Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, mi sono espresso a favore di questo testo eccellente, elaborato dall'onorevole Paliadeli che ha svolto un lavoro ineccepibile per l'istituzione del marchio del patrimonio europeo.
Questo risultato indica molto chiaramente la nostra capacità di ottenere, in ambito comunitario, uno speciale valore aggiunto con pochi sforzi. Credo che il marchio del patrimonio europeo apporterà notevoli benefici ai siti cui sarà attribuito, riscontrabili nel numero di visite turistiche, contribuendo a promuovere l’immagine dell’Europa.
È fondamentale ricordare che l'Europa è unita nella diversità e dobbiamo garantire che i cittadini dei diversi paesi europei possano scoprire il mosaico dell’identità europea su una più vasta scala.
Ho concluso, signora Presidente, anche se devo ammettere che è difficile concentrarsi mentre gli onorevoli colleghi abbandonano l’Aula, ma spero che abbiano potuto ascoltare il mio intervento.
Antonello Antinoro (PPE). − Signora Presidente, onorevoli colleghi, il marchio del patrimonio europeo è di fondamentale importanza per un continente che racchiude la maggior parte dei siti UNESCO e che finalmente mette in evidenza quei siti naturali, archeologici, urbani e di interesse culturale, che hanno avuto un ruolo importante nella storia, nella cultura e nell'integrazione dell'Unione europea.
L'approvazione del marchio è un passo importante per il processo di coesione dell'Unione ed è anche educativa e formativa per il dialogo culturale. Si può notare anche come questa scelta sia di buon auspicio per le nuove generazioni che avranno sempre più una visione comune del patrimonio europeo, che le possa accomunare storicamente e culturalmente.
Nel ringraziare per lo sforzo la relatrice, le faccio le mie più sentite congratulazioni per i negoziati svolti con la Commissione, per un'efficace riuscita di questa iniziativa, così importante per il futuro della preservazione della cultura europea.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, il programma per l’apprendimento permanente è uno dei maggiori successi ottenuti nell’ambito comunitario e ritengo doveroso ringraziare l’onorevole Pack per l’eccellente lavoro svolto. Ho votato a favore di questa relazione e sono lieto che dimostri a quanti si oppongono fortemente all'integrazione europea la necessità di progetti quali il programma di apprendimento permanente.
È molto importante promuovere il programma anche all’esterno dei confini comunitari e ora sarà coinvolta anche la Svizzera. La sua partecipazione non graverà sui contribuenti europei perché le spese correlate saranno a carico del paese stesso. Le migliori pratiche e i programmi comunitari di successo devono essere ampliati in questo modo e i programmi di apprendimento permanente e Gioventù in azione rappresentano due ottimi esempi. A questo proposito, desidero quindi dare il mio benvenuto alla Svizzera nei programmi comunitari per la gioventù e la cultura.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, vorrei porre una domanda a questa Assemblea: quali sono le motivazioni alla base del successo della Svizzera? Sarebbe ragionevole pensare che un paese particolarmente coinvolto nel settore finanziario avrebbe notevolmente risentito della recente crisi bancaria, ma la Confederazione elvetica ha registrato nel 2009 un PIL pro capite pari al 214 per cento rispetto quello dell'UE. I cittadini svizzeri sono due volte più ricchi rispetto ai cittadini degli Stati membri.
Ovviamente, questa situazione è in parte dovuta agli accordi che la Svizzera ha siglato con Bruxelles; infatti, il paese è parte del mercato libero, rientra nella libera circolazione di beni e servizi e così via, ma non è coinvolto nella Politica agricola comune e nella Politica comune della pesca, controlla i propri confini, stabilisce le sue prerogative in materia di diritti umani, versa un contributo minimo per il bilancio ed è libero di sottoscrivere accordi con paesi terzi in ambito commerciale.
Davvero un bel modello per il Regno Unito! Se sette milioni di svizzeri che possono contare su accordi bilaterali di libero scambio riescono a fornire ai propri cittadini il più elevato tenore di vita nel continente, quale risultato potremmo raggiungere noi, una nazione con 60 milioni di abitanti, una nazione marittima dedita al commercio, le cui forze colonizzatrici e imprenditoriali hanno raggiunto tutti i continenti?
E non dovremmo confinare tutto questo nelle nostre relazioni con Bruxelles! Se potessimo riavere i nostri poteri, copieremmo il modello svizzero di localismo e democrazia diretta e sposteremmo i poteri al più basso livello possibile di praticabilità.
Cristiana Muscardini (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi sono astenuta al voto di oggi su questa relazione sulla comitatologia perché ancora una volta si sta cercando di rendere inapplicabili, o legate a scelte politiche discrezionali, le procedure antidumping che, come sappiamo, rimangono uno dei pochi strumenti di difesa validi per impedire la concorrenza scorretta.
Nonostante il relatore abbia trovato un compromesso con il Consiglio, non si può evitare di sottolineare come questa proposta non sia stata in grado di allineare la politica commerciale con le procedure di comitatologia, specialmente per la parte relativa alle politiche commerciali, che colpisce le imprese europee in un momento di grave crisi, creando nuova disoccupazione e nuova delocalizzazione.
Senza regole adeguate contro la contraffazione, è inutile parlare di misure per il rilancio dell'economia europea!
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, cercherò di essere il più chiaro possibile. Le tasche dei contribuenti irlandesi ed europei vengono svuotate per sostenere il sistema bancario europeo e la moneta unica. Ieri la Camera dei Comuni del mio paese ha approvato un accordo bilaterale di prestiti sostenuto, credo, da generosi e sinceri eurodeputati che ritenevano di aiutare in questo modo un paese amico.
La verità, però, è che non si aiuta un amico indebitato offrendo ulteriori prestiti con tassi d’interesse rovinosi. L’Irlanda è stata rovinata dalla moneta unica: tra il 1998 e il 2007, il paese ha registrato tassi d'interesse reali pari al -1 per cento. Tutti gli economisti irlandesi si sono resi conto dell’avvicinarsi del tracollo, ma non potevano intervenire in alcun modo perché non esistevano più tassi di interesse irlandesi da elevare. Ora, con la crisi, la situazione è aggravata dall'incapacità di svalutare e un’intera nazione è probabilmente condannata alla deflazione, all’indebitamento e all’emigrazione per mantenere vivo questo nostro progetto.
Anziché contribuire a salvare l’euro in Irlanda, dovremmo invece aiutarla ad uscirne e ristabilire la propria valuta, con un eventuale collegamento temporaneo alla sterlina, consentendole di estinguere i debiti e ristabilirsi quale Stato prospero e indipendente.
Cristian Dan Preda (PPE). – (RO) Signora Presidente, desidero in primo luogo congratularmi con l’onorevole Andrikienė per l'impegno profuso nella redazione di questa relazione e intendo esprimere il mio sostegno all’emendamento n. 25 nel suo complesso perché ritengo che il clima di impunità presente in Russia sia estremamente pericoloso.
L’Unione europea intende difendere sulla scena internazionale gli stessi principi che la guidano all’interno dei suoi confini, ovvero la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani. Tuttavia, sono ben evidenti gli omicidi negli ultimi anni di numerosi attivisti nel campo dei diritti umani e questa situazione getta ombre sullo sviluppo di una democrazia reale in Russia.
Il messaggio che intendiamo inviare alle autorità russe attraverso l'emendamento n. 25 riguarda la pressante necessità di condurre un’inchiesta sulla morte di Sergey Magnitsky. La risposta delle autorità di Mosca a questa iniziativa testimonia l'intenzione di ascoltare i messaggi del Parlamento europeo, fornendo in questo modo un'ulteriore motivazione per condannare a gran voce la mancanza di indagini sul caso. Invitiamo pertanto il Consiglio a monitorare costantemente questa situazione e ad attuare le misure necessarie qualora non dovessero esserci progressi in tal senso.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signora Presidente, l’Unione europea si impegna a tutelare i membri più deboli della società e quanti sono soggetti a discriminazioni, sostiene gli individui che versano in gravi condizioni di indigenza e conferisce il Premio Sacharov a persone provenienti da ogni parte del mondo. Tuttavia, l’Unione spesso non riesce a garantire il rispetto diritti umani all'interno del suo stesso territorio. Desidero richiamare la vostra attenzione sul persistente problema della discriminazione delle minoranze, compresa la minoranza polacca in Lituania, uno Stato membro firmatario di accordi e trattati internazionali in materia di tutela dei diritti umani e delle minoranze. Proprio oggi, il parlamento lituano avrebbe dovuto esprimersi sull’imposizione di limiti alla possibilità di ricevere l'istruzione in una lingua minoritaria, ma ha deciso di posporre la decisione.
Invito ancora una volta gli onorevoli deputati di questa Camera, il Presidente del Parlamento e la Commissione europea a garantire che gli Stati membri osservino i principi di democrazia e rispetto dei diritti delle minoranze. Le limitazioni imposte al numero delle ore di insegnamento madrelingua nelle scuole e le misure volte a chiudere le scuole polacche in Lituania rappresentano, a tutti gli effetti, una discriminazione contro una minoranza nazionale.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signora Presidente, anch'io sostengo l'emendamento n. 25 e in particolar modo la seconda parte, in cui il Parlamento europeo suggerisce di esaminare l’opportunità di "imporre un divieto di ingresso nell’UE per i funzionari russi coinvolti in questo caso, e incoraggia le agenzie dell’UE responsabili dell’applicazione della legge a cooperare per congelare i conti bancari e gli altri beni di questi funzionari russi in tutti gli Stati membri dell’UE".
Ritengo che si tratti di una questione di importanza cruciale per la Russia e per l'Unione europea e incoraggio fortemente la Commissione e il Consiglio a seguire i pareri di questa Assemblea. I poteri del Parlamento sono ora maggiori ed è quindi giunto il momento di passare dalle parole ai fatti, attaccando quanti violano i diritti umani.
Ritengo che la cooperazione tra Russia e Unione europea possa continuare ad avere reali prospettive di sviluppo solo se saranno risolti i casi Magnitsky e Khodorkovsky e saranno puniti i responsabili.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, ho votato a favore della relazione Andrikienė perché ritengo sia importante parlare di diritti umani e portarli in primo piano, in quanto rappresentano un pilastro dell’Unione.
Dobbiamo assicurarci di mettere in pratica quanto predichiamo e questo probabilmente rappresenta un problema. Vi sono, ovviamente, molte risoluzioni, ma la vera sfida ora è attuarle.
Partiamo dalla realtà pratica: ad esempio, avrei forse dovuto chiedere la parola per un richiamo al regolamento in merito alla relazione Arlacchi. Circa cinquanta onorevoli colleghi si sono alzati in piedi in quel lato della Camera; li abbiamo contati con i miei colleghi; è stato invece stimato un numero inferiore a quaranta e la loro opposizione non ha quindi portato ad alcuna azione. Se trattiamo in questo modo le persone che in questa Assemblea esprimono opinioni contrarie alle nostre o a quelle della maggioranza, non possiamo essere in alcun modo giustificati a criticare i paesi in cui vi sono carenze dal punto di vista della democrazia.
Dobbiamo essere attenti a garantire che il lavoro svolto nell'UE rispetto le norme, i regolamenti comunitari e le disposizioni giuridiche in materia di diritti umani. Ritengo, pertanto, che vi siano miglioramenti da apportare per risultare credibili quando affrontiamo simili questioni con la Russia e con il resto del mondo. Dobbiamo impegnarci, in prima persona, ad assicurare che nessuna minoranza sia discriminata e che quanti lavorano per l’Unione possano godere dei diritti umani a pieno titolo.
Peter van Dalen (ECR). – (NL) Signora Presidente, il Parlamento sta seguendo una direzione già nota nell'ambito di questa discussione; le truppe americane della NATO hanno creato una situazione di confusione in Afghanistan e l'Unione europea è dovuta intervenire come un angelo custode e prendere iniziative.
Come di solito accade, la reazione di molti onorevoli in questa Camera è quella di pensare che se solo l’UE agisse un po’ di più, la situazione tornerebbe ad essere accettabile. Signora Presidente, questo modo di pensare è ulteriormente aggravato da quanto affermato nel paragrafo 63 della relazione che raccomanda il coinvolgimento dell'Iran per contribuire a rimediare ai problemi dell'Afghanistan. Signora Presidente, ho dovuto leggere questo passaggio per tre volte per essere sicuro di non averlo solo immaginato, ma il testo recita davvero così: "raccomanda il coinvolgimento dell’Iran"! Penso mi sia capitato molto di rado di sentire una proposta strana quanto questa: è come utilizzare Belzebù per esorcizzare il demonio. Ho quindi espresso un voto nettamente di contrario a questo testo.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, ho avuto l'onore di recarmi in visita in Afghanistan all'inizio di quest'anno con le forze militari britanniche e non ho incontrato solo i nostri uomini, ma anche i soldati dell’Estonia e della Danimarca con cui condividono il campo. Non riesco ad esprimere solo a parole la mia gratitudine verso questi uomini e donne, provenienti da diversi Stati membri, e anche dei nostri alleati d'oltreoceano, che stanno profondendo le loro energie per cercare di riportare la pace in una terra tanto meravigliosa quanto tormentata.
Vorrei esprimere solo un commento su questa relazione e, in particolare, su un errore che, in quanto alleanza occidentale, stiamo commettendo a riguardo della nostra politica di eradicazione del papavero. Gli onorevoli deputati che in questa Assemblea rappresentano circoscrizioni rurali sapranno perfettamente che i piccoli agricoltori sono in assoluto i più conservatori. Con la nostra politica di eradicazione dei raccolti di papavero in Afghanistan, abbiamo trasformato una popolazione fortemente incline all’ordine e alla proprietà in un insieme di criminali e banditi, spinti dalla nostra politica di eliminazione di raccolti di un prodotto che ha un florido mercato a seguito della carenza di oppiacei e morfine a livello globale.
Ripristinando i diritti proprietà, inizieremmo a fornire all’Afghanistan le basi per una prospera società civile, con una magistratura indipendente e, a tempo debito, un governo rappresentativo.
Joe Higgins (GUE/NGL). – (EN) Signora Presidente, ho espresso voto contrario alla risoluzione sulla creazione di un meccanismo permanente anti-crisi per la zona euro perché in Irlanda e in Grecia, in realtà, un meccanismo simile permetterà di aiutare un sistema finanziario totalmente in crisi e dominato da speculatori e da varie specie di squali avidi di profitto, a spese dei lavoratori, dei pensionati e degli indigenti.
