrontare numerose situazioni di emergenza. Vorrei richiamare l’attenzione degli eurodeputati e della Commissione europea sul problema della sicurezza aerea. Un atteggiamento irresponsabile può avere conseguenze tragiche. Grazie.
Charles Goerens (ALDE). – (FR) Signor Presidente, mi è stato riferito due volte che un’interrogazione orale concernente il referendum sul futuro del Sudan meridionale non verrà reinserita nell’ordine del giorno.
Vorrei ricordarvi che, ai sensi dell’accordo di pace globale del 2005, il Sudan meridionale, dopo un quinquennio, ha la possibilità di esprimere con un voto la propria volontà di rimanere o meno parte dello Stato sudanese.
Il referendum è in programma per il prossimo 9 gennaio. Tuttavia, quest’Assemblea avrebbe dovuto organizzare una discussione su tutta una serie di questioni ancora in sospeso, segnatamente la compilazione delle liste elettorali, la risoluzione delle controversie concernenti il confine tra la parte settentrionale e meridionale, per non parlare delle misure di sicurezza che devono essere adottate in caso di necessità.
Se continueremo a rinviare la discussione all’infinito, ci autopriveremo del diritto di conferire slancio politico al processo. Vi ho espresso il mio punto di vista. Continuo a credere che sarebbe più saggio tentare di prevenire le situazioni di conflitto invece che starsene in disparte e aspettare che si tramutino in tragedie.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, in base a dati Eurostat recenti, il Portogallo è uno dei paesi con i livelli più elevati di precarietà del posto di lavoro: il 22 per cento dei lavoratori svolge lavori precari, mentre la media dell’Unione europea è del 13,5 per cento.
Le donne e i giovani sono i più colpiti. Più del 23 per cento dei giovani al di sotto dei 25 anni è disoccupato e la povertà ha raggiunto il 18 per cento in Portogallo, e in questa percentuale rientrano sempre più frequentemente lavoratori indigenti che non guadagnano a sufficienza per sfuggire alla povertà.
Pertanto, com’è possibile pensare di comprendere le pressioni inaccettabili a cui la Commissione europea sta sottoponendo il governo portoghese affinché cambi il diritto del lavoro e agevoli ancor di più il licenziamento delle persone? Quel che serve è un sostegno maggiore alla creazione di posti di lavoro corredati da diritti e retribuzioni dignitose.
Miguel Portas (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, malgrado l’austerità dei bilanci, malgrado il Fondo monetario internazionale, malgrado il Fondo di stabilizzazione e malgrado un meccanismo di coordinamento economico basato su sanzioni, proseguono gli attacchi contro l’euro sotto forma di attacchi speculativi ai debiti sovrani di diversi paesi.
Va riconosciuto che l’errore può soltanto risiedere nelle decisioni politiche che sono state prese. Ogniqualvolta il Cancelliere Merkel e il Presidente Sarkozy speculano in pubblico, gli speculatori si affrettano a ringraziarli e a speculare di conseguenza. È evidente che ogni volta che dicono “no” agli eurobond in particolare, gli speculatori li ringraziano, riconoscenti per il prezzo, e a sua volta il prezzo di queste speculazioni crea divisioni in Europa.
Questa è un’Europa senza solidarietà e un’Europa in cui i paesi periferici stanno diventando sempre più emarginati. Le cose devono cambiare, signor Presidente.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, sono da tempo un acceso sostenitore dell’euro, ma adesso è in gioco il suo futuro. I capi di governo europei non hanno il coraggio di smetterla di buttare i soldi al vento. Dobbiamo finirla di dire: “Rimandiamo il problema di un paio d’anni”. Occorre invece dimostrarsi sufficientemente coraggiosi e responsabili da tagliare il debito. Solo allora si potrà attribuire la responsabilità alle banche. Verranno colpite anche persone come noi – attraverso i nostri fondi pensione e le assicurazioni sulla vita. Tuttavia, meglio stringere i denti adesso che non prolungare l’agonia. È qui che si annida il problema principale. A tale proposito, vorrei esortare tutti i miei onorevoli colleghi a partecipare alle iniziative della commissione per gli affari economici e monetari, in particolare per quanto riguarda financewatch.org, cosicché in futuro si possa trovare un modo per perseguire le banche, i lobbisti che purtroppo continuano a dettare legge qui, e ottenere informazioni indipendenti.
Cătălin Sorin Ivan (S&D). – (RO) Signor Presidente, l’adesione di Bulgaria e Romania allo spazio Schengen è di importanza fondamentale per la stabilità della frontiera orientale dell’UE. In secondo luogo, altrettanto importante è il fatto che si tratta di un passo naturale dopo che entrambi i paesi sono diventati membri a pieno titolo dell’Unione europea nel 2007.
La decisione si deve tuttavia fondare su dati tecnici concreti e non su sentimenti o passioni. Alcuni partiti al governo presenti nell’Unione europea ritengono di poter avere la meglio su determinate argomentazioni elettorali se si oppongono a questa decisione e incolpano la Romania e la Bulgaria del fatto che l’integrazione dei rom a livello comunitario presenta delle difficoltà.
D’altro canto, se l’esito della relazione sarà favorevole e l’ispezione condotta di recente in entrambi gli Stati membri indicherà che sono tutti e due pronti ad aderire allo spazio Schengen, ritengo che sarà estremamente importante per noi continuare a sostenerli, soprattutto perché abbiamo loro fornito una valutazione positiva non molto tempo fa.
Marisa Matias (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, all’indomani dell’ennesima conferenza sul cambiamento climatico, ritengo che, se siamo onesti con noi stessi, il massimo che possiamo riuscire ad affermare è che è andata meglio della conferenza di Copenaghen perché sono stati raggiunti dei risultati e messi a segno dei progressi. È andata meglio perché si è raggiunto un compromesso, ancora una volta sotto l’egida delle Nazioni Unite. È andata meglio perché alla conferenza di Cancún l’Unione europea ha dato di sé un’immagine migliore ed è stato un processo molto più trasparente del precedente. Ma questo non basta essere una consolazione, e dobbiamo riconoscere che è un risultato piuttosto esiguo.
Sono state gettate le basi per continuare a lavorare, ma dobbiamo anche ammettere che tali basi, benché positive, rimangono delle semplici promesse. I governi devono fare molto di più per soddisfare le esigenze dei cittadini e quelle di una crisi reale con vittime autentiche. Sono lieto che approfondiremo quest’argomento qui domani. Commemorare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo avrà ben poca utilità se continueremo a trascurare tali diritti. Dovremmo già sapere che il mercato non risolve tutto e che è tempo di mettere le persone al primo posto.
Rui Tavares (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, qualche giorno fa, nel Congresso statunitense, il rappresentante Ron Paul ha posto un interrogativo cruciale: quando una guerra inizia con una bugia, è più importante mantenere il segreto o rivelare alla gente la verità? Condivido la preoccupazione del mio omologo sull’altra sponda dell’Atlantico a proposito del caso WikiLeaks. Vi sono segreti che sono giustificati e necessari. I problemi insorgono quando i segreti diventano la norma invece dell’eccezione e, negli ultimi anni, abbiamo visto diffondersi una cultura della segretezza che sta mettendo radici, eludendo il controllo democratico e difendendo con tenacia i propri privilegi, come abbiamo visto dalle reazioni di alcuni governi e società al caso WikiLeaks.
Sulla scia delle pressioni politiche, Amazon, Visa, MasterCard e persino una banca svizzera che aveva intrattenuto rapporti con WikiLeaks hanno tagliato i ponti con quest’ultima. Un ministro francese ha preteso che la Francia non autorizzi questo sito Internet a funzionare sul territorio francese. Onorevoli colleghi, non c’è nessuna base giuridica per pressioni del genere. La fiducia è una strada a due corsie e i governi possono pretendere la fiducia dai cittadini solo se sono pronti ad avere fiducia in loro.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, sono trascorsi esattamente sei mesi da quando si sono tenute le elezioni parlamentari federali in Belgio. Mi preme precisarlo, in quanto non era mai successo che una Presidenza comunitaria venisse detenuta da un governo di transizione per tutti i sei mesi del mandato.
Oggi il Consiglio non è politicamente rappresentato in questa sede. È un po’ un peccato, perché questa situazione surreale merita di essere discussa. L’entità artificiosa che è il Belgio continua a essere ingovernabile come sei mesi fa e non c’è nulla da fare in proposito, in quanto Fiandre e Vallonia si sono evolute tanto da diventare due paesi distinti con culture politiche e socioeconomiche totalmente diverse.
Signor Presidente, la situazione in Belgio è a un vicolo cieco, tanto che l’Unione europea farebbe meglio a prepararsi all’emergere di due nuovi Stati membri: Fiandre e Vallonia.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Signor Presidente, le modifiche apportate di recente al codice di diritto del lavoro rumeno aggraveranno ulteriormente la situazione dei dipendenti, già gravemente colpiti dalla recessione. Verranno prolungati sia i termini di preavviso che dovranno rispettare i dipendenti che si sono licenziati sia i periodi di prova, il che significa che i contratti di assunzione potranno essere risolti senza preavviso durante tale periodo o al termine dello stesso, mentre potranno essere impiegate più di tre persone una di seguito all’altra per il medesimo posto di lavoro. Tuttavia, la misura più scorretta, che viola palesemente i diritti umani fondamentali, si propone di sospendere per legge un contratto di assunzione individuale di un dipendente che abbia preso parte a uno sciopero.
Desidero semplicemente protestare contro questo tentativo di trasformare i dipendenti in schiavi dei rispettivi datori di lavoro. Chiederei inoltre alle forze politiche e istituzioni europee di intervenire e arrestare il declino dello status dei lavoratori rumeni.
Presidente. – La discussione su questo punto è chiusa.
PRESIDENZA DELL’ON. ROUČEK Vicepresidente
16. Accordo di facilitazione del rilascio dei visti UE-Georgia - Accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare UE-Georgia - Regime di liberalizzazione dei visti in Serbia e nell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia - Attuazione dell'accordo UE-Russia per la facilitazione dei visti (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione congiunta su:
– la raccomandazione (A7-0345/2010), presentata dall’onorevole Griesbeck, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo di facilitazione del rilascio dei visti tra l'Unione europea e la Georgia [11324/2010 – C7-0391/2010 – 2010/0106(NLE)];
– la raccomandazione (A7-0346/2010), presentata dall’onorevole Griesbeck, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni sul progetto di decisione del Consiglio relativo alla conclusione dell'accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare tra l'Unione europea e la Georgia [15507/2010 – C7-0392/2010 – 2010/0108(NLE)];
– l’interrogazione orale (O-0140/2010 – B7-0568/2010)alla Commissione presentata dall’onorevole Ojuland, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, sull’attuazione dell’accordo UE-Russia per la facilitazione;
– l’interrogazione orale (O-0172/2010 – B7-0656/2010) alla Commissione, presentata degli onorevoli Weber, Busuttil, Brok e Peterle, a nome del gruppo del Partito popolare europeo, sull’attuazione dell’accordo UE-Russia per la facilitazione dei visti;
– l’interrogazione orale (O-0181/2010 – B7-0654/2010) alla Commissione, presentata dagli onorevoli Busuttil, Weber, Corazza Bildt e Hohlmeier, a nome del gruppo del Partito popolare europeo, sulla corretta applicazione del regime UE di liberalizzazione dei visti in Serbia e nelle ex Repubblica jugoslava di Macedonia.
Nathalie Griesbeck, relatore. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, sono estremamente lieta di introdurre questa sera queste due relazioni sugli accordi tra l’Unione europea e la Georgia, che presenterò congiuntamente. La prima riguarda la facilitazione del rilascio dei visti, la seconda la riammissione delle persone in posizione irregolare.
Vi ricordo che il primo accordo, relativo agli adempimenti inerenti la riammissione, richiede l’applicazione della totale reciprocità nei confronti dei cittadini di uno di questi paesi e dei cittadini di paesi terzi. Esso stabilisce delle procedure di riammissione – domande di riammissione, informazioni, documentazione fornita, prove, mezzi di prova, scadenze, mezzi di trasferimento, trasporti, transito, ecc. – come nel caso dell’accordo di riammissione UE-Pakistan, al quale, come ricorderete, mi sono fortemente opposta qualche mese addietro. In questo caso desidero esprimere la mia piena soddisfazione nei confronti di questo accordo, per il fatto che, effettivamente, rispetta i diritti umani e che dovrebbe essere possibile garantirne l’applicazione, in quanto la Georgia è uno dei firmatari della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e della Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Si tratta, a mio avviso, di due presupposti essenziali per acconsentire alla realizzazione di un tale accordo.
Il secondo accordo, incentrato sulla facilitazione del rilascio dei visti, rende possibile ai cittadini della Georgia, in particolare a coloro che viaggiano, come studenti, giornalisti, ecc., ottenere dei visti di breve periodo per muoversi più facilmente nell’Unione europea e, dunque, anche semplificare notevolmente tutti gli adempimenti per la presentazione della documentazione a sostegno di tale tipologia di domanda.
Desidero, inoltre, ricordarvi che, naturalmente, i due accordi sono correlati, poiché in base a un approccio condiviso, in linea di principio, un accordo sulla facilitazione del rilascio dei visti può essere stipulato solo in presenza di un accordo per la riammissione.
Due sono le questioni importanti da affrontare. Ci troviamo di fronte a un passaggio essenziale per rinsaldare i rapporti tra l’Unione europea e la Georgia, paese che, in questi anni, ha dimostrato chiaramente la propria volontà di avere rapporti di collaborazione più stretti con noi. Questi accordi costituiscono un primo passo verso la costruzione di relazioni privilegiate e rappresentano un segnale forte da parte dell’Unione europea nei confronti della Georgia.
Naturalmente, questi accordi ci interessano anche in un’ottica regionale, poiché contribuiranno agli sforzi posti in essere dall’Unione europea per rafforzare la collaborazione anche con altri paesi del Caucaso meridionale. Certamente ritengo, come noi tutti, che si tratti anche di un modo per incoraggiare la Georgia a dare attuazione a tutte quelle riforme che solo qualche giorno fa il Presidente ha ricordato come necessarie in materia di libertà, sicurezza e giustizia. Questo forse ci consentirà di affrontare insieme, in modo ancor più incisivo la lotta contro l’immigrazione clandestina, e di promuovere, in sostanza, la democrazia.
Pertanto, onorevoli colleghi, vi invito ad approvare i due accordi stipulati con la Georgia. Tuttavia, in conclusione, desidero ricordarle, signora Commissario, che sebbene la nostra collaborazione reciproca funzioni correttamente, qualche mese fa, nella discussione dell’accordo di riammissione con il Pakistan, lei dichiarò solennemente di volersi impegnare per una valutazione degli accordi attuali di riammissione e per la presentazione al riguardo di una relazione in Parlamento, sia per quanto concerne gli accordi conclusi che per quelli in fase di negoziazione. Le chiedo, quindi, di confermare nuovamente di fronte a questa Assemblea, in modo più o meno solenne, che non verremo tenuti in disparte, che non verremo coinvolti solo in modo marginale o scarsamente informato riguardo all’avvio e all’andamento dei negoziati a partire dal pronunciamento di tale dichiarazione. Ritengo tutto questo essenziale per procedere insieme in modo efficace e in sintonia con i nostri valori.
Kristiina Ojuland, autore. – (EN) Signor Presidente, devo dire innanzi tutto che sono molto lieta che questa discussione sull’accordo per l’abolizione dei visti tra Unione europea e Russia si svolga oggi in quest’Aula, poiché tale questione compare da tempo nell’agenda politica condivisa tra Unione europea e Federazione russa.
Sono a favore di qualunque progresso politico in tal senso che possa essere stato raggiunto al vertice della scorsa settimana. Tuttavia, presterò molta attenzione alle modalità di attuazione.
Per quanto concerne l’interrogazione alla Commissione sull’attuazione dell’accordo UE-Russia per la facilitazione dei visti da me presentata, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, vorrei conoscere quali progressi sono stati realizzati sinora, e se, al momento attuale, sia possibile attendersi una svolta relativamente a questioni tecniche quali l’obbligo di registrazione entro tre giorni presso le autorità competenti per i cittadini dell’UE che soggiornano presso un’abitazione privata in Russia.
Sono del tutto favorevole all’accordo per l’abolizione dei visti quale provvedimento per consentire ai cittadini russi di viaggiare all’interno dell’UE riducendo al minimo le formalità burocratiche, ma vorrei che anche da parte russa fosse adottata la medesima posizione nei confronti dei cittadini dell’Unione europea.
Un’altra preoccupazione che dobbiamo affrontare riguarda la sicurezza delle frontiere esterne della Federazione russa, specie in considerazione dei flussi di immigrazione clandestina provenienti da sud o da altrove. La Russia deve garantire il pieno controllo dei propri confini, così come l’Unione europea deve esercitare controlli accurati alle frontiere. Il futuro accordo per l’abolizione dei visti non deve contemplare ulteriori minacce per l’Unione europea.
Signora Commissario, attendo con grande interesse la sua risposta.
Manfred Weber, autore. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) desidera cogliere l’occasione della discussione odierna per fare il punto sulla politica dei visti dell’Unione europea.
Innanzi tutto, è importante sottolineare, per rendercene conto noi stessi, il grande valore per l’Unione europea di questa politica dei visti. È solo in quanto l’Europa è una e costituisce uno spazio comune per i nostri popoli, che siamo in grado di dare corpo a una politica comune dei visti. La nostra politica dei visti è dunque anche un simbolo dell’unità europea – un simbolo molto importante – ed è cruciale ribadirlo, specie in tempo di crisi.
In secondo luogo, chiediamo delle regole del gioco chiare in materia di agevolazioni dei visti. Nelle questioni tecniche gli standard devono essere rispettati – tanto alle frontiere esterne quanto nell’emissione dei passaporti e dei documenti di identità – e indicati con precisione. Non possiamo fare alcuna concessione di tipo politico rispetto al mantenimento di questi standard. Nel 2010 abbiamo visto come nei Balcani si è posto inizialmente l’accento sugli standard tecnici, ma in seguito le questioni di tipo politico sono state sollevate con vigore sempre maggiore. In materia di agevolazioni per il rilascio dei visti, tuttavia, non ci si può limitare a un solo paese. Dobbiamo guardare alla regione nel suo insieme. È certamente sempre difficile per noi valutare la situazione a partire da un caso specifico, tuttavia, il nocciolo della questione è che gli standard relativi agli aspetti tecnici debbono essere tutelati e mantenuti. Sostengo, dunque, il nostro Commissario quando dice che gli standard da noi richiesti debbono essere tradotti in provvedimenti concreti. Si tratta di un compito importante per la Commissione, perché solo allora la nostra politica in materia di visti verrà accettata dai nostri cittadini.
Terzo, vorrei menzionare il fatto che siamo lieti che l’ultimo Consiglio Europeo “Giustizia e affari interni” abbia discusso la rapida sospensione o abolizione delle facilitazioni al rilascio dei visti in quei paesi che dovessero venir meno nell’attuazione degli standard. L’esempio della Serbia ha dimostrato che il risultato è stato un forte afflusso di richiedenti asilo.
Giungo all’ultimo punto – almeno per il momento. Nel parlare di Russia e Ucraina, il nostro gruppo è fortemente scettico rispetto alla proposta di una rapida apertura delle frontiere, poiché abbiamo appena visto con il caso della Serbia che vi possono essere anche effetti negativi. Dobbiamo dunque muoverci con grande cautela in materia di politica dei visti.
Cecilia Malmström, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli colleghi, risponderò a tutti i vostri quesiti. Grazie di aver messo all’ordine del giorno questa importante discussione.
Consentitemi di incominciare ringraziando l’onorevole Griesbeck per il suo sostegno e il suo operato presso la commissione Libertà civili, giustizia e affari interni in merito all’accordo tra l’Unione europea e la Georgia a favore dell’acquisizione di un parere favorevole. A seguito della crisi in Georgia nell’estate del 2008 fu deciso in una seduta straordinaria del Consiglio dell’Unione europea di migliorare i rapporti con la Georgia, anche in materia di provvedimenti per la facilitazione del rilascio dei visti.
Come da lei indicato, onorevole Griesbeck, fa parte della prassi comunitaria subordinare un accordo per la facilitazione del rilascio dei visti alla conclusione di un accordo di riammissione. Pertanto, la decisione del Consiglio europeo richiede che i due accordi vengano negoziati e stipulati in parallelo.
Inoltre, sono molto grata all’onorevole Griesbeck per aver anche sottolineato l’importante passo in avanti nelle relazioni tra la Georgia e l’Unione europea rappresentato da questi due accordi. L’accordo di riammissione in questione è analogo agli accordi standard di questo tipo, e i suoi provvedimenti interessano i cittadini dei paesi coinvolti e i cittadini di paesi terzi, e tutelano altresì – così com’è stato detto – il rispetto dei diritti dell’uomo attraverso una “clausola di non applicabilità” e un articolo relativo alla protezione dei dati.
L’accordo prevede inoltre l’istituzione di una commissione congiunta per le riammissioni, con il mandato di vigilare sull’attuazione dell’accordo. Si tratta di un passo importante verso una maggiore mobilità dei popoli della Georgia e dell’Unione europea.
La Georgia ha già abolito la necessità di un visto per i cittadini dell’Unione europea e questo accordo faciliterà la mobilità dei cittadini georgiani, consentendo effettivamente ai cittadini della Georgia – più di 60 000 ogni anno – di ottenere un visto per l’area Schengen in modo più semplice, rapido ed economico.
Altri vantaggi tangibili saranno i tempi di risposta di soli 10 giorni per le domande di visto, e una riduzione del costo dei visti da 60 a 35 euro. Per alcune categorie di richiedenti il costo sarà nullo: studenti, giornalisti, minori, pensionati, disabili, ecc. Gli stessi, inoltre, avranno il vantaggio di poter produrre una documentazione semplificata e godranno di visti multipli qualora abbiano l’esigenza di effettuare ulteriori spostamenti. Inoltre, chiunque viaggi con passaporto diplomatico, sarà esente dall’obbligo di visto, e questo rafforzerà ulteriormente i contatti ufficiali tra l’Unione europea e la Georgia.
L’onorevole Griesbeck ha fatto anche riferimento alla valutazione. In effetti c’è stato un lieve ritardo, ma la presenterò per l’inizio del prossimo anno, spero non più tardi di febbraio. Sarà un piacere per me poterne discutere con la commissione per le libertà civili, e con il Parlamento. Lei ha anche menzionato il programma che riguarda il Pakistan. È operativo solo da 13 giorni e, pertanto, è un po’ presto per poterlo valutare ma, naturalmente, sarò felice di aggiornarvi in merito.
Riguardo alla questione sollevata dall’onorevole Ojuland, ovvero l’accordo di facilitazione del rilascio dei visti tra Unione europea e Russia, questo accordo è in vigore dal 1° gennaio 2007. Si tratta di uno degli otto accordi di facilitazione dei visti da noi stipulati. Un elemento particolarmente importante è che tali accordi abbiano una valenza reciproca, e dunque siano applicabili anche ai cittadini europei, i quali al momento hanno invece l’obbligo di richiedere il visto per recarsi in Russia.
Si tratta, inoltre, di un accordo importante dal punto di vista quantitativo. In base ai dati forniti dalla Russia, nel 2008 sono stati rilasciati più di 1,5 milioni di visti a cittadini dell’Unione europea e nello stesso anno i consolati degli Stati membri hanno emesso 3,5 milioni di visti a cittadini russi, ovvero più di un quarto di tutti i visti per l’area Schengen emessi in tutto il mondo.
Tutti i cittadini europei e russi beneficiano delle agevolazioni generiche previste da questo accordo di facilitazione, quale il costo ridotto a 35 euro. È prevista per un numero di ben definite categorie di richiedenti la possibilità di effettuare viaggi senza visto e di ottenere il rilascio di visti multipli.
La Commissione ha valutato queste facilitazioni, ritenendole molto efficaci. Sono stati, tuttavia, riscontrati anche i difetti di cui si è detto. Per rimediare, un mese fa abbiamo adottato una raccomandazione per delle direttive sulla rinegoziazione delle facilitazioni per il rilascio di visti con la Russia. Sono previste ulteriori facilitazioni in materia di prove documentali e della durata della procedura di richiesta dei visti, l’estensione dei provvedimenti per il rilascio di visti multipli e la possibilità di effettuare viaggi senza visto per un numero di categorie ben definite di richiedenti.
Quanto alla questione specifica dell’attuazione dell’articolo 10 dell’accordo per la facilitazione del rilascio dei visti, che prevede la semplificazione della procedura di registrazione, abbiamo notato in sede di valutazione che la Russia aveva adottato alcune semplificazioni. Ad esempio, è ora possibile effettuare richieste per posta. La tassa di registrazione verrà abolita l’anno prossimo, ma non sono ancora effettivi altri provvedimenti, quali la traduzione in inglese delle registrazioni e la possibilità di effettuare registrazioni online. Stiamo sollevando la questione con i nostri omologhi russi presso le diverse sedi competenti e auspichiamo di ottenere a breve questi risultati.
Per quanto concerne gli altri paesi del partenariato orientale, sono state avviate anche altre iniziative. Anche questo riguarda la sua domanda. Abbiamo un accordo per la facilitazione del rilascio dei visti con la Moldova e l’Ucraina a partire dal 1° gennaio 2008 e questi accordi sono attualmente in fase di rinegoziazione.
Quanto alla Bielorussia, un mese fa sono stati adottati dalla Commissione dei progetti di direttive di negoziato per la facilitazione del rilascio dei visti, e raccomanderemo il ricorso a visti multipli con lunghi periodi di validità per i viaggiatori in buona fede, istituendo delle scadenze per le pratiche di rilascio dei visti, nonché la possibile esenzione dall’obbligo del visto per chi detiene un passaporto diplomatico.
L’anno prossimo, infine, adotteremo dei progetti di direttive negoziali per un accordo di facilitazione del rilascio dei visti con l’Azerbaigian e con l’Armenia.
Quanto alla corretta applicazione del piano di liberalizzazione dei visti citato dall’onorevole Weber, ovvero quello in cui si fa riferimento alla Serbia e alla ex Repubblica jugoslava di Macedonia, il Consiglio ha deciso, come si è detto, di abolire nel 2009 l’obbligo di visto per la ex Repubblica jugoslava di Macedonia, il Montenegro e la Serbia. Tale decisione è giunta a seguito di un dialogo intenso e di progressi sostanziali da parte di questi paesi su questioni che rientravano nelle trattative per la liberalizzazione dei visti. Tali trattative si sono dimostrate efficaci per l’attuazione di diverse riforme importanti, ma come è anche stato detto, il regime di viaggi senza visto comporta delle responsabilità e i paesi coinvolti debbono prendere provvedimenti atti ad assicurare che non si verifichino abusi a causa dell’abolizione dell’obbligo di visto.
Alcuni Stati membri hanno visto aumentare il numero di richieste di asilo provenienti da questi paesi, in particolare dalla Serbia e dalla ex Repubblica jugoslava di Macedonia. In base alla nostra legislazione queste richieste debbono essere valutate individualmente. Abbiamo preso una serie di misure per affrontare la situazione: sono stati organizzati incontri ad alto livello con i ministri dell’interno su entrambe le questioni e si sono svolte delle visite ad alto livello in entrambe le capitali da parte della Presidenza belga del Consiglio e della Commissione.
Le autorità di questi due paesi hanno adottato provvedimenti al riguardo. Sono state condotte nuove campagne di informazione per i cittadini. La polizia di frontiera ha ricevuto istruzioni di effettuare maggiori controlli sulle persone che escono dal paese, informando i viaggiatori dei rischi connessi alle richieste di asilo infondate.
Quando, all’inizio dell’autunno, abbiamo proposto di abolire l’obbligo di visto per i cittadini di Albania e Bosnia-Erzegovina, entrambi i paesi si sono impegnati a intraprendere campagne di informazione per i loro cittadini sui diritti e i doveri derivanti dall’abolizione del visto e questo è stato fatto. Si tratta di campagne di informazione molto ambiziose. Inoltre, a seguito dell’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, la Commissione si è assunta l’impegno di intensificare il monitoraggio della liberalizzazione successiva alla abolizione dei visti per tutti i paesi dei Balcani occidentali.
Imposteremo il lavoro in due fasi. Da un canto, continueremo a valutare l’attuazione sostenibile delle riforme ad opera dei paesi coinvolti attraverso il processo di stabilizzazione e associazione – in particolare nei settori giustizia, libertà e sicurezza. D’altro canto, fungeremo da meccanismo preventivo contro il verificarsi nuovamente di situazioni in cui affluiscono numerose persone provenienti dalla regione. La raccolta delle necessarie informazioni operative che potrebbe prevenire il verificarsi di tali situazioni è stata fatta all’inizio dell’anno e godremo della partecipazione attiva del Frontex, dell’Europol, degli ufficiali di collegamento dell’immigrazione, degli ufficiali di collegamento della polizia Balcanica, e del segretariato della Convenzione sulla cooperazione di polizia per l’Europa sud-orientale, con il sostegno delle Presidenze entranti di Ungheria e Polonia.
Tutte le informazioni scambiate e raccolte saranno condivise dagli Stati membri dell’UE e, naturalmente, qualora opportuno, anche con i paesi dei Balcani occidentali. Tali informazioni verranno inoltre travasate nella valutazione della Commissione del primo semestre del prossimo anno in materia di monitoraggio della liberalizzazione successiva alla abolizione dei visti. Ritengo che tali provvedimenti dovrebbero contribuire ad evitare il cattivo uso del regime di abolizione dei visti e confido nel fatto che la stretta collaborazione tra i paesi di origine e quelli destinatari dell’UE, con il sostegno della Commissione, rappresenti una risposta efficace. Naturalmente, continueremo a riferire con regolarità al Parlamento europeo e al Consiglio, in merito ai risultati del meccanismo di monitoraggio, a partire dal giugno 2011.
Krzysztof Lisek, relatore per parere della commissione Affari esteri. – (PL) Signor Presidente, in qualità di relatore permanente del Parlamento europeo in merito ai rapporti di collaborazione UE-Georgia, nonché di relatore per il parere della commissione Affari esteri relativamente alle relazioni dell’onorevole Griesbeck, desidero commentare questi due accordi – quello per le riammissioni e quello per la facilitazione del rilascio dei visti – tra Unione europea e Georgia. Mi sento in dovere di dire che questi accordi sono stati adottati dalla commissione per gli affari esteri con una maggioranza schiacciante.
Desidero aggiungere il fatto che nel corso della precedente sessione parlamentare tenutasi qui a Strasburgo abbiamo udito l’intervento del Presidente Saakashvili; un intervento che anche coloro che non si considerano suoi sostenitori hanno descritto come pragmatico, equilibrato e razionale. In quell’occasione il Presidente Saakashvili ha non solo affermato di voler rinunciare all’uso della forza, e dichiarato la propria disponibilità al dialogo con la Russia in merito alle questioni controverse, ma ha anche affermato che l’obiettivo principale della politica estera della Georgia sarà, naturalmente, l’integrazione europea e l’adesione alla NATO.
A mio parere, dobbiamo rammentare che la Georgia e i georgiani sono attualmente il paese più europeista di quelli che fanno parte del programma di partenariato europeo, sebbene non dobbiamo, naturalmente, parlare di scadenze in questo momento, poiché farlo sarebbe assolutamente privo di senso. L’Unione europea dovrebbe dare una risposta positiva e altrettanto pragmatica alle ambizioni della Georgia. Dobbiamo essere aperti alla collaborazione con questo paese.
Gli accordi di cui discutiamo oggi non sono, ovviamente, di portata rivoluzionaria, ma tutti noi li riteniamo un passo nella giusta direzione. La questione cruciale è renderli operativi quanto prima, poiché a mio parere sarebbe sbagliato che gli abitanti dell’Abcazia o dell’Ossezia meridionale, regioni che si sono distaccate dalla Georgia e i cui residenti detengono un passaporto russo, godessero oggi di un trattamento migliore degli abitanti della Georgia.
Monica Luisa Macovei, a nome del gruppo PPE. – (EN) Signor Presidente, il gruppo PPE è favorevole alle due proposte per un accordo tra l’Unione europea e la Georgia: l’accordo di riammissione e l’accordo per la facilitazione del rilascio dei visti. Vorrei soffermarmi proprio su quest’ultimo.
Questo accordo di facilitazione semplifica la procedura di richiesta dei visti per i cittadini della Georgia. Gli Stati membri seguiranno procedure uniformi e semplificate. Il visto avrà un costo di 35 euro, ovvero inferiore a quello attuale, e consentirà di soggiornare all’interno dell’UE fino a 90 giorni ogni sei mesi. Le richieste di visto dovranno essere smaltite in 10 giorni, o in tre giorni per alcune categorie di cittadini, o addirittura in meno tempo in caso di emergenza. Non sarà necessario ottenere il visto per i passaporti diplomatici.
La libertà di movimento rappresenta un modo per conoscere la democrazia e osservarne il funzionamento. Il contatto diretto tra i popoli porta alla condivisione dei valori e di esperienze e genera fiducia. È per questo motivo che auspico che sempre più cittadini europei si rechino in Georgia e che sempre più georgiani viaggino nell’Unione europea.
Kinga Göncz, a nome del gruppo S&D. – (HU) Signor Presidente, desideriamo ringraziare il Commissario Malmström per le informazioni che ci ha fornito. La politica dei visti è uno strumento importante a nostra disposizione in quanto può consentire di facilitare i contatti tra i popoli, avvicinando i paesi in questione all’Unione europea. Da questo punto di vista, l’accordo tra l’Unione europea e la Georgia è molto importante. Desidero spendere qualche parola sulla liberalizzazione dei visti nei paesi dei Balcani occidentali, con particolare riferimento alle problematiche riscontrate rispetto alla situazione della Serbia e della ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Abbiamo sostenuto tale accordo con una maggioranza molto ampia in Parlamento, e riteniamo l’accordo raggiunto molto importante per i motivi appena esposti.
Questi paesi si sono impegnati seriamente per rispondere alle nostre aspettative, sebbene spesso constatiamo che le loro realtà politiche sono frammentate. Abbiamo riscontrato la collaborazione nei paesi di quest’area. È positivo riscontrare l’aumento del numero di persone che da lì si recano nell’Unione europea. Abbiamo l’impressione che i problemi della Serbia e della ex Repubblica jugoslava di Macedonia siano principalmente legati alla tratta degli esseri umani, e che il numero di persone coinvolte sia in definitiva inferiore, quantunque questo crei dei problemi molto gravi. Credo che con questi paesi condividiamo una responsabilità. La responsabilità di garantire che anch’essi facciano tutto il possibile, sia per informare i propri cittadini che per intraprendere azioni significative in tal senso. A tale proposito, la Serbia è stata molto rapida ed efficiente.
Credo, tuttavia, che le nostre responsabilità siano anch’esse considerevoli. La Commissione ha la responsabilità di assistere questi paesi nella loro lotta contro la tratta degli esseri umani, di fornire informazioni, di monitorare la situazione nell’area e potenziare l’efficacia di questo importante strumento che intendiamo continuare a utilizzare in futuro, sia con i paesi dei Balcani occidentali che con altri paesi. Inoltre, consentitemi di dichiarare il nostro plauso per il fatto che, sia pur con un certo ritardo e a distanza di un anno, l’Albania e la Bosnia-Erzegovina quest’anno si uniranno ai paesi per i quali è stato abolito l’obbligo di visto.
Sarah Ludford, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, concordo con l’onorevole Weber del PPE sul fatto che la politica dei visti dell’Unione europea sia estremamente importante e che gli standard tecnici e le condizioni per la facilitazione del rilascio dei visti e per l’abolizione degli stessi debbano essere rispettate.
Non credo, tuttavia, che nel caso dell’abolizione dei visti nei Balcani abbiano prevalso considerazioni di tipo politico rispetto alle considerazioni tecniche. La Commissione ha operato con grande impegno affinché la correttezza dei documenti, l’applicazione della legge e le ispezioni alle frontiere fossero all’altezza delle aspettative. Se credessimo che gli standard tecnici non fossero stati rispettati sminuiremmo la nostra posizione dato che abbiamo votato a favore dell’abolizione dei visti.
Naturalmente, dobbiamo preoccuparci se si verificano degli abusi delle concessioni fatte, ma le risposte debbono essere misurate e proporzionate. I paesi coinvolti, come ha riferito il Commissario Malmström, hanno delle responsabilità e noi abbiamo il compito di ricordarglielo. Il Commissario Malmström ci ha spiegato che si è lavorato intensamente – attraverso incontri di delegazioni ad alto livello, visite nelle rispettive capitali, promozione di campagne di informazione – e che esiste un impegno preciso da parte della Bosnia-Erzegovina e dell’Albania per informare i loro cittadini. Naturalmente, se vi sono problemi per l’attuazione di un accordo per l’abolizione dei visti questo pregiudica la possibilità di altri accordi simili, e pertanto esiste un onere per la responsabilità e la solidarietà da far comprendere a tutti i cittadini interessati, che con le loro azioni potrebbero compromettere le possibilità di altri di viaggiare senza obbligo di visto.
Sono personalmente rassicurata – e credo che lo stesso valga per il mio gruppo – dal fatto che la Commissione intensificherà le proprie attività di monitoraggio relativamente al rispetto delle condizioni dell’accordo, con un meccanismo per la segnalazione dei problemi mediante una collaborazione più stretta con i nostri partner. Spero che tutti i gruppi trovino tutto questo rassicurante e appropriato. Come ha detto la mia vicina, l’onorevole Macovei del PPE, i contatti diretti tra i popoli creano fiducia reciproca. È questo il punto. È questo il motivo per il nostro sostegno alle facilitazioni per il rilascio dei visti e per l’abolizione dei visti.
