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Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 16 dicembre 2010 - Strasburgo Edizione GU

10.1. Malaysia: la pratica della fustigazione
Video degli interventi
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sulla Malaysia(1).

 
  
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  Barbara Weiler, autore.(DE) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli deputati, la Malaysia è un paese bellissimo, che vanta antiche tradizioni e ricchezze culturali. In quanto membri della delegazione dell’ASEAN, abbiamo spesso potuto constatare quanto sia stata rapida e notevole la crescita del paese. Il conseguente aumento di potere economico ha fatto sì che la Malaysia diventasse uno tra primi dieci paesi al mondo per tasso di crescita, un fatto che ci ha colpiti molto favorevolmente. Per questo motivo desidero sottolineare, a nome del mio gruppo, l’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, e di tutti coloro che hanno firmato la risoluzione, che troviamo assolutamente incomprensibile che la Malaysia applichi ancora questa vecchia pratica punitiva che richiama il suo passato coloniale e che noi europei consideriamo quasi medievale.

D’altronde, non siamo i soli a dar voce a questa critica: anche molti avvocati malesi si oppongono infatti a tale pratica, che viola tutti gli accordi sui diritti umani delle Nazioni Unite e che quindi crediamo debba essere bandita rapidamente.

Abbiamo accolto favorevolmente la Carta dei paesi ASEAN, che ribadisce in diversi articoli e nel preambolo che – cito – “la promozione e la tutela dei diritti umani” è tra i requisiti fondamentali della Carta dell’ASEAN, ratificata anche dalla Malaysia.

Già da tempo la Malaysia ha abbracciato i principi della democrazia e quindi anche lo stato di diritto e i relativi standard universali. Non dovremo stancarci di ribadire questo concetto, che il Parlamento europeo sottolineerà tramite la risoluzione in oggetto, quando ci troveremo in Malaysia e nei paesi dell’ASEAN.

 
  
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  Marietje Schaake, autore.(EN) Signor Presidente, la pratica della fustigazione, che consiste nel picchiare una persona con una canna di bambù, è una forma di pena corporale applicata spesso in Malaysia e questo ci preoccupa, perché è un tipo di punizione inflitta a decine di migliaia di persone, e in particolare immigrati, e perché l’elenco dei reati punibili con questa pratica si sta allungando. La Malaysia sta violando in questo modo l’impegno assunto con la risoluzione 8/8 del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che considera le pene corporali equivalenti alla tortura.

Il procedimento giudiziario che conduce a tale forma di punizione è spesso carente: agli immigrati non vengono fornite informazioni sulle accuse a loro carico oppure viene loro negato il diritto di avvalersi di assistenza legale.

Accogliamo favorevolmente la richiesta esplicita di abolizione della pratica da parte dell’ordine degli avvocati malesi, che rappresenta 8 000 avvocati. Il Parlamento europeo chiede alle autorità malesi di applicare una moratoria sulla fustigazione e su tutte le forme di pena corporale, lavorando al contempo per abolirle de jure e de facto.

La commissione per i diritti umani della Malaysia e il comitato malese per la riforma della legislazione dovrebbero formulare opportune raccomandazioni al governo in merito all’abolizione delle leggi sulla pena corporale.

 
  
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  Barbara Lochbihler, autore.(DE) Signor Presidente, questa risoluzione condanna la pratica della fustigazione in Malaysia. Il termine fustigazione non va inteso nel senso di un antiquato e innocuo strumento educativo, ma piuttosto come una pratica orribile, degradante e umiliante, vietata dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Chiunque nutra dubbi in proposito dovrebbe prendere visione dei video che documentano come viene inflitta tale pena in Malaysia. Considerando la loro brutalità ed efferatezza, le immagini documentano una pena del tutto equiparabile alla tortura. La Malaysia utilizza questa pratica crudele e umiliante per punire almeno 66 reati minori e circa 1 000 persone all’anno all’interno dei propri istituti carcerari. Negli ultimi anni questa prassi brutale è stata inoltre estesa anche agli immigrati che entrano nel paese senza documenti e ai tossicodipendenti. Si stima che tale pratica coinvolga tra le 350 000 e le 900 000 persone. Esortiamo quindi il governo malese a interrompere immediatamente la pratica crudele, degradante e umiliante della fustigazione e, nel medio periodo, ad abolire le leggi che la consentono.

La Malaysia fa parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, un organismo che, come ha sottolineato l’oratrice che mi ha preceduta, equipara questa pena corporale alla tortura. La Malaysia pertanto farebbe bene a restare in questo organo internazionale, rispettando però i principi che esso rappresenta..

 
  
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  Charles Tannock, autore.(EN) Signor Presidente, negli ultimi anni la Malaysia è passata ad una forma di governo sempre più islamica, il che è preoccupante dato che la Malaysia, un paese asiatico democratico, sviluppato sotto il profilo economico e situato in posizione strategica, potrebbe essere un importante alleato per l’Unione europea.

Purtroppo, il concetto europeo di diritti umani non è altrettanto diffuso in Malaysia. Tuttavia, mi chiedo perché si sia scelto di concentrarsi proprio su questo paese. La Malaysia è un paese a maggioranza musulmana e queste punizioni, previste dal Corano che rappresenta la massima autorità giuridica per tutti i musulmani, vengono di norma applicate in molti paesi in cui vige la Sharia.

In realtà la fustigazione è una pena relativamente mite rispetto ad altre pratiche punitive estremamente brutali, tra cui l’amputazione, la lapidazione e la decapitazione, utilizzate in alcuni paesi musulmani. La fustigazione va inoltre considerata nel contesto culturale asiatico: anche nella vicina e laica Singapore, ad esempio, viene inflitta la pena della fustigazione e, recentemente, anche la provincia indonesiana di Aceh, che riceve molti aiuti dall’Unione europea, ha introdotto questa pratica, nel rispetto della Sharia.

Negli Stati membri dell’Unione, l’applicazione per tradizione delle pene corporali è giustamente vietata e ci auguriamo che anche la Malaysia un giorno segua il nostro esempio illuminato. A mio parere, però, non è affatto così chiaro che la fustigazione sia illegale ai sensi del diritto internazionale, come sottolinea la risoluzione.

 
  
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  Bernd Posselt, autore.(DE) Signor Presidente, chi ama qualcuno nutre molte aspettative nei suoi confronti e questo vale anche per i rapporti tra i paesi. Gli Stati ai quali siamo legati da vincoli particolari non rientrano per noi nella stessa categoria delle terribili dittature situate in altri continenti.

La Malaysia è considerata un buon partner dell’Unione europea, la sua costituzione richiama, per certi aspetti, le quelle europee e questo è il motivo per cui prendiamo tanto sul serio quanto avviene in quel paese.

Onorevole Tannock, la fustigazione non è stata introdotta in Malaysia dalla Sharia, ma è un retaggio del colonialismo britannico. Dato che la potenza coloniale britannica non esiste più e il Regno Unito, nel frattempo, si è trasformato, anche la Malaysia dovrebbe cambiare e cercare di abolire questa forma di punizione antiquata e barbara, che viola il diritto internazionale ed i diritti umani.

Voglio essere chiaro su questo punto: la Malaysia è da decenni un paese in cui regna la tolleranza tra gruppi etnici e comunità religiose e dovrà continuare a rimanere tale, in modo da costituire ancora un ottimo partner dell’Unione europea. Ci auguriamo quindi che riesca ad abolire questa forma di punizione barbara.

(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8 del regolamento)

 
  
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  Charles Tannock (ECR).(EN) Signor Presidente, desidero porre un quesito all’onorevole Posselt, per il quale nutro un profondo rispetto.

Non sono un esperto di diritto internazionale ma non mi risulta nel modo più assoluto che il diritto internazionale vieti la fustigazione, mentre invece condanna in modo chiaro i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio e così via. A mio parere, quindi, la fustigazione non rientra tra le pratiche vietate dal diritto internazionale. La Convenzione contro la tortura, che la Malaysia non ha ancora ratificato, sancisce che la fustigazione può essere equivalente alla tortura, ma non lo è sempre e necessariamente. Chiedo quindi al collega Posselt di spiegarmi perché ritiene che la fustigazione sia illegale – come ha ribadito in questa sede e come risulta nella risoluzione – e contraria al diritto internazionale. A mio parere, non attenendosi ai fatti si rischia di screditare quest’Aula.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Posselt, in realtà l’onorevole Tannock non le ha rivolto alcuna domanda.

 
  
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  Bernd Posselt, autore.(DE) Signor Presidente, a me invece l’ultimo intervento è sembrato contenere una domanda, cui intendo rispondere sottolineando che la fustigazione costituisce realmente una forma di tortura e che il divieto di ricorrere alla tortura fa parte integrante dei diritti umani e del diritto internazionale, indipendentemente dal fatto che un particolare paese abbia ratificato questi principi.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat, autore.(FR) Signor Presidente, la Malaysia è uno di quei paesi per i quali la cooperazione con l’Unione europea, anche se avviata di recente e ancora di dimensioni relativamente modeste, sembra essere piuttosto positiva, in particolare, naturalmente, sotto l’aspetto economico, ma anche a livello sociale, sul piano dell’istruzione, dei diritti delle donne e dei gruppi più vulnerabili.

La situazione del paese, invece, non è certo ideale in materia di democrazia e diritti umani. Vi sono ancora segnali preoccupanti e la situazione di cui stiamo discutendo oggi ne è purtroppo la prova.

La Malaysia ha firmato alcune convenzioni internazionali, inclusa la Dichiarazione universale dei diritti umani, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle contro le donne (CEDAW) e la Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC), ma si rifiuta ancora di sottoscriverne altre come, in particolare, la Convenzione internazionale contro la tortura. La Malaysia è uno dei paesi in cui viene ancora applicata la pena di morte, obbligatoria nei casi di condanna per traffico di droga. Le pene corporali sono una prassi comune in Malaysia e possono essere inflitte a chiunque: a uomini, a donne – nello specifico quelle accusate di rapporti sessuali illeciti – e anche a bambini – agli scolari che si sono macchiati di gravi forme di disubbidienza. L’aspetto peggiore è che queste pene vengono inflitte ai condannati con l’aiuto di medici i quali, violando l’etica professionale, rianimano i condannati affinché essi possano subire interamente la pena. Un altro aspetto ancor più grave è che, negli ultimi anni, il parlamento malese ha allungato l’elenco dei reati punibili con la fustigazione. Oggi sono previsti più di 60 reati, incluso quello di immigrazione clandestina nel paese. A partire dal 2002, anno di introduzione del reato di immigrazione clandestina, questa punizione, questa tortura, è stata inflitta a migliaia di rifugiati.

Il governo malese deve porre fine a queste pratiche. Ora che il dialogo dell’Unione europea con la Malaysia sembra dare frutto, l’Unione dovrebbe fare il possibile per persuadere la Malaysia a fare progressi in questo settore.

 
  
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  Cristian Dan Preda, a nome del gruppo PPE.(RO) Signor Presidente, desidero iniziare il mio intervento citando alcuni dati tratti da uno studio condotto questo mese, nel dicembre del 2010, da Amnesty International. Ogni anno in Malaysia vengono sottoposti a fustigazione almeno 10 000 detenuti e 6 000 rifugiati. Si registrano numerosi casi di fustigazione negli istituti di detenzione e, come ha affermato l’onorevole Tannock, purtroppo la Malaysia non è il solo paese ad applicare questo tipo di punizione anacronistica: si parla anche di Singapore.

L’aspetto problematico, nel caso della Malaysia, è tuttavia riconducibile al numero di reati per i quali è prevista la fustigazione: per la precisione si tratta di 66 reati in Malaysia rispetto ai 30 di Singapore. Non stiamo parlando solo di reati sessuali o di atti violenti, ma anche di assunzione di sostanze stupefacenti e, in particolare, di violazione delle leggi sull’immigrazione. Condivido, d’altra parte, il punto di vista del collega, l’onorevole Posselt, che ha sottolineato che la fustigazione è una forma di tortura, una pratica assolutamente vietata ai sensi del diritto internazionale.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, la risoluzione del Parlamento è importante e giunge in un momento opportuno. Ogni anno in Malaysia migliaia di persone vengono sottoposte a fustigazione, una forma di punizione disumana e degradante che andrebbe abolita in tutto il mondo. La fustigazione è una forma di tortura.

Stando ad Amnesty International, una donna mussulmana è stata fustigata l’anno scorso in Malaysia, dove è applicata la Sharia, per aver bevuto della birra. Amnesty International ha anche riferito in merito alla fustigazione di rifugiati e di lavoratori migranti in Malaysia.

Invitiamo il governo malese ad abolire questa forma di punizione corporale e a ratificare il protocollo della Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura, così come il Patto internazionale sui diritti civili e politici.

 
  
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  Zbigniew Ziobro, a nome del gruppo ECR.(PL) Signor Presidente, prendiamo atto con soddisfazione dello sviluppo economico della Malaysia e del miglioramento delle condizioni di vita della sua popolazione; siamo tuttavia al contempo increduli nel leggere la relazione di Amnesty International sull’utilizzo diffuso della fustigazione nel paese. Si tratta di una pena molto dura, il cui utilizzo è spesso spropositato, essendo a volte comminata anche per reati minori e in casi dubbi. A mio parere è particolarmente crudele applicare questa pena per i reati di immigrazione clandestina o a persone non in possesso di documenti validi che si trovano sul territorio malese, compresi i rifugiati politici del Burma.

La natura spietata di questa punizione, tuttavia, nasconde una verità non detta sulle condizioni e sulla natura tradizionale della fustigazione praticata in Malaysia. Molti dei reati minori per i quali è prevista questa pena costituiscono violazioni delle leggi religiose islamiche e dei costumi derivanti da tale legge. Si pensi per esempio al caso di Kartika Sari Dewi Shukarno, condannata per aver bevuto birra in un locale pubblico. Dobbiamo reagire a questa situazione.

 
  
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  Jaroslav Paška, a nome del gruppo EFD.(SK) Signor Presidente, la Sharia, la legge tradizionale islamica che viene seguita anche in molti paesi moderati, consente di applicare pene corporali in caso di violazione della legge.

È notorio il caso di una modella malese, Kartika Sari Dewi Shukarno, condannata a sei colpi di canna per aver bevuto birra in un locale pubblico. La pena, che avrebbe dovuto essere eseguita in un carcere femminile colpendo con sei colpi di canna di rattan la donna di 32 anni e madre di due bambini, è stata commutata dal sultano malese Ahmed Shah, guardiano dell’osservanza della legge islamica in Malaysia, a tre mesi di lavori socialmente utili.

È andata peggio ad una donna indonesiana di 46 anni, Nasarudin Kamaruddin, che per lo stesso reato è stata punita con sei colpi di canna e un anno di reclusione. Il giudice Abdul Rahman Mohamed Yunos, lo stesso che ha condannato Kartika Shukarno, ha affermato: “Lo scopo del verdetto non è punitivo ma educativo”.

Il viceministro della pubblica istruzione, Wee Ka Siong, ha usato argomentazioni analoghe per difendere la propria decisione, ovvero il ricorso alle pene corporali per i bambini a scuola. Egli ha aggiunto che queste punizioni possono essere eseguite solamente dai presidi o da persone preposte a tale compito, che i genitori dovrebbero esserne informati e che le punizioni devono svolgersi alla presenza di un testimone.

Onorevoli deputati, non stiamo parlando di qualcosa di esotico, ma della vita di ogni giorno nel cosiddetto mondo islamico moderato. Non dobbiamo quindi esitare a fornire sostegno ai cittadini di questi paesi e aiutarli ad abolire punizioni e usanze barbare, sia utilizzando gli strumenti della diplomazia che altrimenti.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE).(PL) Signor Presidente, dobbiamo assolutamente condannare il ricorso alla fustigazione e a tutte le forme di punizione corporale e di trattamento disumano. La Malaysia non può appellarsi al proprio codice penale, che prevede la possibilità di punire almeno 66 reati con la fustigazione, per giustificare pene crudeli che equivalgono alla tortura e che sono considerate illegali dal diritto e dalle convenzioni internazionali. Le relazioni di Amnesty International sull’aumento del numero di rifugiati e di migranti sottoposti a fustigazione nelle carceri malesi sono allarmanti.

L’Unione europea, che dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona dispone di mezzi più efficaci per favorire la difesa dei diritti umani, dovrebbe dimostrare maggiore intraprendenza nella lotta contro il trattamento brutale di esseri umani in tutto il mondo. L’osservanza dei diritti umani è oltretutto un requisito essenziale che l’Unione europea dovrebbe pretendere dalla Malaysia prima di approfondire ulteriormente la cooperazione politica con il paese.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (ECR).(PL) Signor Presidente, la Malaysia è una tigre economica, è un paese fortemente sviluppato che funge da modello per tutta la regione del sudest asiatico. La tigre si trova tuttavia di fronte a un grosso problema: l’uso della fustigazione come metodo punitivo. Naturalmente, si potrebbe parlare di rispetto dell’identità culturale e del fatto che noi europei dovremmo fare particolare attenzione quando imponiamo i nostri modelli in altri continenti. In questo caso, tuttavia, si tratta di diritti umani che sono indivisibili e trascendono i confini tra continenti, razze e religioni. A mio parere, non solo sarebbe opportuno ma anche necessario che il Parlamento europeo difendesse con fermezza il diritto fondamentale della dignità umana, della quale la fustigazione costituisce sicuramente una violazione.

 
  
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  Monica Luisa Macovei (PPE).(EN) Signor Presidente, infliggere sofferenze fisiche è contrario alla dignità umana e la fustigazione è una grave violazione dei diritti umani e del diritto di non essere sottoposti a tortura e a trattamenti o punizioni disumani e degradanti.

Ogni anno in Malaysia più di 10 000 individui subiscono questa forma di punizione corporale che, secondo alcuni rapporti, è così dolorosa da far perdere spesso conoscenza alle vittime. Altre relazioni riferiscono che diversi funzionari, preposti all’applicazione della pena, sono disposti ad accettare tangenti per risparmiare i condannati. Questa forma di punizione, quindi, non solo costituisce una grave violazione dei diritti umani, ma consente anche a funzionari statali di commettere un reato approfittando della sofferenza umana.

Chiedo alla Commissione, al Consiglio e anche al governo malese di mettersi immediatamente all’opera per elaborare una moratoria sulla pratica della fustigazione, cui dovrà fare seguito l’eliminazione de jure di questa pena. Bisogna porre fine alla fustigazione attuata per conto del governo.

 
  
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  Elena Băsescu (PPE).(RO) Signor Presidente, trovo deplorevole che in Malaysia la pratica della fustigazione abbia raggiunto proporzioni tanto ampie e sia ancora in aumento. Il governo malese invece di limitare la pratica la sta incoraggiando.

Le autorità, appellandosi ad argomentazioni infondate, sostengono che la fustigazione è legale e dà risultati positivi, nel senso che limita le attività criminali. I funzionari carcerari, inoltre, ricevono incentivi finanziari per fustigare i detenuti. Alcune stime confermano che la situazione è preoccupante: ogni anno la punizione viene inflitta a più di 6 000 rifugiati e di 10 000 detenuti. Credo che il diritto di avere un equo processo sia fondamentale per coloro che provengono dall’esterno della Malaysia; attualmente, invece, a queste persone vengono negati servizi essenziali come l’interpretariato e l’assistenza legale.

 
  
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  Mitro Repo (S&D).(FI) Signor Presidente, la fustigazione per ingiunzione del tribunale, una pena in cui la persona punita viene legata e picchiata sulla schiena e sulle natiche, è contraria all’etica e costituisce una violazione della dignità umana. In Malaysia, tuttavia, tale pratica ha raggiunto proporzioni epidemiche.

Un paese che considera le pene corporali come un mezzo efficace di prevenzione del crimine non è governato dallo stato di diritto e l’Unione europea non dovrebbe concedere a suddetto paese ulteriori benefici commerciali. Bisogna porre fine a forme punitive crudeli e disumane in qualsiasi paese si verifichino.

Con questa risoluzione il Parlamento chiede giustamente alle autorità malesi di porre immediatamente fine alle pene corporali e alla tortura, sia de jure che de facto.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D).(PL) Signor Presidente, la fustigazione è stata applicata in Malaysia a partire dal XIX secolo, quando la Gran Bretagna colonizzò la regione. Il governo malese ha recentemente aggiunto ulteriori reati all’elenco di quelli punibili con la fustigazione e la pena viene attualmente inflitta per 66 reati minori. I detenuti condannati alla fustigazione sono trattenuti in carcere, senza avere idea di quando verrà loro inflitta le pena. Amnesty International stima che, ogni anno, vengano comminate circa 10 000 condanne di fustigazione, il 60 per cento delle quali nei confronti di immigrati clandestini che non riescono nemmeno a comprendere le motivazioni della sentenza a causa di barriere linguistiche. Le autorità del paese non ritengono necessario modificare la legge; considerano invece la fustigazione un’efficace misura di lotta alla criminalità.

L’Unione europea coopera da otto anni con la Malaysia. Le prospettive finanziarie dell’Unione per il 2007-2013 prevedono lo stanziamento di 17 milioni di euro per lo sviluppo dell’economia malese ed è quindi giustificato chiedere al nostro partner di ratificare la Convenzione dell’ONU contro la tortura e di condannare in termini chiari la pratica della fustigazione in quanto incompatibile con la posizione del Consiglio dell’ONU sui diritti umani.

 
  
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  Corina Creţu (S&D).(RO) Signor Presidente, in Malaysia la legge prevede ufficialmente che la fustigazione possa essere applicata per 66 reati e ogni anno vengono fustigati più di 10 000 cittadini. L’elenco dei reati è stato ampliato nel corso degli ultimi anni a riprova di una tendenza preoccupante. Le vittime sono sia malesi che straniere e nei confronti di queste ultime vengono commessi numerosi e gravi abusi, dalla negazione di informazioni necessarie, di un interprete o di assistenza legale, alla violazione dell’etica professionale da parte di medici.

Anch’io chiedo alle istituzioni europee di intensificare l’impegno per cercare di abolire questa forma di pena, che per il diritto internazionale equivale alla tortura, ed esercitare pressioni sulla Malaysia in modo che il paese garantisca il diritto ad un processo equo e obiettivo e ponga fine al trattamento crudele nei confronti dei migranti e dei richiedenti asilo politico.

 
  
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  Andris Piebalgs, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, la Commissione condanna l’uso delle pene corporali che è in conflitto con i principi e le norme internazionali sui diritti umani stabiliti dalle Nazioni Unite. Questi principi sono presenti anche guida negli orientamenti dell’Unione europea sulle politiche comunitarie nei confronti di paesi terzi che praticano la tortura o altre forme di trattamento o punizione crudele, disumana e degradante.

Il recente rapporto di Amnesty International sulla pratica della fustigazione in Malaysia è preoccupante. La Commissione, tuttavia, suggerisce di allargare la risoluzione a tutti i paesi dove tale pratica costituisce ancora un provvedimento giudiziario.

L’Unione europea, di concerto con le Nazioni Unite, ha regolarmente sollevato la questione della fustigazione con le autorità malesi e lo hanno fatto anche alcuni Stati membri in occasione della ratifica della Convenzione dell’ONU contro la tortura e nel corso della Revisione periodica universale del Consiglio per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite nel febbraio del 2009.

Non più tardi della settimana scorsa, al seminario delle Nazioni Unite tenuto in occasione della giornata per i diritti umani, è stato chiesto alla Malaysia di ratificare un maggior numero di convenzioni ONU e, in particolare, quella contro la tortura. All’inizio del 2010 il capomissione dell’UE ha sollevato la medesima questione, parlandone direttamente al ministro degli Esteri.

Si tratta di un problema cui rivolgiamo molta attenzione. L’Unione europea e la Malaysia avvieranno presto i negoziati su un accordo di cooperazione e partenariato che conterrà alcune disposizioni sui diritti umani. Dopo che sarà entrato in vigore, l’accordo fornirà una base ufficiale concreta per instaurare un dialogo più solido e regolare con la Malaysia sul tema dei diritti umani. Nel frattempo continueremo comunque a sollevare il problema con le autorità malesi.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alla fine delle discussioni.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale

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