In data odierna a Bruxelles il Consiglio europeo molto probabilmente deciderà di modificare il trattato di Lisbona per conferirsi maggiori poteri nell'imposizione di una condizionalità più serrata su qualunque forma di assistenza finanziaria assegnata ad uno Stato membro e istituzionalizzando, di fatto, la teoria secondo cui la società deve pagare per gli effetti della crisi. Mi auguro che il governo irlandese non pensi di imporre ai propri cittadini questo cambiamento al trattato di Lisbona senza indire un referendum, dopo aver peraltro già trasformato il nostro paese in uno stato vassallo del Fondo monetario internazionale, che agisce spudoratamente per conto di speculatori e mercati finanziari. Richiediamo che qualsiasi cambiamento al trattato di Lisbona sia oggetto di referendum, in modo tale che il popolo irlandese possa decidere di non essere trasformato in servo a tempo pieno dei mercati finanziari.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta della Commissione di trasformare l’idea iniziale di un marchio del patrimonio europeo da un'iniziativa intergovernativa in una azione formale dell'UE, al fine di contribuire a rafforzare l'identità europea. Ho sostenuto questo testo perché ritengo che il marchio non solamente puntare alla promozione della coesione interna dell'Unione, ma debba anche dimostrare la sua unità e i suoi valori al di fuori dei confini europei. Il marchio dovrebbe essere valutato e messo in pratica sulla base degli effettivi risultati raggiunti all'interno dell'UE.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione in merito alla proposta della Commissione di utilizzare il marchio del patrimonio europeo, insieme ad altre iniziative più efficienti, come strumento per ridurre la distanza tra l'Unione europea e i suoi cittadini, come modo per sottolineare che la storia europea è il risultato di un patrimonio culturale comune, variegato, ricco e complementare. Ritengo che la decisione degli Stati membri di inserire il marchio del patrimonio europeo nel quadro dell'UE non contribuirà solo ad accrescerne la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma permetterà di realizzare gli ideali di coesione e di solidarietà, perseguiti da tempo, tra i cittadini europei. Sostengo il punto di vista della relatrice, secondo cui, in virtù della valenza simbolica del marchio in quanto strumento che contribuisce all'integrazione europea, i siti transnazionali dovrebbero essere favoriti dato che promuovono gli elementi comuni, incoraggiano le attività di networking e stimolano la cooperazione e la collaborazione tra Stati o regioni. Credo che l'idea di un marchio del patrimonio dell'Unione europea inteso ad accrescere tra i cittadini il senso di condivisione di un patrimonio comune (mediante la conoscenza della storia dell'Europa e la partecipazione ad azioni di sostegno del dialogo interculturale) e a concepire la costruzione dell'UE come un processo in corso costituisca un passo in avanti in questa direzione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Nel 2007, numerosi Stati membri si sono riuniti per istituire un marchio del patrimonio europeo, con l'obiettivo di "rafforzare il sostegno dei cittadini europei a favore di una comune identità europea e di promuovere un senso di appartenenza ad uno spazio culturale comune", selezionando un numero di siti speciali in tutto il continente. Nel 2008 il Consiglio dell’Unione europea ha presentato alla Commissione le sue conclusioni, invitandola a formulare una proposta di legge che ci avrebbe permesso, come per l'iniziativa delle Capitali europee della cultura, di trasformare questa iniziativa intergovernativa in un vero e proprio marchio UE. Sulla scorta delle proposte del Consiglio, la Commissione ha condotto una valutazione d'impatto e una consultazione pubblica e formulato in seguito una proposta per il Parlamento europeo e il Consiglio a favore dell'istituzione di un'azione comunitaria per un marchio del patrimonio europeo. Questo è il testo che ho sostenuto.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questo testo perché la storia europea è il risultato di un patrimonio culturale comune, variegato, ricco e complementare e dimostra, ancora una volta, che l’Unione affonda le sue radici in valori forti quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la diversità culturale, la tolleranza e la solidarietà. Alla luce del contributo ampiamente riconosciuto della cultura europea nel mondo, questa Camera approva l'idea di estendere il marchio anche oltre i confini dell'UE, affinché diventi uno strumento ambizioso al servizio delle politiche rivolte all'esterno. Al fine di realizzare il proprio obiettivo politico, il nuovo marchio del patrimonio europeo dovrebbe concentrarsi sul valore simbolico e/o educativo di un sito e dovrebbe, inoltre, insistere sulla stretta cooperazione tra i siti cui è stato conferito allo scopo di condividere le migliori pratiche e avviare progetti comuni. Tengo a sottolineare che la decisione degli Stati membri di inserire il marchio del patrimonio europeo nel quadro dell'UE non solo contribuirà ad accrescerne la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma permetterà anche di realizzare gli ideali di coesione e di solidarietà, perseguiti da tempo, tra i cittadini europei.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La diversità culturale dell’Europa è una delle sue maggiori ricchezze e si riflette nell'eterogeneità del suo patrimonio culturale, artistico, architettonico e linguistico. Sono proprio questa diversità, la sua storia millenaria, il grande rispetto e la tutela del patrimonio a rendere l'Europa un posto unico nel suo genere. Tuttavia, è pur vero che, nonostante questa ricchezza sia condivisa in un'area relativamente ristretta, in molti casi non dimostriamo grande interesse o vicinanza reciproci. Ritengo che questa iniziativa possa contribuire ad avvicinare i cittadini europei, ad aumentare la conoscenza del patrimonio europeo e dei valori comuni che tutti condividiamo, rendendo l'Europa una vera e propria unione di diversità.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) In linea generale, gli emendamenti proposti dal relatore hanno migliorato la bozza originale presentata dalla Commissione, ma vi sono anche alcuni aspetti negativi come, ad esempio, gli emendamenti proposti dal relatore in merito alla promozione del multilinguismo, che non affrontano la questione principale e non risolvono i difetti presenti nella proposta originale. è infatti possibile raggiungere un’efficace promozione del multilinguismo non "utilizzando varie lingue dell’Unione", ma utilizzando le diverse lingue comunitarie. L’errore di fondo a questo concetto è più rilevante rispetto agli obiettivi specifici della relazione. Il marchio del patrimonio europeo (o il marchio del patrimonio dell’Unione europea) si basa sullo sviluppo dell’idea fallace di un'identità europea e un'unica cultura europea fondata su valori quali la libertà, la democrazia e così via.
Non esiste un unico "patrimonio culturale europeo" e l’intera storia europea, come la sua storia in generale, non affonda le sue radici solo nella diversità e in un’ammirabile energia creativa e di sviluppo, ma anche in conflitti violenti e ostili, nell’intolleranza e in molti percorsi e contesti di dominazione culturale. L’ambito del patrimonio è particolarmente delicato perché strettamente connesso alla storia ed è motivo di serie preoccupazioni per i temibili processi finalizzati a riscrivere la storia, a cui abbiamo recentemente assistito.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto – (PL) L’immagine dell’Unione europea e delle sue istituzioni agli occhi dei suoi cittadini è una questione di importanza cruciale. Purtroppo, alcuni recenti sondaggi dimostrano che il senso di identità e unità europea rappresenta valori sempre più rari per i cittadini europei e lo stesso accade con la loro fiducia nelle istituzioni comunitarie. La promozione della nostra storia comune e delle radici culturali condivise potrebbe contribuire ad avvicinare i cittadini all'UE e a creare un senso di coesione e solidarietà. Credo, dunque, che il marchio del patrimonio europeo possa rappresentare un utile contributo a questo fine e la semplificazione delle procedure e la standardizzazione dei criteri per la sua assegnazione impreziosiranno e miglioreranno l’immagine dell’Unione, oltre ad aumentare la fiducia dei cittadini nei confronti di istituzioni quali il Parlamento europeo.
Jacek Olgierd Kurski (ECR), per iscritto. – (PL) Oggi ho votato a favore della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'azione dell'Unione europea per il marchio del patrimonio europeo. Ritengo si tratti di un’iniziativa valida ed interessante che contribuirà a promuovere la cultura e i successi europei, favorendo al contempo lo sviluppo del turismo e delle singole regioni. Sono lieto che questa Camera abbia sottolineato che il marchio del patrimonio europeo integrerà, senza duplicarle, le altre iniziative rivolte al patrimonio culturale, quali l'elenco del Patrimonio mondiale dell'Unesco e gli itinerari culturali europei del Consiglio d'Europa.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la proposta della Commissione di utilizzare il marchio del patrimonio europeo, insieme ad altre iniziative più efficienti, come strumento per ridurre la distanza tra l'Unione europea e i suoi cittadini, come modo per sottolineare che la storia europea è il risultato di un patrimonio culturale comune, variegato, ricco e complementare e come strumento per evidenziare che l'UE affonda le sue radici in valori forti quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la diversità culturale, la tolleranza e la solidarietà. Ritengo che la decisione degli Stati membri di inserire il marchio del patrimonio europeo nel quadro dell'UE non contribuirà solo ad accrescerne la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma permetterà di realizzare gli ideali di coesione e di solidarietà, perseguiti da tempo, tra i cittadini europei.
Clemente Mastella (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, ci rallegriamo della proposta della Commissione volta ad utilizzare il marchio del patrimonio europeo, insieme ad altre iniziative, come strumento per ridurre la distanza tra l'UE e i suoi cittadini, per sottolineare che la storia europea è il risultato di un patrimonio culturale comune, variegato, ricco e complementare. Esso rappresenta il riconoscimento del fatto che l'UE affonda le sue radici in valori forti quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la diversità culturale, la tolleranza, la solidarietà.
La decisione degli Stati membri di inserire questo marchio del patrimonio europeo nel quadro dell'UE non contribuirà soltanto ad accrescerne la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma permetterà finalmente di realizzare, su vasta scala, gli ideali di coesione, di solidarietà, perseguiti da tempo, tra i cittadini europei, creando un'identità comune europea e accrescendo il loro interesse per l'Unione e per le sue origini; due sfide fondamentali per le istituzioni europee
Il nuovo marchio dovrà, però, concentrarsi sul valore simbolico ed educativo di un sito, piuttosto che sul suo aspetto estetico, e dovrà insistere sulla stretta cooperazione tra i siti cui esso sarà conferito allo scopo di poter condividere le migliori pratiche ed avviare progetti comuni di ricerca e sviluppo.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Il marchio del patrimonio europeo rappresenta, insieme ad altre iniziative, uno strumento aggiuntivo per ridurre la distanza tra l’Unione e i suoi cittadini, rafforzando il loro sentimento di appartenenza all’Europa. Questo strumento permetterà di ampliare la loro conoscenza della storia e del patrimonio comune europeo, contribuendo al contempo alla promozione del multilinguismo e del dialogo tra culture, sostenendo la creazione di reti volte a promuovere il patrimonio europeo. Il marchio del patrimonio europeo incrementerà l’attrattività economica grazie al turismo culturale e migliorerà il dialogo interculturale.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Ritengo che l’efficacia del marchio del patrimonio europeo sia messa in discussione proprio dalla facoltà concessa agli Stati membri di decidere se parteciparvi o meno. Concordo con il relatore sul dire che i criteri di selezione proposti e l’elevato numero dei siti cui potrebbe essere conferito il marchio determinano una perdita in termini di prestigio e qualità. La cooperazione con le iniziative già esistenti nell’ambito del patrimonio culturale (come il patrimonio mondiale dell’Unesco) potrebbe rappresentare un approccio efficace da adottare. Ho espresso parere contrario a questo testo perché non affronta in maniera esaustiva la necessità di introdurre un marchio per il patrimonio culturale basato su obiettivi ben determinati.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La scelta di inserire il Marchio del Patrimonio Europeo nel quadro dell'UE farà sì che si accrescerà il senso di appartenenza dei cittadini alla Comunità europea sollecitando ideali di coesione, solidarietà e integrazione. Ho votato a favore della relazione sul Marchio del Patrimonio Europeo perché l'obiettivo che si pone l'Europa è di creare un'identità comune avvicinando l'UE ai suoi cittadini attraverso la conoscenza di quel patrimonio storico e culturale denso e variegato nel quale tutti si possono riconoscere e attraverso il quale i giovani possono imparare e ricercare la propria identità condividendola con gli altri giovani europei. La formalizzazione del Marchio tenderà inoltre a valorizzare quei luoghi che hanno fatto la storia della costituzione dell'Europa.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo di buon grado la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il marchio del patrimonio europeo. L’obiettivo di creare un’identità comune europea e promuovere gli interessi dell'Unione è di importanza cruciale per la pace e la coesione sociale.
L’iniziativa proposta di promuovere il patrimonio europeo attraverso un sito web è rivolta ai giovani europei e potrebbe spingerli a conoscere meglio la storia del nostro continente, a familiarizzare con il patrimonio culturale comune e multinazionale e a cercare maggiori informazioni sulle idee e le persone che hanno contribuito a costruire l’Unione europea.
Questa iniziativa di elevato valore simbolico ed educativo presenterà la storia e la cultura europee nel loro complesso. Sono a favore delle intenzioni espresse nel testo per garantire l'effettiva partecipazione del Parlamento e del Consiglio nella selezione dei siti e dei contenuti presentati, al fine di garantire che l'iniziativa sia trasparente e democratica.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo per l'ottimo lavoro svolto dalla collega Paliadeli. Il Parlamento europeo ha dato oggi il suo via libera al "Marchio per il patrimonio culturale europeo", un registro dei siti storici la cui importanza trascende le frontiere nazionali. L'Unione europea ha circa 500 milioni di abitanti, per la maggior parte si sentono in primo luogo cittadini del loro paese di origine, e non cittadini europei. La mancanza di una forte identità europea può essere vista come un ostacolo all'integrazione dell'Europa, ma non è affatto sorprendente. Il continente europeo è un vasto mosaico di lingue e costumi e le differenze tra i paesi che lo compongono sono spesso più evidenti dei tratti comuni.
Questa iniziativa permetterà di rafforzare il senso di appartenenza all'Europa e di creare una maggior coesione fra i cittadini di paesi diversi e per questa ragione è importante mettere in evidenza quei luoghi che celebrano e simbolizzano l’integrazione europea, così come quelli che celebrano le idee e i valori dell’Unione europea. Inoltre, come accade per i siti compresi nell'elenco del patrimonio mondiale dell'UNESCO, quelli insigniti del logo europeo dovrebbero attrarre più turisti, con effetti benefici per l'economia locale.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Creare un'identità comune europea e accrescere l'interesse dei cittadini per l'Unione e le sue origini sono due sfide che le istituzioni europee devono affrontare per raggiungere coesione e solidarietà su ampia scala. Senza dubbio vi sono anche altre vie, più radicali e ovvie, per accrescere la fiducia degli europei nell'UE e nei suoi leader (la recente crisi finanziaria ha dimostrato che i vertici dell'amministrazione hanno ancora molto da fare). Conoscere la storia del nostro continente, essere consapevoli del suo patrimonio culturale multinazionale ma al contempo comune e trasmettere alle generazioni più giovani maggiori informazioni sulle idee e le persone che hanno contribuito a costruire l'Unione europea sono azioni che possono davvero contribuire a ridurre le distanze tra l'UE e i suoi cittadini.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) In qualità di membro della commissione per la cultura e l’istruzione, ho votato a favore della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'azione dell'Unione europea per il marchio del patrimonio europeo. L’idea dell’istituzione di un simile marchio europeo è di importanza cruciale per aumentare le conoscenze dei cittadini circa la storia e il patrimonio culturale dell'Unione e per contribuire a costruire un'identità europea e legami tra i paesi.
Attraverso l’identificazione di siti negli Stati membri che hanno richiesto di ricevere il marchio del patrimonio europeo, trasmetteremo ai cittadini il messaggio che la storia dell’Europa riguarda tutti noi, a prescindere dal paese in cui viviamo, dalla nostra lingua o dalla nostra cultura. Trasformare il marchio del patrimonio europeo in un’iniziativa europea contribuirà ad aumentarne la credibilità, la visibilità e il prestigio, con i conseguenti vantaggi economici e sociali derivanti, tra l’altro, dall’attrattività turistica dei siti cui è stato conferito. La selezione dei siti destinati a ricevere il marchio contribuirà, inoltre, a stimolare l’interesse e la voglia di conoscenza delle giovani generazioni verso le idee e le persone che hanno costruito l’Europa, avvicinando in questo modo i cittadini europei.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) L’iniziativa del marchio del patrimonio europeo è rivolta alla promozione delle città, delle persone e delle attività che hanno contribuito al processo di integrazione europea, con l'obiettivo di aumentare la conoscenza dei cittadini dei valori fondamentali di democrazia, solidarietà, diversità culturale e tolleranza che rappresentano i pilastri della nostra Comunità. La lista dei siti cui sarà conferito il marchio del patrimonio europeo dipingerà da mappa delle tradizioni e della cultura del nostro continente e dei luoghi chiave che hanno contribuito alla costituzione dell’identità europea. Il patrimonio europeo comune, seppur diverso, può rafforzare il senso di identità dei cittadini e la coesione europea. L’iniziativa creerà una piattaforma per la cooperazione tra i paesi e le regioni d’Europa, con conseguenti effetti positivi per il settore del turismo, contribuendo ad aumentare l'attrattività delle regioni e migliorandone la situazione economica. Concordo sulla necessità di trasformare questo progetto in un’iniziativa ufficiale sotto gli auspici dell’UE, perché in questo modo ne guadagnerà in riconoscimento, credibilità e prestigio che permetteranno a molti cittadini di identificarsi con il marchio, simbolo e ricordo dell’integrazione europea.
Il progetto deve operare in maniera parallela e complementare all’iniziativa internazionale dell’Unesco e delle Capitali europee della cultura, perché il marchio europeo concerne il livello dell’istruzione e dei valori simbolici e, in misura minore, le qualità architettoniche ed estetiche. È necessario impegnarci per rafforzare il senso di appartenenza all'Europa dei cittadini.