In Parlamento si è avuto un sostegno ampio e trasversale per questa proposta, perché basata sui valori e sull’esperienza della nostra Unione europea. Evitiamo, dunque, reazioni squilibrate. Ci sono stati dei problemi, certo, ma la Commissione sta seguendo da vicino la questione. Assicuriamoci di non compromettere né il diritto d’asilo né gli accordi per l’abolizione dei visti.
Tatjana Ždanoka, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, il nostro gruppo politico sostiene l’accordo di facilitazione del rilascio dei visti tra UE e Georgia.
Tuttavia, nutriamo delle riserve rispetto all’accordo di riammissione. Abbiamo votato contro in sede di commissione Libertà civili, giustizia e affari interni e abbiamo presentato un parere di minoranza scritto, poiché l’accordo contiene un gran numero di ambiguità che possono essere chiarite all’interno della commissione congiunta per le riammissioni. L’accordo, tuttavia, non include delle tutele stringenti per le violazioni di diritti fondamentali tali da garantire elevati standard di accoglienza, attualmente molto bassi in Georgia. Lo scopo dell’accordo è di rimpatriare le persone in un paese al cui interno la violenza sessuale e di genere è diffusa, e in cui il maltrattamento ad opera della polizia viene tollerato. È inoltre applicabile anche agli ex residenti dell’Abcazia e dell’Ossezia meridionale, che non hanno alcun legame con la Georgia.
Ed ora due parole sull’accordo per i visti con la Russia. Tre anni fa è stata adottata una relazione sulla facilitazione del rilascio dei visti con la Russia, all’interno della quale passò un mio emendamento secondo cui il requisito di una procedura di registrazione obbligatoria rappresenta un serio ostacolo agli spostamenti all’interno della Russia e dell’UE. Sfortunatamente, da allora non è cambiato nulla e questo punto è di cruciale importanza per i miei elettori, i quali si recano in Russia per delle visite private.
Paweł Robert Kowal, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, oggi la Georgia è un paese che, nonostante abbia molti problemi, sta attraversando dei cambiamenti sociali ed economici molto dinamici. Dovremmo accogliere con piacere e senza alcuna ambiguità qualunque modo per dimostrare alla società Georgiana che la forza di questi cambiamenti si riflette nelle reazioni delle nostre istituzioni comunitarie. Anche nel caso della Russia, dovremmo considerare all’interno di quale contesto esaminare la questione del regime dei visti con la Russia. A mio parere tale questione non deve essere affrontata sotto il profilo del prestigio istituzionale – ovvero ritenendo che, con l’abolizione dell’obbligo di visto, le autorità russe affronterebbero in modo più costruttivo i negoziati con l’Unione europea. Dovremmo piuttosto guardare alla questione in una prospettiva diversa, per garantire la modernizzazione del paese e nel contesto delle nostre relazioni con la gente comune in Russia.
Per questo motivo si dovrebbe dichiarare esplicitamente che il processo di abolizione dei visti e l’apertura delle frontiere in presenza di determinate condizioni sono molto positivi e contribuiscono in modo importante alle nostre relazioni con le società dell’est. Dobbiamo sfatare il mito secondo il quale i visti rappresentano una sorta di elemento cruciale per la nostra sicurezza. Dovremmo forse dichiarare in modo particolarmente chiaro all’interno del Parlamento europeo, ripetendolo a ogni occasione, che, invece, i visti innalzano dei muri, di muri non necessari. All’interno della commissione parlamentare UE-Ucraina da me presieduta, abbiamo esaminato una relazione speciale con alcune organizzazioni non governative, all’interno della quale abbiamo affrontato tale questione. La relazione indica con chiarezza come, in effetti, i visti non rappresentino un importante strumento di sicurezza bensì un modo per dividere le società dell’Unione europea da quelle dell’est. È nostro dovere di parlamentari vigilare, invece, che il canale tra queste due realtà rimanga sempre aperto.
Alfreds Rubiks, a nome del gruppo GUE/NGL. – (LV) Signor Presidente, a nome del mio gruppo posso dire che sosteniamo la facilitazione del rilascio dei visti, ma allo stesso tempo riteniamo che bisogna fare tutto il possibile per garantire il rispetto dei requisiti tecnici previsti dalla normativa. A nome dei miei elettori in Lettonia sono, inoltre, favorevole alle facilitazioni relative agli spostamenti dalla Russia verso l’Unione europea, poiché queste sono di importanza fondamentale al fine di consentire il ricongiungimento familiare, visto che in Lettonia vi sono molte famiglie miste, i cui componenti abitano in parte in un paese e in parte nell’altro. Inoltre, è una questione essenziale per il turismo, che di recente si sta sviluppando in modo considerevole. Si sono anche avuti riscontri molto positivi su quanto già ottenuto in materia di facilitazione dei visti. Si tratta infatti di una questione fondamentale anche per lo sviluppo dei rapporti commerciali con la Russia. Questi infatti sono aumentati di un fattore 7 per quanto concerne le importazioni e di un fattore 8 nel campo delle esportazioni. Tutto ciò è molto positivo. Auguro ogni successo alla Commissione nell’attuazione di tutto questo.
Nikolaos Salavrakos, a nome del gruppo EFD. – (EL) Signor Presidente, come tutti sappiamo, l’esenzione dall’obbligo di visto è stata concessa ai titolari di passaporti biometrici della ex Repubblica jugoslava di Macedonia, della Serbia e del Montenegro a partire del 19 dicembre 2009. Ciononostante, alcuni Stati membri dell’UE esprimono la preoccupazione, ripresa quest’oggi dal Commissario Malmström, rispetto all’aumento del numero di richieste di asilo da parte di cittadini serbi e della ex Repubblica jugoslava di Macedonia e alla possibilità del verificarsi di una situazione che pregiudichi l’emissione di visti e l’obiettivo stesso del provvedimento.
Il mio paese, la Grecia, ha sostenuto la proposta di abolire l’obbligo di visto per i cittadini di tutti i paesi dei Balcani occidentali, quale effettivo riscontro delle loro aspirazioni europee. La questione è comparsa per la prima volta all’ordine del giorno a Salonicco nel giugno del 2003 e nello spirito dell’iniziativa greca per l’Agenda 2014. Ciononostante, devo esprimere la mia preoccupazione rispetto al fatto che in questi paesi si stiano effettivamente applicando i criteri concordati, e rispetto all’effettuazione di controlli dei flussi migratori provenienti da questi paesi, specie in questo momento in cui l’Europa è scossa dalla crisi finanziaria e non è in grado di sostenere al suo interno il peso di un ulteriore aumento degli immigrati. Dobbiamo comprendere che l’aumento degli accordi di facilitazione dei visti ha come obiettivo il fatto di agevolare gli spostamenti all’interno dell’Unione europea, e non l’immigrazione o altre attività illegali, come la tratta degli esseri umani.
Daniël van der Stoep (NI). – (NL) Signor Presidente, il mese scorso la Commissione europea ha giustamente inviato ai governi di Serbia e della ex Repubblica jugoslava di Macedonia una lettera di monito in merito al preoccupante aumento delle richieste di asilo provenienti da questi due paesi. Signor Presidente, è particolarmente deludente che nello stesso mese questa Assemblea abbia deciso di esonerare dall’obbligo di visto i cittadini dell’Albania e della Bosnia-Erzegovina. Naturalmente questi due paesi hanno immediatamente iniziato a dare prova della stessa condotta che ha reso necessario l’invio di quelle lettere.
Signor Presidente, tutto questo non sarebbe dovuto succedere, ma non è ancora troppo tardi per rimediare. L’esonero dall’obbligo di visto richiede anche una certa dose di senso di responsabilità, e se questa viene meno dobbiamo intervenire. La Commissione deve ora far sentire forte la sua voce con agli ambasciatori serbi e macedoni e pretendere un’azione immediata. Se dipendesse da me, revocherei la deroga all’obbligo di visto oggi stesso, ma la Commissione probabilmente non è dello stesso parere; pertanto, ciò che invece chiedo è che essa dica chiaramente che avrà il coraggio di prendere seri provvedimenti nei confronti dei ripetuti episodi di inadempienza da parte di questi paesi balcanici.
Serbia e Macedonia hanno preceduto Bosnia-Erzegovina e Albania. È giunta l’ora di inviare un chiaro segnale a questi due paesi balcanici e farlo sarebbe molto positivo.
Agustín Díaz de Mera García Consuegra (PPE). – (ES) Signor Presidente, l’aumento delle richieste di asilo da parte dei cittadini di Serbia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia richiede provvedimenti per tutelare l’emendamento del regolamento (CE) n. 539/2001.
I visti sono uno strumento previsto nel quadro delle politiche di immigrazione. Il loro scopo è quello di legalizzare l’ingresso e il soggiorno temporaneo da parte del richiedente in paesi in cui lo stesso non è né residente né ne possiede la nazionalità.
Il regolamento (CE) n. 539/2001 prevede un meccanismo di valutazione per la proroga dei visti che richiede il rispetto di determinati requisiti relativi a immigrazione clandestina, ordine pubblico e sicurezza, alle relazioni esterne dell’UE, alla coesione territoriale e al principio di reciprocità. Questo meccanismo potrebbe anche essere utilizzato in senso contrario.
L’asilo, invece, è uno strumento di tutela che non può essere utilizzato in modo improprio. Dobbiamo precisare che la politica comune dell’Unione europea in questo settore è di preservare l’integrità dello strumento di asilo per la tutela delle vittime di persecuzioni, avendo quali principi guida la Convenzione di Ginevra e il Protocollo di New York, con l’applicazione di criteri comuni per individuare quanti davvero necessitino di una protezione internazionale e garantendo una soglia minima comune di benefici in tutti gli Stati membri per tutelare il benessere di queste persone.
L’asilo rappresenta, pertanto, uno strumento umanitario e di solidarietà dotato di uno scopo e di una natura esclusivi. È per questo che è importante che l’UE reagisca aiutando le autorità della Serbia e della ex Repubblica jugoslava di Macedonia ad adottare quei provvedimenti necessari per imporre il rispetto dei requisiti da soddisfare al fine di beneficiare dello stato di rifugiato o di protezione sussidiaria evitando così l’utilizzo inadeguato o addirittura fraudolento di questi strumenti.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Signor Presidente, grazie signora Commissario delle informazioni che ci avete fornito in merito alla normativa sulla facilitazione del rilascio dei visti, in particolare con riferimento alla Georgia, la Repubblica Moldova e i paesi dell’ex Jugoslavia. In effetti, la nostra discussione si svolge contemporaneamente all’introduzione dell’abolizione dei visti per i cittadini della Bosnia-Erzegovina e dell’Albania, compresa la possibilità di sospendere rapidamente l’accordo se dovessero insorgere dei problemi, quale ad esempio un forte afflusso di domande di asilo.
Credo che qualsiasi tentativo di riportare indietro le lancette dell’orologio della politica europea nei confronti dei Balcani occidentali sarebbe un errore. L’abolizione delle barriere che impediscono la libera circolazione può rappresentare un contributo importante per il superamento delle ferite del passato. Allo stesso tempo, credo che una collaborazione più stretta tra Unione europea e questi Stati sia necessaria, in modo da scoraggiare l’afflusso di richieste di asilo, da effettuare controlli più intensivi alle frontiere, fornire informazioni corrette ai cittadini del posto e combattere le reti di criminalità organizzata coinvolte nella tratta degli esseri umani, nell’esportazione della criminalità e della prostituzione. Tutte queste misure possono contribuire a ridurre l’incidenza di tali attività.
Marije Cornelissen (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, ci troviamo in una situazione in cui alcuni incauti cittadini serbi e macedoni hanno fatto domanda di asilo in Belgio, Svezia e Germania in seguito all’introduzione della possibilità di viaggio senza visto. Sono favorevole all’appello del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) affinché si faccia in modo che i cittadini dei Balcani meridionali siano meglio informati, ma vi è anche un altro aspetto che è importante tenere ben presente al riguardo.
Innanzi tutto, esistono anche altre persone che non comprendono cosa significhi davvero la possibilità di effettuare viaggi senza visto. Ho sentito infatti alcuni deputati olandesi parlare molto seriamente e sostenere che orde di richiedenti asilo prenderanno i nostri posti di lavoro, come hanno fatto i polacchi, e non si trattava di una delegazione del Partij voor de Vrijheid, il partito della libertà. Tale affermazione non è solo ridicola, ma potrebbe anche avere effetti nefasti. Chi la pronuncia strumentalizza le paure e l’ignoranza dei nostri cittadini.
In secondo luogo, questi richiedenti asilo sono quasi esclusivamente appartenenti a delle minoranze etniche. L’unica cosa di cui possiamo ritenere responsabili i serbi e i macedoni è che devono ancora fare molta strada per migliorare la situazione di queste minoranze. Dobbiamo dunque garantire che gli abitanti dei Balcani dispongano di maggiori informazioni, ma anche che gli onorevoli membri di questa Assemblea, i cittadini e i ministri dell’Unione europea abbiano accesso a maggiori informazioni su cosa significa davvero la possibilità di effettuare viaggi senza visto.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Signor Presidente, stiamo valutando se l’attuale accordo concluso tra Russia e Unione europea risponde alle nostre aspettative e se il flusso di persone in entrambe le direzioni corrisponda effettivamente al loro interesse a viaggiare.
Signora Commissario, senza alcuna esitazione le dico che l’attuale regime dei visti è carente e danneggia fortemente l’UE. La Russia è cambiata in modo considerevole dai tempi dell’Unione sovietica. La classe media è benestante e desiderosa di conoscere il resto del mondo, di viaggiare, di dedicarsi allo shopping e al proprio benessere. Quando il mio paese ha fatto ingresso nella zona di Schengen abbiamo dovuto imporre delle restrizioni ai cittadini russi che si recano in viaggio in Slovacchia, in osservanza della normativa UE. L’impatto economico di tutto ciò è stato grave, con tour operator e negozi che hanno perso molti clienti. Il regime dei visti europeo scoraggia i cittadini russi onesti dal recarsi in Slovacchia, mentre non rappresenta affatto un deterrente per quelli meno onesti che vogliano emigrare. Credo, dunque, che se abbiamo a cuore i primi dobbiamo tentare di aprire lo spazio economico europeo e sfruttare il potenziale che esiste in Russia per espandere e valorizzare la collaborazione tra i nostri paesi.
Anna Maria Corazza Bildt (PPE). – (EN) Signor Presidente, sono molto lieta del fatto che tra due giorni i popoli di Albania e della Bosnia-Erzegovina potranno finalmente festeggiare la concessione del diritto di viaggio senza visto nell’area di Schengen dell’UE – appena in tempo per il Natale. Sento la loro felicità come se fosse la mia. Mi sono impegnata a fondo per sostenere e accelerare il processo di liberalizzazione dei visti per tutti i paesi dei Balcani occidentali. Finalmente i cittadini di quasi tutti questi paesi beneficeranno della possibilità di viaggiare liberamente e studiare nei nostri paesi per tre mesi.
La nostra interrogazione orale alla Commissione è stata vista sotto una luce positiva. Il suo obiettivo, infatti, è di garantire che questa nuova libertà non venga messa in pericolo. Il regime dei viaggi senza visto non ha nulla a che vedere con l’asilo per motivi politici o economici. Né ha nulla a che fare con la residenza permanente, né con i permessi di soggiorno per scopi lavorativi.
Saluto con piacere i passi già intrapresi dal Commissario Malmström – specie con riferimento alle autorità serbe e della ex Repubblica jugoslava di Macedonia – che dimostrano la tenacia della Commissione nel mantenere questo processo nei giusti binari, e nel garantire la corretta applicazione del regime dei visti. Grazie della sua risposta.
Ora dobbiamo continuare a collaborare in modo da prevenire e risolvere casi di errata interpretazione, oppure il verificarsi di malintesi o di usi impropri. La responsabilità resta a carico delle autorità di quella regione. Siamo lieti del fatto che l’Albania e la ex Repubblica jugoslava di Macedonia abbiano già intrapreso con successo delle campagne di informazione, ed esortiamo tutti i paesi dei Balcani occidentali a fare altrettanto e a rafforzare i provvedimenti per la prevenzione degli abusi.
Chiediamo alla Commissione di continuare a vigilare, come sta già facendo, e di tenerci informati. La promozione dei contatti tra i popoli, come è già stato detto, è essenziale per la democrazia e la stabilità della regione. Non rischiamo di compromettere tutto ciò a livello europeo. Il mio impegno personale in tal senso resterà immutato.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, una condizione essenziale per la completa soppressione dell’obbligo di visto tra la Federazione russa e l’Unione europea è il rispetto degli impegni assunti con l’accordo del 2007. Le autorità russe hanno richiesto ripetutamente l’esonero dall’obbligo di visto per soggiorni brevi. D’altro canto, l’UE preferisce un approccio graduale, impostato sulla base di provvedimenti congiunti. Ritengo che il rispetto dei requisiti tecnici sia una condizione importante prima di dare attuazione a una decisione di liberalizzazione dei visti. Ad esempio migliorando gli standard di gestione delle frontiere, la sicurezza dei documenti o la lotta alla corruzione.
La Russia deve anche confermare nei fatti le proprie intenzioni di raggiungere risultati concreti nella risoluzione dei conflitti ancora aperti nella regione. Essa ha una grande responsabilità a riguardo. La risoluzione del contenzioso in Transnistria è una priorità per il mio paese. Siamo favorevoli alla prosecuzione delle discussioni formali all’interno dei negoziati 5+2, con lo scopo di identificare una soluzione stabile, nel pieno rispetto del diritto internazionale e della sovranità della Repubblica Moldova.
Desidero anche menzionare la situazione dei paesi del partenariato orientale, di cui fanno parte la Georgia e la Repubblica Moldova. È da tempo che questi attendono la liberalizzazione dei visti, e hanno attuato numerose riforme allo scopo. Desidero far notare che la Repubblica Moldova sostiene con vigore questo provvedimento all’interno del partenariato orientale, nonché porre in evidenza come, se la Russia dovesse ottenere un rilassamento del regime dei visti prima dei vicini più prossimi dell’Unione europea questi ne rimarranno molto delusi. Ne risulterebbe che lo status di membro del partenariato orientale non è molto rilevante quando sono in gioco delle concessioni strategiche da parte dell’Unione europea.
Marek Siwiec (S&D). – (PL) Signor Presidente, dovremmo parlare di visti, e dovremmo farlo a partire dai dati statistici e di ciò che l’Unione europea ha realizzato. Riscontriamo in quest’Aula un forte senso di soddisfazione. Vorrei che quanti hanno espresso tanta soddisfazione quest’oggi provassero a immaginare di dover stare in fila per 10 ore o anche più, in condizioni umilianti e di disagio, ad esempio sotto una pioggia battente e in condizioni terribili, per potere ottenere un visto. Ci sono persone che si mettono in fila e devono sborsare un terzo del loro stipendio per ottenere un visto, sapendo che i diplomatici dei loro stessi paesi non ne hanno bisogno. E quando finalmente, dopo diversi tentativi – dato che il visto loro devono richiederlo – ne ottengono uno per un unico ingresso – nonostante desiderassero avere un visto per l’intera area di Schengen, e devono rallegrarsi di averlo ottenuto quanto per il paese in questione.
La procedura per il rilascio dei visti dovrebbe gravare pesantemente sulla nostra coscienza. Si tratta di una procedura profondamente umiliante che riguarda milioni di persone – quelle persone che attendono a lungo in fila. Ricordiamoci di questo quando esprimiamo un plauso così convinto come quello a cui abbiamo assistito oggi in quest’Aula. Comprendo che si voglia utilizzare il regime dei visti nell’ottica della politica del bastone e della carota, ma se ciò può avere un senso a livello governativo, dovremmo provare solidarietà per quei cittadini che si mettono in fila.
(EN) Signora Commissario, lei viene dalla Svezia. Come lei sa, negli anni ’70 il suo paese, assieme all’Austria, fu uno dei due soli paesi che non richiedeva il visto per i cittadini dei paesi comunisti. Come cittadino polacco, ho potuto visitare il suo paese nel 1976. Perché? Perché non avevo bisogno di un visto per recarmi in Svezia. Certamente apprezzo il vostro re, la libertà degli svedesi e la vostra economia, ma la prego di ricordare che fintanto che i visti non saranno stati aboliti non potremo non sentirci a disagio.
Simon Busuttil (PPE). – (EN) Signor Presidente, il gruppo del PPE guarda molto positivamente alle facilitazioni per il rilascio dei visti e alle politiche di liberalizzazione dei visti, perché li riteniamo degli strumenti molto efficaci per i paesi terzi, specie per i paesi più vicini a noi. Dunque il nostro punto di partenza è chiaramente favorevole.
Le facilitazioni per il rilascio dei visti rappresentano il primo passo, e questa settimana concederemo queste facilitazioni alla Georgia. Si tratta di un primo passo, ma è un passo importante verso ciò che l’onorevole Corazza Bildt ha chiamato i contatti tra i popoli. Le facilitazioni dei visti vengono solitamente accompagnate dagli accordi di riammissione. Attribuiamo un’importanza enorme agli accordi di riammissione, signora Commissario, poiché vogliamo assicurarci che chiunque si trattenga illegalmente sul territorio dell’Unione europea venga espulso. Questo è l’unico modo per ottenere la fiducia dei cittadini nei confronti di provvedimenti di facilitazione del rilascio dei visti ed, eventualmente, per la liberalizzazione dei visti. I due provvedimenti vanno di pari passo e, dunque, le chiediamo di impegnarsi ulteriormente per rafforzare l’insieme degli accordi di riammissione che da noi stipulati con i paesi terzi.
Quanto alla liberalizzazione dei visti, l’anno scorso abbiamo adottato questo provvedimento con Serbia, Macedonia e Montenegro. Sono lieto che ora anche i nostri amici in Albania e nella Bosnia-Erzegovina ne beneficeranno. Siamo del tutto favorevoli e crediamo che si tratti di un modo eccellente per procedere verso un’ulteriore integrazione europea e per portare i cittadini di quei paesi ancora più in contatto con noi.
Quando prendiamo delle decisioni su tali questioni siamo sempre molto attenti a decidere non per motivi politici, bensì mossi da considerazioni di tipo tecnico. Questi paesi debbono dunque, soddisfare una serie di requisiti tecnici per poter ottenere da noi una decisione positiva. Beninteso, la decisione è comunque anche di carattere politico, ma deve poggiare soprattutto su argomentazioni di carattere tecnico.
Lo ribadisco poiché sta alla Commissione venire in Parlamento a dirci che un dato paese ha superato il vaglio tecnico. Pertanto, in casi di uso improprio delle richieste di asilo nei paesi dell’UE provenienti da cittadini di paesi per i quali abbiamo adottato provvedimenti di liberalizzazione dei visti – come la Serbia o la Macedonia – dobbiamo chiederci se la valutazione tecnica è stata svolta con perizia, poiché il fatto che queste persone entrino nell’Unione europea presentando domanda di asilo è chiaramente incompatibile con la procedura di liberalizzazione dei visti. Il fatto che ciò accada indica che, da qualche parte qualcosa non è andato per il verso giusto. È assolutamente legittimo interrogarci su cosa possa essere stato e cercare di ottenere una risposta.
Infine, dobbiamo cogliere questa occasione per inviare un messaggio chiaro ai paesi interessati – specie a quelli che, come Serbia e Macedonia, sono coinvolti in casi di utilizzo improprio – del fatto che debbono spiegare con grande chiarezza ai loro cittadini il significato della liberalizzazione dei visti. Non si tratta di provvedimenti che consentono agli interessati di recarsi negli Stati membri dell’UE allo scopo di trasferirvisi o di trovare lavoro, ma di una semplice abolizione dell’obbligo di visto per periodi di tempo limitato, unicamente per motivi di viaggio. Questo vale anche per la Commissione europea. È importante che la Commissione collabori efficacemente con questi paesi per assicurarsi che questo messaggio giunga loro con chiarezza
Lara Comi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, appoggio la richiesta presentata alla Commissione dai colleghi di compiere una valutazione in merito all'attuazione dell'accordo tra l'Unione europea e la Federazione russa sulla facilitazione del rilascio dei visti.
Si manifesta così la comune intenzione delle parti di impegnarsi per la completa soppressione dell'obbligo di visto in una prospettiva a lungo termine, in considerazione dell'impatto che un'adeguata attuazione degli obiettivi di agevolazione e semplificazione delle procedure di rilascio dei visti può esercitare tanto sulle persone fisiche quanto sullo svolgimento dei rapporti economici e commerciali.
Ritengo dunque importante vigilare sull'attuazione di questo accordo; questo consentirebbe un notevole sviluppo di solidi legami personali, culturali, scientifici ed economici tra l'Unione europea e il suo principale interlocutore dell'Europa occidentale.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D). – (HU) Signor Presidente, la risposta del Commissario relativamente a Serbia e Macedonia è stata rassicurante, nel senso che dimostra che non vi è intenzione di buttare via il bambino con l’acqua calda. Sarebbe un grave errore introdurre nuovamente l’obbligo di visto per la Serbia e la Macedonia solo perché si sono avuti problemi con questi due paesi. Il Commissario Malmström ha accennato alla questione, e sono convinto anch’io che la Presidenza ungherese del prossimo semestre si dimostrerà un interlocutore sensibile. L’Ungheria, infatti, quale paese confinante con la Serbia, è direttamente interessata alla risoluzione di questi problemi, sia per il mantenimento delle relazioni di buon vicinato che per la tutela della comunità di ungheresi residenti in Serbia, pari a 300 000 persone. Appare evidente come la maggior parte di queste iniziative saranno a carico dei governi di Serbia e Macedonia, come ha sottolineato il Commissario Malmström, poiché sono questi paesi a dover fornire delle informazioni ai loro cittadini. Tuttavia, desidero comunque precisare che gli Stati membri che si confrontano con queste richieste di asilo debbono anche valutare se le loro politiche di asilo siano adeguate, poiché si ritrovano a concedere l’asilo a richiedenti che non ne avrebbero diritto.
PRESIDENZA DELL’ON. KOCH-MEHRIN Vicepresidente
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signora Presidente, i provvedimenti di facilitazione del rilascio dei visti e di liberalizzazione dei visti sono sempre introdotti con intento positivo. Tali provvedimenti vengono sempre difesi adducendo il fatto che non hanno nulla a che vedere con l’immigrazione e riguardano, invece, istruzione e turismo – due ulteriori argomentazioni positive.
Potrete accusarmi di cinismo, ma non credo che gli studenti si spostino solo per motivi di studio e che i turisti si trattengono sempre per brevi periodi. Talvolta vengono nell’UE per cercare lavoro e trasferirsi. L’idea che le persone dichiarino sempre il vero rispetto alle proprie intenzioni non è supportata dall’esperienza.
Nella presente crisi il lavoro scarseggia – specie nel settore dei lavori non specializzati – e la domanda di alloggi eccede sempre l’offerta. I posti di lavoro che vengono presi da immigrati clandestini sono spesso posti che potrebbero essere assegnati ai cittadini degli Stati membri e le condizioni retributive sono frequentemente al di sotto del salario minimo. Non possiamo fingere che chiudere un occhio sull’immigrazione clandestina sia un atto di generosità. Conduce, invece, a livelli retributivi inferiori al salario minimo, a condizioni lavorative non sicure, allo sfruttamento e agli abusi.
Georgios Papanikolaou (PPE). – (EL) Signora Presidente, anch’io prendo la parola per sottoscrivere quanto detto dai miei onorevoli colleghi rispetto alla nostra accettazione in linea di principio di questi provvedimenti e all’approccio positivo con cui ci accostiamo alla questione delle esenzioni dall’obbligo di visto. Naturalmente, da quando sono state introdotte queste esenzioni, abbiamo assistito a casi di abuso e di cattivo esempio, nonché a comunicazioni scritte in modo improprio da noi identificate e che ci siamo affrettati a correggere. È cruciale che la Commissione e il Commissario in persona collaborino con le autorità nei paesi che hanno dato origine a questi problemi; mi riferisco ovviamente sia alla ex Repubblica jugoslava di Macedonia che alla Serbia. Proprio perché stiamo estendendo tali esenzioni anche ad altri paesi – e, voglio ripeterlo, credo che questo sia un passo nella giusta direzione – ritengo che nel farlo dovremmo forse seguire una linea di condotta che preveda una collaborazione più serrata con le autorità di questi paesi, e forse anche azioni specifiche che, accanto all’applicazione di questi accordi di controllo, possano fungere da guida per noi in futuro.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signora Presidente, onorevoli colleghi, le relazioni tra Russia e Unione europea sono sempre state relazioni speciali, dato che entrambe assurgono al ruolo di superpotenza. A causa di questo status è indubbio che vi saranno posizioni diverse rispetto a talune questioni. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che – e devo metterlo in evidenza – la Russia non appartiene all’Europa solo da una prospettiva geopolitica, ma anche rispetto alla cultura e alla storia di questo paese. Questo legame rende i provvedimenti di facilitazione del rilascio dei visti tra queste due parti indispensabili, e il Jobbik Magyarországért Mozgalom (movimento Jobbik per un’Ungheria migliore) li sostiene. Come alcuni Stati membri dell’UE, la Russia può valutare in modo autonomo i propri obblighi in materia di visto, obblighi che debbono essere improntati alla reciprocità. La situazione della Serbia è lungi dall’essere altrettanto chiara, poiché in quel paese, sfortunatamente, la minoranza ungherese e le altre minoranze soffrono ancora a causa di numerosi svantaggi. Il Parlamento europeo e l’Unione europea debbono in ogni caso indagare in merito.
Lena Kolarska-Bobińska (PPE). – (PL) Signora Presidente, contestualmente alla liberalizzazione del regime dei visti dovremmo anche segnalare in modo inequivocabile quali siano i nostri valori. Non si tratta solo di aprire delle frontiere, che naturalmente dobbiamo aprire il più possibile; si tratta anche di promuovere la democrazia nei paesi confinanti con l’Unione europea. Dovremmo, pertanto, sostenere quei paesi che si stanno effettivamente impegnando nel processo di democratizzazione e nel sostenere lo stato di diritto, e che rispettano i valori europei. Tuttavia, mi sembra che dobbiamo anzitutto liberalizzare il regime dei visti con i paesi postcomunisti e solo in un momento successivo con la Russia.
A questo proposito concordo con quanti hanno detto che se liberalizziamo il regime dei visti con la Russia prima di farlo per i residenti dell’Ucraina e di altri paesi dell’ex blocco sovietico lanceremmo un pessimo segnale. Nella Georgia potrebbe accadere che, nelle zone attualmente occupate dalla Russia, molte persone chiedano di ottenere la cittadinanza russa e, ottenutala, dispongano così di un lasciapassare per la Russia. Dobbiamo utilizzare il regime dei visti anche come strumento per la diffusione della democrazia.
Cecilia Malmström, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare gli onorevoli eurodeputati per questa discussione. Sono del tutto d’accordo con voi sul fatto che le facilitazioni e la liberalizzazione in materia di visti rappresentino uno strumento molto potente per aumentare il contatto tra i popoli. E non solo tra cittadini comuni, studenti e turisti, ma anche per aumentare le opportunità di business – fatto, questo, particolarmente positivo.
All’interno dell’Unione europea abbiamo deciso di procedere verso una liberalizzazione dei visti con i Balcani occidentali. Questa è di per sé una decisione politica che dimostra una volontà politica, cosa particolarmente importante, ma il raggiungimento di questo scopo può avvenire solo su basi tecniche e molto stringenti. Non possiamo abolire i visti se non abbiamo dei criteri estremamente rigidi.
Stiamo parlando di criteri aperti e improntati alla trasparenza. Criteri uguali per tutti e che stanno conducendo quei paesi che desiderano ottenere delle facilitazioni per il rilascio dei visti, oppure la liberalizzazione dei visti, verso riforme importanti. Certamente, onorevole Busuttil, la Commissione vigila molto attentamente su questo, e le missioni degli esperti comprendono anche dei componenti degli Stati membri. La stesura di tutte le relazioni e il lavoro svolto vengono condotti con la massima trasparenza.
Detto ciò, si sono verificati degli abusi, in particolare in Serbia e nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Questi casi non devono offuscare l’intero processo, il quale in generale funziona bene, sebbene possano verificarsi dei casi di abuso. La Commissione se ne è occupata. Ci siamo recati in quei paesi e abbiamo parlato con i nostri interlocutori. La Presidenza belga è stata molto attiva a tale proposito.
Stiamo cercando di valutare questa problematica. Per lo più si tratta di piccoli gruppi di organizzazioni criminali che incoraggiano gli abitanti di zone remote a viaggiare nell’Unione europea sotto mentite spoglie nella speranza di poter ottenere l’asilo. Naturalmente, vaglieremo queste richieste a una a una, ma in molti casi si tratta di richieste infondate, ed è per questo che dobbiamo affrontare queste organizzazioni. Lo stiamo facendo e stiamo dialogando con le autorità di questi paesi.
Mi sono recata di persona a Tirana e a Sarajevo solo un mese fa, assieme al ministro belga, in modo da rafforzare questo messaggio, ovvero che si tratta di una importante conquista, ma che bisogna prestare attenzione ai casi di abuso. Lo abbiamo detto a tutti i ministri, ai membri del Parlamento e della società civile, alle università e, credo, a tutte le stazioni televisive che siamo riusciti a individuare in questi paesi, in modo da chiarire che si tratta di un’opportunità straordinaria di cui, tuttavia, non si deve abusare.
Disponiamo di un meccanismo di valutazione e monitoraggio e sarò lieta di riferire a voi in merito in primavera per aggiornarvi su come stiamo procedendo.
Per quanto concerne la Russia, sono sorti molti sviluppi positivi, con una maggiore mobilità tra i nostri paesi. In base a tutte le valutazioni, confermate dagli Stati membri, non vi sono indicazioni del fatto che le agevolazioni nel rilascio dei visti abbiano comportato un aumento nelle minacce alla sicurezza oppure all’aumento dell’immigrazione irregolare. Attualmente stiamo definendo una lista comune di misure per la Russia e l’UE, al fine di rendere possibili ulteriori negoziati su come procedere verso la liberalizzazione dei visti.
Per quanto concerne la Georgia, desidero solo ribadire ai miei amici Verdi quanto è stato detto dallo stesso relatore, ovvero che la Georgia ha potuto aderire al Consiglio d’Europa e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sulla base dell’accordo di riammissione. La normativa dell’UE richiede, inoltre, che gli Stati membri valutino individualmente le richieste d’asilo e che, nel caso di necessità di una protezione internazionale, essi debbano rispettarla in base al diritto comunitario, come anche rispettare il principio di “non respingimento” – vale a dire, che non si deve rimpatriare una persona se vi è la possibilità che questa sia soggetta a comportamenti persecutori o si trovi in grave pericolo nel paese d’origine.
Nel complesso credo che questa sia stata un’ottima discussione. Sarò molto lieta di riferirvi in merito alla valutazione dell’accordo di riammissione. Si tratta, onorevole Busittil, di accordi molto difficili da negoziare ma ci stiamo lavorando. Come ho detto nel mio intervento precedente, all’inizio del prossimo anno verrà svolta una valutazione e sarò lieta di tornare in Parlamento per discuterne le conclusioni e dialogare con voi su come possiamo progredire nella conclusione di questo genere di accordi con i paesi terzi.
Nathalie Griesbeck, relatore. – (FR) Signora Presidente, anche io sono altrettanto lieta, come la signora Commissario, della qualità della nostra discussione, che ha dato prova dell’autentico senso di responsabilità di tutte le nostre istituzioni.
Questa responsabilità è anche stata espressa dalle risposte del Commissario e dagli impegni assunti, e sottolineata dalle diverse riunioni di valutazione previste per febbraio e giugno del 2011. Naturalmente non pensavo a un’assunzione di responsabilità immediata nei confronti del Pakistan. Il mio intento era solo di ricordarle le nostre posizioni di fondo. Volevo anche ringraziarla per la volontà che ha espresso in termini di sicurezza reciproca, di risposte alle interrogazioni, di apertura e collaborazione, di apportare delle modifiche e di combattere gli abusi, nonché in termini di rispetto delle diverse circostanze legali.
Sebbene questi accordi giustamente forniscano un quadro giuridico per l’organizzazione delle facilitazioni dei visti e le procedure di riammissione, sulla base di condizioni precise e stringenti, non dobbiamo confondere la questione con la nostra assoluta necessità di definire anche i termini e i parametri di un eventuale diritto di asilo nell’Unione europea.
In conclusione, credo che questa politica assomigli alquanto al Giano Bifronte, la divinità bicefala. Abbiamo parlato di politiche e di procedure. A mio parere, Giano rappresenta i due aspetti, politico e di procedura, dello stesso problema. Esiste, infatti, il lato tecnico delle procedure, delle condizioni poste dalle normative e del loro rispetto, ma anche il lato politico, come detto da alcuni onorevoli colleghi, rappresentato dal consolidamento, dalla collaborazione, e dall’apertura nei confronti dei paesi terzi, apertura che rappresenta i nostri valori. Ma si tratta anche di sondare la disponibilità dei cittadini europei rispetto a tale apertura.
Desidero concludere dicendo che dobbiamo raggiungere un equilibrio tra questi elementi e fare tutto il possibile per rappresentarli con chiarezza ai nostri concittadini. Dobbiamo davvero far comprendere loro il significato di un visto di tre mesi e quindi evitare ambiguità e fraintendimenti. Signora Commissario, contiamo su di lei per questo.
