Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0311/2010), presentata dall’onorevole Paliadeli a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un’azione dell’Unione europea per il marchio del patrimonio europeo [COM(2010)0076 - C7-0071/2010 - 2010/0044(COD)].
Chrysoula Paliadeli, relatore. – (EL) Signor Presidente, signora Commissario, incoraggiare una coscienza europea che rispetti e difenda il multiculturalismo rappresenta una sfida importante per le istituzioni europee nel loro impegno inteso a conseguire ampia coesione e solidarietà tra i cittadini degli Stati membri della Comunità.
La conoscenza della nostra storia, la familiarità con il nostro patrimonio culturale multinazionale e l’informazione delle nuove generazioni in merito alle idee e alle persone che sono state pioniere della costruzione dell’Unione europea possono contribuire a ridurre le distanze tra l’Unione europea e i suoi cittadini.
La Commissione europea, su istruzioni del Consiglio dell’Unione, ha intrapreso l’elaborazione di una proposta per trasformare il marchio del patrimonio europeo intergovernativo in istituto comunitario. Una vasta consultazione del pubblico e una valutazione di impatto hanno dimostrato che integrare tale istituto nelle iniziative europee contribuirebbe a migliorare l’immagine e la credibilità del marchio, purché si basi su criteri chiaramente definiti e sottolinei la natura simbolica, non estetica, di un monumento o un sito; in altre parole, costituirebbe l’affermazione del fatto che la storia europea è frutto di un patrimonio culturale comune reciprocamente complementare e l’Unione europea è radicata in valori forti quali libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani, diversità culturale, tolleranza e solidarietà.
Abbiamo iniziato con un approccio molto ambizioso al marchio. Come arma del nostro arsenale di politica estera che andrebbe oltre le frontiere dell’Unione europee, potrebbe essere attribuito ad altri Stati in Europa e – perché no? – anche al di fuori del nostro continente. Per il momento sembrerebbe più realistico utilizzarlo come mezzo per approfondire la coesione tra gli Stati membri dell’Unione limitandolo inizialmente ai suoi Stati membri.
Ci siamo schierati contro la proposta della Commissione secondo cui il marchio dovrebbe essere assegnato al massimo a 27 siti proponendo a nostra volta che la procedura sia ripetuta ogni due anni per mantenere il valore dell’istituto e concedere il tempo per selezionare e monitorare i siti una volta assegnato il marchio. Abbiamo convenuto che, in ragione del valore simbolico dell’attribuzione come fattore che contribuisce all’unificazione europea, si debbano favorire i siti transnazionali in quanto sostengono la coesione, promuovono la creazione di reti e incoraggiano la cooperazione tra Stati membri o regioni. Per questo dovrebbero avere la priorità in tale ambito. Per ragioni pratiche, uno Stato membro fungerà da coordinatore tra il gruppo europeo di esperti e la Commissione.
Ci siamo accostati alla trasformazione del marchio non come trasformazione amministrativa del vecchio istituto transnazionale, bensì come nuovo istituto con criteri di selezione chiaramente definiti e obblighi vincolanti per i beneficiari se vogliono mantenerlo. Il gruppo di esperti, la messa in rete, il carattere simbolico e il monitoraggio degli assegnatari sono indicativi di un approccio diverso che non va confuso con il precedente istituto transnazionale. Per questo, al fine di salvaguardare il vecchio istituto e promuovere la validità del nuovo, abbiamo ritenuto che non fossero necessarie disposizioni transnazionali nell’articolo 18 della proposta della Commissione. Abbiamo inoltre ricercato modi per rafforzare il ruolo del team di dodici esperti nel testo della Commissione aggiungendo un altro membro proposto dal Comitato delle regioni e abbiamo tentato di garantire che il team fosse maggiormente coinvolto nella procedura di attribuzione o revoca del marchio.
Nello stesso contesto e al fine di rafforzare il ruolo del Parlamento europeo, abbiamo insistito sull’obbligo della Commissione di pubblicare un elenco completo dei siti scelti preliminarmente prima della selezione finale informandone di conseguenza Parlamento e Consiglio, che in tal modo avranno il tempo di reagire nel caso in cui dovessero sorgere difficoltà.
A conclusione di questa breve presentazione, vorrei ringraziare i relatori ombra, i rappresentanti della Commissione e il Consiglio per il loro contributo creativo alla relazione in merito alla quale a breve vi verrà chiesto di votare. Confido nella possibilità di collaborare con lo stesso spirito nella fase successiva della consultazione.
Androulla Vassiliou, membro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, vorrei esordire ringraziando il Parlamento europeo e segnatamente la relatrice, onorevole Paliadeli, nonché i relatori ombra, per il loro fermo sostegno alla proposta della Commissione sul marchio del patrimonio europeo. Come sapete, questa proposta è stata una delle prime approvate dalla nuova Commissione dopo aver assunto l’incarico ed è una delle nostre priorità per i prossimi anni nel campo della cultura.
Il nostro scopo, attraverso questo marchio, è offrire ai cittadini europei, soprattutto i giovani, nuove opportunità di saperne di più sulla loro storia e il loro patrimonio culturale, comuni ma nel contempo diversi, nonché sullo sviluppo dell’Unione europea. Sono certa che ciò contribuirà ad avvicinare i cittadini europei all’Unione. Il marchio del patrimonio europeo contribuirà altresì a promuovere il turismo culturale con ricadute positive a livello concreto e finanziario.
La cooperazione tra Parlamento e Commissione sul marchio è stata estremamente costruttiva negli ultimi mesi e sono lieta che il nostro approccio sia stato il medesimo su numerosi aspetti basilari. La maggior parte degli emendamenti da voi oggi approvati è assolutamente in linea con le nostre ambizioni per il nuovo marchio. Condividiamo l’idea del Parlamento secondo cui la qualità e la validità dell’iniziativa rivestono un’importanza fondamentale. Apprezziamo altresì l’azione da voi intrapresa per mantenere la massima chiarezza, semplicità e flessibilità nelle norme e nelle procedure in maniera che siano facilmente comprensibili per il pubblico e facilmente applicabili dagli Stati membri e dall’Unione europea.
Tuttavia, alcuni vostri emendamenti sono politicamente più delicati. Mi riferisco essenzialmente alle disposizioni transitorie eliminate. I siti ai quali è stato assegnato il marchio intergovernativo e gli Stati membri hanno notevoli aspettative rispetto al periodo transitorio, che offrirebbe loro la possibilità di partecipare rapidamente al nuovo sistema, sempre che, ovviamente, soddisfino i nuovi criteri qualitativi. Questa è forse una delle questioni principali che dobbiamo discutere con il Consiglio in occasione dei nostri dialoghi trilaterali dei prossimi mesi.
Sono nondimeno persuasa che si possano trovare compromessi accettabili per tutti che salvaguardino il successo a lungo termine del marchio del patrimonio europeo. Per questo speriamo che l’eccellente collaborazione intrattenuta con il Parlamento in tale ambito prosegua e per tale collaborazione vi ringrazio nuovamente.
Marie-Thérèse Sanchez-Schmid, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, poiché è giusto, vorrei complimentarmi con la nostra relatrice non soltanto per il suo lavoro, ma soprattutto per la sua capacità di ascolto.
La relazione, sebbene possa non apparire molto importante nel contesto generale di questo Parlamento, probabilmente, a mio avviso, porterà a una vera azione comunitaria. I piccoli corsi d’acqua creano grandi fiumi.
Se la commissione per la cultura e l’istruzione ha votato per mantenere la denominazione “marchio del patrimonio europeo” – cosa nella quale il gruppo PPE in particolare sperava – è proprio perché tale iniziativa non si limita alla storia dell’Unione europea, bensì si concentra sulla grande idea di Europa, concetto molto più antico.
Il marchio è uno strumento potente che dovrebbe principalmente promuovere l’identità europea attraverso la diversità culturale. Non va visto come una semplice trasformazione dell’iniziativa intergovernativa, bensì piuttosto come strumento reale che, sulla base dell’esperienza, creerà un vero valore aggiunto sia attraverso lo slancio che può imprimere alla promozione dei valori europei da parte degli Stati membri o delle autorità locali, sia in termini di conoscenza di tali valori da parte dei cittadini.
Il suo obiettivo è rafforzare il senso di appartenenza all’Europa dei cittadini europei e creare una consapevolezza comune. In un momento in cui l’attaccamento del pubblico all’idea europea resta una sfida importante con la quale dobbiamo confrontarci, l’Europa ha anche bisogno di simboli che la sviluppino e la rafforzino ogni giorno poiché purtroppo sembra che l’identità europea sia un fatto evidente, eppure da inventare.
Mary Honeyball, a nome del gruppo S&D. – (EN) Signor Presidente, sono assolutamente d’accordo con quanto affermato da tutti i colleghi che mi hanno preceduto: si tratta di un’iniziativa eccellente e sono molto lieta che la commissione per la cultura e l’istruzione e l’onorevole Paliadeli la stiano proponendo.
Vorrei ringraziare in particolar modo la nostra relatrice che ha svolto un lavoro eccellente al riguardo. È un ottimo strumento per promuovere l’Europa, la nostra storia e la nostra cultura comune. Sono certa che sarà un successo notevole e abbiamo introdotto vari dispositivi per far sì che lo sia. I siti finali saranno scelti da un gruppo di esperti con competenze specifiche di tale ambito e, come ho detto in precedenza, prenderemo in esame soprattutto i siti transfrontalieri per promuovere l’idea di Europa.
Vi sono inoltre criteri specifici che chiediamo siano rispettati dai candidati selezionati. Vogliamo infatti rafforzare la valenza europea di siti scelti, i candidati selezionati dovranno organizzare eventi educativi, specialmente per i giovani, vi sarà uno scambio di idee sull’avvio di progetti comuni con altri siti ai quali è stato attribuito il marchio, si svolgeranno attività artistiche e culturali che promuoveranno il dialogo e, infine, ovviamente, il pubblico più ampio possibile avrà accesso a tali siti per visitarli.
Ritengo dunque che i siti, una volta costituiti e operanti, genereranno un beneficio notevole per l’Europa e saranno pienamente fruibili dai cittadini, promovendo in tal modo l’idea di Europa e ciò che noi facciamo in Parlamento e nell’Unione.
Raccomando dunque a tutti la relazione. Sono certa che quando il sistema sarà stato istituito e sarà operativo, sarà uno straordinario successo e sono stata molto fiera di aver partecipato a tale iniziativa.
Oriol Junqueras Vies, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signor Presidente, il marchio del patrimonio europeo è senza dubbio un progetto importantissimo perlomeno per due ragioni: in primo luogo, consente ai cittadini europei di sentirsi più vicini al loro patrimonio e alla loro storia, comuni e nel contempo diversi; in secondo luogo, è uno strumento valido per promuovere il turismo culturale e stimolare l’economia.
Vorrei pertanto ringraziare la signora Commissario Vassiliou e la relatrice Paliadeli per la loro iniziativa e il duro lavoro svolto, cogliendo altresì questa opportunità per dire che, sebbene inizialmente si trattasse di un’iniziativa degli Stati membri, adesso dobbiamo conferirle una chiara dimensione comunitaria.
Ciò significa che il marchio del patrimonio europeo non dovrebbe essere una sommatoria dei luoghi scelti dagli Stati membri, bensì il riflesso di una visione europea comune. Avere una visione europea richiede criteri comuni e trasparenza assoluta nel processo di selezione preliminare da parte degli Stati membri, ma significa anche rispetto della diversità regionale, culturale e linguistica.
Il suo successo dipende da noi.
Emma McClarkini, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, la promozione e lo sviluppo dei siti che appartengono al patrimonio europeo costituiscono un progetto che non possiamo non accogliere con favore e merita la nostra massima attenzione. Il nostro patrimonio culturale, ricco e variegato, è un bene di cui i cittadini europei dovrebbero essere orgogliosi ed è proprio uno dei motivi fondamentali per i quali milioni di persone al mondo visitano l’Europa ogni anno. Il progetto può potenzialmente consentire ai siti storici di accedere a ulteriori fondi per preservare e sviluppare le proprie strutture, corollario estremamente necessario in un’epoca economica difficile. Tuttavia, se creiamo aspettative nei cittadini, è nostra responsabilità non disattenderle.
Sin dall’inizio, però, la relazione è stata concepita in un linguaggio federalista che cercava di promuovere un concetto europeo falso o forzato, e il tentativo di rinominare il sistema chiamandolo marchio del patrimonio dell’Unione europea aveva fondamenta politiche e avrebbe escluso migliaia di potenziali siti la cui storia e il cui patrimonio precedono e di fatto offuscano molti siti contemporanei.
Inoltre, i tentativi compiuti dalla sottoscritta e da altri di garantire che l’attenzione del marchio rimanesse concentrata sul patrimonio e non sull’integrazione politica sono stati respinti. Ciò inevitabilmente porterà all’ingiusta esclusione di molti siti importanti.
Anche i fondi per il programma hanno destato serie preoccupazioni, specialmente alla luce delle misure di austerity che attualmente affliggono i ministeri della cultura in tutta Europa. Spero che nel prosieguo saremo in grado di arginare il fenomeno. L’eccessiva proliferazione di siti e la probabile duplicazione del sistema dell’UNESCO potrebbero anch’esse creare ulteriori problemi.
Gli obiettivi centrali di questo marchio dovrebbero essere la preservazione e la celebrazione del nostro patrimonio condiviso e diverso, ma purtroppo non abbiamo garantito che aggiungeremo valore. È un aspetto al quale dobbiamo prestare la dovuta attenzione.
Giancarlo Scottà, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi complimento per questa iniziativa, che mira a trasformare il marchio del patrimonio europeo in un'azione formale dell'Unione europea per accrescerne l'efficacia, la visibilità, il prestigio e la credibilità.
A questo scopo, vorrei sottolineare l'importanza della professionalità dei componenti della commissione di esperti chiamati a valutare i siti e della rigorosità nelle procedure di assegnazione del marchio e di controllo per il suo mantenimento nel tempo, quali elementi fondamentali per garantire la specificità e la qualità del marchio stesso.
Esso deve però assolutamente concentrarsi sul valore simbolico ed educativo del sito, più che sul suo aspetto estetico, come avviene invece per altre iniziative di valorizzazione del patrimonio culturale, per differenziarsi in modo evidente da queste. Perciò concordo anche sul fatto che i siti transnazionali devono essere considerati con particolare attenzione in virtù della loro importanza simbolica.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, un marchio del genere ha senso, ma soltanto a due condizioni: la prima è che dovrebbe avere una notevole visibilità per garantire consapevolezza. Dopo tutto, abbiamo una sovrabbondanza di simboli come questo. La seconda è che la corrispondente burocrazia non possa diventare un fine in sé, come accade per tante iniziative e molti istituti comunitari analoghi. Sarebbe veramente un paradosso della tradizione culturale europea se uno strumento che potrebbe essere così utile per noi, definendo una posizione alquanto diversa dalla Cina nel modo in cui tratta la sua cultura antica, o dagli Stati Uniti con il loro inventario storicamente esiguo di siti culturali, dovesse essere visto nell’analisi finale come un modo estremamente burocratico e complesso per creare posti di lavoro per i giovani.
Dobbiamo essere chiari su un aspetto: la cultura è fonte di visioni e idee ispiratrici che sono spesso abbracciate in questa sede, ma meno spesso messe in pratica. Questa particolare opportunità di stabilire un’identità che ricomprenda anche il principio della sussidiarietà può esistere soltanto attraverso la cultura, ragion per cui abbiamo bisogno di fare sempre di più in questo campo. Penso anche specificamente alla promozione di scrittori e altri artisti senza le organizzazioni e le istituzioni burocratiche autoperpetuanti che tendiamo ad avere in un contesto europeo.
Marco Scurria (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, saluto la Commissaria Vassiliou e la ringrazio per aver voluto fortemente questa iniziativa, così come ringrazio la relatrice e tutti i relatori ombra per il buon lavoro svolto.
Oggi l'Europa vive un momento di difficoltà economica e finanziaria: proprio in questi giorni stiamo discutendo su come intervenire per aiutare alcuni paesi dell'Unione in difficoltà. Ovviamente si tratta di un'azione importante, ma l'Europa non deve perdere di vista l'importanza dei valori che hanno consentito all'Unione di vincere le innumerevoli sfide cui ha dovuto far fronte nel corso della sua storia.
La ricchezza dell'Europa sta infatti nella sua storia, nella sua cultura, nella sua arte, nei suoi personaggi, nei suoi paesaggi, nei suoi luoghi simbolici, nei suoi intellettuali, nei suoi filosofi – oserei dire – nella sua civiltà. E questo marchio può raccontare tutto questo, può evidenziare l'identità europea nelle sue molteplici forme che gli Stati nazionali hanno voluto dargli nel corso del tempo.
Dovremo ora comunque affrontare dei negoziati con il Consiglio per risolvere alcune differenze di interpretazione su alcuni punti. Penso che risolveremo velocemente e forse anche facilmente i punti controversi, vista l'importanza dell'argomento. Penso anche che, non appena approvata definitivamente questa relazione, ci sentiremo tutti più europei, in nome di valori e tradizioni condivisi. Penso che attraverso la Commissione, il lavoro del Parlamento e quello con il Consiglio stiamo facendo davvero un buon lavoro per tutti i nostri cittadini.
(L'oratore accetta di rispondere a una domanda presentata dall’onorevole Martin con la procedura del cartellino blu articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, sono profondamente obbligato all’onorevole Scurria. Apprezzo molto ciò che ha ritenuto di dover dire sull’argomento. Vorrei semplicemente chiedergli, in quanto esponente del più grande gruppo presente qui, in questa Camera, come valuterebbe il rischio che si possa restare intrappolati da troppa burocrazia in relazione all’amministrazione e all’attuazione del marchio del patrimonio europeo? Ha forse proposte per garantire che resti entro parametri ragionevoli in maniera da non trovarsi di fronte a una pletora di commissioni selezionatrici che deliberano all’infinito e non fallisca nel conseguimento del nostro vero obiettivo comune, ossia un marchio molto visibile riconosciuto in quanto tale dai mezzi di comunicazione.
Marco Scurria (PPE). – Signor Presidente, rispondo volentieri al collega Martin perché sappiamo che la questione della burocrazia talvolta è ciò che distingue e divide il cittadino europeo dalle sue istituzioni. Da questo punto di vista, il percorso individuato da questa relazione penso sia abbastanza chiaro. Ne parleremo anche con il Consiglio.
Una volta che gli Stati nazionali avranno scelto i luoghi a cui poter dare il marchio europeo, una volta che disporremo di un panel di esperti realmente tali che si riuniscono, a cui, con i tempi dovuti ma non eccessivi, si dia la possibilità per scegliere – su questo poi dovremo capire chi avrà l'ultima parola, ma è un tema di cui dovremo discutere sia con il Consiglio che con la Commissione – io non vedo eccessivi problemi burocratici da questo punto di vista. Ve ne sono su tanti altri provvedimenti, ma non su questo del marchio, che penso sia facilmente seguibile in tempi certi e con risultati chiari per tutti i cittadini europei.
Maria Badia i Cutchet (S&D). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, anch’io vorrei unirmi al coro di complimenti rivolti all’onorevole Paliadeli per l’eccellente lavoro svolto.
Penso che ora si possa dire, una volta adottata la relazione, che sarà il felice culmine di un nuovo impegno nei confronti dell’europeismo, e non credo che in questa nostra epoca sia superfluo assumere un impegno in tal senso.
Credo anche che la decisione degli Stati membri, della signora Commissario e della Commissione di porre il marchio del patrimonio europeo nella sfera dell’Unione europea contribuirà ad aumentare la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma rafforzerà anche gli ideali profondamente radicati di coesione e solidarietà tra i cittadini europei.
Il marchio è un passo importante verso l’integrazione europea perché avvicinerà noi e tutti i cittadini alla nostra storia comune.
Quando così sovente si odono tante voci che fanno valere una storia individuale – spesso nazionale – penso che un’iniziativa come quella che oggi votiamo per far valere una storia comune e renderla nota abbia un valore realmente simbolico ed estremamente importante.
Ritengo che ciò che faremo con questo marchio del patrimonio europeo aiuterà anche le generazioni più giovani a capire le idee che hanno ispirato i padri fondatori dell’Unione europea in maniera che possano vedere come questa Unione europea, questo processo di integrazione europea che stiamo vivendo, è un processo e, come tutti i processi, la sua conclusione dipende da quanti stanno lavorando al suo interno. Penso che al riguardo l’Unione europea sarà ciò che i cittadini vogliono che sia. Esorto dunque tutti a lavorare insieme. Come è ovvio, ho sentito l’onorevole Martin affermare poc’anzi che dovremmo evitare la burocrazia. Certamente dovremmo! Tuttavia, ciò che dovremmo soprattutto fare è impegnarci per la nostra storia comune e renderla nota.
Presidente. – L’onorevole Takkula ha chiesto di poter porre una domanda.
Onorevole Takkula, può porre il suo quesito all’onorevole Badia.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, il mio scopo principale era chiedere di parlare poiché sono il coordinatore del gruppo ALDE e vorrei, per suo conto, ringraziare l’onorevole Paliadeli per la sua straordinaria relazione aggiungendo qualche parola sulla storia del nostro popolo e il marchio del patrimonio europeo. Per cui, di fatto, la mia domanda è…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – Onorevole Takkula, un attimo: la procedura. Le daremo presto la parola per un intervento aggiuntivo perché in effetti il rappresentante del suo gruppo non era presente.
Lei interverrà assieme ai vari deputati che seguiranno e disporrà di un tempo di parola di due minuti.
Marek Henryk Migalski (ECR). – (PL) Signor Presidente, signora Commissario, qualche istante fa, nell’interpretare l’intervento dell’onorevole Badia i Cutchet, l’interprete ha usato il termine “europeismo”, credo erroneamente. Non esiste una parola del genere in polacco e difatti ho l’impressione che l’iniziativa che stiamo discutendo stia costruendo qualcosa che non esiste: l’“europeismo”, una sorta di creazione artificiale strumentalizzata ai fini di un gioco politico.
Credo che ciò che stiamo facendo sia inutile. Con un famoso filosofo una volta a detto: “Entia non sunt moltiplicanda sine necessitate”. Ho l’impressione che il marchio del patrimonio europeo rappresenti un’entità moltiplicata oltre il necessario. Non parlerò del grande punto interrogativo che incombe sulla questione delle modalità di attribuzione e revoca del marchio. Non citerò il fatto che l’iniziativa costerà ai contribuenti europei 1 350 000 euro. La mia domanda è sostanziale e prescinde in un certo qual modo da questi aspetti indubbiamente seri, ovverosia: perché lo facciamo? Abbiamo veramente bisogno di costruire qualcosa che non è europeità, ma soltanto europeismo, come ho detto poc’anzi?
João Ferreira (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, signora Commissario, l’attuale idea di cultura non costituisce nulla di nuovo. Ne abbiamo sentito parlare prima nella discussione di altre relazioni parlamentari e ne abbiamo sentito parlare nuovamente qui oggi. Sta quasi per essere considerata strumentale nell’Unione europea. Ciò si esprime in vari modi, nel contesto della cosiddetta diplomazia culturale in cui la cultura viene vista come strumento per la politica estera, oppure nell’ambito attualmente in discussione della creazione di un marchio del patrimonio dell’Unione europea in maniera, per citare le parole della relatrice, da “accrescere la fiducia degli europei nell’UE e nei suoi leader” e “ridurre le distanze tra l’UE e i suoi cittadini”.
La relatrice giudiziosamente si rende conto che vi sono altri mezzi più efficaci per conseguire tale scopo in merito ai quali si potrebbe dire molto di più. Vorrei sottolineare che nessun marchio sarà sufficiente per cancellare gli effetti tangibili delle politiche che l’Unione ha attuato e il suo governo economico hanno avuto sui cittadini e i popoli europei: in sintesi, i piani di vero e proprio terrorismo sociale che sono stati posti in essere con la connivenza dei governi nazionali.
Dovremmo inoltre considerare gli effetti di politiche quali la politica agricola comune o la politica comune della pesca, tra le altre, sulla distruzione di importanti marchi culturali e degli elementi vivi del patrimonio storico e culturale dei popoli europei. Basti pensare alla futura disintegrazione, nell’arco di una sola generazione, di comunità costiere o rurali secolari. Tale iniziativa, che ha una valenza principalmente simbolica, si basa sullo sviluppo della fallacia di un’unica identità europea e un’unica cultura europea, oltre che su valori quali libertà, democrazia, tolleranza e solidarietà, attraverso l’ambito particolarmente delicato del patrimonio culturale e, di conseguenza, della storia, destando serie preoccupazioni quanto al fatto che ciò incoraggerà l’allarmante processo di riscrittura della storia al quale abbiamo recentemente assistito.
La cultura, come altri fenomeni storici, non proviene da una sorta di identità omogenea condivisa. È piuttosto indicativa di antagonismi, conflitti e predominio culturale. Interroghiamoci sul significato della denominazione “marchio del patrimonio dell’Unione europea” attribuito semplicemente sulla base dell’ubicazione degli elementi del patrimonio in questione. Sapendo, come sappiamo, che il patrimonio europeo ha attinto da molte culture e potrebbe anche essere reclamato dal mondo islamico, dalle culture mediterranee o dalle culture di quanti sono stati colonizzati dall’Europa, è forse il patrimonio dell’Unione europea o piuttosto il patrimonio nell’Unione europea?
Signor Presidente, vorrei concludere dicendo che, in generale, con rare eccezioni, gli emendamenti presentati dalla relatrice hanno migliorato il progetto della Commissione, ma nella fattispecie gli obiettivi specifici della relazione sono decisamente meno importanti delle errate concezioni che vi sottendono.
Corneliu Vadim Tudor (NI). – (RO) Signor Presidente, oggi, 16 dicembre, celebriamo il 240° anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven, compositore dell’inno dell’Europa unita.
Vista l’eccellente relazione della commissione per la cultura e l’istruzione, come storico e scrittore rumeno, vorrei proporre per un marchio del patrimonio europeo un sito eccezionale, unico al mondo. Mi riferisco alla grotta di Sant’Andrea, situata in prossimità del punto in cui il Danubio si getta nel mar Nero. Come confermato da Origene, uno dei padri della chiesa cristiana, che ha appreso della sua esistenza da suo padre, il quale a sua volta ha appresso della sua esistenza dai discepoli di Andrea, il primo uomo chiamato Gesù Cristo si è recato in quel luogo, quella piccola grotta nella provincia della Scizia minore e ha diffuso la luce del Vangelo. Questa è quasi sicuramente la prima chiesa cristiana in Europa.
Durante i primi mesi del 2011, adotterò i passi necessari per ottenere il sostegno comunitario per un grande progetto. Intendo infatti erigere un’enorme statua del nostro Salvatore Gesù Cristo nella parte rumena della Transilvania, precisamente nella regione di Braşov. La statua sarà alta 40 metri, il che la renderà paragonabile per dimensioni a statue analoghe in Brasile, Portogallo e Polonia ed avrà anche una chiesa alla base dove saranno celebrati matrimoni, battesimi e servizi religiosi in occasione delle grandi festività cristiane. Nei giorni oscuri che ci attendono, sopravvivremo ed emergeremo vittoriosi soltanto alla luce della croce cristiana.
Hella Ranner (PPE). – (DE) Signor Presidente, sono particolarmente lieta che questa iniziativa, già attuata in alcuni Stati membri, ora sia giunta dinanzi all’intera Unione europea. È stato giusto e opportuno che per l’attribuzione del marchio si sia scelto un ciclo biennale. In proposito vorrei inoltre esprimere i miei ringraziamenti alla relatrice. Devo tuttavia ammettere di avere una piccola riserva in merito al fatto che dobbiamo riuscire a operare una distinzione precisa tra il programma per il patrimonio culturale mondiale dell’UNESCO e il carattere europeo di questo marchio, altrimenti sarà difficile per i nostri cittadini comprendere perché questo marchio specifico riveste una speciale dimensione europea.
Ho cercato di vedere quali siti siano stati sinora designati dagli Stati membri e ho scoperto, come sarebbe stato naturale immaginare, che sono principalmente strutture realizzate dall’uomo. La nostra idea in commissione per la cultura e l’istruzione era riconoscere non soltanto gli edifici, elemento indubbiamente importante, ma soprattutto oggetti di valore e altri siti, o persino esperienze, associati allo sviluppo europeo.
Ciò mi porta all’ultimo punto dei miei commenti. Sarà particolarmente importante nominare esperti appropriati per le commissioni selezionatrici che abbiano assimilato tali finalità e contribuiscano ad attuale e svilupparle. Se così fosse, non vi sarebbe bisogno di temere la burocrazia che potrebbe verosimilmente derivarne.
Silvia Costa (S&D). – Signor Presidente, gentile signora Commissario, onorevoli colleghi, penso che in una stagione della vita dell'Europa di crisi d'identità e di prospettive assuma un particolare significato l'istituzione di un marchio del patrimonio europeo che identifichi quei luoghi – materiali e immateriali – di alto valore simbolico ed educativo per la storia, la cultura e la realizzazione dell'Unione europea.
Ringrazio molto la relatrice Paliadeli, che si è fatta efficacemente carico delle proposte e delle integrazioni avanzate da molti di noi in seno alla commissione per la cultura e l'istruzione, prevedendo in particolare modalità più certe e rispettose del trattato di Lisbona nella suddivisione dei compiti fra Stati membri, Commissione, Consiglio e Parlamento. Come rilevato già da altri colleghi, si è anche adoperata affinché non vi fosse una sovrapposizione tra label e altre iniziative dell'UNESCO o del Consiglio d'Europa, con gli itinerari culturali storici.
Gli Stati membri, infatti, presentando ogni due anni sulla base di criteri ben definiti non oltre due siti e con la loro gestione attiva – questo è un punto importante: devono dimostrare di crederci e quindi di gestirli in modo educativo, coinvolgendo la popolazione – mentre la Commissione avrà il ruolo di determinare una preselezione dopo aver sentito un panel di esperti, ma anche esercitare una funzione di controllo e ogni sei anni valuterà l'efficacia anche della gestione dei siti e potrà anche ritirare il label. Il Parlamento ha una funzione che esce rafforzata perché non solo designa quattro dei sedici membri del panel europeo, ma anche perché ha un'interlocuzione attiva con la lista dei siti preselezionati.
Condivido anche la soluzione data al problema complesso dei marchi già assegnati su base intergovernativa a molti paesi membri che comunque, anche se non saranno ritenuti idonei per il nuovo sistema e per i nuovi criteri, restano identificati con il marchio precedente e non vengono così declassati.
Apprezzo anche la priorità data ai siti transnazionali, sarà una sfida molto interessante per l'Europa – e il ruolo riconosciuto al Comitato delle regioni in una logica di sussidiarietà – nonché la sottolineatura del necessario coinvolgimento da parte degli Stati membri nella fase di selezione, anche di comuni e regioni, per evitare un soltanto parziale loro coinvolgimento. Credo che però sarebbe anche utile uno sforzo in più da parte degli Stati membri, sarebbe molto importante che lanciassero anche bandi nelle scuole e nelle università rivolti ai giovani per un processo di identificazione dei siti che diventi anche una modalità di ricostruire una storia e un destino comune – quello europeo – e dando anche loro un contributo al senso di appartenenza e di cittadinanza europea.
Hannu Takkula, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto ringraziare per l’opportunità offertami di parlare per un attimo a nome del mio gruppo, il gruppo ALDE, in merito a questa importante relazione sul marchio del patrimonio europeo.
Ascoltando oggi la discussione, le mie impressioni mi hanno talvolta rammentato ciò che una volta mi ha detto un insegnante: tutto ciò che può essere frainteso lo sarà. Con questo intendo dire che alcuni cercano di vedere questo eccellente progetto – il cui scopo è innalzare il profilo dell’Europa e dimostrare che la sua forza sta nella sua diversità, nel fatto che è unita nella sua diversità – come minaccia alla nozione di Stato nazione, minaccia all’identità europea o minaccia a qualcos’altro. Non è di questo che stiamo parlando.
Ritengo che l’iniziativa sia eccellente e vorrei aggiungere che abbiamo bisogno di saperne di più sull’Europa. Abbiamo bisogno di conoscerci l’un l’altro perché in questo modo possiamo, in futuro, costruire un’Europa migliore.
L’Europa è un mosaico di nazioni in cui si sono sviluppate idee comuni sulla democrazia, la dignità umana e la libertà di opinione. Sono valori fondamentali che vogliamo promuovere.
Quando parliamo di patrimonio culturale europeo, va detto che il nostro patrimonio è molto ricco. Penso che il piccolo investimento che stiamo effettuando, 1,3 milioni di euro per l’intero programma, vada a vantaggio dei siti che otterranno molte volte il marchio del patrimonio europeo, anche da un punto di vista finanziario. Nella fattispecie, il beneficio finanziario non è però l’aspetto più importante: più importante è invece il beneficio psicologico derivante da uno spirito europeo rafforzato e una migliore comprensione del modo in cui il mosaico europeo è nato e quali sono le sue basi e le sue fondamenta. Nel momento in cui conosceremo il nostro background e la nostra storia, saremo in grado di costruire un futuro sostenibile.
Signor Presidente, vorrei ringraziare nuovamente la relatrice, onorevole Paliadeli, per il suo documento, a mio avviso eccellente e necessario e sulla cui base vale sicuramente la pena di procedere con il progetto del marchio del patrimonio europeo.
Raffaele Baldassarre (PPE). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, creare un'identità europea e accrescere l'interesse dei cittadini per l'Unione e per le sue origini costituiscono due prove che le istituzioni europee devono affrontare per raggiungere la coesione e la solidarietà su ampia scala.
Queste sfide sono, d'altra parte, alla base degli obiettivi del trattato di Lisbona, nell'articolo 3 del trattato è infatti ancorato l'impegno dell'Unione di salvaguardare lo sviluppo culturale europeo. Se oggi il sogno europeo vive una fase difficile, questo non è solo dovuto all'impasse dell'Europa come progetto politico o alla crisi economica in corso, ma anche alle difficoltà di un'Unione fondata su un'identità ancora irrisolta.
In questa situazione è quanto mai necessario ridurre le distanze tra l'Unione europea e i suoi cittadini, trasmettendo il patrimonio culturale multinazionale, ma al contempo comune, dell'Unione europea ai suoi cittadini e soprattutto alle future generazioni. È questo il senso e l'importanza di un marchio del patrimonio europeo: unire l'Europa nella sua diversità, promuovendo una cultura comune e favorendo l'integrazione tra i luoghi coinvolti all'interno del suo territorio.
Al fine di realizzare questo obiettivo, il nuovo marchio si concentrerà sul valore simbolico educativo di un sito, piuttosto che sull'aspetto estetico, privilegiando la collaborazione tra i siti e sostenendo progetti comuni tra gli stessi. Mi complimento pertanto per l'eccellente lavoro svolto dal relatore e dai colleghi della commissione per la cultura e l'istruzione, in particolare per quanto concerne le procedure di selezione delle località e il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo durante il processo di selezione.
Sono convinto che la decisione degli Stati membri di inserire il marchio nel quadro dell'Unione europea contribuirà a rafforzare la sua visibilità e il suo prestigio, così da realizzare gli obiettivi previsti di coesione e solidarietà tra i cittadini europei.
Cătălin Sorin Ivan (S&D). – (RO) Signor Presidente, anch’io vorrei esordire ringraziando la relatrice per l’eccellente documento che è riuscita a produrre e i negoziati che ha condotto con Commissione e Consiglio. Anche se non ha potuto far istituire il marchio del patrimonio culturale dell’Unione europea, il marchio del patrimonio europeo è comunque eccellente, come lo è il progetto stesso. Credo fermamente che se seguirà le orme del progetto delle capitali europee della cultura, sarà un grande successo. L’iniziativa è validissima, soprattutto perché dà spazio a progetti transfrontalieri.
Diversi Stati stanno collaborando per condividere gli stessi valori e le stesse tradizioni di cui insieme hanno goduto per centinaia di anni. Provengo da una città ubicata lungo la frontiera orientale dell’Unione europea, forse la più grande città culturale sul confine orientale, a soli 10 km dalla frontiera. Sono però stato pure a Santiago de Compostela, praticamente sul confine occidentale dell’Unione: due centri culturali con molti elementi in comune, ma anche contraddistinti da moltissime differenze. Uno è una meta dei pellegrinaggi ortodossi, l’altro una meta dei pellegrinaggi cristiani. Ci rendiamo conto con maggiore chiarezza dei valori che condividiamo quando usciamo dai confini dell’Unione recandoci in altri continenti Così facendo otteniamo un quadro molto chiaro dei valori che da centinaia di anni condividiamo e del fatto che abbiamo una cultura comune e talune caratteristiche che ci distinguono dagli altri popoli. Valicando i confini comunitari, l’Unione europea, o per meglio dire il marchio del patrimonio europeo, acquisisce dunque tutto il suo significato.
Mi complimento nuovamente con lei per la relazione e sono fermamente persuaso che sarà un progetto riuscito.
Csaba Sógor (PPE). – (HU) Signor Presidente, apprezzo il fatto che nell’odierna seduta questa sia la seconda proposta sottoposta a votazione intesa a ridurre le distanze tra l’Unione europea e i suoi cittadini. Convertita dai programmi intergovernativi di diversi paesi europei in azione comunitaria ufficiale, l’introduzione del marchio del patrimonio europeo rafforzerà il senso di appartenenza all’Unione, nonché il riconoscimento delle differenze e del dialogo interculturale, rendendo i cittadini, specialmente i giovani, consapevoli dell’importanza del loro ruolo nella storia europea e nel simbolismo europeo. Tale iniziativa può sensibilizzarci ulteriormente al nostro patrimonio culturale comune.
I siti che ottengono il marchio saranno più accessibili, specialmente ai giovani, e gli oggetti che incarnano la nostra storia comune saranno utilizzati in maniera più appropriata. Ciò che più personalmente apprezzo sono gli aspetti organizzativi dell’azione, segnatamente il fatto che le procedure di selezione e monitoraggio saranno condotte secondo criteri comuni, inequivocabili e trasparenti e lo scambio di esperienza professionale si intensificherà. Come membro eletto in rappresentanza di una minoranza nazionale, noto con soddisfazione che nel caso della Romania, per esempio, siti designati da esperti internazionali obiettivi avranno anch’essi la possibilità di essere scelti in aggiunta ai quattro oggetti ai quali il marchio è già stato assegnato. Tra questi, la Biblioteca Teleki a Târgu-Mureş, nota come uno dei baluardi della cultura ungherese, e la Chiesa nera di Braşov, considerata un esempio di quintessenza dell’eccellenza architettonica gotica sassone.
Olga Sehnalová (S&D). – (CS) Signor Presidente, il marchio del patrimonio europeo è indubbiamente un’iniziativa valida e una prosecuzione del progetto intergovernativo ormai operante dal 2006. Lo scopo dell’iniziativa è contribuire alla creazione di un’identità europea comune incrementando l’interesse per l’Unione europea e i suoi valori.
Il concetto di “patrimonio culturale” è molto ampio, il che è positivo. Sono lieta del fatto che la proposta di emendamento che incorpora il patrimonio industriale in tale categoria sia stata anch’essa adottata nella relazione. L’industria è una delle componenti importanti della storia europea comune. Dopo tutto, l’Europa è stata la culla della rivoluzione industriale nel XIX secolo e l’inizio dell’Unione è legato alla fondazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. È tuttavia legata anche alla storia comune dei movimenti per i diritti civili e sociali.
Uno degli ambiti che dovrebbe trarre beneficio dal marchio del patrimonio europeo è quello del turismo. Credo fermamente che questa sia un’opportunità per sfruttare i monumenti della storia europea comune al fine di sviluppare il turismo anche nelle regioni che tradizionalmente non sono mete turistiche. Questo tipo di monumento è, a mio parere, ingiustamente trascurato e tutto ciò che occorre è scoprirlo e sfruttarne il potenziale. Pertanto, apprezzo e sostengo con forza la relazione e, in tale contesto, vorrei ringraziare la relatrice, onorevole Paliadeli.
Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE). – (PL) Signor Presidente, nel periodo antecedente all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, dovevamo confrontarci con una situazione in cui i cittadini dell’Unione europea si stavano sensibilmente disinteressando dei suoi affari e delle sue attività. L’adozione del trattato di Lisbona era volta non soltanto a fornire una soluzione ai problemi legati all’esigenza di un migliore funzionamento delle istituzioni, bensì anche a coinvolgere maggiormente i cittadini europei nelle attività dell’Unione, per esempio attraverso l’iniziativa dei cittadini. Il marchio del patrimonio europeo è un ulteriore passo verso la costruzione di un’identità europea e il rafforzamento dei legami tra cittadini e Unione.
Negli ultimi quattro anni, gli Stati membri hanno designato 64 siti di particolare rilevanza per l’Europa. Scoprendo la nostra storia condivisa e conoscendo il ruolo dell’Unione e la sua diversità culturale basata su valori democratici comuni e diritti umani, possiamo rafforzare il senso di appartenenza a una grande famiglia europea nel quadro dell’Unione, negli abitanti della nostra Comunità.
Seán Kelly (PPE). – (GA) Signor Presidente, apprezzo le odierne proposte e penso che rafforzeranno e svilupperanno l’industria del turismo, esito oggi particolarmente necessario.
(EN) Nonostante tutte le critiche rivolte all’Europa, credo che la maggior parte dei cittadini ancora riconosca il valore dell’Europa e, in particolare, di un marchio recante tale simbolo. Me ne sono reso conto in relazione alla città europea dello sport. Limerick, nella mia circoscrizione, ha ottenuto di recente tale riconoscimento e ciò è stato molto apprezzato. Lo stesso dicasi per le città europee della cultura e sicuramente lo stesso varrà per i siti del patrimonio europeo.
Vi sono alcuni elementi validi in merito che vale la pena di sottolineare. Uno di tali elementi è che è necessario mantenere il sito, il che significa che il marchio potrà essere revocato a meno che non si dimostri che è effettivamente meritato. In secondo luogo, vi è l’aspetto sottolineato dall’onorevole Martin, al quale ha risposto compiutamente l’onorevole Scurria, ossia che la burocrazia non dovrà soffocare il sistema. Penso che ne possiamo essere orgogliosi perché ha grandi potenzialità.
Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE). – (LT) Signor Presidente, spesso i cittadini discutono del futuro dell’Unione europea. Le fondamenta di un’Unione forte e un futuro di successo poggiano sulla fiducia e la reciproca comprensione, proprio come in una famiglia. Il marchio del patrimonio europeo è un mezzo affinché i cittadini sappiano di più degli altri, scoprano gli elementi e riconoscano le personalità e i movimenti che simboleggiano la costruzione dell’Europa. L’identificazione di un patrimonio culturale condiviso è un’opportunità per rafforzare un’Europa unica e unita. In tutte le nazioni e in tutti i paesi abbiamo un’esperienza storica varia e diversa, spesso dolorosa, ma sono proprio queste differenze che, insieme, costituiscono la nostra famiglia e formano la nostra identità europea. Vorrei in particolare sottolineare la divisione dell’Europa perdurata per molti anni e la diversa o totale assenza di opportunità di sviluppo della democrazia. Mi riferisco all’Europa orientale e all’occupazione da parte dell’Unione sovietica. Vi è nondimeno sempre stata una battaglia per l’idea di un’Unione unita anche lì e dobbiamo apprezzare…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Piotr Borys (PPE). – (PL) Signor Presidente, nessuno può accusarci di non essere coerenti. Nel trattato di Lisbona abbiamo stabilito la cittadinanza dell’Unione per i suoi abitanti e ieri abbiamo avuto l’opportunità di votare per l’iniziativa dei cittadini. Oggi stiamo adottando un simbolo, segnatamente il marchio del patrimonio europeo, che indiscutibilmente promuoverà l’identità e la cittadinanza dell’Unione o, in altre parole, tutti i valori che sono così importanti per noi. Credo che questo marchio fungerà da straordinario corollario sia dell’elenco dell’UNESCO sia degli itinerari europei della cultura, come anche delle capitali europee della cultura. Chiunque viaggi conosce il valore e l’importanza di tali sistemi.
Penso che promuovere la cultura europea nel cuore dell’Europa per gli europei sia un aspetto fondamentale. L’Europa è in gran parte non ancora scoperta in tal senso, ma la promozione della cultura europea al di fuori dell’Europa svolge anche un ruolo fondamentale. Ciò che conta è che questo marchio sia promosso con successo dalla signora Commissario e dagli Stati membri.
Georgios Papanikolaou (PPE). – (EL) Signor Presidente, vorrei a mia volta complimentarmi con la nostra relatrice, onorevole Paliadeli, per l’eccellente documento stilato e tutto l’impegno a oggi profuso. Questo nuovo marchio del patrimonio europeo mette in luce la nostra cultura, lo spirito europeo, e soddisfa tutti quelli tra noi che spesso visitano siti in Europa e pensano che sia una vergogna non sottolineare il valore aggiunto dell’Europa, di tutti questi monumenti storici che abbiamo estremamente bisogno di pubblicizzare.
Al momento, come sapete, l’Europa è preoccupata non soltanto dalla crisi economica, come è del tutto naturale che sia; l’Europa post-Lisbona vuole mettere in luce la sua coesione culturale, la sua ricca storia, il mosaico che la definisce. Ovviamente ciò va fatto con la partecipazione attiva del Parlamento europeo e confido nel fatto che i negoziati con il Consiglio sull’articolo 18 abbiano esito positivo.
Iosif Matula (PPE). – (RO) Signor Presidente, apprezzo la conversione del progetto sul marchio del patrimonio europeo intergovernativo in un’iniziativa formale dell’Unione europea in un momento in cui il progetto iniziale non ha ottenuto l’alto profilo e il prestigio che merita. Tale progetto ci consente di aprire anche una porta a paesi che arricchiscono la cultura del nostro continente senza essere parte dell’Unione europea.
Un aspetto fondamentale consiste nella rivalutazione dei siti già designati nel quadro dell’accordo intergovernativo, come anche nella garanzia di equità per quanto concerne gli Stati con un diverso numero di siti originariamente registrati. Inoltre, nel caso in cui i siti non possano essere direttamente rivalutati, è importante che abbiano l’opportunità di richiedere nuovamente il marchio per offrire loro più opportunità.
L’attribuzione del marchio del patrimonio europeo per un periodo illimitato senza rivalutazione periodica contribuirebbe a rendere più efficiente l’uso dell’esiguo bilancio stanziato per il progetto. Il marchio del patrimonio europeo sensibilizzerà ulteriormente il pubblico in generale alla diversità del nostro patrimonio culturale comune e del nostro turismo culturale.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, creare un’identità europea e innalzare il livello di interesse per l’Unione europea sono sfide impegnative, in grado tuttavia di creare coesione e solidarietà su larga scala. Il marchio del patrimonio europeo potrebbe realizzare i suoi obiettivi in maniera più efficace se fosse gestito come iniziativa comunitaria. Deve basarsi sugli stessi criteri e disporre di un sistema di monitoraggio definito con estrema chiarezza. Una delle ricadute di tale marchio sarà la promozione del turismo culturale. Proprio come nel caso dei siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO, il marchio aumenterà il numero dei turisti e imprimerà nuovo slancio alle economie locali.
Apprezzo l’intenzione della Commissione di avvalersi del marchio del patrimonio europeo unitamente ad altri strumenti volti a creare un legame più forte tra l’Unione europea e i suoi cittadini. Concluderei dunque sottolineando l’importanza della promozione del dialogo interculturale.
Androulla Vassiliou, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sembra che la maggior parte dei parlamentari che hanno preso la parola abbiano sottolineato l’importanza di questa iniziativa europea e del suo reale valore aggiunto poiché hanno ribadito la sua capacità di promuovere l’Europa, la storia europea comune e il patrimonio europeo comune, il suo valore educativo e la sua valenza per creare e incentivare un maggiore dialogo culturale.
Sono molto lieta di tale approvazione e grata per il sostegno dimostrato. Vorrei aggiungere per chiarezza che gli esperti che saranno nominati per prendere decisioni in merito a questa importante iniziativa avranno sicuramente le migliori credenziali professionali per essere certi che scelgano non soltanto i siti più idonei e pregiati, ma anche idee. Consentitemi di ricordare che questo patrimonio non è fatto soltanto di siti, ma anche di cultura intangibile. Per esempio, in Portogallo abbiamo un decreto che è stato il primo in Europa ad abolire la pena capitale ed è stato inserito nell’elenco dei marchi. Il patrimonio può dunque anche essere intangibile.
Volevo inoltre precisare che il nostro obiettivo è effettivamente quello di disporre di una procedura semplificata. È importante la qualità, ma importante è anche la semplificazione. Per questo non abbiamo accettato la proposta del Consiglio secondo cui, dopo il gruppo di esperti, l’iniziativa avrebbe dovuto passare per la comitatologia, in quanto questo avrebbe creato burocrazia e fatto perdere tempo prezioso per l’adozione della decisione.
Concluderei dicendo che in quest’epoca di crisi economica, che crea divisioni tra i popoli europei dal punto di vista politico, sociale ed economico, abbiamo bisogno di iniziative come questa che ravvicinino i cittadini europei. In tal modo, i cittadini percepiranno un senso di identità e dobbiamo sottolineare l’importanza del nostro patrimonio culturale comune, la cui ricchezza consiste proprio nella sua diversità. Un patrimonio culturale comune ma diverso è ciò che ci unirà.
Vi ringrazio nuovamente per vostro sostegno, specialmente l’onorevole Paliadeli e i relatori ombra per l’eccellente collaborazione intrattenuta e confido nel fatto che tale importante iniziativa possa essere definitiva adottata in un prossimo futuro.
Chrysoula Paliadeli, relatore. – (EL) Signor Presidente, vorrei esordire affermando che condivido le posizioni espresse sia in merito alla valutazione di impatto del marchio del patrimonio europeo sia in merito al suo valore culturale aggiunto. Il marchio da solo non può ridurre le distanze tra il pubblico e l’Unione europea. Può soltanto contribuire, unitamente ad altre iniziative, ad affrontare il problema. Come è ovvio, non posso nascondere il fatto che, in momenti di difficoltà come la recente crisi che abbiamo vissuto, con attacchi efferati all’euro e all’Unione, il pubblico non guarda soltanto alla cultura per risolvere i suoi problemi quotidiani. Tuttavia, una conoscenza della storia e il rispetto per il multiculturalismo possono fungere entrambi da collante e incentivo per la crescita delle comunità locali incoraggiandole a collaborare a livello locale, regionale, nazionale e transnazionale, come dichiarato nella proposta della Commissione e da noi accettato. In quest’ottica, l’idea di un marchio del patrimonio culturale per l’Unione europea – e i miei ringraziamenti vanno all’onorevole Ivan che ha rammentato la proposta iniziale – volto ad accrescere la consapevolezza del pubblico europeo del suo patrimonio comune e, nel contempo, a sostenere il turismo culturale è un passo positivo in tale direzione. Valori come democrazia e libertà, radicati nel passato culturale dell’Europa, oggi sono importanti tanto quanto la trasparenza e la solidarietà, specialmente se vogliamo ridurre le distanze tra le istituzioni europee e i cittadini degli Stati membri e tra gli stessi cittadini degli Stati membri. Come è ovvio, dovremo affrontare le questioni burocratiche, ma posso assicurarvi che la trasparenza e la composizione del team di esperti europeo saranno soggetti a condizioni estremamente chiare. Non vi è dubbio che l’istituto opererà con assoluta chiarezza.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà oggi, alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Trasformare l’iniziativa del marchio del patrimonio europeo in un’azione comunitaria ufficiale garantirà un particolare valore aggiunto a tutte le azioni intraprese dagli Stati membri, offrendo peraltro un importante contributo alla creazione di un’identità europea comune. Apprezzo l’odierna iniziativa e la relazione presentata. Desidero inoltre menzionare il fatto che il marchio del patrimonio europeo potrebbe essere esteso con grande successo e proficuamente alle attività legate al turismo rurale tradizionale, settore fiorente negli Stati europei. Questa è infatti una delle proposte che intendo sottoporre alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale quando presenterò il parere sul ruolo che il turismo rurale e l’agricoltura svolgono nel conseguimento dell’obiettivo dell’Unione di trasformare l’Europa nella principale meta turistica al mondo.