Csanád Szegedi (NI), per iscritto. – (HU) I valori europei sono per me di importanza cruciale, alla stessa stregua dell'antico alfabeto runico ungherese, e ritengo sia indispensabile apprezzarli attraverso riconoscimenti di questo tipo. In questo caso è importante mantenere la tradizione di conferire il marchio solo a valori effettivamente localizzati all’interno dell’Unione. Non sarebbe infatti accettabile estendere il marchio a paesi terzi perché in questo modo duplicheremmo la lista del Patrimonio mondiale dell'Unesco. Mi auguro che questo riconoscimento possa contribuire a un ritorno ai valori tradizionali europei e che il marchio rappresenti una vera espressione di riconoscimento. Per le contraddizioni presenti nel testo che ho già menzionato, mi sono astenuto dalla votazione.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della raccomandazione sulle condizioni per la partecipazione della confederazione svizzera al programma “Gioventù in azione” e al programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente perché la considero un elemento positivo della strategia europea per la gioventù. Si tratta infatti di un passo avanti nel processo di cooperazione con questo paese in relazione alle politiche settoriali dell’Unione europea. La Svizzera intende partecipare a questo progetto per la gioventù in termini umani, economici e sociali e per questo l’Unione europea non potrà che beneficiare dal coinvolgimento di giovani provenienti da paesi terzi come la Svizzera nella sensibilizzazione delle nuove generazioni sul processo di integrazione europeo.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa raccomandazione perché sono certa che la cooperazione dell’Unione europea con la Svizzera nei settori dell’istruzione, della scienza e della gioventù apporterà reciproci vantaggi per il miglioramento e l’efficace attuazione delle politiche in questi settori. La partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e ai programmi d’azione nel campo dell’apprendimento permanente (2007-2013) conferirà maggior forza a queste iniziative, creando opportunità di scambi e condivisione di esperienze tra i partecipanti, tutelando al contempo gli interessi finanziari e di altra natura dell’Unione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Il programma “Gioventù in azione” è volto a sviluppare e promuovere la cooperazione nel settore della gioventù nell’Unione europea; mira a incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita pubblica, in particolare di quanti vivono in condizioni svantaggiate o sono affetti da disabilità, e a promuovere lo spirito d’iniziativa, l’intraprendenza e la creatività. Il programma per l’istruzione e l’apprendimento permanente contribuisce invece allo sviluppo dell’Unione come società avanzata e basata sulla conoscenza, in conformità con gli obiettivi della strategia di Lisbona. Fungendo da sostegno e complemento alle azioni degli Stati membri, punta a incoraggiare gli scambi, la cooperazione e la mobilità tra i sistemi di istruzione e formazione comunitari, per renderli un modello di riferimento a livello mondiale in termini di qualità. Attualmente la Svizzera, che non è uno Stato membro dell’Unione, non partecipa a queste azioni; dovrebbe invece essere il contrario ed è nostro dovere coinvolgere i nostri vicini elvetici in queste politiche nel contesto di un’Unione aperta. Per questo motivo, ho votato a favore della risoluzione legislativa che accoglie la partecipazione della Svizzera a queste importanti iniziative.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa raccomandazione del Parlamento europeo perché approvo il progetto di decisione del Consiglio relativo alla partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e ai programmi d’azione nel campo dell’apprendimento permanente. Pur avendo deciso di non aderire allo Spazio economico europeo, la Svizzera ha cooperato strettamente con l’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. Ritengo che questo accordo sia adeguato perché la Svizzera si impegna a rispettare le condizioni e le norme stabilite dalla Commissione europea. I progetti e le iniziative proposti dai partecipanti svizzeri saranno inoltre soggetti alle medesime condizioni, norme e procedure applicate ai progetti provenienti dagli Stati membri e la Svizzera si conformerà alle norme dell’Unione europea in materia di controlli finanziari e audit. Conformemente all’accordo bilaterale, la Svizzera costituirà un’agenzia nazionale incaricata di coordinare l’esecuzione dei programmi a livello nazionale e apporterà ogni anno un contributo finanziario a ciascun programma (nel 2011: 1,7 milioni di euro per il programma “Gioventù in azione” e 14,2 milioni di euro per il programma nel campo dell’apprendimento permanente).
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La cooperazione con la Svizzera in materia di istruzione è un passo importante nelle relazioni tra Unione europea e Svizzera. Questi due programmi favoriscono l’apprendimento permanente e il coinvolgimento della gioventù nell’integrazione europea attraverso la tolleranza e la solidarietà tra i giovani europei. L’accordo tra la Commissione e la Svizzera è adeguato, in quanto i partecipanti svizzeri accedono ai programmi in condizioni di uguaglianza rispetto agli altri giovani europei e il paese si impegna ad adeguarsi alle norme dell’Unione e alla relativa supervisione, oltre a fornire un contributo finanziario ad entrambi i programmi.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (EN) In qualità di presidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con la Svizzera, accolgo con favore l’adozione di questa relazione. La Commissione europea, il Parlamento europeo e gli Stati membri hanno concordato l’istituzione del programma “Gioventù in azione”, che pone in essere il modello legale di sostegno alle attività di apprendimento non formale per la gioventù. Lo scopo di questa proposta è permettere la partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e ai programmi per l’apprendimento permanente. La Svizzera è il solo paese europeo a partecipare pur non essendo membro dello Spazio economico europeo (SEE) e non essendo nemmeno un paese candidato o candidato potenziale. Pur avendo deciso di non aderire al SEE, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta cooperazione con l’Unione nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Siamo tutti consapevoli che un buon sistema di istruzione, che garantisca la migliore formazione possibile per i giovani, è di cruciale importanza per tutti i paesi. Un buon livello di qualifiche, conoscenze e istruzione determina un impatto diretto sulla cultura, sul mercato del lavoro e, di conseguenza, sul livello di vita dei cittadini. Tutti i paesi vogliono essere orgogliosi dei propri giovani, i quali a loro volta ambiscono all’opportunità di conoscere nuove lingue e culture e di acquisire esperienza professionale all’estero. L’Unione europea può andare fiera del sistema di mobilità studentesca ben sviluppato e dei suoi mercati del lavoro aperti, che offrono numerose opportunità di sviluppo intellettuale e professionale a tutti i giovani europei. La partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” dimostra che la cooperazione con l’Unione europea, soprattutto nel settore dell’istruzione, è molto importante per questo paese: non dovremmo impedire ai giovani svizzeri di godere dei privilegi e delle possibilità offerti da un’istruzione comunitaria.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) L’attenzione dedicata all’istruzione, alla formazione e alla ricerca e, in particolare, alla gioventù come risorsa per l’Unione europea è in costante crescita. Fornendo nuove opportunità di apprendimento, desideriamo offrire ai nostri cittadini maggiori possibilità e l’istruzione, la formazione, la cultura, la ricerca e i programmi per la gioventù rappresentano un elemento chiave di questa strategia. Lo scopo del programma “Gioventù in azione” è suscitare un sentimento di cittadinanza europea attiva, di solidarietà e di tolleranza tra gli europei, dall’adolescenza all’età adulta.
Il programma favorisce la mobilità all’interno e al di fuori dei confini dell’Unione e incoraggia il coinvolgimento di tutti i giovani, a prescindere dal livello di istruzione e dall’estrazione sociale e culturale. In qualità di membro della delegazione per le relazioni con la Svizzera e la Norvegia, ho votato a favore di questa raccomandazione perché ritengo che l’accordo siglato tra la Commissione e le autorità svizzere sia adeguato e vada negli interessi di entrambe le parti, consentendoci di aiutare il maggior numero possibile di giovani ad acquisire nuove capacità mediante opportunità di apprendimento dalla dimensione europea.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Pur avendo deciso di non aderire allo Spazio economico europeo, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta cooperazione con l’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. Inizialmente, le basi giuridiche per i programmi dell’Unione in materia di istruzione, formazione e gioventù non consentivano la partecipazione della Svizzera, ma questa situazione è cambiata nel 2006, quando il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato le decisioni istitutive del programma “Gioventù in azione”e del programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente (2007-2013). Nel febbraio 2008, il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad aprire negoziati sulla partecipazione della Svizzera ai due programmi. Nell’agosto 2009 è stato raggiunto un accordo e il Consiglio ha già adottato una decisione che ne consente la firma e l’applicazione provvisoria dal 2011. Ho espresso il mio sostegno per questa proposta.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la partecipazione della Svizzera, un paese che ha scelto di non far parte dell’Unione europea, al programma « Gioventù in azione » e al programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente non può essere esclusa a priori, ma è da valutare con attenzione. Condivido pertanto i termini dell’accordo raggiunto dalla Commissione con il governo svizzero, il mio voto alla relazione della collega Doris Pack è favorevole. Giusto concedere i benefici dei programmi alla Svizzera, giusto anche però salvaguardare tutti gli interessi finanziari e di altro tipo dell’Unione europea.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Pur non essendo uno Stato membro dello Spazio economico europeo, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta collaborazione con l’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. La conclusione dell’accordo sulla partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e al programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente ne è una conseguenza molto positiva. Il concetto di istruzione e apprendimento permanente è centrale per la competitività dell’economia basata sulla conoscenza.
È applicabile a tutti i livelli di istruzione e formazione e abbraccia tutte le fasi della vita e tutte le diverse forme di apprendimento. Dobbiamo sviluppare e rafforzare gli scambi, la cooperazione e la mobilità ed è importante incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita pubblica, in particolare di quanti vivono in condizioni svantaggiate o sono affetti da disabilità, e promuovere lo spirito d’iniziativa, l’intraprendenza e la creatività, al fine di favorire un senso di cittadinanza europea attiva e sviluppare la solidarietà e la tolleranza.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Come è comprensibile, la Svizzera, che finanzia in parte il programma “Gioventù in azione” e il programma nel campo dell’apprendimento permanente, desidera ora prendervi parte. Nello spirito dell’apprendimento, assisteremmo a uno sviluppo positivo se l’Unione europea prendesse esempio dalla Svizzera in fatto di democrazia diretta: quando la popolazione svizzera dice no ai minareti, questa decisione viene accettata; lo stesso è accaduto in occasione della recente iniziativa in merito all’espulsione dei cittadini stranieri colpevoli di reati. Le autorità svizzere sanno che quando i cittadini dicono “no” intendono “no”, e non indicono continue votazioni finché non ottengono il risultato auspicato, per poi sorprendersi quando l’affluenza alle urne cala. L’esempio della Svizzera deve farci riflettere su quali siano le reali preoccupazioni dei cittadini. Ho votato contro questa relazione perché non sono in totale accordo con i regolamenti in essa descritti.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della raccomandazione sul progetto di decisione del Consiglio relativo alla conclusione dell’accordo fra l’Unione europea e la Confederazione svizzera, che stabilisce i termini e le condizioni per la partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e al programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente (2007-2013), perché ritengo che l’accordo raggiunto dalla Commissione con le autorità svizzere sia positivo, con l’estensione dei benefici del programma in Svizzera e la salvaguardia degli interessi dell’Unione europea, non ultimi quelli di carattere finanziario.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi in Plenaria abbiamo votato il progetto di risoluzione legislativa sulla partecipazione della Svizzera al programma "Gioventù in azione" e al programma d´azione nel campo dell´apprendimento permanente. Pur avendo deciso di non aderire allo Spazio economico europeo, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta cooperazione con l'Unione europea nei settori dell'istruzione, della formazione e della gioventù. Con tale raccomandazione abbiamo concluso un accordo tra l'UE e la Svizzera con il riconoscimento a quest'ultima della possibilità di partecipare ai programmi "Gioventù in azione" e a quelli nel campo dell'apprendimento permanente.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Pur avendo deciso di non aderire allo Spazio economico europeo, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta cooperazione con l’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. Inizialmente, le basi giuridiche per i programmi dell’Unione europea in materia di istruzione, formazione e gioventù non consentivano la partecipazione della Svizzera, ma questa situazione è cambiata nel 2006, quando il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato le decisioni istitutive del programma “Gioventù in azione” e del programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente (2007-2013). Nel febbraio 2008, il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad aprire i negoziati sulla partecipazione della Svizzera ai due programmi. Nell’agosto 2009 è stato raggiunto un accordo e il Consiglio ha già adottato una decisione che ne consente la firma e l’applicazione provvisoria dal 2011. A norma dell’articolo 218, paragrafo 6 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il Consiglio deve ottenere l’approvazione del Parlamento europeo prima che l’accordo possa entrare in vigore. Le decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio che istituiscono il programma “Gioventù in azione” e il programma per l’apprendimento permanente adottate nel 2006 prevedevano già in linea di principio la partecipazione della Svizzera. L’accordo negoziato dalla Commissione con le autorità svizzere è assolutamente adeguato: estende i benefici dei programmi alla Svizzera, salvaguardando nel contempo gli interessi finanziari e di altra natura dell’Unione europea. La relatrice raccomanda pertanto che il Parlamento approvi il progetto di decisione del Consiglio.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) La Svizzera è un paese che deve far fronte al problema di un accesso impari all’istruzione superiore, nonostante l’eccellente offerta educativa. Mi auguro che la cooperazione con l’Unione europea si traduca in maggiori possibilità di accesso all’istruzione per i giovani svizzeri, in particolare per gli immigrati. Le esperienze degli Stati membri in relazione a programmi che facilitano scambi educativi per i giovani dimostrano chiaramente che questi non solo favoriscono una buona istruzione, ma hanno un ruolo positivo sul piano dell’integrazione europea grazie all’acquisizione della lingua, della cultura e delle tradizioni dei singoli paesi. Il programma per l’apprendimento permanente costituisce, a sua volta, un’eccellente opportunità per attirare l’attenzione sul ruolo delle donne in Svizzera. Questo paese è stato l’ultimo in Europa, negli anni settanta, a concedere il diritto di voto alle donne alle elezioni federali; inoltre, per lungo tempo, le donne in quanto gruppo sociale hanno spesso incontrato difficoltà ad ottenere non solo la piena partecipazione alla società civile, ma anche l’accesso all’istruzione e alla realizzazione professionale.
Oggi le donne di mezza età che desiderano entrare nel mercato del lavoro spesso si scontrano con la carenza di qualifiche ed esperienze, dato che molte di loro sono rimaste a casa ad occuparsi della famiglia a seguito degli elevati costi dell’assistenza all’infanzia.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Le due relazioni sui diritti umani nell’Unione europea e nel mondo rappresentano una sfida per i lavoratori che, con l’evolversi della crisi capitalista, sono schiacciati dai feroci attacchi contro i loro diritti e la loro vita sferrati dall’Unione europea, dal capitale e dai governi borghesi, intenti a cercare di scaricare su di loro i costi della crisi e salvare i profitti dei monopoli. I rappresentanti politici del capitale hanno un bel coraggio a proclamare l’Unione europea paladina dei diritti umani mentre è in corso l’adozione della nuova, e ancora più reazionaria, dottrina NATO 2020 e l’Unione è in prima linea quando si tratta di sfruttare popolazioni e risorse naturali e appoggiare regimi fantoccio e reazionari. Nel contempo, in tutti gli Stati membri dell’Unione europea, i diritti dei lavoratori e sociali conquistati a costo di dure e sanguinose battaglie vengono calpestati, le lotte del popolo e della classe lavoratrice vengono selvaggiamente represse, la caccia agli immigrati e il razzismo aumentano, le libertà e i diritti democratici del popolo subiscono restrizioni, i partiti comunisti vengono dichiarati fuori legge e i simboli del comunismo banditi in diversi paesi. I soliti riferimenti a presunte violazioni dei diritti umani a Cuba e in altri paesi che oppongono resistenza ai piani imperialisti sono semplici minacce, coercizioni e pressioni per piegare la volontà della gente e indurla ad abbandonare il diritto di decidere liberamente del proprio destino.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Tradizionalmente, la sessione plenaria di dicembre è in parte dedicata ai diritti umani; uno degli eventi di rito che scandiscono la sessione – oltre al conferimento del Premio Sacharov – è l’adozione della risoluzione sulla relazione annuale del Parlamento sui diritti umani nel mondo e sulla politica dell’Unione europea in materia. Uno degli impegni internazionali dell’Unione consiste proprio nel promuovere la democrazia e i diritti umani nel mondo. Quest’anno la relazione mette in luce il ripetersi di gravi violazioni in questo ambito e una situazione aggravata dalla crisi economica, dal cambiamento climatico, dalle nuove tecnologie e dalla lotta al terrorismo. Raccomanda inoltre l’attuazione degli obiettivi del trattato di Lisbona in particolare attraverso il nuovo servizio europeo di azione esterna. Secondo la relatrice la priorità di una politica estera coerente dell’Unione europea deve essere la promozione della democrazia e dei diritti umani.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2009 e sulla politica dell’Unione europea in materia perché offre un esame, una valutazione e, in alcuni casi specifici, un’analisi del lavoro dell’Unione europea nell’ambito dei diritti umani, della democrazia e delle sfide future. Rispetto alla violenza sulle donne, il Parlamento europeo esprime viva preoccupazione per i radicati fenomeni di discriminazione di genere e di violenza domestica in vari paesi e rileva che le donne che abitano nelle aree rurali costituiscono una categoria particolarmente vulnerabile. Approvo dunque la richiesta del Parlamento affinché i diritti delle donne siano affrontati esplicitamente nell’ambito di tutti i dialoghi sui diritti umani, in particolare promuovendo la lotta e l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione e di violenza contro le donne e le ragazze, tutte le pratiche e usanze tradizionali lesive dell'integrità fisica, ad esempio la mutilazione genitale femminile o il matrimonio forzato o in età precoce, tutte le forme di tratta di esseri umani, la violenza domestica e l’uccisione di donne, lo sfruttamento sul lavoro e lo sfruttamento economico. Milioni di minori sono tuttora vittime di stupri, violenze domestiche, abusi fisici, emotivi e sessuali e per questo condivido la necessità che l’Unione europea adotti urgentemente ulteriori provvedimenti per contrastare il lavoro minorile e applichi in maniera più efficiente gli strumenti a sua disposizione.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il ruolo dell’Unione europea di difensore dei diritti umani è una caratteristica fondamentale cui le istituzioni non devono rinunciare e che va preservata come una priorità del lavoro diplomatico. L’allegato I della relazione ne è la migliore prova, poiché elenca tutti i casi di violazione dei diritti umani denunciati e condannati senza indugio in Europa, dall’Afghanistan alla Somalia, dalla Russia all’Iran. Non possiamo chiudere un occhio né nascondere la testa sotto la sabbia, neppure quando sono in gioco partnership strategiche, perché gli interessi individuali non possono avere la precedenza sulla difesa della libertà e dei diritti umani.