Presidente. – La discussione congiunta è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì 14 dicembre.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Kinga Gál (PPE), per iscritto. – (HU) Mantenere le esenzioni dall’obbligo di visto è una questione non solo tecnica ma anche squisitamente politica. Tuttavia, le esenzioni dall’obbligo di visto si basano sempre sulla fiducia reciproca e sulla reciproca assunzione di impegni. La discussione odierna trasmette ai paesi interessati il messaggio che la lunga serie di negoziati che li attende, risultante dagli impegni che si sono assunti, non si esaurisce nel momento in cui ottengono l’esenzione dall’obbligo di visto, e che debbono fornire ai loro cittadini anche informazioni su cosa comporti il viaggiare senza visto, al fine di prevenire gli abusi di questa opportunità. L’esenzione concessa alla Serbia e al Montenegro comporterà, principalmente per i giovani che contribuiranno a costruire l’Europa del futuro, la possibilità di acquisire una prospettiva europea. L’esenzione concessa due anni fa ha consegnato a quei paesi un importante messaggio politico e il ripristino dell’obbligo di visto potrebbe avere delle gravi conseguenze. Altrettanto importante è il mantenimento dell’esenzione dall’obbligo di visto per gli ungheresi residenti nella Vojvodina, cittadini che abitano da entrambe le parti del confine, parlano la stessa lingua e condividono legami familiari e culturali molto stretti. Per tutti quei paesi che si stanno affrettando ad aderire all’UE, la creazione di condizioni favorevoli alla convivenza ha una rilevanza speciale, indipendentemente dai confini.
Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto. – (PL) Ogni provvedimento di liberalizzazione degli obblighi di visto va incontro alle aspettative delle persone che vivono nei paesi interessati dalle misure in questione. Desidero porre in evidenza che l’accordo di facilitazione del rilascio dei visti tra UE e Giorgia non può essere considerato indipendentemente dall’accordo per la riammissione di immigrati clandestini. In Europa se ne parla da lungo tempo, in quanto la politica dei visti è particolarmente rilevante per l’Unione europea.
La liberalizzazione dei visti significa l’apertura dei paesi dell’UE ai cittadini dei paesi balcanici e, così facendo, si creano delle opportunità di partecipazione al dialogo interno all’Unione europea e di conoscenza della democrazia. Tuttavia, unitamente alla liberalizzazione, dobbiamo anche prendere in considerazione il fatto che agevolare l’attraversamento delle frontiere rende la vita più semplice agli immigrati clandestini e alle organizzazioni criminali. Gli Stati membri debbono applicare procedure uniformi per l’emissione dei visti, dato che Albania e Bosnia-Erzegovina sono in attesa del loro turno. La Commissione europea deve rispettare le condizioni per la liberalizzazione dei visti e vigilare affinché una soluzione positiva non dia adito a difficoltà all’interno degli Stati membri dell’UE. Inoltre, è importante che i paesi coinvolti collaborino e mettano a frutto le esperienze acquisite fin’ora in materia di procedure per la concessione dei visti.
Marian-Jean Marinescu (PPE), per iscritto. – (RO) Credo che la Serbia abbia compiuto sforzi enormi per soddisfare le aspettative dell’Unione europea e continuare lungo il cammino verso l’integrazione. I seguenti provvedimenti sono stati presi nel 2009 e 2010: la liberalizzazione dei visti, l’avvio del processo di ratifica dell’accordo di stabilizzazione e associazione, e l’approvazione da parte della Commissione europea per la stesura del parere sulla richiesta della Serbia di adesione all’UE.
È deplorevole, tuttavia, che le autorità serbe non abbiamo diffuso attraverso i media delle spiegazioni adeguate di cosa comporti il regime di viaggi senza visto introdotto nel 2009, al fine di impedire che i suoi cittadini abusassero di questo strumento. Auspico che l’aumento preoccupante delle richieste di asilo nell’UE presentate da cittadini serbi non pregiudichi il processo di adesione della Serbia. Credo fermamente che le autorità serbe risponderanno tempestivamente. Devo anche ricordare che il percorso di adesione dipende dagli sforzi individuali compiuti dalla Serbia per rispettare i criteri di Copenhagen e l’accordo di stabilizzazione e associazione.
Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Rispetto all’argomento generale di questa discussione (i visti) desidero sollevare due questioni molto specifiche ma che, a mio parere, sono della massima importanza. Entrambe le questioni sono cruciali per un’efficace attuazione della politica di buon vicinato dell’Europa. Innanzi tutto, esiste la questione dell’attuazione dell’accordo sulla facilitazione del rilascio dei visti tra Unione europea e Russia. A mio avviso non è sufficiente limitarsi a esprimere delle posizioni critiche, in termini di una valutazione complessiva del funzionamento dell’accordo, rispetto ad alcune misure che anche la Russia ha sfortunatamente dovuto porre in essere nei confronti di cittadini provenienti dall’Unione europea. Questi provvedimenti sono stati necessari a causa della situazione generale della sicurezza nel paese, e alcuni di questi, quali l’obbligo di registrazione, non rappresentano una complicazione per l’agevolazione del rilascio dei visti. La seconda questione riguarda l’apparente preoccupazione rispetto al rilassamento del regime dei visti dell’UE in Serbia, Macedonia e nel Montenegro. Tale preoccupazione si dice derivi dall’aumento nel numero di richieste d’asilo da parte di cittadini di questi paesi, e sono stati adottati alcuni provvedimenti nei confronti degli organismi interni coinvolti, al fine di trovare una soluzione. Tutto ciò è fuorviante e non pertinente. L’UE e la NATO hanno da tempo un’importante influenza sulla situazione politica generale dei Balcani. Queste organizzazioni dovrebbero, innanzi tutto, condurre nei Balcani un genere di politica, e assumere provvedimenti conseguenti, che non costringano la popolazione ad abbandonare questa regione così martoriata.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) “Mai dire gatto se non l’hai nel sacco”. Noi crederemo all’accordo per l’abbattimento delle barriere commerciali con Mosca solo quando sarà stato ratificato e implementato. In questo contesto, dobbiamo semplicemente considerare la decisione russa di ritirarsi dalla firma della Carta dell’energia. Il futuro ci dirà se il Cremlino intenda davvero rispettare le richieste dell’UE per una facilitazione del rilascio dei visti. La liberalizzazione dei visti per i Balcani occidentali, un’area di dimensioni corrispondenti solo una a piccola parte del territorio russo, ha comportato un’ondata di richiedenti asilo. Cosa dobbiamo attenderci, dunque, quando saranno rimosse le restrizioni ai visti del settimo paese più popoloso del mondo? Se un grande numero di islamisti del Caucaso ha la cittadinanza russa, consentiremo a dei potenziali terroristi di entrare nei nostri paesi senza alcun obbligo di visto? Sia nel caso della Serbia, che della Georgia, che della ex Repubblica jugoslava di Macedonia, dobbiamo analizzare la situazione con attenzione e, se necessario, continuare a lavorare per degli accordi di riammissione adeguati. Dobbiamo valutare le esperienze in materia di abolizione dell’obbligo di visto per i paesi dei Balcani, aggiornare il Sistema informativo Schengen II (SIS II) e monitorare l’attuazione dei requisiti per il visto a Mosca. Dobbiamo, inoltre, tenere d’occhio l’aumento del numero di profughi che abbandonano il Caucaso e i paesi dell’Asia centrale per la Russia, unitamente alla crescita del numero di richiedenti asilo di quei paesi che attendono la rimozione delle restrizioni sui visti.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) In base ai dati a disposizione dell’agenzia russa di statistiche, nel 2008 sono stati rilasciati più di 1,5 milioni di visti per la Russia a cittadini dell’UE e 3,5 milioni di visti UE sono stati concessi a cittadini russi. Vale a dire più di un quarto di tutti i visti per l’area di Schengen rilasciati in tutto il mondo. La politica dei visti tra UE e Russia è uno strumento importante per approfondire le relazioni interpersonali e consentire l’avvicinamento della Russia all’Unione europea. Desidero attirare l’attenzione sulle difficoltà con cui devono confrontarsi gli abitanti della regione di Kaliningrado della Federazione russa. La maggioranza degli abitanti di quest’isola russa circondata da Stati membri dell’UE, ottiene dei visti a ingresso singolo per brevi soggiorni nei paesi dell’area di Schengen. La maggior parte degli abitanti di Kaliningrado, quando viaggiano negli Stati membri dell’UE confinanti, deve sempre pagare per ottenere un visto e mettersi in fila davanti ai consolati degli Stati membri dell’Unione europea. Recentemente, i rappresentanti di alcune organizzazioni sociali di Kaliningrado hanno tenuto dei picchetti di fronte alla sede della Commissione europea a Bruxelles, chiedendo l’introduzione di condizioni di viaggio speciali per gli abitanti di questa enclave che si recano nei paesi membri, senza per questo collegare tale problema ai negoziati UE-Russia sul regime per i viaggi senza visto.
Iuliu Winkler (PPE), per iscritto. – (HU) Negli ultimi anni sono stati avviati dei processi positivi negli Stati dei Balcani occidentali che sembrano cancellare il ricordo che quindici anni fa questa zona era ancora una zona di guerra all’interno dell’Europa. Senza dubbio, l’assistenza esemplare prestata dall’UE a questi paesi nel processo di sviluppo della democrazia, nonché il fatto di aver sempre tenuto in piedi le prospettive di adesione dei paesi di questa regione, hanno contribuito a questi sviluppi positivi. La decisione sulla liberalizzazione dei visti presa un anno fa ha introdotto nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia, in Montenegro e in Serbia la consuetudine europea alla libertà di movimento, e rappresenta un chiaro segnale di attenzione da parte dell’Europa. Senza alcun dubbio la questione dell’immigrazione sta nuovamente diventando una problematica seria di politica interna in alcuni Stati membri, che viene esasperata dalla crisi economica. Tuttavia, credo che la solidarietà europea debba essere esercitata nonostante la crisi, se vogliamo evitare il ritorno dei nazionalismi e del protezionismo. Sebbene i Balcani occidentali non facciano ancora parte dell’UE, la stabilità dell’Europa sudorientale può solo essere raggiunta attraverso l’allargamento dell’Unione europea ai Balcani. L’Unione europea deve vigilare rigorosamente sull’adempimento dei requisiti tecnici relativi alla protezione dei confini ma, nel contempo, deve offrire assistenza per garantire che i cittadini degli Stati dei Balcani occidentali trovino un’opportunità concreta di migliorare il loro tenore di vita e possano considerare l’adesione all’UE un obiettivo raggiungibile. Dobbiamo assistere la regione nel suo viaggio verso lo sviluppo sociale ed economico mediante informazioni più efficienti, una solidarietà ancora maggiore e mezzi economici aggiuntivi, affinché questi cittadini possano trovare la prosperità nei loro paesi.
17. Creazione di una rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0342/2010), presentata dall’onorevole Díaz de Mera García Consuegra, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sulla proposta di un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 377/2004 del Consiglio relativo alla creazione di una rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione [COM(2009)0322 – C7-0055/2009 – 2009/0098(COD)].
Agustín Díaz de Mera García Consuegra, relatore. – (ES) Signora Presidente, vorrei iniziare ringraziando i colleghi, onorevoli Guillaume, Ilchev, Keller, Wikström e Tavares, il cui sostegno ha arricchito questa relazione.
In particolare, vorrei attirare l’attenzione del Consiglio e della Commissione sulla terminologia. Dal mio punto di vista, sarebbe più appropriato utilizzare l’espressione “immigrazione irregolare”. Finora l’immigrazione clandestina è stata definita “immigrazione illegale” in tutti gli strumenti normativi emanati dall’Unione europea.
Benché in alcuni Stati membri l’ingresso e la permanenza irregolari costituiscano un reato e in altri il termine “irregolare” non abbia alcun significato giuridico o semantico, in molti altri Stati membri l’ingresso o la permanenza irregolare non violano la legge, motivo per cui, in generale, non dovremmo criminalizzare tali condotte.
Per queste ragioni, nella motivazione della relazione, si esortano le istituzioni a rivedere la terminologia utilizzata, insistendo sulla necessità di trovare una definizione più precisa e appropriata per il fenomeno dell’immigrazione clandestina.
Passando ai contenuti, con il regolamento (CE) n. 377/2004 del Consiglio è stata istituita una rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione. Questo strumento sancisce che i funzionari di collegamento siano rappresentanti di uno Stato membro distaccati all’estero dal servizio immigrazione o dalle altre autorità competenti, allo scopo di instaurare e di mantenere contatti con le autorità del paese ospitante, contribuire alla prevenzione e alla lotta contro l’immigrazione clandestina, nonché al rimpatrio degli immigrati irregolari e alla gestione dell’immigrazione regolare.
Con l’approvazione del regolamento, si istituisce l’agenzia Frontex, il cui compito è coordinare la collaborazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne, assistere gli Stati membri nella formazione del corpo nazionale delle guardie di confine, effettuare analisi dei rischi, sorvegliare lo sviluppo del controllo delle frontiere esterne e la ricerca in materia, aiutare gli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere esterne, fornendo il sostegno necessario nell’organizzare operazioni di rimpatrio congiunte.
È evidente che l’importante missione affidata all’agenzia Frontex può essere assolta in modo più efficiente contando sulle competenze e sull’esperienza della rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione, soprattutto se si considera che l’agenzia non dispone di alcuna rappresentanza al di fuori del territorio dell’Unione.
L’obiettivo della proposta di modifica del regolamento (CE) n. 377/2004 del Consiglio, non previsto nel regolamento originale, è di permettere a Frontex di beneficiare delle conoscenze e dell’esperienza dei funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione e viceversa.
La proposta di modifica, inoltre, suggerisce di accedere sia alle informazioni raccolte dalla rete di funzionari di collegamento attraverso ICONet, una rete di informazione e coordinamento sicura per i servizi di gestione dell’immigrazione degli Stati membri, sia al Fondo europeo per le frontiere esterne al fine di rafforzare la creazione di reti di funzionari di collegamento e, in ultima analisi, di agevolare un sistema di presentazione delle relazioni sull’attività della rete e la selezione di particolari regioni di interesse nel settore dell’immigrazione.
La proposta viene presentata a norma dell’articolo 63, paragrafo 3, lettera b e dell’articolo 66 del trattato che istituisce la Comunità europea.
Signora Presidente, mi fermo qui, con l’intento di formulare ulteriori osservazioni al prossimo turno di parola.
Cecilia Malmström, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, vorrei davvero ringraziare la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni in generale e, in particolare, il relatore, onorevole Díaz de Mera García Consuegra, e i relatori ombra per il lavoro svolto su questo tema così importante. Mi compiaccio dell’accordo raggiunto con il Consiglio.
La modifica suggerita permetterà una più stretta collaborazione tra Frontex e la rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione, migliorando lo scambio di informazioni attraverso una piattaforma informatica sicura via Internet e garantendo la corretta informazione del Consiglio e del Parlamento sulle attività di tali reti.
Sono altresì lieta del fatto che, con le modifiche presentate dal Parlamento, si adotterà un approccio improntato sui diritti umani nella redazione delle relazioni sullo stato dell’immigrazione irregolare nei paesi terzi selezionati. Permettetemi di affermare che sono pienamente d’accordo con il relatore nel sostenere l’impiego del termine immigrazione “irregolare”. Purtroppo, l’articolo 79 del trattato presenta il termine “illegale” ed è il motivo per cui lo ritroviamo qui, ma anche io utilizzo sempre l’espressione immigrazione “irregolare”, quindi sono pienamente d’accordo con lei.
Grazie alle modifiche del quadro normativo introdotte, nel rispetto del programma di Stoccolma, le reti di funzionari di collegamento saranno plasmate in modo da migliorare il loro contributo a una più efficace comprensione delle cause primarie dei movimenti migratori, con l’obiettivo di affrontare questi fenomeni nel modo corretto. Pertanto, spero che, con la votazione di domani, si adotti immediatamente la modifica di regolamento che ci permetterà di sfruttare in modo più efficiente questo fondamentale strumento di cooperazione per la gestione dei flussi migratori.
Carlos Coelho, a nome del gruppo PPE. – (PT) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, sosteniamo sempre le proposte del Parlamento volte a rispondere alla necessità di una gestione adeguata dei flussi migratori, che siano legali, illegali o clandestini. Anche la proposta in questione si iscrive in questa dinamica e mira a introdurre modifiche al regolamento (CE) n. 377/2004 del Consiglio relativo alla creazione di una rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione – come già sottolineato con grande autorevolezza dall’onorevole Díaz de Mera – al fine di instaurare le necessarie sinergie tra questo importante strumento di cooperazione e l’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex), creata successivamente.
In qualità di rappresentanti degli Stati membri all’estero, spetta ai funzionari di collegamento – attualmente distaccati in più di 130 paesi terzi – mantenere i necessari contatti con le autorità del paese ospitante, in modo da prevenire e contrastare l’immigrazione clandestina, per il rimpatrio degli immigrati illegali e per la gestione dell’immigrazione regolare. Poiché l’agenzia Frontex non dispone di rappresentanti permanenti al di fuori del territorio dell’Unione, è indubbio che questa cooperazione sia diventata estremamente centrale. Sulla base delle informazioni fornite dai funzionari di collegamento, Frontex deve effettuare le analisi del rischio e rafforzare la cooperazione operativa tra gli Stati membri e i paesi terzi.
Le informazioni ottenute da queste reti saranno poi trasmesse tramite ICONet – una rete web di informazione sicura per il coordinamento dei servizi di gestione dei flussi migratori negli Stati membri – e, al tempo stesso, permetteranno a queste reti di beneficiare dei finanziamenti del Fondo europeo per le frontiere esterne.
L’onorevole Díaz de Mera si starà chiedendo perché non l’ho ancora detto, pertanto mi affretto a sottolineare che ha svolto un lavoro eccellente, non soltanto in relazione alla qualità e agli sforzi profusi, come sempre nelle sue relazioni, ma anche in relazione all’opera di raggiungimento di un accordo in prima lettura su questo tema così importante.
Claude Moraes, a nome del gruppo S&D. – (EN) Signora Presidente, nel cogliere l’opportunità di parlare a nome del relatore ombra del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici, onorevole Guillaume, ringrazio il relatore, onorevole Díaz de Mera García Consuegra, per aver consultato attivamente tutti i relatori ombra, come è solito fare, e per aver condotto con successo i negoziati con il Consiglio.
Mentre la proposta della Commissione si compone di modifiche fondamentalmente tecniche, a mio avviso questa relazione affronta la complessità e l’ampiezza delle attività dei funzionari di collegamento, offrendone una migliore comprensione. I funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione sono effettivamente impegnati in attività complesse e oscure. È pertanto assolutamente necessario – per ragioni di trasparenza – incentivare uno scambio di informazioni più proficuo con il Parlamento europeo, da una parte, e con organizzazioni come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati o l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, dall’altra. È altresì essenziale includere e promuovere un approccio basato sui diritti umani tra i compiti dei funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione, come appena indicato dal Commissario. È sicuramente inutile ricordare che, nell’affrontare il problema di flussi migratori misti, l’invio di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione in paesi terzi potrebbe suscitare diverse preoccupazioni dal punto di vista dei diritti fondamentali, in particolare per quanto attiene al diritto degli individui di lasciare un paese, incluso il proprio, e al diritto dei richiedenti asilo di fuggire e cercare protezione dalle persecuzioni.
Per quanto attiene all’acceso dibattito sulla terminologia, nella motivazione è stato raggiunto un compromesso soddisfacente per quella che sembrava essere una discussione senza fine. Concludo ringraziando l’onorevole Díaz de Mera García Consuegra, ribadendo che il nostro gruppo sostiene pienamente la sua relazione.
Stanimir Ilchev, a nome del gruppo ALDE. – (BG) Signora Presidente, vorrei unirmi a coloro che hanno espresso apprezzamenti per gli sforzi profusi dal relatore, onorevole Díaz de Mera, poiché ha instaurato un clima che ci ha permesso di discutere proficuamente delle modifiche da lui proposte, di elaborare gli emendamenti più complessi e di giungere a compromessi, fattore di cui ora possiamo essere orgogliosi.
In quanto rappresentante del gruppo ALDE, vorrei innanzi tutto sottolineare che i risultati raggiunti sono in gran parte dovuti al fatto che, in questa occasione, si sia integrato il tema dei diritti umani nel più ampio contesto dell’immigrazione e della gestione dei processi migratori, in modo da rispettare i diritti umani e garantire, al tempo stesso, un approccio umano continuativo e adeguato, sia da parte dei funzionari incaricati dell’immigrazione che del personale Frontex.
In secondo luogo, il nostro lavoro ha il merito di migliorare la cooperazione, sia tra i funzionari di collegamento stessi che tra questi e Frontex. Frontex potrà infine mettere a frutto le nostre sinergie per costituire un nuovo know-how, con applicazioni più vaste e funzioni più varie, che sarà nelle mani di istituzioni e individui incaricati di un più efficace controllo dei processi migratori. E perché si rende necessaria una gestione più efficace di processi migratori? Perché tali processi sono destinati a non estinguersi e, probabilmente, a intensificarsi nell’immediato futuro.
Franziska Keller, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, vorrei ringraziare anch’io il relatore, onorevole Díaz de Mera García Consuegra, per l’eccellente lavoro. I funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione non dovrebbero essere considerati soltanto come degli “agevolatori di deportazione” – e non vorrei che fossero effettivamente considerati tali – ma dovrebbero sorvegliare da vicino la situazione dei diritti umani nei paesi ospitanti e, soprattutto, la protezione offerta ai richiedenti asilo e ai rimpatriati.
Sono lieta che il nostro relatore sia riuscito a inserire un riferimento ai diritti dell’uomo e a citare molte volte tali diritti nella relazione – un aspetto che mancava del tutto nella proposta originale.
Mi compiaccio altresì del maggior ruolo attribuito al Parlamento europeo, che è l’unico organo a elezione diretta a livello europeo e ha un compito ancora più centrale dopo il trattato di Lisbona, nonostante non tutti sembrino essersene ancora accorti.
Rui Tavares, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signora Presidente, come è già stato detto a più riprese, vorrei innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Díaz de Mera per l’eccellente lavoro, per la cooperazione e il dialogo instaurati con noi durante tutto questo processo: mi riferisco, in particolare, alla spinosa questione relativa ai riferimenti presenti in questo testo e in altri, per sapere se parliamo di “immigrati irregolari” o di “immigrati clandestini“. Su questo argomento il relatore, onorevole Díaz de Mera, ha adottato un atteggiamento molto costruttivo e dinamico. È altresì vero che i trattati e la posizione del Consiglio stesso non gli consentivano di approfondire l’argomento e determinare una definizione più ampia, ma anche più corretta tecnicamente, per i casi di immigrati irregolari e privi di documenti.
Come è già successo durante numerosi dibattiti sull’immigrazione in seno al Parlamento europeo, credo che qui sia in discussione la politica repressiva in materia di immigrazione che è stata quasi interamente completata, senza nessuna lacuna: la funzione primaria dell’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex), dell’accordo di Schengen e anche dei funzionari di collegamento – attualmente soggetta a modifiche, come è già successo in passato – è il controllo delle frontiere, ovvero una funzione repressiva.
Tutti, inoltre, qui in Parlamento, a sinistra e – sempre di più – anche tra i ranghi della destra, sappiamo che una politica dell’immigrazione che preveda soltanto misure repressive non è una politica dell’immigrazione, poiché una politica migratoria degna di tale nome richiede anche un quadro giuridico per i canali dell’immigrazione regolare.
Se dovessimo votare esclusivamente la relazione dell’onorevole Díaz de Mera così come ci viene presentata e con le idee proposte, sarei totalmente a favore. Siamo però chiamati a votare il compromesso in prima lettura con il Consiglio, pertanto ritengo che non ci siamo spinti abbastanza oltre.
Paul Nuttall, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signora Presidente, uno dei simboli di uno Stato sovrano è il controllo di chi può e di chi non può entrare nel proprio territorio. Purtroppo, molti governi nel Regno Unito hanno ceduto questo potere a burocrati di Bruxelles senza volto e non eletti dai cittadini, cosa che si è rivelata un disastro. La situazione attuale registra un’immigrazione fuori controllo proveniente dall’Unione europea verso il nostro paese, che ha comportato un abbassamento dei salari e la fuoriuscita dei cittadini autoctoni dal mondo del lavoro. Non penso che questa rete europea di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione abbia il potere di arrestare definitivamente questo fenomeno.
Nel nostro paese abbiamo anche un sistema di immigrazione a due binari, per il quale un cittadino australiano, neozelandese o di qualsiasi altro paese ha dei limiti, mentre un cittadino lettone, polacco o di qualsiasi altro paese dell’Unione europea può entrare nel nostro paese a proprio piacimento. Questo principio è fondamentalmente sbagliato. Si sostiene che questa rete contribuirà al controllo dell’immigrazione clandestina, ma cosa succederebbe se un paese come la Romania, per esempio, concedesse la cittadinanza a centinaia di migliaia di immigrati clandestini? Renderebbe tutto il sistema una farsa.
Sono a favore del fatto che i politici eletti nel Regno Unito debbano detenere il controllo sulle nostre frontiere, ma non sono a favore di persone incaricate della questione senza essere state elette e prive di responsabilità dirette. Ritengo che il rafforzamento di questa rete sarebbe inutile se ogni singolo Stato membro avesse il potere di controllare chi entra e chi non entra nel proprio territorio. Esorto pertanto tutti a votare contro questa relazione.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Krisztina Morvai (NI). – (HU) Signora Presidente, il collega del Regno Unito ha parlato delle difficoltà dei lavoratori britannici riscontrate a causa dell’immigrazione nel loro paese. Io sono ungherese, un paese in cui molte persone sono purtroppo costrette a recarsi nel Regno Unito per cercare lavoro, per esempio, come infermieri o medici o come operatori sanitari qualificati di diversa natura, poiché gli stipendi in Ungheria sono estremamente bassi. Queste persone sono state formate in Ungheria a livelli altissimi e l’Ungheria sta assistendo al collasso di…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Paul Nuttall (EFD). – (EN) Signora Presidente, se medici, dentisti e figure professionali simili desiderano venire nel Regno Unito per lavorare – e noi abbiamo bisogno delle loro competenze – devono certamente venire, ma al momento viviamo una situazione in cui il mercato è saturo: non possiamo controllare chi proviene dall’Unione europea e chi no. Questo principio è del tutto errato, è negativo e sta estromettendo i cittadini dal mondo del lavoro.
Citerò un esempio: il tassista che mi ha accompagnato in aeroporto stamattina era un muratore, rimasto a casa a causa dei lavoratori polacchi giunti nel nostro paese, che lavorano a un costo inferiore rispetto ai lavoratori britannici: adesso guida un taxi. Non è giusto.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signora Presidente, è evidente che qualsiasi agenzia che operi per la lotta contro l’immigrazione clandestina possa contare sul mio sostegno. Se i funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione sono in grado di rendere più efficace l’operato di Frontex, per esempio, è certamente un aspetto positivo.
Vorrei sottolineare che non dovremmo perdere così tanto tempo a osservare i processi istituzionali e burocratici, perdendo di vista l’essenziale. Il problema dell’immigrazione clandestina è una questione politica, che richiede volontà politica, se vogliamo trovare delle soluzioni.
Oggi scopriamo che ci sono ancora Stati membri, come il Belgio, che, per motivi politici e ideologici, premiano l’immigrazione clandestina. Ricompensano gli immigrati clandestini regolarizzando il loro status o garantendo loro permessi di soggiorno. In tal modo, non si combatte l’immigrazione clandestina, bensì la si incoraggia attivamente. Possiamo avere tutti i funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione e il personale Frontex che vogliamo ma, nel frattempo, il problema si aggrava sempre più.
La presente relazione mi irrita principalmente quando raccomanda di non parlare più di “immigrazione illegale” ma di “immigrazione irregolare”, come viene adesso chiamata. Non riesco proprio a capire: sembra che si voglia risolvere il problema attribuendovi un altro nome o fingendo che non esista. È veramente orwelliano. Chiamiamo le cose con il loro nome, siamo chiari e parliamo di immigrazione illegale e di immigrati clandestini.
Georgios Papanikolaou (PPE). – (EL) Signora Presidente, il solo fatto che quasi tutti, oggi, si siano congratulati con il nostro relatore, onorevole Díaz de Mera García Consuegra, e con tutti i relatori ombra che hanno contribuito a questo sforzo, testimonia l’impegno serissimo e gli eccellenti risultati raggiunti. Naturalmente, anch’io desidero complimentarmi con tutti loro. Il dibattito odierno è estremamente importante poiché indica gli sforzi da noi profusi, a livello europeo, per gestire i flussi migratori regolari, irregolari e clandestini, l’opera di coordinamento volto a dimostrare realmente la nostra solidarietà tra Stati membri e il tentativo di utilizzare meglio tutti gli strumenti a nostra disposizione.
Abbiamo istituito la rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione. Come è già stato detto, questa rete coinvolge circa 130 paesi e ci permette di ottenere informazioni affidabili. Abbiamo creato Frontex e, di recente, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo. Abbiamo siglato l’accordo di riammissione e stiamo utilizzando tutti i fondi europei a disposizione, incrementandoli il più possibile di anno in anno. Lo stesso fatto che siamo giunti adesso a utilizzare e associare questi strumenti – in altre parole, si vedono le esigenze di Frontex, si crea un contatto con la rete di funzionari di collegamento e si combinano sempre più saldamente tutti i mezzi e gli strumenti a nostra disposizione – dimostra che stiamo procedendo con maggiore efficacia.
Naturalmente, nessuno può affermare che abbiamo raggiunto l’obiettivo. Rilevando che in Grecia abbiamo il 90 per cento di ingressi illegali di immigrati in Europa, si intuisce che abbiamo ancora molto da fare. Questa cooperazione e i dispositivi in nostro possesso, tuttavia, testimoniano che possiamo essere più efficienti. Ci consentono di essere ottimisti, per quanto possibile, perché l’Europa possiede gli strumenti necessari e, con la solidarietà e una stretta collaborazione da parte di tutti, dovremmo essere in grado di raggiungere risultati migliori in futuro. Rassicuro il Commissario, signora Malmström, che sosterremo tutti gli sforzi della Commissione in tal senso: può essere certa che appoggeremo tutte le vostre iniziative.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signora Presidente, come sappiamo, i funzionari dell’agenzia di controllo delle frontiere Frontex svolgono un lavoro importante, nell’ambito della cooperazione operativa tra gli Stati membri e i paesi terzi per combattere l’immigrazione clandestina. A mio avviso, è un fenomeno che va combattuto efficacemente, in particolare nei paesi di transito. Una fitta rete di funzionari di collegamento e la loro stretta collaborazione rappresentano pertanto misure ragionevoli per permetterci di contrastare efficacemente l’immigrazione di massa verso l’Europa e tutte le conseguenze negative per i cittadini europei a essa legate. È necessario garantire, però, che le informazioni e i controlli effettuati dai funzionari di collegamento siano messi a disposizione di Frontex e delle autorità nazionali il più rapidamente possibile, senza intoppi burocratici.
In generale, abbiamo certamente bisogno di una maggiore cooperazione sulle questioni relative all’immigrazione tra tutte le istanze coinvolte. Ritengo che – con il consenso degli Stati membri – sia necessario accrescere i poteri di Frontex il più velocemente possibile, per riuscire a garantire un’azione uniforme ed efficace, in particolare alle frontiere esterne.
Simon Busuttil (PPE). – (MT) Signora Presidente, in qualità di relatore del regolamento Frontex, sono lieto di accogliere gli ultimi sviluppi della normativa che abbiamo davanti a noi, poiché ci aiuteranno durante il processo di rafforzamento dell’agenzia Frontex. La mia relazione sull’agenzia e sui necessari cambiamenti delle sue funzioni è stata effettivamente presentata il mese scorso e proprio questa settimana scadono i termini per apportare delle modifiche. Pertanto, mi auguro che nei prossimi mesi – gennaio e febbraio – la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni adotti le modifiche alla relazione Frontex e che riusciremo a concluderla in seno alla commissione. Spero, inoltre, di riuscire a iniziare il processo di chiusura di questo capitolo il più rapidamente possibile. La futura presenza di questi funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione è comunque uno sviluppo estremamente positivo che permetterà una più agevole comunicazione delle informazioni a Frontex.
Oreste Rossi (EFD). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione poteva ricevere un voto favorevole, ma è stata purtroppo modificata da emendamenti, secondo noi evitabili e inutili, che hanno sostituito le parole “illegale” e “clandestino” con la parola “irregolare”, quasi ci fosse paura a dire le cose come effettivamente stanno.
Per contro, la parte positiva è quella che prevede la creazione di una rete di funzionari dell’immigrazione distaccati sia presso le autorità consolari che presso le organizzazioni internazionali, con il compito di prevenire l’immigrazione clandestina e favorire il rimpatrio degli illegali.
Inoltre, lo scambio di informazioni connesse ai flussi migratori illegali in maniera diretta fra Stati, ambasciate e organizzazioni internazionali può risultare utile per contrastare l’azione delle reti criminali. Troppe vite umane sono state spezzate. Evitare il traffico di esseri umani è una delle sfide che l’Unione europea non può perdere.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signora Presidente, gli Stati membri inviano funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione nei paesi terzi per contrastare l’immigrazione clandestina, in collaborazione con le autorità di quei paesi. Ritengo, pertanto, che la cooperazione tra questi funzionari e Frontex sia prioritaria. È necessario un significativo scambio di informazioni e buone prassi e dobbiamo anche evitare di creare strutture aggiuntive che ricalchino quelle esistenti. Spero che queste sinergie sfocino in un controllo più efficace delle frontiere – soprattutto in considerazione del fatto che Frontex non ha propri funzionari esterni nei paesi terzi.
Un elemento fondamentale di questa cooperazione deve essere l’elaborazione coerente di accordi di riammissione, verso l’Europa orientale, così come verso il continente africano, poiché nell’Unione europea regna il caos quanto al rimpatrio degli immigrati clandestini. Alcuni Stati membri procedono con grande vigore, mentre altri sono molto indolenti e, naturalmente, queste disparità generano implicazioni negative per tutti gli Stati membri.
Abbiamo pertanto la necessità impellente di agire. Bisogna rafforzare Frontex e l’Unione europea deve obbligare le autorità nazionali ad assumersi le proprie responsabilità.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione e la proposta veicolata chiaramente servono e sono state concepite per promuovere e agevolare l’immigrazione, cosa che riteniamo inaccettabile. La creazione di una rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione è un ulteriore passo verso un provvedimento centralizzato, controllato dall’Unione europea, che facilita la diffusione di immigrati e rifugiati. È altresì inaccettabile che si voglia sostituire il termine “immigrazione clandestina” con l’espressione “immigrazione irregolare”, tentando così di legittimare ulteriormente quest’atto altrimenti illecito. I popoli d’Europa sono stanchi di subire ondate di immigrati e saremmo lieti se anche i parlamentari eletti, che siedono in quest’Aula, riconoscessero questo punto. Purtroppo, su questa relazione posso dire soltanto che sia la caricatura di se stessa. Essa incarna una caricatura del Parlamento europeo.
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signora Presidente, la modifica del regolamento agevola lo scambio di informazioni per la “gestione” dell’immigrazione regolare e clandestina. Io non voglio gestirla, io voglio combatterla. L’immigrazione si basa sull’assunto errato che siamo prodotti della nostra cultura e che l’esposizione alla cultura europea trasformi dei cittadini non europei in cittadini europei di seconda generazione, se non di prima. Persone diverse non sono il prodotto di culture diverse: culture differenti sono il prodotto di persone differenti.
Portiamo le popolazioni del Terzo mondo in Europa e porteremo il Terzo mondo in Europa – non provvisoriamente, ma per sempre. È quanto è stato fatto negli ultimi sessant’anni.
Krisztina Morvai (NI). – (HU) Signora Presidente, è giunto il momento di cercare finalmente di individuare le cause prime del problema dell’immigrazione e di porvi rimedio. Per ragioni di umanità, propongo l’introduzione del diritto di ogni persona di risiedere dove è nata, nel proprio paese di origine, creando adeguate condizioni economiche – e non solo –nel mondo, anche nei paesi considerati Stati membri europei di secondo rango, affinché ciascuno possa vivere nel paese natio. Per tornare alla mia precedente considerazione, il sistema sanitario in Ungheria ha ceduto o è sull’orlo del collasso, poiché i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari ungheresi qualificati sono obbligati a emigrare in massa in seno all’Unione europea, nel Regno Unito, per esempio, o in altri paesi, diventando essenzialmente dei rifugiati spinti da motivazioni economiche. Sarebbe il momento di analizzare questo fenomeno e contrastarlo, per esempio, chiedendo che gli Stati membri, laddove necessari, garantiscano mezzi di sussistenza adeguati per medici e infermieri qualificati.
Cecilia Malmström, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, anche se non è emerso dalla discussione, deduco che il relatore abbia ottenuto un ampissimo sostegno per la sua proposta. Mi congratulo con lei, onorevole Díaz de Mera, perché è il segno che ha svolto un lavoro encomiabile.
Vorrei altresì ribadire il mio compiacimento per il fatto che si sia posto l’accento sull’aspetto dei diritti umani nella relazione tramite le modifiche apportate dalla commissione. Ciò permetterà che siano presi in considerazione tutti gli aspetti fondamentali, soprattutto i diritti umani, durante l’esame di un paese o di una regione e durante la stesura della relazione sull’immigrazione irregolare in un dato paese o in una determinata regione. Sappiamo che sussiste una evidentissima relazione tra il rispetto dei diritti umani e il numero di immigrati o di richiedenti asilo: si tratta di un fattore propulsivo determinante.