Emil Stoyanov (PPE), per iscritto. – (BG) Vorrei complimentarmi con l’onorevole Paliadeli per il lavoro svolto in merito all’odierna relazione. Istituendo e attribuendo il marchio del patrimonio europeo è un’iniziativa che merita particolare attenzione. La dimensione europea e il significato dei siti proposti contribuirà a promuovere l’identità europea e un sentimento di cittadinanza europea. La storia del nostro continente è un importante elemento che contribuirebbe all’integrazione dei popoli europei. Le nostre generazioni più giovani devono essere profondamente consapevoli del nostro patrimonio europeo comune perché è molto importante che non vi siano varianti nelle diverse versioni né tentativi di interpretazione populista, perché questa è la nostra storia europea comune e rispecchia la nostra intera diversità culturale e linguistica. La procedura di selezione deve far sì che soltanto i siti qualitativamente idonei siano scelti. Credo che gli Stati membri debbano presentare le proprie proposte in stretta collaborazione con le autorità locali e regionali. Ciò contribuirà a pubblicizzare i siti a livello nazionale e colmerà le distanze tra le istituzioni europee e i cittadini europei. Come membro del Parlamento europeo, unico organo eletto democraticamente che rappresenta i cittadini, credo che il Parlamento debba svolgere un ruolo maggiore in tale iniziativa.
Csanád Szegedi (NI), per iscritto. – (HU) Sottoscrivo incondizionatamente l’affermazione contenuta nella relazione secondo cui esistono distanze enormi tra l’Unione europea e i cittadini degli Stati membri della Comunità, visto che più di metà di loro ha un’opinione non molto positiva sull’Unione. Rinominando il marchio del patrimonio europeo come marchio del patrimonio dell’Unione europea e apportandovi le corrispondenti modifiche, stiamo lanciando un’altra grandiosa campagna costosa e superflua di autopromozione e propaganda dell’Unione. Ignorando dettagli secondari come un monumento al nazionalista e separatista slovacco Stefanik, considerato un artefatto esemplare del patrimonio della cooperazione dell’Unione, neanche questa nuova iniziativa riuscirà ad avvicinare i cittadini all’Unione. Non è chiaro, inoltre, il motivo per il quale il marchio del patrimonio europeo debba nelle intenzioni essere esteso a paesi terzi, visto che di fatto non vuole duplicare l’elenco già esistente del patrimonio mondiale dell’UNESCO, né a quali paesi la relazione alluda in proposito.
3. Partecipazione della Svizzera al programma "Gioventù in azione" e al programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente (discussione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la raccomandazione (A7-0334/2010) dell'onorevole Pack a nome della commissione per la cultura e l'istruzione, sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo fra l'Unione europea e la Confederazione svizzera, che stabilisce i termini e le condizioni per la partecipazione della Confederazione svizzera al programma “Gioventù in azione” e al programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente (2007-2013) [12818/2010 - C7-0277/2010 - 2010/0231(NLE)].
Doris Pack, relatore. – (DE) Signor Presidente, sono felice dell'opportunità che abbiamo oggi di tenere questa discussione perché ricordo che entrambi abbiamo sempre collaborato con la Svizzera al Consiglio europeo e siamo quindi consapevoli dell'importanza della partecipazione della Svizzera a questi programmi. Nel 2006, prima del loro rinnovo, al Parlamento europeo eravamo naturalmente consapevoli di non essere isolati e della necessità di coinvolgere tutti nelle nostre attività. Sebbene la Svizzera non faccia parte dello Spazio economico europeo, ha manifestato interesse a partecipare nei settori della formazione e dell'istruzione. Ho accolto con favore questo sviluppo, come chiunque altro. Nel 2004 facevo parte della delegazione che ha fatto visita alla commissione per l'educazione del parlamento svizzero, con la quale abbiamo discusso nel dettaglio questioni di pertinenza, quali la mobilità e la cooperazione tra scuola e università. Già all'epoca era chiaro che questo progetto prima o poi sarebbe arrivato e ora lo accolgo con favore.
Nel definire questi programmi non abbiamo pensato solo ai nostri interessi, ma anche a quelli di tutti i paesi confinanti, come i Balcani occidentali e la stessa Svizzera, che si trova nel mezzo. Questo è il motivo alla base dei notevoli progressi fatti oggi. Riguardo alla precedente discussione, posso affermare sin d'ora che la Svizzera non solo è interessata a presentare una richiesta per partecipare al programma culturale, ma ha anche manifestato il suo interesse per il progetto del marchio del patrimonio europeo, che però presuppone la partecipazione al suddetto programma.
Onorevoli colleghi, chiediamoci cosa dobbiamo fare oggi: anche se abbiamo la possibilità di rispondere "sì" o "no", nessuno di noi penserebbe a dire di no perché abbiamo sempre guardato con favore al coinvolgimento della Svizzera e quando parlo di "coinvolgimento" mi riferisco anche all'aspetto economico. A norma dell'articolo 218, possiamo solo scegliere tra il "sì" e il "no" e senza dubbio la nostra risposta sarà pienamente affermativa.
Quali sono i punti chiave dell'accordo con la Svizzera? Ovviamente le condizioni, le norme e le procedure per i progetti e le iniziative che vedono la partecipazione di questo paese saranno le stesse applicabili anche ai partecipanti degli Stati membri e ai loro progetti. La Svizzera dovrà creare un'agenzia nazionale per il coordinamento e l'attuazione dei programmi a livello interno, proprio come abbiamo fatto noi nei nostri paesi; questa Agenzia dovrà apportare ogni anno un contributo finanziario a ciascun programma. Il contributo per il 2011 ammonta a 1,7 milioni di euro per il programma “Gioventù in azione” e a 14,2 milioni di euro per il programma di apprendimento permanente. Per quanto concerne le norme in materia di controlli finanziari e audit, la Svizzera dovrà rispettare le disposizioni fissate dall'Unione europea, ivi comprese quelle relative ai controlli effettuati dalle istituzioni europee e dalle autorità svizzere. L'accordo resterà in vigore fino a quando una delle parti non vi porrà fine, anche se credo che chiunque decida di prendere parte a un simile programma, non lo faccia con l'intenzione di ritirarsi. È nell'interesse sia dei giovani svizzeri sia naturalmente dei giovani nei paesi confinanti con la Svizzera che desiderano partecipare a programmi di scambio con scuole svizzere nell'ambito del programma Comenius Regio, a singoli partenariati tra scuole o ancora al programma Erasmus.
Naturalmente i rappresentanti delle autorità svizzere potranno partecipare agli incontri del nostro comitato in merito ai punti che riguardano il loro paese. Consentitemi di ribadire che non vediamo l'ora che la Svizzera compia questo passo: è da tempo infatti che questo paese mostra il suo interesse verso un simile accordo e speriamo che, offrendo ai giovani svizzeri l'opportunità di interagire con altri giovani europei, lo spirito europeo si rafforzi anche qui, portando a esiti diversi rispetto al passato nei prossimi referendum. Stiamo puntando sui giovani e su questi due straordinari programmi e sono certa che nell'arco dei prossimi tre anni verrà aggiunto anche il programma culturale.
Androulla Vassiliou, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, in base al trattato sul funzionamento dell'Unione europea, è necessaria l'approvazione del Parlamento europeo affinché l'accordo tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera entri in vigore.
Desidero ringraziare la commissione per la cultura e l'istruzione e in particolare la presidente, l'onorevole Pack, per la posizione costruttiva assunta nei confronti dell'accordo.
Dal momento che la Svizzera non ha voluto aderire allo Spazio economico europeo, nessun accordo finora consentiva una cooperazione diretta o indiretta tra l'Unione europea e questo paese nel settore dell'istruzione.
Per lungo tempo la Svizzera ha manifestato interesse verso i programmi europei d'istruzione e a favore della gioventù, arrivando a creare un sistema di aiuti a livello nazionale per incoraggiare forme di partenariato con le organizzazioni degli Stati membri dell'Unione che partecipano attivamente a questi programmi. Inoltre la Svizzera ha preso parte al processo di Bologna e alla creazione dello Spazio europeo dell'istruzione superiore.
La Svizzera ha poi seguito da vicino, seppur dall’esterno, la discussione in seno all'Unione europea sulle politiche in materia di istruzione e sarà il primo paese a partecipare ai nostri programmi senza essere membro dell'UE, dello Spazio economico europeo e senza essere un paese candidato, effettivo o potenziale.
La Commissione accoglie con favore la partecipazione della Svizzera ai due programmi. L'accordo consentirà non solo alle organizzazioni svizzere per l'istruzione e la gioventù, ma anche a singoli studenti, insegnanti e giovani di prendere parte ai programmi europei “Gioventù in azione” e nel campo dell’apprendimento permanente alle stesse condizioni dei cittadini europei. I progetti e le iniziative presentate dai partecipanti svizzeri saranno sottoposte alle stesse condizioni, regole e procedure applicate ai progetti presentati dagli Stati membri.
La Svizzera ha creato un'agenzia nazionale per coordinare l'attuazione dei programmi a livello nazionale che verserà un contributo annuo a ciascun programma e sarà presente alle riunioni del comitato del programma in qualità di osservatore per i punti concernenti la Svizzera.
Grazie, onorevoli deputati, per l'ottimo lavoro svolto.
Marco Scurria, a nome del gruppo PPE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, volevo ringraziare, sicuramente oltre alla Commissione, la presidente della nostra commissione per la cultura e l'istruzione, la collega Doris Pack, per il lavoro e l'impegno che ha profuso su questo dossier.
È un aspetto importante quello di cui oggi stiamo discutendo, perché parliamo di uno strumento come il programma “Gioventù in azione” che crea contagio, che crea vicinanza, che crea amicizia tra i paesi dell'Unione europea, ma anche e soprattutto tra quelli che non ne fanno parte, come appunto la Svizzera o altri paesi ancora.
È la grande ricchezza dei nostri programmi multiannuali, che attraverso appunto azioni come Gioventù in azione, Erasmus, Erasmus mundus, educazione permanente, Media, Media mundus e tanti altri, permettono appunto di creare contiguità tra paesi dell'Unione europea o paesi che non fanno parte dell'Unione.
Vedete, con questi programmi noi abbiamo resa viva l'Unione europea, abbiamo permesso a tanti cittadini, soprattutto giovani, di incontrarsi, di scambiare esperienze, di conoscere e di farsi conoscere. Abbiamo dato la possibilità a insegnanti, a lavoratori in genere di accrescere la loro professionalità e abbiamo dato la possibilità a registi, produttori, associazioni di paesi diversi di poter lavorare meglio.
Per questo sono importanti questi programmi, ed è per questo che ci siamo preoccupati un po' quando non li abbiamo visti nel programma di lavoro della Commissione per il prossimo anno. Oggi quindi ratifichiamo un passo importante, che fa crescere l'Unione, che rafforza la cittadinanza del nostro continente, un passo – visto che ne abbiamo parlato poc'anzi nel punto proprio del marchio europeo – che contribuisce a creare questa nostra identità europea.
Joanna Senyszyn, a nome del gruppo S&D. – (PL) Signor Presidente, a nome del gruppo dell'Alleanza progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, appoggio il progetto di relazione presentato che consente alla Confederazione svizzera di partecipare al programma “Gioventù in azione” e al programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente. Non solo l'accordo è stato negoziato in modo adeguato e tutelando gli interessi dell'Unione europea, ma le basi giuridiche dei programmi europei nei settori dell'istruzione, della formazione e della gioventù prevedono la partecipazione della Svizzera. I principi regolatori sono stati descritti nel dettaglio, a garanzia di un’attuazione equa e idonea dei programmi. La Svizzera desidera collaborare con l'Unione europea in materia di istruzione, formazione e gioventù e l'accordo non è altro che la naturale conseguenza di tale volontà.
Siamo particolarmente contenti che i programmi di istruzione dell'Unione europea siano così produttivi e stimolanti da invogliare altri paesi a farne parte. L'ultima ricerca effettuata dalla Commissione europea mostra che il programma "Gioventù in azione" migliora le competenze linguistiche dei giovani nonché le loro possibilità nel mercato del lavoro. Nonostante l'enorme potenziale, le opportunità per l'istruzione degli adulti non sono però ancora sfruttate appieno.
Hannu Takkula, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, desidero ringraziare da subito la superba presidente di commissione, onorevole Pack, che ha anche redatto la relazione. Posso dire che con l'onorevole Pack questo progetto era in buone mani. Come ben sa il nostro valido Commissario, l'onorevole Pack ha una lunga esperienza professionale ed è un'esperta proprio nell'ambito dei programmi di apprendimento permanente e per la gioventù. È stato un piacere osservare che i lavori procedevano senza inconvenienti durante la fase preparatoria ed è fantastico pensare che adesso anche i giovani in Svizzera potranno far parte dei successi che abbiamo raccolto all'Unione europea.
Bisogna riconoscere che anche tra chi critica l'Unione europea, oppositori inclusi, c'è consenso unanime sul fatto che esistono iniziative europee di successo, quali i programmi di apprendimento permanente, i programmi per la gioventù e quelli culturali. Si tratta di uno degli aspetti migliori dell'Unione europea e dobbiamo impegnarci a fondo affinché mantenga la giusta visibilità.
Proprio grazie all'Unione europea e a questi programmi abbiamo incoraggiato i giovani in Europa a proseguire il cammino di istruzione e formazione e a migliorare le proprie competenze, aumentando nel contempo anche le risorse dei singoli paesi.
In quest'ottica è fondamentale che la Svizzera non venga in alcun modo esclusa da questo sistema di cooperazione, sebbene non sia membro dell'Unione europea né del SEE, e che i giovani svizzeri abbiano la possibilità di prendere parte ai programmi. I passi futuri vanno quindi compiuti all'insegna della collaborazione e così facendo credo che si potrà creare del valore aggiunto per tutti.
Signor Presidente, desidero da ultimo ringraziare la nostra relatrice. Confido che questo programma avrà successo anche tra i cittadini della Svizzera, come è stato per noi, cittadini degli Stati membri dell'Unione europea.
Marek Henryk Migalski, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, signora Commissario, questa relazione è stata approvata all'unanimità dalla commissione per la cultura e l'istruzione, dove tutti sono stati concordi nel riconoscerne la validità. Il progetto è davvero ben fatto e non dovrebbe incontrare dissensi dal momento che incarna i valori su cui stiamo discutendo. In effetti questa relazione potrebbe avere il favore unanime dell'Aula, anche se la situazione della Svizzera è unica, come sottolineato dal Commissario. Stiamo parlando di un paese molto interessante, con una situazione politica peculiare e che si impegna in forme di cooperazione molto promettenti con l'Europa, sebbene non partecipi a numerosi accordi europei. Proprio per questo motivo vale la pena instaurare una serie di relazioni ricorrendo a programmi di questo tipo, indiscussi e universalmente accettati.
Jaroslav Paška, a nome del gruppo EFD. – (SK) Signor Presidente, anche se la Svizzera non si è ancora decisa a diventare uno Stato membro dell'Unione europea, da tempo ha mostrato un chiaro interesse a collaborare ampiamente con l'Unione nell'ambito dell'istruzione e della formazione professionale dei giovani. In seguito alla creazione, nel 2006, dei programmi "Gioventù in azione" e nel campo dell’apprendimento permanente è stato creato un fondamento giuridico per la cooperazione tra la Svizzera e l'Unione europea in quest'area.
La Commissione europea, in linea con le raccomandazioni del Consiglio europeo a seguito dei negoziati con la controparte svizzera, ha redatto un accordo che ci consente di instaurare una cooperazione efficace con i nostri colleghi svizzeri nell'ambito dell'istruzione e della formazione professionale dei giovani, nonché nel campo dell'apprendimento permanente. L'accordo risulta corretto e bilanciato e sottolinea l'interesse di entrambi i firmatari di estendere la collaborazione e promuovere lo scambio di conoscenze, teoriche e pratiche, finalizzato a migliorare la qualità del processo di istruzione.
Ritengo pertanto, signora Commissario, che questo accordo tra Unione europea e Svizzera rappresenti un passo avanti nella giusta direzione.
Justas Vincas Paleckis (S&D). – (LT) Signor Presidente, desidero complimentarmi con la relatrice, onorevole Pack, ed esprimere il mio pieno appoggio alla raccomandazione relativa ai programmi "Gioventù in azione" e nel campo dell’apprendimento permanente nonché alla partecipazione della Svizzera ai suddetti programmi. Desidero sottolineare che la Svizzera non è solo un paese bello e ordinato, ma è anche interessante per l'Unione europea per il suo sistema a democrazia diretta, ossia la confederazione composta dai cantoni. D'altra parte anche l'Unione europea è interessante per la Svizzera, che è completamente circondata da Stati membri dell'UE. Va ricordato infine che la Svizzera sta adeguando i suoi ritmi a quelli dell'Unione europea. Ritengo che dopo l'approvazione di questo programma, vi potranno essere ulteriori miglioramenti: la Svizzera si avvicinerà ancora di più all'Unione europea e quest’ultima sarà in grado di comprendere meglio la Svizzera. Come già affermato dall'onorevole Pack, ci potremo attendere migliori risultati nei referendum futuri.
Liam Aylward (ALDE). – (EN) Signor Presidente, mi compiaccio per il sostegno dimostrato a favore di una maggiore collaborazione tra Svizzera e Unione europea negli ambiti dell'istruzione, della formazione e della gioventù. Il programma "Gioventù in azione" è molto importante per i giovani cittadini europei e merita ulteriore visibilità; dobbiamo raggiungere gli obiettivi del progetto, soprattutto quelli relativi alle attività del servizio civile volontario europeo nell'ambito del programma "Gioventù in azione."
Dato che il prossimo anno sarà l'Anno europeo del volontariato, è particolarmente importante rafforzare il servizio civile volontario europeo che promuove la partecipazione dei giovani a queste attività e si propone di accrescere la solidarietà e la cittadinanza attiva tra i giovani.
Il volontariato presso organizzazioni sportive amatoriali in Irlanda offre a migliaia di giovani opportunità nell'ambito sportivo e della leadership. Si tratta di organizzazioni che promuovono la cittadinanza attiva tra i giovani, incentivando nel contempo uno stile di vita sano e dinamico. Serve potenziare il programma e la sua componente volontaria e per questo vanno creati dei legami forti con la Svizzera.
Il programma "Gioventù in azione" offre molte possibilità e qualsiasi misura di potenziamento degli obiettivi e di promozione e sostegno dei giovani all'interno dell'Unione europea va appoggiata e incoraggiata in modo deciso.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D). – (LT) Signor Presidente, onorevole relatrice, desidero ringraziarla per il lavoro svolto ed esprimere il mio pieno sostegno alla raccomandazione presentata affinché il Parlamento europeo approvi la decisione del Consiglio sulla partecipazione della Svizzera ai programmi "Gioventù in azione" e nel campo dell’apprendimento permanente, in quanto l'accordo tra la Commissione e le autorità svizzere rispetta tutti i requisiti, i criteri e le disposizioni. Inoltre, l'agenzia nazionale svizzera collaborerà all'attuazione dei programmi a livello nazionale, versando ogni anno un contributo finanziario a ciascun programma. Questo accordo bilaterale ha grande importanza sia per la Svizzera sia per l'Unione europea: da un lato i giovani svizzeri potranno trarre vantaggio dalle diverse opportunità come previsto dal programma "Gioventù in azione" e, dall’altro lato, anche i giovani cittadini dell'Unione europea potranno prendere parte a tutti i progetti ai quali partecipano i giovani svizzeri. Sono lieto del fatto che, pur non facendo parte dello Spazio economico europeo e non essendo uno Stato membro dell'UE, la Svizzera collabori da vicino con l'Unione europea nell'ambito dell'istruzione, della formazione e della gioventù.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, da quando sono arrivato al Parlamento europeo, continuo a chiedermi per quale motivo la Svizzera e la Norvegia non abbiano aderito all'Unione europea; mi chiedo se questo non dipenda dal fatto che in questo modo riescono a trarre il massimo beneficio da entrambe le realtà, ossia avere i vantaggi di essere parte dell'Unione europea senza averne gli obblighi. Anche oggi non sono del tutto convinto. Il Commissario ha accennato ai costi che ci saranno; certamente la Svizzera dovrà pagare, ma di solito i non-soci pagano di più dei soci iscritti.
Mi fido comunque della maggiore preparazione ed esperienza dell'onorevole Pack nel sostenere che questa è la strada da percorrere. Potremo contribuire a creare una maggiore consapevolezza europea tra i cittadini svizzeri che un giorno forse decideranno di entrare nell'Unione europea. Se questo accadrà, come mi auguro, credo che tutto il merito debba andare al Commissario e all'onorevole Pack per la loro lungimiranza. In questo periodo di buona volontà, sono disposto ad accogliere la proposta.
Alajos Mészáros (PPE). – (HU) Signor Presidente, le nuove generazioni europee hanno il privilegio di crescere in un continente pacifico e quasi senza frontiere, caratterizzato dalla mobilità e dal multilinguismo e che offre numerose opportunità culturali ed economiche. Al fine di garantire che sempre più giovani si impegnino nella cittadinanza attiva, dobbiamo definire regimi di aiuto stabili nel campo delle politiche giovanili. È vero che la Svizzera non è membro dello Spazio economico europeo, ma collabora da vicino con l'Unione europea non solamente nelle aree dell'istruzione, della formazione e della gioventù. A partire dal 2008 la Svizzera ha preso parte e finanziato diversi progetti mirati a ridurre le disparità socioeconomiche all'interno dell'Europa allargata. La Svizzera ha dimostrato solidarietà e impegno nei confronti dell'allargamento dell'Unione europea e intende creare relazioni stabili con i nuovi Stati membri sia a livello economico che politico. Concordo con i punti fondamentali dell'accordo sulla partecipazione della Svizzera al programma, che la renderebbe un partner di pari livello...
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Silvia Costa (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è grazie alla determinazione di Doris Pack e alla volontà della Commissaria Vassiliou se oggi portiamo a termine questo programma.
In quanto cittadina italo-svizzera, sono felice che la Svizzera sia il primo paese non comunitario che partecipa a programmi educativi dell'Unione europea rivolti ai giovani sia nell'educazione superiore che nella formazione continua. La Svizzera infatti – ricordiamolo – anche se non fa parte dell'Unione ha dato un grande contributo alla costruzione dei valori e delle libertà che sono patrimonio comune del continente europeo.
È sintomo del successo di programmi come "Gioventù in azione" se la Svizzera chiede l'allargamento anche ai propri giovani della mobilità dei nostri programmi europei e quindi è di rilevante importanza che la Svizzera non chieda solo uno spazio economico allargato, ma uno spazio educativo più ampio. Ritengo sia molto interessante per i ragazzi dell'Unione europea e della Svizzera conoscersi meglio reciprocamente, sono sicura che si getteranno così le basi che influiranno anche sul futuro dell'Unione europea.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, è abbastanza comprensibile che la Svizzera, cofinanziando i programmi "Gioventù in azione" e nel campo dell’apprendimento permanente, ora desideri parteciparvi. Sarebbe però auspicabile che, in questo spirito di apprendimento, l'Unione europea prenda esempio dalla Svizzera in materia di democrazia diretta: quando la popolazione svizzera si esprime contro la costruzione di minareti, la decisione è rispettata, e lo stesso vale per la recente iniziativa riguardo alla deportazione di criminali stranieri. Le autorità svizzere sanno che quando i cittadini dicono di "no", vuol dire "no" e quindi evitano di indire elezioni continue fino a quando non ottengono il risultato sperato, come è accaduto all'interno dell'Unione europea, per esempio in Irlanda.
Il fatto è che il primo rifiuto del trattato costituzionale per l'Europa avrebbe reso più probabile per alcuni svizzeri votare a favore degli accordi di Schengen e di Dublino. Forse trovano più semplice creare un'alleanza con una federazione di Stati singoli piuttosto che con un'Unione europea centralista. È un aspetto che le voci che circolano in Svizzera chiedendo l’adesione all'Unione europea non possono mascherare. In Europa non tutto è rose e fiori: le tendenze centraliste sono in aumento e ci stiamo inesorabilmente dirigendo verso un'Unione dei trasferimenti.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Piotr Borys (PPE). – (PL) Signor Presidente, desidero porgere i miei più sentiti ringraziamenti all'onorevole Pack e al Commissario per l'iniziativa presa. Ritengo che la Svizzera, un'enclave circondata da Stati membri dell'Unione europea, debba avere accesso ai programmi. Credo anche che i giovani non sempre sono consapevoli del fatto che, non essendo ancora parte dell'Unione europea, non possono beneficiare di questo programma europeo sovranazionale che rappresenta per loro una perfetta opportunità di integrazione e di scambio delle migliori prassi e che assicura una vera dimensione europea alla cooperazione e all'apprendimento permanente.
Desidero esprimere la mia gratitudine soprattutto per la possibilità che abbiamo oggi di trasferire un modello di programma europeo in un paese che non è Stato membro. Con lo stesso spirito di accettazione e apertura, desidero inoltre invitare l'onorevole Pack e il Commissario a estendere un programma simile anche ad altri paesi interessati; sto pensando in particolare al Partenariato orientale e ai Balcani, in altre parole ai paesi che non sono ancora formalmente Stati membri dell'Unione europea.
Hella Ranner (PPE). – (DE) Signor Presidente, come tutti qui, ho la sensazione che con questo passo la Svizzera si stia avvicinando sempre di più all'Europa e ci auguriamo che diventi a breve uno Stato membro dell'Unione europea a tutti gli effetti, un momento che andrà certamente festeggiato. Questo puntino bianco in mezzo alla carta dell'Europa deve essere fonte di ispirazione.
Secondo le nostre stime, il programma "Gioventù in azione" interesserà circa un milione di persone con l'obiettivo principale di coinvolgere i movimenti giovanili e invia un chiaro segnale alla generazione futura affinché partecipi in modo attivo. Desidero anche esprimere la mia gratitudine all'onorevole Pack per il lavoro svolto.
Partendo dall'Unione europea dobbiamo raggiungere altri paesi, in questo caso la Svizzera, perché questa è solo in questo modo avremo successo. Con tutta probabilità, in tempi come questi, limitarsi ad aspettare che la Svizzera chieda di aderire all'Unione europea non è sufficiente. Non dobbiamo dimenticare che il sostegno finanziario fornito alla commissione per la cultura e l'istruzione ci lascia sperare che la Svizzera prenderà presto parte anche ad altri programmi.
Androulla Vassiliou, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare tutti per aver accolto con entusiasmo questa iniziativa. È stato un piacere sottoscrivere questo accordo tra Unione europea e Confederazione svizzera quale primo documento elaborato in qualità di Commissario per l'istruzione, la cultura e la gioventù. Plaudo a questo sviluppo e vorrei che la Svizzera fosse in una posizione tale da poter prendere parte anche al programma culturale, cosa non possibile a causa di questioni costituzionali interne.
Come sottolineato da molti oratori, guardiamo con favore alla creazione di relazioni più strette tra la gioventù svizzera e quella degli Stati membri dell'Unione europea. Lo reputiamo un modo per porre le basi di un maggiore sostegno alla causa europea in Svizzera, che speriamo riveda le sue posizioni in futuro e decida di entrare nell'Unione europea.
Noto che alcuni onorevoli deputati incoraggiano altri paesi non membri dell'Unione a prendere parte a questo programma, una posizione che naturalmente porteremo avanti. Un sentito ringraziamento per il vostro appoggio.
Doris Pack, relatore. – (DE) Signor Presidente, sono molto compiaciuta nel vedere che alcuni tra i miei onorevoli colleghi seduti tra gli euroscettici hanno votato a favore del progetto, condividendo l'entusiasmo per la partecipazione della Svizzera a questo programma e per la maggiore cooperazione in materia d'istruzione. In questo modo si apriranno certamente nuovi orizzonti per i giovani svizzeri e forse anche per gli stessi Stati membri. Siamo molto felici dell'esito emerso.
L'onorevole Mölzer non è più in Aula, ma noto che ha mancato di precisare che per questa cooperazione la Svizzera non ha indetto alcun referendum. Questa decisione, soprattutto in un'area come questa, costituisce un segnale davvero importante. Dopotutto i giovani hanno certamente atteso a lungo l'occasione per una cooperazione di questo tipo. Evidentemente l'onorevole Mölzer non ha considerato l'assenza del referendum in questo caso particolare. I cittadini non devono essere interpellati su ogni singola decisione; le scelte positive, come l'adesione all'Unione europea, si mostrano già come tali in partenza. Mi auguro che i giovani possano trarre vantaggio dalla proficua collaborazione nell'ambito di questi programmi educativi e giovanili e che diventino dei veri europei che a un certo punto diranno: "È arrivato il momento di aderire all'Unione europea e di condividere con il resto d'Europa anche le altre politiche. Siamo un unico continente e dobbiamo concordare su tali questioni". Sono certa che questi programmi di istruzione avranno un ruolo importante nell'aumentare la consapevolezza europea in Svizzera.
Presidente. – Grazie, onorevole Pack. Desidero complimentarmi non solo per questa relazione, ma anche per l'impegno e l'entusiasmo dimostrato e per il viaggio a Madrid del fine settimana finalizzato a promuovere il Premio LUX. Purtroppo non potrò essere con lei il 17, anche se ci tenevo molto, ma il 18 e il 19 riuscirò a partecipare alle riunioni. Grazie ancora. La realtà è che il Parlamento ha bisogno di persone come l'onorevole Pack per essere abbastanza efficace.
(Applausi)
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà oggi alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Iosif Matula (PPE), per iscritto. – (RO) Trovo incoraggiante che la Svizzera voglia partecipare ai programmi europei di istruzione e per la gioventù, soprattutto considerando che non è ancora un membro né dell'Unione europea, né dello Spazio economico europeo. Il coinvolgimento nei programmi dell'Unione europea è importante perché sinora non abbiamo mai avuto un accordo diretto in materia di cultura e istruzione. La partecipazione della Svizzera al processo di Bologna e la creazione dello Spazio europeo dell'istruzione superiore mostra che insieme possiamo raggiungere gli obiettivi della strategia 2020, creando così un forte legame tra gli Stati membri e i paesi terzi. Incontri tra giovani, scambi di esperienze tra insegnanti e ricercatori e maggiori opportunità di apprendimento permanente ci aiuteranno a creare un'identità europea comune. Desidero anche sottolineare che dobbiamo valutare la possibilità di coinvolgere nei nostri programmi altri paesi confinanti con l'Unione europea, dal momento che l'istruzione e la cultura non devono fermarsi all'interno dei nostri confini. In questo modo potremo ricostruire il continente europeo e incoraggiare i giovani a partecipare attivamente alla creazione del nostro futuro comune.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli collegi, la partecipazione della Svizzera, un paese che ha scelto di non far parte dell’Unione europea, al programma Gioventù in azione e al programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente non può essere esclusa a priori,, ma va valutata con attenzione. Condivido pertanto i termini dell’accordo raggiunto dalla Commissione con il governo svizzero, il mio voto alla relazione della collega Doris Pack è favorevole. Giusto concedere i benefici dei programmi alla Svizzera, giusto anche però salvaguardare tutti gli interessi finanziari e di altro tipo dell’Unione europea.
Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE), per iscritto. – (PL) Il programma di apprendimento permanente, contenuto anche nel settimo programma quadro, si propone di sviluppare diverse forme di apprendimento durante tutta la vita professionale del singolo, favorendo la cooperazione tra i sistemi di istruzione e di formazione nei paesi partecipanti al progetto. Il programma non è rivolto solo agli studenti universitari o della scuola superiore, ma anche agli adulti, grazie al programma Grundtvig, e ai formatori per i quali sono previste visite di studio. L'aumento progressivo del budget annuale destinato a questo programma, che nel 2011 sfiora i 1 028 miliardi di euro, sottolinea la necessità concreta di sviluppo e collaborazione in questo campo.
In un momento in cui la disoccupazione giovanile è particolarmente elevata a causa del mancato adeguamento dell'istruzione alle necessità del mercato del lavoro, da un lato, e della carenza di adeguata formazione professionale per i laureati, dall'altro, dobbiamo concentrare le nostre energie per sfruttare al meglio le opportunità offerte dal programma di apprendimento permanente e trovare una soluzione a questa difficile situazione. Approvo l'iniziativa di includere la Svizzera nella collaborazione in quest'area e spero che lo scambio comune di esperienze contribuisca ad aumentare i livelli occupazionali nonché la mobilità del mercato del lavoro.
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale (O-0178/2010 - B7-0657/2010) alla Commissione presentata dall’onorevole De Castro a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sul benessere delle galline ovaiole.
Paolo De Castro, autore. − Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, quella di oggi è un'occasione importante per discutere di un tema strategico qual è la protezione del benessere animale in agricoltura. A partire dal 1° gennaio 2012 entreranno in vigore i termini stabiliti dalla direttiva n. 74/99, che stabilisce le norme minime per la protezione delle galline, ovvero l'abolizione delle gabbie di batteria convenzionali quale sistema di allevamento per la produzione di uova. Tale metodo di stabulazione sarà vietato, a vantaggio di sistemi di allevamento che garantiscano un maggior benessere degli animali.
È vivo in me, signor Presidente, il ricordo del Consiglio dell'Unione europea "Agricoltura" del 19 luglio 1999: una giornata importante nella quale, in rappresentanza del mio paese (ero allora ministro dell'agricoltura italiano), contribuii con voto favorevole all'approvazione di questa importante direttiva.
Adesso, a distanza di un anno dall'irrevocabile entrata in vigore della nuova normativa, i dati indicano che i produttori europei stanno procedendo con l'adeguamento del loro sistema produttivo, ma non senza incontrare difficoltà. Ciò che occorre è un impegno concreto da parte della Commissione per salvaguardare il benessere animale, per tutelare i produttori che hanno conformato il sistema di allevamento alla direttiva 74/99 e, al tempo stesso, garantire in maniera efficace il passaggio alla nuova normativa evitando distorsioni in termini di concorrenza sul mercato.
Ecco perché, con i colleghi eurodeputati, abbiamo ritenuto opportuno inserire questa importante tematica nell'agenda dei lavori della commissione per l'agricoltura, che ho l'onore di presiedere. Un lavoro intenso, quello degli ultimi mesi, che ha visto la partecipazione di tutti i gruppi parlamentari e dal quale è scaturita l'interrogazione orale del 28 ottobre, che suggerisce alla Commissione tre importanti questioni:
in primo luogo indicazioni sull'attuazione della nuova normativa all'interno degli Stati membri;
in secondo luogo azioni da intraprendere negli Stati membri per garantire il rispetto dei termini stabiliti dalla direttiva, venendo incontro, qualora fosse necessario, a quelle imprese che dimostrano concretamente la volontà di adeguarsi;
infine, misure e garanzie per scongiurare crisi di mercato delle uova nei prossimi anni ed evitare forme di concorrenza sleale da parte di paesi terzi che non sono obbligati a rispettare la direttiva dell'Unione europea sul mercato interno europeo.
Sono questi gli interrogativi dai quali ci attendiamo risposte concrete e definitive da parte della Commissione. Infine, chiediamo al Commissario che sia garantito un mercato più trasparente, orientato al concetto della cosiddetta reciprocità delle regole per favorire la prospettiva di una maggiore convergenza a livello internazionale degli standard sul benessere animale applicati dall'Unione europea.
L'attenzione a questo tema, sul quale abbiamo discusso più volte in commissione sin dall'inizio della legislatura, è fondamentale per evitare che gli sforzi europei – i nostri sforzi, signor Commissario – in tema di benessere animale vengano vanificati da un mercato che è incapace di riconoscere i valori sociali incorporati nei beni alimentari. È necessario ridurre gli impatti distorsivi derivanti dalla possibilità che produttori al di fuori del sistema delle regole comunitarie possano tradurre i minori vincoli cui sono sottoposti in maggiori vantaggi competitivi.
In questa direzione, signor Presidente, l'approvazione della proposta di risoluzione sul benessere delle galline ovaiole che voteremo stamattina può rappresentare un primo e importante contributo.
Androulla Vassiliou, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto il Commissario Dalli mi ha chiesto di presentarvi le sue scuse per non essere presente quest’oggi, ma sono lieto di rispondere a questa interrogazione in qualità di ex Commissario per il benessere e la salute degli animali.
A nome della Commissione, vorrei sottolineare che il divieto di utilizzo delle gabbie in batteria convenzionali adottato nel 1999 rappresenta un importante passo in avanti per il benessere degli animali nell’Unione europea, oltre ad aver stimolato un intenso dibattito in merito a livello mondiale. Vorrei anche precisare che gli Stati membri sono i principali responsabili dell’attuazione della legislazione europea per la protezione delle galline ovaiole.
La Commissione sta facendo il possibile per monitorare l'attuazione egli Stati membri, anche attraverso ispezioni da parte degli esperti della Commissione e attraverso i dati forniti su base annua dagli Stati membri a seguito di una specifica decisione della Commissione in merito alle ispezioni del benessere degli animali negli allevamenti.
Il mese scorso, a novembre 2010 quindi, 24 Stati membri hanno presentato alla Commissione i dati ufficiali sui siti di produzione delle galline ovaiole per il 2009. Ad oggi, solamente 18 Stati membri hanno presentato dati completi dai quali emerge che, in questi Stati, il 66 per cento dei siti di produzione allevava le galline ruspanti, il 29 per cento in fienili, il 3,5 per cento in gabbie in batteria convenzionali e l’1 per cento in gabbie attrezzate.
La Commissione è comunque consapevole dell’esistenza di importanti lacune nei dati forniti e che tre Stati membri non hanno risposto, mentre altri sei hanno fornito solamente dati parziali. Il quadro appena fornito è quindi ben lungi dall’essere completo. La Commissione ha più volte richiesto agli stati di fornire i dati mancanti, anche in sede al Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali e nel corso degli incontri degli ufficiali sanitari veterinari.
La Commissione ha anche inviato una lettera formale agli Stati membri richiedendo di presentare i loro piani d’azione nazionali per mettere in atto la proibizione al fine di analizzare meglio la situazione in tutta l'Unione europea.
A questo punto, la Commissione sta concentrando i suoi sforzi per garantire che gli Stati membri prendano le misure necessarie per attuare il divieto dell’utilizzo delle gabbie in batteria convenzionali entro il termine legale. Gli Stati membri sono responsabili di garantire che le uova non prodotte ai sensi della direttiva sulla protezione delle galline ovaiole non siano legalmente vendibili ai sensi della legislazione comunitaria.
Sarà possibile avere un quadro più preciso della situazione l’anno successivo all’incontro delle parti coinvolte, che si terrà nel gennaio 2011.
Oggi, l’importazione di uova è molto limitata a causa della breve durata di conservazione del prodotto e per dei criteri europei per la sicurezza alimentare. Ai sensi della legislazione comunitaria, le confezioni contenenti uova importate da paesi terzi nei quali non ci sono sufficienti garanzie in merito all’equivalenza degli standard di produzione devono riportare l’indicazione di metodo di allevamento con standard non-UE. Questa etichetta permette di distinguere chiaramente le uova importate non prodotte secondo gli standard europei di benessere.
La Commissione esaminerà ulteriormente la situazione con tutte le parti interessate, come detto, nel corso di un incontro che si terrà il 19 gennaio 2011 a Bruxelles, durante il quale verranno discusse le opzioni per garantire l’agevole attuazione della direttiva.
Esther de Lange, a nome del gruppo PPE. – (NL) Signor Presidente, ci stiamo precipitando in tutta velocità verso una situazione nella quale milioni di uova non risponderanno agli standard europei. Dopo tutto, come è già stato detto oggi, si stima che il 30 per cento di tutte le uova prodotte nel 2012 violerà il divieto dell’utilizzo delle gabbie in batteria concordato nel 1999.
Signora Commissario, si tratta di pura aritmetica: agli allevatori produrre questo tipo di uova con metodi rivolti agli animali costa dall’8 al 13 per cento, con galline non confinate nelle gabbie in batteria. Dall’altro lato, che ci piaccia o meno,il consumatore medio continuerà a scegliere le uova che costano meno ed è disposto a spendere solamente da 3 al 4 per cento in più per questo tipo di prodotto rivolto agli animali. Lo svantaggio concorrenziale che ne consegue è quindi bene evidente.
La domanda fondamentale ora è: cosa intende fare la Commissione europea per garantire che gli allevatori che si attengono alle norme e che hanno investito nei metodi alternativi non siano penalizzati a favore dei loro colleghi che sono rimasti indietro? Signora Commissario, la prego di non rifilarci sempre la solita scusa che gli Stati membri sono responsabili dell’attuazione dei controlli: siete voi i custodi dei trattati e per questo tutti gli sguardi sono rivolti verso di voi. Trovo inoltre spiacevole che stiamo ancora discutendo dei dati, sperando di avere un quadro più preciso il prossimo ano, perché allora sarà troppo tardi!
Cosa faremo? Dobbiamo aumentare la pressione! Nella nostra risoluzione stiamo naturalmente cercando, tra l’altro, di mantenere le gabbie in batteria, maggiori ispezioni, la preparazione dei piani d’azione nazionale e un divieto di esportazione sulle uova che non sono prodotte ai sensi delle norme.
Commissione, tocca a voi! Se non fate nulle, ne pagheranno le conseguenze non solamente gli allevatori in buona fede, ma anche, temo, la vostra credibilità e quella dei regolamenti europei sul benessere degli animali. Credo che tutti noi vogliamo evitare una simile situazione.
Luis Manuel Capoulas Santos, a nome del gruppo S&D. – (PT) Signor Presidente, proprio come il presidente della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, onorevole De Castro, ho avuto anche io 12 anni fa la possibilità, in qualità di ministro dell’Agricoltura, di prendere parte alla decisione di adottare la legislazione oggetto della discussione odierna. È stato un dibattito lungo e difficile perché ci trovavamo di fronte a due valori contraddittori: stabilire le condizioni per il benessere animale e garantire la competitività del settore. La soluzione raggiunta giocava a favore del benessere degli animali e garantiva al settore un periodo sufficiente per adeguarsi.
Sebbene vi sia ancora un anno prima dell’entrata in vigore dei nuovi regolamenti, siamo preoccupati in merito ai dati disponibili sugli allevamenti che non si sono ancora adattati, come confermato dal Commissario. Non possiamo permettere che le aziende che hanno investito, con grandi sforzi, per raggiungere una posizione che rispetti la legislazione sia penalizzata o soggetta a concorrenza sleale.
Sono grato al Commissario per le informazioni che ci ha fornito, ma vorremmo avere dati più dettagliati sui punti raggiunti al momento dai singoli Stati membri. Vorremmo anche sapere quali procedure specifiche, oltre a quelle già elencate dal Commissario, la Commissione intende adottare per garantire che le aziende possano, in generale, rispettare le norme entro il 1° gennaio 2012 e se esiste un quadro di sanzioni con una certa uniformità tra i vari Stati membri. Questo è l’obiettivo della risoluzione oggetto della discussione odierna che sono sicuro sarà ampiamente sostenuta dal Parlamento. Il mio gruppo voterà comunque contro la cancellazione, totale o parziale, dei punti F, 8, 9 e 14, che contengono formulazioni e obiettivi che non riteniamo compatibili con il diritto europeo e che ridurrebbero la credibilità della risoluzione.
George Lyon, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor presidente, vorrei ringraziare il Commissario per le informazioni fornite all’inizio di questa discussione.
A prescindere dalla disponibilità o meno di un quadro completo della situazione, il problema è che il 1° gennaio 2012 80 milioni di uova nell’Unione europea verranno probabilmente prodotte con sistemi di gabbie illegali. Questa è la situazione: abbiamo un ciclo produttivo di 12 mesi e in alcun modo questi dati cambieranno entro questo termine.
Vorrei sapere cosa rispondere ai colleghi di John Campbell di Glenrath Farms e a tutti i produttori del Regno Unito che hanno speso, in media, 2 milioni di sterline a testa per rispettare le norme e devono ora sostenere altre spese, più alte dell’8-10 per cento rispetto al sistema di gabbie in batteria convenzionali. Cosa dirò ai nostri consumatori, quando tornerò a casa, ai quali abbiamo promesso che entro il 1° gennaio 2012 non vi sarebbero più state in commercio uova prodotto con il vecchio sistema di gabbie in batteria convenzionale?
So quali sono le risposte che il Parlamento e la Commissione desiderano. Vorrei poter tornare indietro e dire loro che intraprenderemo azioni decise per assicurarci che le norme siano rispettate. Nessuna deroga e nessuna proroga, Dopo tutti i produttori hanno avuto dieci anni per adeguarsi. Vorrei che gli Stati membri in regola siano in grado di tutelare i propri consumatori e produttori, vietando le importazioni di uova prodotte illegalmente da produttori in paesi non in regola. Una volta che disporrà delle informazioni, la Commissione dovrebbe inoltre stilare una lista elencando i paesi che non rispettano le norme. Dire che non ci aspettavamo una simile situazione non è una giustificazione accettabile; dieci anni per l’adeguamento e l’investimento sono un periodo sufficiente in qualsiasi settore.
Signora Commissario, mi augurò che vorrà chiudere questa discussione dichiarando con fermezza che comprende le preoccupazioni dei produttori e dei consumatori, con la promessa di un’azione decisa per proteggere entrambe le categorie.
Martin Häusling, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, le vostre risposte e i dettagli forniti dalla Commissione in seno alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale non mi convincono. Come già detto dall’onorevole Lyon, questo problema ci mette con le spalle al muro. Dal 2012, il 30 per cento delle uova sul mercato saranno illegali, ma non abbiamo idea di come comportarci. Sembra che ci dobbiamo confidare nel fatto che gli rispettino i loro obblighi di notifica; permettetemi di chiedervi perché non avviamo, e nemmeno minacciamo, una procedura di violazione per mettere in chiaro che, alla resa dei conti, il diritto europeo vale per tutti gli Stati membri e per tutti gli allevatori? Ci siamo guadagnati un’ottima credibilità in materia di benessere degli animali e dobbiamo difendere questo risultato. I cittadini si aspettano che questi standard vengano applicati, sono molto sensibili sulle questioni legate al benessere degli animali. In fondo, finanziamo e offriamo sostegno pubblico alla comunità rurale perché abbiamo regolamenti più rigidi in merito alla tutela ambientale e al benessere degli animali ed è ragionevole attendersi qualcosa in cambio dagli Stati membri. Per questo motivo, vorrei chiedere cos’ha intenzione di fare la Commissione? Abbiamo già avanzato una domanda a livello di commissione e abbiamo ora bisogno di discutere immediatamente una serie di misure. Non possiamo accettare la possibilità di ulteriori discussioni finalizzate ad estendere le scadenze; non è possibile penalizzare ora quanti hanno messo in atto la politica permettendo ad altri di adeguarsi con scadenze più lunghe. In questo modo gli allevatori perderebbero fiducia nelle istituzioni dell’Unione europea.
È stata posta una domanda in merito all’etichettatura. Cosa accadrà ad esempio ai prodotti che contengono uova liquide anziché fresche? Come possiamo etichettarli? Anche questo punto richiede un’immediata regolamentazione.
È già stato ripetuto più volte che 10 anni sono un periodo molto lungo. Tutti nell’Unione europea sapeva che queste scadenze andavano rispettate; non ci sono scuse per gli Stati membri, compresi i nuovi, che si giustificano dicendo: “Mi dispiace, ma siamo in ritardo, dieci anni non erano abbastanza”.
L’Unione europea è sempre in prima fila quando si tratta del benessere degli animali, ne andiamo fieri a livello mondiale; è un punto a favore nelle argomentazioni con i consumatori e proprio per questo dobbiamo migliorare nettamente se non vogliamo che il Parlamento e la Commissione perdano di credibilità in merito all’attuazione degli standard europei. Invitiamo quindi la Commissione ad agire quanto prima, piuttosto che perdere altro tempo rischiando di trovarsi in una situazione che, dal 1° gennaio 2012 in poi, non soddisferà nessuno.
James Nicholson, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto le parole di oggi del Commissario non mi convincono appieno. In due occasioni i funzionari della Commissione sono venuti alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e le loro azioni e parole sono state non solo inaccettabili, ma molto gravi e scandalose.
Ho ora ascoltato con grande interesse l’intervento del Commissario e in particolare alcune delle sue affermazioni, ma non è andata oltre al dirci che incontreranno le parti interessate a gennaio.
Cosa dirà allora alle parti interessate, signora Commissario? Quali saranno i risultati? Vorremmo saperlo perché lei stessa deve comprendere che, oggi, le ultime galline sono già nelle gabbie in batteria convenzionali che dovrebbero rispettare le scadenze; sono già lì e il ciclo produttivo in batteria è solitamente di 13-14 mesi.
Ha fatto un commento durante il suo intervento e forse risponderà più tardi, ampliandolo: ha detto che le uova da paesi terzi all’Unione europea che non rispettano standard equivalenti avranno un simbolo diverso. Cosa significa? Sostiene l’opinione che le uova prodotte illegalmente all’interno dell’Unione europea dopo il 1° gennaio 2012 non potranno essere esportate oltre i confini nazionali del paese di produzione o non potranno essere commercializzate?
A questo punto sorge un problema perché, come ha detto l’onorevole Lyon, vi sono 83 milioni di uova (lo sappiamo per certo) che saranno illegali dal 1° gennaio 2012. Si tratta di una terribile disgrazia per l’Europa, dove i cittadini richiedono uova per l’alimentazione. Cosa faremo, dunque?
Credo che dovremmo sapere dove stiamo andando. Ci può assicurare sul fatto che tornerà in quest’Aula a marzo con una proposta adeguata in merito a cosa intendete fare, quali misure volete intraprendere, per controllare concretamente la situazione? Come è già stato precisato, molti produttori hanno già speso milioni di sterline per adeguarsi agli standard; non possiamo ora chiedere loro ulteriori sforzi a causa di altri che non intendono fare altrettanto.
John Stuart Agnew, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, il Commissario ha creato una profonda crisi nell‘industria delle uova. Che ci piaccia o meno, 100 milioni di galline saranno ancora in gabbia il giorno X. Non vi sono le risorse né finanziarie né logistiche per evitarlo.
Magari l’oratore si sente enormemente soddisfatto insistendo sulla crudele attuazione di queste norme entro un anno, comodamente seduto in poltrona, ma questo potrebbe seriamente mettere a rischio la salute del settore delle uova britannico sul lungo periodo.
Vediamo alcune implicazioni pratiche. Come rimuoveremo e smaltiremo 100 milioni di galline in 24 ore? Oppure come romperemo e smaltiremo 83 milioni di uova al giorno? Presumendo di riuscire in una delle due opzioni, dove troveranno i consumatori altri 83 milioni di uova al giorno? In Ucraina, India, Argentina, Brasile, dove le uova vengono prodotte in gabbie in batteria. Qualcuno di questi paesi è famoso per alti standard di benessere degli animali?
Una volta avviato questo commercio, si espanderà rapidamente sulla scorta dell’enorme vantaggio competitivo e sarà molto difficile fermarlo. Minerà alla base gli sforzi dei produttori di uova in colonie del Regno Unito. In realtà, esporteremo una grande parte della nostra industria che ha appena intrapreso massicci investimenti per rispettare le norme europee.
Un divieto sul commercio interno alla Comunità europea è un pessimo punto di partenza: non solo sarà impossibile sorvegliare le frontiere aperte, ma potrebbe essere contestato dall’OMC. Il male minore, e sottolineo “il male minore”, è di consentire deroghe temporanee e le relative condizioni per i produttori non in regola.
Mi diverto a guardare alcune immagini senza didascalia, ma non mi diverte affatto pensare all’immagine di carichi di uova senza timbro, provenienti da gabbie in batteria e dirette verso il Regno Unito nel 2012. Le uova senza timbro sono il regalo al commercio illegale, come abbiamo imparato a nostre spese nel Regno Unito.
La soluzione che proponiamo è di stampare in modo meccanico sulle uova il codice corrispondente al metodo di produzione già nello stabilimento di produzione. Nella mia fattoria è già in essere questa procedura e i macchinari sono molto affidabili. La Commissione sostiene che sia troppo difficile organizzare la stampa di un codice speciale per le uova non conformi, nonostante sia evidentemente necessario. Sì, si tratta della stessa Commissione che sta obbligando gli allevatori di pecore britannici a identificare le singole pecore con un apparecchio elettronico, sebbene sia inutile. Che incoerenza, vero?
Il “male minore” (e uso sempre la stessa espressione) è che l’Unione europea insista affinché gli Stati membri non in regola investano i propri fondi regionali in macchinari per la stampa dei codici. La Commissione dovrebbe inoltre istituire un ispettorato con personale proveniente dagli Stati membri in regola, che ispezioni gli stabilimenti per il confezionamento e crei un database dei produttori che impiegano uova provenienti da allevamenti in batteria nei loro prodotti.
La maggior parte dei negozianti britannici sono favorevoli a non vendere uova provenienti da allevamenti in batteria, ma possono farlo solamente se è possibile identificare chiaramente questi prodotti.
Mike Nattrass (NI). – (EN) Signor Presidente, non si tratta solamente di galline che vivono in gabbie non adatte, ma stiamo parlando della capacità dell’Unione europea di supervisionare il mercato unico.
Gli Stati membri hanno avuto 10 anni per adeguarsi entro il 1° gennaio 2012, altrimenti il prodotto sarebbe stato considerato illegale. Germania, Scandinavia, Paesi Bassi e Regno Unito si sono conformati, ma alcuni grandi produttori si sono rifiutati categoricamente. Questo ha comportato ingenti costi e, quindi, anche prestiti. Il regolamento è costato circa 15 pence ogni dozzina di uova e ora ai criminali che non si sono adeguati potrebbe venire dato altro tempo; vengono in pratica premiati, in quanto viene loro offerto un vantaggio.
Le uova provenienti da gabbie illegali saranno vendute a un prezzo inferiore rispetto a quelle prodotte secondo gli standard europei. Un produttore britannico ha acceso un prestito di 10 milioni di sterline per adeguarsi alla direttiva; ha fatto la cosa giusta.
La Commissione intende tirarsi indietro e rendere non competitive le sue uova? Se si concederà più tempo, la morale della favola sarà: quando l’Unione europea fa una direttiva, conviene ignorarla.
PRESIDENZA DELL’ON. ROUČEK Vicepresidente
Esther Herranz García (PPE). – (ES) Signor Presidente, nel gennaio 2012 400 produttori di uova spagnoli, ovvero circa il 30 per cento del totale nel mio paese, perderanno la produzione di 300 000 tonnellate di uova.
L’Unione europea potrebbe bloccare la produzione di 80 milioni di uova, ovvero 2 milioni di tonnellate, e se non ci muoviamo in modo intelligente otterremo un unico risultato: importare queste uova da paesi terzi dove gli standard di benessere degli animali sono di molto inferiori rispetto all’Unione europea.
La direttiva del 1999, che impone un aumento dello spazio per le galline ovaiole nelle gabbie, richiede anche un’azione intelligente e positiva, altrimenti indeboliremo la produzione europea, aprendo ulteriori opportunità di commercio ai paesi terzi dove lo spazio disponibile per ogni gallina è nettamente inferiore rispetto all’Unione europea.
Questa direttiva richiede un grande impegno da parte dei produttori europei; solamente in Spagna si stima il costo in circa 6000 milioni di euro. Non dobbiamo peraltro dimenticarci dell’impatto economico che si estenderà all’intero settore alimentare in generale e dei prodotti derivati dalle uova nello specifico.
Chiedo dunque il vostro sostegno a favore dell’emendamento presentato dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) al paragrafo 2, chiedendo una soluzione almeno per le fattorie e le aziende responsabili che si stanno adeguando e avranno completato la trasformazione entro gennaio 2012. Dobbiamo sostenerli nel processo di adeguamento delle infrastrutture e concedere altro tempo, evitando danni irreparabili per gli allevatori e un improvviso calo di prodotti nel mercato europeo con un conseguente aumento dei prezzi per i consumatori.
Dobbiamo rispettare la direttiva, dare una possibilità all’industria delle uova e ai prodotti derivati e rispettare il benessere degli animali e il diritto dei consumatori ad avere prezzi ragionevoli.
Ulrike Rodust (S&D). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, a questo punto vorrei ancora una volta precisare che è già stata presa una decisione in merito alla proibizione di usare l’allevamento in batteria. Gli Stati membri e i produttori di uova hanno avuto molto tempo per applicare la direttiva e abbandonare i sistemi in batteria tradizionali. I termini non sono ancora scaduti, ci sono ancora dodici mesi prima del completo divieto di questo sistema di allevamento.
Dobbiamo garantire che il sistema in batteria sia completamente bandito entro il 1° gennaio 2012 e deve essere possibile minacciare gli Stati membri che per allora non si saranno ancora adeguati alla direttiva di eventuali azioni legali, quali sanzioni finanziarie.
Dobbiamo inoltre garantire che le uova prodotte con sistemi di allevamento che non rispettano il diritto comunitario non siano vendute nel mercato interno europeo.
Britta Reimers (ALDE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, sappiamo da dodici anni che il sistema di allevamento in batteria sarà bandito a partire dal 1° gennaio 2012 nell’Unione europea. Com’è possibile che dodici anni non sono stati sufficienti per alcuni Stati membri per adeguarsi in tempo e modificare di conseguenza la propria industria avicola? È solo uno dei numerosi esempi di come la scarsa attuazione porti alla frustrazione. I produttori di uova negli Stati membri che hanno applicato in tempo i cambiamenti stanno già registrando anomalie nella concorrenza che sono in contrasto con i principi dell’Unione europea.
Invito la Commissione a richiedere il rispetto delle norme in materia in tutti gli Stati membri e a fare quanto possibile per garantirne l’attuazione. Le uova non devono più essere prodotte in batteria dopo il gennaio 2012 e i prodotti che da allora saranno illegali non dovranno raggiungere i negozi, mettendo fine agli effetti negativi sulla concorrenza. I produttori che hanno modificato i loro sistemi per adeguarsi alle norme comunitarie non devono essere svantaggiati dal punto di vista finanziario mentre chi si è preso gioco delle modifiche raccoglie i benefici economici.
Non è possibile spiegare agli europei perché il diritto comunitario non si applica in modo eguale in tutti gli Stati membri e perché alcuni paesi europei la tirano sempre per le lunghe. Le recenti crisi dimostrano quali sono le possibili conseguenze. Abbiamo bisogno di un’Europa che agisca in modo concertato e non di un’Europa nella quale ogni Stato membro può fare quel che preferisce, incurante del resto.
Vicky Ford (ECR). – (EN) Signor Presidente, come molte madri desidero decenti standard di benessere degli animali, ma voglio anche uova a prezzi ragionevoli. Non sono un’esperta del settore e i quattro tentativi di mia figlia di tenere galline domestiche sono falliti, vittime della volpe locale.
Per questo preferisco sentire il parere dei professionisti, come l’allevatore e proprietario di 30 000 galline europee felici dalla mia circoscrizione al quale ho fatto visita il mese scorso. Nel Regno Unito, il settore dell’allevamento suino ha sperimentato a sue spese l’errore di introdurre più alti standard di benessere degli animali in modo unilaterale. I produttori di uova britannici si sono fidati della Commissione e hanno investito centinaia di milioni di sterline per adeguarsi alla nuova legislazione.
La fiducia pubblica nell’Unione europea è sempre più bassa. Dobbiamo proteggere quanti si sono adeguati in buona fede alle nuove norme. Non è il momento di giocare sulle spalle dei produttori di uova.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il Commissario per le risposte fornite, per quanto incomplete. La commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale ha posto domande molto specifiche, che non hanno però ricevuto una risposta completa.
Vorrei discutere delle cifre presentate, e magari me le può spiegare. Ha detto che il 66 per cento della produzione è ora da galline ruspanti, giusto? Non corrisponde però ai dati che ho io; oserei dire che le sue informazioni sono selettive e dovrebbe prendere parte a un incontro molto approfondito con le parti interessate perché questi dati sono, mi permetta, molto gonfiati. Non presentano assolutamente la realtà della produzione di uova nell’Unione europea.
Vorrei anche dire che, se era facile rispettare questa legislazione e se i nostri consumatori davvero (e intendo dire davvero) volevano sistemi di allevamento rivolti agli animali, ne avrebbero pagato il prezzo. Lo vogliono. Non gli hanno dato un valore e non vogliono pagare ora per questi sistemi. Sin da quando sono qui al Parlamento europeo, dal 2004, non ho mai ricevuto una sola richiesta da parte dei consumatori che chiedeva l’applicazione di questa legislazione.
Ricordatevelo, perché questa è la situazione reale. Con questa premessa, è ora importante che questa legislazione adottata da quest’Aula sia attuata e che l’Unione europea tuteli quanti hanno investito ingenti somme di denaro per adeguarsi. Ritengo che la Commissione sappia di avere per le mani un serio problema legale.
Vorrei ora affrontare la situazione del mercato. Vi sarà un’enorme pila di uova: 83 milioni di uova che diverranno illegali il 1° gennaio 2012! Dal punto di vista morale ed etico non possiamo buttare via queste uova, sarebbe tremendo se lo facessimo; ne soffrirebbe anche il mercato, con un aumento dei prezzi per i consumatori e conseguenti rivolte e proteste.
La Commissione deve dirci cosa accadrà il 1° gennaio 2012, perché l’ingresso di queste uova sul mercato è inevitabile e si creerà un mercato nero delle uova; abbiamo bisogno di chiarezza in merito.
Bisogna assicurare quanti sono nella fase di transizione devono sapere che non vi sarà alcun ripensamento, visto che al momento sono piuttosto confusi circa i messaggi che ricevono.
Di tutti gli argomenti discussi questa settimana, questo è fondamentale per i consumatori e per i produttori. La Commissione ci deve delle risposte.
Iratxe García Pérez (S&D). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, come vedete in quest’Aula controlliamo il rispetto delle norme, incluse quelle che non sono ancora entrate in vigore. Se lo facessimo anche con le scadenze future degli altri settori, la plenaria dovrebbe durare almeno 15 giorni.
Oggi stiamo discutendo di un settore che non riceve aiuti dalla Politica agricola comune e sta risentendo del rialzo dei prezzi del mangime. Non è facile fare fronte a questi costi supplementari, ma bisogna riuscirci per rispettare gli alti standard di produzione che abbiamo stabilito per l’Unione europea.
Tutto sembra convergere sul fatto che il 1° gennaio 2012 i produttori in molti Stati membri non saranno in grado di rispettare al 100 per cento la scadenza fissata. Si prevede un calo del 30 per cento della produzione al fine di rispondere alle esigenze del mercato europeo.
Il risultato sarà che le uova fresche verranno prodotte nell’UE ad un costo maggiore per i consumatori. Compreremo altrove le uova per i prodotti derivati, riducendo in questo modo la proporzione della produzione europea in quel mercato. Per allora, mi auguro che avremo avuto più successo nella richiesta di reciprocità nelle nostre relazioni con i paesi terzi.
Concludo dicendo che la legislazione sarà obbligatoria dal 2012; nel frattempo, la Commissione può applicare un’altra legislazione, già in vigore, quale l’identificazione elettronica di pecore e capre, con il relativo valore aggiunto in termini di tracciabilità e buone condizioni veterinarie e con un impatto diretto sul benessere degli animali.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, il messaggio della risoluzione oggetto della discussione è piuttosto chiaro: non ci saranno eccezioni né deroghe. La Commissione europea sta preparando strumenti per l’attuazione e per sanzionare la produzione che non rispetta i criteri. Non è stato però dato alcun seguito all’affermazione nella premessa della risoluzione secondo cui alcuni produttori avrebbero avuto 12 anni per adeguarsi, mentre altri otto o solamente cinque. Vorrei aggiungere che i produttori che avevano a disposizione meno tempo per adeguarsi hanno sostenuto l’impegno per l’adozione delle loro controparti nei vecchi Stati membri comprando le loro gabbie non modificate, inconsapevoli dei problemi cui sarebbero andati incontro. Gli esperi hanno dimostrato che, dopo l’attuazione della direttiva sulle galline ovaiole, la richiesta di uova da mensa nell’Unione europea supererà l’offerta a causa dell’importazione di uova da paesi terzi dove la produzione avviene di certo in gabbie non adatte. Invito quindi la Commissione a valutare la fattibilità di mantenere il divieto sull’utilizzo delle gabbie convenzionali dal 1° gennaio 2012, cercando al contempo soluzioni e criteri ben definiti per quei produttori che non avranno completato il processo di adeguamento entro il 1° gennaio 2012, come riferito nei due emendamenti che il mio gruppo ha appoggiato.
Secondo gli autori, la tesi centrale a favore dell’adozione di questa risoluzione, oltre al benessere degli animali e alla competitività, è il fatto che il periodo di transizione per adeguarsi era ben noto a tutti e indicato nella direttiva e l’improrogabilità della scadenza. Mi auguro che gli Stati membri che accettano questa linea di pensiero e votano a favore della risoluzione siano altrettanto determinati e in accordo al momento di votare contro qualsiasi ulteriore periodo di adeguamento dopo il 2013 per la differenziazione dei pagamenti diretti nell’Unione europea, in quanto il termine del 2013 era già previsto dal trattato. Questi erano i termini e non credo dovremmo cambiarli.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D). – (HU) Signor Presidente, sinora dalla discussione è emerso chiaramente che esiste un grande conflitto di interessi sia tra quanti hanno completato la transizione al nuovo sistema e quanti invece non lo hanno ancora fatto, sia tra vecchi e nuovi Stati membri. Concordo pienamente con l’onorevole Kalinowski sul fatto che i vecchi paesi membri hanno avuto molto più tempo per adeguarsi e, in effetti, hanno venduto le loro obsolete strutture ai nuovi Stati membri prima della loro adesione. Anche in questo caso le norme devono comunque essere rispettate ed è evidente che, ancora una volta, l’Unione europea sta ponendo i suoi stessi produttori in una posizione svantaggiata, indicando norme più rigide per loro rispetto a quelle applicate ai fornitori esterni per le importazioni. L’Unione europea non solo richiede il rispetto di queste norme, ma spesso non è in grado di controllarne efficacemente l’applicazione. Ritengo quindi che la Commissione europea stia per prendere un’altra decisione che mette i produttori europei in una posizione di svantaggio rispetto al mercato esterno.
Georgios Papastamkos (PPE). – (EL) Signor Presidente, riconosco pienamente la necessità di tutelare un pari livello di concorrenza all’interno dell’Unione, a beneficio dei produttori che hanno rispettato le condizioni di adeguamento imposte dalla direttiva. Al contempo, però, dobbiamo sostenere i produttori che si impegnano a rispettare le disposizioni, ma non sono in grado di sostenere gli alti costi di adeguamento entro il termine stabilito. Sono state inserite disposizioni particolari affinché i prodotti derivanti da processi non conformi con la legislazione non possano essere commercializzati legalmente all’interno della comunità dal 1° gennaio 2012.
Al contempo, però, i prodotti derivanti da processi che riducono gli standard di benessere degli animali continueranno ad essere importati da paesi terzi; in altre parole, quando tante aziende agricole dell’Unione rischiano di fallire a causa di un innalzamento degli standard di benessere degli animali, i prodotti vengono importati da paesi terzi che non rispettano nemmeno le disposizioni in vigore ora nell’UE. Certo, dobbiamo proteggere il benessere e un trattamento giusto degli animali, ma dobbiamo anche tutelare il tessuto sociale e produttivo europeo.
Spyros Danellis (S&D) . – (EL) Signor Presidente, signora Commissario, sebbene tutti i produttori europei debbano rispettare la legislazione europea e attuare i necessari adeguamenti entro i termini, si stima che il 30 per cento dei produttori di uova non saranno conformi entro il 1° gennaio 2012. Questa situazione dimostra, purtroppo, che la Commissione europea non è riuscita a convincere i produttori che queste disposizione vanno a loro vantaggio e che una politica incapace di guadagnarsi il sostegno delle parti direttamente interessate avrà scarso successo, qualunque siano le misure imposte. Crediamo che un approccio integrato, che colleghi i costi degli investimenti ai benefici per produttori e consumatori derivanti dall’utilizzo di gabbie modificate, sia più utile per convincere i produttori ad adottare le misure; un simile approccio tutelerebbe i prodotti europei, basati sulla qualità e su standard di sicurezza e benessere degli animali, dalla concorrenza sleale dei paesi terzi, e questo è esattamente ciò che, temo, accadrà.
Giovanni La Via (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, il tema del benessere animale è un tema che in quest'Aula è stato affrontato tante volte e credo che sia stata una scelta, penso che questo Parlamento, congiuntamente con la Commissione e il Consiglio, abbiano fatto una scelta ponderata ed equilibrata. Non credo che su questa si possa tornare indietro.
Abbiamo quindi il dovere di cercare le modalità migliori per applicare il tema e in questo caso dovremmo declinarlo pensando anche alla responsabilità e responsabilmente nei confronti di tutti quegli operatori economici che stanno adeguando il processo produttivo. È chiaro che non potremo allungare questa data e prevedere un ulteriore periodo perché ci sia la transizione verso un sistema responsabile in termini di benessere animale. Abbiamo il compito di pensare a tutti coloro che hanno avviato il processo di trasformazione e che lo stanno conducendo in un periodo di crisi e di difficoltà per gli investimenti.
Quindi mi pregio di sottolineare alla vostra attenzione il tema appunto della transizione, cioè il tema di tutti quegli allevatori che hanno avviato il processo di adeguamento per tenere conto del tema del benessere animale, ma che ancora non lo hanno completato. E quindi in un momento così difficile, di crisi, credo che un'attenzione particolare, anche a questi produttori, vada posta.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, non credo sia giusto dire che gli Stati membri avevano a disposizione in generale un periodo di 10 anni; la Romania e la Bulgaria, per esempio, sono entrate nell’Unione europea solamente tre anni fa, ma le norme sono norme e tutti le devono rispettare.
Vorrei comunque invitare gli onorevoli colleghi a votare a favore dell’emendamento n. 2 presentato dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano). Un gran numero di produttori ha già iniziato, o stanno per iniziare, a investire per ammodernare i propri sistemi di allevamento. Questi investimenti non vengono comunque decisi dalla sera alla mattina e non sarebbe giusto penalizzare questi produttori. Tengo a sottolineare ancora una volta che mi riferisco solamente ai produttori che hanno già avviato il processo di adeguamento dei propri sistemi di allevamento e l’emendamento fa riferimento al rispetto di alcune condizioni chiaramente definite.
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signor Presidente, i produttori del Regno Unito hanno investito ingenti somme, con maggiori costi di produzione, per prepararsi all’attuazione di questa direttiva in quanto consapevoli che il loro paese avrebbe applicato questa normativa. Perché dovrebbero ora trovarsi di fronte a una concorrenza sleale da parte dei paesi che non sono riusciti ad applicare la normativa o che vengono esentati o cui viene concessa una proroga dei termini?
Questa misura è stata preparata con un’applicazione al minimo indispensabile, a discrezione delle attente cure dei diversi standard nei 27 Stati membri e anche il linguaggio usato non suggerisce una rigida uniformità nell’applicazione. Sono stati usati termini come “proporzionato” e “dissuasivo”.
Non concordo assolutamente sul fatto che l’Unione europea adotti leggi a nome degli Stati membri, ma se simili leggi vengono adottate, non è accettabile che alcuni paesi siano obbligati a rispettarle, mentre ad altri vengano concesse esenzioni. La Commissione intende assicurare che ai paesi che non si adegueranno verrà vietato di esportare uova nei paesi che invece hanno rispettato i termini, o almeno che questi prodotti non siano esportati? I nostri produttori chiedono di essere protetti dalla concorrenza sleale.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE). – (PT) Signor Presidente, signora Commissario, per quanto riguarda l’oggetto della discussione odierna, permettetemi di ripetere che, innanzi tutto, le direttive devono essere effettivamente rispettate e questo vale anche per la direttiva 1999/74/CE. In secondo luogo, le preoccupazioni in merito al benessere degli animali sono un argomento fondamentale che l’Unione europea deve sostenere. Su queste premesse, è importante sottolineare che l’adeguamento alla direttiva è piuttosto impegnativo per le aziende del settore: il 30 in più a gallina in Portogallo. Non vi è inoltre un sostegno specifico a questo fine da parte del programma per lo sviluppo rurale.
A causa della mancanza di capitali nel settore, del limitato credito delle banche e in generale del periodo di crisi, è imprescindibile e urgente riconoscere che numerose aziende sono in ritardo nel processo di adeguamento; dobbiamo concedere ulteriore tempo solamente a quelle aziende che hanno già avviato il processo come richiesto.
Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nessuno di noi vuole mettere in discussione la necessità che si proceda all'applicazione di una direttiva del 1999, ne va anche della serietà di questa istituzione, nessuno di noi vuole mettere in discussione la necessità di tutelare il benessere e la salute degli animali!
Però le direttive devono anche essere ispirate al buon senso; ecco io oggi in quest'Aula vorrei fare delle considerazioni di buon senso: innanzitutto, dal 1999 ad oggi c'è stata una crisi economica profonda che ha piegato le aziende, il sistema produttivo e i consumi, per questo molte aziende non sono riuscite ad adeguarsi. Vogliamo tenerlo in considerazione?
In secondo luogo, un'applicazione rigorosa dal 1° gennaio 2012, metterebbe molte aziende fuori del mercato, favorendo l'importazione di uova prodotte con metodi molto meno protettivi nei confronti degli animali di quelli richiesti e attuati nell'UE o favorendo la delocalizzazione di impianti produttivi europei fuori dall'Europa.
Se è questo che vogliamo in un momento di crisi, e cioè favorire un decremento dell'occupazione e un aumento delle importazioni di uova prodotte fuori dell'Europa con criteri diversi da quelli imposti ai nostri produttori, penso che faremmo un torto.
L'idea di una sostanziale fase transitoria è un'idea sulla quale abbiamo lavorato molto e che mi sento di sostenere, e chiedo anche a lei, signor Commissario, di garantirla.
Diane Dodds (NI). – (EN) Signor Presidente, come molti onorevoli colleghi in quest’Aula hanno già detto, la tutela dei produttori che hanno rispettato la legislazione e investito ingenti somme di denaro è giusta e rientra nei compiti della Commissione in questa fase.
Ritengo comunque che la Commissione debba rendersi conto di alcune cose. Ho parlato a molti agricoltori del mio paese per i quali è difficile trovare il denaro da investire in un momento di crisi finanziaria ed economica. Mi interessava particolarmente il discorso della segnatura o timbratura delle uova. Ho letto una lettera invita di recente dalla Commissione, nella quale indica che un’ulteriore marchiatura non apporterebbe alcun vantaggio in quanto la Commissione non ritiene che i consumatori siano effettivamente in grado di differenziare.
Chiedo quindi alla Commissione di indicarci se è ancora della stessa opinione in merito o se ancora non lo sa. La Commissione dovrebbe inoltre informarci in merito alle sue intenzioni o meno di intraprendere la strada di un divieto al commercio intraeuropeo, dato che alcune aziende della mia circoscrizione contano sull’importazione di uova da altri paesi europei. Dovremo obbligarle a fare affidamento sulle importazioni da paesi terzi, dove molto probabilmente, le uova vengono prodotte secondo standard meno rigidi in materia di benessere degli animali.
Czesław Adam Siekierski (PPE). – (PL) Signor Presidente, è fuori discussione il fatto che gli allevatori si devono adeguare alla direttiva del 1999 e comprendiamo le ragioni di quanti hanno già investito nell’ammodernamento delle gabbie. Non stiamo però discutendo sul fatto di concedere più tempo ad alcuni allevatori piuttosto che ad altri, come detto da un collega prima di me, ma sulla fissazione degli stessi termini per tutti per soddisfare i requisiti e gli standard stabiliti.
I termini “produzione illegale” e “attenzione al consumatore” suonano molto bene, ma vorrei sapere perché non dimostriamo la stessa determinazione anche nella tutela del consumatore contro la vendita di uova importate prodotti in condizioni che non rispettano gli standard previsti nell’Unione europea. Cerco sempre di capire la situazione dei diversi gruppi di allevatori nei diversi paesi e sostengo le soluzioni volte ad aiutarli, in quanto so che si trovano in una situazione molto difficile in termini di entrate. È n peccato che alcuni miei onorevoli colleghi non condividano questo punto di vista.
Paul Rübig (PPE). – (DE) Signor Presidente, deve essere chiaro a tutti che la salute dei nostri animali, e di conseguenza la salute umana, deve essere una nostra priorità. Nella commissione scientifica per la valutazione delle opzioni scientifiche e tecnologiche (STOA), dove vengono portate a termine appunto le valutazioni delle opzioni tecnologiche, è in corso un progetto intitolato “Better Life” (vita migliore), finalizzato a migliorare le condizioni future in materia di nutrizione e mangimi. Per questo, vorrei chiedere al Commissario di lavorare, in particolare nel contesto dell’ottavo programma quadro per la ricerca, al fine di garantire un rafforzamento dei programmi di ricerca relativi ad alimenti e mangimi, per migliorare la ricerca sulla sicurezza dei mangimi e sulla salute di animali ed esseri umani e per poter redigere i documenti necessari in futuro ai cittadini europei.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola. Vorrei citare altri due punti nel mio intervento: la questione delle uova intere è piuttosto chiara ed evidente. Esiste comunque un forte mercato delle uova lavorate destinate al settore dei dolciumi e dobbiamo identificare i criteri di etichettatura necessari per questi prodotti.
Credo che questo sia il punto che più ci preoccupa in quanto sempre più uova entreranno nel settore della lavorazione e temo che esporteremo gabbie dall’Unione europea per importare prodotti che contengono uova liquide o disidratate da quegli stessi sistemi nei paesi terzi.
Vedo che qualcuno annuisce. È un problema concreto per l’Unione europea.
Un’altra mia preoccupazione riguarda i sistemi di produzione parallela e le difficoltà che si creeranno sul mercato se verrà avviata la produzione con gabbie modificate mentre sono ancora attivi i sistemi attuali. Ne risentirebbero i produttori ma anche, in ultima analisi, i consumatori. La Commissione ha quindi un grande lavoro da svolgere per trovare il giusto equilibrio.
Androulla Vassiliou, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, è ovvio che non vi è accordo su questo argomento. Alcuni onorevoli membri di quest’Aula richiedevano che non vi fossero esenzioni o deroghe, mentre altri invocavano una proroga, a seconda del loro paese di origine e del livello di sviluppo dei singoli Stati membri.
Permettetemi di sottolineare la posizione della Commissione. Ribadisco che, a gennaio 2012, le gabbie convenzionali devono essere sostituite da gabbie modificate o da sistemi alternativi; per questo le uova prodotte in batteria non potranno essere commerciate legalmente dal gennaio 2012. Questa è la nostra posizione.
La Commissione sta facendo quanto possibile e ci stiamo focalizzando sul nostro impegno per sostenere gli Stati membri nell'adeguarsi a questa direttiva. Cosa stiamo facendo? Innanzi tutto incoraggiamo gli Stati membri a sviluppare e completare i piani nazionali, in collaborazione con l’industria e le principali parti interessate; stiamo ricevendo piano nazionali che includono anche sezioni per quelle industrie o allevatori che non rispettano ancora la direttiva.
In secondo luogo, scambiamo informazioni con gli Stati membri sulle migliori prassi di controllo per la notifica sui progressi compiuti nell'attuazione. Stiamo organizzando sia una serie di visite di esperti della Commissione per constatare se la direttiva viene applicata, sia incontri specifici con le parti interessate. Come già detto, il 19 gennaio 2011 si terrà il principale incontro con le parti interessate, durante il quale I rappresentanti degli Stati membri discuteranno dell’attuale situazione e valuteremo le modalità per sostenere al meglio gli Stati membri che ancora non si sono adeguati, affinché possano completare il processo entro la fine del 2011.
Questa è la nostra posizione. Dal gennaio 2012, se vi fossero ancora uova prodotte con metodi non legali, non potranno essere commercializzate e, se viene dimostrata la non conformità, la Commissione potrà naturalmente intraprendere tutte le misure disponibili ai sensi dell’attuale quadro giuridico, a partire dai procedimenti d’infrazione, al fine di garantire un’adeguata applicazione della legislazione comunitaria. Alternative ai procedimenti d’infrazione sono in fase di valutazione, in vista di prevenire il possibile commercio illegale di uova prodotte in gabbie in batteria dopo il gennaio 2012.
Gli onorevoli deputati hanno avanzato molti altri commenti e vorrei chiarire che trasmetterò tutte le vostre preoccupazioni al Commissario Dalli il quale, sono sicura, le prenderà in seria considerazione.
Esther de Lange (PPE). – (EN) Signor Presidente, so che non è molto usuale prendere la parola dopo l’intervento del Commissario, ma sono molto lieto della sua risposta. La conclusione raggiunta in quest’aula oggi, comunque, rimane ingiustificata. Vorrei chiedere al Commissario di osservare i risultati della votazione finale prima di affermare o meno che quest’Aula è divisa sull’argomento.
Presidente. – Ho ricevuto quattro proposte di risoluzione(1) presentate ai sensi dell’articolo 115, paragrafo 5 del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà a breve.
James Nicholson (ECR). – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto confermare quanto detto poco fa dall’onorevole de Lange. Vorrei chiedere al Commissario se, qualora non avesse avuto modo di intervenire oggi, ci avesse fatto pervenire una dichiarazione scritta, in quanto non credo che quest’Aula sia mai stata divisa anche per un solo momento.
Potrebbe approfondire le sue parole in merito al divieto posto alle uova provenienti da paesi esterni all’Unione europea dove non sono rispettati standard equivalenti a quelli comunitari, le quali dovrebbero riportare un marchio specifico? Quale marchio propone per quelle uova sulle quali non è possibile apporre un timbro legale in Europa dopo il 1° gennaio 2012?
Presidente. – Onorevole Nicholson, mi dispiace, ma questo non è un punto all’ordine del giorno. Come ho già detto, la discussione è chiusa. Potrà comunque esporre le sue preoccupazioni prima della chiusura della discussione.
Paul Rübig (PPE). – (DE) Signor Presidente, vorrei solamente ringraziare i servizi parlamentari in quanto oggi siamo molto puntuali, abbiamo addirittura finito quindici minuti prima della votazione in modo da evitare confusione in plenaria. Questa ordinata procedura trasmette il giusto segnale ai cittadini e per questo sono grato ai servizi di quest'Aula.
Presidente. – Magari fosse sempre così. Grazie.
(La seduta, sospesa alle 11.40, riprende alle 12.00)
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Paolo Bartolozzi (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la direttiva 1999/74/CE fissa norme minime in materia di protezione delle galline ovaiole nei vari sistemi di allevamento, con l'ulteriore obiettivo di proteggere da forme di concorrenza sleale fra i produttori dei vari Stati membri. Pur condividendo i principi di questa direttiva, non si può tuttavia sottovalutare che, ancora ad oggi, sono moltissimi i produttori europei che, pur avendo dato via al processo di riconversione dei propri allevamenti, trovano concrete difficoltà a completare questa trasformazione e rischiano di non essere pronti entro il 1° gennaio 2012, termine ultimo per l'adeguamento alla direttiva.
Tenendo inoltre in considerazione le reali difficoltà affrontate da numerosi produttori nell'ottenimento di finanziamenti mirati al sostegno dei processi di riconversione e le serie difficoltà economiche a cui ancora oggi si trovano a dover far fronte, con serie ricadute sulla stabilità delle proprie imprese e sui propri equilibri occupazionali, credo fermamente che qualcosa vada fatto e che gli Stati membri debbano intervenire per favorire misure in grado di aiutare quei produttori europei del settore dell'allevamento avicolo che, con lo scopo di adeguarsi alla nuova normativa europea, hanno intrapreso il processo di trasformazione dei propri allevamenti ma che, molto probabilmente, non riusciranno a finalizzarlo entro l'inizio del 2012.
5. Sostegno a favore dell'inasprimento del divieto di asportazione delle pinne di squalo imposto dall'Unione europea - Maggiore sostegno dell'Unione europea a favore degli sport di base - Strategia UE per i senzatetto (dichiarazioni scritte)
Presidente. − Le dichiarazioni scritte 0071/2010, 0062/2010 e 0061/2010 hanno raccolto le firme della maggioranza dei deputati che compongono il Parlamento e saranno, pertanto, conformemente all'articolo 123, paragrafi 3 e 4, del regolamento, trasmesse ai loro destinatari e pubblicate nei testi approvati della presente seduta con l'indicazione dei nomi dei firmatari.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signora Presidente, a nome dei cofirmatari, gli onorevoli Belet, Takkula, Honeyball e Senyszyn, desidero ringraziare tutti gli onorevoli deputati che hanno sottoscritto la dichiarazione. Ritengo sia molto significativo che il 50 per cento dei firmatari sia rappresentato da donne; desidero ringraziarle in modo particolare per la cooperazione e intendo lodare l’ineccepibile lavoro svolto dall’onorevole Senyszyn, che probabilmente vorrà prendere la parola.
Esprimo, ancora una volta, i miei ringraziamenti a tutti voi e vi auguro di trascorre un periodo natalizio ricco di divertimento, giochi e sport.
Presidente. – Passiamo alla dichiarazione scritta n. 61/2010.
Karima Delli (Verts/ALE). – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, è con emozione che, a nome dei miei onorevoli colleghi Thomsen, Lynne, Figueiredo e Protasiewicz, esprimo i miei più sinceri ringraziamenti per il sostegno espresso in favore della dichiarazione scritta 61/2010 sulla strategia UE per i senzatetto.
La Commissione europea si appresta oggi a presentare l’iniziativa faro per la creazione di una piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale e questa dichiarazione permette al Parlamento di inviare un messaggio molto incisivo alla Commissione e agli Stati membri.
Il tempo delle parole è terminato, bisogna ora passare ai fatti. Sarà ora possibile attuare nuove proposte e, pertanto, assicuriamoci di essere in grado di risolvere definitivamente la questione dei senzatetto entro il 2015.
Formulo a tutti voi i miei migliori auguri per le festività e sono convinta che inizieremo il nuovo anno nel migliore dei modi.
(Applausi)
Presidente. − L'onorevole Besset ha chiesto la parola, prego.
Jean-Paul Besset (Verts/ALE). – (FR) Signora Presidente, a nome dei tre onorevoli colleghi Pietikäinen, Sârbu e Davies, desidero esprimere sinceri ringraziamenti ai 410 onorevoli deputati che hanno sottoscritto la dichiarazione scritta 71/210 che abbiamo presentato a favore dell'inasprimento del divieto di asportazione delle pinne di squalo.
Questa specie fragile, infatti, come molte altre è sottoposta ad un vero e proprio massacro a causa delle pratiche di “finning” o “spinnamento”, rigettando poi in mare delle carcasse dopo la mutilazione.
Desidero ringraziarvi per aver sottoscritto con una tale maggioranza questa dichiarazione scritta che invia alla Commissione un segnale molto forte, invitandola a rafforzare i regolamenti per la protezione di questa specie.
Presidente. − L'ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)
6.1. Marchio del patrimonio europeo (A7-0311/2010, Chrysoula Paliadeli) (votazione)
6.2. Partecipazione della Svizzera al programma "Gioventù in azione" e al programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente (A7-0334/2010, Doris Pack) (votazione)
6.3. Controllo da parte degli Stati membri dell'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (A7-0355/2010, József Szájer) (votazione)
6.4. Diritti umani nel mondo nel 2009 e politica dell'Unione europea in materia (A7-0339/2010, Laima Liucija Andrikienė) (votazione)
– Dopo la votazione sull'emendamento n. 12
Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE). - Signora Presidente, quello che alcuni colleghi stanno cercando di suggerirle – trattandosi dell'ultima votazione di oggi, giovedì – è che se lei dice solo "approvato" o "respinto" va bene, non c'è alcun bisogno di dire "452 hanno votato; 53 contro; 22 a favore; ambo, terno e quaterna....."
– Prima della votazione sul paragrafo 54:
Richard Howitt (S&D). – (EN) Signora Presidente, si tratta di una questione molto pratica: desideriamo eliminare le parole “in Croazia”. Non credo sia un problema per gli altri gruppi.
(L'emendamento orale è accolto)
– Prima della votazione sull'emendamento n. 25:
Hannes Swoboda (S&D). – (DE) Signora Presidente, visto che non è riportato nella nostra lista di voto, volevo solamente sottolineare che per la seconda parte di questa mozione e la seguente è previsto il voto libero. La ringrazio.
– Prima della votazione sull'emendamento n. 7:
Barbara Lochbihler (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, vi sono due aggiunte al testo, ovvero inserire la parola "gravi" dopo "un elenco di persone responsabili di" e modificare la frase che segue in: "violazioni dei diritti umani - quali tortura, censura, stupri ed esecuzioni extragiudiziali - in Iran".
(L'emendamento orale è accolto)
Laima Liucija Andrikienė, relatore. – (EN) Signora Presidente, proponiamo un emendamento orale all’emendamento n.7, che modifica il testo in questo modo: “esorta la Commissione a redigere un elenco di persone responsabili di violazioni gravi dei diritti umani - quali tortura, censura, stupri ed esecuzioni extragiudiziali - in Iran, in particolare dopo le elezioni del 2009, e a considerare l'ipotesi di imporre loro sanzioni sotto forma di congelamento dei beni e divieto di viaggio”.
(L'emendamento orale è accolto)
– Prima della votazione sul paragrafo 140:
Laima Liucija Andrikienė , relatore. – (EN) Signora Presidente, sulla scorta dei positivi sviluppi registrati in Russia, proponiamo di modificare la frase che inizia con “si rammarica per il rifiuto finora opposto all’organizzazione delle manifestazioni di "Strategia 31"”, sostituendo la parola "finora" con "ad eccezione dell'ultima, il 31 ottobre 2010".
(L'emendamento orale è accolto)
6.5. Una nuova strategia per l'Afghanistan (A7-0333/2010, Pino Arlacchi) (votazione)
– Prima della votazione sul paragrafo 30:
Nicole Kiil-Nielsen (Verts/ALE). – (FR) Signora Presidente, il gruppo Verde/Alleanza libera europea chiede che la prima parola dell’ultima frase del paragrafo 30 sia modificata, sostituendo "accoglie favorevolmente" con "prende atto”.
(L'emendamento orale è accolto)
– Prima della votazione sul paragrafo 66:
Pino Arlacchi, relatore. – (EN) Signora Presidente, in seguito ai colloqui intrattenuti con gli altri gruppi politici, propongo di modificare la formulazione del paragrafo 66 in questo modo: "nota il coinvolgimento nell'insurrezione del Servizio di intelligence pakistano (ISI), teso a assicurarsi che anche il Pakistan ottenga un risultato soddisfacente da qualsiasi tipo di pace".
(L'emendamento orale è accolto)
– Prima della votazione sul paragrafo 71:
Pino Arlacchi, relatore. – (EN) Signora Presidente, propongo di cambiare interamente il testo nella terza parte del paragrafo 71 in questo modo: “e ad assicurare che droni, forze speciali e milizie locali contro i leader talebani siano utilizzati conformemente agli ordini di tolleranza zero del generale Petreus circa la perdita di vite di civili innocenti”.
(L'emendamento orale è accolto)
6.6. Creazione di un meccanismo permanente di gestione delle crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria nella zona euro (votazione)
– Prima della votazione
Antolín Sánchez Presedo (S&D). – (ES) Signora Presidente, in quanto coautore delle emendamento n.9, desidero effettuare una precisazione di carattere tecnico, ovvero dove v’è scritto "ESM" dovrebbe invece esserci "ESM/FME".
Formulo a tutti voi i miei migliori auguri per il periodo natalizio.
– Prima della votazione sull'emendamento n. 12:
Stephen Hughes (S&D). – (EN) Signora Presidente, propongo questo emendamento a nome dei gruppi S&D, PPE, Liberali e Verde: "chiede al Consiglio europeo di fornire il necessario segnale politico per un'indagine da parte della Commissione su un futuro sistema di eurobond, con una chiara specificazione delle condizioni alle quali un siffatto sistema sarebbe benefico per tutti gli Stati membri partecipanti e alla zona euro nel suo insieme".
(L'emendamento orale è accolto)
6.7. Situazione in Costa d'Avorio (B7-0707/2010) (votazione)
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, mi sono espresso a favore di questo testo eccellente, elaborato dall'onorevole Paliadeli che ha svolto un lavoro ineccepibile per l'istituzione del marchio del patrimonio europeo.
Questo risultato indica molto chiaramente la nostra capacità di ottenere, in ambito comunitario, uno speciale valore aggiunto con pochi sforzi. Credo che il marchio del patrimonio europeo apporterà notevoli benefici ai siti cui sarà attribuito, riscontrabili nel numero di visite turistiche, contribuendo a promuovere l’immagine dell’Europa.
È fondamentale ricordare che l'Europa è unita nella diversità e dobbiamo garantire che i cittadini dei diversi paesi europei possano scoprire il mosaico dell’identità europea su una più vasta scala.
Ho concluso, signora Presidente, anche se devo ammettere che è difficile concentrarsi mentre gli onorevoli colleghi abbandonano l’Aula, ma spero che abbiano potuto ascoltare il mio intervento.
Antonello Antinoro (PPE). − Signora Presidente, onorevoli colleghi, il marchio del patrimonio europeo è di fondamentale importanza per un continente che racchiude la maggior parte dei siti UNESCO e che finalmente mette in evidenza quei siti naturali, archeologici, urbani e di interesse culturale, che hanno avuto un ruolo importante nella storia, nella cultura e nell'integrazione dell'Unione europea.
L'approvazione del marchio è un passo importante per il processo di coesione dell'Unione ed è anche educativa e formativa per il dialogo culturale. Si può notare anche come questa scelta sia di buon auspicio per le nuove generazioni che avranno sempre più una visione comune del patrimonio europeo, che le possa accomunare storicamente e culturalmente.
Nel ringraziare per lo sforzo la relatrice, le faccio le mie più sentite congratulazioni per i negoziati svolti con la Commissione, per un'efficace riuscita di questa iniziativa, così importante per il futuro della preservazione della cultura europea.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, il programma per l’apprendimento permanente è uno dei maggiori successi ottenuti nell’ambito comunitario e ritengo doveroso ringraziare l’onorevole Pack per l’eccellente lavoro svolto. Ho votato a favore di questa relazione e sono lieto che dimostri a quanti si oppongono fortemente all'integrazione europea la necessità di progetti quali il programma di apprendimento permanente.
È molto importante promuovere il programma anche all’esterno dei confini comunitari e ora sarà coinvolta anche la Svizzera. La sua partecipazione non graverà sui contribuenti europei perché le spese correlate saranno a carico del paese stesso. Le migliori pratiche e i programmi comunitari di successo devono essere ampliati in questo modo e i programmi di apprendimento permanente e Gioventù in azione rappresentano due ottimi esempi. A questo proposito, desidero quindi dare il mio benvenuto alla Svizzera nei programmi comunitari per la gioventù e la cultura.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, vorrei porre una domanda a questa Assemblea: quali sono le motivazioni alla base del successo della Svizzera? Sarebbe ragionevole pensare che un paese particolarmente coinvolto nel settore finanziario avrebbe notevolmente risentito della recente crisi bancaria, ma la Confederazione elvetica ha registrato nel 2009 un PIL pro capite pari al 214 per cento rispetto quello dell'UE. I cittadini svizzeri sono due volte più ricchi rispetto ai cittadini degli Stati membri.
Ovviamente, questa situazione è in parte dovuta agli accordi che la Svizzera ha siglato con Bruxelles; infatti, il paese è parte del mercato libero, rientra nella libera circolazione di beni e servizi e così via, ma non è coinvolto nella Politica agricola comune e nella Politica comune della pesca, controlla i propri confini, stabilisce le sue prerogative in materia di diritti umani, versa un contributo minimo per il bilancio ed è libero di sottoscrivere accordi con paesi terzi in ambito commerciale.
Davvero un bel modello per il Regno Unito! Se sette milioni di svizzeri che possono contare su accordi bilaterali di libero scambio riescono a fornire ai propri cittadini il più elevato tenore di vita nel continente, quale risultato potremmo raggiungere noi, una nazione con 60 milioni di abitanti, una nazione marittima dedita al commercio, le cui forze colonizzatrici e imprenditoriali hanno raggiunto tutti i continenti?
E non dovremmo confinare tutto questo nelle nostre relazioni con Bruxelles! Se potessimo riavere i nostri poteri, copieremmo il modello svizzero di localismo e democrazia diretta e sposteremmo i poteri al più basso livello possibile di praticabilità.
Cristiana Muscardini (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi sono astenuta al voto di oggi su questa relazione sulla comitatologia perché ancora una volta si sta cercando di rendere inapplicabili, o legate a scelte politiche discrezionali, le procedure antidumping che, come sappiamo, rimangono uno dei pochi strumenti di difesa validi per impedire la concorrenza scorretta.
Nonostante il relatore abbia trovato un compromesso con il Consiglio, non si può evitare di sottolineare come questa proposta non sia stata in grado di allineare la politica commerciale con le procedure di comitatologia, specialmente per la parte relativa alle politiche commerciali, che colpisce le imprese europee in un momento di grave crisi, creando nuova disoccupazione e nuova delocalizzazione.
Senza regole adeguate contro la contraffazione, è inutile parlare di misure per il rilancio dell'economia europea!
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, cercherò di essere il più chiaro possibile. Le tasche dei contribuenti irlandesi ed europei vengono svuotate per sostenere il sistema bancario europeo e la moneta unica. Ieri la Camera dei Comuni del mio paese ha approvato un accordo bilaterale di prestiti sostenuto, credo, da generosi e sinceri eurodeputati che ritenevano di aiutare in questo modo un paese amico.
La verità, però, è che non si aiuta un amico indebitato offrendo ulteriori prestiti con tassi d’interesse rovinosi. L’Irlanda è stata rovinata dalla moneta unica: tra il 1998 e il 2007, il paese ha registrato tassi d'interesse reali pari al -1 per cento. Tutti gli economisti irlandesi si sono resi conto dell’avvicinarsi del tracollo, ma non potevano intervenire in alcun modo perché non esistevano più tassi di interesse irlandesi da elevare. Ora, con la crisi, la situazione è aggravata dall'incapacità di svalutare e un’intera nazione è probabilmente condannata alla deflazione, all’indebitamento e all’emigrazione per mantenere vivo questo nostro progetto.
Anziché contribuire a salvare l’euro in Irlanda, dovremmo invece aiutarla ad uscirne e ristabilire la propria valuta, con un eventuale collegamento temporaneo alla sterlina, consentendole di estinguere i debiti e ristabilirsi quale Stato prospero e indipendente.
Cristian Dan Preda (PPE). – (RO) Signora Presidente, desidero in primo luogo congratularmi con l’onorevole Andrikienė per l'impegno profuso nella redazione di questa relazione e intendo esprimere il mio sostegno all’emendamento n. 25 nel suo complesso perché ritengo che il clima di impunità presente in Russia sia estremamente pericoloso.
L’Unione europea intende difendere sulla scena internazionale gli stessi principi che la guidano all’interno dei suoi confini, ovvero la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani. Tuttavia, sono ben evidenti gli omicidi negli ultimi anni di numerosi attivisti nel campo dei diritti umani e questa situazione getta ombre sullo sviluppo di una democrazia reale in Russia.
Il messaggio che intendiamo inviare alle autorità russe attraverso l'emendamento n. 25 riguarda la pressante necessità di condurre un’inchiesta sulla morte di Sergey Magnitsky. La risposta delle autorità di Mosca a questa iniziativa testimonia l'intenzione di ascoltare i messaggi del Parlamento europeo, fornendo in questo modo un'ulteriore motivazione per condannare a gran voce la mancanza di indagini sul caso. Invitiamo pertanto il Consiglio a monitorare costantemente questa situazione e ad attuare le misure necessarie qualora non dovessero esserci progressi in tal senso.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signora Presidente, l’Unione europea si impegna a tutelare i membri più deboli della società e quanti sono soggetti a discriminazioni, sostiene gli individui che versano in gravi condizioni di indigenza e conferisce il Premio Sacharov a persone provenienti da ogni parte del mondo. Tuttavia, l’Unione spesso non riesce a garantire il rispetto diritti umani all'interno del suo stesso territorio. Desidero richiamare la vostra attenzione sul persistente problema della discriminazione delle minoranze, compresa la minoranza polacca in Lituania, uno Stato membro firmatario di accordi e trattati internazionali in materia di tutela dei diritti umani e delle minoranze. Proprio oggi, il parlamento lituano avrebbe dovuto esprimersi sull’imposizione di limiti alla possibilità di ricevere l'istruzione in una lingua minoritaria, ma ha deciso di posporre la decisione.
Invito ancora una volta gli onorevoli deputati di questa Camera, il Presidente del Parlamento e la Commissione europea a garantire che gli Stati membri osservino i principi di democrazia e rispetto dei diritti delle minoranze. Le limitazioni imposte al numero delle ore di insegnamento madrelingua nelle scuole e le misure volte a chiudere le scuole polacche in Lituania rappresentano, a tutti gli effetti, una discriminazione contro una minoranza nazionale.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signora Presidente, anch'io sostengo l'emendamento n. 25 e in particolar modo la seconda parte, in cui il Parlamento europeo suggerisce di esaminare l’opportunità di "imporre un divieto di ingresso nell’UE per i funzionari russi coinvolti in questo caso, e incoraggia le agenzie dell’UE responsabili dell’applicazione della legge a cooperare per congelare i conti bancari e gli altri beni di questi funzionari russi in tutti gli Stati membri dell’UE".