A mio parere, la posizione dell’Unione deve restare la seguente: interventista e coraggiosa, in difesa dei diritti umani e della democrazia.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione fa parte di un ricorrente esercizio di pura ipocrisia da parte della maggioranza, dominata dalla destra e dai socialdemocratici, che rivendica il ruolo di “ambasciatore” nella difesa dei diritti umani. È un travestimento che viene smascherato dalle ovvie contraddizioni in esso contenute, non ultimo il ricorso a una presunta difesa dei diritti umani per promuovere interventi in paesi in cui sono in gioco i propri interessi, la copertura e il sostegno degli alleati, in particolare degli Stati Uniti.
Alcuni esempi sono i cosiddetti voli CIA e la complicità dei governi di numerosi paesi europei nel rapimento, la tortura e il trasferimento illegale di prigionieri a Guantanamo, la continuata occupazione dell’Afghanistan operata dalle forze NATO e i conseguenti massacri delle popolazioni civili con il pretesto della lotta al terrorismo. Altri esempi sono ancora il sostegno alla politica israeliana di apartheid ai danni del popolo palestinese, all’ininterrotta occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco e all’embargo illegale contro Cuba operato dagli Stati Uniti e condannato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in 18 occasioni consecutive. Queste politiche, come le maggioranze che le sostengono, lasciano l’amaro in bocca: stanno maturando i tempi in cui i cittadini saranno in grado di rigettarle.
Louis Grech (S&D), per iscritto. – (EN) La direttiva sulla prevenzione e la lotta alla tratta di esseri umani dispone la creazione di un ambiente più ostile per i trafficanti di esseri umani, punendo i criminali e garantendo maggiore prevenzione e protezione delle vittime. È inaccettabile che in Europa la tratta di esseri umani sia ancora una realtà che coinvolge centinaia di migliaia di persone, in prevalenza appartenenti a gruppi sociali vulnerabili, come minoranze, donne e bambini ai fini di sfruttamento sessuale, lavoro forzato, schiavitù moderna e non solo. Esprimo la mia più ferma condanna contro lo sfruttamento delle vittime della tratta di esseri umani e sono pertanto favorevole a un rafforzamento della protezione delle vittime e all’introduzione di sanzioni più severe per i trafficanti. Per il buon esito dell’attuazione della direttiva è particolarmente importante migliorare la cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione e rafforzare il coordinamento tra le diverse istituzioni e organizzazioni a livello europeo, nazionale e regionale. L’Unione europea deve sfruttare le relazioni internazionali per richiedere ai partner un maggiore impegno nel controllo della tratta di esseri umani e garantire che i diritti delle vittime siano rispettati in tutto il mondo. Dovrebbe inoltre includere nei dialoghi politici con i paesi non membri dell’Unione normative, standard e principi del sistema di diritti umani internazionale per combattere e prevenire la tratta di esseri umani.
Sandra Kalniete (PPE) , per iscritto. – (LV) Ho votato a favore di questa risoluzione e della proposta di chiedere categoricamente alle autorità russe che i colpevoli dell’omicidio dell’avvocato russo Sergei Magnitsky vengano giudicati; invito inoltre il Parlamento ad esaminare l’opportunità di imporre un divieto d’ingresso nell’Unione europea per i funzionari russi coinvolti in questo caso e di congelare i loro conti bancari e gli altri beni di in tutti gli Stati membri dell’Unione. Tale richiesta segnalerebbe con forza alle autorità russe che i cittadini dell’Unione europea considerano inaccettabili le gravi carenze nel sistema giudiziario russo, come l’applicazione selettiva della legge nell’interesse delle autorità e i troppi casi di impunità per i responsabili degli attacchi, o addirittura dell’omicidio, ai danni di difensori dei diritti umani, giornalisti indipendenti e avvocati. Questo segnale confermerebbe il sostegno dell’Unione europea ai difensori dei diritti umani in Russia, che operano in condizioni particolarmente difficili.
Bogusław Liberadzki (S&D), per iscritto. – (PL) Il rispetto dei diritti umani è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea, un valore cui il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo presta particolare attenzione, dal momento che figura tra i punti all’ordine del giorno di quasi tutte le nostre riunioni. È importante che il Parlamento nel suo insieme presti particolare attenzione a questo tema. Stiamo assistendo a un certo miglioramento, seppure lento, della situazione a livello mondiale; sebbene vi siano ancora paesi i cui governi continuano a violare i diritti umani, ve ne sono anche altri dove si notano dei cambiamenti. L’emendamento orale della relatrice mostrava queste tendenze positive in Russia, ma la situazione resta tuttavia preoccupante a Cuba, come dimostrato nel corso della cerimonia di assegnazione del Premio Sacharov 2010. Ho votato con convinzione a favore della relazione.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la relazione annuale sui diritti umani, pur trattandosi inevitabilmente di un’analisi a ritroso che copre il periodo dal luglio 2008 al dicembre 2009, poco prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Accolgo calorosamente l’impegno della baronessa Ashton verso i diritti umani e le sue rassicuranti parole sul fatto che questo argomento sarà predominante nel lavoro del servizio europeo di azione esterna (SEAE). Mi auguro che questo significhi che, quando il prossimo anno discuteremo la relazione sui diritti umani, potremo parlare di un approccio più coerente ai diritti umani da parte dell’Unione europea.
Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa nostra relazione annuale intende ribadire la forte determinazione del Parlamento europeo e i suoi sforzi a lungo termine volti a difendere i diritti umani e la democrazia nel mondo attraverso lo sviluppo di una politica europea sempre più integrata ed efficace, capace di garantire maggiore coerenza e uniformità in tutte le aree di intervento, sia attraverso le relazioni bilaterali con i paesi terzi, sia attraverso il sostegno alle organizzazioni della società civile attive a livello locale ed internazionale. Insistiamo, in particolare, sull'importanza di condurre una valutazione completa degli aspetti della politica europea di vicinato (PEV) riguardanti i diritti umani, che esamini soprattutto la coerenza e l'efficienza dei meccanismi esistenti, come i piani d'azione, le relazioni sullo stato di avanzamento, i dialoghi sui diritti umani e il processo decisionale per l'intensificazione delle relazioni con i paesi non appartenenti all'UE.
Vogliamo dare maggiore visibilità alla futura adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il che costituisce un'opportunità per dimostrare il suo impegno a favore della difesa dei diritti umani all'interno e all'esterno delle sue frontiere ed invitiamo, pertanto, tutti gli Stati membri ad offrire il loro sostegno, a fare in modo che i cittadini si impegnino a tale riguardo.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione sui diritti umani nel mondo nel 2009 e la politica dell'Unione europea in materia costituisce uno strumento importantissimo per rafforzare il ruolo del Servizio europeo di azione esterna, per quanto concerne la politica per i diritti umani. Questi rappresentano infatti da sempre il marchio che contraddistingue l’Unione europea nel mondo.
Concordo con la relatrice quando sottolinea che la libertà di religione e di credo è, fra tutti i diritti umani, un diritto primario e fondamentale che deve essere rispettato, e che la condizionalità per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, prevista negli accordi bilaterali con i paesi non UE, deve poter essere imposta con maggiore forza ed efficacia. Giusto quindi invitare l'Alto rappresentante a integrare la libertà di religione o di credo nella politica UE in materia di diritti umani e procedere a una valutazione accurata della situazione della libertà di religione o di credo nella relazione annuale sui diritti umani dell'UE. Il mio voto per la relazione Andrikiene è favorevole.
Kyriakos Mavronikolas (S&D), per iscritto. – (EL) L’Unione europea deve fare tutto il possibile per garantire che i principi e le libertà alla base dei diritti umani vengano applicati e svolgere così un ruolo preminente in questo ambito. È necessario istituire un servizio speciale per i diritti umani e, cosa ancor più importante, l’Unione deve monitorare le aree dove sono presenti suoi rappresentanti. L’Unione europea deve inoltre vigilare e monitorare con attenzione le violazioni dei diritti umani all’interno degli Stati membri.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Ho espresso voto contrario a questa relazione perché non deplora né critica la politica dei “due pesi e due misure” dell’Unione in merito al rispetto e alla promozione dei diritti umani, sia all’interno degli Stati membri sia in paesi terzi con i quali intrattiene particolari relazioni politiche e commerciali. Analogamente, il testo non rileva che i governi dell’Unione hanno elaborato e attuato politiche radicalmente contrarie ai diritti umani in settori quali l’immigrazione, con espulsioni di massa e detenzioni per motivi razziali o di sicurezza, consentendo gravi violazioni dei diritti dell’uomo come la detenzione illegale, il trasferimento e la tortura di persone in carceri segrete.
La stessa Unione europea ha adottato direttive contrarie ai diritti umani, come per esempio la direttiva per i rimpatri, ed ha avviato o sviluppato particolari relazioni politiche e commerciali con i governi di paesi quali Marocco, Colombia e Israele, che violano sistematicamente i diritti umani. Pur apprezzando che per la prima volta si faccia menzione della situazione dei diritti umani nei territori non autonomi del Sahara occidentale, sono contrario a questa relazione a causa dell’omissione dei dati sopracitati e dell’impatto negativo sui diritti umani determinato dagli accordi di libero scambio dell’Unione, per non parlare delle critiche ingiustificate ed eccessive rivolte a paesi come Cuba e Venezuela.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La relazione sui diritti umani nel mondo nel 2009 è molto dettagliata e affronta una grande varietà di problematiche. Sfortunatamente, ho come l’impressione che si sia fatto un disperato tentativo di includere ogni problema possibile senza seguire una chiara strategia. Il punto è che la promozione della democrazia in tutto il mondo deve rappresentare una priorità per l’Unione europea; si rendono dunque necessari un approccio chiaro e una strategia precisa e coerente per la risoluzione di questi problemi, alcuni dei quali sono estremamente complessi. Non vi è segno della presenza di una strategia di questo tipo e per questo ho deciso di astenermi dalla votazione finale.
Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE), per iscritto. – (LT) Nonostante la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sia stata siglata oltre 60 anni fa, vi sono ancora numerosi luoghi al mondo dove è rimasta lettera morta. Tristemente, molti di questi luoghi si trovano in Europa, un continente che è stato la culla della protezione dei diritti umani come principio della democrazia. L’Unione europea, della quale possiamo coraggiosamente affermare il ruolo preminente a livello mondiale nel campo dei diritti umani, si sta impegnando a fondo per garantire almeno il rispetto degli standard minimi di protezione dei diritti umani in altri luoghi del mondo. Desidero pertanto congratularmi con la relatrice, l’onorevole Andrikienė, per questa relazione così completa e per aver richiamato l’attenzione sulla complessa situazione a livello mondiale. Mi auguro che la relazione contribuisca a determinare una serie di miglioramenti di modo che le future relazioni su tali materie siano più brevi.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione del Parlamento europeo sui diritti umani di quest’anno perché abbraccia paesi geograficamente vicini e lontani dall’Unione. Nella relazione, il Parlamento europeo invita la Cina, il paese con il più alto numero di esecuzioni capitali, a rendere pubbliche le cifre relative alle esecuzioni compiute, in modo da consentire un’analisi e un dibattito trasparente sulla pena capitale. In questo modo il paese dovrebbe essere incoraggiato ad accelerare l’abolizione di questa barbarica forma di condanna; d’altro canto, è vergognoso che si faccia ancora ricorso alla pena capitale in paesi democratici quali gli Stati Uniti d’America. Nella relazione si esprime profonda preoccupazione per i bambini coinvolti o colpiti in altro modo nei conflitti armati o addirittura costretti a parteciparvi attivamente. Nei miei emendamenti alla relazione, che sono stati accolti dalla commissione per gli affari esteri del Parlamento, sollecito la Commissione e il Consiglio a garantire l’obbligatorietà del rispetto degli orientamenti dell’Unione europea sui bambini e i conflitti armati nelle relazioni con i paesi terzi. Chiedo misure iniziative immediate da adottare da parte dell’Unione e delle Nazioni Unite per la smobilitazione, la riabilitazione e il reinserimento dei bambini reclutati come soldati.
Sollecito le autorità nordcoreane ad adottare provvedimenti concreti e tangibili per migliorare la situazione dei diritti umani e invito al riguardo le autorità di Pyongyang ad autorizzare le ispezioni di ogni tipo di struttura carceraria da parte di esperti internazionali indipendenti e a permettere ai relatori speciali dell’ONU di visitare il paese. Invito inoltre le autorità nordcoreane a revocare le restrizioni che limitano la capacità degli operatori internazionali di monitorare la distribuzione degli aiuti e ad assicurare che tali aiuti raggiungano chi ne ha bisogno.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Questa risoluzione sulla relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2009 e sulla politica dell’Unione europea in materia comprende un dettagliato elenco delle violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Vanno qui ricordati l’incrollabile determinazione e gli impegni di lunga data del Parlamento europeo per la difesa dei diritti umani e della democrazia nel mondo mediante l’applicazione di una politica ferma ed efficace per la difesa dei diritti umani nell’Unione europea.
Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, abbiamo un’opportunità storica per affrontare le rimanenti carenze della politica dell’Unione europea in materia di diritti umani e democrazia. Mi associo alla relatrice nella richiesta della piena osservanza da parte del servizio europeo per l’azione esterna delle finalità e dello spirito del trattato di Lisbona, per garantire che il rispetto e la promozione dei diritti umani siano al centro dei vari settori di intervento della politica esterna dell’Unione.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ieri il Parlamento europeo ha assegnato il Premio Sacharov per la libertà di pensiero al cittadino cubano Guillermo Fariñas, che non ha potuto presenziare alla cerimonia; la sua sedia era vuota perché il governo cubano non gli avrebbe consentito di fare ritorno a casa. Si tratta di un esempio scioccante e simbolico, che ci ricorda brutalmente che la situazione dei diritti umani nel mondo non sta migliorando. La pratica della pena di morte a due passi da noi in Bielorussia, impiccagioni e lapidazioni in Iran, mutilazioni genitali femminili in Somalia, stupri di massa nella Repubblica democratica del Congo, omicidi di giornalisti in Russia, 215 milioni di bambini lavoratori, arresti arbitrari, processi iniqui, censura e numerose altre barbarie richiedono che l’Unione europea sia risoluta e intransigente.