Rientra peraltro tra i compiti dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, che raccoglierà queste informazioni nei paesi di origine e transito dei richiedenti asilo. La funzione principale dei funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione è di instaurare e mantenere i contatti con le autorità dei paesi ospitanti, con l’obiettivo di prevenire e contrastare l’immigrazione irregolare. Non è tuttavia di loro competenza effettuare una valutazione completa sulla situazione dei diritti umani nel paese ospitante, benché sia una funzione di rilievo in seno all’agenda.
Ritengo che la sua proposta abbia migliorato il testo e attendo la votazione di domani. Ringrazio ancora lei, onorevole relatore e i relatori ombra per l’eccellente lavoro svolto.
Agustín Díaz de Mera García Consuegra, relatore. – (ES) Signora Presidente, signora Commissario, grazie infinite per le sue parole e per il suo impegno. Vorrei ancora una volta esprimere il mio apprezzamento per le modalità di gestione dei compiti a lei affidati.
Questo pomeriggio vi sono stati 18 interventi e i gruppi di maggioranza hanno sostenuto questa relazione. Vorrei pertanto ribadire la mia profonda e sentita gratitudine, in ragione della partecipazione attiva che ha arricchito e modificato dei punti sostanziali che dovevano essere integrati, come ora è stato fatto.
Mi riferisco fondamentalmente al capitolo relativo ai diritti umani, all’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo e al ruolo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Ovviamente, in un’Aula così vasta e variegata, non siamo obbligati a concordare con tutti, motivo per cui sono particolarmente significativi gli sforzi profusi per raggiungere un ampio consenso. Onorevoli colleghi, da una posizione di centro-destra e democratico-cristiana, affermo comunque che sono indubbiamente a favore del termine “irregolare” e che respingo il termine “illegale”, poiché inappropriato giuridicamente, semanticamente ed eticamente.
Ringrazio i colleghi parlamentari per il sostegno e per i loro interventi, anche quelli di dissenso.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì, 14 dicembre.
18. Procedura unica di domanda di permesso di soggiorno e di lavoro (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0265/2010), presentata dall’onorevole Mathieu, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro [COM(2007)0638 – C6-0470/2007 – 2007/0229(COD)].
Véronique Mathieu, relatore. – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, come sapete, da dieci anni l’Unione europea cerca di dotarsi di strumenti legislativi in ambito di immigrazione economica.
In seguito a un primo approccio globale, la Commissione ha preferito un approccio settoriale. La presente proposta di direttiva evidenzia la necessità di una politica comune in materia di immigrazione legale, particolarmente dal punto di vista economico.
Finora si è affrontato la legislazione sull’immigrazione clandestina, il controllo delle frontiere, la politica dei visti. È giunto il momento di fare un passo avanti, insieme, sul tema dell’immigrazione economica, perché l’Unione europea deve affrontare sfide condivise da tutti gli Stati membri e che richiedono soluzioni comuni a livello europeo.
Le sfide condivise sono il declino demografico e l’invecchiamento della popolazione europea. A causa di questi problemi, che colpiscono l’Europa intera, le previsioni di occupazione globale presentano una marcata carenza di forza lavoro per gli anni futuri. Pertanto, dobbiamo trovare soluzioni a livello europeo per soddisfare le richieste del mercato del lavoro, e la immigrazione economica è una delle soluzioni da approfondire.
Attenzione però, non inganniamoci. La definizione di un approccio comunitario nella gestione dell’immigrazione legale implica un’organizzazione attenta alle necessità e alle capacità di accoglienza dei singoli Stati membri. Come citato dagli articoli 1 e 8 della presente proposta di direttiva, gli Stati mantengono il controllo sul numero di migranti che intendono accogliere all’interno del proprio territorio nazionale.
I nostri governi adottano varie misure per regolare l’immigrazione economica: accordi bilaterali, quote, misure di regolamentazione. Nessuna delle attuali misure, però, si è dimostrata veramente efficace nella gestione dei flussi migratori legali simultaneamente alla lotta all’immigrazione clandestina. Il collegamento fra le due è palese. Solo organizzando nel miglior modo possibile l’immigrazione legale riusciremo a porre fine all’immigrazione clandestina. È questo il tema alla base dell’adozione del pacchetto di misure introdotto dalla Commissione già cinque anni orsono.
Quali saranno gli effetti della direttiva relativa al permesso unico sul contesto giuridico attuale della immigrazione economica? Diversamente dalla direttiva relativa alla carta blu, la presente direttiva non si occupa dei criteri di ammissione dei lavoratori di paesi terzi. È orientata invece all’eliminazione delle differenze fra le diverse legislazioni nazionali in merito alle procedure di attuazione dei permessi di lavoro e di soggiorno, nonché per quanto concerne i diritti degli stranieri che lavorano legalmente all’interno dell’Unione europea.
Non disponiamo ancora di uno strumento europeo che copra la totalità dei diritti offerti ai cittadini di paesi terzi che lavorano e risiedono legalmente nell’Unione. La presente direttiva porrà fine alle differenze nella tutela di questi lavoratori, garantendo la parità di trattamento con i lavoratori nazionali in svariati ambiti: condizioni lavorative, istruzione e formazione professionale, protezione sociale, accesso a beni e servizi, sgravi fiscali.
Una simile base comune tutelerà queste persone dallo sfruttamento, garantendo loro il beneficio di uno status giuridico sicuro e protettivo. Si tratta di una forma di lotta alla concorrenza sleale che colpisce i lavoratori europei. La differenza di tutela, difatti, nel lungo termine incentiva l’assunzione di forza lavoro scarsamente qualificata e tutelata, a spese dei lavoratori europei.
Inoltre, la presente direttiva semplifica le procedure di ammissione per fini lavorativi. Tutti gli Stati membri disporranno di una procedura armonizzata più semplice, rapida ed economica. L’adozione della presente direttiva, dunque, porterà maggiori vantaggi per i migranti, per i datori di lavoro e per le amministrazioni nazionali e, infine, consentirà una migliore gestione dei flussi di immigrazione legale.
Ora il Parlamento ha la funzione di colegislatore, pertanto deve dare prova anche di responsabilità, un concetto idealista e passato, e dimostrare che è all’altezza dei nuovi compiti assegnatigli dal trattato di Lisbona. Presentiamoci quali interlocutori credibili, pronti a cogliere la notevole sfida della gestione delle pressioni migratorie alle porte dell’Europa. Sappiamo che i flussi migratori regolati si dimostreranno vantaggiosi per tutti.
Cecilia Malmström, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, innanzi tutto desidero ringraziare i due relatori, l’onorevole Mathieu e l’onorevole Cercas, le due commissioni e la Presidenza belga, per l’intenso lavoro svolto sulla presente proposta.
Come sapete, e come affermato dalla relatrice, la Commissione aveva già presentato la presente relazione nel 2007. Il nostro obiettivo era, ed è tuttora, di semplificare le procedure attraverso l’introduzione di un unico permesso di soggiorno e di lavoro, garantendo i diritti lavorativi ai lavoratori di paesi terzi che risiedono legalmente nell’Unione e che non sono tutelati da una specifica legislazione comunitaria o da proposte della Commissione. Nella presente proposta non affrontiamo le condizioni per il rilascio o il ritiro di un permesso, perché tali condizioni sono di competenza degli Stati membri, così come la decisione sugli eventuali volumi di ammissione.
Questa proposta rappresenta uno degli elementi fondanti della politica comunitaria in materia di lavoro e immigrazione. Se adottata da Parlamento e Consiglio, la direttiva confermerà il valore che l’Unione riconosce all’importante contributo dei lavoratori di paesi terzi alle nostre economie e società. Dimostrerà, inoltre, che siamo pronti e in grado di concordare una legislazione in materia di lavoro e immigrazione.
Si tratta di una proposta complessa che affronta sia la parte relativa all’immigrazione, sia quella concernente l’occupazione sociale. La maggioranza degli emendamenti votati nelle rispettive commissioni di questa Camera è sostenuta dalla Commissione nella misura in cui essi consolidino le garanzie procedurali sia per i migranti, sia per i datori di lavoro. Mi riferisco agli emendamenti volti a un’ulteriore semplificazione delle procedure di attuazione e consolidamento delle disposizioni sulla parità di trattamento come, ad esempio, il principio di proporzionalità dei salari per quanto concerne le procedure e le disposizioni di parità di trattamento sugli sgravi fiscali.
Dall’altro lato, l’emendamento che lega l’esportazione di una pensione acquisita all’esistenza di un accordo bilaterale è molto più restrittivo rispetto all’approccio proposto dalla Commissione.
Sono lieta di notare che né la Presidenza né il Parlamento abbiano lesinato gli sforzi per avvicinare le proprie posizioni. La Presidenza belga ha cercato di avvicinare gli Stati membri alla posizione del Parlamento, e so che quest’ultimo ha tenuto conto di numerose preoccupazioni e richieste espresse dal Consiglio.
Il compromesso che vogliamo raggiungere rispetterà determinati criteri, quali l’obiettivo di tutelare i lavoratori migranti e di fornire loro una serie di diritti socioeconomici sul lavoro, sulla base, nella maggiore misura possibile, di una parità di trattamento con i lavoratori europei fin dal primo giorno di lavoro. In secondo luogo terrà in considerazione l’importanza di creare una situazione di parità in tutta l’Unione per i suddetti lavoratori e, in terzo luogo, dimostrerà ai paesi partner che siamo disposti a fornire un trattamento equo a tutti i cittadini di paesi terzi che risiedono e lavorano legalmente all’interno dei nostri Stati membri.
Non possiamo ignorare le preoccupazioni dei nostri Stati membri in merito a determinate disposizioni sulla parità di trattamento, particolarmente in ambito di concentrazione delle risorse. È importante che i criteri sopracitati siano rispettati, sebbene il quadro finale possa non apparire ideale come avevamo prospettato o ambizioso come avremmo voluto. L’onorevole Mathieu lo definisce un compromesso. Si tratta infatti di un buon compromesso che rappresenta un passo avanti fondamentale in ambito di immigrazione legale e sarà di grande importanza per i lavoratori dell’Unione europea.
Pertanto, consentitemi di esprimere la speranza che si raggiunga quanto prima un accordo sulla presente proposta. Ringrazio nuovamente i relatori e i relatori ombra per il lavoro svolto.
Alejandro Cercas, relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (ES) Signora Presidente, signora Commissario, onorevole Mathieu, onorevoli colleghi, l’immigrazione in Europa è senz’altro un’importantissima questione politica, economica e sociale.
Essa rappresenta una grande opportunità, ma richiede una gestione intelligente ed equa altrimenti diverrebbe un problema non solo per chi arriva, che non sarebbe trattato in modo equo, ma anche per i lavoratori presenti, i cui posti di lavoro sarebbero a rischio. In caso contrario, il mercato del lavoro sarebbe diviso e una schiera di lavoratori “low cost” metterebbe a rischio le conquiste sociali di oltre un secolo di costruzione del modello sociale europeo.
Pertanto, signora Commissario, onorevole Mathieu, il principio del trattamento equo rappresenta la base di una politica di integrazione economica intelligente e giusta. Lo ha affermato il Consiglio a Tampere 11 anni fa, lo ha ribadito la Commissione cinque anni fa nel Libro verde e, domani, il Parlamento dovrà votare una proposta di iniziativa legislativa. La direttiva dedica al tema della parità di trattamento il capitolo III. Non si tratta di una direttiva burocratica, in quanto delinea i diritti e doveri da applicare a tutti gli immigrati regolari e comprende la totalità dei diritti di parità di trattamento e non discriminazione.
Purtroppo però, signora Commissario, la direttiva non corrisponde a quella che ci era stata promessa. Non lo affermo né io, né la commissione per l’occupazione e gli affari sociali, bensì tutte le organizzazioni umanitarie non governative, tutte le chiese e i sindacati d’Europa, senza eccezioni. La direttiva è inadeguata e persino pericolosa, perché esclude i gruppi che hanno maggiore bisogno di protezione, i lavoratori temporanei, gli sfollati, i lavoratori trasferiti dalle proprie aziende, i lavoratori di paesi meno sviluppati che giungeranno in Europa secondo il quarto modo di fornitura dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio.
Arriveranno centinaia di migliaia di lavoratori da paesi terzi secondo il principio del paese di origine, poiché non saranno trattati in modo equo dalla presente direttiva. Inoltre, voi assegnate agli Stati membri la possibilità di dissociarsi dalla parità di trattamento in ambito di pagamento delle pensioni una volta che i lavoratori sono tornati ai propri paesi di origine, alle prestazioni familiari e sociali per i disoccupati, eccezion fatta per l’indennità di disoccupazione. Quanto detto è valido anche per i lavoratori soggetti al principio della parità di trattamento coperti da quanto citato dall’onorevole Mathieu. Inoltre, sono esclusi da sussidi e da qualsiasi tipo di assistenza all’istruzione superiore, inclusa la formazione professionale.
Per queste ragioni, nelle motivazioni e nella valutazione d’impatto la Commissione presenta l’intenzione di eliminare e porre fine al “divario dei diritti”, cosa che nella pratica non avviene. Non è sufficiente, signora Commissario.
Domani saranno in programma emendamenti presentati dai gruppi di destra e centro-destra di questa Camera che si spingono oltre, adottando persino posizioni più estremiste del Consiglio per distruggere il consenso che avevamo creato all’interno della commissione per l’occupazione.
Pertanto, signora Commissario, onorevole Mathieu, onorevoli colleghi, ritengo necessario estendere la discussione sul tema in oggetto e sulle altre direttive, coinvolgendo la società civile, le ONG, le chiese e i sindacati. Non possiamo affrontare la questione in modo così rapido e, a mio avviso, irresponsabile, e accettare domani il testo del Consiglio.
Ritengo che la maggioranza dei colleghi, indipendentemente dal partito di appartenenza, concordi sulla possibilità di condurre un’ampia discussione per raggiungere un vasto consenso in Parlamento, nel rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali, che segua le indicazioni delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione internazionale del lavoro e del Consiglio d’Europa.
Stiamo parlando della dignità delle persone, ma anche del futuro dell’Europa, dove credo che tutti i lavoratori, se residenti legalmente nell’Unione e indifferentemente dalla propria origine, debbano godere della totalità dei diritti, senza alcuna esclusione. Solo così potremo lottare contro la xenofobia e il razzismo, per un’Europa dignitosa.
Ria Oomen-Ruijten, a nome del gruppo PPE. – (NL) Signora Presidente, innanzi tutto desidero esprimere le mie congratulazioni all’onorevole Mathieu per aver preso le redini di un dossier aperto da alcuni anni. Se ho compreso bene, Commissario Malmström, già nel 2001 era stata presentata una proposta di direttiva sulle condizioni di gestione del soggiorno di cittadini di paesi terzi residenti nell’Unione europea per motivi di lavoro. La proposta è stata ritirata nel 2006, poi ripresentata nel 2007 con la procedura unica per i cittadini di paesi terzi che varcano i confini comunitari per lavorare all’interno dell’Unione. Di conseguenza, i permessi di lavoro e di soggiorno sono unificati.
Signora Presidente, non concordo pienamente con l’onorevole Cercas: la proposta in esame indica che i cittadini di paesi terzi in possesso di un permesso unico hanno diritti sociali, uguali per tutti. La discussione in sede di commissione per l’ambiente e gli affari sociali (e desidero ringraziare l’onorevole Cercas, sono lieta di discutere questo tema con lui) si è accesa su due punti. In primo luogo, sulla portata, poiché i lavoratori distaccati, e concordo su questo punto, non possono o non potrebbero avere i requisiti per il permesso unico. Questo punto è descritto dall’articolo 3, paragrafo 2, lettera b, della direttiva 96/71/CE, nota anche come Direttiva sul distacco dei lavoratori.
A mio avviso, lo status sociale dei cittadini distaccati di paesi terzi è, ed era, descritto in modo adeguato dalla direttiva. Ritengo importante la creazione di una situazione di parità, in cui i lavoratori in prestito non possano lavorare a un salario inferiore rispetto a quello del personale regolare. Mi domando se, evitando di citare la direttiva sul distacco dei lavoratori, ci stiamo creando dei problemi per il futuro.
Il secondo punto, sul quale ho lottato molto e che ora è stato modificato in seguito al mio emendamento, è il principio della violazione della parità di trattamento. Sono tuttora dell’avviso che detto principio, come presentato dal regolamento (CE) n. 883, debba costituire il punto di partenza per qualsiasi discussione sul permesso unico. Ritengo che il compromesso raggiunto dal Consiglio sia positivo, perché garantisce parità di diritti e parità di trattamento.
Vilija Blinkevičiūtė, a nome del gruppo S&D. – (LT) Signora Presidente, la direttiva sul permesso di soggiorno e di lavoro unico è molto importante. Vi sono state numerose discussioni, pareri e valutazioni, ma non è ancora stata raggiunta una decisione comune, accettabile per tutti i lavoratori di paesi terzi che risiedono e lavorano legalmente in Europa. La presente dovrebbe essere una direttiva quadro generale sui diritti dei lavoratori di paesi terzi, e costituire il quadro per normative specifiche, solo in questo modo contribuirebbe all’obiettivo comunitario di una politica migratoria comune. Il problema principale rimane il fatto che il quadro della direttiva che ci era stato promesso è stato rimosso dalla proposta della Commissione, e alcune categorie, quali i lavoratori temporanei, i lavoratori soggetti a trasferimenti intra-societari e i rifugiati sono state eliminate. In altre parole, la presente direttiva non consolida il principio di equivalenza giuridica dei lavoratori di paesi terzi. Per rappresentare un quadro e un punto di riferimento, la direttiva deve includere tutti i lavoratori alla propria portata, perché altrimenti i migranti che risiedono e lavorano legalmente nell’Unione europea non avrebbero condizioni lavorative basate sui principi di giustizia, uniformità e parità. Va sottolineato che i lavoratori migranti contribuiscono all’economia comunitaria attraverso il proprio lavoro, le tasse e i contributi che versano. Pertanto, devono vedere garantiti gli stessi diritti di base ed essere trattati nello stesso modo sul mercato del lavoro. Se domani voteremo la direttiva dovremo essere uniti, solo così potremo vincere questa lotta per l’inclusione di tutti i gruppi di lavoratori e per la parità di diritti. Desidero ricordare l’impossibilità di creare un doppio mercato del lavoro, all’interno o all’esterno dell’Unione europea. Non possiamo consentire la creazione di una sottoclasse di lavoratori soggetta a discriminazione e che non gode di alcun diritto o garanzia. Se lo facessimo, calpesteremmo tutte le norme sociali che abbiamo ottenuto finora.
Sophia in 't Veld, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, desidero iniziare con un richiamo al regolamento: in un dibattito così importante, noto l’assenza del nostro partner nelle negoziazioni, il Consiglio. Lo ritengo inaccettabile. Non è la prima volta che ciò accade ed esorto la Presidenza di questa Camera a scrivere al Consiglio lamentando il problema.
(Applausi)
Desidero proseguire, come i colleghi, congratulandomi con l’onorevole Mathieu per l’ottimo lavoro svolto su un dossier molto difficile, complesso e sensibile. Il mio gruppo, il gruppo ALDE, accetterà le proprie responsabilità e desidera giungere a un accordo, poiché l’argomento è davvero importante. Non lo faremo con gioia, perché, come è già stato espresso in modi diversi da tutti i gruppi della presente Camera e dalla Commissione, la proposta non è sufficientemente coraggiosa.
Il mio gruppo manterrà la propria posizione sui documenti supplementari perché, se consentissimo agli Stati membri di richiederli, andremmo contro l’intero principio del permesso unico; si può scegliere se adottarlo o meno, ma se si decide per il permesso unico, non possono esservi documenti supplementari.
Per quanto concerne le tabelle di correlazione, al fine di raggiungere un accordo il mio gruppo non ne voterà l’inserimento. Desidero commentare, a titolo personale, che trovo deplorevole questa linea rossa imposta dagli Stati membri, perché se essi hanno intenzione di trasporre la direttiva e attuarla in modo trasparente, dovrebbero inserire spontaneamente dette tabelle.
Infine, nel 1999 a Tampere, gli Stati membri hanno annunciato in grande stile il desiderio di una politica migratoria e di asilo comune. Che progressi abbiamo compiuto finora? Quasi nessuno. È chiaro che gli Stati membri non vogliono una politica migratoria comune.
Jean Lambert, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, anche noi serbiamo preoccupazione in merito al mercato del lavoro mutevole che già esiste tra i 27 Stati membri e all’interno di ciascuno Stato membro. La nostra principale preoccupazione riguarda le modalità di passaggio da questa situazione a una più consolidata e di ampio respiro.
Vogliamo la certezza di disporre di una base di diritti concordata per la maggioranza dei cittadini di paesi terzi, come originariamente stabilito dalla Commissione e successivamente affinato dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali.
Non vogliamo assistere a un restringimento e a una limitazione dei diritti, pertanto nella votazione di domani sosterremo la più ampia e solida gamma di diritti possibile. Desideriamo ricordare al Consiglio che ci stiamo occupando di persone che dovrebbero avere la possibilità di sviluppare le proprie capacità e istruzione, beneficiare dei contributi di sicurezza sociale versati e del proprio diritto alla pensione, considerando che, come riconosciuto dalla proposta, il loro lavoro sostiene le nostre economie e società.
Per il nostro gruppo, l’impegno per l’immigrazione circolare ha un ruolo importante nell’articolo 11, lettera a. La portata è una questione spinosa poiché vi sono altri strumenti in fase di discussione con i quali potrebbe entrare in conflitto. Non possiamo pensare che la presente proposta soddisfi le necessità di ogni lavoratore migrante dell’Unione. È necessario un approccio più graduale per fare sì che l’immigrazione abbia esito positivo per costoro, pertanto non voteremo, ad esempio, l’inclusione dei beneficiari di protezione umanitaria.
Patrick Le Hyaric, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, come l’onorevole Cercas ha espresso in modo mirabile, vi è una divergenza di opinioni fra la commissione per l’occupazione e gli affari sociali e la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. Pertanto, il Parlamento deve votare contro la cosiddetta direttiva “permesso unico”. Il presente testo ha fondamentalmente un unico scopo, facile da comprendere: mettere in competizione i lavoratori europei con i lavoratori extra-europei, e far competere anche i lavoratori migranti fra loro, a seconda del loro status.
Se questa direttiva rimane immutata, vi saranno numerosi tipi di status: residente, lavoratore stagionale, trasferito intra-societario. La direttiva ufficializzerebbe l’esistenza di numerose categorie di lavoratori nell’Unione europea. L’accettazione di questo fatto violerebbe i principi della Carta dei diritti fondamentali.
Al contrario di quanto da lei affermato, onorevole Mathieu, le differenze di status genererebbero un calo costante delle condizioni di vita, lavoro e occupazione per tutti i salariati all’interno dell’Unione. Non si può ottenere la parità semplicemente invocando le condizioni lavorative.
Come affermato dall’onorevole Cercas, la parità deve includere salari, orari lavorativi, sicurezza dell’occupazione, salute, festività, protezione sociale, accesso ai servizi pubblici e formazione. In mancanza di questa base minima si creerebbe una giungla di concorrenza, stigmatizzazione, esclusione e sfruttamento senza limiti. La parità deve coinvolgere tutti i lavoratori, indipendentemente dalle proprie origini. Non possiamo accettare l’aggiunta di nuove forme di concorrenza fra lavoratori, oltre a quelle già introdotte dalla terribile direttiva Bolkestein. La parità fra i lavoratori deve essere l’obiettivo di una direttiva unica positiva, che affermi detto principio. In sua mancanza, a nome dell’Europa dei lavoratori, dell’Europa sociale, dell’Europa umanista, di tutti noi presenti in questo Parlamento, indipendentemente dalle nostre opinioni, respingiamo la presente direttiva.
Mara Bizzotto, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione in discussione contiene certamente degli elementi positivi, l'orientamento generale è quello della semplificazione delle procedure e di uno snellimento dei passaggi burocratici per i lavoratori di paesi terzi con regolare permesso di soggiorno in uno Stato membro.
Tuttavia, quale punto di riflessione, vorrei ricordare che oggi in Europa decine di milioni di cittadini – tra cui moltissimi giovani – sono senza lavoro a causa delle carenze strutturali del sistema produttivo europeo e per l'effetto di una crisi che non sembra voler finire.
Prima ancora che per i cittadini di paesi terzi che soggiornano nei nostri paesi, è il caso che l'Europa si impegni soprattutto per attuare misure economiche, politiche e sociali che aiutino anzitutto i nostri cittadini a trovare, o ritrovare, lavoro. Se l'Europa saprà dare lavoro ai suoi cittadini creerà basi sociali solide per accogliere adeguatamente i flussi migratori dall'esterno.
La parola d'ordine deve essere prima di tutto far crescere l'Europa sulle proprie gambe e con le proprie forze. I nostri paesi avranno allora la forza per dare lavoro anche agli altri.
Daniël van der Stoep (NI). – (NL) Signora Presidente, il mio partito si è sempre opposto in modo chiaro a una politica comunitaria migratoria e di asilo. Nei Paesi Bassi, ora abbiamo un ottimo governo che è stato in grado di attuare la volontà dei cittadini in materia di asilo e immigrazione, invece in questa sede siamo stati posti di fronte al fatto compiuto.
Ciononostante, il mio partito, il PVV (partito olandese per la libertà e il progresso), continuerà a battersi affinché detti poteri siano riconsegnati agli Stati membri. Nel frattempo, è importante limitare i danni, diversamente da quanto perseguito dalla relazione: la nuova procedura applicativa addirittura semplifica l’ingresso nell’Unione europea, invece di renderlo più difficile.
Signora Presidente, solo una classe politica priva di contatti con i cittadini può lasciare senza protezione questi stessi cittadini, che quotidianamente assistono agli effetti disastrosi dell’immigrazione di massa da paesi non occidentali. Voterò contro la presente relazione perché sono stato eletto dagli olandesi e non da cercatori di fortuna che vogliono provare i piaceri occidentali senza abbracciare i valori giudeo-cristiani.
Simon Busuttil (PPE). – (MT) Signora Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Mathieu per gli sforzi profusi per il raggiungimento di questo risultato. Ha svolto un lavoro molto importante su un tema estremamente complesso, come affermato dal Commissario Malmström. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), sostiene la cooperazione in ambito di immigrazione clandestina purché, al contempo, si inasprisca la lotta all’immigrazione clandestina. Un concetto non può esistere senza l’altro. Ad ogni modo, riconosciamo che uno degli strumenti utilizzabili per la lotta all’immigrazione clandestina sia quello di fornire opportunità chiare di immigrazione regolare, come in questo caso. Come ha affermato l’onorevole Mathieu, desidero ricordare che i nuovi poteri assegnatici in quest’ambito dal trattato di Lisbona sono accompagnati da nuovi impegni. Pertanto, il Parlamento deve sostenere queste nuove responsabilità dimostrandosi in grado di arrivare a un compromesso con il Consiglio dei Ministri. Questo richiede l’accettazione di alcune posizioni del Consiglio, quali le garanzie in ambito di concessione dei permessi secondo la direttiva, il che, a mio avviso, solleva la questione della parità di trattamento. Dobbiamo riconoscere che, per raggiungere un accordo con il Consiglio, inevitabilmente dovremo accettare un cambiamento di condizioni. Eppure, e con questo punto concludo, chi sostiene che stiamo agendo con eccessiva fretta o chi è pronto a votare contro, deve ricordare che senza questa direttiva si creerebbe una situazione illegale che non porterebbe dignità ad alcun lavoratore che vi si troverà.
Claude Moraes (S&D). – (EN) Signora Presidente, i miei colleghi del gruppo S&D, gli onorevoli Cercas e Blinkevičiūtė, hanno citato il problema principale del presente pacchetto per il nostro gruppo: non si tratta soltanto del principio della parità di trattamento o del paese di origine che, come affermato dall’onorevole Oomen-Ruijten, sono temi affrontati in modo approfondito nella discussione. Vi è anche il problema dell’illogicità delle misure di cui disponiamo ora. Abbiamo una proposta di permesso unico che segue la proposta sui lavoratori qualificati, la carta blu, le sanzioni ai datori di lavoro. Significa che abbiamo un pacchetto intriso di buone intenzioni, come l’approccio orizzontale. Il problema è che non stiamo attuando un approccio orizzontale, perché nella situazione attuale l’onorevole Mathieu ha svolto un ottimo lavoro con quanto aveva a disposizione nonostante, come ha affermato nel suo intervento, mirassimo a un approccio globale e disponiamo invece di un approccio settoriale, motivo di preoccupazione per l’onorevole Lambert.
Qual è la situazione attuale? Il nostro gruppo nutre grande preoccupazione in ambito occupazionale per quanto concerne il principio del paese di origine e, come affermato dall’onorevole Blinkevičiūtė, vi è un grande problema relativamente alle categorie di lavoratori incluse nella proposta: i lavoratori distaccati, i trasferimenti intra-societari, i lavoratori stagionali e persino i destinatari della tutela internazionale sono esclusi. Presenteremo nuovamente questi emendamenti domani a nome del nostro gruppo.
Chi dispone di un permesso unico che non esegue quanto stabilito sulla carta, ad esempio non applica un ampio approccio in materia di entrata nell’Unione per i cittadini di paesi terzi, dovrà affrontare problemi di parità di trattamento, una forza lavoro a due livelli e altri problemi che vogliamo risolvere attraverso politiche comuni.
Dall’altro lato, all’interno della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni siamo lieti di poter lavorare con un approccio settoriale, affinché possano esservi direttive sui lavoratori stagionali e sui trasferimenti intra-societari, ma non si può colpevolizzare il nostro gruppo, per il quale il principio del paese di origine e la parità di trattamento sono fondamentali per risolvere la questione. Noi diciamo la verità: stiamo agendo in modo sbagliato, a causa delle persone non presenti in quest’Aula oggi ad ascoltare la nostra discussione, ossia i rappresentanti del Consiglio. Il Consiglio non ha voluto adottare un approccio orizzontale e, pertanto, non rimane altro che un approccio lacunoso.
Per quanto concerne il permesso unico, pertanto, comprendiamo le buone intenzioni, l’approccio globale e gli sforzi della relatrice per farlo funzionare, ma domani presenteremo i nostri emendamenti in buona fede, nella speranza di ottenere un permesso unico che affermi esplicitamente la propria natura, coprendo quindi la vasta gamma di persone che intendono lavorare all’interno dell’Unione europea. Vogliamo creare un permesso unico realistico che sia accettato da tutti gli Stati membri e che superi la prova del tempo.
Gesine Meissner (ALDE). – (DE) Signora Presidente, lavoro in questo Parlamento ormai da un anno e ho esaminato numerosi fascicoli, ma nessuno è mai stato così complicato come quello presentato oggi. Desidero ringraziare sentitamente l’onorevole Mathieu e l’onorevole Cercas, i due relatori delle relative commissioni.
Si tratta di un tema davvero molto difficile, perché in Europa viviamo di grandi ideali: vogliamo trattare in modo equo e giusto chiunque lavori e viva nell’Unione. È un principio su cui tutti possiamo concordare quale punto di partenza, ma la vera questione riguarda l’effettiva applicabilità di detto principio.
È stato ricordato che, grazie al trattato di Lisbona, ora possiamo stabilire una politica comune in materia di asilo e immigrazione. La politica di asilo è molto importante per tutti noi, non soltanto in considerazione della Carta dei diritti fondamentali. È necessaria una politica di immigrazione anche per motivi economici, poiché hanno luogo cambiamenti demografici e abbiamo urgente necessità non soltanto di lavoratori altamente qualificati, bensì anche di lavoratori meno qualificati.
La principale difficoltà che affrontiamo concerne la nostra azione. Come affermato dall’onorevole in ’t Veld, nel 1990 gli Stati membri hanno affermato a Tampere l’intenzione di sviluppare una struttura comune. Non è ancora stato presentato nulla al riguardo. In altri termini, quanto stiamo discutendo oggi è un compromesso, pur imperfetto, che rappresenta comunque una forma di progresso, a mio avviso. Personalmente, comprendo quanti affermano la necessità di ulteriori discussioni. Nemmeno io sono totalmente soddisfatta. Ad esempio, ritengo molto importante che tutti abbiano accesso a una formazione e a un’istruzione più approfondite. Si tratta di una questione fondamentale, non solo per le persone coinvolte affinché possano entrare nel mercato del lavoro, bensì anche per noi, data l’effettiva necessità di lavoratori. Per quanto concerne la sicurezza sociale, ad esempio, sono già presenti numerosi sistemi differenti non armonizzati all’interno dell’Unione: come è possibile creare una serie di norme comuni riguardanti i diritti dei cittadini di paesi terzi in tutti i casi possibili?
È molto difficile, per questa ragione ritengo positivo il compromesso che ci è stato presentato. Dobbiamo veramente votare a favore di tale compromesso, almeno così disporremo di uno strumento minimo.
Hélène Flautre (Verts/ALE). – (FR) Signora Presidente, è strano che una direttiva volta a garantire un quadro legale di diritti per tutti i lavoratori inizi con una lunga lista delle categorie dei lavoratori esclusi dalla direttiva stessa. In questo modo la direttiva somiglia a un progetto per l’immigrazione legale, ma anche per un mercato del lavoro comunitario a più livelli, in cui ogni categoria di lavoratori riceve una serie di diritti a seconda dell’importanza che riveste. Siamo ben lontani dall’attuazione di un approccio orizzontale e universale ai diritti dei lavoratori.
I responsabili europei non hanno ancora compreso che maggiori diritti comportano maggiore efficienza economica e coesione sociale, nonché un aumento dei vantaggi individuali e collettivi per migranti, società ospitanti e società di origine. Uno studio della London School of Economics afferma che la regolarizzazione di 600 000 lavoratori irregolari in Gran Bretagna, che non avrebbero accesso alla procedura per il permesso unico, porterebbe 3 miliardi di sterline nelle casse britanniche. A mio avviso, non siamo assolutamente all’altezza della sfida.
Csaba Sógor (PPE). – (HU) Signora Presidente, sappiamo che l’immigrazione economica è un fenomeno reale negli Stati membri dell’Unione europea. La presenza di lavoratori di paesi terzi deve essere valutata tenendo a mente due considerazioni. La questione si presenta principalmente quale necessità economica, poiché le tendenze demografiche e del mercato del lavoro indicano la necessità di lavoratori immigrati. Pertanto, è nel nostro interesse garantire un’immigrazione legale, regolamentata, che gli Stati membri possano controllare, mentre i migranti vivrebbero una situazione di certezza legale, ossia non vi sarebbero vantaggi nell’aggirare le procedure legali.
La sezione della direttiva relativa ai diritti comuni, ossia alla parità di diritti fra immigrati e lavoratori nazionali dello Stato membro in questione, è di importanza fondamentale. Desidero richiamare la vostra attenzione anche sull’altro aspetto culturale della questione: la presenza di immigrati con usi e costumi culturali distinti è fonte di tensione in numerosi Stati membri. Sono convinto che la garanzia di pari diritti non possa fermarsi al divieto di discriminazione sul mercato del lavoro, la questione richiede un approccio molto più articolato. I migranti non rappresentano soltanto ulteriore forza lavoro per l’Europa, non desiderano soltanto lavorare qui, desiderano studiare, crearsi una famiglia, crescere i figli e vivere una vita piena. Se l’Europa dovesse decidere che l’immigrazione economica è la soluzione agli squilibri causati dalla situazione demografica, non dovrà dimenticare la dimensione culturale. Il successo del multiculturalismo richiede tolleranza, rispetto reciproco e solidarietà.
Sergio Gaetano Cofferati (S&D). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, penso che la soluzione della quale stiamo discutendo sia una soluzione sbagliata, profondamente ingiusta nei confronti di tante persone deboli e per qualche verso anche autolesionista, perché non sfugge a nessuno – ed è già stato fatto notare – la contraddizione che esiste tra il discutere di un permesso unico partendo però da deroghe ed eccezioni.
L'esclusione dalla soluzione in discussione dei distaccati, degli stagionali e dei rifugiati, produce in verità una lesione nell'uniformità dei diritti, sia quelli del lavoro che quelli della cittadinanza. Ed è questa la novità negativa ancor più profonda: non siamo soltanto di fronte a una soluzione che può aprire forme di dumping perché i costi saranno diversi da realtà a realtà, ma addirittura segnerà la distinzione tra cittadino e cittadino.
Questo Parlamento dovrà discutere successivamente del tema dell'attivazione dei rapporti per i lavoratori stagionali. Signora Commissario, i lavoratori stagionali non sono soltanto cittadini stranieri, ma anche europei e, se le condizioni materiali e i diritti di cittadinanza li renderanno diversi gli uni dagli altri, diventa inevitabile che si apra una ricerca di soluzioni al ribasso, da parte del sistema delle imprese, nell'utilizzo di queste persone.
Per quanto concerne i distaccati, ma ve la immaginate nel mercato globale la situazione che si determinerà per le grandi imprese multinazionali, se potranno avere delle condizioni di vantaggio qui, per persone che verranno a lavorare da noi, ma saranno assunte e regolamentate però alle condizioni dei loro paesi d'origine? Si creerà una condizione inedita, ma profondamente negativa. Non soltanto il dumping come condizione regolare quotidiana, ma anche la differenza tra cittadino e cittadino, che l'Europa non ha mai avuta, neppure nella sua storia anche più recente.
È fondamentale l'unità e, per questa ragione, il provvedimento va essere radicalmente modificato.