Ritengo che si tratti di una questione di importanza cruciale per la Russia e per l'Unione europea e incoraggio fortemente la Commissione e il Consiglio a seguire i pareri di questa Assemblea. I poteri del Parlamento sono ora maggiori ed è quindi giunto il momento di passare dalle parole ai fatti, attaccando quanti violano i diritti umani.
Ritengo che la cooperazione tra Russia e Unione europea possa continuare ad avere reali prospettive di sviluppo solo se saranno risolti i casi Magnitsky e Khodorkovsky e saranno puniti i responsabili.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, ho votato a favore della relazione Andrikienė perché ritengo sia importante parlare di diritti umani e portarli in primo piano, in quanto rappresentano un pilastro dell’Unione.
Dobbiamo assicurarci di mettere in pratica quanto predichiamo e questo probabilmente rappresenta un problema. Vi sono, ovviamente, molte risoluzioni, ma la vera sfida ora è attuarle.
Partiamo dalla realtà pratica: ad esempio, avrei forse dovuto chiedere la parola per un richiamo al regolamento in merito alla relazione Arlacchi. Circa cinquanta onorevoli colleghi si sono alzati in piedi in quel lato della Camera; li abbiamo contati con i miei colleghi; è stato invece stimato un numero inferiore a quaranta e la loro opposizione non ha quindi portato ad alcuna azione. Se trattiamo in questo modo le persone che in questa Assemblea esprimono opinioni contrarie alle nostre o a quelle della maggioranza, non possiamo essere in alcun modo giustificati a criticare i paesi in cui vi sono carenze dal punto di vista della democrazia.
Dobbiamo essere attenti a garantire che il lavoro svolto nell'UE rispetto le norme, i regolamenti comunitari e le disposizioni giuridiche in materia di diritti umani. Ritengo, pertanto, che vi siano miglioramenti da apportare per risultare credibili quando affrontiamo simili questioni con la Russia e con il resto del mondo. Dobbiamo impegnarci, in prima persona, ad assicurare che nessuna minoranza sia discriminata e che quanti lavorano per l’Unione possano godere dei diritti umani a pieno titolo.
Peter van Dalen (ECR). – (NL) Signora Presidente, il Parlamento sta seguendo una direzione già nota nell'ambito di questa discussione; le truppe americane della NATO hanno creato una situazione di confusione in Afghanistan e l'Unione europea è dovuta intervenire come un angelo custode e prendere iniziative.
Come di solito accade, la reazione di molti onorevoli in questa Camera è quella di pensare che se solo l’UE agisse un po’ di più, la situazione tornerebbe ad essere accettabile. Signora Presidente, questo modo di pensare è ulteriormente aggravato da quanto affermato nel paragrafo 63 della relazione che raccomanda il coinvolgimento dell'Iran per contribuire a rimediare ai problemi dell'Afghanistan. Signora Presidente, ho dovuto leggere questo passaggio per tre volte per essere sicuro di non averlo solo immaginato, ma il testo recita davvero così: "raccomanda il coinvolgimento dell’Iran"! Penso mi sia capitato molto di rado di sentire una proposta strana quanto questa: è come utilizzare Belzebù per esorcizzare il demonio. Ho quindi espresso un voto nettamente di contrario a questo testo.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, ho avuto l'onore di recarmi in visita in Afghanistan all'inizio di quest'anno con le forze militari britanniche e non ho incontrato solo i nostri uomini, ma anche i soldati dell’Estonia e della Danimarca con cui condividono il campo. Non riesco ad esprimere solo a parole la mia gratitudine verso questi uomini e donne, provenienti da diversi Stati membri, e anche dei nostri alleati d'oltreoceano, che stanno profondendo le loro energie per cercare di riportare la pace in una terra tanto meravigliosa quanto tormentata.
Vorrei esprimere solo un commento su questa relazione e, in particolare, su un errore che, in quanto alleanza occidentale, stiamo commettendo a riguardo della nostra politica di eradicazione del papavero. Gli onorevoli deputati che in questa Assemblea rappresentano circoscrizioni rurali sapranno perfettamente che i piccoli agricoltori sono in assoluto i più conservatori. Con la nostra politica di eradicazione dei raccolti di papavero in Afghanistan, abbiamo trasformato una popolazione fortemente incline all’ordine e alla proprietà in un insieme di criminali e banditi, spinti dalla nostra politica di eliminazione di raccolti di un prodotto che ha un florido mercato a seguito della carenza di oppiacei e morfine a livello globale.
Ripristinando i diritti proprietà, inizieremmo a fornire all’Afghanistan le basi per una prospera società civile, con una magistratura indipendente e, a tempo debito, un governo rappresentativo.
Joe Higgins (GUE/NGL). – (EN) Signora Presidente, ho espresso voto contrario alla risoluzione sulla creazione di un meccanismo permanente anti-crisi per la zona euro perché in Irlanda e in Grecia, in realtà, un meccanismo simile permetterà di aiutare un sistema finanziario totalmente in crisi e dominato da speculatori e da varie specie di squali avidi di profitto, a spese dei lavoratori, dei pensionati e degli indigenti.
In data odierna a Bruxelles il Consiglio europeo molto probabilmente deciderà di modificare il trattato di Lisbona per conferirsi maggiori poteri nell'imposizione di una condizionalità più serrata su qualunque forma di assistenza finanziaria assegnata ad uno Stato membro e istituzionalizzando, di fatto, la teoria secondo cui la società deve pagare per gli effetti della crisi. Mi auguro che il governo irlandese non pensi di imporre ai propri cittadini questo cambiamento al trattato di Lisbona senza indire un referendum, dopo aver peraltro già trasformato il nostro paese in uno stato vassallo del Fondo monetario internazionale, che agisce spudoratamente per conto di speculatori e mercati finanziari. Richiediamo che qualsiasi cambiamento al trattato di Lisbona sia oggetto di referendum, in modo tale che il popolo irlandese possa decidere di non essere trasformato in servo a tempo pieno dei mercati finanziari.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta della Commissione di trasformare l’idea iniziale di un marchio del patrimonio europeo da un'iniziativa intergovernativa in una azione formale dell'UE, al fine di contribuire a rafforzare l'identità europea. Ho sostenuto questo testo perché ritengo che il marchio non solamente puntare alla promozione della coesione interna dell'Unione, ma debba anche dimostrare la sua unità e i suoi valori al di fuori dei confini europei. Il marchio dovrebbe essere valutato e messo in pratica sulla base degli effettivi risultati raggiunti all'interno dell'UE.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione in merito alla proposta della Commissione di utilizzare il marchio del patrimonio europeo, insieme ad altre iniziative più efficienti, come strumento per ridurre la distanza tra l'Unione europea e i suoi cittadini, come modo per sottolineare che la storia europea è il risultato di un patrimonio culturale comune, variegato, ricco e complementare. Ritengo che la decisione degli Stati membri di inserire il marchio del patrimonio europeo nel quadro dell'UE non contribuirà solo ad accrescerne la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma permetterà di realizzare gli ideali di coesione e di solidarietà, perseguiti da tempo, tra i cittadini europei. Sostengo il punto di vista della relatrice, secondo cui, in virtù della valenza simbolica del marchio in quanto strumento che contribuisce all'integrazione europea, i siti transnazionali dovrebbero essere favoriti dato che promuovono gli elementi comuni, incoraggiano le attività di networking e stimolano la cooperazione e la collaborazione tra Stati o regioni. Credo che l'idea di un marchio del patrimonio dell'Unione europea inteso ad accrescere tra i cittadini il senso di condivisione di un patrimonio comune (mediante la conoscenza della storia dell'Europa e la partecipazione ad azioni di sostegno del dialogo interculturale) e a concepire la costruzione dell'UE come un processo in corso costituisca un passo in avanti in questa direzione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Nel 2007, numerosi Stati membri si sono riuniti per istituire un marchio del patrimonio europeo, con l'obiettivo di "rafforzare il sostegno dei cittadini europei a favore di una comune identità europea e di promuovere un senso di appartenenza ad uno spazio culturale comune", selezionando un numero di siti speciali in tutto il continente. Nel 2008 il Consiglio dell’Unione europea ha presentato alla Commissione le sue conclusioni, invitandola a formulare una proposta di legge che ci avrebbe permesso, come per l'iniziativa delle Capitali europee della cultura, di trasformare questa iniziativa intergovernativa in un vero e proprio marchio UE. Sulla scorta delle proposte del Consiglio, la Commissione ha condotto una valutazione d'impatto e una consultazione pubblica e formulato in seguito una proposta per il Parlamento europeo e il Consiglio a favore dell'istituzione di un'azione comunitaria per un marchio del patrimonio europeo. Questo è il testo che ho sostenuto.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questo testo perché la storia europea è il risultato di un patrimonio culturale comune, variegato, ricco e complementare e dimostra, ancora una volta, che l’Unione affonda le sue radici in valori forti quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la diversità culturale, la tolleranza e la solidarietà. Alla luce del contributo ampiamente riconosciuto della cultura europea nel mondo, questa Camera approva l'idea di estendere il marchio anche oltre i confini dell'UE, affinché diventi uno strumento ambizioso al servizio delle politiche rivolte all'esterno. Al fine di realizzare il proprio obiettivo politico, il nuovo marchio del patrimonio europeo dovrebbe concentrarsi sul valore simbolico e/o educativo di un sito e dovrebbe, inoltre, insistere sulla stretta cooperazione tra i siti cui è stato conferito allo scopo di condividere le migliori pratiche e avviare progetti comuni. Tengo a sottolineare che la decisione degli Stati membri di inserire il marchio del patrimonio europeo nel quadro dell'UE non solo contribuirà ad accrescerne la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma permetterà anche di realizzare gli ideali di coesione e di solidarietà, perseguiti da tempo, tra i cittadini europei.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La diversità culturale dell’Europa è una delle sue maggiori ricchezze e si riflette nell'eterogeneità del suo patrimonio culturale, artistico, architettonico e linguistico. Sono proprio questa diversità, la sua storia millenaria, il grande rispetto e la tutela del patrimonio a rendere l'Europa un posto unico nel suo genere. Tuttavia, è pur vero che, nonostante questa ricchezza sia condivisa in un'area relativamente ristretta, in molti casi non dimostriamo grande interesse o vicinanza reciproci. Ritengo che questa iniziativa possa contribuire ad avvicinare i cittadini europei, ad aumentare la conoscenza del patrimonio europeo e dei valori comuni che tutti condividiamo, rendendo l'Europa una vera e propria unione di diversità.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) In linea generale, gli emendamenti proposti dal relatore hanno migliorato la bozza originale presentata dalla Commissione, ma vi sono anche alcuni aspetti negativi come, ad esempio, gli emendamenti proposti dal relatore in merito alla promozione del multilinguismo, che non affrontano la questione principale e non risolvono i difetti presenti nella proposta originale. è infatti possibile raggiungere un’efficace promozione del multilinguismo non "utilizzando varie lingue dell’Unione", ma utilizzando le diverse lingue comunitarie. L’errore di fondo a questo concetto è più rilevante rispetto agli obiettivi specifici della relazione. Il marchio del patrimonio europeo (o il marchio del patrimonio dell’Unione europea) si basa sullo sviluppo dell’idea fallace di un'identità europea e un'unica cultura europea fondata su valori quali la libertà, la democrazia e così via.
Non esiste un unico "patrimonio culturale europeo" e l’intera storia europea, come la sua storia in generale, non affonda le sue radici solo nella diversità e in un’ammirabile energia creativa e di sviluppo, ma anche in conflitti violenti e ostili, nell’intolleranza e in molti percorsi e contesti di dominazione culturale. L’ambito del patrimonio è particolarmente delicato perché strettamente connesso alla storia ed è motivo di serie preoccupazioni per i temibili processi finalizzati a riscrivere la storia, a cui abbiamo recentemente assistito.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto – (PL) L’immagine dell’Unione europea e delle sue istituzioni agli occhi dei suoi cittadini è una questione di importanza cruciale. Purtroppo, alcuni recenti sondaggi dimostrano che il senso di identità e unità europea rappresenta valori sempre più rari per i cittadini europei e lo stesso accade con la loro fiducia nelle istituzioni comunitarie. La promozione della nostra storia comune e delle radici culturali condivise potrebbe contribuire ad avvicinare i cittadini all'UE e a creare un senso di coesione e solidarietà. Credo, dunque, che il marchio del patrimonio europeo possa rappresentare un utile contributo a questo fine e la semplificazione delle procedure e la standardizzazione dei criteri per la sua assegnazione impreziosiranno e miglioreranno l’immagine dell’Unione, oltre ad aumentare la fiducia dei cittadini nei confronti di istituzioni quali il Parlamento europeo.
Jacek Olgierd Kurski (ECR), per iscritto. – (PL) Oggi ho votato a favore della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'azione dell'Unione europea per il marchio del patrimonio europeo. Ritengo si tratti di un’iniziativa valida ed interessante che contribuirà a promuovere la cultura e i successi europei, favorendo al contempo lo sviluppo del turismo e delle singole regioni. Sono lieto che questa Camera abbia sottolineato che il marchio del patrimonio europeo integrerà, senza duplicarle, le altre iniziative rivolte al patrimonio culturale, quali l'elenco del Patrimonio mondiale dell'Unesco e gli itinerari culturali europei del Consiglio d'Europa.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la proposta della Commissione di utilizzare il marchio del patrimonio europeo, insieme ad altre iniziative più efficienti, come strumento per ridurre la distanza tra l'Unione europea e i suoi cittadini, come modo per sottolineare che la storia europea è il risultato di un patrimonio culturale comune, variegato, ricco e complementare e come strumento per evidenziare che l'UE affonda le sue radici in valori forti quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la diversità culturale, la tolleranza e la solidarietà. Ritengo che la decisione degli Stati membri di inserire il marchio del patrimonio europeo nel quadro dell'UE non contribuirà solo ad accrescerne la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma permetterà di realizzare gli ideali di coesione e di solidarietà, perseguiti da tempo, tra i cittadini europei.
Clemente Mastella (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, ci rallegriamo della proposta della Commissione volta ad utilizzare il marchio del patrimonio europeo, insieme ad altre iniziative, come strumento per ridurre la distanza tra l'UE e i suoi cittadini, per sottolineare che la storia europea è il risultato di un patrimonio culturale comune, variegato, ricco e complementare. Esso rappresenta il riconoscimento del fatto che l'UE affonda le sue radici in valori forti quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la diversità culturale, la tolleranza, la solidarietà.
La decisione degli Stati membri di inserire questo marchio del patrimonio europeo nel quadro dell'UE non contribuirà soltanto ad accrescerne la visibilità, il prestigio e la credibilità, ma permetterà finalmente di realizzare, su vasta scala, gli ideali di coesione, di solidarietà, perseguiti da tempo, tra i cittadini europei, creando un'identità comune europea e accrescendo il loro interesse per l'Unione e per le sue origini; due sfide fondamentali per le istituzioni europee
Il nuovo marchio dovrà, però, concentrarsi sul valore simbolico ed educativo di un sito, piuttosto che sul suo aspetto estetico, e dovrà insistere sulla stretta cooperazione tra i siti cui esso sarà conferito allo scopo di poter condividere le migliori pratiche ed avviare progetti comuni di ricerca e sviluppo.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Il marchio del patrimonio europeo rappresenta, insieme ad altre iniziative, uno strumento aggiuntivo per ridurre la distanza tra l’Unione e i suoi cittadini, rafforzando il loro sentimento di appartenenza all’Europa. Questo strumento permetterà di ampliare la loro conoscenza della storia e del patrimonio comune europeo, contribuendo al contempo alla promozione del multilinguismo e del dialogo tra culture, sostenendo la creazione di reti volte a promuovere il patrimonio europeo. Il marchio del patrimonio europeo incrementerà l’attrattività economica grazie al turismo culturale e migliorerà il dialogo interculturale.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Ritengo che l’efficacia del marchio del patrimonio europeo sia messa in discussione proprio dalla facoltà concessa agli Stati membri di decidere se parteciparvi o meno. Concordo con il relatore sul dire che i criteri di selezione proposti e l’elevato numero dei siti cui potrebbe essere conferito il marchio determinano una perdita in termini di prestigio e qualità. La cooperazione con le iniziative già esistenti nell’ambito del patrimonio culturale (come il patrimonio mondiale dell’Unesco) potrebbe rappresentare un approccio efficace da adottare. Ho espresso parere contrario a questo testo perché non affronta in maniera esaustiva la necessità di introdurre un marchio per il patrimonio culturale basato su obiettivi ben determinati.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La scelta di inserire il Marchio del Patrimonio Europeo nel quadro dell'UE farà sì che si accrescerà il senso di appartenenza dei cittadini alla Comunità europea sollecitando ideali di coesione, solidarietà e integrazione. Ho votato a favore della relazione sul Marchio del Patrimonio Europeo perché l'obiettivo che si pone l'Europa è di creare un'identità comune avvicinando l'UE ai suoi cittadini attraverso la conoscenza di quel patrimonio storico e culturale denso e variegato nel quale tutti si possono riconoscere e attraverso il quale i giovani possono imparare e ricercare la propria identità condividendola con gli altri giovani europei. La formalizzazione del Marchio tenderà inoltre a valorizzare quei luoghi che hanno fatto la storia della costituzione dell'Europa.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo di buon grado la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il marchio del patrimonio europeo. L’obiettivo di creare un’identità comune europea e promuovere gli interessi dell'Unione è di importanza cruciale per la pace e la coesione sociale.
L’iniziativa proposta di promuovere il patrimonio europeo attraverso un sito web è rivolta ai giovani europei e potrebbe spingerli a conoscere meglio la storia del nostro continente, a familiarizzare con il patrimonio culturale comune e multinazionale e a cercare maggiori informazioni sulle idee e le persone che hanno contribuito a costruire l’Unione europea.
Questa iniziativa di elevato valore simbolico ed educativo presenterà la storia e la cultura europee nel loro complesso. Sono a favore delle intenzioni espresse nel testo per garantire l'effettiva partecipazione del Parlamento e del Consiglio nella selezione dei siti e dei contenuti presentati, al fine di garantire che l'iniziativa sia trasparente e democratica.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo per l'ottimo lavoro svolto dalla collega Paliadeli. Il Parlamento europeo ha dato oggi il suo via libera al "Marchio per il patrimonio culturale europeo", un registro dei siti storici la cui importanza trascende le frontiere nazionali. L'Unione europea ha circa 500 milioni di abitanti, per la maggior parte si sentono in primo luogo cittadini del loro paese di origine, e non cittadini europei. La mancanza di una forte identità europea può essere vista come un ostacolo all'integrazione dell'Europa, ma non è affatto sorprendente. Il continente europeo è un vasto mosaico di lingue e costumi e le differenze tra i paesi che lo compongono sono spesso più evidenti dei tratti comuni.
Questa iniziativa permetterà di rafforzare il senso di appartenenza all'Europa e di creare una maggior coesione fra i cittadini di paesi diversi e per questa ragione è importante mettere in evidenza quei luoghi che celebrano e simbolizzano l’integrazione europea, così come quelli che celebrano le idee e i valori dell’Unione europea. Inoltre, come accade per i siti compresi nell'elenco del patrimonio mondiale dell'UNESCO, quelli insigniti del logo europeo dovrebbero attrarre più turisti, con effetti benefici per l'economia locale.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Creare un'identità comune europea e accrescere l'interesse dei cittadini per l'Unione e le sue origini sono due sfide che le istituzioni europee devono affrontare per raggiungere coesione e solidarietà su ampia scala. Senza dubbio vi sono anche altre vie, più radicali e ovvie, per accrescere la fiducia degli europei nell'UE e nei suoi leader (la recente crisi finanziaria ha dimostrato che i vertici dell'amministrazione hanno ancora molto da fare). Conoscere la storia del nostro continente, essere consapevoli del suo patrimonio culturale multinazionale ma al contempo comune e trasmettere alle generazioni più giovani maggiori informazioni sulle idee e le persone che hanno contribuito a costruire l'Unione europea sono azioni che possono davvero contribuire a ridurre le distanze tra l'UE e i suoi cittadini.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) In qualità di membro della commissione per la cultura e l’istruzione, ho votato a favore della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'azione dell'Unione europea per il marchio del patrimonio europeo. L’idea dell’istituzione di un simile marchio europeo è di importanza cruciale per aumentare le conoscenze dei cittadini circa la storia e il patrimonio culturale dell'Unione e per contribuire a costruire un'identità europea e legami tra i paesi.
Attraverso l’identificazione di siti negli Stati membri che hanno richiesto di ricevere il marchio del patrimonio europeo, trasmetteremo ai cittadini il messaggio che la storia dell’Europa riguarda tutti noi, a prescindere dal paese in cui viviamo, dalla nostra lingua o dalla nostra cultura. Trasformare il marchio del patrimonio europeo in un’iniziativa europea contribuirà ad aumentarne la credibilità, la visibilità e il prestigio, con i conseguenti vantaggi economici e sociali derivanti, tra l’altro, dall’attrattività turistica dei siti cui è stato conferito. La selezione dei siti destinati a ricevere il marchio contribuirà, inoltre, a stimolare l’interesse e la voglia di conoscenza delle giovani generazioni verso le idee e le persone che hanno costruito l’Europa, avvicinando in questo modo i cittadini europei.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) L’iniziativa del marchio del patrimonio europeo è rivolta alla promozione delle città, delle persone e delle attività che hanno contribuito al processo di integrazione europea, con l'obiettivo di aumentare la conoscenza dei cittadini dei valori fondamentali di democrazia, solidarietà, diversità culturale e tolleranza che rappresentano i pilastri della nostra Comunità. La lista dei siti cui sarà conferito il marchio del patrimonio europeo dipingerà da mappa delle tradizioni e della cultura del nostro continente e dei luoghi chiave che hanno contribuito alla costituzione dell’identità europea. Il patrimonio europeo comune, seppur diverso, può rafforzare il senso di identità dei cittadini e la coesione europea. L’iniziativa creerà una piattaforma per la cooperazione tra i paesi e le regioni d’Europa, con conseguenti effetti positivi per il settore del turismo, contribuendo ad aumentare l'attrattività delle regioni e migliorandone la situazione economica. Concordo sulla necessità di trasformare questo progetto in un’iniziativa ufficiale sotto gli auspici dell’UE, perché in questo modo ne guadagnerà in riconoscimento, credibilità e prestigio che permetteranno a molti cittadini di identificarsi con il marchio, simbolo e ricordo dell’integrazione europea.
Il progetto deve operare in maniera parallela e complementare all’iniziativa internazionale dell’Unesco e delle Capitali europee della cultura, perché il marchio europeo concerne il livello dell’istruzione e dei valori simbolici e, in misura minore, le qualità architettoniche ed estetiche. È necessario impegnarci per rafforzare il senso di appartenenza all'Europa dei cittadini.
Csanád Szegedi (NI), per iscritto. – (HU) I valori europei sono per me di importanza cruciale, alla stessa stregua dell'antico alfabeto runico ungherese, e ritengo sia indispensabile apprezzarli attraverso riconoscimenti di questo tipo. In questo caso è importante mantenere la tradizione di conferire il marchio solo a valori effettivamente localizzati all’interno dell’Unione. Non sarebbe infatti accettabile estendere il marchio a paesi terzi perché in questo modo duplicheremmo la lista del Patrimonio mondiale dell'Unesco. Mi auguro che questo riconoscimento possa contribuire a un ritorno ai valori tradizionali europei e che il marchio rappresenti una vera espressione di riconoscimento. Per le contraddizioni presenti nel testo che ho già menzionato, mi sono astenuto dalla votazione.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della raccomandazione sulle condizioni per la partecipazione della confederazione svizzera al programma “Gioventù in azione” e al programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente perché la considero un elemento positivo della strategia europea per la gioventù. Si tratta infatti di un passo avanti nel processo di cooperazione con questo paese in relazione alle politiche settoriali dell’Unione europea. La Svizzera intende partecipare a questo progetto per la gioventù in termini umani, economici e sociali e per questo l’Unione europea non potrà che beneficiare dal coinvolgimento di giovani provenienti da paesi terzi come la Svizzera nella sensibilizzazione delle nuove generazioni sul processo di integrazione europeo.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa raccomandazione perché sono certa che la cooperazione dell’Unione europea con la Svizzera nei settori dell’istruzione, della scienza e della gioventù apporterà reciproci vantaggi per il miglioramento e l’efficace attuazione delle politiche in questi settori. La partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e ai programmi d’azione nel campo dell’apprendimento permanente (2007-2013) conferirà maggior forza a queste iniziative, creando opportunità di scambi e condivisione di esperienze tra i partecipanti, tutelando al contempo gli interessi finanziari e di altra natura dell’Unione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Il programma “Gioventù in azione” è volto a sviluppare e promuovere la cooperazione nel settore della gioventù nell’Unione europea; mira a incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita pubblica, in particolare di quanti vivono in condizioni svantaggiate o sono affetti da disabilità, e a promuovere lo spirito d’iniziativa, l’intraprendenza e la creatività. Il programma per l’istruzione e l’apprendimento permanente contribuisce invece allo sviluppo dell’Unione come società avanzata e basata sulla conoscenza, in conformità con gli obiettivi della strategia di Lisbona. Fungendo da sostegno e complemento alle azioni degli Stati membri, punta a incoraggiare gli scambi, la cooperazione e la mobilità tra i sistemi di istruzione e formazione comunitari, per renderli un modello di riferimento a livello mondiale in termini di qualità. Attualmente la Svizzera, che non è uno Stato membro dell’Unione, non partecipa a queste azioni; dovrebbe invece essere il contrario ed è nostro dovere coinvolgere i nostri vicini elvetici in queste politiche nel contesto di un’Unione aperta. Per questo motivo, ho votato a favore della risoluzione legislativa che accoglie la partecipazione della Svizzera a queste importanti iniziative.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa raccomandazione del Parlamento europeo perché approvo il progetto di decisione del Consiglio relativo alla partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e ai programmi d’azione nel campo dell’apprendimento permanente. Pur avendo deciso di non aderire allo Spazio economico europeo, la Svizzera ha cooperato strettamente con l’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. Ritengo che questo accordo sia adeguato perché la Svizzera si impegna a rispettare le condizioni e le norme stabilite dalla Commissione europea. I progetti e le iniziative proposti dai partecipanti svizzeri saranno inoltre soggetti alle medesime condizioni, norme e procedure applicate ai progetti provenienti dagli Stati membri e la Svizzera si conformerà alle norme dell’Unione europea in materia di controlli finanziari e audit. Conformemente all’accordo bilaterale, la Svizzera costituirà un’agenzia nazionale incaricata di coordinare l’esecuzione dei programmi a livello nazionale e apporterà ogni anno un contributo finanziario a ciascun programma (nel 2011: 1,7 milioni di euro per il programma “Gioventù in azione” e 14,2 milioni di euro per il programma nel campo dell’apprendimento permanente).
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La cooperazione con la Svizzera in materia di istruzione è un passo importante nelle relazioni tra Unione europea e Svizzera. Questi due programmi favoriscono l’apprendimento permanente e il coinvolgimento della gioventù nell’integrazione europea attraverso la tolleranza e la solidarietà tra i giovani europei. L’accordo tra la Commissione e la Svizzera è adeguato, in quanto i partecipanti svizzeri accedono ai programmi in condizioni di uguaglianza rispetto agli altri giovani europei e il paese si impegna ad adeguarsi alle norme dell’Unione e alla relativa supervisione, oltre a fornire un contributo finanziario ad entrambi i programmi.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (EN) In qualità di presidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con la Svizzera, accolgo con favore l’adozione di questa relazione. La Commissione europea, il Parlamento europeo e gli Stati membri hanno concordato l’istituzione del programma “Gioventù in azione”, che pone in essere il modello legale di sostegno alle attività di apprendimento non formale per la gioventù. Lo scopo di questa proposta è permettere la partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e ai programmi per l’apprendimento permanente. La Svizzera è il solo paese europeo a partecipare pur non essendo membro dello Spazio economico europeo (SEE) e non essendo nemmeno un paese candidato o candidato potenziale. Pur avendo deciso di non aderire al SEE, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta cooperazione con l’Unione nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Siamo tutti consapevoli che un buon sistema di istruzione, che garantisca la migliore formazione possibile per i giovani, è di cruciale importanza per tutti i paesi. Un buon livello di qualifiche, conoscenze e istruzione determina un impatto diretto sulla cultura, sul mercato del lavoro e, di conseguenza, sul livello di vita dei cittadini. Tutti i paesi vogliono essere orgogliosi dei propri giovani, i quali a loro volta ambiscono all’opportunità di conoscere nuove lingue e culture e di acquisire esperienza professionale all’estero. L’Unione europea può andare fiera del sistema di mobilità studentesca ben sviluppato e dei suoi mercati del lavoro aperti, che offrono numerose opportunità di sviluppo intellettuale e professionale a tutti i giovani europei. La partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” dimostra che la cooperazione con l’Unione europea, soprattutto nel settore dell’istruzione, è molto importante per questo paese: non dovremmo impedire ai giovani svizzeri di godere dei privilegi e delle possibilità offerti da un’istruzione comunitaria.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) L’attenzione dedicata all’istruzione, alla formazione e alla ricerca e, in particolare, alla gioventù come risorsa per l’Unione europea è in costante crescita. Fornendo nuove opportunità di apprendimento, desideriamo offrire ai nostri cittadini maggiori possibilità e l’istruzione, la formazione, la cultura, la ricerca e i programmi per la gioventù rappresentano un elemento chiave di questa strategia. Lo scopo del programma “Gioventù in azione” è suscitare un sentimento di cittadinanza europea attiva, di solidarietà e di tolleranza tra gli europei, dall’adolescenza all’età adulta.
Il programma favorisce la mobilità all’interno e al di fuori dei confini dell’Unione e incoraggia il coinvolgimento di tutti i giovani, a prescindere dal livello di istruzione e dall’estrazione sociale e culturale. In qualità di membro della delegazione per le relazioni con la Svizzera e la Norvegia, ho votato a favore di questa raccomandazione perché ritengo che l’accordo siglato tra la Commissione e le autorità svizzere sia adeguato e vada negli interessi di entrambe le parti, consentendoci di aiutare il maggior numero possibile di giovani ad acquisire nuove capacità mediante opportunità di apprendimento dalla dimensione europea.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Pur avendo deciso di non aderire allo Spazio economico europeo, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta cooperazione con l’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. Inizialmente, le basi giuridiche per i programmi dell’Unione in materia di istruzione, formazione e gioventù non consentivano la partecipazione della Svizzera, ma questa situazione è cambiata nel 2006, quando il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato le decisioni istitutive del programma “Gioventù in azione”e del programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente (2007-2013). Nel febbraio 2008, il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad aprire negoziati sulla partecipazione della Svizzera ai due programmi. Nell’agosto 2009 è stato raggiunto un accordo e il Consiglio ha già adottato una decisione che ne consente la firma e l’applicazione provvisoria dal 2011. Ho espresso il mio sostegno per questa proposta.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la partecipazione della Svizzera, un paese che ha scelto di non far parte dell’Unione europea, al programma « Gioventù in azione » e al programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente non può essere esclusa a priori, ma è da valutare con attenzione. Condivido pertanto i termini dell’accordo raggiunto dalla Commissione con il governo svizzero, il mio voto alla relazione della collega Doris Pack è favorevole. Giusto concedere i benefici dei programmi alla Svizzera, giusto anche però salvaguardare tutti gli interessi finanziari e di altro tipo dell’Unione europea.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Pur non essendo uno Stato membro dello Spazio economico europeo, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta collaborazione con l’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. La conclusione dell’accordo sulla partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e al programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente ne è una conseguenza molto positiva. Il concetto di istruzione e apprendimento permanente è centrale per la competitività dell’economia basata sulla conoscenza.
È applicabile a tutti i livelli di istruzione e formazione e abbraccia tutte le fasi della vita e tutte le diverse forme di apprendimento. Dobbiamo sviluppare e rafforzare gli scambi, la cooperazione e la mobilità ed è importante incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita pubblica, in particolare di quanti vivono in condizioni svantaggiate o sono affetti da disabilità, e promuovere lo spirito d’iniziativa, l’intraprendenza e la creatività, al fine di favorire un senso di cittadinanza europea attiva e sviluppare la solidarietà e la tolleranza.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Come è comprensibile, la Svizzera, che finanzia in parte il programma “Gioventù in azione” e il programma nel campo dell’apprendimento permanente, desidera ora prendervi parte. Nello spirito dell’apprendimento, assisteremmo a uno sviluppo positivo se l’Unione europea prendesse esempio dalla Svizzera in fatto di democrazia diretta: quando la popolazione svizzera dice no ai minareti, questa decisione viene accettata; lo stesso è accaduto in occasione della recente iniziativa in merito all’espulsione dei cittadini stranieri colpevoli di reati. Le autorità svizzere sanno che quando i cittadini dicono “no” intendono “no”, e non indicono continue votazioni finché non ottengono il risultato auspicato, per poi sorprendersi quando l’affluenza alle urne cala. L’esempio della Svizzera deve farci riflettere su quali siano le reali preoccupazioni dei cittadini. Ho votato contro questa relazione perché non sono in totale accordo con i regolamenti in essa descritti.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della raccomandazione sul progetto di decisione del Consiglio relativo alla conclusione dell’accordo fra l’Unione europea e la Confederazione svizzera, che stabilisce i termini e le condizioni per la partecipazione della Svizzera al programma “Gioventù in azione” e al programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente (2007-2013), perché ritengo che l’accordo raggiunto dalla Commissione con le autorità svizzere sia positivo, con l’estensione dei benefici del programma in Svizzera e la salvaguardia degli interessi dell’Unione europea, non ultimi quelli di carattere finanziario.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi in Plenaria abbiamo votato il progetto di risoluzione legislativa sulla partecipazione della Svizzera al programma "Gioventù in azione" e al programma d´azione nel campo dell´apprendimento permanente. Pur avendo deciso di non aderire allo Spazio economico europeo, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta cooperazione con l'Unione europea nei settori dell'istruzione, della formazione e della gioventù. Con tale raccomandazione abbiamo concluso un accordo tra l'UE e la Svizzera con il riconoscimento a quest'ultima della possibilità di partecipare ai programmi "Gioventù in azione" e a quelli nel campo dell'apprendimento permanente.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Pur avendo deciso di non aderire allo Spazio economico europeo, la Svizzera ha manifestato ripetutamente il suo interesse ad una più stretta cooperazione con l’Unione europea nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. Inizialmente, le basi giuridiche per i programmi dell’Unione europea in materia di istruzione, formazione e gioventù non consentivano la partecipazione della Svizzera, ma questa situazione è cambiata nel 2006, quando il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato le decisioni istitutive del programma “Gioventù in azione” e del programma d’azione nel campo dell’apprendimento permanente (2007-2013). Nel febbraio 2008, il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad aprire i negoziati sulla partecipazione della Svizzera ai due programmi. Nell’agosto 2009 è stato raggiunto un accordo e il Consiglio ha già adottato una decisione che ne consente la firma e l’applicazione provvisoria dal 2011. A norma dell’articolo 218, paragrafo 6 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il Consiglio deve ottenere l’approvazione del Parlamento europeo prima che l’accordo possa entrare in vigore. Le decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio che istituiscono il programma “Gioventù in azione” e il programma per l’apprendimento permanente adottate nel 2006 prevedevano già in linea di principio la partecipazione della Svizzera. L’accordo negoziato dalla Commissione con le autorità svizzere è assolutamente adeguato: estende i benefici dei programmi alla Svizzera, salvaguardando nel contempo gli interessi finanziari e di altra natura dell’Unione europea. La relatrice raccomanda pertanto che il Parlamento approvi il progetto di decisione del Consiglio.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) La Svizzera è un paese che deve far fronte al problema di un accesso impari all’istruzione superiore, nonostante l’eccellente offerta educativa. Mi auguro che la cooperazione con l’Unione europea si traduca in maggiori possibilità di accesso all’istruzione per i giovani svizzeri, in particolare per gli immigrati. Le esperienze degli Stati membri in relazione a programmi che facilitano scambi educativi per i giovani dimostrano chiaramente che questi non solo favoriscono una buona istruzione, ma hanno un ruolo positivo sul piano dell’integrazione europea grazie all’acquisizione della lingua, della cultura e delle tradizioni dei singoli paesi. Il programma per l’apprendimento permanente costituisce, a sua volta, un’eccellente opportunità per attirare l’attenzione sul ruolo delle donne in Svizzera. Questo paese è stato l’ultimo in Europa, negli anni settanta, a concedere il diritto di voto alle donne alle elezioni federali; inoltre, per lungo tempo, le donne in quanto gruppo sociale hanno spesso incontrato difficoltà ad ottenere non solo la piena partecipazione alla società civile, ma anche l’accesso all’istruzione e alla realizzazione professionale.
Oggi le donne di mezza età che desiderano entrare nel mercato del lavoro spesso si scontrano con la carenza di qualifiche ed esperienze, dato che molte di loro sono rimaste a casa ad occuparsi della famiglia a seguito degli elevati costi dell’assistenza all’infanzia.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Le due relazioni sui diritti umani nell’Unione europea e nel mondo rappresentano una sfida per i lavoratori che, con l’evolversi della crisi capitalista, sono schiacciati dai feroci attacchi contro i loro diritti e la loro vita sferrati dall’Unione europea, dal capitale e dai governi borghesi, intenti a cercare di scaricare su di loro i costi della crisi e salvare i profitti dei monopoli. I rappresentanti politici del capitale hanno un bel coraggio a proclamare l’Unione europea paladina dei diritti umani mentre è in corso l’adozione della nuova, e ancora più reazionaria, dottrina NATO 2020 e l’Unione è in prima linea quando si tratta di sfruttare popolazioni e risorse naturali e appoggiare regimi fantoccio e reazionari. Nel contempo, in tutti gli Stati membri dell’Unione europea, i diritti dei lavoratori e sociali conquistati a costo di dure e sanguinose battaglie vengono calpestati, le lotte del popolo e della classe lavoratrice vengono selvaggiamente represse, la caccia agli immigrati e il razzismo aumentano, le libertà e i diritti democratici del popolo subiscono restrizioni, i partiti comunisti vengono dichiarati fuori legge e i simboli del comunismo banditi in diversi paesi. I soliti riferimenti a presunte violazioni dei diritti umani a Cuba e in altri paesi che oppongono resistenza ai piani imperialisti sono semplici minacce, coercizioni e pressioni per piegare la volontà della gente e indurla ad abbandonare il diritto di decidere liberamente del proprio destino.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Tradizionalmente, la sessione plenaria di dicembre è in parte dedicata ai diritti umani; uno degli eventi di rito che scandiscono la sessione – oltre al conferimento del Premio Sacharov – è l’adozione della risoluzione sulla relazione annuale del Parlamento sui diritti umani nel mondo e sulla politica dell’Unione europea in materia. Uno degli impegni internazionali dell’Unione consiste proprio nel promuovere la democrazia e i diritti umani nel mondo. Quest’anno la relazione mette in luce il ripetersi di gravi violazioni in questo ambito e una situazione aggravata dalla crisi economica, dal cambiamento climatico, dalle nuove tecnologie e dalla lotta al terrorismo. Raccomanda inoltre l’attuazione degli obiettivi del trattato di Lisbona in particolare attraverso il nuovo servizio europeo di azione esterna. Secondo la relatrice la priorità di una politica estera coerente dell’Unione europea deve essere la promozione della democrazia e dei diritti umani.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2009 e sulla politica dell’Unione europea in materia perché offre un esame, una valutazione e, in alcuni casi specifici, un’analisi del lavoro dell’Unione europea nell’ambito dei diritti umani, della democrazia e delle sfide future. Rispetto alla violenza sulle donne, il Parlamento europeo esprime viva preoccupazione per i radicati fenomeni di discriminazione di genere e di violenza domestica in vari paesi e rileva che le donne che abitano nelle aree rurali costituiscono una categoria particolarmente vulnerabile. Approvo dunque la richiesta del Parlamento affinché i diritti delle donne siano affrontati esplicitamente nell’ambito di tutti i dialoghi sui diritti umani, in particolare promuovendo la lotta e l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione e di violenza contro le donne e le ragazze, tutte le pratiche e usanze tradizionali lesive dell'integrità fisica, ad esempio la mutilazione genitale femminile o il matrimonio forzato o in età precoce, tutte le forme di tratta di esseri umani, la violenza domestica e l’uccisione di donne, lo sfruttamento sul lavoro e lo sfruttamento economico. Milioni di minori sono tuttora vittime di stupri, violenze domestiche, abusi fisici, emotivi e sessuali e per questo condivido la necessità che l’Unione europea adotti urgentemente ulteriori provvedimenti per contrastare il lavoro minorile e applichi in maniera più efficiente gli strumenti a sua disposizione.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il ruolo dell’Unione europea di difensore dei diritti umani è una caratteristica fondamentale cui le istituzioni non devono rinunciare e che va preservata come una priorità del lavoro diplomatico. L’allegato I della relazione ne è la migliore prova, poiché elenca tutti i casi di violazione dei diritti umani denunciati e condannati senza indugio in Europa, dall’Afghanistan alla Somalia, dalla Russia all’Iran. Non possiamo chiudere un occhio né nascondere la testa sotto la sabbia, neppure quando sono in gioco partnership strategiche, perché gli interessi individuali non possono avere la precedenza sulla difesa della libertà e dei diritti umani.
A mio parere, la posizione dell’Unione deve restare la seguente: interventista e coraggiosa, in difesa dei diritti umani e della democrazia.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione fa parte di un ricorrente esercizio di pura ipocrisia da parte della maggioranza, dominata dalla destra e dai socialdemocratici, che rivendica il ruolo di “ambasciatore” nella difesa dei diritti umani. È un travestimento che viene smascherato dalle ovvie contraddizioni in esso contenute, non ultimo il ricorso a una presunta difesa dei diritti umani per promuovere interventi in paesi in cui sono in gioco i propri interessi, la copertura e il sostegno degli alleati, in particolare degli Stati Uniti.
Alcuni esempi sono i cosiddetti voli CIA e la complicità dei governi di numerosi paesi europei nel rapimento, la tortura e il trasferimento illegale di prigionieri a Guantanamo, la continuata occupazione dell’Afghanistan operata dalle forze NATO e i conseguenti massacri delle popolazioni civili con il pretesto della lotta al terrorismo. Altri esempi sono ancora il sostegno alla politica israeliana di apartheid ai danni del popolo palestinese, all’ininterrotta occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco e all’embargo illegale contro Cuba operato dagli Stati Uniti e condannato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in 18 occasioni consecutive. Queste politiche, come le maggioranze che le sostengono, lasciano l’amaro in bocca: stanno maturando i tempi in cui i cittadini saranno in grado di rigettarle.
Louis Grech (S&D), per iscritto. – (EN) La direttiva sulla prevenzione e la lotta alla tratta di esseri umani dispone la creazione di un ambiente più ostile per i trafficanti di esseri umani, punendo i criminali e garantendo maggiore prevenzione e protezione delle vittime. È inaccettabile che in Europa la tratta di esseri umani sia ancora una realtà che coinvolge centinaia di migliaia di persone, in prevalenza appartenenti a gruppi sociali vulnerabili, come minoranze, donne e bambini ai fini di sfruttamento sessuale, lavoro forzato, schiavitù moderna e non solo. Esprimo la mia più ferma condanna contro lo sfruttamento delle vittime della tratta di esseri umani e sono pertanto favorevole a un rafforzamento della protezione delle vittime e all’introduzione di sanzioni più severe per i trafficanti. Per il buon esito dell’attuazione della direttiva è particolarmente importante migliorare la cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione e rafforzare il coordinamento tra le diverse istituzioni e organizzazioni a livello europeo, nazionale e regionale. L’Unione europea deve sfruttare le relazioni internazionali per richiedere ai partner un maggiore impegno nel controllo della tratta di esseri umani e garantire che i diritti delle vittime siano rispettati in tutto il mondo. Dovrebbe inoltre includere nei dialoghi politici con i paesi non membri dell’Unione normative, standard e principi del sistema di diritti umani internazionale per combattere e prevenire la tratta di esseri umani.
Sandra Kalniete (PPE) , per iscritto. – (LV) Ho votato a favore di questa risoluzione e della proposta di chiedere categoricamente alle autorità russe che i colpevoli dell’omicidio dell’avvocato russo Sergei Magnitsky vengano giudicati; invito inoltre il Parlamento ad esaminare l’opportunità di imporre un divieto d’ingresso nell’Unione europea per i funzionari russi coinvolti in questo caso e di congelare i loro conti bancari e gli altri beni di in tutti gli Stati membri dell’Unione. Tale richiesta segnalerebbe con forza alle autorità russe che i cittadini dell’Unione europea considerano inaccettabili le gravi carenze nel sistema giudiziario russo, come l’applicazione selettiva della legge nell’interesse delle autorità e i troppi casi di impunità per i responsabili degli attacchi, o addirittura dell’omicidio, ai danni di difensori dei diritti umani, giornalisti indipendenti e avvocati. Questo segnale confermerebbe il sostegno dell’Unione europea ai difensori dei diritti umani in Russia, che operano in condizioni particolarmente difficili.
Bogusław Liberadzki (S&D), per iscritto. – (PL) Il rispetto dei diritti umani è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea, un valore cui il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo presta particolare attenzione, dal momento che figura tra i punti all’ordine del giorno di quasi tutte le nostre riunioni. È importante che il Parlamento nel suo insieme presti particolare attenzione a questo tema. Stiamo assistendo a un certo miglioramento, seppure lento, della situazione a livello mondiale; sebbene vi siano ancora paesi i cui governi continuano a violare i diritti umani, ve ne sono anche altri dove si notano dei cambiamenti. L’emendamento orale della relatrice mostrava queste tendenze positive in Russia, ma la situazione resta tuttavia preoccupante a Cuba, come dimostrato nel corso della cerimonia di assegnazione del Premio Sacharov 2010. Ho votato con convinzione a favore della relazione.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la relazione annuale sui diritti umani, pur trattandosi inevitabilmente di un’analisi a ritroso che copre il periodo dal luglio 2008 al dicembre 2009, poco prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Accolgo calorosamente l’impegno della baronessa Ashton verso i diritti umani e le sue rassicuranti parole sul fatto che questo argomento sarà predominante nel lavoro del servizio europeo di azione esterna (SEAE). Mi auguro che questo significhi che, quando il prossimo anno discuteremo la relazione sui diritti umani, potremo parlare di un approccio più coerente ai diritti umani da parte dell’Unione europea.
Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa nostra relazione annuale intende ribadire la forte determinazione del Parlamento europeo e i suoi sforzi a lungo termine volti a difendere i diritti umani e la democrazia nel mondo attraverso lo sviluppo di una politica europea sempre più integrata ed efficace, capace di garantire maggiore coerenza e uniformità in tutte le aree di intervento, sia attraverso le relazioni bilaterali con i paesi terzi, sia attraverso il sostegno alle organizzazioni della società civile attive a livello locale ed internazionale. Insistiamo, in particolare, sull'importanza di condurre una valutazione completa degli aspetti della politica europea di vicinato (PEV) riguardanti i diritti umani, che esamini soprattutto la coerenza e l'efficienza dei meccanismi esistenti, come i piani d'azione, le relazioni sullo stato di avanzamento, i dialoghi sui diritti umani e il processo decisionale per l'intensificazione delle relazioni con i paesi non appartenenti all'UE.
Vogliamo dare maggiore visibilità alla futura adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il che costituisce un'opportunità per dimostrare il suo impegno a favore della difesa dei diritti umani all'interno e all'esterno delle sue frontiere ed invitiamo, pertanto, tutti gli Stati membri ad offrire il loro sostegno, a fare in modo che i cittadini si impegnino a tale riguardo.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione sui diritti umani nel mondo nel 2009 e la politica dell'Unione europea in materia costituisce uno strumento importantissimo per rafforzare il ruolo del Servizio europeo di azione esterna, per quanto concerne la politica per i diritti umani. Questi rappresentano infatti da sempre il marchio che contraddistingue l’Unione europea nel mondo.
Concordo con la relatrice quando sottolinea che la libertà di religione e di credo è, fra tutti i diritti umani, un diritto primario e fondamentale che deve essere rispettato, e che la condizionalità per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, prevista negli accordi bilaterali con i paesi non UE, deve poter essere imposta con maggiore forza ed efficacia. Giusto quindi invitare l'Alto rappresentante a integrare la libertà di religione o di credo nella politica UE in materia di diritti umani e procedere a una valutazione accurata della situazione della libertà di religione o di credo nella relazione annuale sui diritti umani dell'UE. Il mio voto per la relazione Andrikiene è favorevole.
Kyriakos Mavronikolas (S&D), per iscritto. – (EL) L’Unione europea deve fare tutto il possibile per garantire che i principi e le libertà alla base dei diritti umani vengano applicati e svolgere così un ruolo preminente in questo ambito. È necessario istituire un servizio speciale per i diritti umani e, cosa ancor più importante, l’Unione deve monitorare le aree dove sono presenti suoi rappresentanti. L’Unione europea deve inoltre vigilare e monitorare con attenzione le violazioni dei diritti umani all’interno degli Stati membri.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Ho espresso voto contrario a questa relazione perché non deplora né critica la politica dei “due pesi e due misure” dell’Unione in merito al rispetto e alla promozione dei diritti umani, sia all’interno degli Stati membri sia in paesi terzi con i quali intrattiene particolari relazioni politiche e commerciali. Analogamente, il testo non rileva che i governi dell’Unione hanno elaborato e attuato politiche radicalmente contrarie ai diritti umani in settori quali l’immigrazione, con espulsioni di massa e detenzioni per motivi razziali o di sicurezza, consentendo gravi violazioni dei diritti dell’uomo come la detenzione illegale, il trasferimento e la tortura di persone in carceri segrete.
La stessa Unione europea ha adottato direttive contrarie ai diritti umani, come per esempio la direttiva per i rimpatri, ed ha avviato o sviluppato particolari relazioni politiche e commerciali con i governi di paesi quali Marocco, Colombia e Israele, che violano sistematicamente i diritti umani. Pur apprezzando che per la prima volta si faccia menzione della situazione dei diritti umani nei territori non autonomi del Sahara occidentale, sono contrario a questa relazione a causa dell’omissione dei dati sopracitati e dell’impatto negativo sui diritti umani determinato dagli accordi di libero scambio dell’Unione, per non parlare delle critiche ingiustificate ed eccessive rivolte a paesi come Cuba e Venezuela.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La relazione sui diritti umani nel mondo nel 2009 è molto dettagliata e affronta una grande varietà di problematiche. Sfortunatamente, ho come l’impressione che si sia fatto un disperato tentativo di includere ogni problema possibile senza seguire una chiara strategia. Il punto è che la promozione della democrazia in tutto il mondo deve rappresentare una priorità per l’Unione europea; si rendono dunque necessari un approccio chiaro e una strategia precisa e coerente per la risoluzione di questi problemi, alcuni dei quali sono estremamente complessi. Non vi è segno della presenza di una strategia di questo tipo e per questo ho deciso di astenermi dalla votazione finale.
Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE), per iscritto. – (LT) Nonostante la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sia stata siglata oltre 60 anni fa, vi sono ancora numerosi luoghi al mondo dove è rimasta lettera morta. Tristemente, molti di questi luoghi si trovano in Europa, un continente che è stato la culla della protezione dei diritti umani come principio della democrazia. L’Unione europea, della quale possiamo coraggiosamente affermare il ruolo preminente a livello mondiale nel campo dei diritti umani, si sta impegnando a fondo per garantire almeno il rispetto degli standard minimi di protezione dei diritti umani in altri luoghi del mondo. Desidero pertanto congratularmi con la relatrice, l’onorevole Andrikienė, per questa relazione così completa e per aver richiamato l’attenzione sulla complessa situazione a livello mondiale. Mi auguro che la relazione contribuisca a determinare una serie di miglioramenti di modo che le future relazioni su tali materie siano più brevi.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione del Parlamento europeo sui diritti umani di quest’anno perché abbraccia paesi geograficamente vicini e lontani dall’Unione. Nella relazione, il Parlamento europeo invita la Cina, il paese con il più alto numero di esecuzioni capitali, a rendere pubbliche le cifre relative alle esecuzioni compiute, in modo da consentire un’analisi e un dibattito trasparente sulla pena capitale. In questo modo il paese dovrebbe essere incoraggiato ad accelerare l’abolizione di questa barbarica forma di condanna; d’altro canto, è vergognoso che si faccia ancora ricorso alla pena capitale in paesi democratici quali gli Stati Uniti d’America. Nella relazione si esprime profonda preoccupazione per i bambini coinvolti o colpiti in altro modo nei conflitti armati o addirittura costretti a parteciparvi attivamente. Nei miei emendamenti alla relazione, che sono stati accolti dalla commissione per gli affari esteri del Parlamento, sollecito la Commissione e il Consiglio a garantire l’obbligatorietà del rispetto degli orientamenti dell’Unione europea sui bambini e i conflitti armati nelle relazioni con i paesi terzi. Chiedo misure iniziative immediate da adottare da parte dell’Unione e delle Nazioni Unite per la smobilitazione, la riabilitazione e il reinserimento dei bambini reclutati come soldati.
Sollecito le autorità nordcoreane ad adottare provvedimenti concreti e tangibili per migliorare la situazione dei diritti umani e invito al riguardo le autorità di Pyongyang ad autorizzare le ispezioni di ogni tipo di struttura carceraria da parte di esperti internazionali indipendenti e a permettere ai relatori speciali dell’ONU di visitare il paese. Invito inoltre le autorità nordcoreane a revocare le restrizioni che limitano la capacità degli operatori internazionali di monitorare la distribuzione degli aiuti e ad assicurare che tali aiuti raggiungano chi ne ha bisogno.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Questa risoluzione sulla relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2009 e sulla politica dell’Unione europea in materia comprende un dettagliato elenco delle violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Vanno qui ricordati l’incrollabile determinazione e gli impegni di lunga data del Parlamento europeo per la difesa dei diritti umani e della democrazia nel mondo mediante l’applicazione di una politica ferma ed efficace per la difesa dei diritti umani nell’Unione europea.
Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, abbiamo un’opportunità storica per affrontare le rimanenti carenze della politica dell’Unione europea in materia di diritti umani e democrazia. Mi associo alla relatrice nella richiesta della piena osservanza da parte del servizio europeo per l’azione esterna delle finalità e dello spirito del trattato di Lisbona, per garantire che il rispetto e la promozione dei diritti umani siano al centro dei vari settori di intervento della politica esterna dell’Unione.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ieri il Parlamento europeo ha assegnato il Premio Sacharov per la libertà di pensiero al cittadino cubano Guillermo Fariñas, che non ha potuto presenziare alla cerimonia; la sua sedia era vuota perché il governo cubano non gli avrebbe consentito di fare ritorno a casa. Si tratta di un esempio scioccante e simbolico, che ci ricorda brutalmente che la situazione dei diritti umani nel mondo non sta migliorando. La pratica della pena di morte a due passi da noi in Bielorussia, impiccagioni e lapidazioni in Iran, mutilazioni genitali femminili in Somalia, stupri di massa nella Repubblica democratica del Congo, omicidi di giornalisti in Russia, 215 milioni di bambini lavoratori, arresti arbitrari, processi iniqui, censura e numerose altre barbarie richiedono che l’Unione europea sia risoluta e intransigente.
La relazione adottata oggi ci chiede di porre i diritti umani al centro delle azioni di politica esterna dell’Unione, nelle politiche per lo sviluppo, la difesa, il commercio, la pesca, l’immigrazione e la giustizia. L’universalità di questi valori deve essere più importante della geopolitica; il 10 dicembre 2010 è ancora una volta accaduto il contrario, quando 15 paesi hanno vigliaccamente risposto all’esplicita richiesta della Cina di boicottare l’assegnazione del Premio Nobel per la pace al cittadino cinese Lu Xiaobo.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo per l'ottimo lavoro svolto dalla collega Andrikienè. La relazione annuale del Parlamento sui diritti umani – quest'anno relativa al 2009 – è un punto di riferimento per tutti coloro che si interessano alla questione. Stavolta è ancora più importante, perché è il primo dall'entrata in vigore del trattato di Lisbona, che conferisce all'UE maggiori poteri in politica estera. Infatti, la più grande speranza per i diritti umani è l'attuazione del trattato di Lisbona per quello che riguarda la politica estera: il Servizio di azione esterna deve riflettere le priorità e lo spirito del trattato.
Una delle priorità di una politica estera coerente dovrebbe essere la promozione della democrazia e dei diritti umani. Infine, noto che la relazione annuale del Parlamento sui diritti umani non fornisce solo una lunga lista di problemi, suggerisce anche soluzioni. Si registra l'abolizione della pena di morte in alcuni paesi, i progressi sulla violenza sulle donne, sulla protezione dei minori, la lotta contro la tortura, la protezione per gli attivisti dei diritti umani, la promozione della democrazia e della libertà religiosa, eccetera.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Come sempre, il testo finale presenta aspetti positivi e negativi. Tra quelli positivi, va anzitutto menzionato l’emendamento in due parti relativo a Magnitsky, adottato con una larga maggioranza (318 voti favorevoli, 163 contrari e 95 astensioni); gli emendamenti dei gruppi S&D e ALDE sono stati tutti adottati (persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, pena di morte/iniezione letale), così come due emendamenti del gruppo GUE (accesso paritario alla sanità e alle cure sanitarie e Colombia). Tra gli aspetti negativi, dobbiamo citare l’adozione di due emendamenti presentati dalla relatrice (gruppo PPE), relativi allo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani e alla necessità di dedicare più progetti alla democrazia anziché all’alto rappresentante.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Andrikiene perché ritengo sia necessario ribadire ancora una volta che il rispetto dei diritti umani è lo specchio della società moderna. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali, ed è nostro chiaro dovere fare il possibile affinché tale opportunità valga in tutto il mondo. Nonostante negli ultimi anni la politica esterna dell'UE abbia fatto registrare importanti passi avanti, è ancora lunga la strada per adottare una politica condivisa e coerente per la promozione dei diritti umani.
È necessario innanzitutto che Consiglio e Commissione migliorino la capacità dell'Unione europea nella risposta rapida alle violazioni nei paesi terzi. Partendo dalla ferma condanna della pena di morte in tutta l'Unione Europea, bisogna adoperarsi quotidianamente nella conquista e nella riaffermazione dei diritti umani. Al riguardo, Presidente, concludo ricordando come per il Mahatma Ghandi "La tutela dei diritti umani sia il presupposto necessario alla pace", e questo non va mai dimenticato.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) La risoluzione sulla relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2009 e sulla politica dell’Unione europea in materia fornisce una panoramica quasi omnicomprensiva dei problemi legati ai diritti umani in tutto il mondo. La relazione tocca inoltre nuove questioni, quali la protezione dei diritti umani e la lotta contro il terrorismo. Grazie agli emendamenti del gruppo Verde/Alleanza libera europea, è stato inserito un capitolo sul ruolo dei diritti umani nel servizio europeo di azione esterna (SEAE) di recente istituzione. Si tratta di un aspetto molto importante perché, essendo un nuovo strumento, il SEAE può offrirci l’opportunità di riesaminare la politica dell’Unione europea in materia di diritti umani e di difenderli a livello globale in maniera più coerente e decisiva. Offro pieno sostegno alla proposta di nominare un alto rappresentante che, coadiuvato dal suo staff, si occuperà del coordinamento permanente della politica dell’Unione in materia di diritti umani. Il senso del messaggio è chiaro: i diritti umani devono essere al centro della politica estera dell’Unione europea. Il cammino da percorrere è ancora lungo, ma il Parlamento non abbandonerà la sua azione di monitoraggio e questo è un fatto incredibilmente positivo.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione su una nuova strategia per l’Afghanistan. Ritengo che gli aiuti internazionali debbano essere assegnati direttamente alle autorità afghane, senza intermediari. Per quanto riguarda il processo di pace, il ruolo dell’Unione deve consistere nell’accordare al governo Karzai autonomia nella scelta dei propri interlocutori, ribadendo tuttavia i seguenti presupposti: bandire Al Qaeda dal paese, eliminare la coltivazione del papavero da oppio e manifestare la volontà di far valere il rispetto dei diritti umani fondamentali. Per quanto concerne la formazione professionale delle forze di polizia, concordo con gli obiettivi di non limitarsi ad ampliare il numero di poliziotti e soldati, ma di dedicare maggiore attenzione alla formazione, all’organizzazione e ai rapporti della polizia con le istituzioni giudiziarie parallele.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione e sostengo l’adozione di un approccio pragmatico rispetto all’Afghanistan nonché la nuova strategia controinsurrezionale studiata per proteggere la popolazione locale e ricostruire le zone in cui la sicurezza è stata garantita. È necessario accordare alla nuova strategia controinsurrezionale il tempo di dare i propri frutti; si dovrebbe trovare una soluzione politica e si dovrebbero tenere negoziati con tutte le parti coinvolte. Sono convinta che qualsiasi soluzione a lungo termine debba prevedere misure concrete per l’eradicazione della povertà, del sottosviluppo e della discriminazione nei confronti delle donne, per rafforzare il rispetto dei diritti umani e lo stato di diritto, potenziare i meccanismi di riconciliazione, garantire la fine della produzione di oppio, impegnarsi in una solida strategia di consolidamento dello stato e integrare pienamente l’Afghanistan nella comunità internazionale nonché bandire Al Qaeda dal paese. È nostro dovere rendere omaggio ai militari, uomini e donne appartenenti alle forze alleate che hanno perso la vita nel difendere la libertà ed esprimere cordoglio alle loro famiglie e a quelle di tutte le vittime afghane innocenti.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) La situazione in Afghanistan è ancora fonte di preoccupazione: sono trascorsi circa 10 anni da quando la coalizione occidentale ha rimosso i talebani dal potere, ma la pace e la prosperità sono ancora ben lungi dal far parte della quotidianità degli afghani. La strategia impiegata per anni nel paese è errata e va modificata. L’Unione deve far valere le proprie opinioni in materia e prendere atto del fallimento della politica militare statunitense nella regione. Le nostre truppe sono impantanate in una situazione dalla quale non sembra esserci alcuna speranza di uscire in queste condizioni. Per questo ho votato a favore della risoluzione del Parlamento che richiede una nuova strategia per l’Afghanistan. È necessario modificare il sistema utilizzato sinora: dobbiamo affrontare il problema della corruzione e degli sprechi di modo che gli aiuti internazionali possano finalmente risultare efficaci. La pace verrà ristabilita attraverso l’azione civile e la coalizione deve operare un controllo più severo su questi fondi. D’altro canto, dobbiamo smettere di interferire nelle questioni afghane: il governo del paese deve essere libero di trovare il proprio modus vivendi con tutti i gruppi che costituiscono la società afghana. Il cammino verso lo sviluppo è ancora lungo ed è nostro dovere non mettere a repentaglio questi fragili equilibri.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Mi sono astenuto dalla votazione sulla relazione su una nuova strategia per l’Afghanistan. La relazione certamente contiene diversi punti positivi, riconoscendo aspetti molto deprecabili della situazione attuale e la responsabilità della comunità internazionale, in particolare della NATO, dell’Unione europea e degli Stati membri coinvolti a vario titolo nella guerra in Afghanistan e nella “gestione della ricostruzione” del paese. La relazione mette inoltre in luce che il denaro e gli aiuti umanitari forniti non arrivano effettivamente al popolo afghano. Illustra quanto sia negativa e assurda la permanenza delle truppe straniere nel paese dato che, oltre alla questione delle vittime, costituisce la prova che la situazione è peggiorata in termini di povertà del popolo afghano e di rispetto dei diritti delle donne, si è registrato un incremento vertiginoso delle colture oppiacee e sono persino comparse organizzazioni mafiose e corruzione all’interno del sistema di sicurezza privatizzato applicato dagli Stati Uniti. Purtroppo però gli emendamenti presentati dai gruppi conservatori contraddicono il testo originale e lo hanno alterato a tal punto che ora accoglie con favore la “nuova strategia controinsurrezionale”, adotta il calendario annunciato dal Presidente Obama, invoca una maggiore identificazione dell’Unione europea con la NATO e gli Stati Uniti e riconosce l’efficacia dell’azione delle truppe e la necessità che restino nel paese per garantirne la sicurezza.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) A nove anni dall’inizio, l’intervento militare in Afghanistan è forse la maggiore sfida affrontata dall’Europa e dai suoi alleati in termini di intervento estero e di sicurezza mondiale. La verità è che durante l’ultimo decennio, nonostante la massiccia e ininterrotta presenza internazionale nel paese, la sicurezza in Afghanistan è peggiorata. I terroristi continuano a ricevere sostegno e addestramento e, per di più, i principali indicatori socio-economici mostrano risultati insoddisfacenti. Al momento, il principale obiettivo della comunità internazionale e dell’Europa dovrebbe essere incoraggiare la creazione di un governo forte e stabile, in modo da continuare a sostenere il processo di pace, nella misura in cui si rispettino i tre impegni fondamentali elencati nella relazione: (i) l’impegno dell’Afghanistan a bandire Al Qaeda dal paese; (ii) l’eliminazione della coltivazione del papavero da oppio e la lotta al narcotraffico; (iii) la volontà di far valere il rispetto dei diritti umani fondamentali.
All’interno di questo quadro e in conformità con gli impegni internazionali assunti nell’ambito della NATO, la presenza militare in Afghanistan dovrebbe essere progressivamente ridotta garantendo al contempo il sostegno internazionale per il mantenimento della pace e della sicurezza nell’ottica della stabilità dopo l’intervento.
Carlo Fidanza (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione è forse il miglior compromesso raggiungibile oggi sulla nuova strategia europea in Afghanistan, anche grazie ai numerosi e qualificanti emendamenti presentati dal PPE, che l'hanno resa meno ideologica e più pragmatica, in grado di riconoscere le criticità riscontrate in nove anni di missione in territorio afghano, ma anche di individuare le positività e le linee di sviluppo per rendere più efficace la presenza della comunità internazionale e favorire la transizione verso una piena riappropriazione di sovranità da parte delle autorità afghane.
Una risposta solo militare non può bastare, è vero. Ma essa è una premessa indispensabile per indebolire le formazioni talebane, spingendole a recidere ogni legame con Al Qaeda, e quindi a sedersi al tavolo della trattativa. Sicuramente rimane una priorità evitare stragi di civili, ma non dobbiamo in alcun modo privarci della possibilità di utilizzare i droni che stanno dando buona prova di sé nelle zone al confine col Pakistan.
Va rafforzato l'impegno in EUPOL per continuare a formare un corpo di polizia capace di gestire l'ordine pubblico e va intensificata la formazione di magistrati e funzionari amministrativi, in modo da favorire il rafforzamento delle istituzioni afghane, diminuire la corruzione e costruire le condizioni per il ritorno dell'Afghanistan agli afghani.
Joe Higgins (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Questa relazione sottolinea molti dei problemi presenti in Afghanistan, criticando il ruolo dell’occupazione NATO-USA e le violazioni dei diritti umani nel paese, soprattutto la maggiore repressione subita dalle donne e i più alti livelli di povertà. Il movimento contro la guerra aveva lanciato un allarme rispetto a questi problemi sin dall’inizio del conflitto. Mi sono astenuto dal voto perché non potevo appoggiare il sostegno offerto all’occupazione e all’“offensiva” disposta dall’amministrazione Obama; mi sono astenuto anche dalla votazione sugli emendamenti che richiedevano un maggiore sostegno allo Stato afghano. Sono favorevole al rispetto della sovranità del popolo afghano, ma il regime di Karzai è corrotto e non rispecchia gli interessi della maggioranza degli afghani. Chiedo che tutti gli aiuti siano democraticamente controllati dai piccoli agricoltori, dai lavoratori e dai più poveri del paese. Rilevo l’omaggio reso ai militari che hanno perso la vita e a tutti gli afghani vittime di questa guerra, ma non posso tuttavia essere d’accordo con l’affermazione secondo la quale il personale militare ha perso la vita “nel difendere la libertà”: questa è una guerra combattuta nell’interesse dei grandi poteri imperialisti, non nell’interesse dei cittadini.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. – (FI) Dove finiscono i finanziamenti che inviamo in Afghanistan? Accolgo con favore la proposta di risoluzione su una nuova strategia per l’Afghanistan, che mette in luce molto bene i numerosi problemi che interessano il paese.
Come afferma la relazione, non esiste una soluzione militare per l’Afghanistan: se le truppe non sono state in grado di ristabilire la pace nel paese, non sono serviti neppure i finanziamenti inviati. Secondo quanto riferito nella relazione, tra il 2002 e il 2009 oltre 40 miliardi di dollari USA di aiuti internazionali sono stati destinati al paese; dell’importo totale, solo sei miliardi sono andati al governo afghano, mentre la restante parte è stata assegnata mediante altri canali e il 70-80 per cento non ha mai raggiunto i beneficiari designati, ovvero il popolo afghano.
Inoltre, nel periodo dal 2001 al 2009, i costi della guerra in Afghanistan sono ammontati a oltre 300 miliardi di dollari USA. Queste ingenti somme di denaro non stanno però portando benefici al popolo afghano: a trarre vantaggio dal denaro speso in Afghanistan sono piuttosto l’industria bellica, i mercenari e le aziende internazionali. È importante che la relazione metta in luce questa insoddisfacente situazione.
Sandra Kalniete (PPE) , per iscritto. – (LV) Sostengo pienamente l’appello contenuto nella relazione per la ricostruzione dell’Afghanistan e per migliorare la situazione dei diritti umani. è innegabile che oggi la situazione della sicurezza nel paese sia decisamente migliorata rispetto a nove anni fa: gli afghani vivono in una società più libera, le ragazze hanno accesso all’istruzione e i servizi sanitari sono più accessibili rispetto al periodo che vedeva i talebani al potere. Permangono tuttavia gravi problemi rispetto ai quali non si è compiuto alcun passo avanti, in particolare la lotta contro gli stupefacenti, come viene giustamente sottolineato nella relazione. Secondo il parere degli esperti, il 92 per cento dell’oppio nel mondo proviene dall’Afghanistan e viene poi distribuito in tutti i paesi, anche nell’Unione europea. Dobbiamo tenere presente che la coltivazione del papavero da oppio rappresenta una significativa fonte di reddito nelle aree rurali, dove è difficile trovare altre forme di sostentamento: per questo la distruzione delle piantagioni di papavero da oppio è una soluzione inefficace se non vengono offerte forme alternative di guadagno.
Il governo afghano deve fare un uso più proficuo degli aiuti internazionali per sviluppare le piccole imprese e l’agricoltura nelle regioni dove attualmente si coltiva l’oppio. Nonostante i significativi investimenti dell’Unione europea per la ricostruzione dell’Afghanistan, resta ancora molto da fare. L’aspetto più importante è garantire la sicurezza. Vorrei sottolineare che un ritiro prematuro delle truppe dal paese rappresenterebbe non solo un pericolo per la popolazione locale e una minaccia per il mondo democratico, ma determinerebbe anche la distruzione di quanto di buono è stato realizzato finora. I cittadini hanno pagato un prezzo molto alto per la pace in Afghanistan; non dobbiamo deluderli.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Il relatore ha deciso di concentrarsi esclusivamente su quattro settori nel cui ambito, a suo avviso, le azioni mirate potrebbero portare a cambiamenti reali: aiuto internazionale, implicazioni del processo di pace recentemente avviato, impatto della formazione della polizia ed eliminazione della coltivazione dell’oppio. Pur non appoggiando tutte le conclusioni tratte nella relazione, ho espresso voto favorevole per questo contributo utile e ben meditato al dibattito sull’Afghanistan.
Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione su una nuova strategia per l'Afghanistan va giudicata nel complesso positiva e quindi il mio voto è favorevole. Gli enormi problemi che permangono oggi in Afghanistan, ognuno di natura diversa e tutti di straordinaria importanza per il futuro del paese mediorientale, chiedono di essere affrontati secondo una logica nuova, con una diversa definizione delle priorità rispetto a quanto fatto finora.
La questione primaria, come è espresso correttamente nella relazione che andremo a votare, è il fatto che “non vi può essere stabilità o pace in Afghanistan senza che lo Stato garantisca innanzitutto la sicurezza dei suoi cittadini e assuma le proprie responsabilità”. In questo senso spero che il relatore riconsideri la parte dove parla dell’utilizzo dei droni, magari attraverso un emendamento orale.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Questa relazione dipinge un quadro disastroso delle conseguenze della guerra in Afghanistan, guidata dalla NATO con la complicità e l’appoggio dell’Unione europea. È deplorevole che la relazione non condanni la guerra ed esiti tra il mantenimento sul campo delle forze militari della NATO e l’attuazione del necessario ritiro. Malgrado questo, ho deciso di astenermi dal voto in considerazione di tutte le importanti critiche contenute nella relazione.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Non ho appoggiato questa relazione perché, non solo non propone il ritiro immediato delle truppe europee, ma “accoglie con favore e sostiene” il piano di rafforzare l’azione dell’Unione europea. Analogamente, mette appena in discussione il ruolo svolto dall’International Security Assistance Force (ISAF) e le gravi violazioni dei diritti umanitari commesse. Ritengo positivo che si citino le dichiarazioni del generale Stanley McChrystal secondo le quali non si ravvisano segnali di una presenza di Al Qaeda nella regione tale da giustificare il dispiegamento di truppe nel paese. Giudico positiva anche la richiesta che la formazione della polizia cessi quanto prima di essere affidata ad aziende private, assieme al considerando nel quale si afferma che non si intravede alcuna conclusione certa della guerra in Afghanistan per via del militarismo e del bellicismo adottati sinora. Il mio impegno fermo e coerente per i valori pacifisti mi ha portato a non appoggiare questa relazione e criticarla perché di spirito e interesse diametralmente opposti alla necessità di smilitarizzare la politica estera e le relazioni estere dell’Unione europea.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) In linea generale, il relatore ha identificato correttamente la situazione in Afghanistan, mostrandosi consapevole del fatto che le risorse e le truppe sono impiegate in modo del tutto errato nel paese e che risorse e truppe aggiuntive non cambierebbero la situazione. Ha giustamente riconosciuto che la presenza e l’atteggiamento sprezzante della coalizione rappresentano il motivo primario del totale rifiuto manifestato dalla popolazione locale. Riconosce inoltre che non è possibile imporre la democrazia e i valori occidentali al popolo afghano. Ritengo tuttavia che meriti delle critiche per l’insistenza su temi come i diritti delle donne che, sebbene molto importanti, sono del tutto inaccettabili a livello locale e rendono quindi l’intero processo di pace ancora meno probabile.
Inoltre, pur segnalandone gli effetti negativi, il relatore chiede più truppe e più risorse per l’Afghanistan. Sono convinto che la guerra afghana sia ingiusta e che continuare l’occupazione del paese non arrecherà alcun beneficio né all’Europa né allo stesso Afghanistan. La prima linea di difesa dell’Europa non si trova lungo l’Hindu Kush. Per questo ho espresso voto contrario a questa relazione.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Gli Stati membri dell’Unione europea che stanno combattendo al fianco degli Stati Uniti nella guerra in Afghanistan dovrebbero ritirare le truppe dal paese prima possibile. Tra non molto, saranno dieci anni che si combatte in Afghanistan e non la situazione della sicurezza non è ancora minimamente migliorata; al contrario, i talebani si stanno rafforzando. L’Europa sta sprecando le proprie risorse, anziché impiegarle dove sono più necessarie, per esempio al confine con i Balcani. È difficile comprendere quali siano in realtà gli interessi europei da difendere lungo l’Hindu Kush. Sembrerebbe che l’obiettivo primario non sia stabilire una democrazia in Afghanistan secondo il modello occidentale, come affermano gli americani, ma siano piuttosto gli interessi economici a rivestire un ruolo cruciale. Secondo il New York Times, si stima che in Afghanistan giacciano sepolte risorse naturali del valore di circa 1 miliardo di dollari. Ovviamente, all’Unione europea viene chiesto di aiutare gli USA nel lo sfruttamento indisturbato di queste risorse. Per questo motivo, ho espresso voto contrario alla relazione.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Questa relazione su una nuova strategia per l’Afghanistan è stata redatta sulla scia della riunione del consiglio “Affari esteri”, durante la quale si è discusso come procedere nell’attuazione del Piano d’azione per l’Afghanistan e il Pakistan ed è stata presentata la prima relazione semestrale di attuazione.
Esprimo il mio totale sostegno a una strategia finalizzata a proteggere la popolazione e ricostruire le zone in cui la sicurezza è garantita, nonché a soluzioni politiche che prevedano la partecipazione ai negoziati di tutte le parti coinvolte. Accolgo con favore l’obiettivo del trasferimento graduale alle forze afghane delle responsabilità in materia di sicurezza, da concludersi entro il 2014.
Appoggio senza riserve l’invito del Parlamento alla Commissione a garantire la totale trasparenza in relazione all’assistenza finanziaria fornita al governo afghano, alle organizzazioni internazionali e alle ONG locali. Solo mediante un sistema trasparente potremo mantenere la coerenza degli aiuti e ottenere esiti positivi rispetto al nostro obiettivo ultimo: la ricostruzione e lo sviluppo dell’Afghanistan,.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo con il collega Arlacchi. La relazione approvata oggi propone di articolare la nuova strategia dell’UE per l’Afghanistan su quattro fattori chiave: il sostegno pieno ai negoziati di pace tra il governo Karzai e i Talebani e gli altri gruppi insurrezionali; un grande piano di formazione della polizia afghana; l’eliminazione delle coltivazioni di oppio; la cessazione dello scandalo degli aiuti internazionali che svaniscono per l'80% lungo il percorso tra i paesi donatori e l’Afghanistan. Per quanto riguarda l'ultimo punto sopra citato, si nota che gli aiuti internazionali all'Afghanistan finiscono in tangenti, forme di ''corruzione legalizzata'' e ruberie di ogni tipo e spesso finanziano il nemico.
A partire dal 2002 la sola UE ha versato al martoriato paese 8 miliardi di euro e nonostante ciò la mortalità infantile è aumentata, i livelli di alfabetismo sono calati e l'incidenza di quanti vivono al di sotto della soglia di povertà è aumentata del 130% nei soli ultimi sei anni. Per porre rimedio alla mancanza di coordinamento e trasparenza tra i donatori internazionali, si invita l’UE ad istituire una banca dati centralizzata di tutti gli aiuti dell’UE e a stanziare maggiori fondi direttamente a progetti concreti in partnership con le istituzioni afghane.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione adottata oggi si basa sulle ampie consultazioni che hanno impegnato il relatore negli ultimi sei mesi sulla situazione in Afghanistan e ai suoi rapporti con la comunità internazionale, nel tentativo di spiegare le cause degli scarsi risultati ottenuti nel paese malgrado i notevoli finanziamenti e l’impegno profusi negli ultimi nove anni. In Afghanistan il divario tra speranza e realtà è più evidente che mai e pertanto la nuova strategia dell’Unione europea nel paese deve partire da questa premessa. La relazione è incentrata esclusivamente su quattro settori nel cui ambito le azioni mirate potrebbero portare a cambiamenti reali: aiuto internazionale, implicazioni del processo di pace recentemente avviato, impatto sulla formazione della polizia ed eradicazione della coltivazione dell’oppio.
Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. – (EN) La relazione contiene utili accenni alla missione NATO/ISAF, ai gravi problemi dell’analfabetismo e del maltrattamento delle donne, alla corruzione endemica e alla necessità di nuove idee. Sarebbe bastato limitarsi a questo, ma si è invece deciso di non astenersi dalle costanti critiche rivolte alla coalizione e, implicitamente, agli Stati Uniti, cercando in vari modi di elevare il ruolo dell’Unione europea. Si sono chiesti maggiori “fondi dall’Unione europea”, quando chiaramente non c’è bisogno di più denaro, ma di un migliore controllo e impiego dei notevoli importi già stanziati. Di conseguenza, il gruppo ECR ha deciso di astenersi dalla votazione.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione, in quanto il Parlamento europeo con questo documento sta rafforzando il proprio ruolo nell’ambito delle relazioni con la Commissione. Concordo con la commissione per gli affari esteri sull’importanza che il Parlamento sia in grado di esercitare in modo efficace e tempestivo le proprie prerogative e che la Commissione informi attivamente il Parlamento in merito ad ogni progetto di misure, progetto di misure modificato e progetto di misure definitivo che intende adottare, conformemente all’articolo 291 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea; questo articolo sancisce che, allorché siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione e le competenze di esecuzione sono conferite alla Commissione, l’esercizio di tali competenze di esecuzione è sottoposto al controllo esclusivo degli Stati membri. Ritengo che alla luce della specificità e della sensibilità politica degli atti di esecuzione da adottare nel quadro degli strumenti di assistenza finanziaria esterna e in linea con la pratica stabilita attraverso il dialogo di controllo democratico, il Parlamento debba avere la possibilità di contribuire al processo volto a definire il contenuto dei progetti di atti di esecuzione da adottare nel quadro degli strumenti di assistenza finanziaria esterna.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Nell’architettura dell’Unione europea, il ruolo della Commissione è simile a quello svolto da un governo in uno Stato classico. La Commissione dispone di iniziativa legislativa, ma anche del potere di attuare regolamenti, direttive e decisioni e può quindi essere ritenuta il ramo esecutivo dell’Unione. È dotata di poteri derivati che le permettono di adottare misure volte ad attuare i testi approvati mediante la procedura legislativa ordinaria. Proprio come i regolamenti e le circolari devono rispettare in Francia le leggi in vigore, così gli atti di esecuzione della Commissione non sono autonomi rispetto alle leggi europee. È possibile tuttavia che nell’esercizio di tale potere, la cui attuazione risulta piuttosto naturale, la Commissione ecceda le proprie prerogative, il più delle volte involontariamente. Per ragioni democratiche spetta alle altre istituzioni dell’Unione europea monitorare l’attività della Commissione, affinché la ripartizione delle competenze venga rispettata. Per questo ho votato a favore della presente proposta di regolamento che stabilisce i principi generali per il controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Non ho potuto votare a favore della relazione, poiché sacrifica poteri recentemente e duramente acquisiti dal Parlamento europeo nell’ambito del commercio internazionale a vantaggio di un accordo con il Consiglio sulle competenze di esecuzione in altri settori.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La proposta della Commissione costituisce un attacco concertato contro la democrazia. La presente relazione si accontenta di modificare la situazione, senza tuttavia denunciarla. La Commissione rappresenta l’unico gruppo di funzionari in tutto il mondo che sfugge al controllo del proprio governo (il Consiglio). Voterò contro questo ennesimo gesto autoritario.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Da sempre sono visibili sforzi per centralizzare il controllo all’interno dell’Unione europea. Questi tentativi sembrano essere cresciuti di recente parallelamente a un aumento della burocrazia, nonostante le dichiarazioni per sostenere il contrario. Deve rimanere di competenza degli Stati membri decidere quali poteri desiderano cedere all’Unione europea e/o alla Commissione e questo non può essere modificato da una sentenza della Corte di giustizia europea, la quale sembra perseguire da anni il principio di uno Stato centralizzato nelle proprie sentenze. Allo stesso modo, questo principio non deve essere impiegato per strumentalizzare il trattato di Lisbona né deve essere perseguito con il pretesto della gestione delle crisi. A livello teorico, esiste una chiara accettazione del principio di sussidiarietà, sebbene quest’ultimo sia tuttavia frequentemente ignorato o evitato nella pratica. Ho votato a favore della relazione, in quanto si oppone in sostanza a questa tendenza.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Il compromesso raggiunto permette di includere la Politica Commerciale, compresi gli strumenti di difesa commerciale, nel quadro generale della comitologia. Tale approccio è del tutto coerente ed in linea con lo spirito e la lettera del Trattato di Lisbona. In particolare, condivido appieno la necessità di rafforzare il processo decisionale ed attuativo, attribuendo alla Commissione gli idonei strumenti nell’interesse comune dell’UE, degli Stati membri e di tutti gli operatori economici. Sostengo il principio che la Commissione adotti misure definitive antidumping e antisovvenzione e che gli Stati membri votino in base alla maggioranza qualificata.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La presente relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione è motivata dalle nuove regole in merito agli atti di esecuzione introdotte dal trattato di Lisbona.
Si tratta di una questione delicata, non da ultimo in materia di agricoltura e pesca. Con l’attuale sistema della comitatologia, la Politica agricola comune interessa la maggior parte degli atti.
In seguito all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, le attuali disposizioni di comitatologia dovranno essere sostituite da atti delegati e atti di esecuzione a norma degli articoli 290 e 291 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
I problemi in merito all’adeguamento della legislazione esistente alle disposizioni del trattato di Lisbona rivestono la massima importanza, soprattutto per quelle politiche, come la PAC e la Politica comune della pesca che non sono trattate con la procedura di codecisione.
Solo la sperimentazione di una nuova legislazione, profondamente modificata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, sarà in grado di indicare se la strada intrapresa condurrà all’attuazione e all’efficacia delle politiche europee.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) In termini generali, la relazione è stata accolta positivamente da tutti i gruppi e gli emendamenti presentati dalla commissione riflettono l’intesa raggiunta tra il Consiglio e la Commissione per un accordo in prima lettura. Il nostro gruppo è a favore del suddetto accordo.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione, in quanto si rende necessario un meccanismo permanente anti-crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria dell’euro. Il meccanismo europeo di stabilità e/o il Fondo monetario europeo devono fondarsi sulla solidarietà, essere soggetti a rigide regole di condizionalità ed includere tra le fonti di finanziamento le sanzioni pecuniarie applicate agli Stati membri a seguito di procedure per deficit, debito e squilibri eccessivi. A mio avviso è altresì importante che il finanziamento del meccanismo permanente anti-crisi si basi sul principio del “chi inquina paga”, nel senso che gli Stati membri che creano rischi maggiori con i propri deficit e con il proprio indebitamento dovranno contribuire con una quota maggiore. Queste sanzioni rappresentano uno dei mezzi per evitare nei paesi partecipanti alla zona euro crisi economiche e finanziarie come quella che si è verificata in Grecia alcuni mesi fa e che ancora persiste.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La lotta contro i lavoratori, i lavoratori autonomi e i piccoli coltivatori costituisce una scelta strategica dei governi borghesi e dell’Unione europea per sostenere la redditività del capitale. Il debito e il deficit sono solo semplici pretesti. Tutti i governi nazionali degli Stati membri appartenenti alla zona euro e l’Unione europeo sono chiamati ad aumentare l’adozione e l’applicazione di misure ancora più brutali, barbare, antipopolari e dannose per il lavoro, coordinate dall’Unione europea, dalla Banca centrale europea (BCE) e dal Fondo monetario internazionale (FMI). Il vertice creerà un meccanismo di sostegno, il quale rappresenta in sostanza un meccanismo di bancarotta, mentre la discussione sulle risorse e la partecipazione di capitale privato sono fumo negli occhi per i lavoratori. L’obiettivo è di garantire che la plutocrazia non fallisca. Il capitale rende i mercati più visibili per il regolatore assoluto dei meccanismi comunitari e modifica il trattato di Lisbona in modo tale da salvaguardare i suoi profitti, sfruttando eccessivamente i lavoratori e saccheggiando la ricchezza che producono. La governance economica rafforzata viene imposta per controllare le ristrutturazioni capitalistiche e per aumentare gli attacchi contro la vita e i diritti dei lavoratori. Alla luce di questa aggressione totale da parte del capitale e della plutocrazia, c’è urgente bisogno di una manifestazione popolare più ampia per invertire radicalmente le correlazioni del potere a beneficio di un’alleanza del popolo, per ottenere l’uscita dall’Unione europea, nonché il potere e un’economia popolare.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Giovedì 16 dicembre 2010 i capi di Stato e di governo hanno concordato il mantenimento dei meccanismi di solidarietà finanziaria adottati diversi mesi fa come risposta alla crisi, per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo complesso, in caso di difficoltà di uno o più Stati membri aderenti all’euro. La concessione dell’assistenza finanziaria resta tuttavia soggetta a requisiti molto severi, che ritengo necessari. Come nella risoluzione del Parlamento, accolgo con favore l’impegno adottato dagli Stati membri, a dimostrazione di una vera e propria solidarietà europea; una solidarietà infallibile è oggigiorno la migliore risposta che possiamo fornire ai mercati.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto – (LT) Quest’anno sono state adottate decisioni importanti atte alla creazione di un quadro dell’Unione europea per la governance economica e la supervisione finanziaria. L’Unione europea vedrà l’avvio del Comitato europeo per il rischio sistemico, responsabile della vigilanza prudenziale sul sistema finanziario, onde prevenire periodi di turbolenze finanziarie diffuse e contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, garantendo in tal modo un apporto duraturo del settore finanziario alla crescita economica. Condivido la proposta di creare un meccanismo europeo di stabilità permanente e quindi di consolidare ulteriormente la governance economica per garantire un’efficace e rigorosa opera di vigilanza e coordinamento economico fondata sulla prevenzione. Appoggio la proposta secondo la quale gli Stati membri non appartenenti all’area euro devono avere la possibilità di essere coinvolti nella creazione di tale meccanismo e, se necessario, ricevere assistenza finanziaria.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione del Parlamento europeo, la quale discute la necessità degli Stati membri di creare un meccanismo permanente anti-crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria nella zona euro nel suo complesso. Tale strumento punta ad un’efficace e rigorosa opera di vigilanza e coordinamento economico fondata sulla prevenzione e atta a ridurre notevolmente in futuro il rischio di insorgenza di nuove crisi. Per snellire l’attuale processo di coordinamento politico-economico e rimuovere le sovrapposizioni, nonché assicurare che la strategia dell’Unione europea risulti comprensibile agli operatori di mercato e ai cittadini, si rende necessario adottare approcci più integrati e cambiare il processo decisionale. Anch’io credo si debba rafforzare la partecipazione del Parlamento europeo nelle procedure legislative in merito al meccanismo anti-crisi, migliorando la responsabilità democratica e affidandosi alla competenza, indipendenza e imparzialità della Commissione. Considerando che il meccanismo europeo di stabilità mira ad integrare il nuovo quadro di governance economica rafforzata, il Parlamento europeo invita la Commissione a presentare una comunicazione che, previa consultazione con la Banca centrale europea, illustri in modo particolareggiato il meccanismo permanente anti-crisi.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulla creazione di un meccanismo permanente anti-crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria nella zona euro, alla luce della sua necessità nell’attuale crisi economica e finanziaria.
Sostengo la presente risoluzione, in quanto chiede che il meccanismo si ispiri al metodo comunitario, che implica un processo decisionale a livello europeo. Disporre di un meccanismo permanente anti-crisi è proficuo per tutti gli Stati membri, compresi quelli che non hanno ancora adottato l’euro, considerando l’interdipendenza delle economie europee.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo contro espresso voto contrario alla risoluzione, in quanto non condividiamo le posizioni adottate sui problemi finanziari che gli Stati membri stanno vivendo, senza considerare le loro cause e senza presentare misure fondamentali per identificare una soluzione definitiva. Tali soluzioni comprendono l’abolizione immediata del Patto di stabilità e crescita, la tempestiva modifica dello statuto e degli orientamenti della Banca centrale europea, la fine immediata della liberalizzazione del mercato dei capitali e dei derivati, nonché la sollecita abolizione dei paradisi fiscali.
Poiché l’Unione europea non vuole adottare nessuna di queste misure, sta optando per posizioni che riducono a stento l’attuale problema, ma che dipendono significativamente dal mercato finanziario e dai paesi più ricchi.
La risoluzione insiste sull’imporre sanzioni agli Stati membri che non rispettano le norme stabilite, in particolar modo quelle contenute nel Patto di stabilità e crescita, le quali aggraveranno la situazione complessiva dei paesi con le economie più deboli.
Il punto più importante è dunque costituito dagli interessi delle maggiori potenze, come la Germania, e la tanto annunciata solidarietà è perciò ancora assente.
Jim Higgins, Seán Kelly, Mairead McGuinness e Gay Mitchell (PPE), per iscritto. – (EN) Abbiamo votato contro la base imponibile consolidata comune per le società (CCCTB), ma non abbiamo voluto respingere altri aspetti importanti della presente relazione. Il nostro sostegno alle disposizioni generali non deve tuttavia essere letto come un appoggio alla CCCTB.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione, in quanto si rende necessario creare un meccanismo permanente anti-crisi credibile, solido, duraturo e ancorato all’essenzialità dei dati reali, nonché ispirato al metodo comunitario, garantendo pertanto la stabilità di mercato e una maggiore certezza.
Iliana Ivanova (PPE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sul meccanismo permanente anti-crisi che perché, durante le discussioni in seno alla commissione per gli affari economici, i testi concernenti la creazione di un tasso minimo imponibile per le società del 25 per cento nell’Unione europea sono stati eliminati. Sostengo fermamente il mantenimento delle politiche fiscali nazionali per gli Stati membri. É fondamentale salvaguardare la concorrenza fiscale come strumento atto ad agevolare la coesione e ad aumentare la crescita economica dell’Unione europea. Come potremmo altrimenti promuovere la competitività dell’Unione europea, se eliminiamo uno dei migliori strumenti volto a favorirla e cosa risolveremmo armonizzando le imposte senza avere il consenso di tutti gli Stati membri? Sostengo altresì la proposta secondo la quale gli Stati membri che creano rischi maggiori con i propri deficit e con il proprio indebitamento dovranno contribuire con una quota maggiore, in quanto tale punto incoraggerebbe senza dubbio una rigorosa disciplina di bilancio, accrescendo il valore aggiunto derivante da una adeguata politica economica e fiscale.
Bogusław Liberadzki (S&D), per iscritto. – (PL) Mi preoccupa fortemente la creazione di un meccanismo permanente anti-crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria nella zona euro. Tale questione è di fondamentale importanza per i paesi appartenenti all’area dell’euro e per i restanti Stati membri dell’Unione europea, dove vivono oltre 150 milioni di cittadini dell’Unione. La stabilizzazione della moneta contribuirà a soddisfare le loro ambizioni di entrare in quest’area e potrà proteggere l’intero sistema da un’ulteriore turbolenza. La risoluzione non risolve alcun problema di per sé, ma può inviare un messaggio forte al Consiglio e alla Commissione, nonché agli Stati membri, dando voce alla ferma intenzione del Parlamento di rafforzare l’approccio dell’Unione e la solidarietà europea. Ho votato a favore della presente risoluzione e nutro grandi speranze a riguardo.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la presente risoluzione e in particolare l’emendamento orale dell’onorevole Hughes, che invita il Consiglio a fornire il necessario segnale politico per un’indagine da parte della Commissione su un futuro sistema di eurobond, con una chiara specificazione delle condizioni alle quali un siffatto sistema sarebbe benefico a tutti gli Stati membri partecipanti e alla zona euro nel suo insieme.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La presente relazione sostiene la creazione del meccanismo europeo per la stabilità finanziaria e i tagli sociali che ne derivano. Richiede la piena conformità ai regolamenti del Fondo monetario internazionale e stabilisce il controllo della Commissione europea sui bilanci nazionali. Ho pertanto espresso voto contrario alla presente relazione, che condanno.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La proposta di risoluzione presentata oggi, ingannevolmente intitolata “Creazione di un meccanismo anti-crisi”, rappresenta di fatto un tentativo disperato da parte degli imperialisti dell’Unione europea di unire tutti gli Stati membri dell’Unione ad un destino comune europeo, seguendo il principio “uniti stiamo in piedi, uniti cadiamo”. Sin dall’inizio, l’euro è stato una costruzione calcolata male e destinata a fallire; è impossibile raggruppare economie nazionali completamente diverse sotto una moneta unica condivisa. Senza il desiderio di una maggiore integrazione o di trasferire le imposte tra i popoli dell’Europa, sarà necessario abolire l’unione monetaria esistente e crearne una con una valuta forte. Meglio quindi una fine spaventosa, che uno spavento senza fine. Per questo ho espresso voto contrario alla presente proposta di risoluzione.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Cari colleghi, ribadisco quanto affermato ieri nel corso del dibattito e sono molto contento per l'approvazione dell'emendamento 12, anche se io avrei inserito un riferimento ancora più diretto. E' necessario trovare degli strumenti nuovi e innovativi per finanziare il meccanismo anticrisi. Con l’emissione di Eurobond lo Strumento Anticrisi si finanzierebbe sul mercato attingendo dai capitali stranieri e da chi vuole fare investimenti, senza alcun gravame sui bilanci nazionali. Un meccanismo basato unicamente sulla contribuzione per quote, sotto forma di mero accantonamento di riserve, comporterebbe un forte aggravio per gli Stati che dovrebbero trovare mezzi o capitali da dover depositare senza però portare alcun rendimento o ritorno. In una situazione come quella attuale, in cui da un lato si chiede agli Stati di attuare politiche rigorose in materia di bilanci per ridurre deficit e debito e dall'altro si chiedono contributi per la partecipazione al Fondo anticrisi, si rischia davvero il collasso.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La presenta risoluzione invita, tra le altre cose, il Consiglio europeo a precisare al più presto possibile le modifiche al trattato che sono necessarie per istituire un meccanismo europeo di stabilità permanente. Il Parlamento ricorda di aver accolto con favore l’istituzione di un meccanismo di stabilità finanziaria che affronti i rischi di base dei debitori sovrani, utilizzando in parte l’articolo 122 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) come base giuridica di questo piano, ed ha rilevato le relative mancanze in termini finanziari e di responsabilità del pacchetto di interventi di salvataggio decisi dal Consiglio senza la consultazione del Parlamento europeo. Il testo chiede altresì che il Parlamento venga coinvolto in qualità di colegislatore nelle prossime decisioni e proposte per uscire dalla crisi e sottolinea da un punto di vista razionale, pratico oltre che democratico, che l’esame del pacchetto legislativo sulla governance economica non può essere disgiunto dalla decisione del Consiglio europeo di creare un meccanismo permanente anti-crisi.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione che chiede il ripristino della democrazia nella Repubblica della Costa d’Avorio a seguito delle elezioni presidenziali avvenute il 28 novembre 2010. La decisione illegale da parte del Consiglio costituzionale del paese, i cui membri hanno eletto il presidente uscente, di cambiare i risultati dichiarati dalla commissione per le elezioni, in violazione di una norma che il Consiglio costituzionale stesso ha il dovere di rispettare, è in contrasto con la volontà dei cittadini ivoriani espressa durante le votazioni. Questa decisione deve essere rovesciata, poiché, in caso contrario, il paese non sarà capace di liberarsi dallo stallo politico postelettorale e gli atti di violenza già registrati aumenteranno. Per il benessere dei cittadini della Costa d’Avorio e la pace nel paese, sostengo pertanto l’appello rivolto al Presidente uscente Gbagbo, nonché la richiesta a quest’ultimo di ritirarsi e cedere il potere all’ex Primo ministro Ouattara, al quale gli elettori hanno dimostrato la propria fiducia attraverso il voto.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Per molti anni la Costa d’Avorio ha rappresentato l’archetipo di una decolonizzazione positiva. Da buon allievo dell’indipendenza ritrovata, negli anni Settanta e Ottanta il paese ha sperimentato una crescita considerevole. Sfortunatamente, una crisi politica latente ha minato poco a poco il paese. Le ultime elezioni presidenziali hanno portato al potere il leader dell’opposizione Ouattara, ma il Presidente uscente Gbagbo si è rifiutato di cedere il potere. Da questo momento in poi, il paese è sprofondato in un’incredibile confusione: due partiti stanno lottando per il potere e gravi incidenti sono costati la vita a sostenitori di entrambe le parti. Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo che invita il Presidente uscente Gbagbo a rispettare i risultati delle elezioni e a cedere il potere senza indugio al suo legittimo successore. Il testo sostiene altresì l’azione dell’Unione africana, che al momento sta esercitando pressioni sul paese per garantire il ritorno alla democrazia.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Il modo in cui si è svolto il secondo turno delle elezioni presidenziali nella Costa d’Avorio è deplorevole. Le violenze, che hanno causato morti e feriti, hanno portato all’espulsione degli osservatori internazionali, un fatto che solleva notevoli dubbi circa la regolarità non solo delle elezioni, ma anche degli sviluppi postelettorali nel paese.
Mi auguro che questo paese, che rappresentava in precedenza un modello di democrazia per il continente africano, superi con successo l’impasse del confronto elettorale.
La massiccia partecipazione alle urne, nonostante le tensioni, esprime la grande preoccupazione dei cittadini ivoriani per il futuro del paese. A mio avviso, è necessario rispettare la volontà dei cittadini espressa durante le votazioni in un’elezione che in passato è stata annullata ben sei volte.
La Costa d’Avorio ha l’opportunità di porre fine al decennio di crisi politiche, militari e del governo provvisorio, che hanno diviso il paese tra il Sud lealista e il Nord ribelle. L’unica soluzione praticabile è rispettare la volontà degli elettori.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La situazione in Costa d’Avorio va condannata a tutti i livelli. È preoccupante constatare che la volontà sovrana degli elettori non viene rispettata e che la commissione elettorale indipendente della Costa d’Avorio impedisca al vincitore delle elezioni presidenziali di assumere il proprio incarico dalla Corte costituzionale. Durante il secondo turno delle elezioni, si sono verificati gravi attacchi alle libertà, in un clima di tensione e violenza che ha provocato feriti e vari morti. La situazione politica nel paese è intollerabile, l’atteggiamento della Corte costituzionale è inaccettabile e l’incapacità del Presidente uscente Gbagbo di accettare la sconfitta viola i principi della democrazia e dello stato di diritto.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Sostengo pienamente l’appello rivolto al Presidente uscente Gbagbo nella presente proposta di ritirarsi e cedere il potere al Presidente eletto democraticamente della Costa d’Avorio Ouattara.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Abbiamo il dovere di accertarci che i risultati elettorali provenienti dalle urne siano rispettati, poiché esprimono il volere del popolo della Costa d’Avorio. I risultati comunicati dal Consiglio costituzionale della Costa d’Avorio vanno contro la volontà dei cittadini ivoriani; non possiamo accettare questo attacco anticostituzionale e antidemocratico. Il 28 novembre 2010 il leader dell’opposizione Ouattara è stato dichiarato il legittimo vincitore delle elezioni presidenziali dalla commissione elettorale indipendente della Costa d’Avorio (CEI) e da parte di quasi l’intera comunità internazionale. Per la stabilità del paese e dell’intera regione è fondamentale porre fine il prima possibile alla strategia di stallo messa in atto dal Presidente uscente Gbagbo.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La situazione politica nella Costa d’Avorio è estremamente critica. In linea di principio non credo spetti all’Unione europea fungere da forza di polizia a livello mondiale, in quanto i paesi stranieri devono essere in grado di determinare il proprio destino, senza avere bisogno della benedizione dell’Unione europea o degli Stati Uniti. In questo caso, tuttavia, non siamo di fronte alla volontà dei cittadini ivoriani, ma piuttosto all’assoggettamento tirannico di questi ultimi da parte di una radicata elite. Alcuni anni fa anche in Europa i cittadini sono stati costretti da poteri politici con i necessari mezzi militari a disposizione ad accettare una forma statale piuttosto discutibile. É importante che questi poteri non siano spinti alla violenza dalla posizione in cui si trovano e dobbiamo impiegare mezzi pacifici per esercitare pressioni su tali persone, affinché abbiano vita difficile nel portare avanti simili politiche ingiuste. Ho votato pertanto a favore della proposta di risoluzione.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La presente risoluzione è motivata dalla grave crisi politica e istituzionale che si sta verificando in Costa d’Avorio a seguito del secondo turno delle elezioni presidenziali tenutosi il 28 novembre 2010.
Le elezioni, che sono state monitorate dalle Nazioni Unite (UN) e dall’Unione europea, si sono svolte nell’insieme in modo soddisfacente. Tuttavia, i risultati presentati dalla commissione elettorale indipendente della Costa d’Avorio che annunciavano la vittoria del leader dell’opposizione Ouattara, sono stati respinti dalla Corte costituzionale del paese, la quale ha capovolto l’esito adducendo casi di frode in alcune aree e dichiarando vincitore l’attuale Presidente Gbagbo.
Considerando che l’unica fonte di legittimità democratica è rappresentata dal suffragio universale, i cui risultati sono stati certificati dalle Nazioni Unite, il Parlamento europeo adotta la presente risoluzione (per la quale voto a favore) allo scopo di esortare il Presidente uscente Gbagbo a ritirarsi e a cedere il potere all’ex Primo ministro Ouattara, nonché per condannare fermamente gli atti di intimidazione indirizzati agli osservatori dell’Unione europea. Con la risoluzione, il Parlamento accoglie con favore la decisione del Consiglio europeo di impiegare misure specifiche verso quanti ostacolano il processo di pace e di riconciliazione nazionale e sostiene la decisione dell’Unione di applicare sanzioni nei confronti del Presidente uscente Gbagbo.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ampio consenso oggi sul voto in merito alla situazione in Costa d’Avorio. La risoluzione del Parlamento europeo votata a grande maggioranza dichiara che il Parlamento ritiene il suffragio universale l’unica fonte di legittimità democratica, i cui risultati sono stati certificati dalle Nazioni Unite, e chiede quindi al Presidente uscente Gbagbo di ritirarsi e di cedere il potere all’ex Primo ministro Ouattara. La risoluzione invita tutte le forze politiche e armate in Costa d’Avorio a rispettare la volontà popolare espressa dai risultati del voto del 28 novembre comunicati dalla commissione elettorale indipendente e certificati dal rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite; il testo deplora i violenti scontri che hanno preceduto la proclamazione dei risultati del secondo turno elettorale ed esprime profonda solidarietà alle vittime e ai loro familiari. La risoluzione esprime inoltre il proprio rammarico per l’ostruzionismo politico e i tentativi di intimidazione ai membri della commissione elettorale indipendente, che hanno finito per ritardare la comunicazione dei risultati provvisori, ostacolando così il normale corso del processo elettorale democratico.
Sonia Alfano (ALDE), per iscritto. – Ritengo opportuno che oggi la Commissione sia venuta in Parlamento a relazionare sul divieto di utilizzo di gabbie non modificate per le galline ovaiole che entrerà in vigore a partire dal gennaio 2012. I dati legati all’attuazione non sono molto incoraggianti ed è per questo necessaria un’azione molto severa nei confronti degli Stati membri che per indolenza non si sono mossi per tempo. La messa al bando di queste gabbie è nota dal 1999, gli Stati membri che sono entrati successivamente erano perfettamente a conoscenza di dover fare dei passi in tal senso secondo precise tempistiche. Un rinvio non è accettabile. Le scadenze vanno rispettate per rendere credibile l’azione dell’Unione Europea. Il Trattato impone all’UE di impostare le sue politiche tenendo presente il benessere degli animali come esseri senzienti. Non nascondiamoci sempre dietro il problema della competitività che non va considerato come una questione di quantità e prezzi ma soprattutto di qualità, di sostenibilità ambientale e anche di etica. Il consumo critico e consapevole deve essere alla base di un nuovo modello economico di cui l’UE deve farsi promotrice. E' pertanto opportuno che la Commissione proceda celermente e in maniera determinata per l’attuazione della direttiva 74/99, a tutela degli animali e dei consumatori.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della presente risoluzione, in quanto promuove una certa flessibilità nei confronti di chi ha già iniziato il processo di adeguamento, ma non è stato ancora in grado di portarlo a termine a causa dell’attuale crisi. A partire dal 1° gennaio 2012, l’allevamento di galline ovaiole in gabbie non modificate sarà proibito e questo stabilirà le norme minime per la protezione galline degli animali. É importante sapere se la Commissione può dimostrare i progressi compiuti dagli Stati membri nel processo di adeguamento al divieto di allevare in gabbie in batteria convenzionali le galline ovaiole dal 1° gennaio 2012, quali azioni avvierà contro gli Stati membri i cui produttori non rispettano il suddetto termine e quali misure adotterà per prevenire qualsiasi forma di concorrenza sleale da parte di paesi terzi sul mercato europeo delle uova dopo il 1° gennaio 2012.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Poco più di 10 anni fa, l’Unione europea ha adottato una direttiva intesa alla protezione delle galline ovaiole dalle spaventose condizioni di allevamento adottate da fin troppe fattorie. Sulla base del significativo deterioramento della situazione nel settore, messo a repentaglio dall’aumento dei prezzi dei mangimi a seguito dalla speculazione sul mercato dei cereali, diversi Stati membri hanno richiesto una revisione della direttiva, da attuarsi entro il 2012. A due anni dalla scadenza, molte fattorie non sono neanche lontanamente vicine a soddisfare i nuovi requisiti. L’attuale risoluzione del Parlamento invita la Commissione a rimanere ferma sulla sua posizione. Il testo accoglie inoltre con favore le consultazioni che la Commissione ha avviato con professionisti del settore, esortandola tuttavia a rifiutare la proroga richiesta da alcuni agricoltori. Sono passati ormai 10 anni dall’entrata in vigore della direttiva.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Dopo il 1° gennaio 2012 le uova depositate dalle galline in batterie da meno di 550 cm non potranno più essere vendute, ma molti allevamenti industriali non sono ancora conformi ai requisiti. In caso di mancata ottemperanza al divieto da parte di cui alcuni Stati membri, potrebbe insorgere il rischio di una penuria di uova e un aumento significativo del prezzo al consumo. Questo potrebbe determinare un aumento delle importazioni di uova da paesi terzi, i quali non sempre rispettano le norme dell’Unione europea in materia di salute. Per questo motivo il Parlamento ha suonato il campanello d’allarme, i produttori e gli Stati membri sono stati richiamati all’ordine per agire velocemente, in particolar modo considerando che sino ad oggi hanno avuto più di 12 anni per conformarsi alla legislazione. Ai produttori che hanno investito per rispettare le suddette richieste e agli allevatori di galline deve essere garantita una concorrenza leale all’interno dell’Unione europea.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La questione in oggetto è fondamentale non solo dal punto di vista dell’igiene e del benessere degli animali, ma anche per la necessità di garantire l’applicabilità e l’efficacia della direttiva 1999/74/CE, evitando possibili distorsioni della concorrenza. É già stato dimostrato in altre situazioni riguardanti il trasporto di animali che la mancata applicazione e conformità alla legislazione dell’Unione europea da parte di certi produttori e distributori crea casi di concorrenza sleale e distorsioni di mercato. L’Unione deve manifestare con urgenza la propria capacità coercitiva per l’applicazione e il rispetto delle direttive sul suo territorio, affinché il mercato funzioni in modo più efficiente e senza deviazioni né distorsioni.
Peter Jahr (PPE), per iscritto. – (DE) Il divieto delle gabbie in batteria convenzionali nel 2012 rappresenta un successo enorme per il benessere degli animali. Tali norme devono essere applicate in tutta Europa in modo uniforme, altrimenti sono prive di senso. É fondamentale battersi per questa scadenza su scala europea nell’interesse degli animali e dei produttori che hanno già investito in pratiche di allevamento alternative. Per assicurare pari condizioni di concorrenza, la Commissione deve garantire che le uova prodotte in modo non conforme non siano autorizzate ad arrivare sul mercato europeo. I consumatori devono essere in grado di distinguere le uova e i prodotti derivati dalle uova conformi agli standard europei. Ero il responsabile della tutela del benessere animale per i democratico-cristiani al Bundestag tedesco quando il Parlamento ha adottato il presente divieto e all’epoca ho difeso la risoluzione proprio perché si applicava all’intera Europa. Mi aspetto che la Commissione prenda provvedimenti adeguati per garantire che la scadenza sia rispettata in tutti gli Stati membri. Questo significa che le gabbie in batteria convenzionali non dovranno più essere in uso in Europa dopo il 2012.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, cari colleghi, a partire dal gennaio 2012 entra in vigore il divieto di allevare le galline da uova nelle tradizionali gabbie e il rischio che molte imprese non saranno in regola ci allarma. Temiamo inoltre possibili carenze nell'offerta e aumenti dei prezzi delle uova, considerato che quelle ottenute da allevamenti non conformi alla direttiva 1999/74/CE non potranno essere commercializzate. Ho votato a favore della risoluzione perché non è pensabile ottenere una proroga, ma abbiamo supportato Paesi quali la Spagna e il Portogallo per l'attivazione di uno strumento che garantisca una transizione "soft" per le imprese che hanno iniziato a cambiare i sistemi di allevamento, ma non completeranno il processo prima della scadenza. Non è mia volontà ledere il benessere animale e chiedere una proroga, ma solo sottolineare alcuni capisaldi vanno ribaditi con forza. In primo luogo, per il principio di reciprocità, viene chiesto alla Commissione europea di implementare un sistema di controllo che monitori la qualità delle uova importate nell'UE e garantisca il totale rispetto delle norme e degli standard europei. Successivamente, agli Stati membri viene sollecitata l'inclusione di misure nell'ambito dei Programmi di Sviluppo rurale tali da sostenere il comparto delle galline ovaiole in questa difficile fase.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Sostengo fermamente la presente risoluzione che esige l’attuazione di tutti i provvedimenti contenuti nella direttiva 1999/74/CE sul benessere delle galline ovaiole da parte degli Stati membri entro il termine del 1° gennaio 2012. Il testo dichiara altresì che qualsiasi proroga del termine o una “fase di rodaggio” per alcuni Stati membri è inaccettabile, dato che i produttori hanno già avuto 10 anni di tempo per conformarsi e una simile decisione avrebbe conseguenze gravi per l’efficacia e la tempestiva esecuzione di eventuali future norme sul benessere degli animali. La risoluzione chiede inoltre che la Commissione apra una procedura d’infrazione rapida ed efficace con sanzioni pesanti e dissuasive in caso di mancato rispetto di tutti gli elementi della direttiva.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Sono passati undici anni dall’adozione del provvedimento e risulta incomprensibile che siano stati compiuti così pochi passi avanti verso la sua attuazione. La responsabilità ricade soprattutto sulla Commissione, che in passato ha spesso indebolito i precedenti provvedimenti adottati, cosicché non sono stati più presi sul serio. Se anche questa volta si raggiungerà un facile compromesso, si minerebbe ancora una volta la credibilità dell’Unione europea. Mi auguro vivamente che entro il 1° gennaio 2012 sul mercato non esistano più allevamenti illegali in batteria o almeno che questi allevatori ricevano sanzioni tanto rigide da escludere qualsiasi vantaggio competitivo. Per questa ragione, ho votato a favore della relazione.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore dell’emendamento n. 2 promosso dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), poiché molti produttori hanno già iniziato, o stanno per iniziare, a investire per modernizzare i propri metodi di allevamento. Si tratta di investimenti che non si decidono dalla sera alla mattina e non sarebbe quindi corretto penalizzare questi produttori. Il presente emendamento consentirebbe a molti produttori rumeni e non solo di iniziare i lavori di ammodernamento nei prossimi mesi, evitando quindi il fallimento.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – La direttiva 1999/74 stabilisce che dal 1° gennaio 2012 le gabbie convenzionali non potranno più essere usate. Gli agricoltori europei dovranno scegliere se convertire la loro produzione alle gabbie arricchite (più capienti, per permettere un maggior benessere all'animale), oppure allevare le galline ovaiole a terra, all'aperto o in sistemi biologici. Il 30% degli allevamenti in Europa, secondo recenti indagini, avverrebbe ancora in gabbie tradizionali, e si costatano reali difficoltà nell'adattarsi al nuovo sistema entro i termini previsti dalla direttiva. Questo è per esempio il caso dell'Italia. La Commissione Europea, come da Consiglio dell'Agricoltura dello scorso 22 febbraio, ha stabilito che nessuna deroga è prevista nell'applicazione del divieto. Con un emendamento alla risoluzione, però, è stata raggiunta un'eventuale soluzione alternativa per quei produttori che hanno già cominciato a sostituire i loro sistemi di allevamento in favore delle nuove gabbie. Perciò ho votato in tal senso.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Il benessere degli animali in generale e delle galline ovaiole in particolare è una questione seria. Per provarlo, non solo l’Unione europea ha legiferato in materia con una direttiva del 1999 che vietava l’impiego di gabbie in batteria per le galline ovaiole a partire dal 1° gennaio 2012, ma la trasposizione di tale testo ha provocato un disaccordo tra valloni e fiamminghi nel 2004. Nella presente discussione è fondamentale essere ragionevoli e trovare una soluzione che prenda in considerazione sia il benessere degli animali sia gli interessi economici in gioco. Chi sostiene che le norme comunitarie vanno rispettate, che la concorrenza sleale tra allevatori deve essere impedita e che un periodo di transizione di 12 anni è più che sufficiente per ammortizzare gli investimenti ha senza dubbio ragione.
Hanno però anche ragione gli oppositori che richiedono una maggiore flessibilità nelle norme, soprattutto in questo periodo di austerità, sostenendo che il passaggio alle gabbie modificate o a sistemi alternativi costerà al settore avicolo, che non beneficia di incentivi diretti dalla Politica agricola comune, una ingente quantità di denaro. Per questo sostengo i tre emendamenti presentati dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), i quali riflettono la realtà quotidiana di tutti gli allevatori europei.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Con l’adozione della presente risoluzione, il Parlamento europeo invita la Commissione a mantenere il divieto delle gabbie in batteria dal 1° gennaio 2012, come previsto dalla direttiva relativa al benessere delle galline ovaiole (1999/74/CE), e a opporsi risolutamente a qualsiasi tentativo degli Stati membri di ottenere una proroga. La risoluzione sottolinea che, in linea di principio, qualsiasi rinvio del divieto o deroga allo stesso arrecherebbe un grave pregiudizio al benessere delle galline ovaiole, provocherebbe distorsioni di mercato e penalizzerebbe i produttori che hanno già investito in sistemi privi di gabbie o basati su gabbie modificate. La risoluzione esprime inoltre profonda preoccupazione per il significativo numero di Stati membri e di produttori di uova che sono in ritardo rispetto al termine previsto del 2012.
Csanád Szegedi (NI), per iscritto. – (HU) Sostengo senza dubbio la necessità di trovare una soluzione ai casi in cui un produttore abbia già iniziato a sostituire le gabbie, ma probabilmente non riuscirà a completare il processo prima entro i dodici anni concessi. Questi agricoltori devono ricevere assistenza affinché il processo di ammodernamento delle fattorie venga ultimato il prima possibile, nonostante le risorse insufficienti. Per questo ho votato a favore dell’emendamento proposto.
Artur Zasada (PPE), per iscritto. – (PL) Ho espresso voto contrario alla presente risoluzione, nonostante sia fermamente a favore della tutela del benessere degli animali. È incontestabile la necessità di adeguarsi ai requisiti della direttiva, che introduce il divieto delle gabbie convenzionali, ma dobbiamo concedere lo stesso tempo a tutti gli Stati membri per attuarla. Le difficoltà affrontate da molti produttori europei nell’adeguarsi ai regolamenti che entreranno in vigore il 1° gennaio 2012 causeranno una penuria delle uova destinate al consumo umano nel mercato e un aumento significativo del loro prezzo, nonché una diminuzione della competitività del settore rispetto alle uova importate da paesi terzi e presumibilmente un’interruzione o un ridimensionamento considerevole della produzione. Prima dell’introduzione definitiva del divieto, dobbiamo valutare lo stato di attuazione della direttiva, in quanto tale analisi potrebbe sfociare nella proposta di soluzioni transitorie volte al graduale ritiro delle gabbie non modificate, senza porre i produttori che hanno già ottemperato ai regolamenti in una situazione di svantaggio.
(La seduta, sospesa alle 13.00, è ripresa alle 15.00)
8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
Presidente. – Onorevoli deputati, vi porgo il benvenuto alla sessione pomeridiana. La sessione è ripresa e sarà l’ultima prima della pausa per le feste di Natale e Capodanno. Colgo l’occasione per salutare il comitato esecutivo dell’Associazione per le tombe di guerra tedesche (Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge) del Baden-Württemberg, presieduta da Norbert Nothelfer. Questa associazione, che ha sede nel Baden-Württemberg, si occupa delle tombe delle 90 000 vittime della guerra e della tirannia presenti nel solo Baden-Württemberg. Vi ringraziamo per il vostro lavoro e vi diamo il benvenuto al Parlamento europeo.
10. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sulla Malaysia(1).
Barbara Weiler, autore. – (DE) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli deputati, la Malaysia è un paese bellissimo, che vanta antiche tradizioni e ricchezze culturali. In quanto membri della delegazione dell’ASEAN, abbiamo spesso potuto constatare quanto sia stata rapida e notevole la crescita del paese. Il conseguente aumento di potere economico ha fatto sì che la Malaysia diventasse uno tra primi dieci paesi al mondo per tasso di crescita, un fatto che ci ha colpiti molto favorevolmente. Per questo motivo desidero sottolineare, a nome del mio gruppo, l’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, e di tutti coloro che hanno firmato la risoluzione, che troviamo assolutamente incomprensibile che la Malaysia applichi ancora questa vecchia pratica punitiva che richiama il suo passato coloniale e che noi europei consideriamo quasi medievale.
D’altronde, non siamo i soli a dar voce a questa critica: anche molti avvocati malesi si oppongono infatti a tale pratica, che viola tutti gli accordi sui diritti umani delle Nazioni Unite e che quindi crediamo debba essere bandita rapidamente.
Abbiamo accolto favorevolmente la Carta dei paesi ASEAN, che ribadisce in diversi articoli e nel preambolo che – cito – “la promozione e la tutela dei diritti umani” è tra i requisiti fondamentali della Carta dell’ASEAN, ratificata anche dalla Malaysia.
Già da tempo la Malaysia ha abbracciato i principi della democrazia e quindi anche lo stato di diritto e i relativi standard universali. Non dovremo stancarci di ribadire questo concetto, che il Parlamento europeo sottolineerà tramite la risoluzione in oggetto, quando ci troveremo in Malaysia e nei paesi dell’ASEAN.
Marietje Schaake, autore. – (EN) Signor Presidente, la pratica della fustigazione, che consiste nel picchiare una persona con una canna di bambù, è una forma di pena corporale applicata spesso in Malaysia e questo ci preoccupa, perché è un tipo di punizione inflitta a decine di migliaia di persone, e in particolare immigrati, e perché l’elenco dei reati punibili con questa pratica si sta allungando. La Malaysia sta violando in questo modo l’impegno assunto con la risoluzione 8/8 del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che considera le pene corporali equivalenti alla tortura.
Il procedimento giudiziario che conduce a tale forma di punizione è spesso carente: agli immigrati non vengono fornite informazioni sulle accuse a loro carico oppure viene loro negato il diritto di avvalersi di assistenza legale.
Accogliamo favorevolmente la richiesta esplicita di abolizione della pratica da parte dell’ordine degli avvocati malesi, che rappresenta 8 000 avvocati. Il Parlamento europeo chiede alle autorità malesi di applicare una moratoria sulla fustigazione e su tutte le forme di pena corporale, lavorando al contempo per abolirle de jure e de facto.
La commissione per i diritti umani della Malaysia e il comitato malese per la riforma della legislazione dovrebbero formulare opportune raccomandazioni al governo in merito all’abolizione delle leggi sulla pena corporale.
Barbara Lochbihler, autore. – (DE) Signor Presidente, questa risoluzione condanna la pratica della fustigazione in Malaysia. Il termine fustigazione non va inteso nel senso di un antiquato e innocuo strumento educativo, ma piuttosto come una pratica orribile, degradante e umiliante, vietata dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Chiunque nutra dubbi in proposito dovrebbe prendere visione dei video che documentano come viene inflitta tale pena in Malaysia. Considerando la loro brutalità ed efferatezza, le immagini documentano una pena del tutto equiparabile alla tortura. La Malaysia utilizza questa pratica crudele e umiliante per punire almeno 66 reati minori e circa 1 000 persone all’anno all’interno dei propri istituti carcerari. Negli ultimi anni questa prassi brutale è stata inoltre estesa anche agli immigrati che entrano nel paese senza documenti e ai tossicodipendenti. Si stima che tale pratica coinvolga tra le 350 000 e le 900 000 persone. Esortiamo quindi il governo malese a interrompere immediatamente la pratica crudele, degradante e umiliante della fustigazione e, nel medio periodo, ad abolire le leggi che la consentono.
La Malaysia fa parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, un organismo che, come ha sottolineato l’oratrice che mi ha preceduta, equipara questa pena corporale alla tortura. La Malaysia pertanto farebbe bene a restare in questo organo internazionale, rispettando però i principi che esso rappresenta..
Charles Tannock, autore. – (EN) Signor Presidente, negli ultimi anni la Malaysia è passata ad una forma di governo sempre più islamica, il che è preoccupante dato che la Malaysia, un paese asiatico democratico, sviluppato sotto il profilo economico e situato in posizione strategica, potrebbe essere un importante alleato per l’Unione europea.
Purtroppo, il concetto europeo di diritti umani non è altrettanto diffuso in Malaysia. Tuttavia, mi chiedo perché si sia scelto di concentrarsi proprio su questo paese. La Malaysia è un paese a maggioranza musulmana e queste punizioni, previste dal Corano che rappresenta la massima autorità giuridica per tutti i musulmani, vengono di norma applicate in molti paesi in cui vige la Sharia.
In realtà la fustigazione è una pena relativamente mite rispetto ad altre pratiche punitive estremamente brutali, tra cui l’amputazione, la lapidazione e la decapitazione, utilizzate in alcuni paesi musulmani. La fustigazione va inoltre considerata nel contesto culturale asiatico: anche nella vicina e laica Singapore, ad esempio, viene inflitta la pena della fustigazione e, recentemente, anche la provincia indonesiana di Aceh, che riceve molti aiuti dall’Unione europea, ha introdotto questa pratica, nel rispetto della Sharia.
Negli Stati membri dell’Unione, l’applicazione per tradizione delle pene corporali è giustamente vietata e ci auguriamo che anche la Malaysia un giorno segua il nostro esempio illuminato. A mio parere, però, non è affatto così chiaro che la fustigazione sia illegale ai sensi del diritto internazionale, come sottolinea la risoluzione.
Bernd Posselt, autore. – (DE) Signor Presidente, chi ama qualcuno nutre molte aspettative nei suoi confronti e questo vale anche per i rapporti tra i paesi. Gli Stati ai quali siamo legati da vincoli particolari non rientrano per noi nella stessa categoria delle terribili dittature situate in altri continenti.
La Malaysia è considerata un buon partner dell’Unione europea, la sua costituzione richiama, per certi aspetti, le quelle europee e questo è il motivo per cui prendiamo tanto sul serio quanto avviene in quel paese.
Onorevole Tannock, la fustigazione non è stata introdotta in Malaysia dalla Sharia, ma è un retaggio del colonialismo britannico. Dato che la potenza coloniale britannica non esiste più e il Regno Unito, nel frattempo, si è trasformato, anche la Malaysia dovrebbe cambiare e cercare di abolire questa forma di punizione antiquata e barbara, che viola il diritto internazionale ed i diritti umani.
Voglio essere chiaro su questo punto: la Malaysia è da decenni un paese in cui regna la tolleranza tra gruppi etnici e comunità religiose e dovrà continuare a rimanere tale, in modo da costituire ancora un ottimo partner dell’Unione europea. Ci auguriamo quindi che riesca ad abolire questa forma di punizione barbara.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8 del regolamento)
Charles Tannock (ECR). – (EN) Signor Presidente, desidero porre un quesito all’onorevole Posselt, per il quale nutro un profondo rispetto.
Non sono un esperto di diritto internazionale ma non mi risulta nel modo più assoluto che il diritto internazionale vieti la fustigazione, mentre invece condanna in modo chiaro i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio e così via. A mio parere, quindi, la fustigazione non rientra tra le pratiche vietate dal diritto internazionale. La Convenzione contro la tortura, che la Malaysia non ha ancora ratificato, sancisce che la fustigazione può essere equivalente alla tortura, ma non lo è sempre e necessariamente. Chiedo quindi al collega Posselt di spiegarmi perché ritiene che la fustigazione sia illegale – come ha ribadito in questa sede e come risulta nella risoluzione – e contraria al diritto internazionale. A mio parere, non attenendosi ai fatti si rischia di screditare quest’Aula.
Presidente. – Onorevole Posselt, in realtà l’onorevole Tannock non le ha rivolto alcuna domanda.
Bernd Posselt, autore. – (DE) Signor Presidente, a me invece l’ultimo intervento è sembrato contenere una domanda, cui intendo rispondere sottolineando che la fustigazione costituisce realmente una forma di tortura e che il divieto di ricorrere alla tortura fa parte integrante dei diritti umani e del diritto internazionale, indipendentemente dal fatto che un particolare paese abbia ratificato questi principi.
Marie-Christine Vergiat, autore. – (FR) Signor Presidente, la Malaysia è uno di quei paesi per i quali la cooperazione con l’Unione europea, anche se avviata di recente e ancora di dimensioni relativamente modeste, sembra essere piuttosto positiva, in particolare, naturalmente, sotto l’aspetto economico, ma anche a livello sociale, sul piano dell’istruzione, dei diritti delle donne e dei gruppi più vulnerabili.
La situazione del paese, invece, non è certo ideale in materia di democrazia e diritti umani. Vi sono ancora segnali preoccupanti e la situazione di cui stiamo discutendo oggi ne è purtroppo la prova.
La Malaysia ha firmato alcune convenzioni internazionali, inclusa la Dichiarazione universale dei diritti umani, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle contro le donne (CEDAW) e la Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC), ma si rifiuta ancora di sottoscriverne altre come, in particolare, la Convenzione internazionale contro la tortura. La Malaysia è uno dei paesi in cui viene ancora applicata la pena di morte, obbligatoria nei casi di condanna per traffico di droga. Le pene corporali sono una prassi comune in Malaysia e possono essere inflitte a chiunque: a uomini, a donne – nello specifico quelle accusate di rapporti sessuali illeciti – e anche a bambini – agli scolari che si sono macchiati di gravi forme di disubbidienza. L’aspetto peggiore è che queste pene vengono inflitte ai condannati con l’aiuto di medici i quali, violando l’etica professionale, rianimano i condannati affinché essi possano subire interamente la pena. Un altro aspetto ancor più grave è che, negli ultimi anni, il parlamento malese ha allungato l’elenco dei reati punibili con la fustigazione. Oggi sono previsti più di 60 reati, incluso quello di immigrazione clandestina nel paese. A partire dal 2002, anno di introduzione del reato di immigrazione clandestina, questa punizione, questa tortura, è stata inflitta a migliaia di rifugiati.
Il governo malese deve porre fine a queste pratiche. Ora che il dialogo dell’Unione europea con la Malaysia sembra dare frutto, l’Unione dovrebbe fare il possibile per persuadere la Malaysia a fare progressi in questo settore.
Cristian Dan Preda, a nome del gruppo PPE. – (RO) Signor Presidente, desidero iniziare il mio intervento citando alcuni dati tratti da uno studio condotto questo mese, nel dicembre del 2010, da Amnesty International. Ogni anno in Malaysia vengono sottoposti a fustigazione almeno 10 000 detenuti e 6 000 rifugiati. Si registrano numerosi casi di fustigazione negli istituti di detenzione e, come ha affermato l’onorevole Tannock, purtroppo la Malaysia non è il solo paese ad applicare questo tipo di punizione anacronistica: si parla anche di Singapore.
L’aspetto problematico, nel caso della Malaysia, è tuttavia riconducibile al numero di reati per i quali è prevista la fustigazione: per la precisione si tratta di 66 reati in Malaysia rispetto ai 30 di Singapore. Non stiamo parlando solo di reati sessuali o di atti violenti, ma anche di assunzione di sostanze stupefacenti e, in particolare, di violazione delle leggi sull’immigrazione. Condivido, d’altra parte, il punto di vista del collega, l’onorevole Posselt, che ha sottolineato che la fustigazione è una forma di tortura, una pratica assolutamente vietata ai sensi del diritto internazionale.
Anneli Jäätteenmäki, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, la risoluzione del Parlamento è importante e giunge in un momento opportuno. Ogni anno in Malaysia migliaia di persone vengono sottoposte a fustigazione, una forma di punizione disumana e degradante che andrebbe abolita in tutto il mondo. La fustigazione è una forma di tortura.
Stando ad Amnesty International, una donna mussulmana è stata fustigata l’anno scorso in Malaysia, dove è applicata la Sharia, per aver bevuto della birra. Amnesty International ha anche riferito in merito alla fustigazione di rifugiati e di lavoratori migranti in Malaysia.
Invitiamo il governo malese ad abolire questa forma di punizione corporale e a ratificare il protocollo della Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura, così come il Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Zbigniew Ziobro, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, prendiamo atto con soddisfazione dello sviluppo economico della Malaysia e del miglioramento delle condizioni di vita della sua popolazione; siamo tuttavia al contempo increduli nel leggere la relazione di Amnesty International sull’utilizzo diffuso della fustigazione nel paese. Si tratta di una pena molto dura, il cui utilizzo è spesso spropositato, essendo a volte comminata anche per reati minori e in casi dubbi. A mio parere è particolarmente crudele applicare questa pena per i reati di immigrazione clandestina o a persone non in possesso di documenti validi che si trovano sul territorio malese, compresi i rifugiati politici del Burma.
La natura spietata di questa punizione, tuttavia, nasconde una verità non detta sulle condizioni e sulla natura tradizionale della fustigazione praticata in Malaysia. Molti dei reati minori per i quali è prevista questa pena costituiscono violazioni delle leggi religiose islamiche e dei costumi derivanti da tale legge. Si pensi per esempio al caso di Kartika Sari Dewi Shukarno, condannata per aver bevuto birra in un locale pubblico. Dobbiamo reagire a questa situazione.
Jaroslav Paška, a nome del gruppo EFD. – (SK) Signor Presidente, la Sharia, la legge tradizionale islamica che viene seguita anche in molti paesi moderati, consente di applicare pene corporali in caso di violazione della legge.
È notorio il caso di una modella malese, Kartika Sari Dewi Shukarno, condannata a sei colpi di canna per aver bevuto birra in un locale pubblico. La pena, che avrebbe dovuto essere eseguita in un carcere femminile colpendo con sei colpi di canna di rattan la donna di 32 anni e madre di due bambini, è stata commutata dal sultano malese Ahmed Shah, guardiano dell’osservanza della legge islamica in Malaysia, a tre mesi di lavori socialmente utili.
È andata peggio ad una donna indonesiana di 46 anni, Nasarudin Kamaruddin, che per lo stesso reato è stata punita con sei colpi di canna e un anno di reclusione. Il giudice Abdul Rahman Mohamed Yunos, lo stesso che ha condannato Kartika Shukarno, ha affermato: “Lo scopo del verdetto non è punitivo ma educativo”.
Il viceministro della pubblica istruzione, Wee Ka Siong, ha usato argomentazioni analoghe per difendere la propria decisione, ovvero il ricorso alle pene corporali per i bambini a scuola. Egli ha aggiunto che queste punizioni possono essere eseguite solamente dai presidi o da persone preposte a tale compito, che i genitori dovrebbero esserne informati e che le punizioni devono svolgersi alla presenza di un testimone.
Onorevoli deputati, non stiamo parlando di qualcosa di esotico, ma della vita di ogni giorno nel cosiddetto mondo islamico moderato. Non dobbiamo quindi esitare a fornire sostegno ai cittadini di questi paesi e aiutarli ad abolire punizioni e usanze barbare, sia utilizzando gli strumenti della diplomazia che altrimenti.
Bogusław Sonik (PPE). – (PL) Signor Presidente, dobbiamo assolutamente condannare il ricorso alla fustigazione e a tutte le forme di punizione corporale e di trattamento disumano. La Malaysia non può appellarsi al proprio codice penale, che prevede la possibilità di punire almeno 66 reati con la fustigazione, per giustificare pene crudeli che equivalgono alla tortura e che sono considerate illegali dal diritto e dalle convenzioni internazionali. Le relazioni di Amnesty International sull’aumento del numero di rifugiati e di migranti sottoposti a fustigazione nelle carceri malesi sono allarmanti.
L’Unione europea, che dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona dispone di mezzi più efficaci per favorire la difesa dei diritti umani, dovrebbe dimostrare maggiore intraprendenza nella lotta contro il trattamento brutale di esseri umani in tutto il mondo. L’osservanza dei diritti umani è oltretutto un requisito essenziale che l’Unione europea dovrebbe pretendere dalla Malaysia prima di approfondire ulteriormente la cooperazione politica con il paese.
Ryszard Czarnecki (ECR). – (PL) Signor Presidente, la Malaysia è una tigre economica, è un paese fortemente sviluppato che funge da modello per tutta la regione del sudest asiatico. La tigre si trova tuttavia di fronte a un grosso problema: l’uso della fustigazione come metodo punitivo. Naturalmente, si potrebbe parlare di rispetto dell’identità culturale e del fatto che noi europei dovremmo fare particolare attenzione quando imponiamo i nostri modelli in altri continenti. In questo caso, tuttavia, si tratta di diritti umani che sono indivisibili e trascendono i confini tra continenti, razze e religioni. A mio parere, non solo sarebbe opportuno ma anche necessario che il Parlamento europeo difendesse con fermezza il diritto fondamentale della dignità umana, della quale la fustigazione costituisce sicuramente una violazione.
Monica Luisa Macovei (PPE). – (EN) Signor Presidente, infliggere sofferenze fisiche è contrario alla dignità umana e la fustigazione è una grave violazione dei diritti umani e del diritto di non essere sottoposti a tortura e a trattamenti o punizioni disumani e degradanti.
Ogni anno in Malaysia più di 10 000 individui subiscono questa forma di punizione corporale che, secondo alcuni rapporti, è così dolorosa da far perdere spesso conoscenza alle vittime. Altre relazioni riferiscono che diversi funzionari, preposti all’applicazione della pena, sono disposti ad accettare tangenti per risparmiare i condannati. Questa forma di punizione, quindi, non solo costituisce una grave violazione dei diritti umani, ma consente anche a funzionari statali di commettere un reato approfittando della sofferenza umana.
Chiedo alla Commissione, al Consiglio e anche al governo malese di mettersi immediatamente all’opera per elaborare una moratoria sulla pratica della fustigazione, cui dovrà fare seguito l’eliminazione de jure di questa pena. Bisogna porre fine alla fustigazione attuata per conto del governo.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, trovo deplorevole che in Malaysia la pratica della fustigazione abbia raggiunto proporzioni tanto ampie e sia ancora in aumento. Il governo malese invece di limitare la pratica la sta incoraggiando.
Le autorità, appellandosi ad argomentazioni infondate, sostengono che la fustigazione è legale e dà risultati positivi, nel senso che limita le attività criminali. I funzionari carcerari, inoltre, ricevono incentivi finanziari per fustigare i detenuti. Alcune stime confermano che la situazione è preoccupante: ogni anno la punizione viene inflitta a più di 6 000 rifugiati e di 10 000 detenuti. Credo che il diritto di avere un equo processo sia fondamentale per coloro che provengono dall’esterno della Malaysia; attualmente, invece, a queste persone vengono negati servizi essenziali come l’interpretariato e l’assistenza legale.
Mitro Repo (S&D). – (FI) Signor Presidente, la fustigazione per ingiunzione del tribunale, una pena in cui la persona punita viene legata e picchiata sulla schiena e sulle natiche, è contraria all’etica e costituisce una violazione della dignità umana. In Malaysia, tuttavia, tale pratica ha raggiunto proporzioni epidemiche.
Un paese che considera le pene corporali come un mezzo efficace di prevenzione del crimine non è governato dallo stato di diritto e l’Unione europea non dovrebbe concedere a suddetto paese ulteriori benefici commerciali. Bisogna porre fine a forme punitive crudeli e disumane in qualsiasi paese si verifichino.
Con questa risoluzione il Parlamento chiede giustamente alle autorità malesi di porre immediatamente fine alle pene corporali e alla tortura, sia de jure che de facto.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D). – (PL) Signor Presidente, la fustigazione è stata applicata in Malaysia a partire dal XIX secolo, quando la Gran Bretagna colonizzò la regione. Il governo malese ha recentemente aggiunto ulteriori reati all’elenco di quelli punibili con la fustigazione e la pena viene attualmente inflitta per 66 reati minori. I detenuti condannati alla fustigazione sono trattenuti in carcere, senza avere idea di quando verrà loro inflitta le pena. Amnesty International stima che, ogni anno, vengano comminate circa 10 000 condanne di fustigazione, il 60 per cento delle quali nei confronti di immigrati clandestini che non riescono nemmeno a comprendere le motivazioni della sentenza a causa di barriere linguistiche. Le autorità del paese non ritengono necessario modificare la legge; considerano invece la fustigazione un’efficace misura di lotta alla criminalità.
L’Unione europea coopera da otto anni con la Malaysia. Le prospettive finanziarie dell’Unione per il 2007-2013 prevedono lo stanziamento di 17 milioni di euro per lo sviluppo dell’economia malese ed è quindi giustificato chiedere al nostro partner di ratificare la Convenzione dell’ONU contro la tortura e di condannare in termini chiari la pratica della fustigazione in quanto incompatibile con la posizione del Consiglio dell’ONU sui diritti umani.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Signor Presidente, in Malaysia la legge prevede ufficialmente che la fustigazione possa essere applicata per 66 reati e ogni anno vengono fustigati più di 10 000 cittadini. L’elenco dei reati è stato ampliato nel corso degli ultimi anni a riprova di una tendenza preoccupante. Le vittime sono sia malesi che straniere e nei confronti di queste ultime vengono commessi numerosi e gravi abusi, dalla negazione di informazioni necessarie, di un interprete o di assistenza legale, alla violazione dell’etica professionale da parte di medici.
Anch’io chiedo alle istituzioni europee di intensificare l’impegno per cercare di abolire questa forma di pena, che per il diritto internazionale equivale alla tortura, ed esercitare pressioni sulla Malaysia in modo che il paese garantisca il diritto ad un processo equo e obiettivo e ponga fine al trattamento crudele nei confronti dei migranti e dei richiedenti asilo politico.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la Commissione condanna l’uso delle pene corporali che è in conflitto con i principi e le norme internazionali sui diritti umani stabiliti dalle Nazioni Unite. Questi principi sono presenti anche guida negli orientamenti dell’Unione europea sulle politiche comunitarie nei confronti di paesi terzi che praticano la tortura o altre forme di trattamento o punizione crudele, disumana e degradante.
Il recente rapporto di Amnesty International sulla pratica della fustigazione in Malaysia è preoccupante. La Commissione, tuttavia, suggerisce di allargare la risoluzione a tutti i paesi dove tale pratica costituisce ancora un provvedimento giudiziario.
L’Unione europea, di concerto con le Nazioni Unite, ha regolarmente sollevato la questione della fustigazione con le autorità malesi e lo hanno fatto anche alcuni Stati membri in occasione della ratifica della Convenzione dell’ONU contro la tortura e nel corso della Revisione periodica universale del Consiglio per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite nel febbraio del 2009.
Non più tardi della settimana scorsa, al seminario delle Nazioni Unite tenuto in occasione della giornata per i diritti umani, è stato chiesto alla Malaysia di ratificare un maggior numero di convenzioni ONU e, in particolare, quella contro la tortura. All’inizio del 2010 il capomissione dell’UE ha sollevato la medesima questione, parlandone direttamente al ministro degli Esteri.
Si tratta di un problema cui rivolgiamo molta attenzione. L’Unione europea e la Malaysia avvieranno presto i negoziati su un accordo di cooperazione e partenariato che conterrà alcune disposizioni sui diritti umani. Dopo che sarà entrato in vigore, l’accordo fornirà una base ufficiale concreta per instaurare un dialogo più solido e regolare con la Malaysia sul tema dei diritti umani. Nel frattempo continueremo comunque a sollevare il problema con le autorità malesi.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alla fine delle discussioni.
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione di sei progetti di risoluzione sull’Uganda: la legge Bahati e la discriminazione nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali(1)
Véronique De Keyser, autore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, esattamente un anno fa, in quest’Aula, abbiamo approvato una risoluzione sui gay e le lesbiche e la legge Bahati in Uganda.
Perché ripresentare, un anno più tardi, una risoluzione quasi identica?
Occorre farlo perché purtroppo il problema è ancora lontano da una soluzione. In primo luogo, il movimento evangelista “The Family”, che ha appoggiato la legge Bahati, non ha ancora capitolato e lo vediamo ripresentarsi nuovamente in Uganda.
In secondo luogo, in ottobre e novembre di quest’anno il giornale ugandese Rolling Stone ha condotto una campagna denigratoria e ha pubblicato un elenco di nomi di omosessuali ugandesi. Queste persone sono state immediatamente rintracciate e picchiate e ancor oggi si nascondono come reietti. La corte costituzionale ugandese ha interrotto la pubblicazione del giornale, ma ormai il clima si è deteriorato ed è in corso una caccia all’uomo.
In terzo luogo, solo 13 paesi africani riconoscono i diritti degli omosessuali, mentre gli altri hanno legislazioni molto diverse e alcuni, come il Sudan, la Nigeria settentrionale e la Mauritania, condannano ancora a morte gli omosessuali.
Eppure – concludo – recentemente i paesi africani, dei Caraibi e del Pacifico hanno dichiarato, in modo a mio avviso un po’ unilaterale, che erano consapevoli che la questione relativa all’omosessualità ci disturbava leggermente, ma che tali aspetti facevano parte della loro cultura. Si tratta invece di diritti umani, di valori universali e noi vogliamo che questi valori universali vengano difesi con fermezza dalla Commissione e da tutta l’Unione europea.
Charles Tannock, autore. – (EN) Signor Presidente, le società africane sono in genere conservatrici a livello sociale e in molti paesi dell’Africa, purtroppo, l’omosessualità è illegale. Molti africani si sentono minacciati dai tentativi di promuovere l’omosessualità, specialmente quando tali tentativi sono guidati da organizzazioni non governative o da altri organismi occidentali. In alcune parti dell’Africa esiste la percezione diffusa che le democrazie liberali stiano cercando di imporre i propri valori, più tolleranti, a società che hanno tradizioni molto diverse e antiche.
Pur tuttavia, questo non scusa né giustifica la forte omofobia dilagante presente in alcune parti dell’Africa. Purtroppo questa omofobia viene spesso fomentata dai governi e dai loro portavoce. L’Uganda è tornato ancora una volta agli onori della cronaca per l’estremismo e l’isteria di alcuni suoi legislatori. Essi sostengono una legge che prevede la pena di morte o l’ergastolo per gli omosessuali, a seconda della natura del loro cosiddetto crimine. Anch’io, come il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, respingo questo disegno di legge draconiano, che rappresenta una gravissima violazione dei diritti individuali, e invito il Presidente Museveni a porre il veto alla sua approvazione. L’Uganda è un paese in cui la maggior parte della popolazione sopravvive con un dollaro al giorno e sicuramente i legislatori del paese possono trovare modi migliori per servire gli interessi della società ugandese, piuttosto che dedicarsi a rendere gli omosessuali penalmente perseguibili.
Marietje Schaake, autore. – (EN) Signor Presidente, il progetto di legge contro l’omosessualità presentato al Parlamento ugandese prevede la punizione di atti omosessuali con la reclusione, per una durata compresa tra sette anni e l’ergastolo o addirittura con la pena di morte. Il Parlamento europeo condanna fermamente questo disegno di legge e, nel farlo, non impone certo i valori europei in altri paesi, come qualcuno ha suggerito, nel tentativo di ignorare le proprie responsabilità in materia di violazione di diritti umani e di tutela dei cittadini dalle persecuzioni legate al loro orientamento sessuale.
La vera minaccia e il clima di paura sono emersi a seguito della pubblicazione dei numeri di ottobre e novembre di Rolling Stone, un giornale locale, che elencava i nomi e i dati personali di presunti omosessuali, incitando i lettori a picchiarli e a impiccarli. Diverse persone sono state aggredite.
In effetti l’omosessualità è legale solo in 13 paesi africani mentre è considerata un reato in altri 38; in Mauritania, in Sudan e nella Nigeria settentrionale è punibile con la morte.
Le autorità ugandesi hanno l’obbligo, in base all’accordo di Cotonou, di rispettare i diritti umani e quelli internazionali e la Commissione, il Consiglio dell’Unione europea e il Servizio per l’azione esterna dovrebbero utilizzare appieno gli strumenti a loro disposizione per promuovere e tutelare i diritti umani di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali.
Raül Romeva i Rueda, autore. – (EN) Signor Presidente, il disegno di legge contro l’omosessualità presentato da David Bahati al parlamento ugandese, che prevede la punizione di comportamenti omosessuali con la reclusione per un periodo che va da sette anni all’ergastolo e con la pena di morte, è semplicemente inaccettabile.
Desidero ricordare che in Africa l’omosessualità è legalmente riconosciuta solamente in 13 paesi mentre è un reato in altri 38 e in Mauritania, in Sudan e in Nigeria settentrionale è punita con la morte.
Va quindi ribadito, ancora una volta, che l’orientamento sessuale è una questione che rientra nella sfera del diritto individuale alla privacy ed è tutelato dalle leggi internazionali sui diritti umani, ai sensi delle quali va promossa l’uguaglianza e non la discriminazione e garantita al contempo la libertà di espressione. Ecco perché occorre sempre denunciare qualsiasi tentativo di fomentare l’odio e di ricorrere alla violenza nei confronti di tutte le minoranze, anche di quelle con un genere o un orientamento sessuale diversi. Bisogna ricordare alle autorità ugandesi i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale e dell’accordo di Cotonou.
Per questo motivo invito la Commissione, il Consiglio e il Servizio europeo per l’azione esterna a utilizzare tutti gli strumenti di cui dispongono nel trattare con l'Uganda, al fine di promuovere e tutelare il pieno godimento dei diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali.
Filip Kaczmarek, autore. – (PL) Signor Presidente, i tentativi di discriminazione dei cittadini ugandesi a causa del loro orientamento sessuale costituiscono un grave problema. Su questo tema l’Uganda ha il sostegno di molti Stati africani che non vogliono che la comunità internazionale e l’Unione europea esercitino pressioni su di loro affinché depenalizzino l’omosessualità.
L’equivoco sul dipende dal fatto che noi crediamo che il divieto di discriminazione in questo ambito sia un diritto umano universale, come ha precedentemente sottolineato l’onorevole De Keyser, mentre la maggior parte dei paesi africani non condivide questa posizione ed è per questo che dialogo è così difficile. Noi sosteniamo di non poter rimanere in silenzio su questioni queste tematiche e loro ribattono dicendo che siamo noi ad interferire in questioni che non ci riguardano.
I progetti di emendamento della legislazione ugandese rappresentano effettivamente un cambiamento radicale, poiché introducono la possibilità di comminare la pena di morte in caso di violazioni reiterate di divieti già in vigore e di reati di omosessualità aggravata, anche se in realtà non è chiaro cosa questo dovrebbe significare. Non siamo d’accordo con queste proposte e ci auguriamo che non vengano approvate.
Marie-Christine Vergiat, autore. – (FR) Signor Presidente, l’Uganda è uno di quei paesi africani dove l’omosessualità viene ancora repressa duramente ed è, di fatto, uno tra i più noti per l’estrema intransigenza in questo settore dato che, sotto la guida di un gruppo di evangelisti fondamentalisti americani, di cui il capo di Stato ugandese è uno stretto collaboratore, ha lanciato una vera e propria crociata contro gli omosessuali. Abbiamo perso il conto del numero di persone che sono state vittime di persecuzioni e torture unicamente a causa della loro sessualità.
Musulmani e cristiani si sono uniti per la prima volta nel paese allo scopo di condannare questo abominio. A Christopher Senyonjo, un vescovo anglicano di 70 anni, i superiori hanno vietato di officiare per essere stato uno dei pochi a prendere posizione a favore degli omosessuali.
Il disegno di legge già citato, che potrebbe venire riproposto in qualsiasi momento, arriva persino a condannare a morte gli omosessuali sospettati di essere positivi al virus dell’HIV o di avere rapporti con minorenni e a chiedere ai cittadini di denunciare tali casi.
Il quotidiano locale Rolling Stone, che non ha nulla a che vedere con la rivista omonima, ha pubblicato degli elenchi con i nomi e gli indirizzi dei leader gay con un titolo ripugnante: “Impiccateli!” La pubblicazione del quotidiano è stata temporaneamente vietata ma, come già è stato detto, il danno ormai è fatto.
In Africa l’omosessualità è spesso considerata un male proveniente dall’occidente, che starebbe facendo perdere all’Africa i propri valori ancestrali. Secondo le organizzazioni non governative 500 000 dei 32 milioni di abitanti dell’Uganda sono gay e molti di loro chiedono asilo politico agli Stati europei. Non potremmo almeno fare il possibile affinché a queste domande di asilo e, in generale, a tutti gli uomini e le donne vittime di oppressione e di tortura venga assicurato particolare riguardo?
Monica Luisa Macovei, a nome del gruppo PPE. – (EN) Signor Presidente, mi preoccupa il ricorso al diritto penale contro le relazioni tra persone consenzienti dello stesso sesso che avvengono in privato. Il diritto ugandese prevede già questi reati, che possono essere puniti anche con l’ergastolo, ma il disegno di legge Bahati peggiorerebbe ulteriormente la situazione, dato che contempla addirittura la pena di morte e il divieto di qualsiasi forma di associazione e di espressione di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali.