La relazione adottata oggi ci chiede di porre i diritti umani al centro delle azioni di politica esterna dell’Unione, nelle politiche per lo sviluppo, la difesa, il commercio, la pesca, l’immigrazione e la giustizia. L’universalità di questi valori deve essere più importante della geopolitica; il 10 dicembre 2010 è ancora una volta accaduto il contrario, quando 15 paesi hanno vigliaccamente risposto all’esplicita richiesta della Cina di boicottare l’assegnazione del Premio Nobel per la pace al cittadino cinese Lu Xiaobo.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo per l'ottimo lavoro svolto dalla collega Andrikienè. La relazione annuale del Parlamento sui diritti umani – quest'anno relativa al 2009 – è un punto di riferimento per tutti coloro che si interessano alla questione. Stavolta è ancora più importante, perché è il primo dall'entrata in vigore del trattato di Lisbona, che conferisce all'UE maggiori poteri in politica estera. Infatti, la più grande speranza per i diritti umani è l'attuazione del trattato di Lisbona per quello che riguarda la politica estera: il Servizio di azione esterna deve riflettere le priorità e lo spirito del trattato.
Una delle priorità di una politica estera coerente dovrebbe essere la promozione della democrazia e dei diritti umani. Infine, noto che la relazione annuale del Parlamento sui diritti umani non fornisce solo una lunga lista di problemi, suggerisce anche soluzioni. Si registra l'abolizione della pena di morte in alcuni paesi, i progressi sulla violenza sulle donne, sulla protezione dei minori, la lotta contro la tortura, la protezione per gli attivisti dei diritti umani, la promozione della democrazia e della libertà religiosa, eccetera.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Come sempre, il testo finale presenta aspetti positivi e negativi. Tra quelli positivi, va anzitutto menzionato l’emendamento in due parti relativo a Magnitsky, adottato con una larga maggioranza (318 voti favorevoli, 163 contrari e 95 astensioni); gli emendamenti dei gruppi S&D e ALDE sono stati tutti adottati (persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, pena di morte/iniezione letale), così come due emendamenti del gruppo GUE (accesso paritario alla sanità e alle cure sanitarie e Colombia). Tra gli aspetti negativi, dobbiamo citare l’adozione di due emendamenti presentati dalla relatrice (gruppo PPE), relativi allo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani e alla necessità di dedicare più progetti alla democrazia anziché all’alto rappresentante.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Andrikiene perché ritengo sia necessario ribadire ancora una volta che il rispetto dei diritti umani è lo specchio della società moderna. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali, ed è nostro chiaro dovere fare il possibile affinché tale opportunità valga in tutto il mondo. Nonostante negli ultimi anni la politica esterna dell'UE abbia fatto registrare importanti passi avanti, è ancora lunga la strada per adottare una politica condivisa e coerente per la promozione dei diritti umani.
È necessario innanzitutto che Consiglio e Commissione migliorino la capacità dell'Unione europea nella risposta rapida alle violazioni nei paesi terzi. Partendo dalla ferma condanna della pena di morte in tutta l'Unione Europea, bisogna adoperarsi quotidianamente nella conquista e nella riaffermazione dei diritti umani. Al riguardo, Presidente, concludo ricordando come per il Mahatma Ghandi "La tutela dei diritti umani sia il presupposto necessario alla pace", e questo non va mai dimenticato.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) La risoluzione sulla relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2009 e sulla politica dell’Unione europea in materia fornisce una panoramica quasi omnicomprensiva dei problemi legati ai diritti umani in tutto il mondo. La relazione tocca inoltre nuove questioni, quali la protezione dei diritti umani e la lotta contro il terrorismo. Grazie agli emendamenti del gruppo Verde/Alleanza libera europea, è stato inserito un capitolo sul ruolo dei diritti umani nel servizio europeo di azione esterna (SEAE) di recente istituzione. Si tratta di un aspetto molto importante perché, essendo un nuovo strumento, il SEAE può offrirci l’opportunità di riesaminare la politica dell’Unione europea in materia di diritti umani e di difenderli a livello globale in maniera più coerente e decisiva. Offro pieno sostegno alla proposta di nominare un alto rappresentante che, coadiuvato dal suo staff, si occuperà del coordinamento permanente della politica dell’Unione in materia di diritti umani. Il senso del messaggio è chiaro: i diritti umani devono essere al centro della politica estera dell’Unione europea. Il cammino da percorrere è ancora lungo, ma il Parlamento non abbandonerà la sua azione di monitoraggio e questo è un fatto incredibilmente positivo.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione su una nuova strategia per l’Afghanistan. Ritengo che gli aiuti internazionali debbano essere assegnati direttamente alle autorità afghane, senza intermediari. Per quanto riguarda il processo di pace, il ruolo dell’Unione deve consistere nell’accordare al governo Karzai autonomia nella scelta dei propri interlocutori, ribadendo tuttavia i seguenti presupposti: bandire Al Qaeda dal paese, eliminare la coltivazione del papavero da oppio e manifestare la volontà di far valere il rispetto dei diritti umani fondamentali. Per quanto concerne la formazione professionale delle forze di polizia, concordo con gli obiettivi di non limitarsi ad ampliare il numero di poliziotti e soldati, ma di dedicare maggiore attenzione alla formazione, all’organizzazione e ai rapporti della polizia con le istituzioni giudiziarie parallele.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione e sostengo l’adozione di un approccio pragmatico rispetto all’Afghanistan nonché la nuova strategia controinsurrezionale studiata per proteggere la popolazione locale e ricostruire le zone in cui la sicurezza è stata garantita. È necessario accordare alla nuova strategia controinsurrezionale il tempo di dare i propri frutti; si dovrebbe trovare una soluzione politica e si dovrebbero tenere negoziati con tutte le parti coinvolte. Sono convinta che qualsiasi soluzione a lungo termine debba prevedere misure concrete per l’eradicazione della povertà, del sottosviluppo e della discriminazione nei confronti delle donne, per rafforzare il rispetto dei diritti umani e lo stato di diritto, potenziare i meccanismi di riconciliazione, garantire la fine della produzione di oppio, impegnarsi in una solida strategia di consolidamento dello stato e integrare pienamente l’Afghanistan nella comunità internazionale nonché bandire Al Qaeda dal paese. È nostro dovere rendere omaggio ai militari, uomini e donne appartenenti alle forze alleate che hanno perso la vita nel difendere la libertà ed esprimere cordoglio alle loro famiglie e a quelle di tutte le vittime afghane innocenti.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) La situazione in Afghanistan è ancora fonte di preoccupazione: sono trascorsi circa 10 anni da quando la coalizione occidentale ha rimosso i talebani dal potere, ma la pace e la prosperità sono ancora ben lungi dal far parte della quotidianità degli afghani. La strategia impiegata per anni nel paese è errata e va modificata. L’Unione deve far valere le proprie opinioni in materia e prendere atto del fallimento della politica militare statunitense nella regione. Le nostre truppe sono impantanate in una situazione dalla quale non sembra esserci alcuna speranza di uscire in queste condizioni. Per questo ho votato a favore della risoluzione del Parlamento che richiede una nuova strategia per l’Afghanistan. È necessario modificare il sistema utilizzato sinora: dobbiamo affrontare il problema della corruzione e degli sprechi di modo che gli aiuti internazionali possano finalmente risultare efficaci. La pace verrà ristabilita attraverso l’azione civile e la coalizione deve operare un controllo più severo su questi fondi. D’altro canto, dobbiamo smettere di interferire nelle questioni afghane: il governo del paese deve essere libero di trovare il proprio modus vivendi con tutti i gruppi che costituiscono la società afghana. Il cammino verso lo sviluppo è ancora lungo ed è nostro dovere non mettere a repentaglio questi fragili equilibri.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Mi sono astenuto dalla votazione sulla relazione su una nuova strategia per l’Afghanistan. La relazione certamente contiene diversi punti positivi, riconoscendo aspetti molto deprecabili della situazione attuale e la responsabilità della comunità internazionale, in particolare della NATO, dell’Unione europea e degli Stati membri coinvolti a vario titolo nella guerra in Afghanistan e nella “gestione della ricostruzione” del paese. La relazione mette inoltre in luce che il denaro e gli aiuti umanitari forniti non arrivano effettivamente al popolo afghano. Illustra quanto sia negativa e assurda la permanenza delle truppe straniere nel paese dato che, oltre alla questione delle vittime, costituisce la prova che la situazione è peggiorata in termini di povertà del popolo afghano e di rispetto dei diritti delle donne, si è registrato un incremento vertiginoso delle colture oppiacee e sono persino comparse organizzazioni mafiose e corruzione all’interno del sistema di sicurezza privatizzato applicato dagli Stati Uniti. Purtroppo però gli emendamenti presentati dai gruppi conservatori contraddicono il testo originale e lo hanno alterato a tal punto che ora accoglie con favore la “nuova strategia controinsurrezionale”, adotta il calendario annunciato dal Presidente Obama, invoca una maggiore identificazione dell’Unione europea con la NATO e gli Stati Uniti e riconosce l’efficacia dell’azione delle truppe e la necessità che restino nel paese per garantirne la sicurezza.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) A nove anni dall’inizio, l’intervento militare in Afghanistan è forse la maggiore sfida affrontata dall’Europa e dai suoi alleati in termini di intervento estero e di sicurezza mondiale. La verità è che durante l’ultimo decennio, nonostante la massiccia e ininterrotta presenza internazionale nel paese, la sicurezza in Afghanistan è peggiorata. I terroristi continuano a ricevere sostegno e addestramento e, per di più, i principali indicatori socio-economici mostrano risultati insoddisfacenti. Al momento, il principale obiettivo della comunità internazionale e dell’Europa dovrebbe essere incoraggiare la creazione di un governo forte e stabile, in modo da continuare a sostenere il processo di pace, nella misura in cui si rispettino i tre impegni fondamentali elencati nella relazione: (i) l’impegno dell’Afghanistan a bandire Al Qaeda dal paese; (ii) l’eliminazione della coltivazione del papavero da oppio e la lotta al narcotraffico; (iii) la volontà di far valere il rispetto dei diritti umani fondamentali.
All’interno di questo quadro e in conformità con gli impegni internazionali assunti nell’ambito della NATO, la presenza militare in Afghanistan dovrebbe essere progressivamente ridotta garantendo al contempo il sostegno internazionale per il mantenimento della pace e della sicurezza nell’ottica della stabilità dopo l’intervento.
Carlo Fidanza (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione è forse il miglior compromesso raggiungibile oggi sulla nuova strategia europea in Afghanistan, anche grazie ai numerosi e qualificanti emendamenti presentati dal PPE, che l'hanno resa meno ideologica e più pragmatica, in grado di riconoscere le criticità riscontrate in nove anni di missione in territorio afghano, ma anche di individuare le positività e le linee di sviluppo per rendere più efficace la presenza della comunità internazionale e favorire la transizione verso una piena riappropriazione di sovranità da parte delle autorità afghane.
Una risposta solo militare non può bastare, è vero. Ma essa è una premessa indispensabile per indebolire le formazioni talebane, spingendole a recidere ogni legame con Al Qaeda, e quindi a sedersi al tavolo della trattativa. Sicuramente rimane una priorità evitare stragi di civili, ma non dobbiamo in alcun modo privarci della possibilità di utilizzare i droni che stanno dando buona prova di sé nelle zone al confine col Pakistan.
Va rafforzato l'impegno in EUPOL per continuare a formare un corpo di polizia capace di gestire l'ordine pubblico e va intensificata la formazione di magistrati e funzionari amministrativi, in modo da favorire il rafforzamento delle istituzioni afghane, diminuire la corruzione e costruire le condizioni per il ritorno dell'Afghanistan agli afghani.
Joe Higgins (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Questa relazione sottolinea molti dei problemi presenti in Afghanistan, criticando il ruolo dell’occupazione NATO-USA e le violazioni dei diritti umani nel paese, soprattutto la maggiore repressione subita dalle donne e i più alti livelli di povertà. Il movimento contro la guerra aveva lanciato un allarme rispetto a questi problemi sin dall’inizio del conflitto. Mi sono astenuto dal voto perché non potevo appoggiare il sostegno offerto all’occupazione e all’“offensiva” disposta dall’amministrazione Obama; mi sono astenuto anche dalla votazione sugli emendamenti che richiedevano un maggiore sostegno allo Stato afghano. Sono favorevole al rispetto della sovranità del popolo afghano, ma il regime di Karzai è corrotto e non rispecchia gli interessi della maggioranza degli afghani. Chiedo che tutti gli aiuti siano democraticamente controllati dai piccoli agricoltori, dai lavoratori e dai più poveri del paese. Rilevo l’omaggio reso ai militari che hanno perso la vita e a tutti gli afghani vittime di questa guerra, ma non posso tuttavia essere d’accordo con l’affermazione secondo la quale il personale militare ha perso la vita “nel difendere la libertà”: questa è una guerra combattuta nell’interesse dei grandi poteri imperialisti, non nell’interesse dei cittadini.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. – (FI) Dove finiscono i finanziamenti che inviamo in Afghanistan? Accolgo con favore la proposta di risoluzione su una nuova strategia per l’Afghanistan, che mette in luce molto bene i numerosi problemi che interessano il paese.
Come afferma la relazione, non esiste una soluzione militare per l’Afghanistan: se le truppe non sono state in grado di ristabilire la pace nel paese, non sono serviti neppure i finanziamenti inviati. Secondo quanto riferito nella relazione, tra il 2002 e il 2009 oltre 40 miliardi di dollari USA di aiuti internazionali sono stati destinati al paese; dell’importo totale, solo sei miliardi sono andati al governo afghano, mentre la restante parte è stata assegnata mediante altri canali e il 70-80 per cento non ha mai raggiunto i beneficiari designati, ovvero il popolo afghano.
Inoltre, nel periodo dal 2001 al 2009, i costi della guerra in Afghanistan sono ammontati a oltre 300 miliardi di dollari USA. Queste ingenti somme di denaro non stanno però portando benefici al popolo afghano: a trarre vantaggio dal denaro speso in Afghanistan sono piuttosto l’industria bellica, i mercenari e le aziende internazionali. È importante che la relazione metta in luce questa insoddisfacente situazione.
Sandra Kalniete (PPE) , per iscritto. – (LV) Sostengo pienamente l’appello contenuto nella relazione per la ricostruzione dell’Afghanistan e per migliorare la situazione dei diritti umani. è innegabile che oggi la situazione della sicurezza nel paese sia decisamente migliorata rispetto a nove anni fa: gli afghani vivono in una società più libera, le ragazze hanno accesso all’istruzione e i servizi sanitari sono più accessibili rispetto al periodo che vedeva i talebani al potere. Permangono tuttavia gravi problemi rispetto ai quali non si è compiuto alcun passo avanti, in particolare la lotta contro gli stupefacenti, come viene giustamente sottolineato nella relazione. Secondo il parere degli esperti, il 92 per cento dell’oppio nel mondo proviene dall’Afghanistan e viene poi distribuito in tutti i paesi, anche nell’Unione europea. Dobbiamo tenere presente che la coltivazione del papavero da oppio rappresenta una significativa fonte di reddito nelle aree rurali, dove è difficile trovare altre forme di sostentamento: per questo la distruzione delle piantagioni di papavero da oppio è una soluzione inefficace se non vengono offerte forme alternative di guadagno.
Il governo afghano deve fare un uso più proficuo degli aiuti internazionali per sviluppare le piccole imprese e l’agricoltura nelle regioni dove attualmente si coltiva l’oppio. Nonostante i significativi investimenti dell’Unione europea per la ricostruzione dell’Afghanistan, resta ancora molto da fare. L’aspetto più importante è garantire la sicurezza. Vorrei sottolineare che un ritiro prematuro delle truppe dal paese rappresenterebbe non solo un pericolo per la popolazione locale e una minaccia per il mondo democratico, ma determinerebbe anche la distruzione di quanto di buono è stato realizzato finora. I cittadini hanno pagato un prezzo molto alto per la pace in Afghanistan; non dobbiamo deluderli.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Il relatore ha deciso di concentrarsi esclusivamente su quattro settori nel cui ambito, a suo avviso, le azioni mirate potrebbero portare a cambiamenti reali: aiuto internazionale, implicazioni del processo di pace recentemente avviato, impatto della formazione della polizia ed eliminazione della coltivazione dell’oppio. Pur non appoggiando tutte le conclusioni tratte nella relazione, ho espresso voto favorevole per questo contributo utile e ben meditato al dibattito sull’Afghanistan.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione su una nuova strategia per l'Afghanistan va giudicata nel complesso positiva e quindi il mio voto è favorevole. Gli enormi problemi che permangono oggi in Afghanistan, ognuno di natura diversa e tutti di straordinaria importanza per il futuro del paese mediorientale, chiedono di essere affrontati secondo una logica nuova, con una diversa definizione delle priorità rispetto a quanto fatto finora.