Carlos Coelho (PPE). – (PT) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, parliamo chiaramente: è questo l’accordo che volevamo? La risposta è no. Molti di noi in Parlamento avrebbero desiderato fare di più, ma ritengo che questo sia un passo nella direzione giusta, in particolare per due ragioni: in primo luogo, stiamo creando uno strumento a vantaggio dei cittadini di paesi terzi che desiderano immigrare nel territorio degli Stati membri, assegnando loro una serie di diritti; in secondo luogo, come già affermato dall’onorevole Mathieu, a causa del messaggio politico che inviamo all’esterno, che smentisce l’idea di un’Europa “fortezza” unicamente in grado di adottare misure repressive e di rafforzare la sicurezza e, al contempo, rispondiamo alle preoccupazioni espresse dal programma di Stoccolma sulla creazione di politiche migratorie flessibili per promuovere lo sviluppo economico dell’Unione.
Concordo con l’onorevole Mathieu in merito alla necessità di raggiungere un accordo con il Consiglio e con l’onorevole in ‘t Veld sul fatto che molti Stati membri non vogliano discutere una qualsivoglia forma di politica di immigrazione comune, ma anche per questo si tratta di un primo passo importante.
Parliamo chiaramente: l’abolizione dei confini interni tra Stati membri ha reso essenziale un’armonizzazione delle normative nazionali sulle condizioni di ammissione e residenza per cittadini di paesi terzi, per garantire loro parità di trattamento, nonché diritti e doveri pari a quelli dei cittadini europei. Inoltre, ritengo che la creazione di una procedura unica di richiesta di permesso di soggiorno e lavoro avrà conseguenze positive in termini di efficienza, sia per i migranti, sia per i datori di lavoro, e semplificherà il controllo della legalità di residenza e occupazione.
Debora Serracchiani (S&D). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, l'accesso all'occupazione ad oggi è regolato soltanto per alcune specifiche categorie di cittadini di paesi terzi. Infatti, non tutti beneficiano del principio generale della parità di trattamento nell'accesso all'occupazione.
In questo contesto, l'Unione europea deve attivarsi per garantire un equo trattamento sia ai cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente all'interno degli Stati membri sia ai beneficiari della qualifica di rifugiato o di persona bisognosa di protezione internazionale ai sensi della direttiva 83 del 29 aprile 2004.
È necessario evitare che ci sia una crescente richiesta, ad esempio, di personale stagionale, solo perché pagato meno o perché ha dei costi diversi, minori, rispetto a un cittadino europeo reclutato per lo stesso lavoro. Si deve inoltre evitare, ad esempio, il rischio che molte multinazionali spostino gli headquarter in paesi come il Marocco o la Turchia, e mandino i loro impiegati a lavorare nelle filiali europee perché più economico.
Per ragioni di giustizia sociale, garantire lo stesso trattamento dei cittadini europei in termini di remunerazione, condizioni di lavoro e sicurezza sociale è fondamentale. Per questa ragione ritengo giusto che i lavoratori stagionali, quelli distaccati, i rifugiati e i lavoratori autonomi siano inclusi in questa direttiva. Fare delle differenze diventerà estremamente pericoloso.
PRESIDENZA DELL’ON. TŐKÉS Vicepresidente
Liisa Jaakonsaari (S&D). – (FI) Signor Presidente, nel corso dei secoli le persone hanno lasciato l’Europa per cercare lavoro e per sfuggire a guerre e persecuzioni politiche e religiose. Ora l’Europa, con la sua stabilità, attira persone da oltre i suoi confini, il che è positivo, ed è ottimo che le norme in materia di immigrazione regolare siano armonizzate a livello europeo per riunire i permessi di soggiorno e di lavoro in un documento unico.
Eppure, a mio avviso, l’approccio della Commissione è meno ponderato, perché si concentra sui singoli settori, garantendo diritti diversi per gruppi diversi. È tutto così confuso che è difficile comprendere quale sia l’effettiva politica comunitaria in materia di immigrazione. Vi sono lavoratori che sono stati mandati in Europa, lavoratori con la carta blu, ricercatori, lavoratori stagionali, lavoratori soggetti a trasferimenti intra-societari e così via. Perché la Commissione non può applicare le stesse regole a tutti i lavoratori?
È spesso evidente che molti gruppi di immigrati non sono trattati in modo paritario, il che è molto difficile da accettare. Certamente, il principio guida in questo tema deve essere la parità di trattamento per tutti. Non è giusto che alcune persone ricevano un trattamento paritario e altre no.
Il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo ha presentato emendamenti tenendo a mente questo concetto e mi auguro che possano avere l’approvazione del Parlamento nella votazione di domani. È importante accogliere gli immigrati e disporre, al contempo, di norme più paritarie e coerenti.
Evelyn Regner (S&D). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, l’idea di uno “sportello unico” è molto positiva, ma si tratta di un cambiamento notevole per alcuni paesi europei, tra cui il mio, l’Austria, in cui i permessi di soggiorno sono emessi dalle autorità che si occupano dei diritti di terzi e i permessi di lavoro dall’autorità responsabile del mercato del lavoro, il Servizio di occupazione austriaco, con il coinvolgimento delle parti sociali. La regolamentazione dell’accesso al mercato del lavoro coinvolge direttamente le parti sociali, che, pertanto, dovrebbero essere incluse nel processo. La discussione svolta finora non ha coinvolto in misura sufficiente i sindacati, unitamente a ONG e chiese. Molti degli oratori che mi hanno preceduta hanno affermato che la politica migratoria deve essere vista nel suo insieme. Sono contraria all’approccio lacunoso della Commissione, che suddivide il pacchetto e introduce sottobanco il principio del paese di origine, e forse anche il dumping sociale, come citato in precedenza.
Consentitemi di esprimere un commento sulla natura giuridica del documento supplementare. Un documento in formato tessera non sarebbe in grado di contenere tutti gli ordini e dati ufficiali, pertanto il documento supplementare deve essere di natura normativa, solo così saranno possibili controlli efficaci. Tutto questo serve a tutelare i lavoratori e a prevenire una distorsione della concorrenza a vantaggio delle imprese che vogliono arricchirsi sulle spalle dei lavoratori clandestini.
Ria Oomen-Ruijten (PPE). – (NL) Signor Presidente, ho mostrato più volte il cartellino blu per porre alcune domande. Chiunque ascolti la discussione odierna potrebbe pensare che io non abbia lavorato parecchi mesi contribuendo alla dimensione sociale del presente fascicolo.
Lo ripeto per tutti i deputati presenti, il mio emendamento è volto a garantire la parità di trattamento a quanti entrino in uno Stato membro in possesso di un permesso unico di soggiorno e lavoro. È garantita. Come si può affermare che non lo sia? Ho letto i vari articoli della stampa e ho l’impressione che vi sia una buona dose di demagogia. Non si può avanzare la stessa richiesta per i lavoratori stagionali e ritengo dovesse essere presentata una proposta al riguardo.
Per quanto concerne i distaccamenti, non è possibile creare un’azienda in un paese terzo e poi trasferire i lavoratori in quel paese per adottare condizioni lavorative peggiori. Signor Presidente, non è assolutamente vero!
Marian-Jean Marinescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, il permesso unico semplificherà le procedure amministrative, migliorerà il controllo e la gestione della immigrazione economica e lo scambio di dati sulla domanda del mercato di lavoro. La presente proposta, però, offre soltanto una soluzione a metà, poiché si occupa dei diritti di persone che sono già state ammesse all’interno dell’Unione e del suo mercato del lavoro. Non si occupa di due aspetti: i criteri per garantire il diritto al lavoro e l’esclusione dei lavoratori stagionali e dei trasferimenti intra-societari.
Desidero ricordare che ci stiamo occupando della regolamentazione dei diritti dei lavoratori di paesi terzi, ma non abbiamo ancora conseguito un mercato del lavoro aperto a tutti i cittadini comunitari.
Marita Ulvskog (S&D). – (SV) Signor Presidente, la discussione odierna si è concentrata particolarmente sulla parità di diritti. È anche una questione di equilibrio o di conflitto, poiché questa sarà la scelta che dovremo compiere, nonché una questione di approccio a lungo o a breve termine.
Nella peggiore delle ipotesi, le esclusioni apriranno la strada a una nuova forma di schiavitù. Conosciamo le conseguenze del passaggio della direttiva sul distacco dei lavoratori da direttiva minima a direttiva massima in termini di instabilità nell’ordine e nell’equilibrio del mercato del lavoro. Le suddette esclusioni non miglioreranno la situazione, al contrario la peggioreranno. Porteranno a un disastro sociale. Interi settori sceglieranno di assumere lavoratori stagionali con un impatto gravissimo sul mercato del lavoro e sugli stipendi, alimentando le tensioni.
Esorto i colleghi deputati degli altri gruppi politici, quali il gruppo dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa e il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), a sostenere l’emendamento presentato dal gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo. È l’unico modo per garantire che le esclusioni non generino gravi conflitti sociali.
Sonia Alfano (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 18 dicembre 1990 l'ONU adottava la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Tale Convenzione rappresenta uno dei nove principali strumenti sui diritti umani delle Nazioni Unite. Purtroppo, a distanza di vent'anni, nessuno degli Stati membri dell'Unione europea ha firmato o ratificato la Convenzione.
Ritengo che il riconoscimento dei diritti dei cittadini di paesi terzi che vivono e lavorano regolarmente nell'Unione europea debba essere una priorità per un'Europa che fa fronte alle nuove sfide d'integrazione, di non discriminazione e di tutela dei diritti umani.
Per questa ragione chiedo a tutti i colleghi deputati a sostenere l'emendamento 16 e di sottoscrivere la dichiarazione scritta 96 – di cui sono firmataria insieme a Cornelia Ernst, Sylvie Guillaume e Franziska Keller – per chiedere la ratifica da parte degli Stati membri della Convenzione ONU sui lavoratori migranti.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, la presente proposta di direttiva affronta numerose situazioni, ad esempio quelle dei lavoratori immigrati da paesi terzi, dei lavoratori stagionali e lavoratori distaccati, ma in realtà nella pratica rappresenta la legalizzazione del dumping sociale, il consolidamento dell’insicurezza occupazionale e l’inasprimento della discriminazione sotto il pretesto di una regolamentazione unica. Per tale ragione, la proposta di direttiva non può essere adottata.
È necessario migliorare i diritti di quanti lavorano nell’Unione europea, in qualità sia di lavoratori distaccati, sia di lavoratori stagionali, a tempo pieno o immigrati. Dobbiamo riconoscere i loro diritti, nonché la Convenzione internazionale delle Nazioni Unite per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie. Sarebbe positivo un impegno della Commissione per l’adozione e la ratifica della Convenzione in tutti gli Stati membri.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Signor Presidente, l’immigrazione economica è un fatto con cui gli Stati membri più ricchi hanno una relativa familiarità.
Oltre ai migranti che raggiungono gli Stati membri legalmente, nel rispetto delle loro leggi e normative, vi sono numerosi immigrati clandestini, spesso soggetti a discriminazione o addirittura a persecuzione, poiché i datori di lavoro spesso approfittano della mancanza di uno status legale per loro.
Il tentativo della presente direttiva, mirante a una migliore organizzazione e all’introduzione di regole comuni specifiche per risolvere il problema, può aiutare a preservare la dignità delle persone che giungono negli Stati membri dell’Unione per trovare lavoro, se essi accettano le regole comunitarie in materia di immigrazione. Non mi illudo che la direttiva possa risolvere tutti i problemi dell’immigrazione per lavoro, ma può migliorare l’attuale sistema occupazionale per i migranti ed eliminare alcune conseguenze indesiderate a cui abbiamo assistito in quest’ambito. Pertanto, riteniamo che la presente direttiva costituisca un passo nella giusta direzione, e che debba essere considerata in quest’ottica.
Seán Kelly (PPE). – (GA) Signor Presidente, un proverbio irlandese recita: molte persone, molte menti. Si applica perfettamente a questo argomento, così complesso e controverso. La relatrice ha svolto un ottimo lavoro e merita un encomio.
(EN) Poiché l’Unione europea è basata su principi di pace e prosperità, è giusto che cerchi di trasmettere questi ideali in tutto il territorio dell’Unione europea e nel mondo. In qualità di principale donatore mondiale a paesi terzi, è giusto cercare di garantire che quanti attraversino legalmente i nostri confini siano trattati con la stessa dignità e rispetto che vorremmo per i nostri cittadini in paesi terzi. Sebbene non sia perfetta, questa direttiva costituisce un passo nella direzione giusta, pertanto riceve il mio sostegno.
Alejandro Cercas, relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (ES) Signor Presidente, non desidero riaccendere una discussione con la mia collega, l’onorevole Oomen-Ruijten, ma è necessario “mettere i puntini sulle i”.
La discussione non è assolutamente personale e nessuno intende dubitare del suo lavoro. Se qualcuno lo facesse, risponderei immediatamente citando l’ottimo lavoro svolto nella commissione per l’occupazione e gli affari sociali.
L’onorevole Oomen-Ruijten afferma di aver preparato degli emendamenti per la seduta di domani, che migliorano il testo e aumentano la parità, ma non è così. L’onorevole Oomen-Ruijten ha aggiunto il suo nome agli emendamenti al testo, che ho qui con me, che il Consiglio non è riuscito a introdurre nella discussione svolta con noi. Non si tratta di emendamenti dell’onorevole Oomen-Ruijten; sono il testo del Consiglio, parola per parola. In materia di distacco dei lavoratori, il Consiglio presenta una posizione molto più disuguale rispetto a quella della Commissione.
Saremmo disposti ad accettare il testo originale della Commissione, ma il testo del Consiglio afferma che tutti i lavoratori distaccati, tra cui quelli esclusi dalla direttiva del 1996, siano esclusi anche dalla presente direttiva. Pertanto, il presente emendamento non aumenta la parità, semmai aumenta la disparità.
Desidero ribadire il mio personale apprezzamento per l’onorevole Oomen-Ruijten. È senza dubbio un’ottima parlamentare che ha lavorato in modo eccellente, ma, alla fine, ha allineato la propria visione a quella del Consiglio.
Cecilia Malmström, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, è stata certamente un’ottima discussione. Per quanto concerne la portata della direttiva, è palese che la Commissione avrebbe preferito un approccio globale. I miei predecessori lo avevano già proposto anni orsono, ma allora era impossibile e lo rimane ancora. Pertanto, abbiamo optato per un approccio settoriale. Non mi soddisfa, ma era l’unico modo per fare un passo avanti.
La direttiva è necessaria perché nei nostri paesi vi sono lavoratori di paesi terzi, che danno un importante contributo alle nostre economie e devono essere tutelati. Contrariamente ad alcuni punti di vista presentati oggi, desidero sottolineare che la direttiva stabilisce il principio di parità di trattamento dei lavoratori migranti in tutte le aree relative all’occupazione, tra cui condizioni lavorative e stipendio. Una volta adottata, costituirà un prezioso strumento nella lotta per la tutela dei lavoratori migranti e contro il dumping sociale. Vogliamo tutelare queste persone.
Altre categorie di lavoratori, quali i lavoratori stagionali e i lavoratori oggetto di trasferimento intra-societari, non sono inclusi nella presente proposta. Concordo con voi, dobbiamo tutelarli. Per tale ragione, prima dell’estate, la Commissione ha proposto due strumenti distinti che si occupano di questi lavoratori, studiati appositamente per tutelarli. Sono convinta che, non appena relatori, relatori ombra e commissioni inizieranno a lavorare su queste proposte, faranno tutto il possibile per garantire che dette categorie siano tutelate e si possano fare passi avanti anche in questi settori.
Sono consapevole che alcune persone o gruppi desiderino l’inclusione dei lavoratori distaccati, ora esclusi. La direttiva che abbiamo discusso oggi deve evitare la discriminazione, non crearne di nuova, pertanto occupiamoci della questione dei lavoratori distaccati separatamente e non in questo contesto. A breve, la Commissione avvierà uno studio sulla valutazione d’impatto della questione. Ha annunciato una revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori prevista per la fine dell’anno, all’interno della quale potrebbe essere trattato il tema della portata personale della direttiva.
Per quanto concerne le tabelle di correlazione, questione sollevata dall’onorevole in ‘t Veld, la Commissione concorda pienamente, non solo in merito alla presente direttiva. Avrebbero rappresentato, e mi auguro rappresenteranno, un ottimo strumento per affrontare la questione di una migliore regolamentazione e una maggiore trasparenza da parte degli Stati membri nell’attuazione delle varie direttive. Sarà un vantaggio per voi, per noi, per i parlamenti nazionali e i cittadini. Continuiamo a ripeterlo al Consiglio. Se può semplificare il processo, la Commissione è disposta a presentare una dichiarazione al riguardo. Non vogliamo però mettere a rischio la possibilità di giungere a un accordo sulla direttiva domani, al momento della votazione. Continueremo a lottare per questo fine e vi ritorneremo in molti altri atti legislativi.
Vi ringrazio per la discussione. Vi ringrazio per il duro lavoro svolto da molti di voi, particolarmente dall’onorevole Mathieu e dall’onorevole Cercas. Mi auguro che domani sia possibile raggiungere un accordo e che l’esito della votazione sia positivo.
Véronique Mathieu, relatore. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, concordo pienamente con lei, poiché ha risposto in modo esaustivo ai 23 onorevoli deputati che si sono espressi sul testo, nonché all’onorevole Cercas e a me.
Ringrazio tutti i relatori di tutti i gruppi politici, con i quali abbiamo sviluppato un intenso dibattito e un’ottima cooperazione nel corso dell’anno, poiché lavoriamo su questo tema da ormai un anno. Abbiamo iniziato al principio dell’anno e stiamo terminando con la Presidenza belga. La ringrazio Commissario Malmström, per aver prestato grande attenzione al nostro testo, unitamente ai suoi servizi. Desidero ringraziare anche il Consiglio, che ci ha ascoltati con molta attenzione, nonché i deputati che sono intervenuti questa sera.
Desidero dire che domani voteremo in prima lettura. È un compromesso e i compromessi non sono mai soddisfacenti al 100 per cento; mi auguro che il suo discorso abbia rinfrancato i colleghi che necessitavano ulteriori rassicurazioni,.
Per quanto concerne l’intervento dell’onorevole Flautre, che ha appena affermato che il testo della relazione inizia con delle esclusioni, le chiedo di ricordare che tutti i lavoratori esclusi sono coperti da direttive mirate specificamente a essi. Non si tratta pertanto di un’esclusione di un certo numero di lavoratori da paesi terzi.
Mi auguro che il testo della presente relazione, preparato con tutti i relatori e che presenteremo domani agli onorevoli colleghi, costituisca un importante passo avanti per i lavoratori provenienti da paesi terzi.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì 14 dicembre 2010.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la presente proposta di direttiva della Commissione e del Consiglio, scritta in modo così pericoloso, perché rappresentava un tentativo di creare un mercato del lavoro a basso costo per i lavoratori immigrati nell’Unione. Chiunque lavori all’interno dell’Unione europea deve essere trattato in modo equo, indipendentemente dal proprio paese di origine. La presente proposta di permesso unico di lavoro per i cittadini di paesi non comunitari costituisce un’opportunità persa per sostenere condizioni di lavoro dignitose tali da garantire un trattamento paritario ai migranti. Al contrario, la presente proposta comporterebbe un trattamento discriminante tra lavoratori comunitari e lavoratori non comunitari distaccati in Europa. Ad esempio, le aziende avrebbero potuto ritenere più proficuo spostare la propria sede fuori dall’Unione per poi distaccare i propri lavoratori nelle filiali europee, per evitare di dover garantire loro gli stessi diritti applicabili giuridicamente ai cittadini europei che lavorano nell’Unione. Il Parlamento europeo ha rifiutato detta proposta, il che garantisce che Commissione e Ministri degli Stati membri presentino, questa volta, una proposta di visti non discriminanti.
19. Estensione del campo di applicazione della direttiva 2003/109/EC ai beneficiari di protezione internazionale (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0347/2010), presentata dall’onorevole Moraes, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sull’estensione del campo di applicazione della direttiva 2003/109/CE ai beneficiari di protezione internazionale [COM(2007)0298 – C6-0196/2007 – 2007/0112(COD)].
Claude Moraes, relatore. – (EN) Signor Presidente, temo che già al primo paragrafo del mio discorso in Aula resteremo soltanto io, il coordinatore del PPE e il Commissario Malmström. Ammiro la sua resistenza, signora Commissario. Forse non avrei dovuto utilizzare parte del tempo assegnatomi per dirlo, ma non potevo fare diversamente. Desidero inoltre ringraziare il gruppo PPE per la sua presenza nonostante sia sera inoltrata.
Signora Commissario, lei e il Consiglio avete svolto un ottimo lavoro salvando la presente proposta, che ora estende il proprio ambito di applicazione a coloro che avrebbero dovuto esserne beneficiari fin dalla versione originale, ovvero la direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. Nel 2008 si ripresentò l’opportunità di includere tali cittadini, ma sfortunatamente ciò non avvenne nemmeno in quell’occasione a causa del mancato raggiungimento dell’unanimità all’interno del Consiglio. Oggi è dunque un giorno da celebrare, poiché in data odierna è stata accolta una proposta avanzata dall’onorevole Roure, che mi ha preceduto in qualità di coordinatrice del gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo. Sono altresì molto grato al Consiglio. Durante la precedente discussione ne ho sottolineato l’assenza, ma se fosse presente oggi, esprimerei senz’altro apertamente la mia gratitudine verso di esso, poiché durante la Presidenza belga abbiamo compiuto notevoli progressi. Rinnovo quindi il mio ringraziamento.
La proposta in oggetto procurerà un vantaggio immediato a tutti i beneficiari di protezione internazionale che hanno trascorso più di cinque anni all’interno dell’Unione, ma che attualmente non sono considerati soggiornanti di lungo periodo. Porrà fine in modo definitivo alle disparità nel trattamento loro riservato rispetto a cittadini di altri paesi terzi, garantendo loro un maggior livello di sicurezza circa la loro situazione all’interno dell’Unione europea.
La questione principale emersa durante le trattative è essenzialmente il periodo di soggiorno legale da computare nel calcolo dei cinque anni. Abbiamo espresso il nostro sostegno alla Commissione, che proponeva di computare l’intera durata delle procedure del caso. Tale proposta ha però incontrato la decisa opposizione del Consiglio. Si trattava, a nostro avviso, di una questione fondamentale, in quanto in alcuni Stati membri le procedure di asilo si protraggono anche per molti anni. Il compromesso raggiunto prevede che si computi almeno metà del periodo compreso tra la data di presentazione della domanda di protezione internazionale e la data di rilascio del permesso di soggiorno, oppure l'intero periodo se quest'ultimo è superiore a diciotto mesi.
Non sono ansioso di addentrarmi nella questione riguardante le tavole di correlazione, ma è mio dovere farlo. Preferirei poterlo evitare. Desidero comunque lanciare un accorato appello alle istituzioni, affinché si raggiunga un accordo trasversale a riguardo. Incoraggio in particolare il Consiglio, affinché riconosca l’importanza delle tavole di correlazione per la supervisione delle procedure di implementazione delle norme. Siamo stati testimoni di una situazione molto difficile, in cui dossier considerati di estrema importanza da diversi gruppi parlamentari hanno rischiato di essere ritardati a causa di detto problema.
Sono lieto che l’ambito di applicazione della proposta sia stato esteso sia ai rifugiati, sia alle persone altrimenti bisognose di protezione internazionale – o sussidiaria. È fondamentale proseguire nell’allineamento degli standard di protezione e dei diritti garantiti a entrambi i gruppi, come previsto nella riformulazione della direttiva “Qualifica” (2004/83/CE). L’accordo prevede inoltre delle misure preventive relative al respingimento. Attualmente, tra i diritti di cui godono i beneficiari di protezione internazionale vi è la possibilità di soggiornare in uno Stato membro diverso da quello che ha concesso loro detta protezione. È opportuno, pertanto, garantire che gli Stati membri che si apprestano a ospitarli siano informati circa i loro trascorsi in materia di protezione. Gli Stati membri dovranno pertanto includere un commento nel permesso di soggiorno a lungo termine e, in caso di espulsione, avranno l’obbligo di consultare lo Stato membro che ha conferito lo status di protezione internazionale. La proposta prevede altresì la possibilità di trasferimento di responsabilità in materia di protezione da uno Stato membro all’altro, sulla base di accordi di natura nazionale. A tal fine è necessario adeguare il permesso di soggiorno a lungo termine, fornendo così una garanzia contro il respingimento.
Si garantisce inoltre il rispetto del principio di ricongiungimento familiare in caso di espulsione e conseguente allontanamento verso un altro Stato membro; il rispetto di tale principio non è tuttavia automaticamente garantito, nel caso in cui il migliore interesse dei familiari non sia il trasferimento al seguito dell’individuo espulso.
L’accordo raggiunto è un chiaro esempio della nuova collaborazione che è possibile instaurare tra le tre istituzioni in materia di richieste di asilo e di immigrazione legale, grazie anche al nuovo quadro operativo previsto dal trattato di Lisbona. È inoltre dimostrazione dell’effettiva possibilità di trovare un accordo con gli Stati membri circa una norma progressiva in ambito di richiesta di asilo.
Desidero esprimere nuovamente la mia gratitudine ai relatori ombra dei diversi gruppi, onorevole Nedelcheva, onorevole Wikström e altri colleghi che hanno contribuito a rendere la discussione odierna ciò che definirei un piacevole trilogo – a meno che non si tratti di una contraddizione in termini! Desidero infine ringraziare tutti coloro che ne hanno permesso la realizzazione.
Cecilia Malmström, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero esordire ringraziando il relatore del Parlamento europeo, onorevole Moraes. Sia lui che il suo team di relatori ombra hanno svolto un ottimo lavoro. Parlamento, Commissione e Consiglio sono riusciti ad arrivare a un vero accordo, anche grazie al contributo del ministro.
Abbiamo raggiunto un compromesso equilibrato, in linea con la proposta del 2007. L’estensione dello status di soggiornante di lungo periodo ai beneficiari di protezione internazionale sarà garanzia di un più elevato livello di protezione e certezza del diritto per i rifugiati in Europa, facilitando inoltre la loro piena integrazione nelle nostre società.
Si tratta di una base, del primo tassello – il primo di sei – verso il completamento del pacchetto di misure per le procedure di asilo, che ha come fine ultimo e condiviso il raggiungimento di un sistema europeo comune di asilo entro il 2012. Sarà un segnale politico forte, a testimonianza della nostra capacità di trovare un accordo, e della nostra volontà di affrontare e superare questa sfida difficile ma necessaria. Dimostreremo così di sapere agire in modo coscienzioso e produttivo, e per questo vorrei esprimervi la mia gratitudine.
Circa la dibattuta questione delle tavole di correlazione, la Commissione si è rivolta al Consiglio con una comunicazione, che desidero leggervi, con il vostro permesso: “La Commissione rammenta gli impegni assunti per garantire che gli Stati membri stabiliscano delle tabelle di correlazione recanti per ciascuna direttiva europea le misure di trasposizione adottate, da comunicare successivamente alla Commissione nell’ambito della trasposizione della normativa europea, nell’interesse dei cittadini e di una migliore legiferazione, nonché di maggiore trasparenza del diritto. Tale procedura è volta inoltre a garantire assistenza nell’esaminare la conformità delle leggi nazionali alle norme europee.
“La Commissione guarda con rammarico alla mancanza di sostegno nei confronti della misura inclusa nella proposta 2007 COM, volta a modificare la direttiva 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, al fine di rendere obbligatoria l’elaborazione di tabelle di correlazione.”
“La Commissione, in spirito di compromesso e allo scopo di garantire l’immediata adozione della direttiva 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, dichiara la propria disponibilità ad accettare la sostituzione della misura sull’obbligatorietà delle tavole di correlazione che appare nel testo della direttiva, con il relativo considerando, che incoraggia l’aderenza a tale procedura da parte degli Stati membri”.
“La posizione adottata dalla Commissione nella presente procedura, tuttavia, non è da considerarsi un precedente. La Commissione continuerà a impegnarsi, in collaborazione con il Parlamento ed il Consiglio, affinché si pervenga ad una soluzione adeguata alla situazione attuale, che riguarda tutte le istituzioni in modo trasversale.”
Ritengo che al riguardo si sia giunti a una posizione di accordo. È di importanza cruciale che la presente dichiarazione sia stata inserita nel protocollo e sia stata ascoltata. Come ho sottolineato nella precedente discussione, la Commissione insiste su questo punto.
Nel caso della presente relazione, in particolare, è comunque importante avere raggiunto una posizione comune. Desidero esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che vi hanno contribuito.
Mariya Nedelcheva, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, onorevole Moraes, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con il relatore, onorevole Moraes, per l’eccellente lavoro svolto e l’esemplare collaborazione instaurata con i relatori ombra, la Commissione e il Consiglio.
La presente relazione costituisce un importante passo avanti verso un sistema armonizzato di procedure di asilo all’interno dell’Unione. Era necessario raggiungere un accordo con il Consiglio e sono lieta dei progressi compiuti in questa direzione. Il pacchetto di misure in materia di asilo, però, non si limita alle presenti questioni, e rimane ancora molto da fare. Non ci possiamo quindi permettere di abbassare la guardia e mi auguro che il Consiglio assuma il medesimo spirito di collaborazione anche in sede di trattative future. Concludo la mia introduzione su quest’ultima nota.
Per quanto invece riguarda il contenuto del dossier, senza ripetere quanto già espresso dal relatore, desidero soffermarmi essenzialmente su due punti. In primo luogo, l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nelle nostre società è, a mio avviso, fondamentale. Gli immigrati rappresentano un notevole valore aggiunto per le nostre economie. Ciò non significa, però, che possiamo accogliere chiunque a qualsiasi condizione. Molti governi negli ultimi mesi hanno dovuto riconoscere il fallimento del proprio modello di integrazione.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Cecilia Wikström, a nome del gruppo ALDE. – (SV) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Moraes per la redazione della relazione, sulla quale ci stiamo esprimendo, che come sempre è di altissimo livello e trasmette il sincero desiderio di garantire l’aderenza ai principi umanitari e al principio di rispetto del prossimo.
I beneficiari di protezione internazionale spesso trascorrono lunghi periodi all’interno di uno Stato membro, talvolta anche tutta la vita, dato che non è infrequente che le condizioni di vulnerabilità e persecuzione da cui sono fuggiti permangano nel paese d’origine per lungo tempo. Molti beneficiari di protezione internazionale condividono quindi le condizioni di coloro ai quali si attribuisce lo status di rifugiato. Non è certo irragionevole qualificare come soggiornante chi ha vissuto in un determinato paese per cinque anni, ed è questo l’approccio adottato sia dalla Commissione, sia dal Parlamento. Trovo deplorevole il fatto che il Consiglio abbia espresso la volontà di agire diversamente.
Desidero inoltre sottolineare che è doveroso garantire ai familiari del beneficiario di protezione internazionale la possibilità di vivere la propria vita. In caso di espulsione, ad esempio, alla famiglia deve essere permesso di scegliere se restare o seguire il familiare espulso. Sono lieta che il Parlamento abbia deciso di adottare la presente relazione. Nonostante il mio rammarico circa la decisione del Consiglio di non approvare le tavole di correlazione, desidero esprimere la mia soddisfazione per l’impegno dedicato a quelle relazioni che devono essere incluse nel sistema europeo comune di asilo.
Ci auguriamo che da questo momento il Consiglio vada oltre il semplice ruolo di spettatore. Condividiamo tutti le stesse scadenze relative al 2012. È tempo dunque di abbandonare le prese di posizione radicate e anacronistiche, per assumere invece un approccio paneuropeo che si concentri su ciò che è meglio per tutti in materia di asilo e immigrazione. Solo così la parola “solidarietà” continuerà ad avere un senso.
Desidero rinnovare la mia gratitudine al relatore, onorevole Moraes, per il lavoro svolto e per l’eccellente collaborazione che ha caratterizzato la stesura della presente relazione.
Judith Sargentini, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, la settimana scorsa ero in visita ad Atene con la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, e ho incontrato Mamuth, un ragazzo eritreo di 26 anni. Mamuth ha fatto il proprio ingresso nell’Unione europea approdando in Grecia, per raggiungere poi i Paesi Bassi, dove sarebbe voluto restare, dato che là aveva già dei contatti. È però stato rinviato in Grecia. Mamuth ha spiegato che da lì, una volta ottenuto lo status di rifugiato, non avrebbe più potuto viaggiare liberamente nel resto dell’Unione, e ci sarebbe comunque voluta un’eternità prima di poter ottenere la nazionalità greca.
Tutti i giovani come Mamuth hanno il diritto di costruirsi una nuova vita e non meritano di essere spediti avanti e indietro attraverso i confini nazionali. È per loro che accolgo con favore la decisione di questa Assemblea di cambiare la situazione attuale. Sono lieta inoltre che il relatore, onorevole Moraes, abbia reso possibile questo primo passo verso un sistema europeo comune di asilo. Mamuth preferirebbe vivere nei Paesi Bassi, ed è quindi fondamentale che gli si forniscano degli strumenti di paragone utili, poiché egli ha il diritto di sapere come si procede nei vari ambiti di competenza nazionale, in Grecia, nei Paesi Bassi, o in qualsiasi altro luogo all’interno dell’Unione che egli desideri eleggere a sua residenza.
Ringrazio nuovamente il mio collega, onorevole Moraes, per la collaborazione. Ora non ci resta che vedere quanto dovrà aspettare ancora Mamuth.
Simon Busuttil (PPE). – (MT) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Moraes, complimentandomi per la presente relazione. Concordo pienamente con quanto ivi espresso e accolgo con favore le proposte in essa contenute, in quanto garantiranno nuovi diritti a quanti richiedono protezione internazionale, compresi i rifugiati. Si tratta di diritti che, in ultima analisi, sono già riconosciuti a cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornato legalmente in uno Stato membro per cinque anni. La relazione, però, presenta alcuni aspetti problematici. Provengo da un paese che ha lunga esperienza in materia, e mi riferisco qui alla soglia dei cinque anni, che spesso rappresenta un periodo di attesa troppo lungo per il riconoscimento dei diritti menzionati. In particolare, vi sono paesi che accolgono un considerevole numero di persone, le quali poi vi rimangono bloccate per tutta la durata del soggiorno. Altri paesi si trovano in una situazione simile. Si pensi alla Grecia, che accoglie un consistente flusso di migranti, costretti a rimanervi per cinque anni, prima di vedere riconosciuti i propri diritti, secondo quanto previsto dalle leggi attualmente vigenti. Allo scadere dei cinque anni possono beneficiare dello status di soggiornante di lungo periodo, ma non solo: possono anche muoversi all’interno dell’Unione europea, alleggerendo notevolmente il carico di lavoro di paesi come Grecia, Malta, Cipro e altri ancora. Ritengo pertanto che la presente relazione, sebbene per molti aspetti positiva, avrebbe potuto essere migliorata riducendo il periodo di attesa. A tale proposito, desidero concludere ringraziando il relatore, onorevole Moraes, per averlo riconosciuto e avere fatto il possibile per inserire un riferimento, sebbene di natura simbolica, in una nota in calce alla relazione.
Ioan Enciu (S&D). – (RO) Signor Presidente, in linea con i precedenti interventi, desidero innanzi tutto estendere le mie congratulazioni al collega, onorevole Moraes, per la presente relazione; desidero altresì ringraziarlo per gli eccezionali sforzi compiuti in qualità di coordinatore in seno alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.
La direttiva in questione rappresenta, a mio avviso, un progresso notevole, in quanto va a ricoprire un vuoto normativo in materia di diritto di soggiorno che riguarda direttamente i beneficiari di protezione internazionale in tutta l’Unione europea. Costoro, infatti, una volta stabilitisi in uno Stato membro, vengono a trovarsi in una condizione molto precaria dal punto di vista della certezza del diritto, dato che, nella situazione attuale, non possono richiedere permessi di soggiorno a lungo periodo, a differenza dei cittadini di altri paesi terzi. È necessario concedere loro lo status di soggiornante di lungo periodo senza discriminazioni di sorta, fatta eccezione per il soggiorno legale nel periodo antecedente, che si applica anche ai cittadini di altri paesi terzi. Il giusto approccio, a mio avviso, sarebbe stato di computare l’intera durata del soggiorno legale all’interno dell’Unione europea, a partire dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale.
È inoltre fondamentale che la revoca dello status di protezione internazionale o del permesso di soggiorno avvenga nel completo rispetto dei diritti fondamentali e del principio di non respingimento, dato che lo stato di vulnerabilità dei soggetti in questione permane all’esterno dell’Unione europea.
La presente direttiva introduce inoltre ulteriori e necessarie disposizioni che riguardano le procedure di espulsione e di revoca di protezione internazionale. Ritengo che sia nostro dovere votare a favore della relazione Moraes, in quanto parte integrante del pacchetto generale che regola il sistema europeo di asilo e immigrazione.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signor Presidente, mi appresto deliberatamente a vedere, per così dire, il bicchiere mezzo vuoto. Desidero cioè guardare alla presente relazione attraverso gli occhi dei cittadini europei, preoccupati del fatto che, dopo cinque anni di soggiorno in uno Stato membro, i rifugiati acquisiscano lo status di soggiornante di lungo periodo, con successiva estensione a tutto il territorio europeo. Dunque, una volta stabilitosi in uno Stato con procedure di asilo relativamente flessibili, un rifugiato potrà, dopo cinque anni, trasferirsi in un qualsiasi altro Stato membro a scelta – e naturalmente il percorso più ovvio sarà entrare attraverso uno Stato membro, le cui leggi sono più flessibili o presentano gravi lacune, per poi spostarsi in uno Stato membro con standard sociali notevolmente elevati. Si verrebbe così a generare una seconda ondata migratoria, nonché una situazione di abuso. Il modo stesso con cui si totalizzano i cinque anni di permanenza secondo il sistema di asilo è problematico, in quanto le procedure amministrative subiscono spesso ritardi deliberati e sono sottoposte a inchieste. L’estensione del campo di applicazione della direttiva comporterebbe un fardello ancora più gravoso per gli Stati membri con elevati standard sociali, già alle prese con una situazione molto difficile, complicando ulteriormente l’integrazione dei rifugiati. Pertanto non posso che essere critico nei confronti della presente relazione.