Il nuovo progetto di legge accrescerebbe il clima di paura e ostilità in un paese dove lesbiche, gay, bisessuali e transessuali sono già perseguitati. Ai cittadini verrebbe chiesto di denunciare altri cittadini su questioni private, mettendo in pericolo la vita di questi ultimi. Se tale legge verrà approvata, la dignità umana non avrà più alcun significato in Uganda: non possiamo consentirlo.
Michael Cashman, a nome del gruppo S&D. – (EN) Signor Presidente, chiaramente molte cose sono cambiate nel corso dell’ultimo anno. Il 23 novembre quest’Aula ha ribadito il principio dell’universalità dei diritti umani e della non discriminazione, che rappresenta una base sulla quale approfondire il nostro partenariato con l’Assemblea parlamentare paritetica tra i paesi africani, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) e l’Unione europea. Il Parlamento ha inoltre chiesto di ribadire il principio di non negoziabilità delle clausole sui diritti umani e di applicare sanzioni in caso di mancato rispetto di suddette clausole riguardanti, tra l’altro, la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale.
Il fatto è che questi paesi hanno scelto liberamente di lavorare assieme a noi, di stabilire un partenariato con noi. Esiste un accordo di partenariato con i paesi ACP e abbiamo gli accordi di Cotonou: possiamo quindi chiedere a questi paesi di impegnarsi a rispettare principi condivisi e universali. Tali principi non sono negoziabili e, qualora i paesi non vogliano operare su queste basi, chiedo alla Commissione e al Consiglio di applicare tutte le sanzioni previste, per sottolineare il fatto che esistono principi che intendiamo difendere. Chiediamo inoltre che, nel futuro partenariato strategico tra l’Unione europea e l’Africa, tutte le iniziative avviate sulla base dei vari partenariati vengano portate avanti senza discriminazioni di alcun genere, incluse quelle sull’orientamento sessuale.
Non è colonialismo difendere i diritti degli altri. I diritti umani sono universali e indivisibili e limitarsi a prendere le distanze, senza agire quando vengono calpestati i diritti umani di qualcun’altro, significa rendersi complici di tali azioni. Non è possibile promuovere l’omosessualità in Africa. Solo un pazzo potrebbe svegliarsi e decidere di dichiarare di essere omosessuale in quel continente: da quel momento la sua vita sarebbe in pericolo e la sua famiglia sarebbe costretta a denunciarlo alla polizia. Immaginate di essere questa persona e agite per difendere i suoi diritti.
Alexandra Thein, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti umani, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vietano la discriminazione per motivi di orientamento sessuale. L’Unione europea non solo ha obblighi per quanto concerne i diritti umani all’interno del proprio territorio, ma ha anche il dovere di cercare di far osservare tali diritti a livello internazionale e di condannare gli abusi quando stabilisce una relazione con un paese terzo e, in particolare, quando fornisce aiuti finanziari tramite il Fondo europeo di sviluppo a paesi terzi, come l’Uganda, che hanno firmato un accordo di partenariato con noi.
Analogamente, abbiamo il diritto di esprimerci sulla mancata osservanza delle clausole sui diritti umani contenute in tali accordi di partenariato. L’Uganda è tenuto quindi a rispettare le norme internazionali in materia di diritti umani in quanto firmatario dell’Accordo di Cotonou, che stabilisce il quadro di aiuti allo sviluppo destinati ai paesi africani, dei Caraibi e del Pacifico.
Non più tardi di un anno fa abbiamo chiesto all’Uganda di abbandonare i progetti per una volta a criminalizzare gli omosessuali ma, a un anno di distanza, la situazione è peggiorata e tuttora sussiste il pericolo che vengano applicate lunghe condanne e persino la pena di morte. Io stessa ho partecipato a una dimostrazione che si è svolta davanti all’ambasciata ugandese nel maggio di quest’anno e che non ha sortito alcun effetto. Desideriamo sottolineare ancora una volta che l’Unione europea è in generale contraria alla pena di morte e all’imposizione di leggi omofobe come quella in oggetto.
Ryszard Czarnecki, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, il presente dibattito è interessante e importante e desidero richiamare la vostra attenzione su due aspetti. In primo luogo, l’Uganda non è un’isola di discriminazione in un mare di rispetto dei diritti umani. Tre quarti dei paesi africani hanno norme molto severe in materia, che equivalgono a discriminazioni. Sicuramente il problema non riguarda esclusivamente l’Uganda, ma è più ampio e coinvolge l’intero continente e la cultura africani. In secondo luogo, è indubbio che l’Uganda non sia certo un portabandiera in materia di rispetto dei diritti umani in Africa. Siamo al corrente di molti casi di violazione dei diritti umani e, di conseguenza, la questione rientra in un problema più vasto del quale, ovviamente, bisogna discutere apertamente.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Signor Presidente, la nostra risoluzione riguarda casi estremamente gravi di violazione dei diritti umani. Purtroppo perseguire l’omosessualità come un reato penale è la norma in Africa, come risulta dalla legislazione di 38 paesi, mentre solo 13 Stati africani considerano legale l’omosessualità.
In questo contesto, il disegno di legge ugandese, volto a comminare pene che vanno dal carcere alla pena capitale, rappresenta un grave attacco ai diritti umani, compreso il diritto alla privacy. La pubblicazione in un giornale locale di una lista nera di 100 persone accusate di omosessualità affiancata dall’istigazione ai lettori ad impiccali costituisce un esempio della concreta minaccia che pende su una comunità criminalizzata per il proprio orientamento sessuale.
Come sottolineato nella risoluzione, la nostra misura non è volta ad imporre valori specificamente europei – un’accusa che ci viene spesso rivolta – ma a tutelare i diritti umani, uno dei principali obiettivi dell’Unione europea. Credo che, in questo senso, il Servizio europeo per l’azione esterna e le altre istituzioni europee debbano imporre sanzioni più severe al fine di garantire il rispetto degli accordi internazionali di cui l’Uganda è firmatario.
Cristian Dan Preda (PPE). – (RO) Signor Presidente, già diversi mesi fa abbiamo discusso in quest’Aula dell’omosessualità in Uganda e, da allora, non è accaduto nulla di significativo. A volte si dice “nessuna nuova, buona nuova”, ma non vale in questo caso perché, anche se il progetto di legge di David Bahati non è ancora stato varato, non è stato nemmeno ritirato ed è attualmente bloccato nella commissione affari giuridici e parlamentari mentre le pressioni internazionali non sono riuscite a sortire l’effetto voluto, ovvero il ritiro del progetto.
L’aspetto veramente riprovevole, come già sottolineato da alcuni colleghi, è la campagna contro l’omosessualità in atto nel paese. Ovviamente noi continuiamo a contare sulla razionalità delle autorità ugandesi e sulla vittoria del principio della non discriminazione.
Joe Higgins (GUE/NGL). – (EN) Signor Presidente, la campagna di odio in atto in Uganda contro gli omosessuali è veramente spaventosa. L’avvio, da parte di alcuni religiosi e media, di una perversa campagna omofoba e reazionaria, che minaccia di morte gli omosessuali, fa sì che moltissimi gay, lesbiche, bisessuali e transessuali ugandesi vivano in un clima di grande insicurezza e paura. È spregevole che alcuni politici stiano utilizzando tale campagna, fomentando l’odio e arrivando persino a proporre la pena di morte per gli omosessuali.
Rendo omaggio al coraggio dei membri della comunità gay in Uganda che ogni giorno lottano valorosamente contro questa minaccia alla loro identità e alla loro stessa vita. La campagna omofoba è alimentata da calunnie, bugie e distorsioni della realtà rispetto all’omosessualità e a cosa significa essere omosessuale. Dobbiamo inviare un messaggio molto forte al governo ugandese e rivedere gli aiuti stanziati per il paese anche se, naturalmente, non vogliamo penalizzare tutti i cittadini ugandesi.
Dovremmo incoraggiare la solidarietà attiva sostenendo organizzazioni che promuovono i diritti degli omosessuali in Uganda, in modo da sostenerli in questa battaglia cruciale per la giustizia,i diritti umani e per il diritto fondamentale alla propria identità.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, il progetto di legge contro l’omosessualità presentato in seno al parlamento ugandese solleva gravi problemi in materia di diritti umani. La tutela dei diritti umani di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali è una priorità per l’Unione europea: condivido quindi pienamente le preoccupazioni del Parlamento europeo sulla situazione in Uganda e in altri paesi che hanno adottato o stanno considerando la possibilità di applicare una legislazione punitiva e discriminatoria nei confronti degli omosessuali.
La Commissione ritiene che la criminalizzazione dell’omosessualità prevista nel progetto di legge sia contraria agli obblighi della Convenzione sui diritti umani delle Nazioni Unite firmata anche dall’Uganda e alla quale il paese è quindi tenuto ad attenersi.
Il progetto di legge è anche contrario alla dichiarazione delle Nazioni Unite sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. La Presidenza dell’Unione e il capomissione dell’UE in Uganda hanno sollevato a più riprese la questione con il governo ugandese in occasione di incontri politici ufficiali con il Presidente, il Primo ministro, il ministro degli Affari esteri e il ministro della Giustizia e anche con la Commissione diritti umani in Uganda.
La pubblicazione da parte del giornale Rolling Stone il 2 ottobre 2010 di un elenco con foto, nomi e indirizzi di persone identificate come omosessuali, con il titolo “Impiccateli”, è stata un atto scandaloso, che ha messo in pericolo le vite di queste persone a rischio. La condanniamo quindi fermamente.
La delegazione dell’Unione europea continua a seguire da vicino la situazione insieme alle missioni degli Stati membri rappresentati in Uganda, a quelle di paesi partner come la Norvegia e gli Stati Uniti e all’ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani.
Il problema è stato inoltre affrontato nel gruppo tecnico di lavoro sui diritti umani, un forum di partner allo sviluppo ugandese che si occupa di discutere, controllare, coordinare e intraprendere azioni concrete in casi di violazione dei diritti umani. La Commissione intende continuare a dar voce alle proprie preoccupazioni in relazione al disegno di legge contro l’omosessualità e a qualsiasi altra azione volta a perseguitare gay, lesbiche, bisessuali e transessuali in Uganda.
La Commissione continuerà altresì a sostenere le organizzazioni locali per i diritti umani nei loro sforzi volti a modificare l’atteggiamento del paese e a migliorare la situazione giuridica di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alla fine della prossima discussione.
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione relative ai rifugiati eritrei tenuti in ostaggio nel Sinai(1).
Marietje Schaake, autore. – (EN) Signor Presidente, si calcola che circa 250 migranti eritrei sarebbero tenuti in ostaggio nel deserto del Sinai, dove sono stati riferiti casi di stupro e di trattamento disumano. Queste persone sono in attesa che venga pagato un riscatto ai trafficanti di essere umani per il loro rilascio.
I recenti avvenimenti si sono verificati nel contesto delle attività di una vasta rete di contrabbando che dal 2007 si occupa del passaggio di migranti subsahariani in Israele attraverso l’Egitto. Le autorità egiziane stanno cercando di indagare sulle informazioni fornite dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che dovrebbe anche intensificare le procedure diplomatiche con le autorità egiziane al fine di eliminare le reti di contrabbando e impedire la tratta di essere umani.
L’Egitto dovrebbe, al contempo, assicurare un trattamento migliore ai rifugiati ai sensi del diritto internazionale e astenersi dall’uso di forza eccessiva o addirittura letale contro i migranti e i rifugiati nella legittima difesa delle proprie frontiere. Questo è un principio che, una volta tanto, potremmo seguire anche noi stessi.
David-Maria Sassoli, autore. − Signor Presidente, la situazione è molto seria, pensiamo che questa vicenda, di cui si occupano anche i media europei, debba essere affrontata dall’Unione e dal Parlamento, esortando anche la Commissione a interessarsene perché si tratta di una vera emergenza umanitaria.
In questo caso gli Stati membri devono fare di tutto per cercare di aiutare questi profughi a lasciare quel territorio e pensiamo che possano essere adottati da Stati europei. Chiediamo alla Commissione di fare tutto il possibile per svolgere questa operazione utilizzando anche i fondi disponibili attraverso il Fondo europeo per i rifugiati.
Charles Tannock, autore. – (EN) Signor Presidente, il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei condanna il trattamento spaventoso subito da vittime innocenti, soprattutto eritree, che equivale a una forma moderna di schiavitù praticata da trafficanti di esseri umani. Anche noi ci rallegriamo del fatto che il governo egiziano stia cercando di indagare su queste accuse e di assicurare il rilascio dei rifugiati, ma riteniamo che ci si dovrebbe anche soffermare sul motivo che spinge queste persone sfortunate a fuggire.
Riteniamo che questo avvenga perché il regime del Presidente eritreo Afewerki è uno dei più repressivi del pianeta. Chiunque abbia la possibilità di fuggire dalla sua dittatura non esita a farlo e alcuni riescono a costruirsi una vita migliore altrove. Coloro che non possono lasciare l’Eritrea sono costretti ad arruolarsi a tempo indeterminato nell’esercito oppure a guadagnarsi da vivere ai margini di un sistema economico in bancarotta, minato da anni di inutile guerra con la vicina Etiopia, da una diffusa corruzione e da un’economia mal gestita. In Eritrea non si sono mai tenute elezioni politiche.
In recenti rivelazioni tratte da Wikileaks i diplomatici statunitensi descrivono Afewerki come un leader crudele e insolente, non ho alcun rimorso a dirlo pubblicamente. Dobbiamo fare tutto il possibile per spodestare questo terribile tiranno africano, smettendo di erogare aiuti comunitari al suo regime e sospendendo i privilegi accordati al paese dall’Accordo di Cotonou.
Cristian Dan Preda, autore. – (RO) Signor Presidente, ogni anno migliaia di persone, spinte dalla difficile situazione in cui versa il Corno d’Africa, cercano di attraversare la frontiera tra Egitto e Israele e molte di esse finiscono, purtroppo, nelle mani dei trafficanti beduini, di reti criminali che non hanno alcun rispetto per la dignità umana e considerano la vita dei migranti al pari di merce di scambio. Stando alle informazioni fornite dagli attivisti di organizzazioni non governative che operano nel settore della tutela di questi migranti, per il rilascio di ciascun ostaggio sono state richieste somme incredibili, pari persino a 8 000 dollari americani.
Ovviamente non possiamo rimanere indifferenti alle sofferenze di queste persone, che vengono sottoposte a un trattamento particolarmente crudele. Desidero inoltre richiamare la vostra attenzione sulla condizione di vulnerabilità delle donne, che vengono ripetutamente stuprate. Credo inoltre che occorra avere un atteggiamento costruttivo, cioè dovremmo riconoscere gli sforzi compiuti dalle autorità egiziane per la liberazione degli ostaggi e sostenere il paese nella lotta contro la tratta di esseri umani. Non bastano quindi solo dure parole di condanna, ma servono anche cooperazione e azioni concrete data l’estrema complessità della situazione, inaffrontabile da un singolo Stato.
Rui Tavares, autore. – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la situazione dei profughi eritrei che attualmente si trovano nel deserto del Sinai è molto grave, come hanno già spiegato molti colleghi. Naturalmente occorrerà affrontare con durezza i trafficanti di esseri umani che stanno tenendo in ostaggio i rifugiati ed esigono un riscatto molto alto per la loro liberazione. Tuttavia, dovremo al contempo proteggere anche le vittime, perché non ci si può limitare a trattare duramente i trafficanti dimenticando completamente le vittime. Occorrerà inoltre capire le motivazioni che hanno spinto queste persone ad attraversare il deserto del Sinai: normalmente i flussi migratori passavano attraverso la Libia, ma gli accordi tra Italia e Libia e tra Unione europea e Libia, che tante volte la Commissione ci ha descritto positivamente, sbarrano le via di fuga alle persone provenienti da quello che, a ragione, è stato definito un “gigante campo di concentramento” o “la Corea del Nord africana”.
Occorre quindi intervenire e non bisogna farlo solo in Egitto, un paese che chiaramente sta facendo molto meno di quanto dovrebbe, ma anche nella stessa Unione europea. Per cominciare, chiedo alla Commissione europea di inviare rapidamente una delegazione in Egitto per rendersi conto sul posto della situazione. Sarà inoltre necessario un intervento di tutte le nostre istituzioni, perché quello dei profughi eritrei è un chiaro caso di reinsediamento e l’Unione europea ha una politica in materia oltre a disporre del Fondo europeo per i rifugiati. Questi profughi non possono tornare in Eritrea e non possono nemmeno rimanere in un paese di passaggio: l’unica soluzione è quindi il reinsediamento. Onorevoli colleghi, sapete come mai il pacchetto sul reinsediamento non procede? Perché in maggio, nonostante il Parlamento avesse svolto il proprio dovere sul reinsediamento tramite la procedura di codecisione, il Consiglio ha rifiutato di fare la sua parte a causa della famosa polemica sugli atti delegati. Se il pacchetto sul reinsediamento fosse stato adottato, ora potremmo disporre della procedura d’urgenza che il Parlamento ha inserito nella relazione redatta da me e approvata in Aula con 500 voti e la Commissione europea potrebbe avviare una procedura d’urgenza per reinsediare i profughi. Dato che il Consiglio non ha fatto la sua parte in quella che dovrebbe chiamarsi “procedura di co-indecisione”, i rifugiati rimarranno nel deserto del Sinai chissà ancora per quanto. La procedura di co-indecisione ha ripercussioni sulla vita reale di persone reali ed è giunto il momento che il Consiglio svolga il proprio compito.
Barbara Lochbihler, autore. – (DE) Signor Presidente, è grazie a una telefonata tra un sacerdote eritreo in Italia e un ostaggio eritreo che i cittadini europei sono venuti a sapere che trafficanti di esseri umani senza principi minacciano di sparare agli ostaggi eritrei se non verrà pagato un riscatto. I rapitori hanno dimostrato di non avere scrupoli e hanno già picchiato o ucciso alcune persone.
Questo crimine brutale ci ha costretti a osservare più da vicino ciò che sta accadendo al confine tra Egitto e Israele, un territorio dov’è bloccato un numero sempre maggiore di rifugiati, che cercano di entrare in Europa o in Israele ma non hanno i documenti necessari. Esiste un’area di esclusione militare sul lato egiziano e chiunque entri in tale area passa sotto la giurisdizione di un tribunale militare. Secondo Human Rights Watch, dal 2007 sono stati uccisi almeno 85 rifugiati inermi che cercavano di attraversare la frontiera. Il governo israeliano sostiene che ogni mese più di 1 000 migranti senza documenti cercano di introdursi in Israele e il paese ha iniziato ad aumentare le misure di sicurezza e sorveglianza lungo il confine. E’ stato inoltre istituito un vasto campo di detenzione nel deserto del Negev.
Chiediamo ai governi coinvolti di cooperare con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, al fine di garantire la tutela dei diritti dei profughi alle loro frontiere. Riconosciamo tuttavia che l’Europa ha una responsabilità sulla sorte di quei migranti, che vengono allontanati dai nostri confini esterni e si trovano nell’impossibilità di tornare alle loro case e, di conseguenza, si trovano nella condizione di subire violazioni dei diritti umani come sta accadendo nel caso dei rifugiati eritrei.
Filip Kaczmarek, a nome del gruppo PPE. – (PL) Signor Presidente, la situazione dei profughi eritrei nel Sinai è tragica. Queste persone sono alla ricerca di una vita migliore ma spesso trovano la morte, la tortura e l’oppressione, vengono sfruttate e truffate. Le autorità egiziane stanno cercando di affrontare il problema della tratta di esseri umani, ma la loro risposta non è sempre efficace. Dobbiamo aiutare i profughi, gli ostaggi e tutti coloro che hanno bisogno del nostro supporto e sostenere le autorità israeliane ed egiziane nella lotta contro la tratta di esseri umani.
Vale inoltre la pena soffermarsi a riflettere sui motivi alla base di tale fenomeno pericoloso: credo che si dovrebbe puntare a migliorare la situazione in Eritrea e in altri paesi del Corno d’Africa, dato che un cambiamento in positivo della situazione dei paesi africani potrebbe ridurre la pressione migratoria. Non risolveremo il problema limitandoci a lottare contro i mali sociali causati dalla migrazione. Possiamo solo ridurre gli effetti più sgradevoli e i costi pagati dai rifugiati per la loro determinazione. Vi chiedo di sostenere la proposta di risoluzione del gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano), poiché siamo convinti che la nostra proposta di risoluzione sia in questo caso migliore della risoluzione comune.
Ana Gomes, a nome del gruppo S&D. – (PT) Signor Presidente, l’Egitto non si limita a far finta di non vedere come vengano trattati e sfruttati orribilmente i rifugiati africani che dai loro paesi, in particolare la Somalia e l’Eritrea, tentano di fuggire attraverso il Sinai in Israele. L’Egitto espelle queste persone nonostante si tratti ovviamente di rifugiati e richiedenti asilo, considerando che provengono da un paese dove è in atto una tragica guerra al terrorismo e dove non esiste ordine pubblico oppure da un altro – l’Eritrea – che è uno dei più autoritari e tirannici al mondo. In realtà, l’approccio adottato dalle autorità egiziane è quello di sparare per uccidere e, secondo un rapporto di Human Rights Watch, dal 2007 nel Sinai sono già morti 85 migranti.
Chiediamo alle autorità egiziane di rispettare i loro obblighi in materia di diritti umani, con particolare riguardo a quelli dei migranti e dei rifugiati, e le invitiamo a collaborare con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Invitiamo anche le autorità europee a fare altrettanto e a dare il loro pieno sostegno alla possibilità di reinsediamento di cui ha parlato l’onorevole Tavares.
Judith Sargentini, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, cerchiamo di essere onesti. Le risoluzioni, così come attualmente formulate, sono una versione edulcorata di quelle che abbiamo abbozzato all’inizio della settimana.
Ancora una volta vogliamo essere chiari in merito: la situazione è grave. Parliamo di rifugiati eritrei tenuti in ostaggio nel Sinai ma, ciononostante, non siamo disposti a discutere dei rapporti tra l’Italia e la Libia e della chiusura dell’Europa ai migranti, ovvero dei motivi che hanno spinto i rifugiati politici a fuggire altrove, costringendoli oggi a scegliere percorsi ancora più pericolosi di prima.
Chi abbandona l’Eritrea diventa automaticamente un rifugiato politico, perché è impossibile tornare indietro e, se si decidesse di farlo, si metterebbe in pericolo la propria famiglia. Mi addolora che noi, in quest’Aula, non siamo disposti ad ammettere che, se l’Europa vuole così tanto proteggersi dagli immigrati, dovrà aprire delle ambasciate in Eritrea per aiutare coloro che vogliono chiedere asilo. Non ci è stato consentito di includere questa proposta nella risoluzione in discussione.
Quando sento il gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano) ricordarci tutto quello che dovrebbe accadere in Egitto, penso a cosa dovremmo fare noi e mi chiedo come ci si possa rifiutare di ammettere che vi sono persone in pericolo solo perché siamo riluttanti ad assumercene la responsabilità. Stiamo escludendo delle persone e, nel farlo, mettiamo in pericolo vite umane.
Jaroslav Paška, a nome del gruppo EFD. – (SK) Signor Presidente, il Sinai è diventato un percorso attraverso il quale migliaia di eritrei fuggono dal loro paese nel tentativo di ottenere una vita migliore.
Nel loro pellegrinaggio clandestino verso la libertà, i rifugiati dipendono dall’assistenza di contrabbandieri che sono disposti a far attraversare a pagamento la frontiera del Sinai anche a chi è privo dei documenti necessari. In questa transazione illegale, i profughi sono nelle mani di bande di contrabbandieri, non hanno praticamente alcun diritto e sono soggetti al fato e ai capricci di coloro cui hanno affidato, a pagamento, il loro destino.
La morte di sette profughi eritrei, uccisi lungo il confine tra Israele e l’Egitto, è indicativo della triste situazione di queste persone nel loro viaggio clandestino alla ricerca della libertà. Onorevoli deputati, è quindi giusto, a nostro avviso, impegnarsi per trovare una soluzione cercando di risolvere civilmente il problema dei rifugiati eritrei assieme ai governi dei paesi interessati dal fenomeno.
Monica Luisa Macovei (PPE). – (EN) Signor Presidente, il 7 dicembre, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha espresso preoccupazione circa i 250 profughi eritrei trattenuti nel Sinai da trafficanti beduini.
Sappiamo che questi rifugiati sono stati costretti a pagare una somma di denaro nella speranza di poter vivere in condizioni migliori. Secondo le informazioni in nostro possesso, i rifugiati sono trattenuti in container situati nel deserto e vengono spesso picchiati. L’atteggiamento dello stesso governo eritreo è preoccupante dato che, invece di proteggere i propri cittadini, li considera dissidenti indesiderati.
Chiediamo soprattutto all’Egitto e a Israele di avviare rapidamente un’azione congiunta per fermare i trafficanti e smantellare questa rete criminale organizzata e, ovviamente, di intensificare gli sforzi per proteggere ora e in futuro i rifugiati, applicando le disposizioni e le norme dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, desidero innanzi tutto sottolineare che appoggio senza riserve la risoluzione presentata dal gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano). Nonostante il testo sia chiaro, non è stato purtroppo ancora raggiunto un accordo con gli altri gruppi per l’adozione di una risoluzione comune. La situazione del Corno d’Africa è allarmante e la regione è diventata uno dei principali centri operativi dei gruppi di criminalità organizzata, dato l’alto numero di emigrati africani che vi transitano.
I 250 ostaggi subiscono un trattamento inumano e degradante e la loro situazione sta peggiorando. Non vi sono ancora le premesse per un imminente rilascio degli ostaggi, dato che le loro famiglie non sono in grado di pagare il riscatto richiesto. Il Parlamento europeo dovrebbe pertanto inviare una chiara richiesta di liberazione degli ostaggi. Occorre adottare misure urgenti contro le organizzazioni criminali, al fine di assicurarle alla giustizia e procedere alla chiusura definitiva dei campi di tortura.
Csanád Szegedi (NI). – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, naturalmente condanno fermamente il modo in cui vengono trattati i rifugiati eritrei e al contempo ritengo, naturalmente, che l’Unione europea debba avviare quanto prima le iniziative necessarie per risolvere la situazione. La relazione in discussione è però, per dirla in parole semplici, un vicolo cieco e contiene due punti che considero assolutamente sconcertanti. Ritengo del tutto accettabile l’istituzione di un fondo per aiutare i rifugiati, nonostante attualmente vi siano milioni di cittadini dell’Unione europea che vivono in condizioni di incertezza e di estrema povertà. Oltre tre milioni di cittadini ungheresi vivono al di sotto della soglia di povertà, la maggior parte dei pensionati non può permettersi di acquistare le medicine di cui hanno bisogno e, di fatto, questa tendenza è in crescita in tutta Europa. Dobbiamo quindi prima di tutto cercare di aiutare i cittadini europei, esprimendo al contempo la nostra simpatia nei confronti dei rifugiati. L’altro aspetto riguarda l’ammissione volontaria dei rifugiati da parte degli Stati membri. Quando ci si renderà conto che l’Unione europea è satura di immigrati? L’UE deve fungere da mediatore tra l’Eritrea e i profughi eritrei in modo da garantire loro un rientro sicuro in patria.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Signor Presidente, la stragrande maggioranza dei cittadini eritrei che attualmente si trovano nel deserto del Sinai sta fuggendo da un regime tirannico e, pertanto, essi vanno considerati rifugiati in base alle norme delle Nazioni Unite. Credo dunque che occorra insistere con l’Egitto affinché rispetti gli obblighi internazionali e fornisca loro assistenza. Ritengo, tuttavia, che l’aspetto più preoccupante sia il trattamento inumano cui sono sottoposti i migranti quando vengono tenuti in ostaggio nel deserto, in attesa del pagamento di un riscatto. In particolare, le accuse di stupro riferite da decine di donne sono rivoltanti e dovrebbero far mobilitare la comunità internazionale.
La tratta di esseri umani in Africa ha raggiunto proporzioni allarmanti e, negli ultimi anni, decine di migranti sono stati uccisi dai servizi di sicurezza egiziani mentre tentavano di attraversare illegalmente il confine per raggiungere Israele. Credo che si dovrebbero adottare altri metodi per lottare contro la tratta di esseri umani in quest’area e ritengo che, per garantire l’assistenza indispensabile a queste persone, sia necessario il coinvolgimento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Zbigniew Ziobro (ECR). – (PL) Signor Presidente, la situazione dei rifugiati eritrei è tragica ma, nel considerare questa tragedia, occorre anche ricordare il motivo che l’ha provocata. In Eritrea la violazione dei diritti umani fondamentali è una prassi comune e nel paese si verificano persecuzioni di massa ai danni di avversari politici, di cristiani e di migliaia di cittadini comuni. È questo il vero motivo alla base del tragico problema di cui discutiamo oggi. Dobbiamo quindi fare quanto in nostro potere per modificare la politica dell’Unione nei confronti delle autorità eritree, tanto più quando si pensa che nel 2007 l’attuale leader del paese è stato accolto calorosamente a Bruxelles dalla Commissione europea, sebbene sia responsabile della terribile sofferenza che costringe tante persone a fuggire, provocando un numero sempre maggiore di tragedie analoghe a questa. È giunto pertanto il momento di adottare una politica pragmatica e decisa nei confronti di questo tiranno.
Andris Piebalgs, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la Commissione condivide le preoccupazioni del Parlamento europeo. Le segnalazioni ricevute parlano di diverse centinaia di rifugiati provenienti da Eritrea, Etiopia, Sudan e Somalia che, a quanto pare, sono tenuti in ostaggio nel Sinai da trafficanti che hanno richiesto il pagamento di un riscatto per il loro rilascio.
Abbiamo seguito il caso fin dalla prima segnalazione, allo scopo di appurare i fatti, valutare la situazione e prendere gli opportuni provvedimenti. La delegazione dell’Unione europea al Cairo è a stretto contatto con le organizzazioni locali della società civile e mantiene rapporti con il rappresentante regionale al Cairo dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Il caso viene seguito con attenzione e, assieme alle ambasciate degli Stati membri, l’Unione si è rivolta al ministero degli Esteri egiziano. L’UE ha espresso le nostre preoccupazioni, così come la nostra ferma convinzione che le autorità egiziane debbano adottare misure atte a liberare gli ostaggi e garantire loro una protezione adeguata. Sembra siano in corso indagini per trovare il gruppo di rifugiati e ci auguriamo che, nei prossimi giorni, la situazione possa diventare più chiara.
Non si tratta tuttavia dell’unico motivo di preoccupazione. Migranti e rifugiati non sono ancora tutelati sufficientemente in Egitto e gli incidenti più gravi sono stati segnalati nel Sinai. Molti migranti che intendono attraversare la frontiera del Sinai per raggiungere Israele sono vittime di abusi e maltrattamenti. Abbiamo sollevato ripetutamente la questione con le nostre controparti egiziane nel quadro delle riunioni periodiche delle sottocommissioni competenti in materia di migrazione e affari politici, oltre che di diritti umani.
L’argomento è stato affrontato per l’ultima volta in occasione della riunione del comitato di associazione UE-Egitto il 14 dicembre al Cairo. L’Unione ha regolarmente invitato le autorità egiziane a migliorare la qualità dell’assistenza e della tutela fornite ai richiedenti asilo e ai rifugiati e ha offerto a tal fine un sostegno finanziario e tecnico. L’UE ha inoltre invitato le autorità egiziane a garantire l’osservanza del principio del non respingimento per tutti i migranti, compresi quelli eritrei, che necessitano di protezione a livello internazionale.
L’Unione ha chiesto di autorizzare senza riserve l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ad attuare il proprio mandato in tutto il territorio egiziano, inclusa la regione del Sinai. Vi sono stati alcuni sviluppi positivi che vanno sottolineati. Nella primavera di quest’anno l’Egitto ha adottato una nuova legislazione volta a criminalizzare la tratta di esseri umani e a tutelare le vittime.
Un altro sviluppo positivo è stata l’adozione di una legge sui trapianti che criminalizza il traffico d’organi. Ci auguriamo che il governo egiziano adotti misure efficaci per garantire la buona applicazione di questo quadro giuridico e a questo fine abbiamo offerto la nostra collaborazione.
Continueremo a sostenere il lavoro dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e quello delle organizzazioni della società civile volti a garantire migliori condizioni di vita e un’adeguata tutela giuridica ai migranti e ai rifugiati che vivono nel paese. Continueremo a seguire con attenzione il caso dei rifugiati in ostaggio nel Sinai e a questo proposito prenderemo contatto con le autorità egiziane.
Spero vivamente che il caso si avvii verso una rapida soluzione e mi rammarico che finora sia stata segnalata la perdita da otto vite umane.
Rui Tavares (GUE/NGL). – (EN) Signor Presidente, il Commissario ha letto la risposta ben preparata in precedenza come se nessuno avesse rivolto alcuna domanda alla Commissione.
Presidente. – Lei ha chiesto di intervenire sul regolamento e quindi dovrebbe attenersi a questo argomento e non sollevare altre questioni.
Rui Tavares (GUE/NGL). – (EN) Signor Presidente, certo che si tratta di un richiamo al regolamento. Abbiamo chiesto alla Commissione se intende inviare una delegazione in Egitto per verificare la situazione sul posto e la Commissione potrebbe, per lo meno, chiedere di completare il progetto di reinsediamento. La codecisione le darebbe la possibilità...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – Questo non è un richiamo al regolamento. Naturalmente lei è libero di rivolgere una domanda alla Commissione ma è a discrezione della Commissione decidere di risponderle. Ad ogni modo non si tratta di un richiamo al regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alla fine della discussione.
Presidente. – L’ordine del giorno reca la votazione.
(Per i risultati e ulteriori dettagli sulla votazione: vedasi processo verbale)
12.1. Malaysia: la pratica della fustigazione (B7-0708/2010)
– Prima della votazione:
Cristian Dan Preda (PPE). – (RO) Signor Presidente, prima di passare alla votazione sulla situazione dei rifugiati eritrei chiedo, a nome del mio gruppo, di rinunciare alla votazione per appello nominale sulla risoluzione comune e passare alla votazione per appello nominale sulla risoluzione proposta dal gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano).
Presidente. – A seguito della richiesta del vostro collega, se non vi sono obiezioni, proseguiremo come suggerito. Vedo che non vi sono obiezioni.
12.2. Uganda: progetto di legge Bahati e discriminazione della popolazione LGBT (B7-0709/2010)
12.3. Rifugiati eritrei tenuti in ostaggio nel Sinai (B7-0712/2010)
– Prima della votazione sul paragrafo 7:
Carlo Casini (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’emendamento tende a rendere più penetrante il nostro giudizio sul comportamento dell’Egitto. Non si tratta soltanto di prendere atto che qualcosa l’Egitto ha fatto, ma di chiedere che rapidamente e immediatamente intervenga per liberare questi ostaggi, esortandolo altresì a non usare mai una forza fino al punto da renderla letale per respingere coloro che passano attraverso il Sinai. Si chiede altresì che l’Alto Commissariato per i rifugiati possa prendere immediato contatto con le persone attualmente sequestrate.
“si esortano le autorità egiziane a prendere tute le misure necessarie per assicurare il rilascio degli eritrei tenuti in ostaggio, a evitare l’uso della forza letale contro immigranti illegali che oltrepassano i confini del paese, a proteggere la loro dignità e la loro integrità fisica e psicologica e a garantire che gli immigrati detenuti abbiano una possibilità di contattare l’Alto Commissariato per i rifugiati e che sia consentito l’accesso dell’Alto Commissariato ai richiedenti asilo e ai rifugiati che si trovano in stato di custodia”.
(L’emendamento orale è accettato)
– Dopo il paragrafo 7:
David-Maria Sassoli, autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, chiedo che nella risoluzione, il cui impianto non si discosta poi tantissimo, venga aggiunto un paragrafo che ci sta molto a cuore, si tratta del paragrafo 9 della risoluzione comune.
Lo leggo: “si invitano gli Stati membri ad affrontare l’emergenza umanitaria attraverso il reinserimento volontario nell’Unione di tutti i profughi coinvolti; chiede alla Commissione europea di coordinare questa operazione e usare i fondi disponibili attraverso il Fondo europeo per i rifugiati;”.
Carlo Casini (PPE). - Signor Presidente, vorrei chiedere al proponente di precisare una questione.
L’intervento domandato, secondo il testo che è stato letto, riguarda tutti coloro che chiedono il diritto di asilo. Io direi piuttosto “coloro che hanno il diritto di asilo”, perché “che chiedono” è assai pericoloso, v’è il rischio che chiunque possa chiedere il diritto d’asilo.
Viceversa, coordinando questo emendamento con l’intervento dell’Alto Commissariato, sarà quest’ultimo a procedere a una valutazione.
Tuttavia chiedo al proponente di modificare con le parole “coloro che hanno diritto di asilo”.
Presidente. – So che in genere il dieci per cento è sufficiente, ma non in questo caso. Ho già chiesto prima se c’erano obiezioni e avete avuto tutto il tempo necessario. Passiamo quindi alla votazione sull’emendamento.
(L’emendamento orale è accettato)
13. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
14. Posizione del Consiglio in 1ª lettura: vedasi processo verbale
15. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale
16. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
17. Dichiarazioni scritte inserite nel registro (articolo 123 del regolamento): vedasi processo verbale
18. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
Presidente. – Dichiaro interrotta la sessione del Parlamento europeo. Date le condizioni atmosferiche auguro ai colleghi deputati un buon viaggio di ritorno e porgo loro i miei migliori auguri di Buon Natale e di un buon avvio di quello che speriamo sarà un prospero 2011.
(La seduta termina alle16.35)
ALLEGATO (Risposte scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è l’unica responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 1 dell’onorevole Posselt (H-0568/10)
Oggetto: Multilinguismo nelle regioni di confine
Come valuta il Consiglio i risultati del programma dell’Unione europea per la promozione della cultura nelle regioni di confine, in particolare per quanto concerne il sostegno al multilinguismo e la promozione delle lingue dei paesi confinanti negli asili e nelle scuole?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Se la responsabilità prima del contenuto dell’insegnamento – e quindi della scelta delle lingue e del livello cui le stesse vengono insegnate – spetta esclusivamente agli Stati membri, è bene ricordare che il Consiglio ha sempre sostenuto iniziative e misure volte a promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica. Tra tali iniziative e misure figurano il sottoprogramma trasversale del programma di istruzione e formazione durante l’intero arco della vita stabilito con la decisione n. 1720/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio(1), la raccomandazione del 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente(2) – di cui sottolineiamo in particolar modo la comunicazione nelle lingue straniere –, le conclusioni sul multilinguismo che il Consiglio ha adottato a maggio 2008(3) e la risoluzione del Consiglio del 21 novembre 2008 relativa a una strategia europea per il multilinguismo(4).
Voglia inoltre notare l’onorevole Parlamentare che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 5, del succitato programma di istruzione e formazione durante l’intero arco della vita, la Commissione deve presentare al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, entro il 31 marzo 2011, una relazione di valutazione intermedia sugli aspetti qualitativi e quantitativi della realizzazione del programma, inclusa un’analisi dei risultati.
Interrogazione n. 2 dell’onorevole Papanikolaou (H-0571/10)
Oggetto: Contributo della cultura al prodotto interno lordo
Il programma della Presidenza belga fa esplicitamente riferimento all’importanza che questa attribuisce alla potenziale valorizzazione dell’industria culturale e al suo contributo al prodotto interno lordo degli Stati membri. In particolare, riferisce che, durante il semestre di presidenza, il Consiglio riserverà un’attenzione speciale alle politiche che svilupperanno e sosterranno iniziative dell’industria culturale, soprattutto a quelle provenienti da piccole e medie imprese.
Considerando che la crisi economica esige la valorizzazione di settori di sviluppo innovativi e relativamente poco sfruttati, può il Consiglio rispondere ai seguenti quesiti:
Ritiene soddisfacenti i progressi compiuti durante la Presidenza belga in materia di sostegno e incoraggiamento dell’industria culturale e delle piccole e medie imprese che operano in questo settore?
Dispone di dati precisi sulla percentuale di partecipazione del settore in questione al PIL degli Stati membri? In quali Stati membri si registra un contributo significativo al PIL da parte dell’industria culturale?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) La presidenza belga ha fatto esplicitamente riferimento, in seno al proprio programma semestrale, alla propria intenzione di evidenziare, nel quadro della strategia Europa 2020, il potenziale delle industrie culturali e creative e il loro contributo al prodotto interno lordo (PIL), all’occupazione e alla crescita in Europa. Il 18 novembre, il Consiglio ha adottato il proprio piano di lavoro per la cultura, che definisce le priorità del settore per i prossimi quattro anni e le industrie culturali e creative figurano tra le principali priorità. La presidenza, inoltre, ha organizzato ad ottobre una riunione informale dei ministri della cultura sul tema delle industrie culturali e creative. In tale occasione, i ministri hanno sottolineato che le strategie e le misure da elaborare a livello europeo per questa tipologia di industrie dovrebbero tener conto delle piccole e medie imprese, in quanto esse costituiscono la maggioranza delle aziende del settore. Il 26 novembre, il Consiglio ha adottato delle conclusioni sul tema “Iniziativa faro. Europa 2020 - L’Unione dell’innovazione”, ove riconosce che, poiché i settori culturale e creativo rappresentano un’importante fonte d’innovazione tecnologica e non tecnologica, è bene liberarne completamente il potenziale.
Anche se il Consiglio non stila statistiche proprie in materia, secondo il Libro verde intitolato “Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare”(1), recenti studi sulle industrie culturali e creative confermano che tale settore offre impiego a circa cinque milioni di persone in tutta l’Unione europea e che il suo contributo al prodotto interno lordo dell’Unione è stimato intorno al 2,6 per cento. Il contributo diretto delle industrie culturali e creative al PIL è implementato da consistenti ricadute in molti altri settori economici. Eurostat sta elaborando statistiche più dettagliate e armonizzate, attraverso il progetto “ESSnet Cultura”, al fine di valutare in modo più preciso la rilevanza economica delle industrie culturali e creative. I risultati di tale progetto dovrebbero essere pubblicati entro la fine del 2011.
Interrogazione n. 3 dell’onorevole Kelly (H-0576/10)
Oggetto: risultati di Cancún
Può il Consiglio commentare i risultati dei negoziati sul clima di Cancún? Quali misure prevede il Consiglio nei prossimi dodici mesi in base a Cancún?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Dopo tre anni di negoziati sul piano d’azione di Bali, la conferenza sul cambiamento climatico di Cancún ha rappresentato un importante passo avanti lungo la strada che porta a un nuovo accordo globale su tale tematica.
In effetti, la conferenza di Cancún ha saputo adottare decisioni che, da un lato, permettono un’attuazione immediata sul terreno e, dall’altro, gettano le basi di un accordo mondiale successivo al 2012, solidamente basato sull’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura mondiale al di sotto dei 2°C rispetto all’era preindustriale.
Per quanto concerne gli aspetti di attuazione immediata, è bene citare l’adattamento ai cambiamenti climatici, la tecnologia, la lotta contro il deforestamento e il finanziamento.
Per rafforzare un’azione coerente in materia di adattamento ai cambiamenti climatici volta ad attenuare le conseguenze dei cambiamenti già verificatisi, è stato adottato il quadro d’azione per l’adattamento di Cancún ed è stato istituito un apposito comitato. Detta nuova struttura dovrebbe contribuire a sostenere i paesi più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici.
È stato altresì stabilito un nuovo meccanismo tecnologico al fine di supportare le azioni di attenuazione (riduzione delle emissioni di gas a effetto serra) e di adattamento ai cambiamenti climatici. Per favorire l’attuazione delle azioni in questo settore, sono state create due nuove strutture: il comitato esecutivo tecnologico, nonché il centro e la rete per le tecnologie climatiche. Queste nuove strutture dovrebbero continuare a promuovere in modo più efficace la ricerca, nonché l’utilizzo, la diffusione e il trasferimento delle tecnologie.
È stato inoltre ideato un sistema per contrastare il deforestamento. Bisognerà elaborare misure d’incentivazione finanziaria sulla base delle strategie nazionali o dei piani d’azione dei paesi in via di sviluppo.
Infine, è stato istituito un fondo verde per il clima al fine di contribuire a mettere a disposizione dei paesi in via di sviluppo i 100 miliardi di dollari promessi per il 2020.
Cancún, tuttavia, è solo l’inizio. I documenti frutto di tali negoziati gettano le basi per un futuro accordo internazionale successivo al 2012, rafforzano il sistema di trasparenza per i paesi sviluppati e stabiliscono i principi di un sistema similare per quelli in via di sviluppo. La grande questione che rimane aperta per l’anno prossimo è quella della forma giuridica: resta da capire se sarà possibile convincere tutti i paesi sviluppati che hanno aderito al protocollo di Kyoto ad accettare un secondo periodo di impegni e se Stati Uniti e grandi paesi emergenti accetteranno un nuovo strumento giuridico in seno a tale convenzione.
Il Consiglio s’impegnerà, il prossimo anno, nelle opere di attuazione dei risultati e si concentrerà sulla trasformazione di tale processo in un quadro internazionale vincolante che potrebbe essere negoziato a Durban, in Sudafrica. Sarà necessario in particolar modo assicurare che gli sforzi degli uni e degli altri siano concretamente all’altezza dell’obiettivo dei 2°C.
Il Parlamento europeo verrà regolarmente informato degli sviluppi dei negoziati.
Interrogazione n. 4 dell’onorevole Higgins (H-0578/10)
Oggetto: Destigmatizzare la demenza in Europa
In Irlanda ci sono 38.000 persone affette da demenza e, tenendo conto dell’invecchiamento della popolazione, si prevede un raddoppiamento di tale cifra entro il 2026. Sono oltre 50.000 gli operatori assistenziali di persone affette da demenza e circa 100.000 le persone direttamente coinvolte da tale malattia, costrette a vedere i propri cari soffrire di esclusione e discriminazione sociale.
Come intende il Consiglio agire al fine di sensibilizzare alla demenza e adoperarsi per la sua destigmatizzazione?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Il 3 giugno 2003, il Consiglio ha adottato delle conclusioni sulla lotta alla stigmatizzazione e alla discriminazione in relazione alle malattie mentali. In seno a tale documento, il Consiglio ha invitato gli Stati membri a prestare particolare attenzione all’impatto dei problemi legati alla stigmatizzazione e alla discriminazione in relazione alle malattie mentali su tutte le fasce d’età, a vigilare affinché detti problemi vengano riconosciuti, nonché ad adottare misure volte a contrastare la stigmatizzazione e a promuovere l’inclusione sociale nel quadro di un partenariato e di un dialogo attivi tra tutte le parti coinvolte. Esso ha invitato altresì la Commissione a considerare, in particolar modo, una collaborazione attiva nel quadro di tutte le politiche e le azioni comunitarie relative all’occupazione, alla non-discriminazione, alla protezione sociale, all’istruzione e alla salute, in modo da ridurre la stigmatizzazione e la discriminazione in relazione alle malattie mentali.
Poiché la forma di demenza più comune in seno all’Unione europea è il morbo di Alzheimer (70 per cento dei casi), il 26 settembre 2008, il Consiglio ha adottato delle conclusioni relative ad un impegno comune degli Stati membri contro le patologie neurodegenerative, in particolare il morbo di Alzheimer.
La conferenza di alto livello dell’Unione europea “Insieme per la salute mentale e il benessere” si è svolta a Bruxelles il 13 giugno 2008. Nel corso della stessa, è stato adottato il Patto europeo per la salute mentale e il benessere. Né è derivata la creazione di un quadro di cooperazione dell’Unione europea in materia di salute mentale nel cui ambito vengono condotte diverse azioni divise in cinque settori prioritari. Nel corso del 2010 si sono svolte due conferenze tematiche su tali questioni, ovvero “Promozione della salute mentale e del benessere degli anziani” (Madrid, 28 e 29 giugno 2010) e “Lotta contro la stigmatizzazione e l’esclusione sociale” (Lisbona, 8 e 9 novembre 2010), con il patrocinio della Commissione europea e degli Stati membri.
Recentemente, la presidenza belga ha organizzato, in relazione al settore prioritario della salute mentale degli anziani, una conferenza di alto livello sulla demenza, tenutasi a Bruxelles il 25 e 26 novembre 2010, che faceva seguito a quella sulla lotta contro il morbo di Alzheimer e le malattie apparentate, organizzata dalla presidenza francese a ottobre 2008, nel rispetto della comunicazione della Commissione europea, del 2009, relativa a un’iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza(1).
Interrogazione n. 5 dell’onorevole Koumoutsakos (H-0580/10)
Oggetto: Attrarre, far rimanere e formare la gente di mare
Il contributo della marina mercantile europea alla ripresa dell’economia europea è ben noto e importante. Tuttavia, la competitività dell’UE nel suddetto settore pone numerose sfide. Una di queste, forse la maggiore, è quella di attrarre verso le professioni marittime una manodopera necessaria e qualificata. Per garantire un elevato livello di conoscenze tecniche è necessaria una politica coerente che attragga i giovani verso queste professioni e che li faccia rimanere in questo campo. Creare una marina mercantile europea di qualità non è solo l’obiettivo, ma anche il presupposto per la competitività di tale settore. Tuttavia, la crescente carenza in Europa di gente di mare e la riduzione delle conoscenze tecniche in materia costituiscono una minaccia reale per il settore e la professione marittimi. Alla luce di quanto precede, può il Consiglio rispondere ai seguenti quesiti:
La Presidenza ha esaminato la questione di attrarre, far rimanere e formare la gente di mare e migliorare la sua qualità di vita? Ritiene che si tratti di una questione che dovrà promuovere ulteriormente integrandola nel suo programma di lavoro?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Nel settore oggetto dell’interrogazione dell’onorevole parlamentare, il Consiglio non può legiferare senza una proposta della Commissione. Il Consiglio esaminerà qualunque eventuale proposta della Commissione in materia.
Interrogazione n. 6 dell’onorevole Blinkevičiūtė (H-0583/10)
Oggetto: Disponibilità di libri in formato accessibile per ipovedenti e dislessici
In Europa, ci sono milioni di cittadini europei che hanno problemi di lettura. Si tratta di ipovedenti e dislessici, che non sono in grado di leggere normalmente. Occorre mettere a disposizione di tali persone libri in formati accessibili: audio, braille o caratteri ingranditi. Sfortunatamente, i libri presentati in questi formati interessano raramente gli editori, infatti solo il 5% delle pubblicazioni in tutto il mondo sono disponibili in formato accessibile agli ipovedenti.
Il Consiglio non ritiene che per cambiare questa situazione bisognerebbe cambiare le leggi internazionali sul diritto d’autore per consentire, nel rispetto della legge, di condividere le raccolte di libri in tutta l’Unione europea e oltre i suoi confini? Questo permetterebbe alle persone che hanno disabilità di lettura, ma che conoscono una lingua dell’Unione, di leggere più libri, sia all’interno che all’esterno dell’Unione europea. Qual è il parere del Consiglio sull’idea di una proposta legislativa distinta sulla disponibilità di libri nel formato appropriato per ipovedenti e dislessici, che sia vincolante e incoraggi gli Stati membri dell’Unione e i paesi terzi a scambiarsi libri pubblicati in formati accessibili alle persone con disabilità?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Per quanto attiene alla questione più generale della parità di trattamento delle persone diversamente abili, a giugno 2010 il Consiglio ha adottato una risoluzione sul nuovo quadro europeo in materia di disabilità(1), in cui esso constata, fra l’altro, che l’accesso all’occupazione, ai beni e ai servizi, all’istruzione e a una vita sociale e pubblica, tra gli altri settori, è una condizione preliminare per la piena inclusione e partecipazione delle persone con disabilità nella società(2). A tale proposito, il Consiglio sta esaminando una proposta di direttiva del Consiglio, presentata dalla Commissione, relativa all’attuazione del principio di parità di trattamento delle persone senza distinzioni di religione, ideologia, disabilità, età od orientamento sessuale, la quale mira a garantire la parità di trattamento in settori diversi dall’occupazione, inclusi l’accesso ai beni e ai servizi.
Per quanto attiene in particolare la questione dell’accesso alle opere consultabili da ipovedenti, bisogna segnalare che, il 14 settembre 2010, la Commissione ha sottoscritto un “protocollo d’intesa sul dialogo tra le parti interessate in seno all’Unione europea relativo all’accesso alle opere da parte di persone affette da un handicap che impedisce loro di leggere testi stampati”. Il Consiglio non mancherà di esaminare qualunque eventuale proposta della Commissione in materia.
Sul piano internazionale, l’Unione europea e gli Stati membri hanno proposto al Comitato permanente sul diritto d’autore e diritti connessi dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale una “proposta di raccomandazione comune sul miglioramento dell’accesso alle opere protette da diritti d’autore per le persone con difficoltà di lettura dei testi stampati”. Tale documento mira a una soluzione rapida e pragmatica del problema in questione.
Interrogazione n. 7 dell’onorevole Chountis (H-0589/10)
Oggetto: Meccanismo permanente di sostegno e coinvolgimento di banche private
Il 28 ottobre 2010 il Consiglio ha approvato una serie di modifiche istituzionali proposte dal “gruppo di esperti” (Task Force) e, tra l’altro, intende adottare un meccanismo permanente di stabilità finanziaria in cui anche il settore privato svolgerà un ruolo. Tuttavia, il Presidente della BCE e il Presidente dell’Eurogruppo hanno espresso riserve riguardo al coinvolgimento delle banche private in questo meccanismo, sostenendo che tale eventualità aumenterebbe il costo del prestito per i paesi deboli. Può il Consiglio rispondere ai seguenti quesiti:
Per quale motivo è stato approvato il coinvolgimento del settore privato nel meccanismo permanente di stabilità finanziaria? A che scopo? Questa misura apre la strada all’adozione di un meccanismo di fallimento controllato dei paesi dell’eurozona? Esamina il Consiglio le preoccupazioni espresse dal sig. Trichet e dal sig. Juncker?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Il Consiglio non ha esaminato le questioni sollevate dall’onorevole parlamentare.
Voglia quest’ultimo considerare la dichiarazione che hanno rilasciato a tale proposito i ministri dell’Eurogruppo e i ministri dell’economia e delle finanze il 28 novembre 2010, secondo cui la dotazione finanziaria del programma di concessione di un prestito all’Irlanda sarà finanziata da un contributo della stessa attraverso la riserva di liquidità del Tesoro e di capitali investiti nel Fondo nazionale irlandese di riserva per le pensioni. Il resto della dotazione globale dovrebbe provenire, in parti eguali, dal meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, dal fondo europeo di stabilità finanziaria, dai prestiti bilaterali di Regno Unito, Danimarca e Svezia e dal Fondo monetario internazionale.
Secondo tale dichiarazione, l’Eurogruppo esaminerà a breve la necessità di allineare le scadenze dei finanziamenti di Grecia e Irlanda.
In occasione della seduta del 16 e 17 dicembre, il Consiglio europeo dovrebbe pronunciarsi relativamente agli orientamenti del nuovo meccanismo di stabilità e alla lieve modifica da apportare al trattato per istituire detto meccanismo.
Interrogazione n. 8 dell’onorevole Mitchell (H-0592/10)
Oggetto: Legami UE-Russia
Il recente vertice di Deauville tra la Francia, la Germania e la Russia ha la potenzialità di aprire un nuovo rapporto tra l’UE e la Russia. Il Consiglio intende rafforzare i legami UE-Russia?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) L’Unione europea attribuisce grande importanza al mantenimento di relazioni strette e fruttuose con la Russia, che è uno dei propri partner strategici. Tali relazioni interessano settori molto diversi, che vanno dai rapporti economici alle questioni relative a giustizia, libertà e sicurezza, passando per la sicurezza esterna, la ricerca, l’istruzione e la cultura. Tutti questi settori sono coperti, da un lato, dai tracciati per i quattro spazi comuni, adottati nella primavera del 2005, e dall’altra, com’è ovvio, dai negoziati per un nuovo accordo UE-Russia, che hanno appena visto partire la loro 13° ripresa. D’altro canto, l’accordo siglato il 24 novembre tra Russia e Unione europea sulle questioni bilaterali ancora in sospeso relativamente all’adesione della Russia all’Organizzazione mondiale del commercio dovrebbe facilitare considerevolmente le discussioni in corso.
In occasione del vertice di Rostov, svoltosi il 31 maggio e 1° giugno scorsi, l’Unione europea e la Russia hanno istituito il partenariato per la modernizzazione, allo scopo di dare nuovo impulso politico all’attuazione dei quattro tracciati e contribuire al regolamento delle questioni in sospeso nelle relazioni tra le due potenze. Una dichiarazione congiunta, adottata in tale occasione, descrive le linee direttrici dei lavori. Lo scopo del partenariato è di attuare un quadro flessibile per la promozione di riforme, il sostegno della crescita e il rafforzamento della competitività, basandosi sui quattro spazi e completando i partenariati per la modernizzazione stabiliti su un piano bilaterale tra vari Stati membri e la Russia stessa, senza con ciò sostituirsi ai negoziati in corso per il nuovo accordo UE-Russia.
Lo scopo del partenariato per la modernizzazione è promuovere non solo il commercio e gli investimenti, ma anche e soprattutto, basandosi su una definizione alquanto ampia del termine “modernizzazione”, la democrazia e lo stato di diritto, senza i quali non vi può essere una reale modernizzazione della società. Per tale ragione, la dichiarazione congiunta pone l’accento su settori come il corretto funzionamento della giustizia, il rafforzamento della lotta contro la corruzione o ancora l’approfondimento del dialogo con la società civile. I coordinatori russi e della Commissione hanno elaborato un piano di lavoro, presentato in occasione del vertice UE-Russia di Bruxelles lo scorso 7 dicembre. Tale piano vuole essere uno strumento flessibile, in costante aggiornamento.
Sono in corso anche altri progetti volti a rafforzare i nostri rapporti con la Russia, in particolare i dibattiti sulla liberalizzazione a lungo termine del regime di visti tra l’Unione europea e questo paese. I nostri ministri hanno raggiunto un accordo in occasione del Consiglio di partenariato permanente “Giustizia, libertà e sicurezza” dello scorso 19 novembre, relativamente al cosiddetto approccio delle “tappe comuni”, al termine delle quali sarà possibile negoziare una possibile soppressione del regime dei visti. Tale approccio è stato confermato ai massimi livelli da entrambe le parti in occasione dell’ultimo vertice UE-Russia tenutosi a Bruxelles.
Per concludere, vi è altresì una forte cooperazione in materia di gestione delle crisi, che ha dato i propri frutti nel Ciad e lungo le coste somale. I nostri esperti stanno ora valutando come formalizzare una simile cooperazione sulle basi esistenti, nel pieno rispetto, naturalmente, dell’autonomia decisionale dell’Unione europea.
Tutte queste iniziative si sommano all’intenso dialogo tecnico e politico esistente tra l’Unione europea e la Russia, anche ai massimi livelli, il quale permette di lavorare incessantemente al ravvicinamento delle rispettive posizioni su tutto il ventaglio di settori interessati dall’attuale accordo UE-Russia e dai quattro spazi comuni.
Il Consiglio ha avviato, altresì, una riflessione sui rapporti con i partner strategici, in particolar modo nel contesto dell’attuazione del servizio europeo per l’azione esterna, e la Russia è certamente uno dei principali paesi su cui s’incentrano al momento capi di Stato e di governo.
Interrogazione n. 9 dell’onorevole Theocharous (H-0596/10)
Oggetto: Embargo della Turchia sulle navi e sugli aeromobili della Repubblica di Cipro
La Turchia continua a imporre un embargo sulle navi e sugli aeromobili della Repubblica di Cipro, in violazione delle decisioni dell’UE, dell’ICAO e del protocollo aggiuntivo. Intende la Presidenza del Consiglio agire, soprattutto in vista del Consiglio del prossimo dicembre, affinché la Turchia modifichi la sua posizione? In che modo?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Nonostante i ripetuti appelli del Consiglio e come sottolineato in particolar modo nella dichiarazione della Comunità europea e dei suoi Stati membri del 21 settembre 2005 e nelle conclusioni del Consiglio – soprattutto quelle di dicembre 2006 e dicembre 2009 – la Turchia continua a rifiutare di rispettare il proprio obbligo di attuazione integrale e non discriminatoria del protocollo aggiuntivo dell’accordo di associazione e non ha soppresso tutti gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, in particolare per quanto attiene alle restrizioni che gravano sui collegamenti diretti con Cipro.
La Turchia, inoltre, non ha compiuto progressi in materia di regolarizzazione dei rapporti con la Repubblica di Cipro. Essa continua ad opporre il proprio veto all’adesione di questo paese a diverse organizzazioni internazionali, fra cui l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici e l’intesa di Wassenaar per il controllo delle esportazioni di armi convenzionali e di beni e tecnologie a duplice uso.
La posizione dell’Unione a tale proposito è chiara e rimane immutata: l’attuazione integrale e non discriminatoria del protocollo aggiuntivo dell’accordo di associazione è un obbligo contrattuale che la Turchia ha l’obbligo di rispettare. Questo messaggio è stato chiaramente rivolto a questo paese in seno alle conclusioni del Consiglio di dicembre sul tema dell’allargamento. Le conclusioni del Consiglio sottolineano chiaramente che, in assenza di progressi su tali questioni, il Consiglio manterrà le misure adottate nel 2006, che continueranno a gravare sull’avanzamento generale dei nostri negoziati con la Turchia. Ora ci si aspetta senza indugi che vengano compiuti dei passi avanti.
Il Consiglio continuerà a seguire da vicino tale questione, nonché altri aspetti legati alle riforme che la Turchia deve adottare, e non mancherà di sollevare detti punti a tutti i livelli, come opportuno, in quanto l’attuazione del protocollo aggiuntivo dell’accordo di associazione e la regolarizzazione dei rapporti con la Repubblica di Cipro sono elementi fondamentali in base ai quali vengono misurati i progressi compiuti dalla Turchia nell’ambito di tali negoziati.
Interrogazione n. 10 dell’onorevole Figueiredo (H-0598/10)
Oggetto: Relazioni tra l’Unione europea e Cuba
Come è noto, le relazioni tra l’Unione europea e Cuba sono ostacolate dalla “posizione comune” adottata dal Consiglio nel 1996.
Orbene, posto che tale posizione è unica e che l’Unione europea non detiene una posizione analoga nei confronti di nessun altro paese al mondo, il che ne dimostra chiaramente il carattere discriminatorio, la verità è che la sua proroga non fa che danneggiare l’Unione europea, collocandola in una posizione che serve esclusivamente gli interessi degli Stati Uniti, i quali mantengono un blocco economico parimenti inammissibile, sostenuto soltanto da Israele e respinto da 187 paesi nell’ultima risoluzione delle Nazioni Unite.
Quale tipo di dibattito è attualmente in corso in seno al Consiglio riguardo a Cuba, al fine di revocare d’urgenza questa inaccettabile posizione comune?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Dall’inizio della presidenza belga, “Cuba” è figurata due volte fra i punti all’ordine del giorno del Consiglio “Affari esteri”: a luglio (26 luglio 2010) e ad ottobre (25 ottobre 2010).
Ad ottobre, i membri del Consiglio hanno proceduto ad uno scambio di opinioni, durante la colazione di lavoro, circa gli sviluppi politici ed economici verificatisi recentemente a Cuba e circa le possibili opzioni per la politica dell’Unione europea nei confronti di questo paese. Essi hanno convenuto di avviare una riflessione in materia e di chiedere all’Alta rappresentante, nel quadro della posizione comune dell’Unione su Cuba, di valutare le possibili opzioni dei futuri rapporti con Cuba e di relazionare al proposito al Consiglio il prima possibile.
Interrogazione n. 11 dell’onorevole Crowley (H-0603/10)
Oggetto: Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale
Può il Consiglio illustrare gli obiettivi specifici raggiunti dall’Unione europea durante il 2010, Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) L’obiettivo di sottrarre almeno 20 milioni di persone al rischio di povertà e di esclusione entro il 2020 è stato approvato dal Consiglio europeo di giugno 2010 nel quadro dell’obiettivo della strategia Europa 2020 di promozione dell’inclusione sociale(1). Tale obiettivo dovrebbe essere determinato sulla base di tre indicatori che traducono i vari aspetti della povertà e dell’esclusione: il tasso di rischio della povertà, il tasso di deprivazione materiale e la percentuale di persone che vivono in famiglie di disoccupati.
La strategia Europa 2020 prevede inoltre sette iniziative faro, tra cui la Piattaforma europea contro la povertà, che mira a garantire una coesione sociale e territoriale tale da condividere ampiamente i vantaggi della crescita e dell’occupazione e da permettere a coloro che vivono in situazioni di povertà e di esclusione sociale di ottenere i mezzi per la propria sussistenza in modo dignitoso e di partecipare attivamente alla società. Detta piattaforma sarà presentata ufficialmente dalla Commissione europea prima della fine di dicembre 2010.
Nel quadro dell’attuazione della strategia Europa 2020, il 21 ottobre 2010 il Consiglio ha adottato una decisione sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione(2), tra cui l’orientamento n. 10, che concerne specificamente la promozione dell’inclusione sociale e la lotta contro la povertà. Poiché la strategia Europa 2020 pone l’accento soprattutto sul principio dell’accesso a servizi di qualità abbordabili e sostenibili per tutti i cittadini, il 7 dicembre 2010 il Consiglio ha adottato altresì delle conclusioni sui servizi sociali di interesse generale(3).
Allo scopo di rendere perenni gli esiti di quest’Anno europeo, il 6 dicembre il Consiglio ha adottato la dichiarazione su “L’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale: lavorare insieme per combattere la povertà nel 2010 e oltre”(4). Allo scopo di attribuire a tali risultati ancor maggior peso, i ministri competenti degli Stati membri sono invitati a sottoscrivere tale dichiarazione in occasione della conferenza di chiusura dell’Anno europeo, che si terrà a Bruxelles il 16 e 17 dicembre.
Interrogazione n. 12 dell’onorevole Gallagher (H-0605/10)
Oggetto: Attacchi contro le comunità cristiane in Iraq
In seguito all’approvazione della risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2010 sull’Iraq (P7_TA(2010)0448), può il Consiglio indicare quali misure intende adottare per impedire nuove violazioni dei diritti umani nei confronti delle comunità cristiane in Iraq?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Il Consiglio è fortemente preoccupato per la violenza che si verifica in Iraq, in particolar modo nei confronti di coloro che appartengono a delle minoranze, ed è estremamente attenta all’evoluzione della situazione in questo paese. L’attentato che ha colpito i fedeli presso la cattedrale di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, a Bagdad, in cui sono stati uccisi o feriti molti civili innocenti, è stata una vera tragedia. L’Alto rappresentante Catherine Ashton ha immediatamente condannato quest’intollerabile attentato, perpetrato ai danni di fedeli innocenti.
L’Unione europea è estremamente preoccupata e condanna tutte le forme di intolleranza e di violenza commesse ai danni delle persone in ragione del loro orientamento religioso, del loro credo o di qualunque altro motivo. In molti paesi, i diritti fondamentali delle persone che appartengono a minoranze religiose non vengono ancora rispettati. L’Unione europea è risolutamente determinata a lottare contro le discriminazioni basate sulla religione o sulle credenze delle persone, come confermato dalle conclusioni del Consiglio di novembre 2009, in cui i ministri degli Stati membri hanno deciso di aumentare gli sforzi dell’Unione per la promozione della libertà religiosa nei rapporti bilaterali e in un contesto multilaterale.
Il Consiglio ha affrontato la questione della violenza contro le minoranze religiose in generale, ed in Iraq in particolare, in occasione della seduta di novembre e ha adottato delle conclusioni relativamente a questo paese. Esso ha espresso la propria profonda preoccupazione e condanna senza riserve a fronte degli attentati recentemente commessi in Iraq ai danni di fedeli cristiani e musulmani. Esso ha condannato qualunque forma di incitazione alla violenza e tutti gli atti violenti, inclusi quelli motivati da odi religiosi o etnici.
In tale occasione, il Consiglio ha inoltre sottolineato che l’Iraq doveva dotarsi con urgenza di un governo stabile e rappresentativo, in grado di operare nuovamente a favore della riconciliazione nazionale. Esso ha plaudito ai primi passi compiuti verso la formazione di un nuovo governo iracheno aperto, il quale dovrà concentrarsi sulle persistenti violenze che si verificano nel paese, nonché su altre importanti sfide. Va da sé che il Consiglio continuerà a far conoscere il proprio parere e spera di poter cooperare con il nuovo governo iracheno, soprattutto sulle questioni relative ai diritti dell’uomo.
L’Unione europea continuerà a sollevare tali questioni, in particolar modo per quanto attiene alla tutela delle minoranze, ogni volta che ne avrà l’occasione, a tutti i livelli, e continuerà altresì ad insistere sull’importanza che riveste il rispetto di tutti gli impegni presi sul piano internazionale, in particolare quelli che il governo iracheno ha assunto nel 2010, a Ginevra, in occasione del riesame periodico universale del Consiglio sui diritti dell’uomo.
L’Unione si appresta a siglare un accordo di partenariato e di cooperazione con l’Iraq. Il Consiglio auspica che in questo paese s’instauri ben presto un nuovo governo, in modo che il processo di rafforzamento dei rapporti con esso possa proseguire. L’Unione europea mantiene il proprio sostegno allo sviluppo a favore dell’Iraq, che comporta un importante capitolo sullo stato di diritto, e il Consiglio ha recentemente prorogato fino a giugno 2012 la missione “stato di diritto” EUJUST LEX, che prevede un programma di formazione in Iraq.
Il governo iracheno ha dichiarato di voler rispettare i propri obblighi internazionali in materia di diritti dell’uomo. La costituzione irachena tutelerà le minoranze. Continueremo a cooperare in modo costruttivo con l’Iraq per sostenere gli sforzi che tale paese adopera in questo settore.
Interrogazione n. 13 dell’onorevole Andrikienė (H-0611/10)
Oggetto: Valutazione del vertice OSCE
Può il Consiglio commentare l’ultimo vertice OSCE, svoltosi il 1°-2 dicembre? Quali sono i risultati del vertice? Si sono fatti progressi nella riforma dell’OSCE? Prima del vertice, si è avuto un coordinamento significativo tra gli Stati membri dell’UE?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) In occasione del vertice dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), tenutosi ad Astana il 1° e 2 dicembre 2010, i membri dell’Organizzazione hanno adottato una dichiarazione commemorativa contenente la riaffermazione completa ed inequivocabile di tutti i principi, le norme e gli impegni presi dagli Stati membri dell’OSCE nel quadro di quest’ultima, a partire dall’atto finale di Helsinki. Tale dichiarazione, inoltre, include l’impegno, da parte degli Stati membri dell’OSCE, a rafforzare l’Organizzazione e ad aumentarne l’efficienza e l’efficacia.
Si noti che, in occasione del vertice di Astana, non è stato possibile adottare un piano d’azione per l’OSCE, fattore che era e resta una priorità per l’Unione europea. Nondimeno, grazie agli sforzi di quest’ultima, la suddetta dichiarazione commemorativa incarica la futura presidenza di turno dell’OSCE, ovvero la Lituania, di organizzare un processo di notifica al fine di elaborare un piano d’azione concreto per l’Organizzazione, con il sostegno di tutte le sue strutture e degli Stati che ne fanno parte.
Per concludere, il coordinamento dell’Unione prima del vertice e durante il suo svolgimento è stato eccellente. In questo modo essa ha potuto svolgere un ruolo centrale e costruttivo. Il Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, ha peraltro pronunciato un discorso, a nome dell’Unione europea, in cui ha definito dettagliatamente la visione dell’UE sul futuro dell’OSCE e ha riaffermato il sostegno dell’Unione all’Organizzazione.
Interrogazione n. 14 dell’onorevole McGuinness (H-0613/10)
Oggetto: Rafforzamento dell’UE al centro
Può far sapere il Consiglio se è preoccupato riguardo alla prospettiva di continuare a rafforzare l’UE al centro, con una manciata di Stati membri forti, mentre Stati membri più deboli si trovano alla periferia, la qual cosa potrebbe potenzialmente portare a una disillusione rispetto al progetto europeo, a scapito di tutti gli Stati membri?
Può il fenomeno avere conseguenze negative in ambito politico ed economico? Quali azioni saranno messe in atto per affrontare la situazione?
La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di dicembre 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
(FR) Il Consiglio non ha discusso tale questione e non è pertanto in grado di rispondere all’onorevole parlamentare.
INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 20 dell’onorevole Harkin (H-0574/10)
Oggetto: Anno europeo del volontariato 2011
A qualche settimana dall’inizio dell’Anno europeo del volontariato 2011, l’interrogante chiede alla Commissione:
Cosa intende fare per continuare a promuovere il volontariato in quanto espressione della cittadinanza europea attiva?
Intende garantire che l’Anno europeo del volontariato 2011 lasci un’eredità duratura, sostenendo l’elaborazione di un documento completo su una politica globale dell’UE in merito al volontariato, segnatamente un Libro bianco in materia?
(EN) L’Anno europeo del volontariato sarà presentato a livello europeo, nazionale e regionale con il pieno coinvolgimento delle organizzazioni delle società civile. Le attività spaziano da conferenze e dibattiti allo scambio di buone pratiche, passando per il Tour della manifestazione, che funge da vetrina per il volontariato di tutti gli Stati membri in modo da segnalare i vari eventi in tutta l’Unione europea.
Il volontariato fornisce un valente contributo all’integrazione europea. Il 2011 sarà l’anno della sensibilizzazione verso di esso, con quattro obiettivi principali.
Il primo è la riduzione delle barriere per il volontariato, che in molti casi richiede un’azione legislativa ed amministrativa a livello nazionale. L’Anno europeo fornirà informazione per lo sviluppo di una politica che renda possibile raggiungere tale obiettivo, avviando un dialogo in seno agli Stati membri e tra questi ultimi e le organizzazioni di volontariato.
Il secondo obiettivo è attribuire maggiore potere alle organizzazioni di volontariato, migliorando la qualità del servizio offerto, ad esempio attraverso lo scambio di migliori pratiche. Il recente invito a presentare proposte(1)di progetti faro è un progresso tangibile che la Commissione ha compiuto per raggiungere questo obiettivo.
Il terzo obiettivo è quello di riconoscere e premiare le attività di volontariato. Vi sono due aspetti relativi al “riconoscimento”: il primo riguarda la misura del contributo che il settore del volontariato offre all’economia e alla società (ovvero aumentare la disponibilità di statistiche sul volontariato confrontabili a livello internazionale), il secondo concerne la convalida o il riconoscimento delle capacità e competenze che l’individuo può acquisire grazie al volontariato.
Il quarto obiettivo è garantire che vi sia maggiore consapevolezza, sia in Europa che all’estero, del valore del volontariato e del suo contributo all’economa, alla società e alle vite dei singoli.
La Commissione desidera assicurare all’onorevole parlamentare che vi è un profondo impegno a garantire che l’Anno europeo lasci un’eredità significativa, duratura e positiva per il volontariato, ben oltre la fine del 2011. La Commissione si baserà sui risultati delle varie conferenze e dei vari eventi dell’Anno, i quali fungeranno da piattaforma per ampliare e approfondire l’ambito, i contenuti e la qualità di volontariato. Non conosciamo ancora la natura esatta dei risultati politici dell’Anno europeo in questione, ma ne sapremo di più nel corso dell’anno stesso. Ai sensi dell’articolo 11 della decisione del Consiglio che ha stabilito tale Anno (decisione del Consiglio 2010/37/CE del 27 novembre 2009(2)), la Commissione è tenuta a inviare una relazione alle altre istituzioni dell’Unione europea (Parlamento, Comitato delle regioni, Comitato economico e sociale europeo e Consiglio) al termine dell’Anno. Tale documento contribuirà a identificare le direzioni verso cui avviare ulteriori azioni nel settore del volontariato.
Interrogazione n. 21 dell’onorevole Cashman (H-0588/10)
Oggetto: Seguito del rapporto dell’Agenzia dei diritti fondamentali sull’omofobia, la transfobia e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere
L’Agenzia dei diritti fondamentali ha recentemente presentato il rapporto sull’omofobia, la transfobia e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Il rapporto evidenzia complessivamente le questioni concernenti il diritto alla vita e la protezione dall’odio e dalla violenza, le minacce alla libertà di riunione e di espressione, l’ultima direttiva antidiscriminazione attualmente in esame al Consiglio, l’evoluzione della giurisprudenza e delle politiche dell’Unione europea intese ad affrontare la discriminazione legata all’identità di genere, il riconoscimento reciproco delle unioni omosessuali e la tutela di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (GLBT) che chiedono protezione internazionale.
Intende la Commissione proporre una tabella di marcia globale sulla questione dell’uguaglianza di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali per dare seguito alle raccomandazioni dell’Agenzia negli ambiti summenzionati?
(EN) La Commissione respinge l’omofobia e la transfobia, in quanto si tratta di palesi violazioni della dignità umana.
La Commissione è determinata a garantire che il diritto dell’Unione europea rispetti sempre appieno l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vieta esplicitamente la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Tale disposizione della Carta è vincolante per gli Stati membri dal momento che attuano il diritto comunitario.
A tale proposito, la Commissione plaude al nuovo rapporto sull’omofobia, la transfobia e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere presentato dall’Agenzia dei diritti fondamentali alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni il 30 novembre 2010. I pareri dell’Agenzia contenuti in questo nuovo rapporto sono oggetto di attenta analisi da parte della Commissione.
Interrogazione n. 22 dell’onorevole Mirsky (H-0594/10)
Oggetto: Trattamento iniquo dei rappresentanti delle minoranze nazionali in Lettonia
L’11 marzo 2004 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’adesione all’Unione europea di dieci Stati, fra i quali la Lettonia e l’Estonia (P5_TA(2004)0180, A5-0111/2004). Detta risoluzione afferma chiaramente la necessità, per la Lettonia, di facilitare il processo di naturalizzazione per le persone anziane e di accordare ai non-cittadini residenti di lunga data il diritto elettorale attivo e passivo alle elezioni municipali.
Mentre l’Estonia si è conformata a tale risoluzione, la Lettonia l’ha totalmente ignorato. Attualmente in Lettonia 335.000 non-cittadini, ossia il 15% della popolazione – la maggioranza dei quali sono nati e hanno vissuto tutta la vita in questo paese – sono privati dei loro diritti fondamentali: i non-cittadini di Lettonia non hanno né il diritto di votare né quello di presentarsi candidati alle elezioni municipali. In che misura il fatto che il 15% di una popolazione non dispone del diritto di voto può essere ritenuto conforme alla legislazione dell’Unione europea? In che modo la Commissione sarebbe disposta ad aiutare lo Stato lettone a correggere il suo atteggiamento globalmente iniquo nei confronti dei suoi abitanti?
(EN) La Commissione è consapevole che la situazione della minoranza linguistica russa in Lettonia è una questione delicata. Essa desta numerose preoccupazioni che sono state altresì espresse, in passato, in seno a diverse interrogazioni da parte del Parlamento. Le risposte hanno evidenziato gli sforzi compiuti nel quadro della strategia di preadesione allo scopo di incentivare la naturalizzazione e l’integrazione di queste persone, in linea con le raccomandazioni dell’Organizzazione sulla sicurezza e la cooperazione in Europa e del Consiglio d’Europa. La Commissione stessa ha contribuito in modo significativo a sostenere la Lettonia nei propri sforzi di promozione dell’integrazione.
Allo stesso tempo è necessario considerare che i requisiti per ottenere o perdere la cittadinanza degli Stati membri sono regolate esclusivamente dal diritto nazionale dei vari Stati membri, pertanto ciascuno Stato è libero di definire i requisiti per l’acquisizione della propria nazionalità. In base al diritto dell’Unione europea, la Commissione non è competente in queste materie.
Per quanto attiene il diritto di voto, la legislazione comunitaria garantisce ai cittadini dell’Unione il diritto di partecipare alle elezioni comunali e alle elezioni del Parlamento europeo in seno allo Stato membro ospitante in cui risiedono, anche se non ne hanno la cittadinanza(1). Altri aspetti relativi all’organizzazione delle elezioni in seno agli Stati membri sono di competenza di questi ultimi, inclusa la concessione del diritto di voto a cittadini che risiedono sul loro territorio, pur non essendo propri cittadini.
Direttiva 94/80/CE del Consiglio, del 19 dicembre 1994, che stabilisce le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza, GU L 368 del 31.12.1994, e Direttiva 93/109/CE del Consiglio, del 6 dicembre 1993, relativa alle modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini, GU L 329 del 30.12.1993, rispettivamente
Interrogazione n. 23 dell’onorevole Crowley (H-0604/10)
Oggetto: Piano d’azione dell’Unione europea in materia di lotta contro la droga 2009-2012
Può la Commissione fare una dichiarazione illustrando i progressi finora compiuti e le sfide che ancora rimangono in relazione all’attuazione del Piano d’azione dell’Unione europea in materia di lotta contro la droga 2009-2012?
(EN) L’onorevole parlamentare chiede un’illustrazione dei progressi compiuti e le sfide che ancora rimangono in relazione all’attuazione del piano d’azione dell’Unione europea in materia di lotta contro la droga 2009-2012(1).
La Commissione è incaricata di verificare l’attuazione di tale piano. Essa ha pubblicato la prima valutazione in materia per il periodo 2009-2012 il 5 novembre 2010. Tale documento(2)è stato inviato al Parlamento e al Consiglio.
Detta valutazione dimostra che sono stati compiuti progressi nella maggior parte delle azioni previste in seno al Piano d’azione in materia di lotta contro la droga. Tra i risultati degni di nota vi sono:
– una diminuzione del numero di nuovi casi di HIV tra coloro che fanno uso di droghe,
– una maggior cooperazione nella lotta al traffico di sostanze stupefacenti e
– un approccio più strategico alla ricerca in materia di droghe.
Nondimeno, rimangono ancora da affrontare alcune sfide, ossia:
– l’aumento del numero di decessi per overdose di cocaina,
– il rapido emergere di nuove sostanze psicoattive, che vengono commercializzate come alternative legali alle droghe illecite (“legal highs”) e che possono comportare rischi per la salute e la società,
– l’aumento dell’uso combinato di sostanze lecite ed illecite (politossicomania),
– il rapido cambio nelle rotte del narcotraffico, in quanto i gruppi del crimine organizzato cercano di aggirare gli ostacoli disposti dagli Stati membri dell’Unione europea per eliminare la loro attività commerciale e
– la necessità di concentrarsi maggiormente su politiche in materia di assistenza estera volte a ridurre la domanda di droghe nei paesi terzi.
Il prossimo anno, la Commissione avvierà una valutazione indipendente, ad ampio raggio, della strategia dell’Unione europea in materia di droga per il periodo 2005-2012 e dei suoi due piani d’azione. Questa sarà la più completa valutazione di tale politica europea fino a oggi e analizzerà otto anni di politica settoriale in seno all’Unione europea.
Interrogazione n. 27 dell’onorevole Paleckis (H-0584/10)
Oggetto: Relazioni tra l’UE e la Bielorussia
L’attuale campagna per le elezioni presidenziali in Bielorussia è un po’ più trasparente e democratica di quella precedente, anche se si è ancora lontani dagli standard europei. L’UE ha promesso alle autorità del paese circa 3 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni, se le elezioni si svolgono democraticamente. L’economia della Bielorussia potrebbe affrontare sfide significative nel breve termine. Per rispondere alle sfide poste dalla crisi economica, diversi Stati membri dell’Unione europea, tra cui la Lituania, hanno deciso di lanciare, con la Bielorussia e l’Ucraina, una serie di progetti comuni nei settori dell’energia, trasporti e cultura, che intendono attuare con il sostegno dell’Unione europea. Gli accordi tra la Bielorussia e la Polonia, la Lituania e la Lettonia dovrebbero entrare in vigore ben presto per agevolare l’attraversamento delle frontiere per i frontalieri. All’inizio del prossimo anno potrebbero iniziare i negoziati tra l’UE e la Bielorussia sul minor costo dei visti e della riammissione.
Qual è il parere della Commissione sul contributo dei paesi dell’Unione europea, in particolare dei paesi vicini della Bielorussia, allo sviluppo delle relazioni tra l’UE e la Bielorussia? Qual è la forma che tale contributo dovrebbe prendere dopo le elezioni presidenziali in Bielorussia?
(EN) Sin dal rilascio dei prigionieri politici da parte della Bielorussia, nel 2008, l’Unione europea ha sviluppato una politica di impegno graduale e critico nei confronti di questo paese, la quale ha permesso la ripresa di incontri di alto livello, l’ampliamento di dialoghi settoriali e la partecipazione della Bielorussia al partenariato orientale. Oltre a ciò, l’Unione europea sta attualmente lavorando su una bozza di piano interinale congiunto di riforme (da negoziare e far sottoscrivere alla Bielorussia) e discutendo i mandati a negoziare per gli accordi di facilitazione del rilascio dei visti e di riammissione, che rafforzeranno i contatti fra le persone.
Ci risulta che la Bielorussia, assieme ad altri paesi aderenti al partenariato orientale e alcuni Stati membri, intende presentare nuove proposte di progetti congiunti che il partenariato orientale dovrebbe sostenere. Quando le avremo ricevute, le osserveremo attentamente e valuteremo se possono beneficiare o meno del sostegno del partenariato orientale.
Plaudiamo al sostegno alla Bielorussa da parte di singoli Stati membri dell’Unione, inclusi i paesi limitrofi, quando esso è offerto nel rispetto dell’approccio dell’Unione europea verso questo paese concordato dal Consiglio. Sono inoltre in fase di definizione gli accordi relativi al traffico frontaliero locale tra la Bielorussia e tre Stati membri con essa confinanti. La Commissione guarda con favore alla sottoscrizione di simili accordi, che rafforzano i contatti tra le persone attraverso i confini.
La Commissione ha appreso con interesse delle recenti dichiarazioni riportate, secondo cui la Bielorussia potrebbe contare su più di 3 miliardi di euro di sostegno nei prossimi 3 anni, se ospiterà elezioni libere e democratiche e se migliorerà i propri rapporti con l’Unione europea. Quantunque la Commissione non sia in grado di produrre cifre esatte, un ulteriore aumento degli aiuti dell’Unione sarebbe in linea con l’approccio stabilito dal Consiglio “Affari esteri” nelle proprie conclusioni del 25 ottobre sulla Bielorussia.
Per quanto concerne le elezioni, conveniamo che si sono osservati dei progressi rispetto alle elezioni precedenti. Nel rispetto delle raccomandazioni dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Organizzazione sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, la Commissione ha trasmesso alla Bielorussia le richieste dell’Unione europea in materia di svolgimento delle elezioni. Osserveremo attentamente tale processo durante le prossime elezioni: progressi chiari e misurabili rispetto alle ultime elezioni darebbero nuovo impulso all’impegno politico dell’Unione europea verso questo paese.
Interrogazione n. 28 dell’onorevole Chountis (H-0586/10)
Oggetto: Negoziati segreti tra UE e Turchia
Secondo un articolo del quotidiano turco “Milliyet”, sono in corso “negoziati segreti” tra la Commissione europea e la Turchia riguardo all’apertura dei porti turchi alle navi cipriote e all’apertura dell’aeroporto di Ercan, nel territorio occupato di Cipro, a voli provenienti da paesi dell’UE.
Può la Commissione smentire o confermare le notizie summenzionate? Se vi sono effettivamente dei negoziati in corso, esiste una relazione tra l’obbligo separato della Turchia di aprire i suoi porti e aeroporti alle navi e agli aerei ciprioti e l’apertura dell’aeroporto di Ercan a voli provenienti da paesi dell’UE? Come commenta il parere JURI_AL(2010)450882 della commissione giuridica del Parlamento che indica che il territorio di Cipro costituisce, nella sua totalità, parte dell’unione doganale dell’UE e, pertanto, non può essere regolato sulla base della politica commerciale comune poiché ciò “implicherebbe, di fatto, che la linea che separa il territorio di Cipro verrebbe equiparata alle frontiere esterne dell’Unione”? Intende la Commissione rispettare il parere della commissione competente del Parlamento europeo?
Interrogazione n. 29 dell’onorevole Madlener (H-0595/10)
Oggetto: Negoziati segreti tra la Commissione europea e la Turchia
Può la Commissione confermare che sta conducendo negoziati segreti con la Turchia al fine di permettere a questo paese di aprire nuovi capitoli e poter infine aderire all’UE(1)?
In caso affermativo, come spiega ciò la Commissione? In caso negativo, perché no?
Interrogazione n. 30 dell’onorevole Theocharous (H-0597/10)
Oggetto: Obblighi della Turchia
Sono state pubblicate informazioni relative a consultazioni segrete tra il Commissario Füle e le autorità turche. Il sig. Füle non ha né smentito né confermato le suddette informazioni. Insiste la Commissione sulla piena attuazione degli obblighi della Turchia oppure potrebbe accettare anche un adempimento parziale di essi? Potrebbe la Commissione europea accettare una formula con la quale la Turchia aprirebbe soltanto il suo spazio aereo senza aprire i suoi aeroporti o aprirebbe uno o due porti o aeroporti invece che tutti? Continua la Commissione a ritenere che in cambio dell’apertura degli aeroporti e dello spazio aereo turchi potrebbe essere aperto l’aeroporto illegale di Tymbou?
(EN) La Commissione sostiene pienamente gli attuali sforzi di giungere a una soluzione del problema cipriota, che sarebbe di beneficio per Cipro e per tutta l’Unione europea. Inoltre, la Commissione si aspetta che la Turchia attui completamente il protocollo aggiuntivo all’accordo di associazione.
Il Commissario per l’allargamento è costantemente in contatto con tutti i portatori di interesse e osserva da vicino gli sviluppi della questione cipriota.
Il dialogo con tutti i portatori di interesse ha luogo nel rispetto dei parametri stabiliti dalla dichiarazione del Consiglio del 21 settembre 2005 e delle sue conclusioni dell’11 dicembre 2006.
Per quanto concerne la seconda questione sollevata nell’interrogazione, la Commissione tiene in assoluta considerazione il parere della commissione giuridica citato nell’interrogazione, nondimeno, a suo avviso, la base giuridica corretta per il cosiddetto regolamento sul commercio diretto è l’articolo 207 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Nel proporre le norme relative al commercio diretto con la parte settentrionale di Cipro, la Commissione ha utilizzato la base giuridica corrispondente al contenuto di tali misure. Lo scopo della proposta della Commissione è offrire un classico regime di concessione commerciale, non sollevare la sospensione e applicare parte dell’acquis alla zona settentrionale dell’isola. L’estensione dell’acquis sarà possibile solo a seguito di un assestamento e di una riunificazione del paese. Per ovvie ragioni, l’acquis non può avere forza esecutiva in tali aree prima della riunificazione.
La Commissione ha pertanto proposto l’adozione di questo atto ai sensi dell’articolo 133 del trattato CE (ora articolo 207 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea), che rappresenta la base giuridica per regimi commerciali di questo tipo.
Il fatto che le aree in questione facciamo parte di uno Stato membro (Cipro) non rendono tale base giuridica inappropriata, in quanto esse si trovano al di fuori del territorio fiscale e doganale dell’Unione europea, in conseguenza della sospensione dell’acquis all’interno delle stesse.
La proposta della Commissione non ha nulla a che fare con lo status di “linea verde” a Cipro e non è in nessun caso pretesto per equipararlo alle frontiere esterne dell’Unione.
La Commissione conferma la propria proposta e considera il parere della commissione giuridica del Parlamento europeo un passo intermedio in seno alla procedura parlamentare in corso. La Commissione reagirà formalmente solo a seguito dell’adozione della propria posizione da parte del Parlamento.
Interrogazione n. 31 dell’onorevole Hadjigeorgiou (H-0591/10)
Oggetto: Realizzazione dell’obiettivo di ridurre il tasso di abbandono scolastico precoce
Può la Commissione far sapere in che misura è preoccupata riguardo alla stima contenuta nella relazione 2010 sui progressi compiuti dalla Turchia, che indica che un numero elevato di minori (secondo alcune informazioni, tale numero è superiore a 200.000), soprattutto ragazze, è costretto ad abbandonare prematuramente la scuola pubblica e che il livello di sicurezza sanitaria delle ragazze in suddette scuole è allarmante?
Quali misure intende la Commissione adottare per affrontare il problema?
(EN) La Commissione è consapevole della gravità del problema dell’abbandono scolastico, soprattutto per quanto attiene alle ragazze della Turchia orientale e meridionale e monitora da vicino gli sforzi compiti dal paese per far fronte a tale questione. Quantunque il numero di abbandoni scolastici precoci rimanga considerevole, la Turchia mostra una tendenza positiva in questo senso.
Come indicato dalla Commissione nella propria relazione del 2010 sui progressi realizzati dalla Turchia, la percentuale della popolazione di età compresa fra i 18 e i 24 anni con titolo di studio di scuola secondaria inferiore che non prosegue gli studi è diminuita fermamente dal 58,1 per cento del 2000 al 44,6 per cento del 2010. Il tasso di iscrizione scolastica ad istituti di istruzione primaria, in Turchia, è aumentato significativamente a seguito della promulgazione della legge per l’istruzione di base del 1997. In seno al paese, tale percentuale di iscrizione (classi 1-8) è salita, nel corso dell’anno scolastico 2009/2010 al 98,47 per cento per i ragazzi e al 97,84 per cento per le ragazze. Dette cifre indicano altresì che il divario di genere nelle scuola primaria a livello nazionale è praticamente colmato. Per quanto attiene all’istruzione secondaria (classi 9-12), nell’anno scolastico 2009/2010, il tasso netto di iscrizioni è salito al 64,95 per cento, tuttavia vi sono forti disparità a livello regionale: i tassi di iscrizione in seno alle singole province passano dal 27 all’89 per cento, con le province orientali ai limiti inferiori, in quanto l’istruzione secondaria, in Turchia, non è obbligatoria. Vi è altresì un significativo squilibrio di genere, con tassi di iscrizione netti pari al 67,55 per cento per i ragazzi e al 62,21 per cento per le ragazze.
La Commissione sostiene gli sforzi della Turchia di aumentare la percentuale di iscrizione dei bambini agli istituti di istruzione primaria e secondaria attraverso lo strumento di assistenza preadesione. A tale proposito, desidererei citare due progetti che sono stati recentemente approvati dalla Commissione.
Il primo progetto si intitola “Aumentare il tasso di frequenza scolastica da parte dei bambini nella scuola primaria in Turchia” e mira a diminuire il tasso di abbandoni, in particolar modo nella regione sudorientale del paese. Il contributo totale dell’Unione europea per questo progetto ammonta a 2,88 milioni di euro. La fase di attuazione di tale progetto dovrebbe iniziare nella seconda parte del 2011.
Il secondo progetto si intitola “Aumentare i tassi di iscrizione agli istituti di istruzione secondaria, soprattutto da parte delle ragazze”. L’importo complessivo per questo progetto ammonta a 16 milioni di euro. Aumentando il tasso di iscrizione agli istituti di istruzione secondaria da parte delle ragazze, la Commissione mira altresì a favorire l’accesso delle donne al mercato del lavoro. La fase di attuazione di tale progetto dovrebbe iniziare nel 2011.
Interrogazione n. 32 dell’onorevole Gallagher (H-0606/10)
Oggetto: Negoziati di adesione tra l’Islanda e l’UE
Può la Commissione fornire una valutazione aggiornata dei negoziati di adesione in corso tra l’Islanda e l’Unione europea?
(EN) La prima relazione della Commissione sui progressi realizzati dall’Islanda è stata trasmessa al Parlamento europeo il 9 novembre 2010 ed è stata discussa in seno alla commissione per gli affari esteri quello stesso giorno.
Sono stati compiuti progressi relativamente ai criteri politici, in quanto l’Islanda si è adoperata per colmare le lacune identificate nel parere circa la nomina dei giudici e il conflitto di interessi. La relazione ha valutato positivamente il seguito dato alle conclusioni della commissione d’inchiesta speciale. La Commissione ora necessita di monitorare da vicino gli effetti che tali misure avranno in loco.
Per quanto concerne i criteri economici, la situazione non risulta uniforme: sebbene l’economia sia andata stabilizzandosi, garantendo il corretto funzionamento del settore finanziario e riducendo i livelli di debito, questi ultimi costituiscono ancora una sfida.
Concludendo, la relazione conferma la valutazione espressa nel parere per quanto riguarda le principali sfide poste dai negoziati di adesione: pesca, ambiente, agricoltura e riforma del settore finanziario.
Per quanto attiene ai negoziati di adesione, siamo ancora in una fase relativamente presta. Al momento i servizi della Commissione sono nel pieno del cosiddetto “screening”, ovvero dell’esame analitico dell’acquis, fase che è iniziata il 15 novembre 2010 e che continuerà fino a metà giugno del 2011.
I servizi della Commissione hanno avviato l’analisi dei capitoli più complessi, ossia servizi finanziari, ambiente, agricoltura, pesca (prevista per il 16 e 17 dicembre 2010) parallelamente a capitoli meno complessi, in particolare quelli che interessano lo spazio economico europeo. La prima impressione della Commissione, dopo quattro settimane di incontri per lo screening assieme ad esperti islandesi, è che le autorità di questo paese si stiano preparando bene per questa fase e siano fortemente consapevoli dei compiti da svolgere.
La fase di negoziato vero e proprio non è ancora partita: la Commissione sta attualmente valutando il grado di preparazione dell’Islanda e identificato possibili lacune per l’attuazione dell’acquis che dovranno essere affrontate durante i negoziati di adesione.
Alla luce delle informazioni ottenute durante gli incontri per lo screening, la Commissione determinerà su quali aspetti i negoziati potranno proseguire e formulerà le relative proposte agli Stati membri. La Commissione auspica che sarà possibile avviare i negoziati di adesione per alcuni settori politici a metà del 2011.
Nel complesso, l’Islanda è ben preparata ad assumersi gli obblighi derivanti dall’adesione nel medio termine, in particolar modo nei settori che interessano lo spazio economico europeo e l’area Schengen.
Interrogazione n. 34 dell’onorevole Davies (H-0575/10)
Oggetto: Attuazione della normativa sul cambiamento climatico
Quando intende la Commissione pubblicare i dettagli dei progressi realizzati da ciascuno Stato membro nel soddisfare i requisiti della legislazione applicabile in materia di cambiamento climatico, nonché la sua valutazione degli attuali progressi in vista del conseguimento degli obiettivi di riduzione della CO2 nel 2020?
(EN) La relazione 2010 sui “Progressi verso il conseguimento degli obiettivi di Kyoto”, pubblicata dalla Commissione il 12 ottobre 2010 (http://ec.europa.eu/clima/policies/g-gas/reports_en.htm" ), mostra che, sulla base delle ultime proiezioni della Commissione, che comprendono gli effetti della recessione economica, nonché delle politiche e misure nazionali implementate nel 2009, le attuali politiche di riduzione delle emissioni di CO2 non sarebbero sufficienti a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che l’Unione europea si è prefissata per il 2020.
Inoltre, nel contesto della strategia Europa 2020, la Commissione relazionerà ogni anno sui progressi compiuti dagli Stati membri verso gli obiettivi climatici ed energetici per il 2020. Tale valutazione rientrerà nell’Analisi annuale della crescita che dovrà essere pubblicata a gennaio di ogni anno, a partire dal 2011.
Interrogazione n. 35 dell’onorevole Kelly (H-0577/10)
Oggetto: Aiuti di Stato e crisi bancaria
Dal settembre 2008, la Commissione ha approvato 15 piani di ricapitalizzazione bancaria, 2 regimi relativi ad attivi deteriorati, 6 regimi relativi alla liquidità bancaria e 21 regimi di garanzia. La Commissione ha preso in considerazione gli effetti a lungo termine dei numerosi salvataggi di banche, tra l’altro valutando anche quanto denaro dei contribuenti è stato irrimediabilmente perso a causa di sconsiderate prassi bancarie? Quali prassi ritiene le migliori, tra i vari regimi proposti dai diversi governi degli Stati membri, per proteggere i contribuenti da elevate esposizioni agli attivi “tossici” delle banche?
(EN) La Commissione vorrebbe far notare che la scelta di utilizzare risorse pubbliche per sostenere alcune istituzioni bancarie è stata presa dagli Stati membri, sulla base delle proprie politiche e delle decisioni adottate dai propri organi di governo. Quando tali allocazioni sono considerate aiuti di Stato, la Commissione le supervisiona con grande attenzione, a causa della necessità di evitare uno sfalsamento della concorrenza in seno ai vari mercati dell’Unione europea. La Commissione vorrebbe sottolineare che limitare le distorsioni alla concorrenza causate dagli ingenti aiuti al settore finanziario in seno all’Unione europea è una sua priorità.
La Commissione ha approvato i regimi citati dall’onorevole parlamentare nella propria interrogazione ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera b, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Detta base giuridica permette alla Commissione di considerare compatibile con il trattato stesso gli aiuti che sono stati concessi per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro. Nel valutare se delle misure di sostegno possono essere considerate compatibili su detta base, la Commissione deve verificare altresì se l’aiuto in questione è appropriato, necessario e proporzionato. In tale contest, la Commissione può tener conto dell’importo dell’aiuto fornito attraverso un regime.
La Commissione vorrebbe inoltre evidenziare che la maggior parte dei regimi contengono criteri atti a garantire che una banca che si avvale del regime stesso sia sottoposta a una ristrutturazione. Durante la valutazione del piano di ristrutturazione, la Commissione concentra la propria attenzione soprattutto sui criteri indicati nella comunicazione della Commissione sul ripristino della redditività e la valutazione delle misure di ristrutturazione del settore finanziario nel contesto dell’attuale crisi in conformità alle norme sugli aiuti di Stato (d’ora in avanti “la comunicazione”). Il piano di ristrutturazione, pertanto, deve indicare: (1) in quale modo la banca in questione ripristinerà la propria redditività, (2) il raggiungimento di una sufficiente ripartizione degli oneri e (3) il rimedio alle distorsioni della concorrenza provocate dall’aiuto.
La Commissione ha analizzato numerosi regimi e singole misure prima che gli Stati membri li attuassero. Tali misure mirano a risolvere diversi problemi che possono interessare le istituzioni finanziarie. La Commissione non favorisce nessun tipo specifico di misura, a patto che esso sia compatibile con il mercato interno e che rispetti la guida fornita dalla Commissione in materia di aiuti di Stato.
Interrogazione n. 36 dell’onorevole Nadezhda Neynsky (H-0582/10)