La questione primaria, come è espresso correttamente nella relazione che andremo a votare, è il fatto che “non vi può essere stabilità o pace in Afghanistan senza che lo Stato garantisca innanzitutto la sicurezza dei suoi cittadini e assuma le proprie responsabilità”. In questo senso spero che il relatore riconsideri la parte dove parla dell’utilizzo dei droni, magari attraverso un emendamento orale.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Questa relazione dipinge un quadro disastroso delle conseguenze della guerra in Afghanistan, guidata dalla NATO con la complicità e l’appoggio dell’Unione europea. È deplorevole che la relazione non condanni la guerra ed esiti tra il mantenimento sul campo delle forze militari della NATO e l’attuazione del necessario ritiro. Malgrado questo, ho deciso di astenermi dal voto in considerazione di tutte le importanti critiche contenute nella relazione.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Non ho appoggiato questa relazione perché, non solo non propone il ritiro immediato delle truppe europee, ma “accoglie con favore e sostiene” il piano di rafforzare l’azione dell’Unione europea. Analogamente, mette appena in discussione il ruolo svolto dall’International Security Assistance Force (ISAF) e le gravi violazioni dei diritti umanitari commesse. Ritengo positivo che si citino le dichiarazioni del generale Stanley McChrystal secondo le quali non si ravvisano segnali di una presenza di Al Qaeda nella regione tale da giustificare il dispiegamento di truppe nel paese. Giudico positiva anche la richiesta che la formazione della polizia cessi quanto prima di essere affidata ad aziende private, assieme al considerando nel quale si afferma che non si intravede alcuna conclusione certa della guerra in Afghanistan per via del militarismo e del bellicismo adottati sinora. Il mio impegno fermo e coerente per i valori pacifisti mi ha portato a non appoggiare questa relazione e criticarla perché di spirito e interesse diametralmente opposti alla necessità di smilitarizzare la politica estera e le relazioni estere dell’Unione europea.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) In linea generale, il relatore ha identificato correttamente la situazione in Afghanistan, mostrandosi consapevole del fatto che le risorse e le truppe sono impiegate in modo del tutto errato nel paese e che risorse e truppe aggiuntive non cambierebbero la situazione. Ha giustamente riconosciuto che la presenza e l’atteggiamento sprezzante della coalizione rappresentano il motivo primario del totale rifiuto manifestato dalla popolazione locale. Riconosce inoltre che non è possibile imporre la democrazia e i valori occidentali al popolo afghano. Ritengo tuttavia che meriti delle critiche per l’insistenza su temi come i diritti delle donne che, sebbene molto importanti, sono del tutto inaccettabili a livello locale e rendono quindi l’intero processo di pace ancora meno probabile.
Inoltre, pur segnalandone gli effetti negativi, il relatore chiede più truppe e più risorse per l’Afghanistan. Sono convinto che la guerra afghana sia ingiusta e che continuare l’occupazione del paese non arrecherà alcun beneficio né all’Europa né allo stesso Afghanistan. La prima linea di difesa dell’Europa non si trova lungo l’Hindu Kush. Per questo ho espresso voto contrario a questa relazione.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Gli Stati membri dell’Unione europea che stanno combattendo al fianco degli Stati Uniti nella guerra in Afghanistan dovrebbero ritirare le truppe dal paese prima possibile. Tra non molto, saranno dieci anni che si combatte in Afghanistan e non la situazione della sicurezza non è ancora minimamente migliorata; al contrario, i talebani si stanno rafforzando. L’Europa sta sprecando le proprie risorse, anziché impiegarle dove sono più necessarie, per esempio al confine con i Balcani. È difficile comprendere quali siano in realtà gli interessi europei da difendere lungo l’Hindu Kush. Sembrerebbe che l’obiettivo primario non sia stabilire una democrazia in Afghanistan secondo il modello occidentale, come affermano gli americani, ma siano piuttosto gli interessi economici a rivestire un ruolo cruciale. Secondo il New York Times, si stima che in Afghanistan giacciano sepolte risorse naturali del valore di circa 1 miliardo di dollari. Ovviamente, all’Unione europea viene chiesto di aiutare gli USA nel lo sfruttamento indisturbato di queste risorse. Per questo motivo, ho espresso voto contrario alla relazione.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Questa relazione su una nuova strategia per l’Afghanistan è stata redatta sulla scia della riunione del consiglio “Affari esteri”, durante la quale si è discusso come procedere nell’attuazione del Piano d’azione per l’Afghanistan e il Pakistan ed è stata presentata la prima relazione semestrale di attuazione.
Esprimo il mio totale sostegno a una strategia finalizzata a proteggere la popolazione e ricostruire le zone in cui la sicurezza è garantita, nonché a soluzioni politiche che prevedano la partecipazione ai negoziati di tutte le parti coinvolte. Accolgo con favore l’obiettivo del trasferimento graduale alle forze afghane delle responsabilità in materia di sicurezza, da concludersi entro il 2014.
Appoggio senza riserve l’invito del Parlamento alla Commissione a garantire la totale trasparenza in relazione all’assistenza finanziaria fornita al governo afghano, alle organizzazioni internazionali e alle ONG locali. Solo mediante un sistema trasparente potremo mantenere la coerenza degli aiuti e ottenere esiti positivi rispetto al nostro obiettivo ultimo: la ricostruzione e lo sviluppo dell’Afghanistan,.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo con il collega Arlacchi. La relazione approvata oggi propone di articolare la nuova strategia dell’UE per l’Afghanistan su quattro fattori chiave: il sostegno pieno ai negoziati di pace tra il governo Karzai e i Talebani e gli altri gruppi insurrezionali; un grande piano di formazione della polizia afghana; l’eliminazione delle coltivazioni di oppio; la cessazione dello scandalo degli aiuti internazionali che svaniscono per l'80% lungo il percorso tra i paesi donatori e l’Afghanistan. Per quanto riguarda l'ultimo punto sopra citato, si nota che gli aiuti internazionali all'Afghanistan finiscono in tangenti, forme di ''corruzione legalizzata'' e ruberie di ogni tipo e spesso finanziano il nemico.
A partire dal 2002 la sola UE ha versato al martoriato paese 8 miliardi di euro e nonostante ciò la mortalità infantile è aumentata, i livelli di alfabetismo sono calati e l'incidenza di quanti vivono al di sotto della soglia di povertà è aumentata del 130% nei soli ultimi sei anni. Per porre rimedio alla mancanza di coordinamento e trasparenza tra i donatori internazionali, si invita l’UE ad istituire una banca dati centralizzata di tutti gli aiuti dell’UE e a stanziare maggiori fondi direttamente a progetti concreti in partnership con le istituzioni afghane.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione adottata oggi si basa sulle ampie consultazioni che hanno impegnato il relatore negli ultimi sei mesi sulla situazione in Afghanistan e ai suoi rapporti con la comunità internazionale, nel tentativo di spiegare le cause degli scarsi risultati ottenuti nel paese malgrado i notevoli finanziamenti e l’impegno profusi negli ultimi nove anni. In Afghanistan il divario tra speranza e realtà è più evidente che mai e pertanto la nuova strategia dell’Unione europea nel paese deve partire da questa premessa. La relazione è incentrata esclusivamente su quattro settori nel cui ambito le azioni mirate potrebbero portare a cambiamenti reali: aiuto internazionale, implicazioni del processo di pace recentemente avviato, impatto sulla formazione della polizia ed eradicazione della coltivazione dell’oppio.
Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. – (EN) La relazione contiene utili accenni alla missione NATO/ISAF, ai gravi problemi dell’analfabetismo e del maltrattamento delle donne, alla corruzione endemica e alla necessità di nuove idee. Sarebbe bastato limitarsi a questo, ma si è invece deciso di non astenersi dalle costanti critiche rivolte alla coalizione e, implicitamente, agli Stati Uniti, cercando in vari modi di elevare il ruolo dell’Unione europea. Si sono chiesti maggiori “fondi dall’Unione europea”, quando chiaramente non c’è bisogno di più denaro, ma di un migliore controllo e impiego dei notevoli importi già stanziati. Di conseguenza, il gruppo ECR ha deciso di astenersi dalla votazione.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione, in quanto il Parlamento europeo con questo documento sta rafforzando il proprio ruolo nell’ambito delle relazioni con la Commissione. Concordo con la commissione per gli affari esteri sull’importanza che il Parlamento sia in grado di esercitare in modo efficace e tempestivo le proprie prerogative e che la Commissione informi attivamente il Parlamento in merito ad ogni progetto di misure, progetto di misure modificato e progetto di misure definitivo che intende adottare, conformemente all’articolo 291 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea; questo articolo sancisce che, allorché siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione e le competenze di esecuzione sono conferite alla Commissione, l’esercizio di tali competenze di esecuzione è sottoposto al controllo esclusivo degli Stati membri. Ritengo che alla luce della specificità e della sensibilità politica degli atti di esecuzione da adottare nel quadro degli strumenti di assistenza finanziaria esterna e in linea con la pratica stabilita attraverso il dialogo di controllo democratico, il Parlamento debba avere la possibilità di contribuire al processo volto a definire il contenuto dei progetti di atti di esecuzione da adottare nel quadro degli strumenti di assistenza finanziaria esterna.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Nell’architettura dell’Unione europea, il ruolo della Commissione è simile a quello svolto da un governo in uno Stato classico. La Commissione dispone di iniziativa legislativa, ma anche del potere di attuare regolamenti, direttive e decisioni e può quindi essere ritenuta il ramo esecutivo dell’Unione. È dotata di poteri derivati che le permettono di adottare misure volte ad attuare i testi approvati mediante la procedura legislativa ordinaria. Proprio come i regolamenti e le circolari devono rispettare in Francia le leggi in vigore, così gli atti di esecuzione della Commissione non sono autonomi rispetto alle leggi europee. È possibile tuttavia che nell’esercizio di tale potere, la cui attuazione risulta piuttosto naturale, la Commissione ecceda le proprie prerogative, il più delle volte involontariamente. Per ragioni democratiche spetta alle altre istituzioni dell’Unione europea monitorare l’attività della Commissione, affinché la ripartizione delle competenze venga rispettata. Per questo ho votato a favore della presente proposta di regolamento che stabilisce i principi generali per il controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Non ho potuto votare a favore della relazione, poiché sacrifica poteri recentemente e duramente acquisiti dal Parlamento europeo nell’ambito del commercio internazionale a vantaggio di un accordo con il Consiglio sulle competenze di esecuzione in altri settori.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La proposta della Commissione costituisce un attacco concertato contro la democrazia. La presente relazione si accontenta di modificare la situazione, senza tuttavia denunciarla. La Commissione rappresenta l’unico gruppo di funzionari in tutto il mondo che sfugge al controllo del proprio governo (il Consiglio). Voterò contro questo ennesimo gesto autoritario.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Da sempre sono visibili sforzi per centralizzare il controllo all’interno dell’Unione europea. Questi tentativi sembrano essere cresciuti di recente parallelamente a un aumento della burocrazia, nonostante le dichiarazioni per sostenere il contrario. Deve rimanere di competenza degli Stati membri decidere quali poteri desiderano cedere all’Unione europea e/o alla Commissione e questo non può essere modificato da una sentenza della Corte di giustizia europea, la quale sembra perseguire da anni il principio di uno Stato centralizzato nelle proprie sentenze. Allo stesso modo, questo principio non deve essere impiegato per strumentalizzare il trattato di Lisbona né deve essere perseguito con il pretesto della gestione delle crisi. A livello teorico, esiste una chiara accettazione del principio di sussidiarietà, sebbene quest’ultimo sia tuttavia frequentemente ignorato o evitato nella pratica. Ho votato a favore della relazione, in quanto si oppone in sostanza a questa tendenza.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Il compromesso raggiunto permette di includere la Politica Commerciale, compresi gli strumenti di difesa commerciale, nel quadro generale della comitologia. Tale approccio è del tutto coerente ed in linea con lo spirito e la lettera del Trattato di Lisbona. In particolare, condivido appieno la necessità di rafforzare il processo decisionale ed attuativo, attribuendo alla Commissione gli idonei strumenti nell’interesse comune dell’UE, degli Stati membri e di tutti gli operatori economici. Sostengo il principio che la Commissione adotti misure definitive antidumping e antisovvenzione e che gli Stati membri votino in base alla maggioranza qualificata.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La presente relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione è motivata dalle nuove regole in merito agli atti di esecuzione introdotte dal trattato di Lisbona.
Si tratta di una questione delicata, non da ultimo in materia di agricoltura e pesca. Con l’attuale sistema della comitatologia, la Politica agricola comune interessa la maggior parte degli atti.
In seguito all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, le attuali disposizioni di comitatologia dovranno essere sostituite da atti delegati e atti di esecuzione a norma degli articoli 290 e 291 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
I problemi in merito all’adeguamento della legislazione esistente alle disposizioni del trattato di Lisbona rivestono la massima importanza, soprattutto per quelle politiche, come la PAC e la Politica comune della pesca che non sono trattate con la procedura di codecisione.