Cecilia Malmström, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, non ho molto da aggiungere. Si registra un ampio consenso nei confronti del lavoro svolto dall’onorevole Moraes nell’ambito di una direttiva importante come quella in questione.
Desidero rinnovare il mio impegno nei confronti dell’onorevole Moraes e di tutti gli altri, nel definire nuovamente la presente relazione come una base e un tassello fondamentale. Credo che otterrà un forte sostegno durante la votazione di domani. Si tratta del primo passo nel nostro percorso comune verso il 2012 e il pacchetto di procedure di asilo. Mi auguro che l’attuale atteggiamento costruttivo e di cooperazione permanga. Conto su tutti voi, poiché il vostro sostegno sarà necessario per le restanti direttive.
Claude Moraes, relatore. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare formalmente il Commissario Malmström per il suo contributo.
Uno dei motivi per cui ci auguriamo che il primo passo verso il sistema comune di asilo si compia durante il voto di domani – che spero si riveli un successo clamoroso – è che, sebbene le procedure di asilo rimangano una questione estremamente delicata in Parlamento, in particolare per i paesi di superficie ridotta, come ha illustrato l’onorevole Busuttil, ogni legge in materia può avere effetti di enormi proporzioni, non soltanto sui paesi più piccoli ma anche sui paesi già sull’orlo della crisi, come la Grecia.
È necessario procedere con cautela, come è avvenuto per la presente relazione, il cui resoconto della consultazione delle parti interessate riconosce la massima importanza e considerazione alle serie preoccupazioni degli Stati membri, in particolare quando si tratta di Stati membri seri. Basti pensare ai problemi di integrazione nominati dall’onorevole Nedelcheva o alla questione dell’espulsione in relazione al ricongiungimento familiare, illustrata dall’onorevole Wikström, o ancora il problema della violenza domestica. Queste e altre questioni, a mio avviso, sono state inserite con successo nella relazione. È questa la cooperazione che permette, grazie al lavoro svolto in Parlamento con i colleghi, di concludere le trattative con successo ai più alti livelli di Commissione e Consiglio.
Infine, onorevole Sargentini, ho a lungo tentato di trovare un modo originale per sottolineare l’importanza delle tavole di correlazione. Dire che i richiedenti asilo ne stanno attendendo l’implementazione è forse il modo più originale e vivido per promuovere la stesura della risoluzione sulle tavole di correlazione. La mia speranza è che il Consiglio abbia ascoltato. Rinnovo il mio ringraziamento ai colleghi per il sostegno che hanno espresso alla presente relazione, ultimata dopo una così lunga attesa.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì 14 dicembre 2010.
20. Coesione territoriale, sociale ed economica - Sana gestione e politica regionale dell’UE (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione congiunta:
- la relazione (A7-0309/2010), presentata dall’onorevole Luhan a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sul conseguimento di una vera coesione territoriale, sociale ed economica [2009/2233(INI)];
- la relazione (A7-0280/2010), presentata dall’onorevole Mănescu, a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sulla sana gestione in materia di politica regionale dell’Unione europea [2009/2231(INI)].
Petru Constantin Luhan, relatore. – (RO) Signor Presidente, con questa relazione abbiamo voluto rispondere all’interrogativo sollevato dal titolo, vale a dire se la creazione di una coesione economica, sociale e territoriale rappresenti una condizione imprescindibile per la competitività dell’Unione europea, con un accento particolare sul ruolo svolto in tal senso dalla politica di coesione.
Il fatto che esistano disparità così stridenti tra le 271 regioni dell’Unione europea è un segnale allarmante. Mentre la regione più sviluppata presenta un PIL pro capite che rappresenta il 334 per cento della media dell’UE a 27, tale cifra è pari soltanto al 26 per cento della regione più povera, in altre parole è inferiore di 13 volte.
Un altro fattore avverso è l’indice di crescita economica dell’Unione, più lento rispetto a quello dei nostri concorrenti internazionali. Pertanto, come illustrato anche nella strategia UE 2020, per diventare più potenti dobbiamo sviluppare aree strategiche e rivolgere lo sguardo al di fuori dei nostri confini.
All’Europa spetta un arduo compito, in quanto dovrà affrontare non solo l’impatto della crisi attuale, ma anche altre sfide di notevole portata, quali l’adeguamento alla globalizzazione, i mutamenti demografici, il cambiamento climatico e i problemi correlati alla sicurezza energetica.
Il ruolo della politica di coesione nella strategia UE 2020 è indiscutibile. A mio parere, le priorità di questa politica devono essere allineate agli obiettivi della strategia futura, ma mi preme precisare che dovrà comunque rimanere una politica indipendente. Gli obiettivi della strategia possono essere conseguiti più agevolmente potenziando la sinergia tra i programmi di ricerca, sviluppo e innovazione da un lato, e i programmi sulla coesione dall’altro. Dobbiamo sostenere progetti di ampio respiro con un impatto decisivo a livello di UE, in quanto genereranno crescita economica, creeranno occupazione e garantiranno lo sviluppo sostenibile delle regioni.
Una particolare importanza va inoltre attribuita agli investimenti in qualsiasi genere di infrastruttura, che si tratti di trasporti, TIC, infrastrutture sociali, per l’istruzione, la ricerca e lo sviluppo o l’ambiente, in modo da conseguire un livello di accessibilità adeguato per tutti i cittadini europei e offrire loro pari opportunità nei confronti del potenziale di sviluppo.
Gli orientamenti a livello locale e regionale verranno formulati in linea con le peculiarità dell’area, con la possibilità di generare valore aggiunto immediato. L’applicazione del principio di decentramento va incoraggiata fino al livello delle autorità locali, per migliorare l’assorbimento dei fondi europei.
Nel promuovere la competitività economica e l’occupazione, non va trascurato il ruolo particolarmente rilevante ricoperto dalle PMI, che devono poter contare su un accesso agevolato alle sovvenzioni comunitarie, agli strumenti di ingegneria finanziaria e ad altre fonti di credito. Massimizzare l’impatto della politica di coesione è un imperativo imprescindibile per dare slancio alla competitività economica. A questo punto vorrei sottolineare l’esigenza di continuare a semplificare le procedure per l’utilizzo dei fondi comunitari, di garantirne l’impiego flessibile, di continuare a utilizzare il PIL come criterio primario per determinare l’idoneità delle regioni a partecipare alla politica di coesione, e la necessità di una proposta specifica dalla Commissione sull’utilizzo dei partenariati pubblici-privati.
Per quanto riguarda l’incremento della competitività globale dell’Unione, ritengo che parte delle dotazioni stanziate per la politica di coesione dovrebbe essere impiegate per consolidare e mantenere il ruolo dell’Europa quale leader globale nei settori in cui gode già di un vantaggio competitivo e nei settori in cui ha le potenzialità per assumere un ruolo di guida mondiale.
Pertanto, onorevoli colleghi, il raggiungimento della coesione economica, sociale e territoriale, unito a investimenti strategici, è una condizione imprescindibile per garantire a livello globale la competitività economica dell’Unione europea.
Ramona Nicole Mănescu, relatore. – (RO) Signor Presidente, la crisi globale attuale ha messo nuovamente in luce l’importanza di una sana gestione a qualsiasi livello, nonché la necessità di coinvolgere costantemente le autorità locali e regionali, come partner alla pari, nella formulazione e attuazione delle politiche e strategie comunitarie, soprattutto perché sono loro che applicano quasi il 70 per cento della legislazione comunitaria.
La politica di coesione svolge un ruolo essenziale nell’applicazione della governance plurilivello. Data l’influenza notevole che quest’ultima esercita sul conseguimento della coesione territoriale in Europa, il principio della governance plurilivello dovrebbe diventare obbligatorio per tutti gli Stati membri. Di fatto, il coinvolgimento attivo delle autorità locali e regionali nel processo decisionale persino nella fase prelegislativa, unito a un’analisi rilevante dell’efficacia dei meccanismi di gestione condivisa, con le varie responsabilità che detengono la Commissione e gli Stati membri, garantirà il conseguimento di risultati migliori in termini di assorbimento dei fondi europei nel periodo di programmazione futuro.
La realtà dei fatti ci ha dimostrato che un approccio integrato alla politica regionale è molto più efficace in termini di risultati raggiunti. Proprio per questo anche tale impostazione dovrebbe diventare obbligatoria. Ci occorre una definizione comune del concetto di partenariato. A tale proposito ho chiesto alla Commissione europea di formulare una definizione quale condizione per istituire partenariati funzionanti con le autorità locali e regionali.
Pertanto, l’adozione della metodologia di sviluppo locale sulla base dei partenariati locali è la soluzione che hanno a disposizione gli Stati membri per accrescere il ruolo delle autorità locali e regionali nella gestione e attuazione dei programmi europei, soprattutto quelli in materia di sviluppo urbano, rurale e transfrontaliero. La semplificazione delle norme a livello comunitario e nazionale, non solo come conseguenza della crisi economica, ma anche come principio generale della futura politica di coesione, è una condizione irrinunciabile per migliorare la governance nell’applicazione della politica di coesione, in quanto è solo così che riusciremo a incoraggiare i potenziali beneficiari.
Ritengo inoltre che per il prossimo periodo di programmazione ci serva un insieme comune di norme in materia di utilizzo dei fondi europei, norme applicabili a tutti gli Stati membri, in modo da impedire a questi ultimi di introdurre condizioni aggiuntive che limiterebbero l’accesso ai finanziamenti.
Se la nostra aspirazione del lungo periodo consiste nell’avere una politica che sia più chiara, orientata ai risultati e più facile da applicare, la Commissione deve potenziare sia la capacità di assistenza conferita alle autorità locali e regionali, sia i sistemi di controllo dell’attività svolta a livello nazionale. A mio avviso, formare e orientare tali autorità nel processo di attuazione dei programmi contribuirà a ridurre l’elevato tasso di errori, commessi soprattutto nel campo delle spese non ammissibili e degli appalti pubblici. Per evitare doppi audit e il livello eccessivo di controlli a cui sono attualmente soggetti i beneficiari, abbiamo chiesto alla Commissione di produrre un manuale audit unico che agevolerà l’applicazione uniforme di un unico modello di audit a tutti i livelli. Infine, ma non da ultimo, dobbiamo intervenire per incoraggiare la partecipazione del settore privato ai progetti europei. Un primo passo in tal senso consiste nel semplificare le norme di utilizzo degli strumenti di ingegneria finanziaria mirati alle piccole e medie imprese.
Vorrei infine ricordare l’ottima collaborazione che ho instaurato con i rappresentanti della Commissione durante le consultazioni, nonché la disponibilità e il sostegno da essi dimostrato nell’appoggiare in maniera efficace le misure citate nella relazione, un’ulteriore garanzia del fatto che tali misure verranno in ultima analisi adottate dalla Commissione.
Johannes Hahn, membro della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati del Parlamento europeo, in particolare gli onorevoli Mănescu e Luhan, vorrei rivolgere un ringraziamento speciale a entrambi per le due relazioni, che sono ancora una volta costruttive e molto positive nei confronti della politica regionale; giungono inoltre al momento opportuno, alla luce della discussione continua sulla struttura futura della politica regionale, e in particolare in vista del forum sulla coesione che si terrà a fine gennaio/inizio di febbraio.
È importante considerare costantemente la politica regionale in particolare come politica di investimento – una politica per investire nelle regioni, nelle persone, negli europei. Nell’area dell’innovazione e della politica regionale, è già stata stanziata una somma complessiva di 86 miliardi di euro per questo periodo finanziario, e tale importo è mirato soprattutto alle piccole e medie imprese, per aiutarle a migliorare la qualità delle loro maestranze, i metodi produttivi e i servizi che sono in grado di offrire. Tuttavia, quel che dobbiamo fare – e avete entrambi pienamente ragione – è migliorare ulteriormente la nostra strategia in futuro, cosicché in aggiunta ai controlli che in futuro continueranno a essere necessari – in altre parole, parallelamente a una condotta finanziaria corretta – possiamo concentrarci di più su una valutazione del nostro lavoro incentrata sui risultati. Ripeto sempre – ed è il fulcro della relazione sulla coesione e delle sue conclusioni – che non c’è alcuna contraddizione tra concentrarsi su alcune priorità come delineate nella strategia UE 2020 e attuarle in maniera flessibile nelle regioni europee così diversificate.
La coesione territoriale è enormemente importante. Per me, si tratta di una questione chiave che ci fornisce informazioni su come migliorare ulteriormente il tenore di vita nelle regioni, per assicurarci che le persone abbiano delle prospettive nelle loro regioni d’origine. Anche questo contribuirà a una maggiore coesione interna in Europa.
In questo contesto, è importante – un concetto che andrebbe sottolineato nel prossimo periodo di programmazione – riportare l’accento sul ruolo delle città, visto che circa il 70 per cento degli europei vive in un ambiente urbano; al contempo, è essenziale non trascurare l’importanza dei rapporti tra le città e le zone rurali. Significa utilizzare altri finanziamenti per continuare a migliorare le interfacce e impedire potenziali sovrapposizioni.
È anche importante – in linea con le discussioni complete e, a mio avviso, molto positive tenutesi qualche tempo fa in quest’Aula – prestare un’attenzione speciale alle aree con peculiarità geografiche specifiche e, naturalmente, non trascurare la questione del mutamento demografico europeo, un fattore che incontreremo molto spesso e col quale dovremo confrontarci. Da una parte, assistiamo a tendenze marcate verso lo spopolamento delle aree rurali, e dall’altra constatiamo un aumento considerevole dell’attrattività delle aree urbane – ne consegue che non solo aumenta costantemente il numero delle persone che vivono in uno spazio ristretto, ma si verifica anche uno spopolamento. Tale fenomeno può essere in una certa misura contrastato investendo nelle nuove e vecchie infrastrutture. In tal modo contribuiremo enormemente a garantire la crescita.
La questione del partenariato – della cooperazione – è molto importante, come ricordato in particolare dalla relazione Mănescu. Sì, è importante sviluppare la governance plurilivello. Vorrei tuttavia richiamare l’attenzione dell’Assemblea sull’importanza che le regioni coinvolgano anche il livello locale. Quando dibatto tali temi in sedi regionali, a volte ho l’impressione che i rappresentanti locali non vengano coinvolti dai rappresentanti regionali, che a loro volta non vengono coinvolti dai loro omologhi nazionali. Occorre sviluppare strumenti ad hoc.
Sono d’accordo con voi, ma viceversa devo anche farvi notare che dobbiamo naturalmente rispettare il quadro costituzionale di ogni paese membro e onorarlo di conseguenza. Appoggio comunque la vostra intenzione di coinvolgere quanti più livelli possibile – ma anche quante più parti interessate possibile, comprese le ONG – nello sviluppo del nostro partenariato e dei programmi di investimento.
Magari mi addentrerò nei dettagli dei controlli finanziari nelle mie osservazioni conclusive, visto che ho già superato il mio tempo di parola. Vorrei anche porgere un caloroso benvenuto al nuovo eurodeputato che ha assunto la presidenza della sessione.
Iosif Matula, a nome del gruppo PPE. – (RO) Signor Presidente, la politica di coesione è una delle politiche più importanti e riuscite dell’Unione. Il trattato di Lisbona autorizza un maggior coinvolgimento delle autorità territoriali nel processo decisionale, un passo importante verso una vera governance plurilivello, che deve svolgere un ruolo cruciale non solo nell’imminente periodo di programmazione, ma anche in ogni fase dell’elaborazione e dell’attuazione della strategia Europa 2020.
La relazione Mănescu, che ha ricevuto voto favorevole unanime in sede di commissione per lo sviluppo regionale, si propone di concentrarsi sulle competenze e il ruolo delle autorità regionali e locali nel processo di attuazione della politica di coesione. La relazione sottolinea che l’approccio plurilivello deve essere applicato orizzontalmente a tutte le politiche comunitarie. La governance plurilivello è una condizione imprescindibile per conseguire la coesione territoriale e aumentarne il potenziale. Dovrebbe basarsi su un approccio dal basso verso l’alto, tenendo conto della diversità degli ordinamenti amministrativi attualmente in vigore negli Stati membri.
Occorre porre maggiormente l’accento sull’approccio integrato nel corso dell’attuale periodo di programmazione e per il futuro, e questo vale per il miglioramento non solo della capacità amministrativa, ma anche dell’utilizzo degli strumenti di ingegneria finanziaria. Occorre ampliare il ruolo delle autorità locali e regionali adottando una metodologia locale per lo sviluppo che si basi sui partenariati regionali, soprattutto per i progetti relativi agli aspetti urbani, rurali e transfrontalieri. Compito di tali partenariati è uno sviluppo equilibrato; inoltre, il fatto che esulino dall’ambito nazionale fa sì che contribuiscano ad aumentare la coesione territoriale dell’Unione. Inoltre, evidenzieranno non solo il potenziale di sviluppo comune, ma anche gli aspetti specifici locali.
Una governance plurilivello basata su procedure chiare e trasparenti porterà, per estensione, al decentramento, tuttora necessario in alcuni Stati membri. Ampliare il ruolo delle autorità regionali e locali implica affidare loro il compito di rendere più efficienti i progetti, adottando cioè un approccio più basato sui risultati.
Mi congratulo con gli onorevoli Mănescu e Luhan per le eccellenti relazioni presentate, che offriranno un valore aggiunto notevole per l’avvenire della politica di coesione.
Evgeni Kirilov, a nome del gruppo S&D. – (EN) Signor Presidente, mi consenta di elogiare i miei onorevoli colleghi Luhan e Mănescu per il lavoro eccellente. Sappiamo tutti che alla politica di coesione spetta un ruolo significativo per la competitività delle regioni europee. Per quanto riguarda il proseguimento della politica e i suoi risultati, vogliamo che ci siano risorse adeguate, o per lo meno che le dotazioni per la politica di coesione non siano inferiori a quelle attuali.
Né vogliamo che i beneficiari debbano sobbarcarsi oneri aggiuntivi. Il profilo futuro della politica di coesione dipende dalla decisione che prenderemo insieme. Tuttavia, la Commissione ha un ruolo importante da ricoprire con la proposta che deve presentare, e qui confidiamo in lei, Commissario Hahn, perché a mio parere alcune di queste proposte – quali le raccomandazioni sui prerequisiti che gli Stati membri dovrebbero possedere per ricevere l’assistenza finanziaria dell’Unione europea – devono essere meglio precisate.
Occorre sostenere le politiche di coesione di tutte le regioni, e non dovremmo consentire che queste ultime siano penalizzate a causa dell’inefficienza di alcuni governi nazionali. Anche in questo caso, signor Commissario, convengo che è importante sviluppare tali livelli. Pertanto, è cruciale non sostituire la complessità con la condizionalità e non complicare ulteriormente le cose per i beneficiari finali. Per far sì che la politica di coesione porti a risultati positivi, dobbiamo far partecipare attivamente le regioni; facciamole sentire parte del processo, diamo loro risorse adeguate e accertiamoci che le impieghino nella maniera più efficiente possibile.
Riikka Manner, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, Commissario, vorrei esordire ringraziando i relatori per il lavoro eccellente. Le due relazioni gettano fondamenta veramente solide per il futuro della politica di coesione.
Una politica di coesione fattibile che si applichi all’Europa nel suo complesso è un requisito essenziale per la nostra competitività globale, non c’è alcun dubbio. Come ha sostenuto il Commissario, la politica regionale non è altro che una politica di investimenti. Dobbiamo porci anche questo obiettivo per il futuro. È attraverso la politica di coesione che possiamo anche rispondere con incisività agli obiettivi della strategia Europa 2020. Se vogliamo migliorare la ricerca e sviluppo e le innovazioni, dobbiamo anche considerare la politica di coesione parte integrante di tali obiettivi, e dobbiamo acquisire una prospettiva più ampia al riguardo.
La politica di coesione non si esaurisce solamente nella solidarietà. In parte lo è, naturalmente, ma è grazie alla politica di coesione che adesso disponiamo di ricerca, sviluppo e innovazione solidamente finanziati. Per tale ragione, è giustificato che nel prossimo periodo di programmazione finanziaria stanziamo per la politica di coesione la stessa somma assegnata fino ad oggi. La quinta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale tiene egregiamente conto di tali fattori, ed è inoltre molto importante investire più risorse e più tempo nella buona riuscita delle politiche.
La relazione Mǎnescu si occupa inoltre di una questione chiave molto importante per la politica di coesione, segnatamente come formulare una politica che sia valida e che tenga conto di ogni livello. Abbiamo avuto risultati deludenti in termini di indici di attuazione, ad esempio. In qualità di attori della politica regionale, dovremmo prendere seriamente queste problematiche della politica di coesione e tentare di individuarne le soluzioni. Secondo me, la relazione Mǎnescu affronta con incisività anche tali questioni.
Jean-Paul Besset, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, vorrei incentrare il mio intervento sulla relazione Luhan.
Alle politiche per la coesione regionale spetta un ruolo chiave in Europa per uno sviluppo economico che sia equilibrato, socialmente armonioso ed ecologicamente efficace, in una parola, globalmente competitivo.
Ringrazio l’onorevole Luhan per aver inserito alcuni dei nostri emendamenti volti a stabilire un’economia sostenibile a bassa emissione di carbonio che salvaguardi la biodiversità. Cionondimeno, siamo impossibilitati a votare a favore della sua risoluzione, in quanto promuove una visione della politica di coesione come strumento di competitività globale che a noi continua a sembrare troppo limitata, troppo miope e inadeguata.
Vorremmo enfatizzare due punti illuminanti. In primo luogo, il relatore si affida quasi esclusivamente a parametri quantitativi in termini di infrastruttura come motore trainante della crescita, con l’incremento quale criterio principale. Non riteniamo che sia appropriato vista la situazione attuale. Ad esempio, cita 246 programmi operativi nella ricerca e sviluppo e lo fa con orgoglio, ma senza chiedersi di che cosa si tratti. La ricerca è cosa buona, ma dobbiamo anche conoscere l’argomento di tali ricerche.
Il secondo punto saliente è che il relatore non propone piani sufficientemente chiari. Avremmo gradito maggiore scelta per affrontare le sfide delineate nella relazione, la scelta di un’economia verde, di un new deal ecologico che è l’unica alternativa in grado di far crescere l’Europa e le sue regioni.
Charalampos Angourakis, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, le relazioni in questione seguono le stesse direttrici antipopolari dei piani strategici dei gruppi monopolistici dell’Unione europea e dei governi borghesi al loro servizio. Non c’è mai stata coesione nell’Unione europea, né ci potrà mai essere, malgrado gli sforzi compiuti di utilizzare la coesione politica allo scopo di manipolare l’opinione pubblica. La politica dell’Unione europea è connotata da due elementi di base: il primo è la disuguaglianza profondamente radicata che rappresenta una caratteristica innata del metodo di sviluppo capitalistico, e il secondo elemento di base è che i fondi comunitari non vengono stanziati per soddisfare le esigenze della base: vengono assegnati a opere e infrastrutture volte a promuovere il ritorno sul capitale e capitali vaganti per i gruppi di monopolio attraverso i partenariati pubblici-privati.
Oggi, col persistere della crisi capitalistica, persino questo principio della solidarietà comunitaria, dal nome fuorviante, viene abbandonato e sostituito dalla competitività del capitale. Le relazioni e i piani dei rappresentanti politici del capitale per la futura politica di coesione sono al servizio delle esigenze impellenti dei gruppi aziendali, dell’accelerazione delle ristrutturazioni capitalistiche mediante l’impopolare strategia UE 2020 e l’attacco selvaggio ai diritti del lavoro, assicurativi e sociali delle classi operaie. L’Unione europea e il metodo di sviluppo capitalistico non sono in grado di soddisfare le esigenze impellenti, quali la protezione dai terremoti, l’istruzione, la salute e il benessere. Ecco perché abbandonare l’Unione europea è ora più necessario che mai, così come la lotta per un’economia socialista pianificata.
Trevor Colman, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, intervengo nella discussione di stasera perché il mio collega, onorevole Bufton, che avrebbe dovuto prendere la parola, non si sente bene. Vi presento pertanto le sue conclusioni. Come sappiamo, insieme alla PAC, i fondi regionali rappresentano la quota più cospicua del bilancio comunitario. Da decenni il popolo britannico è costretto a pagare il conto di vari progetti sul territorio comunitario, la maggior parte dei quali non si traducono in alcun vantaggio per il contribuente britannico.
Il Bureau of Investigative Journalism britannico ha recentemente rivelato che i fondi regionali dell’UE vengono utilizzati per finanziare le società che trafficano in armi dell’Europa orientale, con alcuni progetti che ricevono finanziamenti dell’ordine di milioni di euro, anche se si tratta di società ricchissime. Hanno veramente bisogno delle sovvenzioni comunitarie? Dato l’alto tasso di frodi e di sprechi endemici in questa rubrica del bilancio, e il fatto che tali fondi non vengono nemmeno utilizzati per gli scopi presunti dai loro sostenitori, chiedo alla coalizione del Regno Unito di ritirare i finanziamenti, perché questo denaro ci serve nel nostro paese – l’ennesimo motivo per lasciare l’UE.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Ungheria occupa sicuramente una posizione speciale quando si tratta di creare e sostenere regioni che costituiscono unità economiche transfrontaliere. La storia ci insegna che tali regioni un tempo costituivano un’entità unica nel bacino dei Carpazi. I membri del partito Jobbik sostengono pertanto la cooperazione tra le regioni e la considerano una necessità anche nella situazione attuale, in quanto potrebbe ulteriormente ridurre le barriere temporanee che dividono il popolo ungherese.
Tuttavia, invece di erogare e controllare le risorse direttamente attraverso Bruxelles, i finanziamenti li possiamo prevedere solamente sotto forma di progetti avviati e approvati con una collaborazione congiunta che presupponga un partenariato tra i paesi interessati. Può essere più efficace individuare e gestire i problemi a livello locale e regionale, tenendo conto della natura transfrontaliera delle regioni economicamente collegate citate nell’esempio. Tale approccio andrebbe condiviso se non altro per le considerazioni di carattere economico. Analogamente, fattori quali la semplificazione delle norme, il coinvolgimento delle PMI nei progetti europei e il processo di assistenza alle regioni economicamente meno sviluppate per consentire loro di recuperare terreno trarrebbero tutti enormi vantaggi se tali misure popolari non comportassero un ampliamento delle competenze e del ruolo di supervisione di Bruxelles e della Commissione a discapito del controllo nazionale. Se organizzassimo le regioni in base alle priorità e concedessimo loro un sostegno economico diretto potremmo addirittura inaugurare una nuova era per gli ungheresi del bacino dei Carpazi.
Jan Olbrycht (PPE). – (PL) Signor Presidente, sono poche le strategie politiche europee che suscitano così tante emozioni e controversie. La politica di coesione, che alcuni considerano una politica socialista per eccellenza, viene ritenuta da altri una politica capitalista. Alcuni la definiscono una politica giusta, altri invece la reputano ingiusta. Alcuni la considerano uno strumento per eliminare le disparità, altri per rafforzare la competitività.
Di fatto, la politica non presenta alcuna contraddizione, in quanto è sostanzialmente tesa a promuovere una maggiore coesione tra le aree dell’Unione europea, non soltanto in termini di giustizia sociale, ma anche di pari opportunità per quanto riguarda la competitività. In altre parole, si tratta di coesione per la competitività. Entrambe le relazioni ne parlano, e indicano determinati aspetti che sono importanti non soltanto per la situazione attuale, ma anche nel dibattito sul futuro della politica di coesione. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che entrambe le relazioni pongono l’accento sul principio di partenariato.
Esorto il Commissario a riflettere seriamente sull’opportunità o meno di inserire nel contratto di sviluppo proposto un requisito specifico per gli Stati membri. Tale requisito sancirebbe che, prima della sottoscrizione di un contratto, lo Stato membro dovrebbe concordare con i partner locali e regionali tutti gli orientamenti per lo sviluppo, le priorità e i principi. Dovrebbe essere una disposizione obbligatoria, in modo da consentire alla Commissione europea di attribuire in modo trasparente a ciascuno Stato membro la responsabilità di attuare la propria parte di politica di coesione.
Georgios Stavrakakis (S&D). – (EL) Signor Presidente, Commissario, vorrei esordire congratulandomi con la relatrice, onorevole Mănescu, e ringraziandola per la sua collaborazione eccellente e per il fatto che si è dimostrata sempre disponibile a discutere e prendere nota delle proposte elaborate dagli eurodeputati relativamente al contenuto della relazione. A questo proposito, non c’è dubbio che la sana gestione è fondamentale per il successo di qualsiasi politica, specialmente quella di coesione, che si basa sull’amministrazione congiunta e nel cui caso gran parte della responsabilità è stata delegata alle autorità nazionali e regionali. C’è soltanto una risposta alle sfide di questo complesso sistema di amministrazione: la governance plurilivello.
Mi preme sottolineare che, se consideriamo la direzione futura della politica di coesione, per lo meno in base a quanto emerge in linea di massima dalla quinta relazione sulla coesione, la governance plurilivello in entrambe le sue dimensioni orizzontale e verticale si rivelerà cruciale per la fattibilità di qualsiasi iniziativa di sviluppo e per il successo della politica. Accolgo inoltre con favore l’invito a semplificare le norme e a garantire alle autorità locali una maggiore assistenza tecnica della Commissione europea quali fattori che garantiranno una maggiore partecipazione dei potenziali beneficiari ai programmi e un assorbimento adeguato dei fondi. Le valutazioni della Commissione europea attualmente in corso ci forniscono informazioni sugli organi che incontrano sempre difficoltà in termini di capacità manageriali per l’attuazione dei programmi di coesione politica. Come fa notare la relazione, un’assistenza tecnica aggiuntiva per questi organi, nell’ambito del rafforzamento dell’iniziativa “Formiamo i formatori”, potenzierà le capacità gestionali persino degli organi locali più piccoli. Ritengo infine che norme più uniformi e armonizzate in materia di Fondi strutturali costituiranno una base solida per intraprendere le semplificazioni e una gestione finanziaria sana.
Filiz Hakaeva Hyusmenova (ALDE). – (BG) Signor Presidente, qualche giorno fa la Commissione ha votato per il piano d’azione sulla strategia del Danubio, pertanto esaminerò la relazione Luhan dalla prospettiva di questo evento, specialmente perché nella motivazione egli si pone come obiettivo stimolare la discussione sulla dipendenza e la natura complementare delle misure a livello europeo e nazionale. A questi aggiungerei il livello regionale. La relazione delinea il quadro in cui la politica di coesione può contribuire a migliorare la competitività dell’Unione. Non illustra esplicitamente il ruolo delle macroregioni in questo processo, ma un’analisi dimostra che la strategia per il Danubio coincide esattamente con questo quadro, su scala più piccola, com’era la strategia baltica che l’ha preceduta. Constato che le condizioni della relazione coincidono con quanto riportato nel piano d’azione per il Danubio. Inoltre, il principio del potenziamento della competitività contenuto nella relazione è fondamentale per la strategia. Ad esempio, la relazione pone soprattutto l’accento sulla creazione di legami con altri territori. Sottolinea che gli Stati membri devono sostenere un approccio orientato alla dimensione locale per la formulazione e l’attuazione della politica di coesione. E queste sono tutte tecniche operative sancite dalla nuova politica per la macroregione danubiana.
Ammiro inoltre la tesi contenuta nella relazione sull’importanza di fornire assistenza continua, in particolare alle regioni svantaggiate. Tutto ciò rende la strategia danubiana un caso speciale nella relazione Luhan, visto che è pienamente conforme alle sue conclusioni. Scopo del mio confronto è mostrare la vera via che dovrebbe seguire la politica di coesione. Ritengo che questi principi e metodi operativi dovrebbero costituire la base della politica di coesione nel corso del prossimo periodo di programmazione, e comprendere una politica locale orientata ai risultati attraverso le macroregioni.
Elisabeth Schroedter (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, vorrei esprimere i miei ringraziamenti alla relatrice sulla sana gestione; in particolare, vorrei ringraziarla per la cooperazione positiva e congratularmi con lei per un documento eccellente. La relazione mostra alla Commissione quello che deve accadere nel prossimo futuro, specialmente nell’area del principio del partenariato. Precisa che occorre garantire che vengano coinvolti anche il livello locale e regionale, e che le parti economiche e sociali, oltre ai rappresentanti della società civile, devono partecipare a tutte le fasi – nell’attuazione e nella valutazione del Fondo strutturale. Significa un impegno degli Stati membri nei confronti di un partenariato vero. Vuol dire che le parti avranno il diritto di parlare alla pari con le amministrazioni, attraverso iniziative formative e sostegno finanziario; significa che i partner eserciteranno un’influenza autentica sulla forma assunta dai programmi. Tuttavia, finora abbiamo visto un impegno carente da parte della Commissione. Ciò vale tanto per il periodo attuale quanto per le proposte formulate sul tema. Accolgo con favore l’affermazione dell’onorevole Olbrycht secondo cui se questo contratto di partenariato per lo sviluppo e gli investimenti dovesse diventare realtà, sarebbe possibile solamente se tale partenariato esistesse e se i partner venissero tutti coinvolti alla pari nello sviluppo di tali piani. Altrimenti si corre il rischio di passare da un’Europa delle regioni a un’Europa degli Stati membri, e non è questo il nostro intento. La nostra finalità è lo sviluppo regionale e il coinvolgimento dei livelli locali e regionali, delle parti economiche e sociali, e della società civile.
João Ferreira (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, questa discussione si svolge in un momento opportuno, in quanto le disparità economiche, sociali e territoriali in seno all’Unione europea si stanno acuendo in maniera preoccupante: le disuguaglianze tra i paesi e le regioni e quelle in seno a ogni paese si stanno aggravando. Non siamo evidentemente riusciti a creare una coesione territoriale.
La politica di coesione non è isolata rispetto alle altre aree di politica: esercita e subisce influenze da parte degli orientamenti politici prevalenti e del quadro macroeconomico. Gli attacchi agli stipendi e ai diritti dei lavoratori, l’abolizione e il degrado dei servizi pubblici, l’attacco alle funzioni sociali dello Stato e i tagli agli investimenti pubblici sono parte integrante delle politiche economiche e monetarie che l’Unione europea impone agli Stati membri. Sono politiche che aggravano la povertà e le disuguaglianze e che ci impediscono sempre di più di conseguire la coesione.
La verità è che la politica di coesione non ha controbilanciato l’impatto o gli squilibri causati dall’integrazione delle economie con livelli molto diversi di sviluppo nel mercato unico o nell’Unione economica e monetaria. La scarsità dei fondi stanziati per la coesione e l’incoerenza delle politiche macroeconomiche ossessivamente incentrate sulla convergenza nominale ma che rendono impossibile una convergenza vera sono fattori determinanti che vanno corretti aumentando gli stanziamenti di bilancio a favore della coesione e apportando modifiche radicali alla politica macroeconomica.
Sostenere la produzione e sviluppare le capacità produttive di ogni paese e regione, sfruttare appieno il potenziale locale offerto da ciascuno attraverso un impiego sostenibile delle sue risorse, preservare l’ambiente e creare posti di lavoro dotati di diritti, nonché rafforzare i sistemi di sicurezza sociale e i servizi pubblici sono aspetti strategicamente essenziali per una coesione economica, sociale e territoriale efficace.
Giancarlo Scottà (EFD). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, accolgo con favore la relazione della collega, onorevole Mănescu.
La governance multilivello assume un ruolo chiave nelle politiche di coesione e in questo settore l'approccio multilivello, che prevede la cooperazione e la divisione delle responsabilità ai diversi livelli governativi, viene messo in pratica nella gestione dei fondi regionali. La Commissione promuove iniziative a favore delle autorità regionali e locali. Ci deve essere un maggiore incentivo a sostegno di tali proposte, al fine di riscontrare un concreto coordinamento e un'efficace attuazione dei programmi comunitari.
Il partenariato deve essere garantito da una cultura basata sul dialogo fra i diversi attori coinvolti. La cooperazione a livello regionale deve essere trasparente e assicurare un coinvolgimento paritario delle realtà interessate.
A tal fine è importante una formazione adeguata per i rappresentanti del livello subnazionale attraverso iniziative quali Erasmus per i funzionari regionali e locali, che dovrebbe essere sostenuta finanziariamente dalla Commissione. Essa è altresì utile allo scambio di buone pratiche e al fine di migliorare la qualità e l'efficacia della gestione dei fondi delle politiche di coesione.
Joachim Zeller (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in primo luogo reputo deplorevole che una discussione importante sulla politica di coesione sia stata relegata quasi all’ultimo punto dell’ordine del giorno. Non rende alcuna giustizia alla politica e alla sua rilevanza. Vorrei esprimere i miei ringraziamenti ai relatori per i loro documenti, che ci hanno mostrato in maniera enfatica l’area politica in cui l’Unione europea ha veramente riscosso un grande successo – vale a dire la politica di coesione – e il fatto che è essenziale proseguire tale politica e farlo nell’ambito di un sistema politico con molteplici livelli – segnatamente, la governance plurilivello.
I progetti in materia di politica di coesione rendono le azioni europee immediatamente visibili ai nostri cittadini: nei progetti infrastrutturali, nei progetti sociali, nel sostegno alla ricerca e all’innovazione, nel mantenimento della competitività e dell’occupazione nelle regioni. Nella discussione attuale sul futuro dell’Unione europea, oltre a trattare le questioni monetarie e finanziarie, dovremmo discutere con il medesimo impegno di quello che occorre all’Unione europea per garantirne la coesione interna, di modo che non aumentino i divari economici, sociali e politici tra i paesi e le regioni. Dopo tutto, alla luce delle sfide globali e dell’emergere di nuovi concorrenti sul mercato mondiale, è indispensabile essere più uniti e ampliare il terreno comune. La politica di coesione può offrire un contributo ragguardevole in tal senso.
Tuttavia, affinché ciò accada, la politica di coesione deve essere più incentrata su progetti e aree di progetto che facciano progredire l’Europa nel suo complesso, che consentano ai soggetti forti di rimanere tali, e che offrano a quelli più deboli la possibilità di colmare il divario che li divide da quelli più forti. A mio parere, per conseguire tali obiettivi bisogna mantenere e anzi ampliare gli obiettivi di politica di coesione utilizzati finora. Ritengo tuttavia che sia anche necessario che i finanziamenti siano soggetti a maggiori condizioni e più orientati a iniziative in Europa centrale, che sia nel settore dei trasporti, in quello dell’energia, nello sviluppo regionale e urbano, oppure nella ricerca e nell’innovazione. Il percorso delineato dalla Commissione nella sua quinta relazione sulla coesione mi sembra appartenere inestricabilmente a tale finalità – segnatamente, integrare le risorse in un quadro strategico comune che dia luogo a un partenariato per lo sviluppo e l’innovazione tra la Commissione, gli Stati membri e i rappresentanti delle regioni. Ciò implica tuttavia anche il coinvolgimento delle amministrazioni locali e regionali fin dalle primissime fasi del processo. Così facendo, le nuove forme di cooperazione regionale potrebbero autenticamente sostenere il processo di sviluppo di una vera governance plurilivello.
Signor Presidente, spero che mi consentirà di esprimere un’ulteriore osservazione su quanto affermato dall’onorevole Colman, che purtroppo ha già lasciato l’Aula. Vorrei ricordargli che l’Unione europea è un’unione volontaria di Stati. Se alcuni paesi se ne vogliono andare, hanno il diritto di farlo. Non credo tuttavia che ciò rispecchi la volontà vera dei cittadini scozzesi, gallesi, nordirlandesi e inglesi.
Erminia Mazzoni (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti della Commissione, stiamo gettando le basi dell'Europa del 2020, immaginandola inclusiva, intelligente e innovativa e, nel farlo, dobbiamo chiaramente ambientare le nostre sfide nel contesto globale.
La gara della competitività può essere affrontata e vinta solo se riusciamo a creare dei livelli uniformi all'interno dell'Unione europea. La politica di coesione, nelle sue tre declinazioni – sociale, economica e territoriale – insieme ai Fondi strutturali, rappresenta lo strumento sul quale concentrare la nostra attenzione. Non è infatti su di essa che possiamo pensare di operare i tagli necessari a rispondere alla crisi finanziaria. Al contrario, abbiamo il dovere di farci carico di implementarla, migliorandola laddove essa abbia fallito.
Sulla base dei dati raccolti e dell'analisi dei risultati conseguiti, la commissione per lo sviluppo regionale – con la relazione dell'onorevole Luhan – sottolinea la stretta dipendenza tra competizione e coesione, proponendo dei correttivi per la prossima programmazione. È infatti innegabile che l'Europa può essere competitiva solo nella misura in cui riesce a superare le disparità territoriali fra le diverse regioni.
A tal proposito, ringrazio l'onorevole Luhan per aver accolto un mio emendamento teso a ribadire la possibilità di introdurre condizioni fiscali vantaggiose per periodi transitori non superiori a cinque anni – possibilità già contenuta nella risoluzione votata da questo Parlamento nel febbraio 2006. Essa rappresenta un utile mezzo per ovviare ad alcune delle criticità riscontrate nell'applicazione della politica di coesione, come la complessità delle procedure, l'insufficienza dei controlli e la maggiore efficacia del monitoraggio.
Su questi punti di metodo si propone una serie di correttivi per ottimizzare l'impatto della politica di coesione per accrescere la competitività economica dell'Unione. Come sottolineato nella relazione Luhan, bisogna porre l'accento sia su un partenariato orizzontale e verticale tra le autorità locali che sul cofinanziamento, fattori questi che devono essere assunti come principi fondamentali.
È inoltre importante accelerare la semplificazione delle procedure e l'accesso ai finanziamenti, così come è importante l'approccio integrato all'applicazione dei fondi e il mantenimento dei regimi transitori, soprattutto in questa fase di difficoltà. Il metodo di decisione dal basso, con il coinvolgimento delle regioni interessate, serve a garantire il sostegno allo sviluppo sfruttando le specificità territoriali.
Infine, nel merito, la relazione sottolinea due obiettivi principali: l'innovazione e le infrastrutture. Ritengo questa relazione importante perché consente a tutti noi di avere una strada tracciata per poter rispondere in maniera esaustiva al quesito ancora contenuto nel titolo della relazione.
Presidente. – In qualità di responsabile dei servizi di interpretariato e traduzione in seno all’Ufficio di Presidenza, vorrei informarvi che ho intenzione di chiedere all’Assemblea di installare in ogni postazione la spia che ho qui, con cui gli interpreti segnalano che non riescono a seguirvi, visto che non è molto utile che si limitino a informare solo me. Posso ovviamente passare poi a voi l’informazione, ma secondo me sarebbe più efficace se questa spia venisse installata in ogni postazione.
Nuno Teixeira (PPE). – (PT) Signor Presidente, vorrei esordire congratulandomi con gli onorevoli Luhan e Mănescu per il lavoro straordinario che hanno svolto sulle rispettive relazioni. Entrambi hanno offerto un contributo significativo alla discussione sulla nuova politica di coesione per il periodo 2014-2020 attualmente in corso.
Adesso più che mai è essenziale conseguire una coesione economica, sociale e territoriale per affermare la competitività dell’Unione europea su scala globale. L’obiettivo potrà essere raggiunto se ci renderemo conto che solamente rafforzando e sviluppando la dimensione regionale potremo creare un’Europa internamente coesa ed esternamente competitiva.
Vorrei sottolineare tre punti in particolare che io considero essenziali: in primo luogo il decentramento, garantire che le autorità locali e regionali, specialmente quelle dotate di poteri legislativi, partecipino di più e contribuiscano a una migliore attuazione della politica di coesione; in secondo luogo, esortare gli Stati membri a invitare le autorità regionali e locali a partecipare ai negoziati sul futuro dei Fondi strutturali in condizioni di parità rispetto alle autorità e ai rappresentanti nazionali; e infine il rafforzamento del ruolo delle autorità regionali nel preparare, gestire e realizzare i programmi. Solamente con un maggiore coinvolgimento di tali autorità nell’intero processo sarà possibile rispettare il principio di sussidiarietà.
Un altro aspetto che considero cruciale è individuare un’architettura più semplice per i fondi dopo il 2013, non come conseguenza della crisi economica, bensì piuttosto come regola generale per la futura politica di coesione, in modo da facilitare l’assorbimento delle risorse. L’interesse più impellente alla base del trattato di Lisbona era avvicinare di più l’Europa ai suoi cittadini. Invece di limitarci a questo, cerchiamo di semplificare loro la vita abolendo oneri amministrativi superflui che li dissuaderebbero dal partecipare. Solo così realizzeremo l’obiettivo della vera coesione territoriale. Solo così assisteremo a una riduzione delle disparità stridenti che sopravvivono oggi in seno all’Unione europea, dove esiste attualmente un divario profondo tra regioni ricche e povere. Maggiore partecipazione significa anche maggiore responsabilità, ed è proprio questa responsabilità che dovrebbe essere assunta e condivisa da tutti, quale metodo per fare meglio e di più e per creare un’Europa più forte e competitiva.
Hermann Winkler (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei associarmi ai complimenti e ringraziamenti rivolti ai due relatori per il loro lavoro eccellente. I commenti dell’onorevole Luhan sul tema “Architettura futura della politica di coesione dopo il 2013” sono particolarmente graditi. Benché le conclusioni della quinta relazione sulla coesione illustrino già le idee iniziali della Commissione sul tema, la relazione Luhan offre un contributo importante per stabilire la posizione del Parlamento rispetto alla Commissione. Analogamente al relatore, reputo estremamente sensato che la politica di coesione sia in armonia con gli obiettivi della strategia Europa 2020 per il futuro. Tuttavia, le singole regioni devono ancora poter decidere quali siano le loro aree prioritarie.
Non tutte le regioni sono uguali; anche all’interno di un unico Stato membro, le regioni sono diverse. Stabilire un massimo di due o tre priorità – una delle quali era forse già obbligatoria – lascia alle regioni poco margine di manovra. Le regioni devono avere la discrezionalità necessaria per investire nelle loro infrastrutture e persone in base alle loro priorità specifiche. Con questo scenario, determinate questioni, quali i cambiamenti demografici, potrebbero non venir sufficientemente considerate. Non sarebbe una vera politica regionale adattata alle esigenze delle regioni, come ricorda sempre la Commissione. Per tale ragione, ritengo che noi come Parlamento dovremmo chiarire fin da principio che non possiamo permettere che le regioni abbiano una posizione più debole degli Stati membri. Va rafforzato ulteriormente il principio del partenariato.
La rilevanza delle regioni nell’UE varia considerevolmente a seconda della struttura dello Stato. Per questo occorre attribuire grande importanza al principio di sussidiarietà, di cui la Commissione deve tener conto nel suo proposito di stabilire partenariati per l’innovazione e lo sviluppo tra la Commissione stessa e gli Stati membri in futuro.
Senza entrare eccessivamente nei dettagli, forse mi consentirete di ribadire brevemente l’importanza dell’obiettivo 3. Concordo espressamente col relatore quando parla delle difficoltà nei territori di frontiera dell’UE e mi riferisco alle frontiere sia interne sia esterne. Occorre considerare maggiormente questo obiettivo in futuro. A mio modo di vedere, viene dato troppo poco peso all’obiettivo 3 nell’attuale discussione sul futuro della politica di coesione. In particolare, bisogna sviluppare ulteriormente la cooperazione tra le regioni situate alle ex frontiere esterne dell’UE – e mi riferisco qui alla mia regione d’origine, la Sassonia.
Barbara Matera (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, i dati forniti dalla Corte dei conti nelle relazioni annuali 2006 e 2008 sui sistemi di controllo vigenti per la politica di coesione sono certamente allarmanti.
Tali sistemi non erano sufficientemente efficaci e presentavano un tasso di errore pari al 12 percento in ordine agli importi rimborsati nel 2006 e dell'11 percento nel 2008. Per ridurre questo tasso di errore è fondamentale che la Commissione europea rafforzi la propria funzione di supervisione in materia di politiche a livello locale e regionale.
L'elaborazione di una guida per gli attori pubblici e privati e la creazione di un sistema di formazione e mobilità su come applicare nella pratica le politiche della governance multilivello potrebbero rappresentare misure efficaci al miglioramento della politica regionale.
Inoltre, gli Stati membri devono rafforzare il ruolo delle autorità regionali e locali, in particolare in seguito all'entrata in vigore del trattato di Lisbona.
Occorre altresì facilitare la cooperazione a livello di regioni transfrontaliere; in numerose aree dell'Unione europea, infatti, il potenziale da sfruttare in materia di cooperazione tra regioni e realtà locali di Stati membri confinanti è elevatissimi, è altissimo, soprattutto in settori quali turismo, agricoltura, industria e politiche ambientali.
Approfitto del fatto di aver concluso il mio intervento nei tempi richiesti per salutare gli interpreti, sempre così gentili con noi.
Jan Kozłowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, Commissario, vorrei esordire sottolineando che considero la relazione particolarmente importante e congratulandomi con il relatore, onorevole Luhan, per il lavoro eccellente. Penso che la politica di coesione dovrebbe essere il fiore all’occhiello dell’Unione europea e che la sua rilevanza dovrebbe aumentare nei prossimi anni. In qualità di politica orizzontale, dovrebbe stabilire gli orientamenti delle politiche settoriali, e contribuire a incrementare la competitività delle regioni europee e a rafforzare la posizione dell’Unione europea sui mercati mondiali. Il sistema di attuazione della politica di coesione deve essere moderno e flessibile, basato su un modello di gestione plurilivello, come già ribadito più volte. Dovrebbe anche promuovere il coordinamento dei Fondi strutturali con altri strumenti europei e con i fondi nazionali.
Ho gestito una regione di 2 200 000 abitanti per due mandati e mi sono occupato dell’attuazione degli strumenti della politica di coesione sulla base sia di un modello centralizzato, tra il 2004 e il 2006, sia di un modello decentrato – il programma operativo regionale – tra il 2007 e il 2013. Tali esperienze mi consentono di dichiarare in piena responsabilità che il modello decentrato permette uno sfruttamento migliore del potenziale locale per l’attuazione di soluzioni strategiche e il conseguimento di cambiamenti positivi, che è la ragione per cui sono convinto che gli obiettivi vadano definiti a livello europeo, ma le metodologie per conseguirli dovrebbero essere stabilite in linea con il principio di sussidiarietà, cioè al livello più appropriato, che nel caso della politica di coesione significa il modello regionale e locale. Al contempo, è essenziale stabilire un legame stretto tra impiego dei fondi e raggiungimento di traguardi e risultati misurabili: crescita economica, un livello più alto di occupazione e inclusione sociale.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, anch’io vorrei congratularmi con il mio collega, onorevole Luhan, per tutto l’impegno profuso nel produrre questa relazione, particolarmente importante anche per la Romania. Ritengo che la strategia Europa 2020 debba promuovere un piano di sviluppo sostenibile. A questo proposito occorrono sia una rappresentazione più forte a livello interno, sia un coordinamento più efficiente a livello interno.
Questa relazione è importante perché elenca le conquiste della politica di coesione. Viene di fatto conferito un ruolo importante alla promozione della competitività delle regioni a livello globale. Lo stanziamento di fondi per progetti di investimento e sviluppo rappresenterà indubbiamente un vantaggio cospicuo per il nostro paese. Va precisato che la Romania potrebbe essere ammessa a beneficiare di fondi considerevoli sia adesso sia nel periodo dopo il 2013.
A questo proposito, a livello nazionale, ci sono stati…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Luís Paulo Alves (S&D). – (PT) Signor Presidente, Commissario, è vero che la politica di coesione è importante quale fattore che contribuisce alla crescita e alla prosperità, oltre che per promuovere uno sviluppo equilibrato tra le regioni. È vero che uno sviluppo equilibrato tra le regioni è essenziale per il funzionamento del mercato interno e dell’Unione stessa, e che la politica di coesione è essenziale per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020. Altrettanto vero è che la politica di coesione è utile per l’ambiente, per la creazione di posti di lavoro, e per ideare e creare una rete di trasporti moderna. Alla luce di tutto ciò, signor Presidente, Commissario, è inaccettabile che la Commissione stia ora sfruttando i successi di queste regioni e adesso intenda addirittura utilizzarli per minacciare gli Stati membri che non soddisfano i criteri macroeconomici. Ciò è particolarmente vero se si considera che, in tali situazioni, le regioni non venivano nemmeno coinvolte e non detenevano responsabilità dirette, e se si constata che le regioni saranno quelle più penalizzate dai vincoli sull’impiego dei Fondi strutturali. Non è giusto, Commissario, e vorrei sentire che cosa ne pensa.
Alfreds Rubiks (GUE/NGL) . – (LV) Signor Presidente, vorrei richiamare l’attenzione di quest’Assemblea sulla coesione sociale. Quando parlo con gli elettori, ho difficoltà a spiegare loro che noi qui prendiamo decisioni in modo profondo e intenzionale, quando invece il loro tenore di vita è peggiorato dalla loro adesione all’Unione europea. Sto parlando della Lettonia. Il trentaquattro percento della popolazione lettone percepisce attualmente un reddito di sussistenza e vive ai margini della povertà. La pensione minima è di LVL 64, percepita dal 12 per cento della popolazione. Quel che vedo e sento in quest’Aula, i contenuti delle relazioni, è qualcosa che da parte mia non posso appoggiare, perché avverto che qui non viene prestata molta attenzione alle questioni sociali. Ancora una volta, non facciamo che parlare di un’ulteriore liberalizzazione del mercato, della competitività ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, vorrei fare quattro osservazioni su queste relazioni.
La prima è che l’Unione europea riveste un significato per i cittadini soltanto se si adopera per alleviare le disparità economiche, sociali e territoriali.
La seconda è che la politica di coesione europea è lo strumento di politica finanziaria più indicato per conseguire tale obiettivo.
La mia terza osservazione è che quanti criticano tali iniziative dovrebbero effettivamente proporre un’alternativa. Se non hanno alternative da offrire, dovrebbero stare zitti.
La quarta osservazione è che la mia regione d’origine – provengo dalla Germania dell’Est – è un’area in cui questa politica ha fatto progredire lo sviluppo economico. Siamo sulla strada giusta, ma abbiamo ancora del cammino da fare. Pertanto, ci servirà ancora tale sostegno dopo il 2013 se vogliamo continuare a mettere a segno progressi.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, Tip O'Neill, il grande politico irlandese-americano, una volta ha dichiarato “tutta la politica è locale”. Lo stesso si potrebbe dire dell’Unione europea in termini di sviluppo. Tutto lo sviluppo è sempre stato regionale.
In particolare, il successo conseguito dal mio paese grazie alla politica di coesione da quando abbiamo aderito all’Unione europea è un esempio illuminante in tal senso. Quando abbiamo aderito nel 1973, il nostro PIL era di poco superiore a metà della media, mentre adesso è di una volta e mezza la media europea, nonostante le difficoltà finanziarie in cui si dibatte attualmente il paese.
In secondo luogo, mentre progrediamo, uno degli aspetti chiave per noi sarà la semplificazione della procedura, il porre l’accento sui risultati e il valore aggiunto, e il tentativo di ridurre la burocrazia e la regolamentazione. Potreste riempire moduli da qui alla fine del Parlamento, ma se manca il valore aggiunto non servirà a nulla. Se agiremo in tal senso, continueremo a realizzare progressi e attendo sicuramente con impazienza che la politica regionale ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, l’applicazione efficace della politica di coesione, che al momento è molto decentrata, richiede un ulteriore rafforzamento delle responsabilità degli organi regionali e locali, in quanto tali soggetti capiscono alla perfezione le esigenze di una determinata area e dei suoi abitanti.
Credo fermamente che la creazione di un partenariato con gli enti regionali e locali presupponga una definizione più chiara del cosiddetto principio di partenariato, oltre al coinvolgimento attivo degli organi locali e regionali nelle consultazioni sulla politica regionale dell’Unione europea. Vorrei sottolineare che garantire un miglior coordinamento tra i singoli livelli di controllo, una maggiore flessibilità e procedure trasparenti e chiare non solo sono prerogative di una buona amministrazione degli affari pubblici, ma soprattutto dovrebbero agevolare l’assorbimento dei fondi e l’aumento della partecipazione dei potenziali partner ai progetti.
Johannes Hahn, membro della Commissione. – (DE) Signor Presidente, vorrei esprimere i miei ringraziamenti per la discussione animata e vorrei anche cogliere l’occasione per aggiungere qualche osservazione sui controlli finanziari. Come sottolineo sempre in diverse occasioni, dobbiamo veramente metterci di buona lena e semplificare le cose, soprattutto alla luce del fatto che ci dobbiamo impegnare più a fondo per far sì che anche le piccole e medie imprese sfruttino le opportunità che vogliamo creare mediante i finanziamenti europei e anche, ad esempio, i finanziamenti rotativi che vogliamo offrire più spesso in futuro; e dobbiamo veramente capire come ridurre al minimo la burocrazia.
D’altro canto, mi vedo sempre costretto a precisare che gran parte della burocrazia viene aggiunta a livello nazionale. In altre parole, non tutta la burocrazia che affligge i progetti europei ha origine a Bruxelles; anzi, è il risultato dell’effetto combinato dei processi a livello nazionale ed europeo. Dobbiamo impegnarci su questo fronte insieme. Onorevole Mănescu, convengo con lei che dobbiamo sforzarci per sviluppare standard in quest’area – anche se non posso naturalmente ignorare completamente la legislazione e le circostanze nazionali. Ma in linea di principio sono assolutamente d’accordo con lei.
Anche il tema della condizionalità richiede una riflessione dettagliata che qui non abbiamo il tempo di fare. Si tratta indubbiamente di identificare per ogni singolo paese e per ogni singola regione, laddove necessario, le ragioni dei ritardi nell’attuazione dei progetti; in generale, sappiamo già quali siano. Nella maggior parte dei casi il denaro non c’entra – o per lo meno non è la ragione primaria – ma i ritardi sono dovuti ad altre mancanze. La logica che sottende alla condizionalità consiste nello sbarazzarsi subito di tali aspetti per consentire un’elaborazione più rapida in un secondo momento, che è nell’interesse di tutte le parti coinvolte.
Sono inoltre grato agli oratori che hanno citato il contratto di sviluppo e di partenariato e il fatto che rappresenta un’opportunità, come rilevato dall’onorevole Olbrycht, per promuovere un maggior coinvolgimento delle autorità regionali e locali. Occorrerà tuttavia ripensare a come attuare effettivamente questo aspetto in maniera in qualche modo istituzionalizzata e – non dimentichiamocelo – accettabile per gli Stati membri. A tale proposito, conto e confido nel sostegno e supporto del Parlamento europeo, visto che Parlamento europeo, Commissione e Comitato delle regioni hanno una visione unanime in materia. Ma c’è anche un altro soggetto in gioco, vale a dire gli Stati membri; dobbiamo convincerli che anche loro trarranno un valore aggiunto dal fatto di coinvolgere più persone nella pianificazione dei programmi, e che come risultato del processo tali persone si identificheranno maggiormente nello Stato stesso.
Sono anche riconoscente per i commenti – che credo siano stati espressi dal gruppo Verde/Alleanza libera europea – sulla crescita. Sostengo la crescita qualitativa e quantitativa. Ci servono entrambe. Prendiamo l’esempio della ricerca, che in effetti rientra nella categoria della crescita qualitativa. Se uno dei nostri obiettivi principali è aumentare la quota delle energie rinnovabili, ad esempio, ma vogliamo sostanzialmente essere anche più efficienti dal punto di vista energetico, un argomento di ricerca molto importante potrebbe essere: “Come posso immagazzinare l’elettricità, tenerla a disposizione e utilizzarla quando mi serve?”, per rendere più efficiente la generazione dell’energia elettrica.
Tutto sommato, una cosa è emersa con chiarezza: riusciremo a conseguire i nostri obiettivi soltanto se di fatto avremo una politica regionale che raggiunga tutte le regioni d’Europa. Come qualcuno ha dichiarato oggi, se vogliamo attuare la strategia Europa 2020 ci riusciremo solamente se potremo estendere e attuare tale politica in tutte le regioni, pur tenendo contemporaneamente conto delle esigenze e requisiti locali.
Ribadisco un’altra volta i miei ringraziamenti – in particolare ai due relatori – per questo lavoro così prezioso.
Petru Constantin Luhan, relatore. – (RO) Signor Presidente, vorrei esordire ringraziando tutti i miei onorevoli colleghi che hanno offerto un contributo significativo alla relazione e, in ultima analisi, alla politica di coesione e al suo futuro. Vorrei inoltre ringraziare i relatori ombra che hanno presentato emendamenti ed espresso opinioni altrettanto importanti, e anche perché insieme abbiamo raggiunto facilmente il consenso.
Non voglio entrare eccessivamente nei dettagli di quanto è stato detto. Desidero inoltre ringraziarvi per le osservazioni gentili che mi avete rivolto. Vorrei comunque sottolineare quanto detto in particolare dal Commissario, osservazioni che meritano senz’altro l’approvazione. Ha dichiarato che la politica di coesione è una politica di investimento nelle regioni e nelle persone, una condizione imprescindibile per migliorare il tenore di vita delle regioni dell’Unione europea. Condivido appieno il suo parere.
Confido analogamente nel vostro sostegno – per il quale vi siamo grati – per aumentare gli investimenti in ogni genere di infrastruttura, quale presupposto irrinunciabile per abolire le disparità nell’Unione europea.
Per quanto riguarda il parere espresso dall’onorevole Besset, volevo semplicemente ricordargli che se avesse letto con attenzione la relazione, si sarebbe accorto che parla anche della crescita economica basata su un’economia verde. Inoltre, ho fatto direttamente riferimento alla strategia Europa 2020, e anche in questa è stata introdotta l’economia verde. Per questo ci tengo a ricordarvi che la relazione è attualmente sostenuta dalla maggioranza.
Vi ringrazio nuovamente tutti e ci auguriamo che la politica di coesione futura progredisca nella giusta direzione.
Ramona Nicole Mănescu, relatore. – (RO) Signor Presidente, vorrei ringraziare i miei onorevoli colleghi per i contributi significativi alla relazione, in particolare nella sua versione finale, e ringrazio inoltre i relatori ombra e gli altri eurodeputati che hanno presentato emendamenti, per non parlare di tutti quelli che sono intervenuti nella discussione in plenaria nonostante l’ora tarda.
Poiché il voto in seno alla commissione per lo sviluppo regionale ha riscosso un ampio consenso tra i gruppi politici sulla necessità di attuare i principi e le misure proposte nella relazione, non posso che essere lieta che anche la discussione odierna sia stata animata dallo stesso spirito.
Il documento di lavoro è stato redatto in seguito alle consultazioni con la Commissione europea, il Comitato delle regioni e i rappresentanti dei beneficiari, e vorrei ringraziare anch’essi per il contributo. Come ho già fatto presente nel mio precedente intervento, sono fermamente convinta che la Commissione europea darà prova della disponibilità e determinazione richieste per assicurarsi che le soluzioni da noi identificate e proposte nella commissione per lo sviluppo regionale non rimangano incagliate nella fase di proposta. Abbiamo elaborato proposte specifiche, Commissario. Lei deve soltanto rifletterci sopra con serietà. Sollevo la questione soprattutto perché nei mesi a venire l’Unione europea dovrà definire e adeguare la sua politica di coesione futura e la strategia 2020, nonché le condizioni per una loro attuazione coronata dal successo.
Ambiamo a un nuovo approccio alla governance plurilivello che sia utile agli obiettivi vitali dell’UE, e a un’Europa dei cittadini caratterizzata da crescita economica, progresso sociale e sviluppo sostenibile.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) Per realizzare una coesione sociale ed economica autentica tra gli Stati membri, dobbiamo innanzi tutto occuparci delle loro differenze non soltanto in termini di crescita e sviluppo economico, ma anche in termini di ubicazione geografica. In questa fase, credo che non sia opportuno parlare di misure comuni. Le misure dovranno variare a seconda dello Stato membro, perché anche le esigenze sono diverse. Per quanto riguarda il ruolo della Commissione nelle procedure per l’erogazione degli aiuti e il monitoraggio di una sana gestione della politica regionale, a mio parere dovrebbe in primo luogo definire chiaramente e comunicare gli impegni che si assume. In base alla mia esperienza, quando si solleva una questione con la Commissione, o si riceve una risposta evasiva, oppure ci si sente dire che la questione non rientra nelle sue competenze. Provengo da un paese in cui, da molti anni, lo scaricabarile è una procedura standard, e quello che desidero è una definizione chiara delle competenze della Commissione, in modo da poter ottenere risposte chiare e azioni precise in circostanze particolari.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) Al momento si rileva un effetto soglia molto marcato tra le regioni che sono idonee a ricevere finanziamenti ai sensi dell’obiettivo di convergenza e quelle che ne sono escluse. Tale situazione è estremamente deleteria per alcune regioni che magari non sono povere, ma sicuramente non sono nemmeno ricche. Sarebbe molto utile attenuare tale effetto soglia creando una categoria intermedia di regioni tra l’obiettivo “convergenza” e l’obiettivo “competitività regionale e occupazione”. Mi fa piacere che questa sia una delle proposte elaborate nelle conclusioni della quinta relazione sulla coesione. Tale categoria intermedia potrebbe essere rivolta a regioni con un PIL pro capite compreso tra il 75 per cento e il 90 per cento della media comunitaria. Vorrei inoltre che questo sistema sostituisse il meccanismo di transizione e coprisse regioni diverse da quelle che escono dall’obiettivo di convergenza. Nel contesto dei negoziati sul prossimo quadro finanziario pluriennale, il bilancio per questa politica di coesione rivisitata dovrebbe rimanere invariato. Vale tuttavia la pena ricordare che andrebbero tolte dall’obiettivo della convergenza solo una ventina di regioni, il che si tradurrebbe in un risparmio di 10 miliardi di euro l’anno, che potrebbero sicuramente venir riassegnati a una nuova categoria intermedia di regioni.
Tamás Deutsch (PPE), per iscritto. – (HU) Mi congratulo con l’onorevole Luhan per il lavoro svolto sulla relazione. Per quanto riguarda quest’ultima, vorrei richiamare l’attenzione su due punti. In termini di correlazione tra l’attuazione della strategia Europa 2020 e il potenziamento della competitività, è importante precisare che coesione e maggiore competitività sono processi che si presuppongono e addirittura si rafforzano a vicenda. Non possiamo privilegiare il sostegno alle regioni più sviluppate per massimizzare la competitività dell’UE, in quanto correremmo il rischio di un arretramento ulteriore delle regioni sottosviluppate che, a propria volta, porterebbe a tensioni sociali elevate e all’instabilità dell’intera Unione europea. Inoltre, è importante chiarire che sebbene la politica di coesione contribuisca ingentemente alla realizzazione della strategia Europa 2020, non può essere l’unica responsabile del raggiungimento degli obiettivi della strategia. Ci deve essere quindi una coerenza tra la realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020 e quelli della politica di coesione, e anche le altre aree di politica devono contribuire in maniera adeguata al conseguimento degli obiettivi della strategia. Come seconda osservazione, vorrei rilevare che concordo pienamente col parere del relatore secondo cui il PIL dovrebbe rimanere il parametro per determinare l’ammissibilità degli Stati membri, in quanto il PIL si è finora dimostrato l’indicatore più affidabile del livello di sviluppo. A livello di paesi membri, le autorità nazionali potranno utilizzare altri indicatori per distribuire le risorse, ma a livello di UE il PIL deve continuare a essere il parametro di riferimento per stabilire l’ammissibilità agli aiuti.
Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) La relazione sull’amministrazione corretta della politica regionale rafforzerà i poteri degli enti locali per l’attuazione delle politiche comunitarie. Il Parlamento sostiene da tempo un maggiore coinvolgimento degli enti pubblici diversi da quelli nazionali nella pianificazione delle politiche comunitarie. Il principio del partenariato come descritto nel Libro bianco sulla governance plurilivello del Comitato delle regioni va rafforzato dalle primissime fasi dei negoziati nel quadro delle discussioni a livello di UE. La relazione propone un ulteriore snellimento delle normative sia legislative sia non legislative. In questo frangente va tuttavia sottolineato che alcuni Stati membri e i loro organi pubblici in particolare contribuiscono spesso a creare un onere amministrativo non richiesto dalle norme comunitarie. Occorre correggere ulteriormente il tiro in quest’ambito. Le regole dei programmi di sovvenzione andrebbero semplificate per rendere più comprensibili i processi individuali e in modo da evitare di dissuadere potenziali beneficiari dalla partecipazione ai progetti. Viene segnalata un’alta percentuale di errori (12 per cento) sulle spese sostenute nell’attuazione e finanziamento dei programmi. La percentuale più elevata di errori riguarda sempre l’area degli appalti pubblici e dei cosiddetti costi non ammissibili. La Commissione europea non vigila come dovrebbe, ed è evidente che la Commissione non può istituire un sistema di controlli a tutti i livelli nazionali. È essenziale che il ruolo di vigilanza della Commissione venga mantenuto e caldeggiato all’inizio dei programmi, ma nel corso della loro attuazione potrebbero essere delegate maggiori competenze agli Stati membri e ai loro organi regionali e locali.
Sandra Kalniete (PPE) , per iscritto. – (LV) Per ampliare l’influenza della politica di coesione, è essenziale intraprendere determinate riforme decisive. L’assistenza fornita dalla politica di coesione deve essere concentrata in tre direzioni principali. Quel che serve è innanzi tutto la concentrazione geografica, in secondo luogo la concentrazione sul campo di applicazione del sostegno, e in terzo luogo la concentrazione amministrativa. Ciò significa che il sostegno finanziario deve essere diretto a quegli Stati membri e a quelle regioni che mostrano di averne più bisogno. In altre parole, quelle regioni in cui un miglioramento della situazione socioeconomica è impossibile senza il sostegno decisivo della politica di coesione comunitaria. Ne consegue che ogni regione deve individuare i settori che necessitano più urgentemente di sostegno, invece di citare tutti i settori possibili e immaginabili senza effettuare un’analisi approfondita. Ogni regione dovrebbe scegliere tra tre e cinque dei 10 settori offerti dalla Commissione in cui concentrare il 100 per cento delle dotazioni disponibili. Dobbiamo quindi continuare ad alleviare il carico amministrativo. Dobbiamo aumentare il livello di fiducia delle istituzioni coinvolte, per ottimizzare il numero di funzioni ricoperte da tali istituzioni. Mi preme sottolineare che il criterio di distribuzione attualmente in vigore per il sostegno della politica di coesione dell’UE – PIL pro capite a parità di potere d’acquisto (fino al 75 per cento della media UE) – è un criterio adeguato, testato e sicuro per definire l’insieme di regioni idonee a ricevere assistenza nel quadro della convergenza, in quanto riflette le vere disparità che sussistono tra gli Stati membri e le regioni comunitarie.
Siiri Oviir (ALDE), per iscritto. – (ET) Condivido l’opinione del relatore secondo cui la politica di coesione dell’Unione è una delle politiche più importanti per aumentare la competitività della regione e garantire lo sviluppo sostenibile. Poiché la crisi finanziaria internazionale ha esercitato un’influenza negativa su tutte le regioni europee, in misura minore o maggiore, la politica di coesione, che offre un valore aggiunto, ha sicuramente una funzione importante da svolgere nel garantire che le regioni possano emergere più forti dalla recessione. Purtroppo, i governi di molti Stati membri non comprendono il ruolo e l’importanza delle regioni – le autorità locali – a sufficienza, in quanto temono di perdere il loro potere e di cederlo alle regioni. Ad esempio, il governo del mio paese, la Repubblica di Estonia, adotta spesso leggi importanti in materia di autorità locali senza tener conto del processo decisionale dell’autorità. Per non discriminare contro le varie regioni, andrebbe prestata maggiore attenzione all’azione normativa intrapresa dai governi degli Stati membri e accertarsi che le loro azioni non siano contrarie alle leggi degli stessi Stati membri e ai valori europei. È vero che ora molte regioni europee hanno ottenuto maggior sostegno politico grazie al Comitato europeo delle regioni, alla Corte di giustizia europea e alla Commissione in casi in cui i governi degli Stati membri hanno ignorato i diritti delle autorità locali. Ritengo che una politica di coesione europea efficace e la realizzazione degli obiettivi illustrati nella direttiva contribuiranno a garantire il funzionamento delle regioni, che a loro volta miglioreranno l’operatività dell’Unione europea nel suo complesso e, al contempo, ciò impedirà l’emarginazione delle regioni periferiche.
Marie-Thérèse Sanchez-Schmid (PPE), per iscritto. – (FR) Le relazioni Luhan e Mănescu illustrano giustamente i principi su cui dovrebbe fondarsi la nostra
politica di coesione. Vorrei tuttavia soffermarmi su tre aree in cui dobbiamo essere più ambiziosi. La prima è la coesione territoriale. Il concetto viene spesso citato ma raramente tradotto concretamente in azioni pratiche. Ad esempio, dovremmo prestare particolare attenzione alle regioni di confine. Gli handicap e le difficoltà cui sono soggette tali regioni rispecchiano i limiti dell’integrazione europea. Queste aree di frattura dovrebbero diventare aree di giuntura. L’area successiva è il trattamento non paritario delle regioni che oscillano tra l’obiettivo 1 e l’obiettivo 2. Ci può essere una differenza di importo fino a dieci volte in termini di aiuti concessi ad alcune regioni col medesimo PIL. È tempo di stabilire un meccanismo transitorio che riservi lo stesso trattamento a tutte le regioni con un PIL compreso tra il 75 per cento e il 90 per cento della media comunitaria. Infine, dobbiamo adoperarci per individuare nuovi indicatori di performance. Le sfide legate allo sviluppo che le regioni si trovano a dover affrontare sono strettamente correlate ai vincoli cui sono soggette a livello locale. Dobbiamo perfezionare i nostri criteri a tutti i livelli di governance, per poter calibrare con precisione le esigenze e gli obiettivi dello sviluppo regionale.
Richard Seeber (PPE), per iscritto. – (DE) Occorre dedicare un’attenzione particolare alla politica europea di coesione nell’interesse di una crescita sostenibile più marcata e di una maggiore competitività. In un’Europa delle regioni, il PIL dovrebbe continuare a essere il criterio principale per determinare l’ammissibilità delle regioni alle sovvenzioni. Tuttavia, la politica regionale europea deve coprire tutte le regioni ed essere al contempo sufficientemente flessibile da tener conto delle differenze regionali e territoriali. Se vogliamo sfruttare appieno il potenziale di crescita delle regioni e conseguire la coesione economica, sociale e territoriale nell’Unione europea, è essenziale prestare particolare attenzione alla competitività. Nel fare ciò, dobbiamo anche considerare i problemi di piccola entità negli Stati membri più ricchi. In particolare, ricerca e innovazione dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale in tutte le regioni, quali strumenti per migliorare la competitività dell’UE, motivo per cui è necessario continuare a promuovere tali aree in futuro. Benché gli obiettivi Europa 2020 vengano definiti a livello comunitario, è essenziale che le autorità locali e regionali vengano maggiormente coinvolte nella loro attuazione; un approccio dal basso verso l’alto è essenziale se vogliamo attuare in maniera efficiente gli obiettivi economici della strategia Europa 2020.