Solo la sperimentazione di una nuova legislazione, profondamente modificata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, sarà in grado di indicare se la strada intrapresa condurrà all’attuazione e all’efficacia delle politiche europee.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) In termini generali, la relazione è stata accolta positivamente da tutti i gruppi e gli emendamenti presentati dalla commissione riflettono l’intesa raggiunta tra il Consiglio e la Commissione per un accordo in prima lettura. Il nostro gruppo è a favore del suddetto accordo.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione, in quanto si rende necessario un meccanismo permanente anti-crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria dell’euro. Il meccanismo europeo di stabilità e/o il Fondo monetario europeo devono fondarsi sulla solidarietà, essere soggetti a rigide regole di condizionalità ed includere tra le fonti di finanziamento le sanzioni pecuniarie applicate agli Stati membri a seguito di procedure per deficit, debito e squilibri eccessivi. A mio avviso è altresì importante che il finanziamento del meccanismo permanente anti-crisi si basi sul principio del “chi inquina paga”, nel senso che gli Stati membri che creano rischi maggiori con i propri deficit e con il proprio indebitamento dovranno contribuire con una quota maggiore. Queste sanzioni rappresentano uno dei mezzi per evitare nei paesi partecipanti alla zona euro crisi economiche e finanziarie come quella che si è verificata in Grecia alcuni mesi fa e che ancora persiste.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La lotta contro i lavoratori, i lavoratori autonomi e i piccoli coltivatori costituisce una scelta strategica dei governi borghesi e dell’Unione europea per sostenere la redditività del capitale. Il debito e il deficit sono solo semplici pretesti. Tutti i governi nazionali degli Stati membri appartenenti alla zona euro e l’Unione europeo sono chiamati ad aumentare l’adozione e l’applicazione di misure ancora più brutali, barbare, antipopolari e dannose per il lavoro, coordinate dall’Unione europea, dalla Banca centrale europea (BCE) e dal Fondo monetario internazionale (FMI). Il vertice creerà un meccanismo di sostegno, il quale rappresenta in sostanza un meccanismo di bancarotta, mentre la discussione sulle risorse e la partecipazione di capitale privato sono fumo negli occhi per i lavoratori. L’obiettivo è di garantire che la plutocrazia non fallisca. Il capitale rende i mercati più visibili per il regolatore assoluto dei meccanismi comunitari e modifica il trattato di Lisbona in modo tale da salvaguardare i suoi profitti, sfruttando eccessivamente i lavoratori e saccheggiando la ricchezza che producono. La governance economica rafforzata viene imposta per controllare le ristrutturazioni capitalistiche e per aumentare gli attacchi contro la vita e i diritti dei lavoratori. Alla luce di questa aggressione totale da parte del capitale e della plutocrazia, c’è urgente bisogno di una manifestazione popolare più ampia per invertire radicalmente le correlazioni del potere a beneficio di un’alleanza del popolo, per ottenere l’uscita dall’Unione europea, nonché il potere e un’economia popolare.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Giovedì 16 dicembre 2010 i capi di Stato e di governo hanno concordato il mantenimento dei meccanismi di solidarietà finanziaria adottati diversi mesi fa come risposta alla crisi, per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo complesso, in caso di difficoltà di uno o più Stati membri aderenti all’euro. La concessione dell’assistenza finanziaria resta tuttavia soggetta a requisiti molto severi, che ritengo necessari. Come nella risoluzione del Parlamento, accolgo con favore l’impegno adottato dagli Stati membri, a dimostrazione di una vera e propria solidarietà europea; una solidarietà infallibile è oggigiorno la migliore risposta che possiamo fornire ai mercati.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto – (LT) Quest’anno sono state adottate decisioni importanti atte alla creazione di un quadro dell’Unione europea per la governance economica e la supervisione finanziaria. L’Unione europea vedrà l’avvio del Comitato europeo per il rischio sistemico, responsabile della vigilanza prudenziale sul sistema finanziario, onde prevenire periodi di turbolenze finanziarie diffuse e contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, garantendo in tal modo un apporto duraturo del settore finanziario alla crescita economica. Condivido la proposta di creare un meccanismo europeo di stabilità permanente e quindi di consolidare ulteriormente la governance economica per garantire un’efficace e rigorosa opera di vigilanza e coordinamento economico fondata sulla prevenzione. Appoggio la proposta secondo la quale gli Stati membri non appartenenti all’area euro devono avere la possibilità di essere coinvolti nella creazione di tale meccanismo e, se necessario, ricevere assistenza finanziaria.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione del Parlamento europeo, la quale discute la necessità degli Stati membri di creare un meccanismo permanente anti-crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria nella zona euro nel suo complesso. Tale strumento punta ad un’efficace e rigorosa opera di vigilanza e coordinamento economico fondata sulla prevenzione e atta a ridurre notevolmente in futuro il rischio di insorgenza di nuove crisi. Per snellire l’attuale processo di coordinamento politico-economico e rimuovere le sovrapposizioni, nonché assicurare che la strategia dell’Unione europea risulti comprensibile agli operatori di mercato e ai cittadini, si rende necessario adottare approcci più integrati e cambiare il processo decisionale. Anch’io credo si debba rafforzare la partecipazione del Parlamento europeo nelle procedure legislative in merito al meccanismo anti-crisi, migliorando la responsabilità democratica e affidandosi alla competenza, indipendenza e imparzialità della Commissione. Considerando che il meccanismo europeo di stabilità mira ad integrare il nuovo quadro di governance economica rafforzata, il Parlamento europeo invita la Commissione a presentare una comunicazione che, previa consultazione con la Banca centrale europea, illustri in modo particolareggiato il meccanismo permanente anti-crisi.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulla creazione di un meccanismo permanente anti-crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria nella zona euro, alla luce della sua necessità nell’attuale crisi economica e finanziaria.
Sostengo la presente risoluzione, in quanto chiede che il meccanismo si ispiri al metodo comunitario, che implica un processo decisionale a livello europeo. Disporre di un meccanismo permanente anti-crisi è proficuo per tutti gli Stati membri, compresi quelli che non hanno ancora adottato l’euro, considerando l’interdipendenza delle economie europee.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo contro espresso voto contrario alla risoluzione, in quanto non condividiamo le posizioni adottate sui problemi finanziari che gli Stati membri stanno vivendo, senza considerare le loro cause e senza presentare misure fondamentali per identificare una soluzione definitiva. Tali soluzioni comprendono l’abolizione immediata del Patto di stabilità e crescita, la tempestiva modifica dello statuto e degli orientamenti della Banca centrale europea, la fine immediata della liberalizzazione del mercato dei capitali e dei derivati, nonché la sollecita abolizione dei paradisi fiscali.
Poiché l’Unione europea non vuole adottare nessuna di queste misure, sta optando per posizioni che riducono a stento l’attuale problema, ma che dipendono significativamente dal mercato finanziario e dai paesi più ricchi.
La risoluzione insiste sull’imporre sanzioni agli Stati membri che non rispettano le norme stabilite, in particolar modo quelle contenute nel Patto di stabilità e crescita, le quali aggraveranno la situazione complessiva dei paesi con le economie più deboli.
Il punto più importante è dunque costituito dagli interessi delle maggiori potenze, come la Germania, e la tanto annunciata solidarietà è perciò ancora assente.
Jim Higgins, Seán Kelly, Mairead McGuinness e Gay Mitchell (PPE), per iscritto. – (EN) Abbiamo votato contro la base imponibile consolidata comune per le società (CCCTB), ma non abbiamo voluto respingere altri aspetti importanti della presente relazione. Il nostro sostegno alle disposizioni generali non deve tuttavia essere letto come un appoggio alla CCCTB.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione, in quanto si rende necessario creare un meccanismo permanente anti-crisi credibile, solido, duraturo e ancorato all’essenzialità dei dati reali, nonché ispirato al metodo comunitario, garantendo pertanto la stabilità di mercato e una maggiore certezza.
Iliana Ivanova (PPE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sul meccanismo permanente anti-crisi che perché, durante le discussioni in seno alla commissione per gli affari economici, i testi concernenti la creazione di un tasso minimo imponibile per le società del 25 per cento nell’Unione europea sono stati eliminati. Sostengo fermamente il mantenimento delle politiche fiscali nazionali per gli Stati membri. É fondamentale salvaguardare la concorrenza fiscale come strumento atto ad agevolare la coesione e ad aumentare la crescita economica dell’Unione europea. Come potremmo altrimenti promuovere la competitività dell’Unione europea, se eliminiamo uno dei migliori strumenti volto a favorirla e cosa risolveremmo armonizzando le imposte senza avere il consenso di tutti gli Stati membri? Sostengo altresì la proposta secondo la quale gli Stati membri che creano rischi maggiori con i propri deficit e con il proprio indebitamento dovranno contribuire con una quota maggiore, in quanto tale punto incoraggerebbe senza dubbio una rigorosa disciplina di bilancio, accrescendo il valore aggiunto derivante da una adeguata politica economica e fiscale.
Bogusław Liberadzki (S&D), per iscritto. – (PL) Mi preoccupa fortemente la creazione di un meccanismo permanente anti-crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria nella zona euro. Tale questione è di fondamentale importanza per i paesi appartenenti all’area dell’euro e per i restanti Stati membri dell’Unione europea, dove vivono oltre 150 milioni di cittadini dell’Unione. La stabilizzazione della moneta contribuirà a soddisfare le loro ambizioni di entrare in quest’area e potrà proteggere l’intero sistema da un’ulteriore turbolenza. La risoluzione non risolve alcun problema di per sé, ma può inviare un messaggio forte al Consiglio e alla Commissione, nonché agli Stati membri, dando voce alla ferma intenzione del Parlamento di rafforzare l’approccio dell’Unione e la solidarietà europea. Ho votato a favore della presente risoluzione e nutro grandi speranze a riguardo.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la presente risoluzione e in particolare l’emendamento orale dell’onorevole Hughes, che invita il Consiglio a fornire il necessario segnale politico per un’indagine da parte della Commissione su un futuro sistema di eurobond, con una chiara specificazione delle condizioni alle quali un siffatto sistema sarebbe benefico a tutti gli Stati membri partecipanti e alla zona euro nel suo insieme.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La presente relazione sostiene la creazione del meccanismo europeo per la stabilità finanziaria e i tagli sociali che ne derivano. Richiede la piena conformità ai regolamenti del Fondo monetario internazionale e stabilisce il controllo della Commissione europea sui bilanci nazionali. Ho pertanto espresso voto contrario alla presente relazione, che condanno.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La proposta di risoluzione presentata oggi, ingannevolmente intitolata “Creazione di un meccanismo anti-crisi”, rappresenta di fatto un tentativo disperato da parte degli imperialisti dell’Unione europea di unire tutti gli Stati membri dell’Unione ad un destino comune europeo, seguendo il principio “uniti stiamo in piedi, uniti cadiamo”. Sin dall’inizio, l’euro è stato una costruzione calcolata male e destinata a fallire; è impossibile raggruppare economie nazionali completamente diverse sotto una moneta unica condivisa. Senza il desiderio di una maggiore integrazione o di trasferire le imposte tra i popoli dell’Europa, sarà necessario abolire l’unione monetaria esistente e crearne una con una valuta forte. Meglio quindi una fine spaventosa, che uno spavento senza fine. Per questo ho espresso voto contrario alla presente proposta di risoluzione.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Cari colleghi, ribadisco quanto affermato ieri nel corso del dibattito e sono molto contento per l'approvazione dell'emendamento 12, anche se io avrei inserito un riferimento ancora più diretto. E' necessario trovare degli strumenti nuovi e innovativi per finanziare il meccanismo anticrisi. Con l’emissione di Eurobond lo Strumento Anticrisi si finanzierebbe sul mercato attingendo dai capitali stranieri e da chi vuole fare investimenti, senza alcun gravame sui bilanci nazionali. Un meccanismo basato unicamente sulla contribuzione per quote, sotto forma di mero accantonamento di riserve, comporterebbe un forte aggravio per gli Stati che dovrebbero trovare mezzi o capitali da dover depositare senza però portare alcun rendimento o ritorno. In una situazione come quella attuale, in cui da un lato si chiede agli Stati di attuare politiche rigorose in materia di bilanci per ridurre deficit e debito e dall'altro si chiedono contributi per la partecipazione al Fondo anticrisi, si rischia davvero il collasso.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La presenta risoluzione invita, tra le altre cose, il Consiglio europeo a precisare al più presto possibile le modifiche al trattato che sono necessarie per istituire un meccanismo europeo di stabilità permanente. Il Parlamento ricorda di aver accolto con favore l’istituzione di un meccanismo di stabilità finanziaria che affronti i rischi di base dei debitori sovrani, utilizzando in parte l’articolo 122 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) come base giuridica di questo piano, ed ha rilevato le relative mancanze in termini finanziari e di responsabilità del pacchetto di interventi di salvataggio decisi dal Consiglio senza la consultazione del Parlamento europeo. Il testo chiede altresì che il Parlamento venga coinvolto in qualità di colegislatore nelle prossime decisioni e proposte per uscire dalla crisi e sottolinea da un punto di vista razionale, pratico oltre che democratico, che l’esame del pacchetto legislativo sulla governance economica non può essere disgiunto dalla decisione del Consiglio europeo di creare un meccanismo permanente anti-crisi.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione che chiede il ripristino della democrazia nella Repubblica della Costa d’Avorio a seguito delle elezioni presidenziali avvenute il 28 novembre 2010. La decisione illegale da parte del Consiglio costituzionale del paese, i cui membri hanno eletto il presidente uscente, di cambiare i risultati dichiarati dalla commissione per le elezioni, in violazione di una norma che il Consiglio costituzionale stesso ha il dovere di rispettare, è in contrasto con la volontà dei cittadini ivoriani espressa durante le votazioni. Questa decisione deve essere rovesciata, poiché, in caso contrario, il paese non sarà capace di liberarsi dallo stallo politico postelettorale e gli atti di violenza già registrati aumenteranno. Per il benessere dei cittadini della Costa d’Avorio e la pace nel paese, sostengo pertanto l’appello rivolto al Presidente uscente Gbagbo, nonché la richiesta a quest’ultimo di ritirarsi e cedere il potere all’ex Primo ministro Ouattara, al quale gli elettori hanno dimostrato la propria fiducia attraverso il voto.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Per molti anni la Costa d’Avorio ha rappresentato l’archetipo di una decolonizzazione positiva. Da buon allievo dell’indipendenza ritrovata, negli anni Settanta e Ottanta il paese ha sperimentato una crescita considerevole. Sfortunatamente, una crisi politica latente ha minato poco a poco il paese. Le ultime elezioni presidenziali hanno portato al potere il leader dell’opposizione Ouattara, ma il Presidente uscente Gbagbo si è rifiutato di cedere il potere. Da questo momento in poi, il paese è sprofondato in un’incredibile confusione: due partiti stanno lottando per il potere e gravi incidenti sono costati la vita a sostenitori di entrambe le parti. Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo che invita il Presidente uscente Gbagbo a rispettare i risultati delle elezioni e a cedere il potere senza indugio al suo legittimo successore. Il testo sostiene altresì l’azione dell’Unione africana, che al momento sta esercitando pressioni sul paese per garantire il ritorno alla democrazia.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Il modo in cui si è svolto il secondo turno delle elezioni presidenziali nella Costa d’Avorio è deplorevole. Le violenze, che hanno causato morti e feriti, hanno portato all’espulsione degli osservatori internazionali, un fatto che solleva notevoli dubbi circa la regolarità non solo delle elezioni, ma anche degli sviluppi postelettorali nel paese.
Mi auguro che questo paese, che rappresentava in precedenza un modello di democrazia per il continente africano, superi con successo l’impasse del confronto elettorale.
La massiccia partecipazione alle urne, nonostante le tensioni, esprime la grande preoccupazione dei cittadini ivoriani per il futuro del paese. A mio avviso, è necessario rispettare la volontà dei cittadini espressa durante le votazioni in un’elezione che in passato è stata annullata ben sei volte.
La Costa d’Avorio ha l’opportunità di porre fine al decennio di crisi politiche, militari e del governo provvisorio, che hanno diviso il paese tra il Sud lealista e il Nord ribelle. L’unica soluzione praticabile è rispettare la volontà degli elettori.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La situazione in Costa d’Avorio va condannata a tutti i livelli. È preoccupante constatare che la volontà sovrana degli elettori non viene rispettata e che la commissione elettorale indipendente della Costa d’Avorio impedisca al vincitore delle elezioni presidenziali di assumere il proprio incarico dalla Corte costituzionale. Durante il secondo turno delle elezioni, si sono verificati gravi attacchi alle libertà, in un clima di tensione e violenza che ha provocato feriti e vari morti. La situazione politica nel paese è intollerabile, l’atteggiamento della Corte costituzionale è inaccettabile e l’incapacità del Presidente uscente Gbagbo di accettare la sconfitta viola i principi della democrazia e dello stato di diritto.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Sostengo pienamente l’appello rivolto al Presidente uscente Gbagbo nella presente proposta di ritirarsi e cedere il potere al Presidente eletto democraticamente della Costa d’Avorio Ouattara.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Abbiamo il dovere di accertarci che i risultati elettorali provenienti dalle urne siano rispettati, poiché esprimono il volere del popolo della Costa d’Avorio. I risultati comunicati dal Consiglio costituzionale della Costa d’Avorio vanno contro la volontà dei cittadini ivoriani; non possiamo accettare questo attacco anticostituzionale e antidemocratico. Il 28 novembre 2010 il leader dell’opposizione Ouattara è stato dichiarato il legittimo vincitore delle elezioni presidenziali dalla commissione elettorale indipendente della Costa d’Avorio (CEI) e da parte di quasi l’intera comunità internazionale. Per la stabilità del paese e dell’intera regione è fondamentale porre fine il prima possibile alla strategia di stallo messa in atto dal Presidente uscente Gbagbo.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La situazione politica nella Costa d’Avorio è estremamente critica. In linea di principio non credo spetti all’Unione europea fungere da forza di polizia a livello mondiale, in quanto i paesi stranieri devono essere in grado di determinare il proprio destino, senza avere bisogno della benedizione dell’Unione europea o degli Stati Uniti. In questo caso, tuttavia, non siamo di fronte alla volontà dei cittadini ivoriani, ma piuttosto all’assoggettamento tirannico di questi ultimi da parte di una radicata elite. Alcuni anni fa anche in Europa i cittadini sono stati costretti da poteri politici con i necessari mezzi militari a disposizione ad accettare una forma statale piuttosto discutibile. É importante che questi poteri non siano spinti alla violenza dalla posizione in cui si trovano e dobbiamo impiegare mezzi pacifici per esercitare pressioni su tali persone, affinché abbiano vita difficile nel portare avanti simili politiche ingiuste. Ho votato pertanto a favore della proposta di risoluzione.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La presente risoluzione è motivata dalla grave crisi politica e istituzionale che si sta verificando in Costa d’Avorio a seguito del secondo turno delle elezioni presidenziali tenutosi il 28 novembre 2010.
Le elezioni, che sono state monitorate dalle Nazioni Unite (UN) e dall’Unione europea, si sono svolte nell’insieme in modo soddisfacente. Tuttavia, i risultati presentati dalla commissione elettorale indipendente della Costa d’Avorio che annunciavano la vittoria del leader dell’opposizione Ouattara, sono stati respinti dalla Corte costituzionale del paese, la quale ha capovolto l’esito adducendo casi di frode in alcune aree e dichiarando vincitore l’attuale Presidente Gbagbo.
Considerando che l’unica fonte di legittimità democratica è rappresentata dal suffragio universale, i cui risultati sono stati certificati dalle Nazioni Unite, il Parlamento europeo adotta la presente risoluzione (per la quale voto a favore) allo scopo di esortare il Presidente uscente Gbagbo a ritirarsi e a cedere il potere all’ex Primo ministro Ouattara, nonché per condannare fermamente gli atti di intimidazione indirizzati agli osservatori dell’Unione europea. Con la risoluzione, il Parlamento accoglie con favore la decisione del Consiglio europeo di impiegare misure specifiche verso quanti ostacolano il processo di pace e di riconciliazione nazionale e sostiene la decisione dell’Unione di applicare sanzioni nei confronti del Presidente uscente Gbagbo.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ampio consenso oggi sul voto in merito alla situazione in Costa d’Avorio. La risoluzione del Parlamento europeo votata a grande maggioranza dichiara che il Parlamento ritiene il suffragio universale l’unica fonte di legittimità democratica, i cui risultati sono stati certificati dalle Nazioni Unite, e chiede quindi al Presidente uscente Gbagbo di ritirarsi e di cedere il potere all’ex Primo ministro Ouattara. La risoluzione invita tutte le forze politiche e armate in Costa d’Avorio a rispettare la volontà popolare espressa dai risultati del voto del 28 novembre comunicati dalla commissione elettorale indipendente e certificati dal rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite; il testo deplora i violenti scontri che hanno preceduto la proclamazione dei risultati del secondo turno elettorale ed esprime profonda solidarietà alle vittime e ai loro familiari. La risoluzione esprime inoltre il proprio rammarico per l’ostruzionismo politico e i tentativi di intimidazione ai membri della commissione elettorale indipendente, che hanno finito per ritardare la comunicazione dei risultati provvisori, ostacolando così il normale corso del processo elettorale democratico.
Sonia Alfano (ALDE), per iscritto. – Ritengo opportuno che oggi la Commissione sia venuta in Parlamento a relazionare sul divieto di utilizzo di gabbie non modificate per le galline ovaiole che entrerà in vigore a partire dal gennaio 2012. I dati legati all’attuazione non sono molto incoraggianti ed è per questo necessaria un’azione molto severa nei confronti degli Stati membri che per indolenza non si sono mossi per tempo. La messa al bando di queste gabbie è nota dal 1999, gli Stati membri che sono entrati successivamente erano perfettamente a conoscenza di dover fare dei passi in tal senso secondo precise tempistiche. Un rinvio non è accettabile. Le scadenze vanno rispettate per rendere credibile l’azione dell’Unione Europea. Il Trattato impone all’UE di impostare le sue politiche tenendo presente il benessere degli animali come esseri senzienti. Non nascondiamoci sempre dietro il problema della competitività che non va considerato come una questione di quantità e prezzi ma soprattutto di qualità, di sostenibilità ambientale e anche di etica. Il consumo critico e consapevole deve essere alla base di un nuovo modello economico di cui l’UE deve farsi promotrice. E' pertanto opportuno che la Commissione proceda celermente e in maniera determinata per l’attuazione della direttiva 74/99, a tutela degli animali e dei consumatori.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della presente risoluzione, in quanto promuove una certa flessibilità nei confronti di chi ha già iniziato il processo di adeguamento, ma non è stato ancora in grado di portarlo a termine a causa dell’attuale crisi. A partire dal 1° gennaio 2012, l’allevamento di galline ovaiole in gabbie non modificate sarà proibito e questo stabilirà le norme minime per la protezione galline degli animali. É importante sapere se la Commissione può dimostrare i progressi compiuti dagli Stati membri nel processo di adeguamento al divieto di allevare in gabbie in batteria convenzionali le galline ovaiole dal 1° gennaio 2012, quali azioni avvierà contro gli Stati membri i cui produttori non rispettano il suddetto termine e quali misure adotterà per prevenire qualsiasi forma di concorrenza sleale da parte di paesi terzi sul mercato europeo delle uova dopo il 1° gennaio 2012.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Poco più di 10 anni fa, l’Unione europea ha adottato una direttiva intesa alla protezione delle galline ovaiole dalle spaventose condizioni di allevamento adottate da fin troppe fattorie. Sulla base del significativo deterioramento della situazione nel settore, messo a repentaglio dall’aumento dei prezzi dei mangimi a seguito dalla speculazione sul mercato dei cereali, diversi Stati membri hanno richiesto una revisione della direttiva, da attuarsi entro il 2012. A due anni dalla scadenza, molte fattorie non sono neanche lontanamente vicine a soddisfare i nuovi requisiti. L’attuale risoluzione del Parlamento invita la Commissione a rimanere ferma sulla sua posizione. Il testo accoglie inoltre con favore le consultazioni che la Commissione ha avviato con professionisti del settore, esortandola tuttavia a rifiutare la proroga richiesta da alcuni agricoltori. Sono passati ormai 10 anni dall’entrata in vigore della direttiva.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Dopo il 1° gennaio 2012 le uova depositate dalle galline in batterie da meno di 550 cm non potranno più essere vendute, ma molti allevamenti industriali non sono ancora conformi ai requisiti. In caso di mancata ottemperanza al divieto da parte di cui alcuni Stati membri, potrebbe insorgere il rischio di una penuria di uova e un aumento significativo del prezzo al consumo. Questo potrebbe determinare un aumento delle importazioni di uova da paesi terzi, i quali non sempre rispettano le norme dell’Unione europea in materia di salute. Per questo motivo il Parlamento ha suonato il campanello d’allarme, i produttori e gli Stati membri sono stati richiamati all’ordine per agire velocemente, in particolar modo considerando che sino ad oggi hanno avuto più di 12 anni per conformarsi alla legislazione. Ai produttori che hanno investito per rispettare le suddette richieste e agli allevatori di galline deve essere garantita una concorrenza leale all’interno dell’Unione europea.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La questione in oggetto è fondamentale non solo dal punto di vista dell’igiene e del benessere degli animali, ma anche per la necessità di garantire l’applicabilità e l’efficacia della direttiva 1999/74/CE, evitando possibili distorsioni della concorrenza. É già stato dimostrato in altre situazioni riguardanti il trasporto di animali che la mancata applicazione e conformità alla legislazione dell’Unione europea da parte di certi produttori e distributori crea casi di concorrenza sleale e distorsioni di mercato. L’Unione deve manifestare con urgenza la propria capacità coercitiva per l’applicazione e il rispetto delle direttive sul suo territorio, affinché il mercato funzioni in modo più efficiente e senza deviazioni né distorsioni.
Peter Jahr (PPE), per iscritto. – (DE) Il divieto delle gabbie in batteria convenzionali nel 2012 rappresenta un successo enorme per il benessere degli animali. Tali norme devono essere applicate in tutta Europa in modo uniforme, altrimenti sono prive di senso. É fondamentale battersi per questa scadenza su scala europea nell’interesse degli animali e dei produttori che hanno già investito in pratiche di allevamento alternative. Per assicurare pari condizioni di concorrenza, la Commissione deve garantire che le uova prodotte in modo non conforme non siano autorizzate ad arrivare sul mercato europeo. I consumatori devono essere in grado di distinguere le uova e i prodotti derivati dalle uova conformi agli standard europei. Ero il responsabile della tutela del benessere animale per i democratico-cristiani al Bundestag tedesco quando il Parlamento ha adottato il presente divieto e all’epoca ho difeso la risoluzione proprio perché si applicava all’intera Europa. Mi aspetto che la Commissione prenda provvedimenti adeguati per garantire che la scadenza sia rispettata in tutti gli Stati membri. Questo significa che le gabbie in batteria convenzionali non dovranno più essere in uso in Europa dopo il 2012.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, cari colleghi, a partire dal gennaio 2012 entra in vigore il divieto di allevare le galline da uova nelle tradizionali gabbie e il rischio che molte imprese non saranno in regola ci allarma. Temiamo inoltre possibili carenze nell'offerta e aumenti dei prezzi delle uova, considerato che quelle ottenute da allevamenti non conformi alla direttiva 1999/74/CE non potranno essere commercializzate. Ho votato a favore della risoluzione perché non è pensabile ottenere una proroga, ma abbiamo supportato Paesi quali la Spagna e il Portogallo per l'attivazione di uno strumento che garantisca una transizione "soft" per le imprese che hanno iniziato a cambiare i sistemi di allevamento, ma non completeranno il processo prima della scadenza. Non è mia volontà ledere il benessere animale e chiedere una proroga, ma solo sottolineare alcuni capisaldi vanno ribaditi con forza. In primo luogo, per il principio di reciprocità, viene chiesto alla Commissione europea di implementare un sistema di controllo che monitori la qualità delle uova importate nell'UE e garantisca il totale rispetto delle norme e degli standard europei. Successivamente, agli Stati membri viene sollecitata l'inclusione di misure nell'ambito dei Programmi di Sviluppo rurale tali da sostenere il comparto delle galline ovaiole in questa difficile fase.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Sostengo fermamente la presente risoluzione che esige l’attuazione di tutti i provvedimenti contenuti nella direttiva 1999/74/CE sul benessere delle galline ovaiole da parte degli Stati membri entro il termine del 1° gennaio 2012. Il testo dichiara altresì che qualsiasi proroga del termine o una “fase di rodaggio” per alcuni Stati membri è inaccettabile, dato che i produttori hanno già avuto 10 anni di tempo per conformarsi e una simile decisione avrebbe conseguenze gravi per l’efficacia e la tempestiva esecuzione di eventuali future norme sul benessere degli animali. La risoluzione chiede inoltre che la Commissione apra una procedura d’infrazione rapida ed efficace con sanzioni pesanti e dissuasive in caso di mancato rispetto di tutti gli elementi della direttiva.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Sono passati undici anni dall’adozione del provvedimento e risulta incomprensibile che siano stati compiuti così pochi passi avanti verso la sua attuazione. La responsabilità ricade soprattutto sulla Commissione, che in passato ha spesso indebolito i precedenti provvedimenti adottati, cosicché non sono stati più presi sul serio. Se anche questa volta si raggiungerà un facile compromesso, si minerebbe ancora una volta la credibilità dell’Unione europea. Mi auguro vivamente che entro il 1° gennaio 2012 sul mercato non esistano più allevamenti illegali in batteria o almeno che questi allevatori ricevano sanzioni tanto rigide da escludere qualsiasi vantaggio competitivo. Per questa ragione, ho votato a favore della relazione.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore dell’emendamento n. 2 promosso dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), poiché molti produttori hanno già iniziato, o stanno per iniziare, a investire per modernizzare i propri metodi di allevamento. Si tratta di investimenti che non si decidono dalla sera alla mattina e non sarebbe quindi corretto penalizzare questi produttori. Il presente emendamento consentirebbe a molti produttori rumeni e non solo di iniziare i lavori di ammodernamento nei prossimi mesi, evitando quindi il fallimento.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – La direttiva 1999/74 stabilisce che dal 1° gennaio 2012 le gabbie convenzionali non potranno più essere usate. Gli agricoltori europei dovranno scegliere se convertire la loro produzione alle gabbie arricchite (più capienti, per permettere un maggior benessere all'animale), oppure allevare le galline ovaiole a terra, all'aperto o in sistemi biologici. Il 30% degli allevamenti in Europa, secondo recenti indagini, avverrebbe ancora in gabbie tradizionali, e si costatano reali difficoltà nell'adattarsi al nuovo sistema entro i termini previsti dalla direttiva. Questo è per esempio il caso dell'Italia. La Commissione Europea, come da Consiglio dell'Agricoltura dello scorso 22 febbraio, ha stabilito che nessuna deroga è prevista nell'applicazione del divieto. Con un emendamento alla risoluzione, però, è stata raggiunta un'eventuale soluzione alternativa per quei produttori che hanno già cominciato a sostituire i loro sistemi di allevamento in favore delle nuove gabbie. Perciò ho votato in tal senso.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Il benessere degli animali in generale e delle galline ovaiole in particolare è una questione seria. Per provarlo, non solo l’Unione europea ha legiferato in materia con una direttiva del 1999 che vietava l’impiego di gabbie in batteria per le galline ovaiole a partire dal 1° gennaio 2012, ma la trasposizione di tale testo ha provocato un disaccordo tra valloni e fiamminghi nel 2004. Nella presente discussione è fondamentale essere ragionevoli e trovare una soluzione che prenda in considerazione sia il benessere degli animali sia gli interessi economici in gioco. Chi sostiene che le norme comunitarie vanno rispettate, che la concorrenza sleale tra allevatori deve essere impedita e che un periodo di transizione di 12 anni è più che sufficiente per ammortizzare gli investimenti ha senza dubbio ragione.
Hanno però anche ragione gli oppositori che richiedono una maggiore flessibilità nelle norme, soprattutto in questo periodo di austerità, sostenendo che il passaggio alle gabbie modificate o a sistemi alternativi costerà al settore avicolo, che non beneficia di incentivi diretti dalla Politica agricola comune, una ingente quantità di denaro. Per questo sostengo i tre emendamenti presentati dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), i quali riflettono la realtà quotidiana di tutti gli allevatori europei.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Con l’adozione della presente risoluzione, il Parlamento europeo invita la Commissione a mantenere il divieto delle gabbie in batteria dal 1° gennaio 2012, come previsto dalla direttiva relativa al benessere delle galline ovaiole (1999/74/CE), e a opporsi risolutamente a qualsiasi tentativo degli Stati membri di ottenere una proroga. La risoluzione sottolinea che, in linea di principio, qualsiasi rinvio del divieto o deroga allo stesso arrecherebbe un grave pregiudizio al benessere delle galline ovaiole, provocherebbe distorsioni di mercato e penalizzerebbe i produttori che hanno già investito in sistemi privi di gabbie o basati su gabbie modificate. La risoluzione esprime inoltre profonda preoccupazione per il significativo numero di Stati membri e di produttori di uova che sono in ritardo rispetto al termine previsto del 2012.
Csanád Szegedi (NI), per iscritto. – (HU) Sostengo senza dubbio la necessità di trovare una soluzione ai casi in cui un produttore abbia già iniziato a sostituire le gabbie, ma probabilmente non riuscirà a completare il processo prima entro i dodici anni concessi. Questi agricoltori devono ricevere assistenza affinché il processo di ammodernamento delle fattorie venga ultimato il prima possibile, nonostante le risorse insufficienti. Per questo ho votato a favore dell’emendamento proposto.
Artur Zasada (PPE), per iscritto. – (PL) Ho espresso voto contrario alla presente risoluzione, nonostante sia fermamente a favore della tutela del benessere degli animali. È incontestabile la necessità di adeguarsi ai requisiti della direttiva, che introduce il divieto delle gabbie convenzionali, ma dobbiamo concedere lo stesso tempo a tutti gli Stati membri per attuarla. Le difficoltà affrontate da molti produttori europei nell’adeguarsi ai regolamenti che entreranno in vigore il 1° gennaio 2012 causeranno una penuria delle uova destinate al consumo umano nel mercato e un aumento significativo del loro prezzo, nonché una diminuzione della competitività del settore rispetto alle uova importate da paesi terzi e presumibilmente un’interruzione o un ridimensionamento considerevole della produzione. Prima dell’introduzione definitiva del divieto, dobbiamo valutare lo stato di attuazione della direttiva, in quanto tale analisi potrebbe sfociare nella proposta di soluzioni transitorie volte al graduale ritiro delle gabbie non modificate, senza porre i produttori che hanno già ottemperato ai regolamenti in una situazione di svantaggio.
(La seduta, sospesa alle 13.00, è ripresa alle 15.00)