Monika Smolková (S&D), per iscritto. – (SK) La politica di coesione deve continuare a ricoprire un ruolo chiave tra le politiche comunitarie dopo il 2013, con dotazioni sufficienti e soddisfacendo le seguenti condizioni: semplificazione delle procedure per l’assegnazione delle risorse dai Fondi strutturali, creazione di un quadro per il partenariato pubblico-privato, infrastrutture come condizione imprescindibile per aumentare la competitività globale, partenariato quale requisito per sviluppare partenariati veri con gli organi regionali e locali e la società civile e quale strumento per l’efficacia, la legalità e la trasparenza della fase di programmazione e di impiego dei Fondi strutturali, e applicazione di governance plurilivello, sia orizzontalmente sia verticalmente. Ci sarebbero anche altre condizioni, ma se vogliamo adempiere ai compiti della strategia 2020 reputo che sia essenziale conformarsi alle condizioni testé elencate.
Zbigniew Ziobro (ECR), per iscritto. – (PL) L’Europa sta attraversando un periodo difficile. Gli effetti della crisi finanziaria del 2008-2009 sono ancora marcatamente presenti nell’economia, e questo sta provocando un approfondimento del divario tra le regioni ricche dell’Europa occidentale e le regioni povere dell’Europa centrale e meridionale. Tale situazione rende necessario rafforzare i meccanismi efficaci per la lotta contro la crisi. I più importanti di questi, a livello di Unione, sono la politica di coesione e i fondi regionali. Il cofinanziamento degli investimenti a livello locale ha fatto sì che questi ultimi diventassero un esempio illuminante di una cooperazione europea che va oltre gli interessi nazionali. Hanno inoltre offerto un contributo significativo all’ampliamento delle aree europee che tra il 2004 e il 2007 hanno conseguito la crescita economica, e hanno ridotto il divario tra i paesi della vecchia e della nuova Europa.
Per questo è diventato così importante incrementare i fondi comunitari a favore della politica di coesione nel quadro finanziario per il periodo 2013-2020, per mantenere la convergenza quale obiettivo primario, e per confermare il meccanismo attuale di selezione dei beneficiari sulla base dei livelli di PIL delle diverse regioni. Ritengo che la possibilità di aumentare il livello di cofinanziamento degli investimenti dal 75 per cento all’80 per cento, riducendo al contempo le sovvenzioni destinate alle regioni remote, sia altrettanto importante. Dal punto di vista dei paesi dell’Europa occidentale, ritengo sia anche essenziale continuare a finanziare gli investimenti nelle infrastrutture, in particolare nel corridoio verticale che congiunge il nord al sud dell’Europa.
21. Effetto della pubblicità sul comportamento del consumatore (breve presentazione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0338/2010), presentata dall’onorevole Juvin a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sull’impatto della pubblicità sul comportamento del consumatore [2010/2052(INI)].
Philippe Juvin, relatore. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, perché una relazione sulla pubblicità? Perché la pubblicità può essere la migliore ma anche la peggiore delle cose.
Può essere la peggiore delle cose se è fuorviante, se è invadente, se è ingannevole, se non rispetta le regole del gioco, se, fondamentalmente, non dà quello che i consumatori si aspettano, cioè informazione. Può essere la migliore delle cose perché è anche un sorprendente strumento di sviluppo economico. La pubblicità olia le ruote dell’economia e, come ha detto qualcuno, se ben fatta, la pubblicità offre al consumatore anche uno strumento per effettuare confronti e, in qualche modo, stimola la concorrenza.
La pubblicità, quindi, non è nulla di nuovo. Allora perché un nuovo testo quando ce ne sono già altri? I motivi sono numerosi. In primo luogo, perché oggidì la pubblicità non è più quella di una volta. Qualche tempo fa ho letto in un rapporto statunitense – ma la situazione europea è simile – che il 29 novembre dell’anno scorso, in un solo giorno, il commercio elettronico ha registrato un fatturato superiore a 1 miliardo di dollari. Si tratta di un aumento ragguardevole del commercio elettronico e degli strumenti pubblicitari online. Uno dei motivi alla base di questa relazione è il fatto che le norme che disciplinano la pubblicità talvolta sono del tutto inadeguate agli strumenti pubblicitari che si sono andati affermando negli ultimi anni.
La pubblicità può essere invadente, e lo sta diventando sempre più. Invade la vita privata. Nella pubblicità c’è anche qualcosa di completamente nuovo, non previsto dai testi già in vigore: la pubblicità può essere occulta, può non presentarsi apertamente come tale. Un caso famoso in tal senso è quello di Facebook, una delle reti sociali – uno strumento nuovo che non è contemplato dalle norme in vigore – dove gruppi di persone denunciano presunti difetti o altri problemi di un prodotto. Cose del genere possono letteralmente distruggere un marchio in pochi giorni o poche settimane.
È dunque evidente che la pubblicità di ieri non è del tutto uguale alla pubblicità di oggi, la quale utilizza strumenti che prima non esistevano. Penso, in proposito, alla pubblicità comportamentale, alla pubblicità mirata, alla lettura dei messaggi privati di posta elettronica. C’è qui qualcuno che voglia o sia disposto ad accettare che la propria corrispondenza elettronica privata sia letta da altri? Orbene, questo è esattamente ciò che succede oggi a fini di pubblicità.
Fondamentalmente, onorevoli colleghi, penso che dobbiamo tenere a mente alcuni valori molto semplici: rispetto della vita privata, tutela delle persone più vulnerabili, perché sappiamo benissimo che i bambini fanno parte appunto dei soggetti più vulnerabili cui si rivolge la cosiddetta pubblicità comportamentale, ossia una pubblicità mirata alle loro abitudini. I bambini non si rendono conto del fatto che questa non è una pubblicità qualsiasi, giunta a loro per caso. Si tratta invece di una pubblicità che ha come obiettivo le loro scelte individuali. Un adulto può capirlo, un bambino no.
Bene, le nuove tecnologie comportano nuove sfide, e si tratta di sfide economiche considerevoli. È evidente che, al fondo, questa è una discussione politica. La questione è stata risolta, o almeno così sostengono quei professionisti che vogliono più di tutto che il mondo della pubblicità non venga toccato. È vero anche che alcuni professionisti ci dicono che, dopo tutto, i consumatori sono messi in guardia sui siti web da lunghe e dettagliatissime dichiaratorie in materia di protezione dei dati. In realtà, sappiamo bene che nessuno si mette a leggere quelle dichiarazioni lunghe e incomprensibili sulla politica di protezione dei dati, e se anche qualcuno si prova a farlo, non le capisce perché sono praticamente illeggibili. Quindi, alla fin fine ritorniamo sempre alla questione di partenza: la pubblicità deve essere corretta, deve rispettare altre persone e deve rispettare la vita privata. I consumatori non devono essere spiati né presi di mira a loro insaputa. I consumatori, i cittadini devono essere rispettati.
Signor Presidente, concludo dicendo che dobbiamo dunque perseguire due obiettivi: primo, la pubblicità deve essere corretta, più rispettosa, più efficace e, dunque, più rispettosa della vita privata, ma anche i cittadini, cioè i cittadini consumatori, devono essere più consapevoli, non devono venire manipolati, devono essere meglio informati e più critici. Questa è la finalità complessiva della relazione.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi auguro che l’Aula accolga e approvi la relazione nel suo complesso.
Zuzana Roithová (PPE). – (CS) Signor Presidente, sono a favore della relazione concernente l’impatto della pubblicità sul comportamento del consumatore. Poiché la relazione non affronta il tema della regolamentazione della pubblicità di giochi d’azzardo, vorrei far presente che le lotterie online e i relativi messaggi pubblicitari non conoscono frontiere e sono facilmente accessibili ai più giovani. Sette Stati membri vietano il gioco d’azzardo online, però esso rimane accessibile in quei paesi. Sono convinta che è necessario cercare di prevenire le conseguenze negative della dipendenza dal gioco. Dobbiamo imporre in tutta l’Europa il divieto di diffondere messaggi pubblicitari rivolti a bambini e ragazzi, perché esporre i bambini alla pubblicità di lotterie virtuali significa mettere a rischio la loro vita futura allo stesso modo che esporli alla pubblicità incontrollata di alcool, sigarette e altre sostanze che danno dipendenza. Inoltre, la pubblicità di casinò e giochi talvolta non è soggetta a restrizioni nemmeno al di fuori di Internet, sicché capita di trovare sale giochi e pubblicità del gioco d’azzardo anche vicino a scuole. Mi auguro che la discussione odierna dia nuovo slancio alla Commissione per la messa al bando della pubblicità dei giochi d’azzardo, considerato l’indubbio interesse pubblico di una simile decisione.
Antigoni Papadopoulou, (S&D). – (EL) Signor Presidente, mi congratulo con il relatore, l’onorevole Juvin, per la sua relazione sull’impatto della pubblicità sul comportamento del consumatore.
La relazione analizza la legislazione vigente, mette in luce talune criticità nella sua applicazione e l’esistenza di pratiche commerciali scorrette, oltre a sottolineare l’importanza dell’autoregolamentazione e della tutela dei consumatori vulnerabili, quali i bambini, gli adolescenti e gli anziani, oltre all’esigenza di utilizzare la pubblicità come un potente catalizzatore nella lotta contro stereotipi e pregiudizi.
Ho redatto con piacere il parere della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere e ringrazio il relatore per aver ripreso nel suo testo tutte le nostre proposte di tutela della parità di genere e della dignità umana. Invito tutte le parti interessate a collaborare strettamente per contrastare i messaggi pubblicitari non rispettosi o fuorvianti che degradano l’immagine della donna, e per promuovere standard corretti, affinché la pubblicità possa esercitare un’influenza positiva sulle percezioni sociali, nel rispetto della dignità umana e dei ruoli dei generi.
Christian Engström (Verts/ALE). – Signor Presidente, desidero commentare l’ultimo trattino del punto 25, che sarà sottoposto a votazione separata e che, mi auguro, riusciremo a depennare dalla relazione. In questo passo della relazione si dice che, quando i motori di ricerca mostrano messaggi pubblicitari correlati a una data parola chiave – ad esempio, si digita una parola chiave e quella parola è il nome di un marchio -, per poterlo fare si dovrebbe chiedere l’autorizzazione del proprietario del marchio.
Di primo acchito, tale richiesta può apparire ragionevole, ma, così com’è formulata, è del tutto contraria alla legge sul marchio. In primo luogo, i marchi sono registrati in 45 classi diverse di beni e servizi e uno stesso marchio può comparire in classi differenti all’interno dello stesso registro. Pertanto, se una persona vuole, ad esempio, che il proprio messaggio pubblicitario sia visualizzato in collegamento con la parola “golf”, sarebbe necessario che la Volkswagen autorizzasse chiunque in tal senso.
Il secondo problema è la quantità dei marchi registrati. In Europa ce ne sono milioni: presso il solo Ufficio marchi di Alicante ce ne sono 600 000, e poi molti altri ancora. Quindi, se qualcuno volesse pubblicizzare qualcosa che è correlato alla parola “argento”, dovrebbe probabilmente ottenere il permesso da parte di migliaia di proprietari di marchi – il che è semplicemente impraticabile. In tale ipotesi, che mi auguro non si avveri, l’attività dei motori di ricerca e la pubblicità e la concorrenza lecite diventerebbero impossibili. Pertanto invito i colleghi a votare...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Signor Presidente, inizierò dicendo che è un bene che il Parlamento europeo discuta delle pratiche scorrette nella pubblicità, soprattutto in riferimento alla diffusione di nuovi metodi e nuove tecnologie nel campo della pubblicità.
I nuovi metodi della comunicazione digitale hanno aperto una vasta gamma di possibilità per le agenzie pubblicitarie. Insieme con le nuove opportunità, però, sono sorti anche problemi nuovi che hanno a che fare con le tecniche di vendita aggressive, le frodi e i raggiri a danno di bambini e giovani vulnerabili, la cui sensibilità può subire pesanti attacchi. La regolamentazione della pubblicità in Internet deve fare i conti con l’ingegnosità degli autori dei testi pubblicitari. È essenziale imporre limiti ai metodi e alle tecniche che violano la protezione dei dati oppure principi etici o che intervengono nella sfera particolare dello sviluppo infantile. Dobbiamo perciò procedere a un’analisi approfondita e a una disamina delle tendenze correnti, focalizzandoci sull’applicazione di norme nuove, mirate a porre restrizioni alle tecnologie e ai metodi che violano la riservatezza delle famiglie e dei bambini e compromettono un sano sviluppo della famiglia. Dobbiamo altresì applicare queste norme con coerenza.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di tutto voglio esprimere al relatore la mia gratitudine. Vista dalla prospettiva dei valori nei quali mi riconosco, la discussione odierna riguarda uno degli argomenti più importanti degli ultimi tempi. L’unica cosa che mi disturba è il fatto che essa si svolga a un’ora così tarda. Come si sottolinea nella relazione, le persone più vulnerabili alla pubblicità sono i bambini e gli adolescenti, la cui libera volontà non è ancora abbastanza forte da metterli al riparo da facili influenze. Questo vale non solo per i messaggi pubblicitari illeciti, falsi e aggressivi, ma anche per la pubblicità in generale, perché viviamo in un mondo nuovo in cui le persone sono sottoposte all’incontenibile pressione di rientrare nei canoni della società consumistica già in tenera età. Nei programmi per bambini dovrebbero essere espressamente proibiti tutti i tipi di pubblicità.
Devo, poi, sottolineare specificamente il fatto che non sono i media tradizionali, come radio e televisione, a costituire la minaccia più grave per i giovani, bensì Internet. È lì che la pubblicità è più aggressiva, ed è lì che essa può procurare i danni peggiori al consumatore preso di mira. Le imprese meno scrupolose non rispettano nemmeno i dati personali e invadono la sfera privata delle persone usando i siti delle reti sociali. Un simile comportamento va assolutamente proibito e punito, e a tal fine dobbiamo tutti darci da fare affinché l’Unione europea si attivi.
Lara Comi (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono assolutamente favorevole alla proposta di risoluzione dall'onorevole Juvin sull'impatto della pubblicità sul comportamento del consumatore. Tenuto conto dell'importanza che la pubblicità riveste non solo per l'economia, ma anche per il mercato interno e per i consumatori, ritengo essenziale agire al fine di eliminare le conseguenze negative che talune pratiche pubblicitarie possono generare nei confronti di questi.
In particolare, apprezzo molto l'analisi compiuta dal relatore con riferimento al quadro legislativo ed extralegislativo esistente e alle carenze registrate nell'interpretazione e nell'attuazione dello stesso, che hanno precluso il raggiungimento di un adeguato livello di armonizzazione.
Bisogna concentrare gli sforzi sulla repressione delle pratiche commerciali sleali nel settore pubblicitario attraverso l'ampliamento del campo di applicazione della disciplina esistente.
La proposta offre una soluzione adeguata al costante problema della ricerca di un giusto equilibrio tra esigenze contrapposte quali la libertà di espressione e la protezione del consumatore.
Per concludere, esprimo ancora una volta i miei complimenti al relatore e ai relatori ombra.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, i diversi tipi di pubblicità che si sono andati diffondendo attraverso i nuovi mezzi di comunicazione negli scorsi anni sono diventati un fenomeno sociale che comporta il rischio dello sfruttamento della buona fede del consumatore medio.
A mio parere, la protezione del consumatore in questo campo necessita quanto meno di un minimo di base giuridica. Condivido la posizione del relatore e mi congratulo con lui per la sua relazione e per aver affrontato la questione in modo così costruttivo, dalla parte dei gruppi vulnerabili quali, in particolare, i bambini e i ragazzi, come già osservato da alcuni oratori che mi hanno preceduto. Come medico, appoggio fermamente questo approccio. Dobbiamo evitare che si verifichino casi di frode deliberata, nei quali i consumatori prendono decisioni sulla base di informazioni che essi reputano fondate su fatti obiettivi o studi comprovati, ma che invece sono soltanto di natura promozionale o commerciale. Sono allarmato dalla diffusione di pratiche pubblicitarie mirate direttamente ai consumatori privati, come la lettura dei messaggi di posta elettronica da parte di terzi che ne sfruttano i contenuti a fini commerciali. Le pratiche pubblicitarie adottate dalle imprese devono rispettare, senza eccezione alcuna, la riservatezza della corrispondenza privata e devono essere conformi alle norme sulla protezione dei dati.
Seán Kelly (PPE). – (GA) Signor Presidente, è difficile avere certezze in questa materia, soprattutto se si considera l’impatto della pubblicità sul comportamento dei consumatori. Ogni giorno viene pubblicata una nuova indagine e ognuna contiene risultati differenti da quelle precedenti.
(EN) Nondimeno, la pubblicità paga; le imprese private spendono fior di milioni per diffondere i loro messaggi pubblicitari alla radio, alla televisione e nei giornali, ma anche per la pubblicità occulta in forma di sponsorizzazioni. Allo stesso tempo, quando si analizza questo fenomeno ci si trova di fronte a un dilemma: da un lato c’è chi sostiene che uno dei modi per curare l’alcolismo consista nel vietare la pubblicità; dall’altro abbiamo visto che negli ultimi decenni l’uso di droghe è cresciuto in misura esponenziale, ma, essendo esse illegali, non vengono pubblicizzate né possono essere acquistare liberamente.
Penso quindi che vi sia la necessità di un’analisi indipendente e di un’adeguata vigilanza a livello comunitario, senza il coinvolgimento di interessi consolidati, al fine di stabilire veramente cosa sia bene e cosa sia male, cosa sia giovevole e cosa no, e soltanto dopo potremo legiferare di conseguenza. In caso contrario, credo che avremo ogni giorno indagini diverse che daranno soltanto i risultati voluti da chi le commissiona.
Johannes Hahn, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, a nome della Commissione e, in particolare, della Vicepresidente Reding ringrazio il relatore per questa preziosa relazione che analizza molti aspetti decisivi riguardanti l’influenza delle moderne tecniche pubblicitarie e il comportamento dei consumatori. Per trovare il modo migliore di affrontare le sfide derivanti dalla diffusione di Internet e delle nuove tecnologie, la Commissione ha condotto ampie consultazioni sul quadro giuridico esistente in materia di protezione dei dati durante il 2009 e il 2010.
Le consultazioni hanno confermato che i principi che stanno alla base della legislazione comunitaria vigente nel campo della protezione dei dati sono tuttora in gran parte validi. Ma è emerso anche che l’Unione europea ha bisogno di un approccio più completo e coerente nella sua politica di protezione dei dati personali al proprio interno e all’esterno. Pertanto, il 4 novembre la Commissione ha adottato una comunicazione su un approccio globale alla protezione dei dati personali nell’Unione europea.
La pubblicità online offre molti vantaggi ai cittadini europei, in particolare perché consente loro di accedere liberamente ai servizi. Molte delle tecniche di selezione dei destinatari – visualizzazione, pubblicità contestuale e certa pubblicità legata ai motori di ricerca, eccetera – non comportano la tracciatura e non sono motivo di gravi preoccupazioni. La Vicepresidente Kroes ha invitato le imprese a definire un quadro di autoregolamentazione per la pubblicità comportamentale online basato sul quadro normativo comunitario e sui quattro principi dell’effettiva trasparenza, di una forma idonea di affermazione o consenso, della facilità d’uso e dell’effettivo rispetto delle regole. La Commissione monitorerà gli sforzi delle imprese per valutare la necessità di un’ulteriore azione normativa.
Per quanto attiene alla pubblicità mediante messaggi di posta elettronica e alla riservatezza delle comunicazioni, la riforma delle telecomunicazioni adottata un anno fa ha rafforzato e chiarito le norme comunitarie sulla protezione dei dati, oltre ad aver imposto agli Stati membri l’obbligo di mettere in atto sanzioni dissuasive e garantire che le autorità competenti siano dotate non solo dei poteri necessari per applicare tali sanzioni ma anche di risorse adeguate. Gli Stati membri hanno tempo fino al maggio 2011 per recepire queste norme nella legislazione nazionale.
La Commissione riconosce che ci sono determinate differenze tra gli Stati membri nel recepimento della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. La Commissione ritiene che tali differenze, ad alcune delle quali sta ovviando d’intesa con gli Stati membri, siano marginali e che sembra sia stato raggiunto il livello di armonizzazione auspicato.
L’uso di clausole generali lascia un po’ di libertà d’azione agli Stati membri, però, allo stesso tempo, garantisce la validità della direttiva nel tempo. Al riguardo, gli orientamenti per l’applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali sono una delle iniziative adottate dalla Commissione per assicurare un’armonizzazione piena ed efficace; in altri termini, per garantire che le medesime norme siano interpretate e applicate uniformemente negli Stati membri. Come si suggerisce nella proposta di relazione, noi porteremo sicuramente avanti il nostro lavoro sugli orientamenti e aggiorneremo questo documento per tener conto delle questioni e degli sviluppi nuovi. La Commissione sta inoltre preparando una banca dati giuridica riguardante la legislazione, la giurisprudenza e l’attività accademica, per promuovere un’applicazione uniforme della direttiva negli Stati membri.
Per quanto riguarda le dichiarazioni sulla pubblicità in forma di commenti diffusi nelle reti sociali, nei forum e nei blog, è importante notare che, quando i consumatori agiscono per conto di un operatore commerciale e/o sono in qualche modo pagati da un operatore commerciale per fare determinate dichiarazioni, senza che ciò emerga chiaramente dal parere espresso o dalla dichiarazione, tale comportamento rientra nell’ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali in quanto pubblicità occulta. Per quanto riguarda le mere opinioni, esse, ovviamente, non sono considerate pubblicità.
In merito, la Commissione ritiene che la normativa sul marketing non costituisca lo strumento più idoneo, perché è una questione di libertà di espressione. Nondimeno la direttiva prevede specifiche tutele per i consumatori vulnerabili. L’età è un fattore di cui le autorità nazionali devono tener conto in sede di valutazione della correttezza di una pratica. La relazione concernente l’applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, prevista per il 2011, si baserà sull’esperienza degli Stati membri, anche su quella riguardante la pubblicità rivolta ai bambini e agli adolescenti, nella misura in cui saranno disponibili dati su questo particolare aspetto.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà mercoledì alle 12.30.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Tiziano Motti (PPE), per iscritto. – Condivido gran parte delle posizioni del collega Juvin sull'impatto della pubblicità sul comportamento dei consumatori. Ritengo, tuttavia, che la prevenzione della diffusione di commenti su reti sociali, forum/blog - che per le proprie caratteristiche rischino di configurarsi come moderno tipo di “pubblicità occulta” - possa essere attuata individuando le nuove forme d'illecito favorite da Internet ed ampliando la regolamentazione dell’archiviazione dei dati ai fornitori di contenuti in rete, piuttosto che evocando forme di censura, poiché considero prioritario rispettare il diritto di ogni cittadino di poter esprimere la propria opinione anche su Internet, quando non è provato che violi la Legge. Mi stupisce che si pensi di censurare un commento su un forum che si crede possa intervenire sulle scelte di acquisto dei consumatori e si ritenga invece lesiva della privacy dei cittadini la proposta di estendere l’attuale direttiva 2006/24 sull’archiviazione dei dati al fine di permette l’individuazione dei pedofili che adescano i minori tramite i social forum. Due pesi e due misure? I consumatori, soprattutto i più giovani, vanno tutelati dalla pubblicità occulta. Nondimeno occorre proporzionalmente tutelare la libertà di espressione, che costituisce uno dei pilastri su cui poggiano le nostre democrazie. Auspico, pertanto, che alle autorità competenti possano essere forniti gli strumenti necessari per individuare gli autori di reati in Internet tramite l’ampliamento della Direttiva 2006/24 ai "contents providers", come già richiesto nella dichiarazione del Parlamento P7_DCL(2010)0029 del 23 giugno 2010.
22. Regolamentazione della negoziazione di strumenti finanziari - "dark pool", ecc. (breve presentazione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0326/2010), presentata dall’onorevole Swinburne a nome della commissione per i problemi economici e monetari, sulla regolamentazione della negoziazione di strumenti finanziari – “dark pool”, eccetera [2010/2075 (INI)].
Kay Swinburne, relatore. – (EN) Signor Presidente, mi riesce difficile spiegare a chi non è avvezzo al linguaggio finanziario di cosa si occupi esattamente la mia relazione sui dark pool. Dal punto di vista formale, la relazione riguarda la negoziazione di strumenti finanziari, compresi i dark pool, che sono operazioni finanziarie e azionarie eseguite senza la trasparenza pre-negoziazione, altrimenti dette transazioni opache. Più in generale, la relazione presenta una valutazione dell’applicazione della direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID) del 2007 in riferimento alle azioni e cerca di affrontare questioni strutturali attualmente presenti sui mercati azionari.
La relazione è altamente tecnica, ma sono confortata dal livello elevato della discussione che abbiamo avuto in commissione. Mi fa piacere che, grazie al duro lavoro dei colleghi, sia stato possibile creare un’ampia base di consenso trasversale a tutti i gruppi, cosicché 194 emendamenti sono diventati 26 compromessi ai quali hanno potuto dare la loro adesione la maggior parte dei gruppi.
Considerata la tempistica di questa relazione d’iniziativa, la cui procedura culminerà nella votazione in Plenaria di questa settimana, credo altresì che il Parlamento europeo abbia offerto un significativo contributo alla consultazione pubblicata di recente sulla revisione della MiFID II, che prende in esame molte delle questioni sollevate durante le deliberazioni svoltesi in commissione. Con questa relazione, il Parlamento europeo ha chiesto che siano eseguite una serie di inchieste sulle diverse piattaforme di negoziazione attualmente regolamentate dalla MiFID e chiede inoltre un’analisi più attenta per garantire che le piattaforme di negoziazione che forniscono servizi equivalenti siano regolamentate a un livello equivalente.
Credo che, nel suo documento di consultazione, la Commissione avrebbe potuto compiere un passo ulteriore e ampliare la propria definizione delle piattaforme di negoziazione organizzate, includendovi tutti i siti in cui si incontrano venditori e compratori. Ciò vuol dire che si può eliminare una possibilità di eludere le norme. Nondimeno, questa soluzione garantisce il mantenimento della proporzionalità laddove consente una significativa differenziazione all’interno delle categorie dei mercati regolamentati, MTF, SI, BCN e piattaforme per gli strumenti derivati.
Gli investitori dovrebbero accogliere positivamente il nuovo livello di vigilanza che viene proposto per gli operatori di dark pool perché costoro, pur garantendo attualmente una protezione dal mercato più ampio, possono – quanto meno potenzialmente – compiere abusi. Concedere alle autorità di regolamentazione pieno accesso ai modelli operativi significherebbe mettere questi operatori in condizione di continuare ad agire come piattaforma per lo scambio discrezionale degli ordini dei clienti, senza però autorizzarli a espandersi e assumere dimensioni tali da compromettere la pubblicità del prezzo o da fornire copertura ad abusi di mercato.
Per quanto riguarda le deroghe previste dalla MiFID, il Parlamento europeo e la Commissione concordano sulla necessità di ridefinirle e assicurarne un’applicazione omogenea nell’intera Unione europea. A differenza di adesso, in futuro non dovrebbe essere più possibile ricorrere all’arbitraggio normativo in tutti gli Stati membri per trovare la migliore interpretazione di una data norma. Durante la preparazione di questa relazione e dei suoi emendamenti è emerso con chiarezza che il problema più grave nell’applicazione della MiFID è stata la mancanza di una versione di mercato di un sistema europeo di nastro consolidato. Per gli investitori statunitensi è incomprensibile che nell’Unione europea si possa operare senza disporre di un simile strumento. Il settore interessato e specialmente i gruppi di investitori hanno generalmente riconosciuto la necessità di tale strumento, ma nei tre anni dall’inizio dell’applicazione della MiFID gli operatori di mercato non sono riusciti a trovare un accordo per creare un sistema europeo di nastro consolidato. Al pari della Commissione europea, anche la commissione per i problemi economici e monetari è riluttante a fare di più che imporre i meccanismi di pubblicazione autorizzati, ma se non si troverà una soluzione di mercato, sarà necessario appoggiare la legislazione.
Gli attuali aspetti micro-strutturali del mercato azionario sono stati oggetto di un’accesa discussione in seno alla commissione. È stato concordato che pratiche come il flash order, lo spoofing e il pinging sono quanto meno sleali, ove non illecite. Invece, la commissione ha avuto molte più difficoltà nel trovare un accordo sul ruolo di certi operatori di mercato, con particolare riguardo agli eventuali vantaggi delle strategie di negoziazione ad alta frequenza. In mancanza di dati chiari, è difficile trarre conclusioni fondate quanto al loro ruolo – sia esso positivo o negativo – e pertanto, prima di proporre azioni legislative, dobbiamo essere certi di disporre di informazioni, per evitare di imporre norme che possano nuocere all’effettivo funzionamento dei mercati europei.
Fondamentalmente, dobbiamo garantire l’integrità dei nostri mercati finanziari. La funzione dei mercati finanziari non è quella di permettere agli intermediari e agli operatori illegali di interagire tra loro, bensì quella di offrire uno spazio agli investitori attraverso il quale far affluire capitali alle imprese e alle società che operano nell’economia reale. Nel portare avanti la procedura legislativa per la MiFID II, dobbiamo avere tutti ben chiara in mente questa funzione fondamentale dei mercati.
Philippe Juvin (PPE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Swinburne, certo, questo testo è estremamente complesso, ma, in sostanza, di cosa si occupa? Ancora una volta, bisogna trarre dalla crisi le debite conseguenze. Non possiamo continuare a comportarci come abbiamo fatto prima della crisi; dobbiamo invece cambiare le regole del gioco e riportare un po’ d’ordine nel sistema.
Nei paesi dell’Unione europea ci sono persone che sfruttano la crisi e le paure della gente per addossare tutta la colpa all’Europa. Dappertutto si sente dire che è a causa dell’Europa o a causa dell’euro se le cose non vanno bene, e che allora la soluzione è uscire dall’Europa e farla finita con l’euro. A tutti coloro che la pensano così dobbiamo continuare a ripetere che, in realtà, abbiamo bisogno di regole comuni; dobbiamo continuare a dire che, se i paesi europei non fossero uniti, se fossero isolati, adesso sarebbero finiti. Sì, abbiamo bisogno di norme, di una politica comune e di regole comuni, ma dobbiamo anche rivedere le nostre regole e migliorare il funzionamento del sistema.
Onorevoli colleghi, a ben guardare, la questione è molto semplice: insieme siamo forti, da soli siamo finiti!
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signor Presidente, la ringrazio per aver assegnato i tempi di parola così generosamente. D’ora in avanti verificherò con particolare attenzione quali sedute saranno presiedute da lei e cercherò di essere sempre presente. La relazione dell’onorevole Swinburne è molto importante perché ci permette finalmente di discutere della regolamentazione delle negoziazioni di strumenti finanziari. Il primo e più rilevante errore di questa relazione è il fatto che tanto la relazione quanto la richiesta di altre norme arrivano in ritardo. In secondo luogo, se finora il quadro normativo è stato poco chiaro, dobbiamo fare un’analisi retrospettiva e approfondita di tutto ciò che è successo. Credo che non abbia senso e sia sicuramente un errore escludere gli investimenti più consistenti dall’applicazione delle norme di vigilanza più severe. È necessario valutare non soltanto la natura delle negoziazioni ma anche i derivati emessi; inoltre, alle nuove emissioni si devono applicare regole più rigide.
È un fatto che l’inflazione è alimentata dai prodotti finanziari derivati. A pagare per l’inflazione sono i cittadini, mentre a incassare i profitti sono vari soggetti giuridici internazionali di cui spesso si sa ben poco. Peraltro, non sarebbe vantaggioso reinvestire nell’economia reale i profitti realizzati in questo modo, perché l’intero pianeta potrebbe diventare un po’ alla volta di proprietà dei più ricchi.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, al centro della relazione dell’onorevole Swinburne sta la necessità di garantire parità di condizioni tra le varie piattaforme di negoziazione multilaterali. Penso che sia altrettanto importante sottoporle allo stesso livello di vigilanza. Voglio sottolineare l’esigenza di adottare norme più idonee al fine di ridurre il rischio sistemico e garantire una concorrenza leale sul mercato.
Attualmente c’è una preoccupante mancanza di informazioni sulle strategie di negoziazione. L’unico modo per consentire alle autorità di regolamentazione di comprendere veramente se il mercato sta funzionando a dovere è disporre di informazioni sufficienti. L’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dovrebbe elaborare norme e formati comuni di notifica validi per tutti i dati, sia per le piattaforme di negoziazione organizzate sia per le OTC.
Penso che sarebbe utile analizzare gli effetti della fissazione di una consistenza minima degli ordini per tutte le transazioni opache. Si potrebbe così accertare se viene mantenuto un flusso adeguato di negoziazioni.
Johannes Hahn, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, a nome della Commissione e in particolare del Commissario Barnier risponderò dicendo che migliorare la trasparenza dei mercati finanziari e garantire che tutti i partecipanti al mercato siano sottoposti ad adeguati livelli di regolamentazione sono obiettivi chiave della Commissione europea e del G20.
Mi congratulo con l’onorevole Swinburne e la commissione per i problemi economici e monetari per la relazione sulle negoziazioni di strumenti finanziari, dark pool, eccetera. La relazione rappresenta un passo importante nel contesto dell’attuale revisione della direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari, la MiFID. La Commissione sta integrando attentamente le sue raccomandazioni nelle proprie riflessioni sulle modifiche da apportare nel 2011 alla direttiva vigente. La revisione della MiFID è un elemento importante del programma di lavoro della Commissione in vista di un sistema finanziario più stabile e trasparente che vada a vantaggio sia della società sia dell’economia nel suo complesso. Molti tasselli sono già stati collocati al loro posto, tra cui l’istituzione il mese prossimo di una nuova autorità comune di vigilanza.
La Commissione si è impegnata a presentare proposte sugli altri punti entro l’estate 2011. Contiamo sul sostegno del Parlamento europeo affinché si adottino prontamente le riforme necessarie ad assicurarne un’applicazione quanto più rapida possibile.
Come sapete, la MiFID è la pietra angolare del quadro legislativo comunitario per i mercati finanziari. Esso è precedente alla crisi finanziaria, ma, nel complesso, ha dimostrato di funzionare bene, anche nei momenti difficili e turbolenti degli ultimi anni.
Naturalmente sono emerse alcune carenze. A seguito del progresso tecnologico e dei rapidi cambiamenti sui mercati finanziari, gli strumenti di regolamentazione che ancora pochi anni fa rappresentavano lo stato dell’arte oggi sono diventati decisamente obsoleti.
L’8 dicembre la Commissione ha pubblicato proposte di consultazione. Vogliamo avere un approccio ambizioso e globale a tutte le sfide. Pur riconoscendo che gli obiettivi originari della MiFID sono tuttora validi, le questioni in gioco riguardano aspetti problematici del funzionamento dei nostri mercati finanziari, il loro grado di apertura e trasparenza e le modalità di accesso degli investitori agli strumenti finanziari e alle opportunità di investimento.
Come si evince dalla relazione della commissione per i problemi economici e monetari, anche noi abbiamo avvertito l’esigenza di migliorare la regolamentazione di nuovi tipi di piattaforme e di metodi di negoziazione. In tale contesto, occorre tenere nel debito conto la natura delle operazioni, al fine di garantire parità di condizioni tra i partecipanti al mercato, e un’adeguata protezione degli investitori, nonché la tutela da pratiche di mercato dirompenti.
Concordiamo anche sulla necessità di migliorare le norme sulla trasparenza applicabili alle negoziazioni di azioni e di introdurre nuovi requisiti per la negoziazione di altri strumenti. Un altro punto importante affrontato nella relazione Swinburne è il miglioramento del funzionamento e della regolamentazione dei mercati dei prodotti derivati in conformità dei principi del G20.
Inoltre, vogliamo migliorare in modo mirato le norme vigenti in materia di protezione degli investitori. Garantire che tutti i prodotti e tutte le pratiche di vendita sono adeguatamente coperti da norme uguali è un fattore vitale per riconquistare la fiducia dei consumatori.
Infine, questa revisione rafforzerà la vigilanza e l’applicazione delle norme su tutti i mercati finanziari. In tale contesto, un ruolo chiave sarà svolto dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Nel portare avanti il proprio lavoro, la Commissione sta operando in stretta intesa con i partner internazionali, in particolare con le autorità di regolamentazione competenti degli Stati Uniti, che si stanno occupando di queste stesse questioni, con l’intento di giungere a una convergenza internazionale ed evitare qualsiasi rischio di arbitraggio normativo.
La relazione dell’onorevole Swinburne arriva in un momento importante del processo di riforma normativa. Ci sentiamo incoraggiati dall’impegno dimostrato dagli onorevoli deputati e dal fatto che le vostre analisi e raccomandazioni in gran parte coincidono con le nostre. Questa relazione rafforza la base per il nostro lavoro futuro.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 12.00.
La prossima seduta si svolgerà domani, giovedì 14 dicembre 2010, dalle 9.00 alle 13.00, dalle 15.00 alle 20.30 e dalle 21.00 alle 24.00.
L’ordine del giorno è stato pubblicato ed è disponibile sul sito del Parlamento europeo.
La seduta è chiusa.
23. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale