Calendario delle tornate del Parlamento europeo – 2012
Gerard Batten (EFD). – (EN) Signor Presidente, desidero esprimere una dichiarazione di voto sul calendario per il 2012. Senza dubbio abbiamo votato una totale assurdità, dal momento che non affronta il problema dei tre diversi parlamenti: Strasburgo, Bruxelles e, ovviamente, Lussemburgo, di cui si dimenticano tutti. I costi totali sostenuti, se non vado errato, sono dell’ordine dei 250 milioni di euro al mese.
Vorrei avanzare un suggerimento costruttivo: anziché incontrarci in dodici diverse occasioni a Strasburgo, potremmo organizzare sempre dodici sessioni a Strasburgo, ma tutte nel corso della stessa settimana: primo giorno – tre sessioni; secondo giorno – tre sessioni; terzo giorno – tre sessioni; quarto giorno – tre sessioni. Così facendo dovremmo trascorrere qui soltanto una settimana all’anno. Possiamo trascorrere il resto del tempo a Bruxelles, se necessario, con un enorme risparmio in termini di costi e disagi.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, vi è un che di straordinario nel pellegrinaggio mensile di quest’Assemblea da una sede all’altra del Parlamento. Predichiamo la rettitudine fiscale eppure continuiamo a spendere centinaia di milioni di sterline al mese per spostare interpreti, personale delle commissioni e tutti gli eurodeputati. Parliamo di riscaldamento globale, eppure emettiamo migliaia di tonnellate di gas a effetto serra con i camion che trasportano avanti e indietro la documentazione necessaria.
So che alcuni membri di questo Parlamento argomentano la questione appellandosi al significato simbolico di Strasburgo, all’idea storica che sottende e così via, e io stesso sono favorevole all’idea che l’Unione europea, in quanto club di nazioni, debba distribuire le proprie istituzioni sul territorio piuttosto che concentrare tutto a Bruxelles. Ma scegliamo una sede, questa o quella. Perché non mettiamo al voto in Parlamento la proposta di incontrarci sempre qui, in questa meravigliosa città dell’Alsazia, oppure sempre a Bruxelles?
Comunque sia, riduciamo gli sprechi e cerchiamo, in questo periodo di austerità, di restituire alcuni risparmi ai nostri contribuenti, già soggetti a una forte pressione fiscale.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, il voto espresso, seppur a maggioranza, in realtà, è una mossa che rischia di minare la lettera dei trattati, la quale è perfettamente chiara e stabilisce che devono svolgersi a Strasburgo 12 tornate. Per eliminarne una, si sta ipotizzando che due diverse tornate potrebbero svolgersi nel corso della stessa settimana. È anche un modo per aggirare la chiarissima sentenza interpretativa emessa dalla Corte di giustizia proprio quando quest’Assemblea voleva passare da 12 a 11 tornate.
Da vent’anni assistiamo a tentativi fraudolenti per privare Strasburgo del suo ruolo di sede dell’Unione europea. È vero – e i miei colleghi hanno ragione – che la situazione attuale è insostenibile, ma non siamo obbligati a fare di Bruxelles la Washington DC dell’Unione europea. Avremmo potuto convogliare tutte le attività del Parlamento a Strasburgo, ma per farlo sarebbe servito ben altro che la costante negligenza delle autorità francesi.
Bernd Posselt (PPE). – (DE) Signor Presidente, quanto accaduto oggi non rappresenta una vittoria dello schieramento di Bruxelles su quello di Strasburgo visto che abbiamo eliminato una delle sessioni previste a Bruxelles. Il risultato finale, dunque, è: Bruxelles 1 – Strasburgo 1. Ciononostante, onorevoli colleghi, abbiamo votato contro la legge: la decisione di svolgere le plenarie di agosto e di ottobre in una settimana è illegale, poiché il trattato prevede che si svolgano sessioni plenarie mensili.
Analogamente, non è nemmeno giustificabile in virtù del risparmio, dal momento che i costi – che, fra parentesi, ammontano a 70 milioni di euro, una cifra enorme – non dipendono da Strasburgo, ma piuttosto dal fatto che le attività vengono costantemente dirottate, contrariamente a quanto previsto dal trattato, verso i meandri della burocrazia di Bruxelles.
Basando il nostro lavoro a Strasburgo risparmieremmo denaro e avremmo un volto democratico e indipendente in Europa!
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, ho chiesto di intervenire sui negoziati di bilancio perché ritengo che il Parlamento non sempre riceva un trattamento equo a questo proposito. In qualità di eurodeputati, dobbiamo promuovere la riduzione dei costi, ma dobbiamo anche assumerci le nostre responsabilità in modo adeguato. L’aumento di bilancio proposto per il Parlamento europeo, che è ben al di sotto rispetto al tasso di inflazione, non è una mossa ragionevole. Non tiene conto, ad esempio, dell’aggiunta di 18 membri a quest’Assemblea, del fatto che dobbiamo finanziare l’accesso della Croazia, né di tutti gli altri investimenti che dobbiamo realizzare.
In conclusione, si dovrà raggiungere un valido compromesso sulla questione.
Erminia Mazzoni (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Turchia, come tutti sappiamo, è un partner strategico per l'Unione europea e la sua posizione è baricentrica rispetto agli interessi economici e politici dell'Unione stessa e le attribuisce un ruolo importante nella promozione dell'azione europea nell'area del Mar Nero, così come nella promozione delle relazioni di pace in Medio Oriente.
La relazione del 2010 sull'andamento del negoziato di adesione della Turchia all'Unione europea evidenzia però la lentezza del processo e la resistenza delle forze politiche turche rispetto ad alcune delle disposizioni fondamentali dell'accordo di associazione. Credo, Presidente, che su giustizia, diritti fondamentali, libertà di informazione, libertà religiosa, immigrazione, le autorità turche non abbiano fatto rilevanti progressi, nonostante la spinta in tale direzione proveniente dai cittadini.
Gli interessi economici nella regione non possono renderci indulgenti su diritti e libertà fondamentali. La risoluzione del Parlamento affronta tale quadro con un approccio determinato, invitando la Commissione e il Consiglio a non perdere i risultati positivi conseguiti dal 2005 e soprattutto a non vanificare l'accordo bilaterale già esistente attraverso un'ipotesi di partenariato privilegiato.
La mia preoccupazione è che questa ipotesi di partenariato possa compromettere l'accelerazione del processo di adesione, che invece deve rimanere il nostro obiettivo principale.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, l’acqua ricopre gran parte del nostro pianeta. Non sempre, tuttavia, apprezziamo il potenziale e il significato dei mari e degli oceani per lo sviluppo economico.
La regione atlantica è particolarmente importante per la pesca, i trasporti e l’energia. Rappresenta la fonte di quasi il 50 per cento delle catture mondiali e dispone di una gran varietà di depositi minerari, fra cui, ad esempio, metalli, petrolio e gas. In quella zona si scatenano, inoltre, fenomeni atmosferici di una certa rilevanza, che possono avere effetti catastrofici per le regioni costiere. È quindi fondamentale delineare la strategia giusta per la regione atlantica, una strategia che promuova la buona gestione e contribuisca alla tutela dell’ambiente e a offrire una vita migliore ai suoi abitanti.
Erminia Mazzoni (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il quadro nel quale dovremmo ambientare la discussione di questa risoluzione è quello tracciato dalla direttiva 2008/56, la cosiddetta direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino.
Così come ha detto il collega che è intervenuto prima, il quadro è quello della tutela dell'ambiente marino, perché la direttiva citata stabilisce principi comuni sulla base dei quali gli Stati membri devono elaborare le proprie strategie, in collaborazione anche con gli Stati terzi per il raggiungimento di un buono stato ecologico nelle acque marine di cui sono responsabili.
Questo è il quadro, quindi, in cui avrebbe dovuto essere ambientata la strategia per la regione dell'Atlantico, sulla base anche delle indicazioni del Consiglio dell'Unione europea del 14 giugno scorso, così come ha ricordato anche il Commissario intervenendo in Aula.
La risoluzione presentata al voto del Parlamento, invece, esula da tale perimetro proponendo, ben al di là di quanto emerga dalle consultazioni svolte dalla stessa Commissione, una strategia per una macroregione che affronti questioni territoriali, oltre che marittime.
Tale indirizzo anticipa i tempi di una decisione diversa. Auspico che la comunicazione della Commissione in coerenza con quanto anticipato in Aula riporti l'iniziativa nel perimetro della direttiva sulla strategia marittima integrata che, in quanto tale, sostengo. Ecco perché il mio voto di astensione.
Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE). – (PL) Signor Presidente, sono soddisfatta dei risultati della votazione relativa alla Turchia. Sono convinta che tutti gli sforzi volti a trasformare la Turchia in una democrazia pluralistica a pieno titolo, dove vengono rispettati i diritti umani e su cui si basano le libertà fondamentali, meritino sostegno.
Negli ultimi anni, abbiamo potuto notare che l’impegno della Turchia per diventare uno Stato membro dell’Unione europea sta producendo effetti positivi. Gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero continuare ad appoggiare la Turchia nelle riforme che sta attuando. È fondamentale concentrarsi in modo particolare sulle questioni più problematiche, come ad esempio, la riforma costituzionale, la libertà di stampa, i diritti delle donne e la protezione delle minoranze nazionali. Desidero altresì richiamare l’attenzione sulla questione dell’attuazione del protocollo aggiuntivo all’accordo di associazione CE-Turchia.
Debora Serracchiani (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho dato voto favorevole alla risoluzione sulla Turchia perché la riforma della Costituzione che è avvenuta lo scorso 12 settembre è stata riconosciuta unanimemente come un importante passo compiuto dalla Turchia verso l'Europa.
Naturalmente, sono ancora molti i passi da compiere ed esprimo in questo senso preoccupazione per i numerosi arresti dei giornalisti. Sottolineo che la Turchia è il settimo partner commerciale dell'Unione europea, che l'Unione europea è il principale partner commerciale della Turchia e che gli scambi commerciali, correttamente interpretati da secoli, hanno favorito la compenetrazione e la conoscenza pacifica dei popoli.
Plaudo perciò ai notevoli progressi sul fronte dell'impulso ai collegamenti tra l'Unione europea e la Turchia, in particolare a quelli attraverso le autostrade del mare che attraversano il Nord Adriatico e il Nord Tirreno, su cui si muove oramai un flusso superiore ai 250 000 TIR annui nelle due direzioni, in connessione a un importante collegamento ferroviario camion TIR su vagone da porto a destinazione interna europea. In tal modo si è potuto eliminare un cospicuo transito del resto di camion su strada e auspico che si continui su quella via.
Andrzej Grzyb (PPE). – (PL) Signor Presidente, la Turchia è un paese vicino all’Unione europea molto importante e la relazione presentata per il 2010 mette in luce i significativi cambiamenti che ha realizzato. Senza ombra di dubbio, i cambiamenti costituzionali hanno un forte impatto e contribuiscono in modo essenziale alla democratizzazione della vita in Turchia.
Rimangono, tuttavia, delle aree in cui vorremmo vedere progressi maggiori. Una questione fondamentale a questo proposito è, chiaramente, la promozione delle relazioni di vicinato. Se non risolviamo il problema di Cipro, esse rimarranno bloccate in modo permanente. La situazione è analoga per quanto concerne le libertà fondamentali, ivi inclusa la libertà di religione. Mi auguro che le conclusioni della relazione consentano di registrare progressi in Turchia e di riconoscere che il paese sta cambiando non soltanto in termini economici, ma anche in ambiti fondamentali dal punto di vista dei diritti civili e della libertà.
Adam Bielan (ECR). – (PL) Signor Presidente, in qualità di membro della delegazione parlamentare in Turchia dello scorso anno, ho avuto la possibilità di vedere in prima persona i progressi che il paese sta compiendo nell’ambito del processo di integrazione nell’Unione europea. Dobbiamo apprezzare, senza dubbio, il modo in cui le autorità turche hanno affrontato le questioni relative alla libertà religiosa, ai diritti delle donne, ai diritti sindacali, alla riforma del settore giudiziario, alla revisione della legislazione su radio e televisione, nonché i progressi registrati nel quadro delle relazioni tra sfera civile e sfera militare. Credo sia essenziale migliorare i rapporti tra il governo e l’opposizione, rispettare la libertà dei mezzi di comunicazione, Internet compreso, registrare progressi nell’ambito dei diritti civili e del diritto di riunione, nonché portare a termine una scrupolosa riforma del sistema elettorale. Un altro aspetto allarmante è il problema sempre più diffuso della violenza domestica e dei cosiddetti delitti d’onore. Dovremmo concentrarci di più sulle questioni relative all’apertura dei confini fra Turchia e Armenia e al sostegno dei negoziati sulla stabilizzazione della situazione a Cipro. Appoggio la risoluzione poiché ritengo che l’allargamento dell’Unione europea alla Turchia sia nell’interesse particolare di alcuni Stati membri, inclusa la Polonia.
Markus Pieper (PPE). – (DE) Signor Presidente, mi sono astenuto dalla votazione sulla relazione sui progressi compiuti dalla Turchia non perché non condivida l’analisi in essa contenuta – nonostante alcune riforme, la critica della censura sulla stampa, le violazioni dei diritti umani, il sistema elettorale turco e la libertà di religione parlano da sé. Il motivo per cui ho scelto di astenermi, è che ritengo che il Parlamento europeo debba avere una reazione più determinata.
Se la Turchia si rifiuta di attuare riforme chiave, dobbiamo mettere fine ai negoziati di adesione. È giunto il momento che quest’Assemblea chieda la cessazione dei negoziati di adesione.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, è innegabile che la Turchia ha registrato progressi negli ultimi anni. Rispetto ai criteri di Copenaghen per l’adesione all’Unione europea, tuttavia, alla Turchia resta ancora molto da fare. Possiamo prevedere che questo paese non entrerà a far parte dell’Unione europea prima della fine di questa generazione; nello specifico, deve fare ancora molto rispetto alla nostra concezione di base sui diritti umani e sui diritti delle dome e dei bambini. Si tratta di aspetti centrali per l’Unione europea e per questa comunità di valori.
È altresì fondamentale considerare la situazione di Cipro. Se la Turchia vuole occupare metà Cipro, uno Stato membro dell’Unione europea, dobbiamo dimostrarci fermi e decisi in merito. Non possiamo accettare una simile situazione, dove al momento la Turchia sta tenendo un piede in due scarpe portando avanti due programmi distinti. A questo proposito, dovremmo sì spingere la Turchia verso uno sviluppo democratico e chiarire al contempo in modo inequivocabile che l’Unione europea non intende rinunciare ai propri valori, facendo sì che ciò non avvenga neanche in questa circostanza.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, l’atteggiamento dell’Unione europea nei confronti della Turchia verrà considerato, un giorno, come un errore generazionale e di natura etica. Sarebbe stato ragionevole scegliere solo una delle due politiche: avremmo potuto lavorare con impegno verso un’eventuale adesione oppure, dire fin dall’inizio “l’adesione non si realizzerà mai, quindi troviamo una soluzione alternativa”. Noi, invece, abbiamo promesso una possibile adesione incrociando le dita dietro alla schiena. Abbiamo fatto promesse che non abbiamo nessuna intenzione di mantenere.
Ora, vediamo la questione dal punto di vista di Ankara. Sarebbero mai scesi a una serie di compromessi così difficili e dolorosi in materia di radiodiffusione, di laicismo, e su Cipro in particolare, dove i turchi ciprioti hanno votato a favore del piano europeo e dove gli isolati greci ciprioti che l’hanno respinto sono stati premiati?
Li abbiamo umiliati per via dei massacri subiti dalle popolazioni armene, abbiamo imposto decine di migliaia di pagine sull’acquis comunitario e poi, alla fine di questo percorso, gli voltiamo le spalle così, dal giorno alla notte!
Così rischiamo di dar vita ai nostri timori: uno Stato alienato e antioccidentale proprio alle porte di casa nostra. I turchi hanno difeso i confini europei dall’espansione bolscevica per 50 anni. Un giorno potremmo dovergli chiedere di fare lo stesso con l’estremismo jihadista. Si meritano più di questo.
Bernd Posselt (PPE). – (DE) Signor Presidente, per quanto condivida le preoccupazioni espresse dall’onorevole Pieper, ho votato a favore della relazione in oggetto, poiché abbiamo chiarito nuovamente, all’inizio della relazione, che per noi i negoziati sono un processo lungo e senza un risultato necessariamente predefinito. Abbiamo respinto la mozione presentata dal gruppo Verde/Alleanza libera europea che tentava di definire l’adesione, come abbiamo fatto con mozioni simili presentate dai socialisti in passato. Quest’Aula ha quindi trovato la retta via.
Dovremmo presto compiere il prossimo passo, dicendo alla Turchia in tutta onestà che, come ha affermato l’onorevole Pieper, a nostro avviso la sua adesione è fuori discussione poiché sarebbe una responsabilità eccessiva per il paese e un impegno spropositato per l’Unione. Un’Europa politicamente integrata che include la Turchia fra i suoi membri è impensabile. Si tratta di una grande illusione da cui dobbiamo allontanarci definitivamente.
Per quanto concerne i progressi, compierli è nell’interesse della Turchia stessa, che è un membro del Consiglio d’Europa e della NATO, oltre a essere il nostro alleato più vicino.
Janusz Władysław Zemke (S&D). – (PL) Signor Presidente, desidero riprendere il dibattito che ha avuto luogo in quest’Aula sull’integrazione del Montenegro nell’Unione europea. Durante la discussione, avevo chiesto al rappresentante della Commissione e del Consiglio un calendario del processo e quando si prevede che il Montenegro possa diventare a pieno titolo un paese candidato per l’adesione all’Unione europea. Sfortunatamente non ho ricevuto risposta a quella domanda specifica, ma ho comunque votato a favore dell’adozione della risoluzione in oggetto da parte del Parlamento perché credo che vi siano buone motivazioni: si tratta innanzi tutto di una risoluzione importante per la Croazia. In secondo luogo, costituisce una guida per tutti gli altri paesi che fanno attualmente parte dei Balcani. Credo, tuttavia, che vi sia un terzo motivo molto rilevante: si tratta di una risoluzione positiva, che dimostra che i valori dell’Unione europea esercitano ancora il proprio fascino.
Bernd Posselt (PPE). – (DE) Signor Presidente, quando si tratta di politica di allargamento credo serva almeno una sorta di quadro normativo. Dobbiamo concludere i negoziati con la Croazia entro giugno, come da programma, e avviare il relativo processo di adesione in autunno con una nostra votazione. Vogliamo che la Croazia faccia parte dell’Unione europea entro l’anno prossimo o, al massimo, quello successivo.
Le cose devono procedere, dunque, ma come? Dobbiamo ancora integrare quella piccola, ma difficile zona dell’Europa sudorientale che comprende, innanzi tutto, la Macedonia e il Montenegro. È un segnale a tutti gli altri Stati della regione che, se soddisfano i criteri, c’è un posto anche per loro fra le nostre file. A differenza della Turchia, questi Stati sono europei nella loro essenza e, in quanto tali, spetta loro naturalmente un posto in seno alla nostra comunità.
Il Montenegro, in particolare, è un paese di piccole dimensioni ma con una notevole tradizione europea. Attendo con impazienza fin da ora i negoziati con il Montenegro!
Clemente Mastella (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, resta ancora molto da fare nel campo della lotta contro la discriminazione in Europa. Concordo con la nostra relatrice quando afferma che, per quanto la discriminazione per motivi etnici possa considerarsi ad oggi eliminata, l'esclusione sociale ed economica della maggior parte della popolazione rom continua ad esistere e resta una delle maggiori sfide che saremo chiamati ad affrontare nei prossimi anni.
Ciò a causa di tutta una serie di fattori specifici quali gli svantaggi geografici, i bassi livelli d'istruzione o il crollo delle economie pianificate che attira una moltitudine di forza lavoro scarsamente qualificata.
Una strategia destinata a favorire la loro inclusione socioeconomica non comprometterà affatto le leggi antidiscriminazione, bensì andrà ad integrarle. Una parte significativa dei rom europei, infatti, deve affrontare condizioni talmente precarie e sfavorevoli che le misure destinate a favorire la loro inclusione sociale devono essere considerate come azioni volte a colmare una delle maggiori lacune esistenti in relazione al rispetto dei diritti costituzionali e dei diritti umani in Europa.
Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signor Presidente, è sempre motivo di turbamento parlare della questione dei rom qui in Parlamento. C’è un gruppo che sostiene che in realtà non dovremmo fare nulla, perché il problema non riguarda l’Unione europea, mentre per altri non si potrebbero impiegare comunque risorse sufficienti, neanche se fossero impiegate male. Nessuno dei due approcci al problema risulta particolarmente utile e, ad ogni modo, non stiamo comunque risolvendo i problemi legati ai rom. È un bene, quindi, che ci sia questa relazione, perché adesso abbiamo deciso di prendere in considerazione i risultati raggiunti grazie ai cospicui finanziamenti stanziati a favore dell’integrazione dei rom. Prima di definire una strategia adeguata, dobbiamo capire quali progetti hanno apportato benefici all’integrazione, garantendo, in questo modo, il corretto impiego dei fondi. Per queste ragioni il Venstre, Danmarks Liberale Parti (partito liberale danese) ha votato a favore della relazione in oggetto, che muove nella giusta direzione per i rom. Grazie, signor Presidente.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, con l'approvazione odierna della relazione d'iniziativa il Parlamento ha fatto un passo concreto verso una reale inclusione dei rom nelle comunità che li ospitano.
È doveroso il superamento della marginalizzazione delle comunità rom attraverso il pieno riconoscimento dei diritti fondamentali, quali l'assistenza sanitaria, l'istruzione e la tutela delle categorie vulnerabili. Accogliamo con favore anche un miglior coordinamento con gli enti locali e regionali, così come si è migliorato il testo nella parte nella quale si prevedono verifiche concrete sulla coerenza e l'efficacia dei finanziamenti rispetto al risultato atteso e nella parte in cui si introducono criteri di premialità a favore degli Stati membri, che garantiscono l'uso appropriato delle risorse attribuite.
Tuttavia si poteva fare probabilmente di più in materia di riconoscimento di diritti e doveri reciproci, perché è doveroso ritenere la concorrente responsabilità delle comunità rom per rendere effettiva la loro inclusione.
Carlo Fidanza (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutti noi condividiamo la necessità di una strategia europea per l'integrazione dei rom e certamente non vanno sottovalutate possibili discriminazioni nei loro confronti, ma non possono esistere diritti senza doveri, non può esistere integrazione senza legalità.
Baraccopoli non autorizzate in condizioni igienico-sanitarie spaventose, fortissima dispersione scolastica, attività illegali come il furto, la ricettazione, l'induzione alla prostituzione femminile e minorile, l'accattonaggio molesto, il rifiuto di ogni percorso di integrazione e di accompagnamento al lavoro proposto dalle autorità locali: è questa la realtà di molte comunità rom nel mio paese e in altri paesi europei. Ed è un po' ipocrita sostenere che le responsabilità siano sempre e solo in capo alle istituzioni e mai in capo a chi ha scelto di far ricadere questa condotta sulle spalle della collettività.
Infine mi rammarico che in questo testo non si sia voluto fare riferimento a una corretta applicazione della direttiva 2004/38/CE, che prevede requisiti stringenti per la permanenza dei cittadini comunitari in un altro Stato membro e l'allontanamento per motivi di pubblica sicurezza. Per queste ragioni ho votato in dissenso nel mio gruppo.
Alfredo Antoniozzi (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione della collega Járóka riveste un'importanza particolare al momento e costituirà, insieme alla comunicazione che la Commissione è in procinto di adottare, la base per le successive discussioni della riunione della Piattaforma europea per i rom a Budapest, in programma per i prossimi 7 e 8 aprile.
Condivido il richiamo all'introduzione di norme minime vincolanti a livello di Unione europea nei settori dell'istruzione, dell'occupazione, degli alloggi e dell'assistenza sanitaria. In particolare, credo vada rivolta una maggiore attenzione all'istruzione primaria, cruciale per una piena integrazione della minoranza rom.
È sicuramente condivisibile il fermo invito rivolto da Francia, Romania, Bulgaria e Finlandia alla Commissione europea. È necessario che la Commissione si faccia però maggiormente carico di un ruolo attivo di guida e di indirizzo nell'elaborazione dell'attuazione di un'efficace strategia di inclusione dei rom. È evidente la necessità di individuare precisi doveri che le comunità nomadi dovranno assumersi.
Pino Arlacchi (S&D). – (EN) Signor Presidente, il mio gruppo appoggia la relazione in oggetto perché ritiene che costituisca un passo nella giusta direzione, invocando una strategia a livello comunitario e una tabella di marcia per l’inclusione dei rom.
La relazione si fonda sulla profonda consapevolezza dell’estrema eterogeneità degli aspetti culturali delle diverse comunità rom in Europa. Allo stesso tempo, appoggia l’introduzione di standard minimi e vincolanti a livello comunitario, necessari per avviare una politica di integrazione vera e propria. La strategia dell’Unione europea affronta tutte le forme di violazione dei diritti fondamentali del popolo rom e invoca il loro effettivo accesso al mercato del lavoro, mettendo a disposizione della libera professione e dell’imprenditoria lo strumento del microcredito. Il mio gruppo accoglie in modo particolare l’accento posto sull’istruzione dei bambini rom, ovvero sull’abolizione della segregazione nelle classi grazie all’impiego di mediatori rom e all’aumento del numero di insegnanti rom.
Lara Comi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa importante relazione d'iniziativa afferma con forza l'esigenza di predisporre una strategia europea per l'inclusione sociale dei rom. Bisogna infatti combattere la discriminazione economica e sociale delle comunità rom presenti in Europa, che è aumentata a seguito dell'attuale crisi economica.
L'Unione europea deve elaborare un nuovo quadro giuridico ed evitare di continuare ad affrontare questa problematica attraverso legislazioni di natura non vincolante, perché insufficienti e non idonee a raggiungere lo scopo. Altrettanto importante è mantenere la task force per i rom quale organo permanente e iniziare a pensare ad un meccanismo analogo a quello utilizzato per la valutazione del mercato interno anche per questa tematica.
Infine, l'Europa deve fare ogni sforzo per assicurare ai propri cittadini, in particolare quelli delle fasce più deboli, la protezione di tutti i diritti umani legati alla dignità umana. In fondo l'inclusione globale dei rom è essenzialmente una questione di diritti fondamentali, anche se dobbiamo chiedere alla comunità rom di volersi integrare e non di chiudersi in una loro realtà dove non rispettano le norme europee e nazionali.
Antonello Antinoro (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo con il voto di oggi, dato un ulteriore impulso alla, come dire, soluzione definitiva di questo problema, ma non abbiamo votato la migliore soluzione possibile.
Infatti, voglio ricordare che gli oltre trecento emendamenti presentati alla relazione sono stati trasformati in trentotto emendamenti di compromesso, tutti adottati, che mirano a definire meglio i settori prioritari della strategia, ossia gli obiettivi di questa strategia. La Commissione, con la task force permanente, dovrà garantire la raccolta e la diffusione di dati statistici e di buone prassi, e gli Stati membri dovrebbero nominare un funzionario, speriamo di alto livello, del governo, che funga da punto di contatto per l'attuazione della strategia.
Ma avremmo potuto essere ancor più, come dire, incisivi e meno ipocriti se nella relazione avessimo puntato agli obblighi e ai doveri che la comunità rom dovrebbe comunque rispettare nei paesi di accoglienza. Questo è il mio auspicio, ovvero che si trovino presto delle soluzioni che permettano una migliore convivenza di questa comunità in tutti gli Stati membri.
Roberta Angelilli (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mai più bambini che non vanno a scuola, mai più bambini costretti all'accattonaggio o sfruttati. Questi sono alcuni degli obiettivi della relazione Járóka, che rappresenta una risposta politica importante.
Al di là delle dichiarazioni di principio, attendiamo la proposta della Commissione europea, prevista per aprile, affinché ci sia una responsabilità e un coordinamento più chiaro e condiviso tra Stati membri e istituzioni europee sulle politiche sui rom. L'obiettivo deve essere quello di utilizzare al meglio le risorse disponibili, a cominciare dai fondi comunitari ed evitare che siano le amministrazioni locali a farsi carico di tutti i problemi e ad affrontare le continue emergenze.
Auspico infine che si apra un dibattito sulla direttiva 38. La direttiva prevede specifiche condizioni – lavoro, risorse economiche sufficienti, assicurazione sanitaria – per il mantenimento del diritto di soggiorno ma, al tempo stesso, presenta delle lacune rispetto all'eventualità in cui questi requisiti non siano rispettati. È una mancanza che va colmata al più presto.
Raffaele Baldassarre (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore di questa relazione e voglio complimentarmi per il lavoro svolto con la collega Járóka, che ha saputo sintetizzare le diverse posizioni stabilendo con chiarezza obiettivi e priorità della strategia, quali la previsione di misure specifiche contro il nomadismo e le garanzie relative all'assistenza sanitaria di base, così come la parità di accesso all'educazione primaria, secondaria e superiore e il diritto di alloggio.
La strategia mira infatti all'inclusione, e non alla semplice integrazione, ed è evidente che il ruolo della Commissione e delle autorità locali sarà fondamentale, soprattutto con riferimento al controllo ed alla gestione dei fondi comunitari.
L'unico limite di questa relazione è la mancanza di strumenti di verifica dell'effettiva volontà di integrazione di alcune comunità rom e le conseguenze che dovrebbero discendere da una indisponibilità in termini di permanenza sul territorio di un paese membro, come di prosecuzione dei trattamenti e dei programmi di assistenza e welfare che non possono certo essere prorogati all'infinito senza risultati.
Mitro Repo (S&D). – (FI) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione Járóka, ma desidero illustrare la mia posizione più in dettaglio. La questione dei rom è paradossale per l’Europa, da molti punti di vista: da un lato sfida i valori e gli ideali alla base dell’Unione europea a livello pratico, e dall’altro ha comunque avuto origine da un diritto di base, la libertà di movimento, che costituisce il modo di vivere tradizionale di una nazione. Ci sono rom anche in Finlandia; lì il problema riguarda principalmente il basso livello di istruzione e la conseguente disoccupazione. Per questo dobbiamo investire in modo particolare nell’istruzione.
Il diritto e le misure non vincolanti non bastano più. Serve una legislazione coerente e misure pratiche vincolanti per tutti. Tutti gli Stati membri e le istituzioni comunitarie ne sono responsabili. Kali sarakosti: buona quaresima a tutti.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, stiamo parlando di questioni legate all’integrazione dei rom. I rom vivono in molti paesi europei, sia orientali sia occidentali.
È interessante osservare che, sebbene la libertà e la democrazia siano radicate nei paesi dell’Europa occidentale da più tempo rispetto ai paesi dell’Europa centrale e orientale, fra cui vi è anche il mio paese nonché i nostri vicini ungheresi, riscontriamo gli stessi problemi da entrambe le parti. Non siamo ancora riusciti a superare queste differenze.
Si parla dell’integrazione dei rom per offrire loro buone possibilità nel mercato del lavoro e per renderlo un popolo più sano. In base alla legislazione attualmente in vigore, l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria è garantito ovunque ed è triste notare che spesso le famiglie rom non mandano a scuola i propri figli affinché possano ricevere l’istruzione.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, efharisto, grazie. La relazione presentata dall’onorevole Járóka è davvero eccellente. Credo che tutti, in quest’Aula, convengano che è ormai giunto il momento di agire a livello comunitario per garantire a tutti la parità dei diritti umani, perché purtroppo, per quanto riguarda i rom, questi non sono ancora attuati.
Una buona relazione non è sufficiente, serve anche l’azione. È giunto il momento di formulare una domanda essenziale: come procediamo d’ora in poi per evitare che la relazione resti un sogno ingenuo o una commistione di diverse opinioni e funzioni invece a livello pratico, per consentirci di vedere un miglioramento significativo della situazione dei rom all’interno dell’Unione europea?
È altresì fondamentale organizzare il follow-up alla relazione. Forse avremmo bisogno di un difensore civico per le questioni rom a livello comunitario, qualcuno che faccia il punto sulle misure che abbiamo concordato e che ne garantisca il funzionamento a livello pratico. È questo il modo di affrontare la questione in modo adeguato e con successo.
Clemente Mastella (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la recente e profonda crisi economica che ha colpito l'industria europea, ne ha al contempo evidenziato l'importanza per l'economia dell'Unione europea.
Essa è rimasta spesso incentrata sull'idea che i mercati dovrebbero autoregolarsi e ciò è stato finora prevalentemente realizzato attraverso singole misure senza praticamente alcun coordinamento tra gli Stati membri. La strategia Europa 2020, per la prima volta, riconosce invece la necessità di un nuovo approccio, con la presentazione di un'iniziativa faro. È tempo che l'Unione europea sfrutti appieno le opportunità comuni per il rinnovo sostenibile e l'ulteriore sviluppo della base industriale con posti di lavoro di qualità.
L'industria europea dovrebbe mantenere la leadership nei settori chiave, non ritrovandosi al seguito. È il momento per l'Unione di scegliere la sua strada per l'industria del futuro. Dobbiamo assicurarci che il valore aggiunto sia creato all'interno del nostro mercato europeo.
A tal fine, risulta imprescindibile un coordinamento distintivo macroeconomico delle politiche economiche, fiscali e di bilancio per la crescita e l'occupazione, ad esempio attraverso l'armonizzazione fiscale delle imposte sulle società.
Erminia Mazzoni (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione Lange affronta un problema molto attuale, il problema di reagire alla crisi economico-finanziaria che ha colpito gravemente il nostro sistema produttivo.
Credo che la risposta contenuta in questa risoluzione sia una risposta estremamente positiva, perché riesce a mettere insieme tutte le variabili necessarie a costruire un buon progetto di rilancio economico. L'idea di puntare su innovazione e ricerca, tenendo conto del dato dimensionale del nostro tessuto imprenditoriale è molto importante e credo che suggerisca uno stimolo valido alla posizione forse un po' più conservatrice della Commissione.
Esprimo apprezzamento per il lavoro del relatore, che è riuscito a far sintesi degli oltre 500 emendamenti, mettendo giù una risoluzione che complessivamente dà un grosso contributo al lavoro che ci attende. Il quadro che emerge è quello di una politica industriale centrata rispetto alla politica europea, trasversale ai diversi settori e soprattutto partecipata attraverso l'utilizzazione di modelli di monitoraggio dal basso e dall'alto.
Resta un unico punto controverso, che è quello del brevetto europeo. Su questo mantengo la mia totale opposizione, ma questo non mi ha impedito di votare a favore di una relazione estremamente positiva.
Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione mette in evidenza molti aspetti positivi e rispecchia le considerazioni e le esigenze espresse dalle varie associazioni industriali nazionali. Per questo non posso non condividere l'assetto generale della relazione del collega Lange.
Sono emerse, tuttavia, alcune criticità che non sono state affrontate e risolte, quali la richiesta di nuove misure legislative in materia di efficienza delle risorse e soprattutto il tema della cooperazione rafforzata in materia di brevetti. È importante ora affrontare la questione della disciplina europea del marchio di origine, a mio parere strumento indispensabile per rafforzare e migliorare l'industria europea e la sua competitività.
Ho dato il mio voto favorevole alla relazione Lange perché auspico che l'approvazione di questa relazione induca tutte le istituzioni ad adoperarsi per realizzare l'ambizioso programma delineato, traducendo quest'ultimo in azioni politiche concrete.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, l’industria si sta sviluppando a livello mondiale a una velocità straordinaria. Per non perdere terreno rispetto alla Cina o all’India serve un cambiamento immediato. L’Europa, sicuramente più piccola in confronto, non dovrebbe, tuttavia, offrire al mondo solo fabbriche più tossiche. Per questo credo sia giusto investire nelle nuove tecnologie, nello sviluppo della medicina e della farmacologia nonché in soluzioni innovative in settori che già conosciamo bene, fra cui l’agricoltura. Non sto pensando a enormi allevamenti, bensì alla definizione di soluzioni nuove che rendano più semplice la coltivazione, l’allevamento, la produzione di cibo ecologico, nonché per ricavare energia da fonti alternative. All’economia moderna servono investimenti di questo tipo. Le soluzioni innovative rappresentano anche una risposta ai cambiamenti demografici che si stanno realizzando in un’Europa che invecchia giorno dopo giorno. Grazie.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, la politica industriale, in quanto parte della politica economica, deve puntare a una crescita sostenibile, a una maggiore occupazione e a una qualità della vita dignitosa per tutti i cittadini europei.
L’industria europea è soggetta a una pressione concorrenziale molto forte da parte dei paesi in via di sviluppo. L’Unione europea deve quindi mantenere una politica proattiva per sostenere e rafforzare l’industria europea in quanto forza motrice della crescita economica. Il funzionamento del mercato interno va adeguatamente garantito non soltanto negoziando condizioni favorevoli nell’ambito degli accordi commerciali con i paesi terzi, ma anche proteggendolo dalla concorrenza sleale, dalle violazioni delle norme di concorrenza e dei diritti di proprietà industriale e intellettuale da parte dei paesi terzi.
L’Unione europea dispone di un potenziale enorme per garantire un vantaggio competitivo nel settore delle risorse umane altamente qualificate e nella creazione di tecnologie innovative, aspetti necessariamente legati a ulteriori investimenti nella ricerca e nello sviluppo.
Adam Bielan (ECR). – (PL) Signor Presidente, i prodotti industriali rappresentano quasi i tre quarti delle esportazioni europee e danno occupazione a 57 milioni di cittadini, senza contare gli ulteriori posti di lavoro nei servizi dell’indotto. Per questi motivi, l’industria è fondamentale per la nostra economia e influisce su tutti gli altri settori correlati. Man mano che impariamo la lezione dalla recente crisi economica e dalla crescente concorrenza nei mercati mondiali, è fondamentale intraprendere qualunque azione si renda necessaria per mantenere l’industria europea in una posizione forte nonché proseguirne lo sviluppo sistematico.
A questo proposito, la strategia Europa 2020 sembra un approccio nuovo, un approccio che sfrutta appieno le opportunità per l’ammodernamento sostenibile e per lo sviluppo della base industriale degli Stati membri e che garantisce, al contempo, un’elevata qualità del lavoro. Questo offre all’Europa l’opportunità di mantenere la leadership nei settori chiave dell’economia. La politica industriale integrata, volta a realizzare una graduale transizione sostenibile da un'industria prevalentemente produttiva verso un’industria basata sulla conoscenza, sembra particolarmente promettente. Per questo, appoggio pienamente la risoluzione.
Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarebbe inconcepibile che un settore che rappresenta nell'Unione cinquantasette milioni di addetti, tre quarti delle esportazioni europee di beni industriali e circa un terzo del valore aggiunto lordo dell'Unione europea non fosse sorretto da adeguate politiche settoriali finalizzate alla crescita e allo sviluppo.
Non può esserci una politica commerciale competitiva senza un'attività industriale innovativa e di qualità. Sottoscrivo i suggerimenti forniti dalla commissione per il commercio internazionale e in particolare quelli che sottolineano l'importanza di un sistema di difesa commerciale efficace ricorrendo, se fosse il caso, agli strumenti previsti.
Difendere l'interesse dell'Unione nel quadro dei negoziati futuri, al fine di proteggere l'industria e l'occupazione, è una necessità imprescindibile per contribuire a superare la crisi e assicurare che, con il settore manifatturiero, si privilegi l'economia reale nei confronti di quella finanziaria, evitando quelle bolle speculative che hanno portato a tanto disastro.
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, credo sia fondamentale discutere sulla relazione in oggetto e metterla ai voti oggi. Sarebbe meglio, ovviamente, se le crisi non ci fossero, ma sarebbe molto peggio non trarne alcun insegnamento. È proprio perché abbiamo imparato la lezione dall’ultima crisi che ci troviamo ad affrontare nuovamente la questione della politica industriale in seno all’Unione europea, soprattutto dal momento che, prima dell’ultima crisi, molti pensavano che fosse facile guadagnare denaro con altro denaro. La politica economica e industriale è centrale per la prosperità dell’Unione europea. Credo, dunque, che sia fondamentale aver iniziato ad affrontare questo argomento.
È positivo, ovviamente, essere coinvolti nel campo dell’innovazione e di una politica industriale orientata al futuro, ma credo sia altrettanto importante che la relazione abbia messo in luce la nostra industria tradizionale. Ne sono particolarmente lieto e mi auguro che continueremo la discussione in merito.
Seán Kelly (PPE). – (GA) Signor Presidente, ho votato a favore di questa eccellente relazione; effettivamente era ora che ci concentrassimo su una politica industriale per l’Unione europea. Senza dubbio negli ultimi anni abbiamo perso terreno rispetto ai più grandi paesi del mondo, ma spero che riusciremo ad avanzare spediti in futuro.
(EN) Signor Presidente, nonostante abbia appoggiato la relazione, desidero esprimere la mia preoccupazione in merito a un punto della motivazione, che, a pagina 32, invoca l’armonizzazione dell’imposta sulle società. Il mio paese non è d’accordo su questo punto. L’imposta sulle società o sulle imprese è molto importante per noi e spetta a ogni singolo paese definirne il tasso. In effetti, si sa che alcuni paesi hanno un’imposta sulle società dichiaratamente alta, ma che nella realtà pagano molto meno.
(GA) Ad ogni modo questa relazione è buona e sono lieto di appoggiarla.
Andrzej Grzyb (PPE). – (PL) Signor Presidente, la risoluzione frutto della discussione sull’economia reale merita un nostro maggiore sostegno. L’ultimo periodo è stato caratterizzato principalmente dalla sfida che la globalizzazione ha rappresentato per la politica industriale europea e per la produzione effettiva in Europa. Come raggiungere gli obiettivi della strategia Europa 2020, in modo particolare creare occupazione e resistere alla delocalizzazione della politica industriale, è una questione fondamentale che è stata trattata durante la discussione sull’oggetto della risoluzione. Per rispondere alla domanda sull’ipotesi che l’Europa debba perdere le proprie industrie tradizionali direi che questo non deve accadere, come la discussione sulle piccole e medie imprese tenutasi nel corso dell’ultima tornata ha dimostrato.
La disponibilità di materie prime, incluse le materie prime per la produzione di energia, è una sfida seria. Dobbiamo prestare molta attenzione alle innovazioni e all’impiego dei risultati della ricerca scientifica a livello industriale. Un altro compito importante consiste nello sfruttare le sinergie esistenti fra le diverse aree della politica dell’Unione europea, ivi incluse quelle che sussistono fra la politica industriale/agricola e, ad esempio, quella commerciale. Grazie.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). – (ES) Signor Presidente, ho votato a favore di questa iniziativa perché l’Unione europea deve impegnarsi fermamente nell’ambito della politica industriale e affrontare i rischi della crisi, la concorrenza da parte dei paesi terzi e la globalizzazione con finanziamenti pubblici maggiori, come previsto dal futuro programma quadro.
Perché? Ai fini dell’attività di ricerca e sviluppo, per promuovere gli investimenti privati e incentivare la collaborazione fra settore pubblico e privato. In questo modo potremo creare occupazione qualificata.
Dobbiamo sfruttare le competenze scientifiche e tecnologiche delle regioni, che hanno creato reti di innovazione e poli di competitività e la cui innovazione ed efficacia superano quelle dei paesi che le ospitano. È questo il caso dell’Euskadi, ovvero dei Paesi Baschi.
Sfruttate la conoscenza delle regioni. Non continuate a vivere senza considerare questa realtà europea, poiché riconoscerla e accettarla ci consentirà di consolidare la nostra posizione dominante nell’ambito della politica industriale dinanzi alle minacce attuali.
Dichiarazioni di voto scritte
Calendario delle tornate del Parlamento europeo – 2012
Diane Dodds (NI), per iscritto. – (EN) Vorrei chiedere agli onorevoli colleghi di immaginare per un momento di essere titolari di un’attività imprenditoriale. Attualmente avete due fabbriche ma, tenendone solamente una, potreste aumentare la produttività diminuendo i costi di 150 milioni di sterline e proteggendo al contempo l’ambiente. Questo è quanto gli azionisti vogliono. Quale imprenditore sano di mente manterrebbe entrambe le fabbriche? Ebbene, cari colleghi, anche noi siamo titolari di un’attività imprenditoriale: l’attività del governo e, aspetto fondamentale, di controllo degli esborsi di denaro dei nostri elettori, ovvero i nostri azionisti.
Ogni anno sprechiamo 150 milioni di sterline per le 11 tornate qui a Strasburgo. Laddove regna l’ossessione per una politica verde, c’è qualcuno che decide di riversare inutilmente 20 000 tonnellate di monossido di carbonio nell’ambiente. Mi congratulo per il lavoro svolto dall’onorevole Fox nel tentativo di adottare per lo meno un briciolo di buonsenso nel 2012 e nel 2013.
Krzysztof Lisek (PPE), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore dell’emendamento n. 1 alla bozza del calendario delle tornate del Parlamento europeo per il 2012 e per il 2013. Per quanto riconosca la natura simbolica delle sessioni plenarie nella sede di Strasburgo del Parlamento europeo e considerando la difficile situazione finanziaria attuale in Europa, dobbiamo puntare al risparmio; questo è il punto centrale dell’emendamento. Svolgere due tornate nella stessa settimana è soprattutto un gesto nei confronti dei cittadini europei, perché sono le loro tasse che servono a pagare gli spostamenti, costosi in termini di tempo e di denaro, non solo degli eurodeputati, ma anche dei funzionari e degli assistenti.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore dell’emendamento n. 1 che elimina la tornata proposta per la settimana n. 40 del 2012. Lo considero un piccolo passo avanti nel taglio agli sprechi dovuti agli spostamenti da Bruxelles a Strasburgo.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) In quanto cofirmatario dell’emendamento chiave, sono lieto che sia stato adottato. Il calendario delle tornate previste per il 2012 andrebbe ora modificato come segue: eliminare la tornata prevista per la settimana n. 40 (1-4 ottobre); dividere la tornata di ottobre II (22-25 ottobre) in due tornate separate: tornata n. 1: 22-23 ottobre; tornata 2: 25-26 ottobre.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Con l'esito di questa votazione si pone un fondamentale precedente lungo la strada che, mi auguro, un giorno possa portare a concentrare tutte le attività del Parlamento europeo in un'unica sede.
Non ritengo infatti più tollerabile lo spreco di risorse pubbliche e l'inquinamento atmosferico causato dalla doppia sede parlamentare, che ogni mese costringe migliaia di persone a lunghe e difficili trasferte fra Bruxelles e Strasburgo. Accorpando nel calendario ufficiale del 2012 le due sessioni plenarie di ottobre si dà un segnale molto forte e sono ottimista che la strada intrapresa sia quella più giusta e vicina ai cittadini.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. – (DE) Ho respinto questi emendamenti e intendo avviare un procedimento per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea insieme al mio collega, l’onorevole Posselt.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) Il diritto comunitario prevede 12 sessioni plenarie all’anno presso la sede di Strasburgo del Parlamento europeo. La votazione relativa alla modifica del calendario per far sì che due di queste sessioni di Strasburgo si svolgano nella stessa settimana dimostra la nostra volontà, in quanto eurodeputati, di tagliare i costi e le emissioni di CO2. La trasferta a Strasburgo è costosa e spostamenti più frequenti causano maggiori emissioni di CO2. Per questo appoggio la relazione, che ci consentirà di svolgere le 12 sessioni plenarie previste in 11 settimane, riducendo così i costi e l’impatto del nostro lavoro sull’ambiente. In quanto eurodeputato, desidero rappresentare i migliori interessi, in termini economici e ambientali, dei miei elettori. Invito il governo del Regno Unito a sollevare la questione con altri Stati membri, poiché si tratta di una responsabilità del Consiglio.
Jarosław Leszek Wałęsa (PPE), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore dell’emendamento n. 1 che propone di accorpare le due tornate di ottobre nella stessa settimana in occasione della sessione del Parlamento europeo prevista per il 2012. Sono contrario allo smistamento del lavoro del Parlamento fra le tre sedi. L’emendamento implica un risparmio in termini di tempo e denaro, nonché migliaia di tonnellate in meno di CO2 rilasciata nell’atmosfera. Dobbiamo risparmiare: grazie all’emendamento, si sposteranno a Strasburgo 11 volte anziché 12 non soltanto gli eurodeputati, ma migliaia di funzionari del Parlamento che normalmente lavorano a Bruxelles, giornalisti, lobbisti, nonché il personale della Commissione europea e delle amministrazioni dei vari Stati membri. In questo modo si ridurranno la spese di trasporto, di soggiorno, i rimborsi spese, ecc.
Calendario delle tornate del Parlamento europeo – 2012 - 2013
John Attard-Montalto (S&D), per iscritto. – (EN) Quest’oggi il Parlamento ha votato sul calendario per il 2012 e il 2013. Per la prima volta nel corso della mia esperienza come eurodeputato, gli emendamenti sono stati approvati dalla maggioranza dei votanti. Questo significa che gli onorevoli colleghi non dovranno trasferirsi a Strasburgo 12 volte all’anno, bensì 11, per svolgere le 12 sessioni in quella sede. Quella sorta di “circo itinerante” mensile fra Bruxelles e Strasburgo è diventato sinonimo di spreco, dei 200 milioni di euro spesi a questo proposito e delle 20 000 tonnellate di CO2 rilasciate nell’atmosfera.
Gli eurodeputati non possono scegliere dove sedersi, ma possono decidere quante volte il Parlamento debba trasferirsi da una città all’altra. Circa 350 eurodeputati hanno appoggiato l’emendamento che consentirebbe l’accorpamento di due sessioni nella stessa settimana, con un risparmio in termini di costi, tempo ed energia per i viaggi, e manderà inoltre un segnale positivo al nostro elettorato. Mi auguro, altresì, che possa servire come base per l’eventuale definizione di un calendario che preveda lo svolgimento di 12 sessioni in 6 settimane. Non approvo, tuttavia, l’aver messo ai voti anche il calendario per il 2013 in questa plenaria. È una chiara manovra per impedire l’ulteriore estensione di questo procedimento nel corso di questa legislatura.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) Nella votazione sul calendario delle tornate del Parlamento europeo per il 2012 e per il 2013, il 58 per cento degli eurodeputati ha approvato un emendamento che abolisce una delle due tornate di ottobre a Strasburgo. Quell’emendamento costituisce una violazione dei trattati, che prevedono Strasburgo sia la sede del Parlamento europeo e stabiliscono che ogni anno si debbano svolgere lì 12 tornate. In ottobre sono previste due tornate per recuperare sul lavoro rimasto fermo nel mese di agosto. Al di là di queste tornate di Strasburgo, tutte le riunioni delle commissioni parlamentari e le tornate straordinarie si svolgono a Bruxelles. Nel 1997, la Corte di giustizia ha stabilito chiaramente che il Parlamento europeo deve riunirsi ogni mese a Strasburgo. I trattati non lasciano spazio a dubbi: Strasburgo non è la seconda sede del Parlamento europeo; è piuttosto l’unica sede di questa istituzione. Il gruppo anti-Strasburgo si sta organizzando e sta mostrando i muscoli in maniera sempre più evidente, nel tentativo di far credere che il Parlamento sia unanimemente contrario a Strasburgo. I sostenitori della sede alsaziana devono farsi sentire di più. Hanno dalla loro la legittimità del diritto e cinquant’anni di storia di integrazione europea.
Nessa Childers (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della modifica del calendario per risparmiare il denaro dei nostri contribuenti, ridurre le emissioni di CO2 e diminuire lo scompiglio che la trasferta mensile a Strasburgo comporta per le attività del Parlamento.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) I trattati europei sanciscono chiaramente che Strasburgo deve essere l’unica sede del Parlamento europeo nonché la sede delle 12 tornate annuali previste. Si è tuttavia tenuta una votazione in proposito questa settimana, nella speranza di accorpare due delle tornate previste a Strasburgo nella stessa settimana, a ottobre 2012 e a ottobre 2013. Gli eurodeputati democratici hanno votato contro questa decisione; la Francia, dal canto suo, ha già annunciato che a breve rinvierà la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea. In effetti, la decisione adottata è una violazione palese dello spirito e della lettera dei trattati, dal momento che non bisogna dimenticare che le disposizioni contenute nei testi possono essere modificate solamente per decisione unanime degli Stati membri.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Questa settimana abbiamo votato sul calendario delle tornate del Parlamento europeo per il 2012 e il 2013. Con mio grande rammarico, la maggioranza degli eurodeputati ha votato a favore di un emendamento (che io contesto fermamente) che accorpa le due tornate di ottobre in una sola, nel corso della stessa settimana. Personalmente ritengo che questa votazione violi pienamente lo spirito dei trattati dell’Unione europea, che stabiliscono esplicitamente che Strasburgo deve essere la sede del Parlamento europeo e delle 12 tornate annuali previste. La discussione in merito alla sede del Parlamento europeo riaffiora continuamente e quello di oggi è un nuovo attacco alla sede del Parlamento europeo di Strasburgo. Sono molti, tuttavia, i riferimenti storici a questa sede, citata nei testi giuridici e che non dovrebbe essere messa in discussione da simili molteplici attacchi. La Francia ha recentemente annunciato che avrebbe rinviato la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea, decisione che condivido e che appoggerò.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari Colleghi, ho votato a favore delle modifiche del calendario ufficiale del Parlamento europeo per il 2012 ed il 2013, perché ritengo giusto cercare di limitare lo spreco di risorse economiche e non nello svolgimento del nostro mandato parlamentare. La decisione di accorpare le due sessioni plenarie di ottobre all'interno della stessa settimana consente, infatti, di evitare una doppia trasferta a Strasburgo, con quel che ne deriva in termini di risparmio di risorse. Ritengo, infine, che questa decisione sia in linea con quanto accade già oggi, con la concentrazione di due sessioni plenarie nel mese di settembre.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore delle modifiche proposte per il calendario delle Sessioni Plenarie del Parlamento europeo a Strasburgo per il 2012 e il 2013 perché ritengo che, nel pieno rispetto dei trattati, sia comunque possibile sintetizzare due tornate del Parlamento in una sola settimana evitando di doversi recare a Strasburgo 2 volte in uno stesso mese. Questo permetterà di risparmiare sui costi delle istituzioni europee ed evitare spreco di denaro e di tempo. Ciò richiederà un maggiore impegno nell'organizzazione dei lavori sia da parte mia che dei colleghi, ma mostrerà anche all'opinione pubblica un maggiore impegno per evitare uno spreco inutile di denaro pubblico.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ritengo non sia necessario svolgere due sessioni plenarie separate a ottobre. I trattati dell’Unione europea prevedono che il Parlamento debba svolgere 12 sessioni a Strasburgo ogni anno, ma consentono di svolgere due sessioni nella stessa settimana. Mettendo fine all’usanza di trasferirsi a Strasburgo due volte al mese, il Parlamento può dare il buon esempio, riducendo le proprie emissioni di CO2 e risparmiando denaro pubblico.
Calendario delle tornate del Parlamento europeo – 2013
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore dell’emendamento n. 1 che elimina la tornata proposta per la settimana n. 40 nel 2013. Così come la decisione in merito al calendario per il 2012, anche questo contribuisce al taglio dei costi del Parlamento.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) In quanto cofirmatario dell’emendamento chiave, sono lieto che sia stato adottato. Il calendario delle tornate previste per il 2013 andrebbe ora modificato come segue: eliminare la tornata prevista per la settimana n. 40 (30 settembre-3 ottobre); dividere la tornata di ottobre II (21-24 ottobre) in due tornate separate: tornata n. 1: 21-22 ottobre; tornata 2: 24-25 ottobre.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Con l'esito di questa votazione si pone un fondamentale precedente lungo la strada che, mi auguro, un giorno possa portare a concentrare tutte le attività del Parlamento europeo in un'unica sede.
Non ritengo infatti più tollerabile lo spreco di risorse pubbliche e l'inquinamento atmosferico causato dalla doppia sede parlamentare, che ogni mese costringe migliaia di persone a lunghe e difficili trasferte fra Bruxelles e Strasburgo. Accorpando nel calendario ufficiale del 2013 le due sessioni plenarie di ottobre si dà un segnale molto forte e sono ottimista che la strada intrapresa sia quella più giusta e vicina ai cittadini.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. – (DE) Ho respinto questi emendamenti e intendo avviare un procedimento per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea. La Conferenza dei presidenti non avrebbe dovuto permettere che questa mozione venisse messa ai voti.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Approvo la presente relazione che rispetta il principio in base a cui le istituzioni devono avere risorse sufficienti per essere gestite con rigore ed efficienza. In un periodo di crisi economica e finanziaria in Europa, in cui i cittadini sono costretti a tagliare le proprie spese, sia le istituzioni europee che quelle nazionali dovrebbero fare altrettanto. Questo fatto, però, non deve bloccare i necessari investimenti pubblici che portano a un guadagno a medio e lungo termine. Sottolineo che nel 2012 dovrebbero stabilizzarsi gli effetti dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona sulla rubrica 5, anche se l’adesione della Croazia prevista per il 2013 avrà un impatto sul bilancio 2012.
Con questa situazione alcune istituzioni potrebbero registrare difficoltà nel mantenere il bilancio in pareggio. Per renderlo possibile concordo con le misure di sana gestione per le risorse amministrative e i piani di riduzione dei costi, adattando le tecnologie efficienti ed ecocompatibili. Infine, il Parlamento non può pregiudicare le condizioni necessarie per garantire a tutti gli Stati membri, allo stesso modo, buone condizioni di lavoro.
Marta Andreasen (EFD), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la relazione Fernandes sulle priorità di bilancio per il 2012 perché il Parlamento europeo chiederà ancora un aumento del 5 per cento del bilancio, mentre le altre istituzioni europee si limiteranno all’1 per cento. Il costo dell’UE è di fatto insostenibile per le nazioni europee, e deve assolutamente essere ridotto. Sono esterrefatta per l’approvazione, in questo documento, della Casa della storia europea: si tratta di un progetto pretenzioso di 70 milioni di euro e più, in assoluto contrasto con le presunte pretese di austerità.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione che definisce il quadro generale e le priorità del bilancio 2012 per i finanziamenti alle istituzioni europee. Con la crisi economica che persiste è molto importante garantire una sana gestione finanziaria per adottare i principi dell’economia, dell’efficienza e dell’efficacia. Concordo con l’opinione del relatore secondo cui, con l’applicazione di questi principi, le istituzioni dovrebbero presentare piani di riduzione dei costi, specificando e giustificando chiaramente ogni spesa sostenuta. Il Parlamento e le altre istituzioni dovrebbero presentare relazioni semestrali sull’esecuzione dei rispettivi bilanci, dando informazioni dettagliate sull’esecuzione di ciascuna linea di bilancio. Credo quindi che essi debbano rispettare la disciplina di bilancio e i limiti autoimposti. Accolgo con favore la creazione di una nuova sezione X nel bilancio dell’Unione europea per il Servizio europeo per l’azione esterna, con una dotazione di 464 milioni di euro. Faccio comunque appello al servizio affinché usi i fondi stanziati a suo favore per realizzare le attività e raggiungere risultati concreti.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente relazione. Bisogna dare il giusto equilibrio al bilancio del prossimo anno, attribuendo priorità a quei settori strettamente legati alla strategia UE 2020. Nella stesura di bilancio occorre garantire il principio di governance sostenibile sugli aspetti legati all’efficienza e all’efficacia. Bisogna assicurare risorse sufficienti alle istituzioni europee affinché possano adempiere alle proprie funzioni in maniera adeguata. Al tempo stesso, le istituzioni devono anche rispondere all’attuale situazione finanziaria, economica e sociale dell’Unione, applicare rigide procedure di gestione e gestire risorse con rigore ed efficienza. Anch’io penso che le istituzioni europee possano contribuire in maniera significativa alla riduzione dei costi e alla realizzazione di economie di scala, ad esempio con procedure di gara d’appalto centralizzate, la condivisione di servizi tra le istituzioni, sistemi di e-governance, eccetera.
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho approvato il presente documento perché ritengo che la relazione Fernandes sulle priorità di bilancio per il 2012 individui in maniera adeguata la direzione da seguire il prossimo anno. Approvo e appoggio l’idea presentata nel documento per dare priorità all’assunzione interna di personale. Ciò contribuirà a migliorare l’efficienza attraverso l’esperienza già acquisita, riducendo altresì i costi di formazione e i costi per l’adeguamento a una cultura organizzativa totalmente nuova. Contemporaneamente bisogna raffrontare la spesa reale con quella iscritta in bilancio nel 2011, e individuare esattamente le cause delle variazioni di grande entità. Le istituzioni europee devono elaborare e inviare alla Commissione piani di riduzione delle spese, con scadenze specifiche e obiettivi misurabili. Non possiamo chiedere sacrifici solo ai cittadini e al settore privato, anche le istituzioni devono fare la loro parte. Il Parlamento deve infatti fungere da modello, dimostrare solidarietà e controllare da vicino le modalità di spesa delle risorse.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. – (PT) La relazione sulle priorità per il bilancio 2012 del Parlamento e delle altre istituzioni europee, da me appoggiata, per certi versi tiene conto della situazione economica, finanziaria e sociale che stiamo vivendo. In altre parole, è un bilancio di rigore e austerità. Questa relazione propugna l’eccellenza legislativa, la riduzione dei costi, la diminuzione dell’impatto ambientale e nessuna maggiorazione di spesa, ovvero un aumento in linea con l’inflazione. Altrettanto importante è la proposta che i prossimi bilanci siano pluriennali, per potere essere in linea con il quadro finanziario pluriennale. Inoltre, si tiene conto della possibile adesione della Croazia nel 2013.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Concordo con la relazione sugli orientamenti relativi alla procedura di bilancio 2012, che sottolinea la necessità di consolidare le risorse necessarie a soddisfare il nuovo quadro istituzionale derivante dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Sia per il Parlamento che per le altre istituzioni è di vitale importanza usare un atteggiamento responsabile nelle questioni di bilancio. La crisi attuale e il pesante fardello del debito pubblico indicano l’urgente necessità di adottare una linea di rigore tenendo conto dei principi di economia, efficienza ed efficacia. È bene sottolineare il fatto che certi investimenti, soprattutto nelle tecnologie, potrebbero comportare risparmi a lungo termine, motivo per cui non bisogna bloccarli. Ricordo inoltre che, nell’ambito della cultura organizzativa del Parlamento e delle altre istituzioni, si dovrebbero presentare proposte per la riduzione del consumo di carta, energia e acqua, nonché delle emissioni. Sarebbe altresì auspicabile diminuire il materiale divulgativo su supporto fisico, che dovrebbe essere sostituito dal supporto informatico.
Nessa Childers (S&D), per iscritto. – (EN) Mi sono espressa a favore di una riduzione del bilancio del Parlamento europeo considerando le restrizioni economiche, finanziarie e sociali degli Stati membri dell’Unione. Ci siamo impegnati a fare il possibile per ridurre la spesa e giustificare le spese rimanenti in maniera circostanziata, ma non bisogna minare i progetti già in fase di realizzazione, come la Casa della storia europea. Questo è un bilancio di austerità che rimane in linea con l’inflazione. Al tempo stesso i tagli non devono influire negativamente sulla qualità dell’opera legislativa del Parlamento.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Appoggio l’eccellente relazione Fernandes, perché in un periodo di grave crisi finanziaria, economica e sociale in cui si richiedono tanti sacrifici ai cittadini dobbiamo essere i primi a dare l’esempio, approvando orientamenti di bilancio caratterizzati da rigore e austerità. Si dovrebbero però rendere disponibili le risorse necessarie affinché le istituzioni comunitarie possano essere all’altezza delle aspettative, soprattutto in vista del nuovo quadro istituzionale derivante dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona.
Sottolineo poi l’importanza di assoggettare la gestione di queste risorse a criteri più stringenti di rigore ed efficienza, rispondenti a un controllo più rigido e più trasparente. È altresì importante incoraggiare la creazione di sinergie ed evitare inutili duplicazioni a livello di personale e funzioni.
Diane Dodds (NI), per iscritto. – (EN) Quando questa Assemblea discute le priorità di bilancio, lo fa in un clima di enormi tagli al settore pubblico negli Stati Membri dell’Unione, crescente disoccupazione, bollette sempre più care e generale incertezza economica, sia a livello nazionale che all’interno di molte famiglie. In questo contesto estremamente grave e difficile, qual è la priorità per l’Unione europea? Incredibile a dirsi, una priorità è la Casa della storia europea.
Tiro a indovinare: se chiedessimo ai miei elettori se in questo periodo questi sono 100 milioni ben spesi pochi, forse nessuno, risponderebbe di sì. È giunta l’ora per noi tutti – europarlamentari, Commissione e funzionari – di scendere dalle nuvole. Le priorità devono rispondere al meglio agli interessi degli elettori, semplificando la loro vita. Non bisogna sprecare soldi europei solo per soddisfare chi è ossessionato dalla promozione di concetti idealistici legati alla storia o all’identità comune europea. Questa autoindulgenza deve finire.
Lena Ek, Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. – (SV) Abbiamo deciso di votare a favore della relazione sul bilancio in parte perché dimostra chiaramente l’importanza del risparmio e del rigore in questi tempi duri per l’economia, e in parte perché accoglie con favore la dotazione di 464 milioni di euro a favore del Servizio europeo per l’azione esterna, le cui importanti attività rientrano nel settore su cui si dovrebbe concentrare l’Unione europea.
Al tempo stesso però esprimiamo forti critiche per l’investimento complessivo di 549,6 milioni di euro per l’ampliamento dell’edificio a Lussemburgo, e non condividiamo affatto quando il relatore afferma che questo consentirà un risparmio a lungo termine. Al contrario, l’unica scelta ragionevole sarebbe concentrare il Parlamento europeo e le sue attività in un unico luogo.
Göran Färm, Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog e Åsa Westlund (S&D), per iscritto. – (SV) Lo Sveriges socialdemokratiska arbetareparti si è espresso a favore della relazione sulle priorità per il bilancio 2012 per il Parlamento europeo e le altre istituzioni.
La relazione esprime una posizione critica e inquisitoria su alcune proposte di bilancio dai costi elevati e raccomanda, per il prossimo anno, un aumento del bilancio del Parlamento non superiore al tasso d’inflazione; in altre parole, non dovrebbe avere alcuno scostamento in termini reali rispetto al 2011. Sottolineiamo inoltre di essere concordi sulla posizione estremamente critica e titubante del documento sul progetto di creazione di una Casa della storia europea. In un periodo di gravi restrizioni ai bilanci nazionali, dare il via a un simile progetto, che probabilmente sarà molto costoso, è secondo noi inopportuno.
Segnaliamo che avremmo preferito l’adozione di un approccio ancora più rigoroso per il bilancio del Parlamento per il 2012, con anche proposte di risparmio e ridistribuzione per finanziare nuove esigenze. La Commissione propone l’1 per cento come percentuale massima di aumento per i bilanci amministrativi delle istituzioni europee del prossimo anno, iniziativa che riteniamo debba essere sostenuta. Rispetto all’inflazione, un aumento massimo dell’1 per cento comporterebbe in pratica una riduzione del bilancio complessivo del Parlamento.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Tenendo in debito conto l’attuale situazione finanziaria, economica e sociale dell’Unione europea, è sempre più importante che le istituzioni rispondano con la qualità e l’efficienza richieste, e utilizzino procedure di gestione rigorose per garantire il risparmio. In questo momento è indispensabile sforzarsi per raggiungere pienamente gli obiettivi sanciti nella strategia Europa 2020, che si concentra sulla crescita e la creazione di posti di lavoro. È altresì necessario assicurare un equilibrio permanente e fare uno sforzo di consolidamento in tutte le categorie di bilancio. Per questo occorre mantenere un approccio prudente nelle spese amministrative. Per concludere, il Parlamento deve mantenere il principio dell’eccellenza legislativa, rispettare il principio di sana gestione e trasparenza, e promuovere uno spirito di responsabilità di bilancio nel quadro generale e nelle priorità per il bilancio 2012.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione “stabilisce come priorità il principio dell’eccellenza legislativa”. Dal momento che, nonostante l’ambiguità del concetto, questo dipenderà essenzialmente dagli orientamenti politici adottati nel processo legislativo, chiediamo che per il Parlamento vengano stanziate le giuste risorse – umane e materiali – per rispondere alle esigenze e all’ambito dell’attività parlamentare. Il relatore non si esime dall’adottare una retorica prolissa in tutto il documento, scandita da concetti quali “sana gestione”, “economie di scala”, “efficienza”‘, “efficacia”, “analisi costi-benefici”, “riassegnazione del personale”, “mobilità”, eccetera. Ciononostante il Servizio europeo per l’azione esterna sembra essere escluso dall’elenco quando si tratta di appoggiare “le ambizioni dell’Unione europea per quanto riguarda la politica estera”. Concordiamo pienamente su “l’importanza che ai deputati di ogni nazionalità e lingua sia riservato il medesimo trattamento quanto alla possibilità di svolgere i propri compiti e le attività politiche che loro competono nella propria lingua”. Questo però implica molto di più che garantire il servizio di interpretazione nelle riunioni della commissione, come suggerisce il relatore. Implica assicurare il servizio di interpretazione anche a riunioni di coordinatori, triloghi, delegazioni, assemblee parlamentari e altro. Implica infine la tempestiva traduzione di tutti i documenti ufficiali e di lavoro. In questo momento vi sono lacune inaccettabili in entrambi i settori.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa è l’ennesima relazione sulla continuità della politica comunitaria di bilancio che dipende, in primo luogo, dagli orientamenti politici introdotti nel processo legislativo. Difendiamo però la giusta attribuzione delle risorse lavorative – umane o materiali – al Parlamento in base alle esigenze e competenze dell’attività parlamentare, senza esagerare con i costi o i possibili risparmi e senza minare il lavoro dell’Assemblea.
Non possiamo però astenerci dal rilevare che invece di concetti come “sana gestione”, “economie di scala”, “efficienza”, “efficacia”, “analisi costi-benefici”, “riassegnazione del personale”, “mobilità”, eccetera quello di cui ha bisogno l’Unione europea sono altre politiche, compresa una sostanziale riduzione delle spese militari e del Servizio europeo per l’azione esterna.
Appoggiamo la difesa della parità di trattamento per i deputati di ogni nazionalità e lingua quanto alla possibilità di svolgere i propri compiti e le attività politiche che loro competono nella propria lingua ricordando che, comunque, questo implica molto di più che garantire il servizio di interpretazione nelle riunioni di commissione, come afferma il relatore. Implica assicurare il servizio di interpretazione anche a riunioni di coordinatori, triloghi, delegazioni, assemblee parlamentari e altro. Implica infine la tempestiva traduzione di tutti i documenti ufficiali e di lavoro.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi la relazione del collega José Manuel Fernandes concerne gli orientamenti di spesa per il Bilancio 2012 delle istituzioni europee. La relazione prevede fra le altre cose, visto il difficile momento di crisi economica, più rigore nella spesa soprattutto per quanto riguarda la gestione burocratica della macchina organizzativa europea. Per questo, appoggio il collega con voto favorevole.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’adozione di questo documento che stabilisce gli orientamenti relativi alla procedura di bilancio 2012 : un quadro generale e le priorità di bilancio per il funzionamento delle istituzioni europee (tranne che per la Commissione europea). La relazione sostiene, in particolare, la riduzione del bilancio del Parlamento europeo vista la situazione economica, finanziaria e sociale, e me ne rallegro. Infine, mi sono fermamente opposta agli emendamenti che attaccavano la sede del Parlamento europeo a Strasburgo, e sono felice che siano stati respinti dalla maggioranza dell’Assemblea.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente relazione perché è molto importante attribuire priorità ai principi di sana gestione, ovvero economia, efficienza ed efficacia. Nell’attuazione delle varie politiche si deve tenere conto dei risultati conseguiti e le spese variabili dovrebbero, ove possibile e qualora la loro entità lo richieda, essere soggette a regolari valutazioni costi-benefici. A seguito dell’applicazione di questi principi, le istituzioni dovrebbero presentare piani di riduzione dei costi; è opportuno valutare i vantaggi della centralizzazione, al fine di realizzare economie di scala (ad esempio mediante procedure di gara d’appalto centralizzate e la condivisione di servizi tra le istituzioni). La cooperazione interistituzionale è fondamentale per lo scambio di buone prassi che favoriscono l’efficacia e consentono di realizzare economie; credo che la cooperazione interistituzionale dovrebbe essere migliorata per quanto riguarda la traduzione, l’interpretazione, l’assunzione di personale (EPSO) e l’EMAS e che essa dovrebbe essere estesa ad altri settori. In considerazione della crisi economica, del pesante fardello del debito pubblico e delle restrizioni contestuali agli sforzi di risanamento dei bilanci nazionali, il Parlamento europeo e le altre istituzioni dovrebbero dar prova di responsabilità e di rigore in materia di bilancio. Il Parlamento dovrebbe avere l’obiettivo di sviluppare l’eccellenza legislativa e dovrebbero essere rese disponibili tutte le risorse necessarie a tal fine, pur tenendo conto dei vincoli di bilancio.
Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. – (RO) Nell’attuale contesto economico, finanziario e sociale gli orientamenti relativi alla procedura di bilancio per il 2012 rappresentano una vera e propria sfida, soprattutto perché le istituzioni europee sono costrette a realizzare notevoli risparmi ma, al tempo stesso, devono disporre di risorse sufficienti per svolgere le proprie attività con la massima professionalità ed efficienza. In tal senso, sono a favore di un migliore sostegno interistituzionale per uno scambio di pratiche che porti a una strategia di rafforzamento dei legami tra Europa e cittadini, mantenendo un’austerità di bilancio e facendo economie per riuscire a raggiungere gli obiettivi dell’agenda Europa 2020.
Anche se il bilancio 2012 per il Parlamento e le altre istituzioni deve riguardare il consolidamento non bisogna creare ostacoli e impedire gli investimenti, perché i progetti d’investimento garantiscono il buon funzionamento delle economie europee.
Da ultimo ma non meno importante, concordo con il relatore quando afferma che non è accettabile non avere un servizio di interpretazione durante le riunioni delle commissioni parlamentari, perché gli eurodeputati devono potere usare la lingua madre. Anch’io mi sono trovato in una situazione in cui non ho potuto usufruire del servizio di interpretazione, anche nel momento in cui ho presentato una relazione.
Barbara Matera (PPE), per iscritto. − Il bilancio 2012, così come il bilancio 2013, saranno bilanci di consolidamento, orientati a riflettere il contenimento della spesa degli Stati membri e destinati a rappresentare un punto di riferimento per gli importi che verranno fissati nell’ambito del prossimo quadro finanziario.
L’obiettivo per questo bilancio deve essere l’eccellenza, il che vuol dire perseguire gli obiettivi di economia, efficienza ed efficacia con il minimo delle risorse disponibili. Quello a cui il Parlamento deve puntare in questa fase di consolidamento è un incremento del bilancio che non sia al di sopra del tasso di inflazione. Questa soglia rappresenta un esercizio di alta responsabilità. Le spese maggiorate che deriveranno dall’allargamento nei confronti della Croazia e dei nuovi 18 deputati previsti dal trattato di Lisbona verranno integrate tramite un amending budget.
Al fine di rispettare l’approccio volto al contenimento della spesa, auspico che tutte le istituzioni trasmettano in anticipo le informazioni necessarie a delineare un quadro generale delle spese amministrative, in modo tale che l’Autorità di bilancio possa prendere decisioni sull’uso delle risorse secondo un approccio pluriennale, sostenibile e orientato alla comparabilità nel tempo e tra le istituzioni dei dati forniti.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la presente relazione che evidenzia come il Parlamento si aspetti che, nell’ambito dello stato di previsione, l’Ufficio di Presidenza presenti richieste realistiche; si dichiara disposto a esaminare proposte basate sulle esigenze e sulla prudenza, al fine di garantire un funzionamento adeguato ed efficiente dell’istituzione; sottolinea che lo scopo della lettera rettificativa presentata dall’Ufficio di Presidenza alla commissione per i bilanci nel mese di settembre è di prendere in considerazione le esigenze impreviste al momento dell’elaborazione delle stime, e che essa non deve essere considerata come un’opportunità per rivedere le stime precedentemente concordate; seguendo l’orientamento interistituzionale, i fabbisogni connessi all’allargamento andrebbero soddisfatti mediante lettera rettificativa o bilancio rettificativo; ritiene inoltre che i fabbisogni connessi ai 18 nuovi deputati, in seguito all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, andrebbero soddisfatti mediante lettera rettificativa o bilancio rettificativo.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Questa relazione ha il grande merito di insistere sulla necessità che gli eurodeputati esercitino il mandato nella propria lingua. La mancanza di traduzione in alcune riunioni, nelle comunicazioni a noi rivolte e nelle risoluzioni congiunte in fase negoziale è un ostacolo imperdonabile per il nostro lavoro di europarlamentari e, di conseguenza, per la democrazia. Sostengo questa richiesta, ma mi rifiuto di appoggiare lo spreco finanziario e l’aberrazione democratica rappresentata dall’istituzione del Servizio europeo per l’azione esterna della Baronessa Ashton. Allo stesso modo mi rifiuto di sostenere il ricorso alle imprese private al posto dei funzionari.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il trattato di Lisbona ha affidato nuove responsabilità al Parlamento. Ciò comporta un maggiore carico amministrativo, e per i deputati la necessità di essere affiancati da collaboratori qualificati che svolgano funzioni di consulenza. Questa nuova situazione porta a due problemi: l’aumento dei costi derivanti dalla necessità di un maggior numero di assistenti, e più spazio fisico necessario affinché questi possano assolvere alle proprie funzioni in buone condizioni di lavoro. Questa situazione comporta un incremento dei costi che in questo periodo di crisi è difficile da giustificare, ma se l’operato del Parlamento deve eccellere deve disporre delle giuste risorse umane e finanziarie. Questo è il senso del mio voto.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (EN) Anche se la relazione contiene i principali orientamenti e le priorità per il bilancio 2012, comprese le norme per l’opera legislativa del Parlamento europeo, non ritengo giusto né giustificato l’incremento di bilancio rispetto al tasso d’inflazione. Esistono altri meccanismi e modi per risolvere i problemi comuni e far fronte alle priorità. Io ho votato a favore.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Il massimale di spesa per il quadro finanziario pluriennale del bilancio dell’Unione europea per il 2012 è stato nuovamente aumentato. Anche l’Unione europea deve risparmiare, soprattutto quando i cittadini devono tirare la cinghia. Ci sono moltissime opportunità di risparmio, dalla rinuncia a uno dei seggi del Parlamento allo sfoltimento della giungla delle agenzie comunitarie, o al potenziamento della lotta alla frode nei programmi di assistenza.
Dando tutta la colpa alla crisi economica e finanziaria l’Unione europea ha semplicemente messo in attesa alcuni piani ma senza un vero risparmio, pur facendo intendere che stesse facendo grandi economie. È assolutamente ingiusto nei confronti dei cittadini europei, ed è altrettanto ingiusto giustificare tutti i costi aggiuntivi derivanti dalle maggiori aspettative del trattato di Lisbona. Per questi motivi ho votato contro la relazione sul bilancio.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Questa relazione prevede un aumento del massimale di spesa per il quadro finanziario pluriennale (QFP) per il bilancio dell’Unione europea nel 2012. A causa della crisi economica e finanziaria i cittadini degli Stati membri sono stati esortati ad accettare misure di austerità e, di conseguenza, a farsi carico della maggior parte degli effetti della crisi. Anche l’Unione europea dovrebbe ridurre le spese che iniziano dalla crescita sfrenata delle agenzie, continuano con l’aiuto preadesione alla Turchia e proseguono con la costosa duplicazione delle strutture e i costi amministrativi derivanti dal Servizio europeo per l’azione esterna. Per questo motivo ho votato contro.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La proposta di risoluzione sugli orientamenti sulla procedura di bilancio 2012 del collega Fernandes offre una visione d’insieme della gestione del bilancio del Parlamento europeo in ottica di una futura ottimizzazione della gestione delle risorse a disposizione delle istituzioni europee, per questo ho espresso il mio parere a favore. Il Parlamento dovrà adottare il suo bilancio in modo da consolidare il futuro quadro finanziario e le risorse umane aggiuntive per far fronte alle esigenze del trattato di Lisbona, migliorare e completare gli edifici a disposizione, i servizi informatici e d’interpretariato. L’obiettivo principale resta quello di trovare un buon metodo di gestione delle risorse per riuscire a contenere la spesa migliorando comunque i servizi.
Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ho deciso di astenermi perché anche se questo testo fa riferimento all’individuazione di possibili risparmi per il bilancio del prossimo anno, questi non vengono individuati specificamente nel testo. Se vogliamo essere coerenti le politiche di risparmio devono iniziare dagli stessi deputati di quest’Assemblea.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché credo che l’attuale situazione finanziaria, economica e sociale dell’Unione europea non possa impedire alle istituzioni di utilizzare procedure di gestione rigorose per realizzare risparmi. Occorre fare un vero e proprio sforzo di consolidamento. Con riferimento ai principi di sana gestione, le istituzioni devono presentare piani di riduzione dei costi specificando e giustificando chiaramente le spese quando le presentano. In tal senso desidero manifestare pubblicamente il mio apprezzamento per l’eccellente lavoro svolto dal collega, onorevole Fernandes.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione sugli orientamenti relativi alla procedura di bilancio 2012 perché ho ritenuto che l’attuale situazione di crisi economica, che ha ripercussioni nella fase attuale sopratutto in termini occupazionali, richieda uno sforzo di contenimento congiunto non solo da parte degli Stati membri, ma anche delle istituzioni europee. Sono quindi d’accordo nell’affermare che nell’attuale contesto il principio generale del finanziamento europeo dovrebbe essere improntato all’austerità di bilancio.
Tuttavia mi preme sottolineare che, pur nella contingenza della situazione economica, il bilancio dell’Unione e particolare il bilancio del Parlamento, in quanto unica istituzione comunitaria eletta direttamente dei cittadini, dovrebbe essere soprattutto attento alla promozione e all’avvicinamento, proprio in momenti di incertezza per il futuro come questi, dei cittadini alle istituzioni dell’Unione. In particolare, ritengo che sarebbe particolarmente utile poter riflettere su una migliore distribuzione degli uffici informativi e di collegamento del Parlamento nei paesi membri e una loro più strategica collocazione anche alla luce degli ultimi sconvolgimenti nei paesi limitrofi.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore anche se avrei preferito venissero bocciati alcuni emendamenti sulla necessità di ridurre il numero delle sedi di lavoro del Parlamento europeo.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Gli orientamenti relativi alla procedura di bilancio 2012 si basano sull’equilibrio tra la necessità di dotare le istituzioni europee di risorse sufficienti e adeguate per lo svolgimento delle attività e l’imperativo di trovare una risposta efficiente e di qualità alla crisi finanziaria, economica e sociale. La proposta presentata sottolinea che le istituzioni possono incontrare difficoltà nell’osservare la disciplina finanziaria e le restrizioni necessarie a rispettare il programma finanziario pluriennale, soprattutto in riferimento alla rubrica 5. Per questo il relatore invoca principi di sana gestione come l’economia, l’efficienza e l’efficacia, così da ottenere più rigore, semplicità, chiarezza e trasparenza.
Per quanto riguarda il Parlamento, questo documento che ha avuto il mio voto favorevole comprende le necessità derivanti dall’adesione della Croazia nel 2013, l’aumento di 18 deputati e la necessità di personale aggiuntivo dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Per le altre istituzioni occorre ricordare la nuova sezione X del Servizio per l’azione esterna che, con il nuovo trattato, risponderà alle esigenze finanziarie legate alla creazione di un ambizioso quadro istituzionale a sostegno della politica estera dell’Unione.
Peter van Dalen (ECR), per iscritto. – (NL) Secondo la relazione Fernandes il Parlamento europeo deve eccellere in campo legislativo e tutte le risorse devono servire a tale scopo. Per me ci deve anche essere un’altra priorità, ovvero il Parlamento deve eccellere nella disciplina di bilancio. In questo momento governi, imprese e cittadini devono nuovamente rivedere le spese. Il Parlamento europeo deve fare altrettanto: non dobbiamo concentrarci su più soldi ma su nuove priorità. Occorre un cambiamento di rotta perché la spesa amministrativa dell’Unione europea è aumentata più rapidamente della spesa totale, e il Parlamento è il primo colpevole! Il considerando F della relazione fa riferimento al Servizio europeo per l’azione esterna, che probabilmente comporterà un maggiore esborso. Anche questo deve cambiare. Perché questo servizio ha decine e decine di dipendenti e sedi di lusso in luoghi esotici come Barbados e il Madagascar? Valutate attentamente il servizio e vedrete che non ha bisogno di più soldi. Questa deve essere la priorità di bilancio numero uno dell’Unione europea: non spendere di più, bensì spendere meglio.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Gli orientamenti relativi alla procedura di bilancio si compongono di una serie di sezioni a sé stanti messe insieme sotto il titolo “economia” e “consolidamento”. Molti cittadini europei, così come i rispettivi governi nazionali, sono stati costretti a fare economie e a limitare le spese a causa della crisi economica e finanziaria. In questa situazione è più che giustificato che il Parlamento europeo dia l’esempio con il bilancio proposto per il 2012. Nel 2012 l’Unione si troverà ad affrontare nuove e inevitabili spese per via della potenziale adesione della Croazia, del nuovo Servizio europeo per l’azione esterna e delle tre agenzie finanziarie. Affinché maggiori richieste di bilancio non implichino più automaticamente aumenti di bilancio, è giunto il momento di vedere dove è possibile realizzare potenziali risparmi nel bilancio dell’UE. Essi prevedono, ad esempio, un’analisi del funzionamento delle agenzie comunitarie e una valutazione delle risorse umane e delle politiche sugli immobili dell’Unione.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Approvo la presente risoluzione perché una strategia per la regione atlantica è essenziale per la coesione territoriale dell’Unione europea, soprattutto in un contesto di allargamento a est dei suoi confini. Si noti che nel quadro di un orientamento strategico che dà centralità all’Atlantico il nostro approccio non può considerare la regione come periferica, bensì deve affermarne la geocentralità nello spazio globale. Per l’Unione rappresenta una zona di confine con l’America del nord, l’America del sud e tutta l’Africa occidentale. Una strategia per la regione atlantica che vede la partecipazione degli Stati membri e delle rispettive regioni deve anche dare priorità ai nuovi settori di innovazione nell’economia e nella scienza, in particolare ai nuovi prodotti e servizi legati all’ambiente, alle energie marine rinnovabili, alle biotecnologie marine legate ai generi alimentari, alla salute e ai prodotti e servizi ad alta tecnologia intelligente.
La strategia atlantica non deve essere isolata bensì inquadrata nell’ambito degli obiettivi globali dell’Unione europea, considerando gli insegnamenti della strategia del Baltico, adattata dopo l’inizio del periodo di programmazione di bilancio per il 2007-2013, che ha indubbiamente limitato l’ambito di applicazione dell’iniziativa.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione sulla strategia europea per la regione atlantica. Cinque Stati membri dell’Unione si trovano sulla costa atlantica: Francia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Regno Unito. Occorre quindi una strategia per coordinare gli interventi di questi paesi nella regione. Concordo con la relatrice sul fatto che il principale valore aggiunto delle strategie regionali dell’UE risieda nella cooperazione a più livelli, nel coordinamento e nel migliore investimento strategico dei finanziamenti disponibili, non nell’ulteriore distribuzione delle risorse. Credo che questa strategia potrebbe affrontare i seguenti temi di interesse comune: l’ambiente e il cambiamento climatico, compresa la prevenzione e la lotta nei confronti dell’inquinamento marino ad opera delle navi, i trasporti e l’accessibilità, la ricerca, l’innovazione, la cultura, il tempo libero e il turismo, i servizi e la formazione marittimi, la pesca e il settore ittico. Vorrei ricordare che una delle prime strategie di questo tipo è la strategia dell’UE per la regione del Mar Baltico approvata dal Consiglio europeo, in cui rientrano 8 Stati membri dell’Unione compreso il mio, la Lituania. Questa strategia vuole rendere il Mar Baltico una regione sostenibile dal punto di vista ambientale, prospera, facilmente accessibile e sicura e ha già preso il via con successo. Credo quindi che la strategia europea per la regione atlantica potrebbe rivelarsi vantaggiosa non solo per questa regione, ma per tutta l’Unione europea.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) La cooperazione sui problemi che vanno oltre i confini nazionali è uno dei grandi valori aggiunti del lavoro svolto dall’Unione europea. Il collega, onorevole Cadec, lavora da mesi per rafforzare la cooperazione tra le regioni dell’Arco atlantico permettendo loro di sfruttare al massimo le possibili sinergie. Pertanto ho votato a favore di questa risoluzione, che “chiede alla Commissione di dare, quanto prima possibile, forma alla strategia dell’Unione europea per la regione atlantica come una strategia integrata che affronti questioni marittime e territoriali”.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho approvato la risoluzione. La coesione territoriale è uno degli obiettivi più importanti dell’Unione europea e un requisito indispensabile per un mercato interno efficace, economicamente forte e competitivo. La regione atlantica ha caratteristiche a sé specifiche, ovvero una zona marittima dinamica il cui fragile ambiente deve essere preservato e che è soggetta alle conseguenze del cambiamento climatico. È una zona periferica all’interno dell’Unione europea, con gravi problemi di accessibilità e di connettività. Credo ci sia un urgente bisogno di adottare questa strategia, che contribuirà ad affrontare i problemi fondamentali della regione come l’apertura, l’interconnessione delle reti dei trasporti e dell’energia e lo sviluppo dell’energia marina, lo sviluppo delle aree urbane e rurali, nonché l’intensificazione dei collegamenti terra-mare e mare-acque interne.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Concordo con la risoluzione del Parlamento sulla strategia europea per la regione atlantica, che ritengo essere di grande importanza poiché cinque Stati membri sono sulla costa atlantica: Francia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Regno Unito. Questa strategia viene proposta per affrontare temi importanti come l’energia marina, l’ambiente e il cambiamento climatico, i trasporti e l’accessibilità, la sicurezza e la sorveglianza, la ricerca, l’innovazione, le industrie creative, la cultura, il tempo libero e il turismo, i servizi e la formazione marittimi, la pesca e il settore ittico. La cooperazione territoriale europea, consolidata in questa strategia grazie ai suddetti aspetti, può contribuire ampiamente all’intensificazione del processo di integrazione all’interno della regione atlantica attraverso una maggiore partecipazione della società civile al processo decisionale e all’attuazione di azioni concrete. Sottolineo infine che questa iniziativa può e deve portare a un migliore utilizzo dei fondi europei, non a un aumento della spesa.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Come deputato eletto da un paese della regione atlantica devo evidenziare l’importanza e la necessità di creare una strategia europea che tenga conto delle peculiarità geografiche, demografiche ed economiche di questa zona. Occorre sviluppare una strategia integrata e articolata per garantire sinergie e coerenza tra politiche settoriali nella regione, creando il valore aggiunto necessario per far fronte alle sfide dello sviluppo sostenibile e della competitività di questa regione in particolare e dell’Europa in generale. Non ho dubbi sulla necessità di adottare un approccio a livello europeo basato sul rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri sull’Atlantico, le comunità costiere, il settore privato e la società civile, in cui questa strategia comune andrà a vantaggio di tutte le parti interessate.
Ciò dovrebbe permettere di individuare i problemi e le sfide comuni, così come le priorità comuni, e di creare le sinergie necessarie a promuovere un utilizzo più efficiente delle risorse. È importante non solo migliorare la competitività e la sostenibilità dei settori tradizionali, ma anche sfruttare tutto il potenziale della zona atlantica con nuovi mercati, prodotti e servizi, guidati da due grandi priorità: la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi e la creazione di posti di lavoro.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché credo che la Commissione debba elaborare, il più rapidamente possibile, una strategia europea per la regione atlantica che affronti le questioni marittime e territoriali. Questa strategia deve affrontare temi di interesse comune come l’ambiente e il cambiamento climatico, l’energia marina, i trasporti marittimi, la sicurezza marittima e la sorveglianza, la pesca, il turismo, la ricerca e l’innovazione. Anche le Azzorre, Madeira e Capo Verde devono essere inclusi ed esercitare un ruolo prominente in questa strategia.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Oggi l’Atlantico rappresenta uno dei confini europei ed è stato uno dei più importanti punti di contatto con il mondo. È stato grazie a questo oceano che i popoli europei, soprattutto i portoghesi, sono entrati in contatto con persone, economie e culture che prima non si conoscevano, dando vita a quello che oggi è un mondo veramente globalizzato. Oggigiorno la regione atlantica è emarginata rispetto al centro dell’Europa, e questo può e deve trovare rimedio nell’idea che l’Atlantico e i rapporti con i partner più importanti ai suoi confini, come il Brasile e gli Stati Uniti, possono riaffermare la centralità geostrategica sostituita dalla comparsa dei paesi asiatici. L’importanza della regione giustifica pienamente l’elaborazione di una strategia europea che, fedele al ruolo storicamente riservato all’oceano che le dà il nome, non si limita agli Stati membri ma riesce a creare un legame con le altre coste. In tal senso sottolineo il ruolo vitale e insostituibile delle regioni ultraperiferiche nel successo della strategia. Esse continuano a meritare un sostegno speciale da parte nostra, che permetta di superare i costi dell’insularità e di potenziare i contatti esterni.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il 14 giugno 2010 il Consiglio ha invitato la Commissione a elaborare una strategia europea per la regione atlantica entro un anno, trattandosi di un territorio periferico con caratteristiche specifiche per le sue potenzialità e fragilità ambientali. Pertanto, data l’importanza che riveste a livello mondiale, è necessaria una strategia ambiziosa che tenga conto degli aspetti marittimi e territoriali. Questa risoluzione rappresenta un contributo fondamentale all’elaborazione della strategia poiché richiama l’attenzione su elementi sostanziali come la necessità di attuare sinergie con altre politiche su ambiente, energia, trasporti, turismo, risorse marine eccetera, adottare una politica macroregionale e procedere all’approccio internazionale necessario a un buon rapporto con i paesi sull’Atlantico. Mi rallegro che il Parlamento abbia approvato la risoluzione, perché sono convinto che questa strategia europea per la regione atlantica darà impulso alla crescita sostenibile della zona e metterà le questioni marittime in cima all’agenda europea.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Siamo favorevoli allo sviluppo di strategie tese alla coesione economica, sociale e territoriale di determinate macroregioni, che ovviamente bisognerebbe dotare degli strumenti necessari per garantire una coesione totale ed efficace. Ogni fase di queste strategie – preparazione, formulazione e applicazione – deve coinvolgere attivamente i paesi e le regioni del relativo ambito geografico, e basarsi sulla cooperazione tra questi paesi e regioni. Tali strategie possono e devono affrontare temi di interesse comune come, nel caso della proposta specifica della strategia europea per la regione atlantica: l’energia marina, la tutela ambientale, compresa la prevenzione e la lotta nei confronti dell’inquinamento marino, i trasporti e l’accessibilità, la ricerca e l’innovazione ed altro ancora. Ciononostante nutriamo seri dubbi e siamo in forte disaccordo su alcuni punti della risoluzione, motivo per cui non abbiamo espresso voto favorevole. La risoluzione non tutela il principio secondo cui per essere efficaci le nuove risorse, soprattutto quelle di natura finanziaria, devono essere all’altezza dei nuovi obiettivi della politica di coesione. La risoluzione propone anche che la strategia venga subordinata alla politica estera dell’Unione europea, agli obiettivi della politica commerciale internazionale, alla strategia Europa 2020 e al raggiungimento degli “obiettivi del mercato interno”.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) È importante continuare a sviluppare strategie tese alla coesione economica, sociale e territoriale di determinate macroregioni, che ovviamente bisognerebbe dotare degli strumenti necessari per garantire una coesione totale ed efficace. Ogni fase di queste strategie – preparazione, formulazione e applicazione – deve coinvolgere attivamente i paesi e le regioni del relativo ambito geografico, e basarsi sulla cooperazione tra questi paesi e regioni. Tali strategie possono e devono affrontare temi di interesse comune. Per la strategia europea per la regione atlantica essi sono: l’energia marina, la tutela ambientale, compresa la prevenzione e la lotta nei confronti dell’inquinamento marino, i trasporti e l’accessibilità, la ricerca e l’innovazione ed altro ancora. Ciononostante nutriamo seri dubbi e siamo in forte disaccordo su alcuni punti della risoluzione, motivo per cui non abbiamo espresso voto favorevole.
La risoluzione non tutela il principio secondo cui per essere efficaci le nuove risorse, soprattutto quelle di natura finanziaria, devono essere all’altezza dei nuovi obiettivi della politica di coesione. Questo significa che si saranno molte promesse ma pochi fatti, oltre al fatto che la strategia è subordinata agli obiettivi della politica commerciale internazionale, alla strategia Europa 2020 e al raggiungimento degli “obiettivi del mercato interno”.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) Sostengo con decisione le misure adottate a livello europeo per elaborare una strategia integrata per la regione atlantica. La strategia atlantica deve concentrarsi sulla promozione dello sviluppo economico delle isole dell’Atlantico e della sua regione costiera.
La regione atlantica è una delle più ricche a livello di vento, onde ed energia mareomotrice, ma non sfrutta abbastanza il suo potenziale energetico. Anche le attività di questa regione costiera legate al turismo e al tempo libero rappresentano una preziosa risorsa economica. Esiste un vero potenziale di crescita in questo senso, ad esempio con lo sviluppo di porticcioli turistici strategici in ogni paese.
I trasporti marittimi, i porti e il settore ittico, acquacoltura compresa, sarebbero particolarmente avvantaggiati da una più stretta collaborazione tra gli Stati membri che si affacciano sull’Atlantico. Qualunque strategia per l’Atlantico deve rispettare le disposizioni della politica comune della pesca. Nel corso degli anni si è registrato un miglioramento della cooperazione tra Stati membri sui temi della sicurezza e della sorveglianza marittima.
Essendo la zona dell’Arco atlantico così vasta bisogna però attuare una strategia integrata per garantire attività migliori e più efficaci coordinate dagli Stati membri.
Estelle Grelier (S&D), per iscritto. – (FR) L’adozione di una risoluzione del Parlamento sul progetto di strategia per la regione atlantica è per me l’occasione di ricordare l’urgente necessità di operare a livello comunitario per un approccio comune sull’utilizzo degli spazi marittimi e trovare una soluzione congiunta ai problemi esistenti. L’esempio della Manica è particolarmente illuminante in tal senso: accesso marittimo strategico all’Unione europea, è contemporaneamente passaggio fondamentale tra Oceano Atlantico e Mare del Nord (con il 20 per cento della flotta mondiale e più di 500 navi superiori alle 300 tonnellate che navigano al giorno) e zona votata alla pesca, alla nautica da diporto, all’estrazione di granulati e ben presto – con mia grande soddisfazione – alla produzione di energia grazie agli impianti eolici in mare. Questa concentrazione di attività obbliga a considerare seriamente a livello comunitario la gestione della sicurezza marittima nella zona nel quadro di una strategia congiunta. Per questo motivo, durante il dibattito sulla strategia per la regione atlantica ho fatto nuovamente appello al Commissario Damanaki, responsabile degli affari marittimi e la pesca, affinché includa la Manica nella proposta che dovrà presentare nel mese di giugno.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questo documento perché, come sappiamo, la regione atlantica ha caratteristiche a sé specifiche, ovvero è una zona marittima dinamica (grazie al trasporto marittimo, alla pesca, all’energia marina eccetera), una zona il cui fragile ambiente deve essere preservato e che è soggetta alle conseguenze del cambiamento climatico, ed è anche una zona periferica all’interno dell’Unione europea, con problemi di accessibilità e di connettività e con un basso numero di importanti centri cittadini. Occorre dare, quanto prima possibile, forma alla strategia dell’Unione europea per la regione atlantica come una strategia integrata che affronti questioni marittime e territoriali. Tale strategia dovrebbe attuare un miglior coordinamento di obiettivi e mezzi, con forti legami con la strategia UE 2020 e con le politiche dell’Unione europea per il periodo successivo al 2013; essa mira a migliorare l’impiego dei fondi dell’UE, senza aumentare la spesa. Questa strategia deve essere ben collegata alla politica regionale dell’UE e alla politica marittima integrata; credo che essa dovrebbe anche facilitare le sinergie con altre politiche comunitarie, quali le reti transeuropee dei trasporti, la politica comune della pesca, le azioni in materia di clima e ambiente, il programma quadro di ricerca e sviluppo, la politica energetica, eccetera. È importante migliorare l’accessibilità nelle regioni marittime dell’Atlantico e aumentare la circolazione delle persone, dei beni e dei servizi in queste regioni, al fine di raggiungere gli obiettivi del mercato interno e l’obiettivo della politica di coesione, in particolare attraverso lo sviluppo del trasporto marittimo a corto raggio e delle autostrade del mare.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione sulla strategia europea per la regione atlantica secondo cui questa strategia dovrebbe essere inserita nell’obiettivo della coesione politica di cooperazione territoriale (obiettivo 3) ed essere basata su un approccio integrato, trasversale e territoriale, al fine di meglio coordinare le politiche tra i diversi livelli di governance su un dato territorio, con particolare attenzione alle questioni pertinenti; ed è convinta che la cooperazione territoriale europea possa contribuire ampiamente all’intensificazione del processo di integrazione all’interno della regione atlantica attraverso una maggiore partecipazione della società civile al processo decisionale e all’attuazione di azioni concrete.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La regione atlantica ha caratteristiche a sé specifiche essendo una zona marittima dinamica di cui evidenzio il trasporto marittimo, la pesca e l’energia marina. È una zona con un ambiente fragile che deve essere preservato, soggetto all’erosione delle coste e a fenomeni atmosferici estremi, ed è una zona periferica. Per questo è necessaria una strategia europea integrata che affronti questioni marittime e territoriali. Ecco il motivo per cui ho dato il mio voto.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Ho votato a favore di questa risoluzione che chiede all’Unione di elaborare una strategia europea per la regione atlantica. La cooperazione territoriale europea può contribuire ampiamente all’intensificazione del processo di integrazione all’interno della regione atlantica attraverso una maggiore partecipazione della società civile al processo decisionale e all’attuazione di azioni concrete. Nel testo si chiede all’Unione europea che la strategia affronti questioni marittime e territoriali. Inoltre il documento insiste sul fatto che la cooperazione nel quadro di questa strategia dovrebbe, in primo luogo, essere basata sulle esigenze delle parti interessate ed è quindi del parere che le priorità politiche affrontate debbano essere decise attraverso un consenso.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (EN) Tenendo conto delle specificità della regione atlantica il Parlamento chiede alla Commissione di agire il prima possibile per elaborare la strategia dell’Unione europea per la regione atlantica come strategia integrata che affronti questioni marittime e territoriali. Pur ritenendo che essa debba sviluppare sinergie tra le pertinenti politiche dell’UE, nazionali, regionali e locali, il Parlamento invita la Commissione e gli Stati membri a istituire norme semplificate per facilitare l’attuazione di questa strategia e ridurre gli oneri amministrativi inerenti. Non credo che sia possibile, perché non sono ancora state trovate misure efficienti per influenzare la Commissione. Ho l’impressione che la Commissione non abbia ancora iniziato a cambiare le priorità con il trattato di Lisbona, e con il Parlamento stia usando una retorica lunga e ingiustificata per sfruttare appieno le opportunità. Non agisce nell’interesse generale, ed è deleterio per l’intera situazione. Ho appoggiato la relazione, anche se rimango della stessa idea.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Cinque Stati membri dell’Unione europea si affacciano sull’Atlantico. Francia, Portogallo e Spagna certamente non si limitano a vedere i vantaggi di questa posizione geografica, perché l’Atlantico svolge un ruolo non insignificante per le ondate di profughi che ora rischiano di aumentare a causa delle crisi nei paesi nordafricani. I trafficanti di esseri umani sfruttano il più possibile la rotta atlantica da quando è stato eretto un muro al confine spagnolo nel 2005. Per impedire un’ondata di migranti prevalentemente economici, l’Unione europea farebbe bene a sviluppare velocemente un’efficace strategia atlantica che tenga conto anche di questo aspetto, anche se gli altri due Stati dell’Atlantico – Regno Unito e Repubblica d’Irlanda – non sono minimamente toccati da questo. Poiché la risoluzione tiene in minimo conto questo aspetto mi sono astenuto dalla votazione.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Nella votazione odierna il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione sulla strategia europea per la regione atlantica. La strategia è un’ennesima iniziativa europea che non si concentrerà sulla soluzione dei problemi di un unico paese ma dell’intera regione atlantica, che comprende fino a cinque Stati membri.
È importante attirare l’attenzione sul fatto che la strategia dovrebbe essere caratterizzata da un approccio dal basso. La posizione geostrategica della regione permette lo sviluppo della cooperazione nei settori della sicurezza marittima, del commercio internazionale e della pesca, oltre alla tutela dell’ambiente marino e la conservazione della biodiversità.
Credo sia necessario chiedere alla Commissione europea quali risorse saranno destinate al perseguimento della strategia, perché questo è particolarmente importante per la definizione del nuovo quadro finanziario. A mio avviso un altro punto importante è il processo di attuazione della strategia e l’eventuale necessità di creare altri strumenti finanziari.
Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. – (LT) Concordo con la risoluzione sulla strategia europea per la regione atlantica, che contribuirà allo sviluppo sostenibile della regione. Inoltre permetterà di procedere verso l’attuazione di un obiettivo dell’Unione europea, la coesione territoriale. Data la posizione geostrategica, la Commissione deve agire immediatamente e sviluppare una strategia integrata per questa regione, rafforzando le iniziative di cooperazione internazionale e di cooperazione triangolare, e affrontando le questioni marittime e territoriali. Si attira l’attenzione sul fatto che un’efficace cooperazione territoriale promuoverà lo sviluppo dell’energia marina e creerà un contesto favorevole all’utilizzo delle reti dei trasporti e dell’energia e delle interconnessioni. Per raggiungere gli obiettivi definiti la strategia deve essere ben collegata alla politica regionale dell’UE e alla politica marittima integrata. Solo così sarà possibile garantire le sinergie con altre politiche comunitarie e creare le condizioni per un impiego e utilizzo più mirati ed efficaci dei fondi stanziati dall’Unione, senza aumentare la spesa. Inoltre, l’adozione di questa strategia migliorerà l’accessibilità alle regioni marittime dell’Atlantico, e aumenterà la circolazione delle persone, dei beni e dei servizi.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La proposta di risoluzione sulla strategia dell’Unione europea nella regione atlantica segue la richiesta fatta dal Consiglio europeo alla Commissione di sviluppare una strategia integrata che affronti questioni marittime e territoriali nell’Atlantico. Ho votato a favore della risoluzione per sollecitare la Commissione europea a preparare e riferire sui negoziati per la strategia prevista entro Giugno. L’obiettivo è di attuare un miglior coordinamento nella regione su temi come la politica marittima integrata, le reti transeuropee dei trasporti, la pesca, i progetti sul clima e l’ambiente, ricerca e sviluppo, aumentare la circolazione delle persone, dei beni e dei servizi nelle regioni, al fine di raggiungere l’obiettivo della politica di coesione, facendo in modo che il tutto coincida con gli obiettivi della strategia UE 2020 e con le politiche dell’Unione europea per il periodo successivo al 2013.
Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché essendo il Portogallo un paese atlantico, con una zona marittima dinamica e un grande potenziale ma con un ambiente fragile che deve essere preservato, ritengo sia una cosa positiva che l’Unione riconosca il potenziale della regione atlantica. Credo inoltre che molti problemi di questo ampio spazio debbano trovare risposta a livello europeo attraverso una strategia integrata dell’Unione per la regione, con la prospettiva di una politica di coesione territoriale che deve costituire il quadro essenziale in cui si inseriscono le scelte comunitarie. Le decisioni dell’Unione, però, sono state totalmente assenti e completamente sacrificate a causa delle inaccettabili costrizioni di bilancio motivate da scelte politiche di austerità che non favoriscono lo sviluppo.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Data la particolare posizione geostrategica del Portogallo questo tema riveste grande importanza, soprattutto nei settori della sicurezza e della sorveglianza marittima. Ritengo quindi molto pertinente la definizione di una strategia dell’Unione europea per l’Atlantico.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Come la risoluzione sulla strategia dell’Unione europea per la regione del Danubio adottata lo scorso mese dal Parlamento europeo, questa proposta di risoluzione sottolinea che il principale valore aggiunto delle strategie macroregionali dell’UE si registra nella cooperazione a più livelli, nel coordinamento e in un migliore investimento strategico dei finanziamenti disponibili, e non in una ulteriore distribuzione delle risorse. La proposta di risoluzione evidenzia le conclusioni della Presidenza svedese relative a nessuna nuova istituzione, nessuna nuova legislazione e nessun nuovo bilancio.
Inoltre, la commissione REGI ha voluto che questa strategia operasse secondo un approccio dal basso e coinvolgesse tutte le parti interessate (autorità pubbliche regionali e locali, gli Stati membri, l’Unione europea, i soggetti privati e le organizzazioni della società civile, comprese le reti e le organizzazioni interregionali interessate) nella sua progettazione e attuazione. Il gruppo Verde/Alleanza libera europea ha proposto emendamenti sullo sviluppo dell’energia, la prevenzione e la lotta nei confronti dell’inquinamento marino ad opera delle navi, e lo sviluppo del trasporto marittimo a corto raggio e delle autostrade del mare, che sono stati tutti approvati.
Antolín Sánchez Presedo (S&D), per iscritto. – (ES) Come galiziano e cosignatario della presente iniziativa, sostengo una strategia ambiziosa per la regione atlantica. Chiedo alla Commissione di presentare una proposta prima di giugno 2011 che dia priorità alla crescita e alla creazione di posti di lavoro sostenibili in linea con la strategia Europa 2020. Poiché la macroregione ha uno spazio marittimo, fragile e periferico, la strategia richiede un approccio integrato, trasversale e territoriale che tuteli l’ambiente, favorisca l’accessibilità, la mobilità e la connettività e dia un impulso alla coesione in tutte le sue dimensioni.
La strategia deve altresì facilitare le sinergie tra le varie politiche comunitarie, ad esempio per quanto riguarda il turismo, le autostrade del mare e le reti transeuropee dei trasporti, la politica comune della pesca, la politica energetica e l’energia marina in particolare, le misure per il cambiamento climatico, il programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico, il multilinguismo e, in generale, tutte le politiche attuate a partire dal 2014 – e tra tutte le politiche pertinenti sviluppate in materia dalle varie autorità responsabili. Il piano deve essere elaborato, adottato e attuato con trasparenza e lealtà, mediante la cooperazione di tutte le istituzioni pubbliche e il coinvolgimento del settore privato e le organizzazioni della società civile.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Con la vasta area che ricopre, la costa atlantica europea ha grandi potenzialità e molte caratteristiche specifiche. La regione atlantica offre un’attività marittima importante e dinamica, con un nucleo costituito da regioni molto diverse le une dalle altre che, però, hanno la caratteristica comune di dipendere dalle attività dei bacini marittimi di questo oceano. Ci sono regioni remote dell’Atlantico di difficile accesso, molto distanti dall’Europa continentale. Parlo, nello specifico, delle regioni ultraperiferiche dell’Unione europea, i cui problemi di connettività e accessibilità si riflettono nello sviluppo economico e sociale. È tuttavia anche importante ricordare che queste regioni hanno vantaggi incomparabili rispetto ad altre regioni europee. Vincoli permanenti a parte, le loro caratteristiche offrono potenzialità da tenere in considerazione in una prospettiva integrata della regione atlantica.
L’obiettivo della coesione territoriale permette, o meglio costringe a uno sviluppo armonioso di tutte le regioni dell’UE, tenendo conto delle particolarità di ognuna. Spero quindi che le regioni ultraperiferiche della Macaronesia, compresa Madeira da cui provengo, siano tenute in debito conto in una futura strategia per l’Atlantico, e che un approccio integrato possa superare le principali difficoltà e le sfide che conoscono queste regioni.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Approvo la presente risoluzione perché sono convinto che l’adesione della Turchia all’Unione europea risponda agli interessi strategici del paese e dell’Unione, ma questo richiederà alla Turchia di impegnarsi più a fondo nei processi di riforma per soddisfare i criteri di adesione, in particolare nei settori della libertà di stampa, di associazione e di riunione, nell’impegno a creare un sistema giudiziario più rapido, più indipendente e più giusto che cooperi efficacemente nella lotta al terrorismo, e nella lotta a favore dei diritti della donna e dei diritti umani in generale. Inoltre, il ritiro delle forze turche da Cipro rappresenta una condizione essenziale per la creazione di un clima di buon vicinato.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione sulla relazione 2010 sui progressi compiuti dalla Turchia. Con il via dei negoziati di adesione all’Unione europea la Turchia si è impegnata a intraprendere riforme, a intrattenere relazioni di buon vicinato e ad allinearsi progressivamente alle posizioni dell’Unione europea. Appare però evidente che i progressi della Turchia sono troppo lenti, dimostrando la riluttanza dei rappresentanti di governo del paese ad attuare le riforme e a democratizzare il paese. Il Parlamento europeo esprime forte preoccupazione per il deterioramento della libertà di stampa, per alcuni atti di censura e per il diffondersi di una crescente autocensura tra i mezzi di comunicazione turchi, nonché su Internet. Condanniamo le limitazioni alla libertà di riunione e, in particolare, la violenta repressione della polizia nei confronti delle manifestazioni studentesche tenutesi all’Università di Ankara nel dicembre 2010. Il Parlamento europeo esprime altresì preoccupazione per i procedimenti giudiziari contro i difensori dei diritti umani in Turchia. Questa è solo parte delle violazioni ai diritti umani in un paese che intende diventare Stato membro dell’UE. È chiaro che l’attuale situazione dei diritti umani in Turchia è complicata, forse quasi contraria ai valori e alle politiche dell’Unione. In tale contesto i negoziati di adesione si avviano verso un’impasse. Per questo credo che le autorità turche debbano subito adottare rigorose riforme in tutti i settori di governo o considerare l’eventualità di diventare non uno Stato membro bensì un partner strategico.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione del Parlamento europeo e la corrispondente proposta di risoluzione adottata in plenaria illustrano le lotte intestine di stampo imperialistico nell’Unione europea e il conflitto che contraddistingue le relazioni politiche ed economiche e gli obiettivi definiti insieme alla borghesia turca. Questi temi riguardano lo sfruttamento del popolo nel paese, il perseguimento di più ampi interessi imperialistici nel controllo delle risorse che producono ricchezza, e lo sfruttamento dei popoli in Medio Oriente, nel Nord Africa e in tutta la regione. Sullo sfondo di un inasprimento della crisi capitalista e dell’aggressione imperialista, il Parlamento europeo ha nascosto la politica assolutamente contraria agli interessi della base portata avanti dal governo turco e l’attacco ai diritti sociali e alle libertà di base dei lavoratori nel paese. Il governo turco continua a considerare terroristi chi alla base protesta contro le violazioni dei diritti del popolo curdo. Il Parlamento europeo tollera l’intransigenza e l’aggressione turca perpetrata contro la Repubblica di Cipro. Ha votato contro le proposte e gli emendamenti sulla Repubblica di Cipro e i suoi diritti giuridici nella zona. Il partito comunista greco è totalmente contrario all’adesione della Turchia all’Unione europea, perché lotta contro questa organizzazione imperialista. Gli eurodeputati del partito comunista greco hanno votato contro la relazione sulla Turchia perché la sua adesione non può che comportare sacrifici per i lavoratori.
Pino Arlacchi (S&D), per iscritto. – (EN) Il mio intervento vuole giustificare la mia astensione sulla risoluzione riguardante la Turchia. Mi sono astenuto perché il documento manca di ispirazione positiva e non capisce con chiarezza alcuni aspetti fondamentali del recente intervento del governo turco. In questa risoluzione è presente un atteggiamento troppo paternalista verso un grande paese che non merita questo trattamento.
Troppe richieste vengono rivolte alla Turchia, con troppi dettagli e troppi standard irrealistici da soddisfare. Se gli stessi standard fossero applicati agli Stati membri dell’UE, molti non avrebbero diritto all’adesione. Spero che questo atteggiamento nei confronti della Turchia cambi nel tempo, e spero che l’Assemblea dia prova di maggiore impegno nell’obiettivo di accogliere presto tra noi la Turchia.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione. La Turchia si è impegnata a intraprendere riforme, a intrattenere relazioni di buon vicinato e ad allinearsi progressivamente alle posizioni dell’Unione europea. Tali impegni e sforzi andrebbero considerati come un’opportunità di modernizzazione per la stessa Turchia, visto il sostegno dei cittadini e della società civile turca a favore di una maggiore democratizzazione del paese e il loro impegno per una società aperta e pluralistica. Nonostante i progressi compiuti in alcuni settori, la situazione in Turchia rimane piuttosto complicata. Finora il paese ha compiuto progressi piuttosto lenti in materia di riforme. Lo scontro in corso tra i partiti politici e per la mancanza di volontà del governo e dell’opposizione di lavorare verso un consenso sulle riforme chiave dimostra che non c’è un impatto visibile, e in alcuni campi la situazione è in via di peggioramento, soprattutto per quanto riguarda la libertà di stampa. Il governo turco si è impegnato a intraprendere riforme di ampio respiro allo scopo di modernizzare il paese, e deve quindi potenziare gli sforzi per istituire uno Stato democratico, che deve fondarsi sul principio della separazione dei poteri e sull’equilibrio tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario, nonché sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Per il quinto anno consecutivo la Turchia non ottempera alle richieste dell’Europa. Sono in crescita fenomeni di fondamentalismo che il governo non combatte, vista la sua politica nazionalistico-islamista.
Le condizioni delle minoranze religiose cristiane e della donna sono in netto peggioramento da anni. La Turchia quindi non vuole adeguarsi agli standard delle democrazie occidentali, ha intrapreso un percorso di re-islamizzazione che la porterà sempre più lontana dall’adesione. Un paese che mira ad assumere un ruolo di guida del mondo arabo-musulmano attraverso una politica estera aggressiva verso l’occidente e Israele è un paese che rivela da solo le ragioni che il mio Movimento da tempo oppone a chi vorrebbe una Turchia paese membro.
Se da una parte sottolinea molti aspetti problematici emersi negli ultimi anni, la relazione d’altra parte plaude ai "progressi" compiuti in alcuni campi dal governo turco. Di fondo, la relazione tiene apertissime le porte dell’Europa ad Ankara e per questo il mio voto è contrario. La Turchia non è Europa, non lo sarà mai né culturalmente né politicamente, e i passi indietro compiuti dalla Turchia dovrebbero convincere anche i più entusiasti a desistere dall’idea che questo paese debba unirsi al progetto europeo.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Il Parlamento europeo deve continuare a incoraggiare gli Stati che desiderano diventare membri dell’Unione europea, perché solo promovendo il cambiamento democratico e punendo con rapidità gli abusi e l’inettitudine questi paesi potranno allinearsi agli standard democratici ed economici condivisi dagli Stati membri. È quindi naturale rallegrarsi dei primi passi mossi verso la riforma costituzionale in Turchia, che tuttavia evidenzia la necessità di riforme nel sistema globale. I problemi politici della Turchia, le sue relazioni con la Grecia, ancora tese e addirittura bloccate, il dialogo precario tra i partiti politici e l’erosione della libertà di stampa sono tutti motivi di rallentamento del ritmo dei negoziati di adesione. Probabilmente scopo immediato della Turchia è l’esenzione dall’obbligo del visto imposta dagli Stati membri ai cittadini turchi. In effetti, la conclusione dei negoziati sull’accordo di riammissione porterà a una migliore gestione della migrazione.
La Commissione deve dare il via al dialogo sui visti con la Turchia non appena entrerà in vigore l’accordo. L’Europa non può permettersi di avere uno Stato grande come la Turchia deluso per il modo in cui sono trattati i suoi cittadini. Probabilmente la Turchia si aspetta di essere più avvantaggiata dalla risoluzione del Parlamento. Comunque, il fatto che il Parlamento dica che il processo negoziale con l’Unione europea sia lungo e senza limiti di tempo non riflette la realtà delle cose.
Philippe de Villiers (EFD), per iscritto. – (FR) Gli Stati membri hanno ovviamente ogni interesse a mantenere buoni rapporti con la Turchia, ma ancora una volta l’Unione europea si è discreditata con questa relazione sui progressi ottenuti dalla Turchia verso l’adesione.
In primo luogo continua a non ascoltare il popolo europeo, preoccupato per questa prospettiva che porta a spendere indiscriminatamente centinaia di milioni di euro all’anno in assistenza alla preadesione, senza ottenere nulla in cambio.
In secondo luogo l’Unione riconosce, senza però imparare la lezione, che la Turchia sfida il diritto internazionale a Cipro e i diritti fondamentali a livello nazionale, disprezza i vicini armeni e greci, opprime le minoranze presenti sul suo territorio e non si degna neppure di onorare gli impegni presi con l’Unione.
Quando avremo il coraggio di uscire da questa trappola? I nostri leader torneranno alla realtà proponendo alla Turchia un partenariato invece dell’adesione?
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché credo che le riforme in Turchia, sebbene importanti, siano state lente. Vale la pena ricordare il recente emendamento al quadro giuridico che rafforza i diritti delle donne e contribuisce alla promozione della parità di genere, ma occorre fare ancora molto per invertire il basso tasso di occupazione femminile.
Göran Färm, Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog e Åsa Westlund (S&D), per iscritto. – (SV) Noi social democratici svedesi sosteniamo la richiesta alla Turchia di riconoscere il genocidio. Crediamo però sia importante che le critiche mosse al paese per il mancato riconoscimento del genocidio non vengano usate come arma dalle forze purtroppo xenofobe che vogliono escludere la Turchia dall’Unione europea a qualsiasi costo. Crediamo sia importante continuare i negoziati di adesione con questo paese e fargli pressioni affinché si allinei ai criteri di Copenaghen, perché questo lo obbligherà al rispetto degli obblighi in materia di diritti dell’uomo e ad adottare un atteggiamento più progressista verso le minoranze come i curdi, gli armeni, gli assiri e i siriani, che a nostro avviso forse sarebbero le persone più avvantaggiate dall’adesione turca all’UE, un’Unione realmente democratica e pronta ad accettare la diversità. Pertanto ci siamo astenuti dal votare l’emendamento n. 38.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Visto il vortice di instabilità che affligge il sud del Mediterraneo e l’intero mondo musulmano è evidente che, con tutte le sue imperfezioni, il regime turco è riuscito a evolvere in maniera più pacifica e ordinata, e ha cercato di convergere e integrarsi con l’Unione europea adottandone le norme e le migliori pratiche. Oggi la Turchia è una potenza regionale cui l’Unione europea deve prestare particolare attenzione, essendo cruciale il legame tra le due. Detto questo, bisogna riconoscere che la Turchia non soddisfa ancora tutti i criteri obiettivi che le permetterebbero di aspirare a essere membro a pieno titolo dell’Unione, e che ci vorrà del tempo prima che le recenti riforme intraprese diano i risultati voluti. Spero che la Turchia continui con successo lo sforzo di democratizzazione e che il futuro rapporto con l’Unione diventi più saldo e più profondo a reciproco vantaggio, indipendentemente dalla forma che assumerà.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) I negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea iniziarono nell’ottobre 2005, e questo processo è ancora in corso e ben lungi dal raggiungere un risultato nel prossimo futuro. L’Unione europea, interessata a perseguire una politica di buon vicinato, vede di buon occhio questa integrazione poiché considera la Turchia come un partner strategico. Cionondimeno alcuni problemi impediscono l’avanzamento di questo processo. Il primo di questi è la mancanza di rispetto per i diritti fondamentali nella libertà di stampa, nel rispetto delle minoranze e nello stato di diritto. L’Unione europea la considera una situazione inaccettabile, ancor più aggravata dall’occupazione di un’ampia zona del territorio di Cipro. La Turchia deve quindi dar prova di trovarsi in un processo di cambiamento, soprattutto applicando la legislazione emendata nel 2007 e rispettando in toto gli impegni assunti nei confronti dell’UE. Voto a favore di questa relazione nella speranza che il governo turco adotti il prima possibile le raccomandazioni approvate, cosicché possa beneficiarne il popolo turco.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La Turchia occupa militarmente parte di uno Stato membro dell’UE: la Repubblica di Cipro. Nonostante gli sforzi del governo cipriota di risolvere il problema e le ripetute dimostrazioni di buona volontà per giungere a un’equa soluzione, le autorità turche non danno segno di voler fare altrettanto. Al contrario, portano avanti una politica di violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, e di occupazione e colonizzazione della parte settentrionale dell’isola. Questo dovrebbe essere un punto centrale di questa risoluzione, ma il documento si compiace del protrarsi della situazione. In più non dice nulla sulla repressione dei lavoratori, dei sindacalisti e delle forze di sinistra in Turchia, e neppure sulla minoranza curda. Chi ha approvato questa risoluzione si preoccupa più che altro di esortare la Turchia a “sostenere e contribuire attivamente all’attuazione delle politiche e delle iniziative dell’UE nella regione”, soprattutto nel settore energetico, evidenziandone il “costruttivo impegno” nelle operazioni NATO in Afghanistan e nei Balcani, insieme al riallacciamento degli “stretti legami con Israele”. Queste considerazioni ben spiegano il senso e il significato profondo dei processi di allargamento dell’UE che, nel caso specifico della Turchia, sono legati all’imposizione dei desideri delle potenze europee e agli interessi che perseguono.
Carlo Fidanza (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, accolgo con favore la relazione della collega olandese del PPE Ruijten. Il testo è molto equilibrato, pone l’accento su alcune criticità non ancora superate nel percorso di avvicinamento della Turchia all’UE Occorre altresì ricordare come, oltre alla mai risolta questione del genocidio degli armeni, penda in capo alle autorità turche la responsabilità dell’occupazione di una parte dell’isola di Cipro e del contenzioso con la Repubblica di Cipro, Stato membro dell’Unione dal 2004.
Altro punto fondamentale è quello del dialogo interreligioso con le varie comunità, inclusa quella cristiana, in particolare la possibilità per tali comunità di ottenere personalità giuridica per aprire e gestire centri di culto. Ritengo che sia giunto il momento di uscire dall’ipocrisia e smetterla di porre continui paletti ai turchi sapendo già in partenza che si tratta di ostacoli difficilmente superabili. La Turchia non è Europa, culturalmente e geograficamente; ma con l’Europa intrattiene fittissime relazioni commerciali. Per queste ragioni ritengo più utile e opportuno creare un partenariato commerciale privilegiato, senza insistere sulla strada lenta e tortuosa dell’adesione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Come abbiamo sottolineato sono molte le questioni sollevate dai negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea. Si tratta di un processo promosso dalle grandi potenze dell’UE, non esente da contraddizioni, poiché gli obiettivi prevedono l’integrazione di questo grande paese nel mercato unico dell’Unione, il controllo della sua economia e lo sfruttamento della sua posizione geostrategica in relazione al Medio Oriente, al Caucaso e all’Asia centrale, soprattutto per l’accesso e il controllo delle fonti di energia e dei mercati di queste regioni.
Inoltre, la risoluzione dà delucidazioni su questo punto, esortando la Turchia a “sostenere e contribuire attivamente all’attuazione delle politiche e delle iniziative dell’UE nella regione”, soprattutto nel settore energetico, evidenziandone il “costruttivo impegno” nelle operazioni NATO in Afghanistan e nei Balcani, insieme al riallacciamento degli “stretti legami con Israele”.
La risoluzione ignora la repressione dei lavoratori, dei sindacalisti e delle forze di sinistra in Turchia, e del popolo turco. Riguardo a Cipro, la maggioranza del Parlamento mantiene la solita ambiguità anche se non si capisce il perché, dal momento che la Turchia non ha mosso un passo per riconoscere Cipro, Stato membro dell’UE, ma continua l’occupazione militare del nord dell’isola, insediandovi cittadini turchi per modificare l’equilibrio demografico violando le risoluzioni ONU.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) I grandi gruppi non hanno avuto il coraggio, in commissione, di difendere le proprie scelte politiche sull’adesione della Turchia all’Unione europea. Per evitare di parlare di membro a pieno titolo dell’Unione, nel caso della sinistra, o di partenariato privilegiato, nel caso della cosiddetta destra, hanno fatto un compromesso. Hanno deciso per la solita formula priva di significato del processo “senza limiti di tempo”, ovvero un processo dalla fine incerta. Chi però vuole portare avanti negoziati senza obiettivi chiaramente definiti? Si prendono in giro i cittadini europei, che si oppongono in massa a questa adesione e che i governi, come questo Parlamento, si rifiutano di ascoltare. Il Parlamento, che ogni anno deplora il fatto che la Turchia non onori i propri impegni, che le riforme nel paese sono lente, che le condizioni delle donne e delle minoranze cristiane stanno peggiorando, che il paese è in conflitto con uno Stato membro…
E che non riesce assolutamente a trarne nessun insegnamento! Ci si prende gioco anche della Turchia e del suo popolo con conseguenze diplomatiche disastrose, come recentemente abbiamo visto con la visita del Primo ministro Erdogan in Germania e la visita del Presidente Sarkozy in Turchia. Neppure Nicolas Sarkozy ha il coraggio delle sue presunte opinioni: è a favore di un partenariato e non dell’adesione? Allora che lo dica chiaramente, e agisca di conseguenza.
Catherine Grèze (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Sono favorevole ai negoziati di adesione e all’entrata della Turchia nell’Unione europea, ma solo a condizione che vengano rispettati i diritti umani e la democrazia. Ho dunque votato per l’emendamento che propone il riconoscimento del genocidio armeno, atto storico fondamentale e presupposto per l’adesione della Turchia all’Unione.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questo documento perché i negoziati di adesione con la Turchia sono stati avviati il 3 ottobre 2005, dopo l’approvazione del quadro negoziale da parte del Consiglio, e perché l’apertura di tali negoziati ha costituito il punto di partenza di un processo di lunga durata e senza limiti di tempo. La Turchia si è impegnata a intraprendere riforme, a intrattenere relazioni di buon vicinato e ad allinearsi progressivamente alle posizioni dell’Unione europea, e tali sforzi andrebbero considerati come un’opportunità di modernizzazione per la stessa Turchia. La piena osservanza di tutti i criteri di Copenaghen, conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2006, rimane la base per l’adesione all’Unione europea, che è una comunità fondata su valori condivisi. A mio avviso i principali aspetti e le priorità di questa integrazione sono instaurare relazioni di buon vicinato, approfondire la cooperazione UE-Turchia, migliorare la coesione sociale e la prosperità e garantire la conformità con i criteri di Copenaghen.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. – (FI) La Turchia ha aspirato all’adesione dell’Unione europea sin dagli anni Sessanta, ma di fatto i negoziati di adesione hanno ora subito una battuta d’arresto. La Turchia deve guardarsi allo specchio: non ha applicato il protocollo di Ankara né riconosciuto Cipro. Inoltre, prima di poter aderire all’Unione il paese deve introdurre riforme civili e nei diritti umani, tra cui la libertà di culto e il riconoscimento dei diritti della donna. Questi sono dati di fatto. Anche l’Unione però deve guardarsi allo specchio, perché in essa vi è una forte opposizione alla Turchia basata su pregiudizi e sulla paura della differenza. I grandi Stati membri come Germania e Francia hanno timore della Turchia, un paese grande e influente. La situazione in Nord Africa ha ancora una volta dimostrato che la Turchia è un attore capace in politica estera: di fatto è più capace dell’Unione europea e dei singoli Stati membri.
Dagli anni Novanta in poi la Turchia ha instaurato relazioni di buon vicinato e promosso stabilità nella regione ai confini con l’Europa, il Caucaso meridionale, l’Asia centrale e il Medio Oriente. I giovani nordafricani così impazienti di vedere le riforme guardano alla Turchia. Il paese è un forte attore economico. A differenza dell’economia europea quella turca è dinamica e in crescita, nonostante la crisi economica e la recessione che ha colpito l’Europa e il resto del mondo. Non si possono ignorare queste cose.
Sandra Kalniete (PPE), per iscritto. – (LV) Oggi, mentre con fiato sospeso e speranza osserviamo le rivoluzioni che hanno sopraffatto alcuni paesi arabi, sono sempre più convinta che l’adesione della Turchia all’Unione europea sia una necessità strategica geopolitica. La Turchia è uno Stato islamico democratico, che può essere un esempio da seguire per altri paesi arabi che desiderano instaurare un sistema di governo democratico fondato sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti dell’uomo, mantenendo al contempo i propri valori religiosi. Mi preoccupa il fatto che stiamo lanciando il segnale sbagliato ai cittadini turchi e rafforzando l’influenza delle forze fondamentaliste islamiche e antieuropeiste. Si deve riconoscere che in questo modo facciamo gli interessi di chi non vuole vedere l’Unione europea come l’attore più importante sulla scena mondiale. Dobbiamo affrontare la realtà e ammettere che in questo momento l’Europa non può competere con paesi come la Cina, l’India e il Brasile a livello di sviluppo economico. L’entrata della Turchia nell’Unione ci renderebbe più grandi ed economicamente più potenti.
Bisogna poi riconoscere l’importanza geopolitica della Turchia in termini di stabilità. So per esperienza della Lettonia che i negoziati di adesione rappresentano uno strumento importante per incoraggiare le riforme, motivo per cui è essenziale che l’UE apra i negoziati su nuovi capitoli con la Turchia. È comprensibile il desiderio del paese di dare il via a trattative con l’Unione per l’introduzione di un regime di esenzione dal visto. Il governo turco ha fatto grandi passi avanti: ecco perché sottolineo che le critiche mosse nelle relazioni UE sui progressi compiuti dalla Turchia dovrebbero essere accompagnate da una valutazione obiettiva dei risultati che ha raggiunto.
Ramona Nicole Mănescu (ALDE), per iscritto. – (RO) La Turchia ha registrato una straordinaria crescita economica, che in 10 anni le ha permesso di passare dal ventisettesimo al sedicesimo posto delle più importanti economie mondiali. È il settimo partner commerciale dell’Unione europea, mentre l’UE ne è il principale partner commerciale. Circa l’88 per cento degli investimenti diretti stranieri in Turchia proviene dagli Stati dell’Unione, a riprova della solidità dei nostri legami. Sul piano politico rappresenta un modello di stabilità e democrazia per gli Stati musulmani. Occorre dare una spinta ai negoziati con la Turchia. Credo ad esempio sia importante aprire il capitolo 15 dei negoziati sull’energia, anche per gli Stati membri. Non bisogna ignorare l’importanza strategica del paese per la sicurezza energetica dell’Unione in un momento in cui vogliamo diversificare le fonti di approvvigionamento, di cui il progetto del gasdotto Nabucco è un esempio significativo. Credo pertanto che la Turchia debba essere coinvolta in maniera sostanziale, anche prima dell’adesione, nei progetti comunitari sull’energia o nella cooperazione regionale nella zona del Mar Nero e del Mar Mediterraneo.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che loda i cittadini e la società civile turca per il loro sostegno a favore di una maggiore democratizzazione della Turchia e il loro impegno per una società aperta e pluralistica, ma prende atto della lentezza dei progressi della Turchia in materia di riforme e ricorda che il governo turco si è impegnato a intraprendere riforme di ampio respiro allo scopo di soddisfare i criteri di Copenaghen, nonché ai fini della propria modernizzazione; e, infine, invita il governo a intensificare i suoi sforzi al riguardo.
Kyriakos Mavronikolas (S&D), per iscritto. – (EL) Nell’ultimo anno non ci sono stati cambiamenti nell’atteggiamento della Turchia nei confronti dell’Unione europea e di Cipro. I colonizzatori turchi e le truppe di occupazione sono ancora sull’isola. È importante rilevare che nella Cipro occupata i ciprioti turchi organizzano dimostrazioni contro la Turchia per denunciare le difficoltà finanziarie in cui versano a causa della presenza del suo esercito di occupazione. In una dichiarazione rilasciata sulle dimostrazioni turco-cipriote, il Primo ministro turco Erdogan ha confermato che il paese ha invaso Cipro per difendere i propri interessi strategici.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Questa risoluzione dà lezioni di democrazia alla Turchia, lezioni fuori luogo. Appena due mesi fa il Parlamento salutava i negoziati tra la Commissione e il dittatore Colonnello Gheddafi. E che dire dell’integrazione tra l’Unione e la Turchia?
Quanto alla pretesa di attirare l’attenzione di un paese partner sulla necessità di separare i poteri quando questa Assemblea non li rivendica neppure all’interno dell’Unione, credo sia inaudita. Ma c’è di peggio: questo testo minaccia la Turchia di cessare i negoziati di adesione se il paese non ottempera immediatamente al dogma neoliberale dell’Unione, e le ricorda i criteri di Copenaghen. Chiunque abbia a cuore l’interesse generale dei popoli sa che prima di allargare questa Europa bisogna cambiarla. Mi oppongo a qualsiasi nuova adesione fino a quando non si porrà fine al dumping sociale, ma voterò contro questo testo arrogante.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’eventuale adesione della Turchia all’Unione europea continua a essere fonte di grandi riserve. L’occupazione permanente di parte di Cipro, il rifiuto di aprire porti e aeroporti nella regione, la violazione dei diritti delle minoranze politiche, religiose ed etniche, la discriminazione nei confronti della donna, l’esclusione dei partiti politici e la revoca delle leggi che limitano la giurisdizione dei tribunali militari sono alcuni esempi che lo dimostrano. Esistono altri problemi di fondo: gran parte della Turchia non è geograficamente in Europa, il paese ha un’identità islamica ben diversa dall’identità giudaico-cristiana dell’insieme dei paesi dell’Unione, e la laicità dello Stato è garantita solo dalla forza militare. La circolazione delle persone da quello che diventerebbe il paese più popolato dell’UE creerebbe grandi squilibri sul mercato del lavoro. Niente di tutto questo preclude il riconoscimento degli sforzi compiuti dalla Turchia negli ultimi anni per soddisfare certi criteri richiesti dall’Unione, così come ne riconosciamo il ruolo prezioso svolto in seno alla NATO. Sarebbe importante riflettere se non sarebbe meglio conferire alla Turchia status di partner privilegiato e preferenziale con l’UE, invece che creare false aspettative e speranze di adesione, cosa che i fatti e le circostanze difficilmente permetterebbero.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Sono a favore dell’adesione della Turchia all’Unione europea e saluto i progressi compiuti dal paese a vantaggio dei suoi cittadini. Al tempo stesso, però, bisogna segnalare che per potere diventare Stato membro la Turchia deve osservare i criteri di Copenaghen e gli obblighi nei confronti della stessa UE e degli Stati membri, come ogni altro paese candidato. È necessario che la Turchia rispetti il diritto internazionale, e deve fare molto di più per il problema curdo, il riconoscimento del genocidio armeno e la normalizzazione con i paesi confinanti. In tal senso, la Turchia deve ritirare le truppe di occupazione dalla Repubblica di Cipro.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Credo che l’adesione finale della Turchia sia di vitale importanza se l’Unione desidera rafforzare il proprio peso politico, strategico ed economico a livello internazionale. L’integrazione del paese in Europa andrà a vantaggio degli europei tanto quanto dei turchi.
Non bisogna dimenticare che la Turchia è una nazione di tradizione laica, potente e estremamente ricca di risorse umane. Rappresenta l’accesso ai mercati e alle rotte energetiche dell’Asia e del Medio Oriente. Inoltre è totalmente affidabile all’interno della NATO. Alcuni sforzi intrapresi dalle autorità turche nel rispetto dei diritti dell’uomo meritano di essere ricordati. In tal senso, l’adozione di emendamenti alla costituzione rappresenta un passo verso gli standard democratici necessari all’adesione.
Ciononostante, la libertà di parola e più particolarmente la libertà di stampa rimangono fonte di preoccupazioni anche se le nuove leggi sulla radio e la televisione costituiscono progressi positivi. Analogamente, la risoluzione della questione cipriota è un requisito indispensabile per qualsiasi progresso nel processo di adesione.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (EN) L’adesione della Turchia all’Unione europea non sarà un interesse strategico dell’UE fino a quando il paese non ammetterà il genocidio degli armeni e non ritirerà le truppe da Cipro. Ho votato contro l’intera risoluzione e, singolarmente, contro molti punti deprecabili.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La relazione sullo stato di avanzamento dei negoziati di adesione della Turchia è stata, ancora una volta, fonte di grandi riflessioni. Ma date le circostanze cos’altro ci si poteva aspettare? La Turchia non è un paese europeo dal punto di vista geografico, culturale o storico, e per questi motivi ha un approccio diverso su molte questioni. Stando così le cose, rimango sempre sbalordito dal modo in cui l’Assemblea riesca a elaborare relazioni in materia così politicamente corrette e positive. Non è mai consentito dire la verità e, se possibile, bisogna evitare di essere chiari. È veramente giunta l’ora di dire tutta la verità sulla Turchia. Bisogna dire chiaramente ai turchi che sono nostri amici e partner in molti settori, ma che l’adesione all’Unione europea non è semplicemente possibile.
Chi è ragionevole in Turchia da tempo riconosce che l’adesione all’Unione europea non è per il paese l’obiettivo più conveniente. Vista la sua posizione e le molteplici connessioni con i popoli di origine turca del Caucaso e con gli arabi, la Turchia assume un’importante posizione strategica nel Medio Oriente. L’UE deve tenerne conto e riconoscerla come partner strategico importante al di fuori dei propri confini.
Claudio Morganti (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi chiedo come sia possibile che all’interno di questa relazione non trovino spazio alcune questioni essenziali che riguardano la Turchia, prima fra tutte la situazione drammatica di Cipro. Nella parte settentrionale dell’isola, sotto controllo turco, sono all’ordine del giorno sistematiche violazioni di elementari diritti, e la Turchia sta cercando di favorire un’ulteriore opera di insediamenti coloniali, che sicuramente non andranno nella direzione di favorire un auspicato processo di pacificazione.
Un altro punto fondamentale che mi lascia basito è che non sia stata adeguatamente sottolineata l’ostinata mancanza turca a riconoscere il genocidio perpetrato ai danni del popolo armeno il secolo scorso. Per questi ed altri motivi ho espresso il mio parere negativo alla relazione, come rimane fortemente e fermamente negativa la mia posizione riguardo ad un eventuale futuro accesso della Turchia nell’Unione europea.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) L’Unione europea ha bisogno della Turchia e la Turchia ha bisogno dell’Unione europea. È importante non solo per il commercio, i legami economici e gli investimenti. Quasi 100 anni fa la Turchia si è rivolta all’Europa e può e deve diventare un ponte che collega il nostro continente al mondo musulmano. Purtroppo bisogna riconoscere che i negoziati sull’adesione della Turchia all’UE hanno subito un rallentamento. L’Unione aspetta progressi, soprattutto in materia di tutela dei diritti dell’uomo, parità di genere e tutela della libertà di parola, libertà di stampa e libertà di culto. La normalizzazione dei rapporti con Cipro è un’altra questione importante. Il conflitto si deve risolvere in maniera favorevole sia alla Turchia sia a Cipro, ed è importante giungere a una soluzione pacifica.
Gli eventi in Nord Africa dimostrano l’importante contributo che può dare la Turchia, diffondendo la stabilità e i valori democratici. I popoli di Libia, Egitto e di altre nazioni arabe vedono la Turchia e l’Unione come un esempio da seguire. Ho votato a favore della relazione perché è equilibrata e riflette bene lo stato di avanzamento del paese nell’integrazione nell’UE nel 2010. Sono sempre stato d’accordo sull’adesione turca, ma il paese deve applicare il protocollo di Ankara e fare di più, soprattutto in materia di minoranze, donne, libertà di stampa e stato di diritto.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulla relazione 2010 sui progressi compiuti dalla Turchia. Il Rapporto annuale della Commissione mostra come la modernizzazione della Turchia verso un sistema democratico e pluralistico sia un processo lento e faticoso per il quale però governo, cittadini e società civile turca stanno lavorando. Lo scontro politico interno per le riforme non agevola una crescita verso gli standard europei ma dimostra come ci sia comunque un impegno per il cambiamento e la modernizzazione. I recenti avvenimenti nel Mediterraneo, dimostrano quanto sia importante valutare passo passo le riforme e la situazione, ed evitare semplicistiche prese di posizione.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sulla relazione 2010 sui progressi compiuti dalla Turchia. Tra le altre cose, contiene un importante invito al governo turco ad applicare gli accordi di riammissione bilaterali stipulati, in attesa dell’applicazione dell’accordo di riammissione tra Unione europea e Turchia. Questo invito assume ancora più importanza alla luce degli ultimi eventi in Nord Africa, che hanno posto la Grecia al centro dell’ondata di immigrazione. Questo è un periodo in cui, a prescindere da dove siamo e dalla nostra posizione, dobbiamo tenere presente i pericoli dell’immigrazione che potremmo dovere affrontare; non possiamo semplicemente farci da parte e metterci a guardare qualcosa che già succede. Come paese candidato la Turchia deve collaborare con l’UE cosicché, insieme alla Grecia e agli altri Stati membri, si possa arginare l’ondata di immigranti che cerca di entrare clandestinamente nell’Unione europea.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) La proposta di risoluzione sulla Turchia attira l’attenzione sulla situazione dei diritti umani. La costante situazione di stallo tra Turchia e Cipro, il dialogo precario tra i partiti politici, l’erosione della libertà di stampa, dei diritti delle donne e degli altri diritti fondamentali sono, secondo il progetto di relazione, alcuni dei fattori che hanno portato al rallentamento dei negoziati di adesione. I negoziati sono considerati “un processo di lunga durata e senza limiti di tempo”. Credo che l’adesione della Turchia all’Unione europea debba essere vista come un vantaggio strategico per entrambe le parti: UE e Turchia. Per questo invito il governo turco ad accelerare il processo di riforma per soddisfare completamente i criteri di adesione.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Il processo di avvicinamento della Turchia agli obiettivi dell’Unione europea è stato e sarà lungo. Per questo ho sempre difeso l’approfondimento dei rapporti tra UE e Turchia attraverso la graduale applicazione dei partenariati in vari settori. Credo che creare un’aspettativa di integrazione a lungo termine non sia positivo né per l’Unione europea né per la Turchia.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Nonostante i progressi citati nella discussione e l’“apertura” permangono problemi in materia di donne, minoranze, libertà di opinione e di stampa, squilibri sociali, povertà, diritti dei minori, istruzione, indipendenza della magistratura e intervento dell’esercito in politica.
La Commissione UE rileva che nonostante i progressi legislativi “altri ufficiali delle forze armate hanno rilasciato una serie di dichiarazioni che esulano dalla propria competenza, soprattutto su temi di natura giudiziaria”. Riguardo alla magistratura ha raggiunto la seguente conclusione: “le indagini su alcuni casi ampiamente trattati dai mezzi d’informazione continuano a destare preoccupazione. Questo evidenzia la necessità di migliorare l’operato della polizia e della gendarmeria, ma anche il rapporto di lavoro tra polizia e gendarmeria da una parte e la magistratura dall’altra”.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Molte sono ancora le questioni aperte circa i progressi della Turchia nei negoziati di adesione all’UE.
Deve essere innanzitutto chiusa la questione in corso con Cipro, tra la comunità greco-cipriota e turco-cipriota, nell’ambito della quale verrà trattato anche il ritiro delle truppe turche, negoziati che stanno attraversando un momento particolarmente delicato. Inoltre grandi dubbi devono essere ricondotti alla matrice culturale del paese stesso, strettamente legato alle tradizioni islamiche, molto distanti da quelle che invece sono le radici cristiano-cattoliche europee.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione, pur criticando fortemente le posizioni tenute dalla Turchia, mantiene una chiara intenzione di farla aderire all’UE. Noi non possiamo essere d’accordo per tanti motivi che dimostrano che quel paese non ha nulla in comune con il resto dell’Europa: la posizione geografica, il credo religioso, la scelta militaristica di continuare a occupare un pezzo dell’Unione europea – la parte nord di Cipro, il deterioramento della libertà di stampa, la limitazione della libertà di espressione, le discriminazione religiose e la violazione dei diritti delle donne portano la Turchia sempre più lontana dall’Europa.
Ancora oggi una religione diversa dall’Islam non può aprire e utilizzare luoghi di culto, non può fare proseliti o formare un proprio clero, non può avere personalità legale. Il governo turco non vuole aderire ad importanti protocolli e trattati con l’Unione europea e non coopera a sufficienza per quanto riguarda i controlli sull’immigrazione illegale. Per queste ragioni il voto sulla relazione è contrario.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Ho sempre sostenuto l’adesione della Turchia all’Unione europea, previa la conformità ai criteri di Copenaghen e la giusta adozione dell’acquis communautaire da parte del paese. Oggi ho votato a favore della proposta di risoluzione inerente alla relazione sui progressi compiuti dalla Turchia. La risoluzione lancia un messaggio politico chiaro ed equilibrato alla vigilia delle elezioni parlamentari. La Turchia ha compiuto grandi sforzi sulla strada verso l’adesione, tra cui una parziale revisione della costituzione, il controllo civile dell’esercito e la parziale riforma della magistratura. Sono però necessarie altre misure, e anche il ritmo certo necessita di un’accelerazione. Il Parlamento europeo sottolinea che sono di vitale importanza migliori garanzie nel campo dei diritti umani, anche per le donne e le minoranze, così come l’indipendenza della magistratura. Inoltre, occorre dare il giusto risalto alla libertà di parola e, in particolare, alla libertà di stampa, che di recente è stata nuovamente minacciata con l’arresto di giornalisti. È però necessario incoraggiare la Turchia a svolgere il ruolo esemplare che le compete nel processo di democratizzazione del mondo arabo. Per questo trovo deprecabile che nei negoziati di adesione ci siano ancora capitoli cruciali bloccati da vari Stati membri.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho approvato la presente relazione che riconosce i cambiamenti costituzionali occorsi in Turchia ma che affronta anche temi tuttora problematici, come la mancata applicazione del protocollo di Ankara. Incoraggiando la Turchia a continuare l’attuazione delle riforme, il Parlamento europeo spera di vedere miglioramenti nel campo dei diritti dell’uomo e delle leggi sull’uguaglianza a vantaggio dei cittadini turchi.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. – (DE) La relazione sui progressi compiuti dalla Turchia mostra molto chiaramente i punti deboli del processo in corso. È evidente che la Turchia non è all’altezza delle aspettative. Inoltre non si devono fare sconti sull’adesione, come hanno chiesto il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo e il gruppo Verde/Alleanza libera europea. In tale contesto meritano di essere criticate anche le apparizioni del Primo ministro Erdogan in Germania, quando ha invitato i turchi che vivono in Germania a rinunciare all’integrazione. Questi discorsi non promuovono una buona cooperazione e rappresentano un affronto verso gli sforzi compiuti da Germania e Unione europea. Inoltre, c’è ancora molto da fare per la libertà di stampa e la risoluzione della questione di Cipro.
Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. – (EN) Sono da sempre favorevole al processo di adesione della Turchia e ben cosciente dei gravi problemi da affrontare. La relazione sui progressi 2010 è un documento abbastanza equilibrato per il quale ho votato a favore pur nutrendo alcune riserve, non da ultimo sulla questione cipriota, dove mi rammarico siano stati respinti gli emendamenti che chiedevano al Consiglio dell’UE di mantenere la promessa nel porre fine all’isolamento di Cipro settentrionale. La Turchia è chiamata a svolgere un ruolo centrale come collegamento tra est e ovest, e da parte nostra dovremmo lanciare segnali favorevoli e positivi.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione 2010 sui progressi realizzati dalla Turchia, che si è rivelata essere del tutto negativa. Secondo il documento negli ultimi 5 anni la Turchia ha compiuto ben pochi progressi degni di nota nel processo di riforma o nel rispetto dei criteri di adesione all’UE. Ci sono ancora gravi mancanze nel campo dei diritti dell’uomo, della libertà di stampa e di opinione, e dei diritti delle donne. In qualità di membro del gruppo di contatto ad alto livello per i rapporti con la comunità turco-cipriota nella parte settentrionale dell’isola di Cipro, so bene che la situazione è la stessa con il problema di Cipro rimasto irrisolto.
Joachim Zeller (PPE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della presente relazione, ma solo perché afferma molto chiaramente che non sono stati fatti progressi nei negoziati di adesione con la Turchia. Al contrario, quello cui in effetti assistiamo è una battuta d’arresto, per non dire un arretramento nel rispetto dei diritti umani e civili, nella libertà di culto, di riunione e di stampa, e nella questione cipriota. In realtà la nuova direzione assunta dalla Turchia nella politica estera, ad esempio nei confronti di Iran e Siria, solleva dubbi sulla serietà delle affermazioni del Primo ministro turco Erdogan, quando sostiene di volersi avvicinare all’Europa. Inoltre non è chiaro come vengano spesi i miliardi di euro per l’assistenza alla preadesione versati alla Turchia. Da tutto questo si può tirare un’unica conclusione, e cioè che bisogna bloccare i negoziati di adesione. La Turchia resta uno dei partner più importanti dell’Unione europea, ma l’idea di una sua adesione a pieno titolo diventa sempre più illusoria.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Sono a favore di questa risoluzione poiché sono convinto che il Montenegro dovrebbe costituire un esempio positivo della presenza dell’Unione europea nei Balcani in quanto il paese soddisfa tutte le condizioni poste dalla Commissione per l’avvio del processo di adesione. Mi preoccupa tuttavia la corruzione diffusa che interessa, in particolare, i settori dell’edilizia, delle privatizzazioni e degli appalti pubblici. Vi è inoltre un aspetto ancora più grave da affrontare, quello della discriminazione delle minoranze e dei gruppi più vulnerabili e si dovrebbe anche risolvere il problema dell’indipendenza dei media.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della risoluzione sul processo di integrazione europea del Montenegro. Il Parlamento europeo approva le riforme introdotte dal paese e plaude ai progressi compiuti nel processo di integrazione comunitaria. Il 17 dicembre 2010 il Consiglio europeo ha deciso di accordare al Montenegro lo status di paese candidato all’adesione. Condivido il rammarico espresso nella risoluzione che tale status sia stato dissociato dal diritto di avviare negoziati e ritengo importante che la decisione di dare inizio a tali negoziati non sia indebitamente o irragionevolmente rinviata. Mi attendo che l’avvio dei negoziati avvenga, al più tardi, dopo la pubblicazione della relazione annuale della Commissione del 2011 sui progressi compiuti dal paese sempre a condizione che il Montenegro raggiunga buoni risultati quanto al soddisfacimento dei criteri fissati da quest’ultima.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) L’Unione europea sostiene pienamente i progressi compiuti nel processo di allargamento ma constata che nella maggior parte dei paesi interessati persistono ancora importanti problemi da risolvere. La risoluzione riguarda il caso del Montenegro e l’ho sostenuta in quanto la ritengo equilibrata dato che sottolinea che il Montenegro ha compiuto progressi reali non solo in termini economici ma anche in materia di lotta contro la corruzione. Il paese deve, naturalmente, continuare a progredire ma ritengo sia giusto concedergli lo status ufficiale di candidato all’adesione all’Unione europea.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione. Il Consiglio europeo ha ribadito che il futuro dei Balcani occidentali è con l’Unione europea e che la crescita e la stabilità di questa regione sono particolarmente importanti. A giudicare dai progressi compiuti dal Montenegro in vari settori è chiaro che il paese sta preparandosi con serietà all’integrazione europea. Il governo e i partiti dell’opposizione montenegrini hanno raggiunto un accordo generale in materia di integrazione europea assegnando alla questione un’alta priorità. La relazione sottolinea inoltre il buon funzionamento dello strumento di assistenza preadesione (IPA) e riconosce che in Montenegro è stata introdotta un’importante riforma giudiziaria e amministrativa. Il paese si sta impegnando con successo nella cooperazione regionale, è un partner regionale costruttivo e svolge un ruolo di stabilizzazione nella regione dei Balcani occidentali.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – La relazione presenta tutte le ragioni per cui l’Europa non dovrebbe desiderare l’ingresso de Montenegro nell’UE. Corruzione dilagante, discriminazione sociale ancora molto forte nei confronti delle donne e di alcune minoranze etniche, standard di pluralismo dei media lontanissimi dai livelli europei e forte presenza della criminalità organizzata nella vita economica e politica del paese.
Non posso condividere d’altra parte nemmeno l’idea di fondo espressa dal Consiglio europeo in merito all’adesione dei paesi dei Balcani all’UE: è un’assurdità politica e strategica considerare l’Europa come destino ineluttabile per i paesi dell’ex-Jugoslavia. Sembra che ai vertici delle nostre istituzioni non basti l’esperienza recente: voler a tutti i costi premere sull’acceleratore dell’allargamento includendo paesi economicamente deboli e politicamente traballanti non ha aiutato certo il consolidamento dell’edificio comunitario, anzi ne ha indebolito la struttura, rallentato i processi decisionali ed ha complicato l’elaborazione di politiche comuni in ambiti cruciali della vita del nostro continente.
Voto quindi contrario a questa relazione, la cui idea di fondo, pur sottolineando i molteplici problemi sottesi al processo di adesione del Montenegro, rimane quella dell’opportunità dell’ingresso di questo paese nell’UE.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo con favore l’interesse e l’impegno dimostrati dal governo e dai partiti di opposizione montenegrini in materia di integrazione europea. Il processo sta portando all’istituzione nel paese di un quadro giuridico e costituzionale, ora quasi completato, e all’introduzione di riforme economiche. Esistono tuttavia ancora diversi aspetti da migliorare in tema di corruzione, di criminalità organizzata, di discriminazione e di libertà di stampa e mi appello quindi al paese affinché prosegua lungo la strada già intrapresa augurandomi che ciò possa presto condurre all’apertura dei processi di negoziato.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il Montenegro ha dimostrato di voler perseverare nella sua scelta europea e quindi accolgo favorevolmente la determinazione dei suoi leader e i cambiamenti che stanno avvenendo nel paese volti al raggiungimento degli standard europei specialmente in materia di democrazia, diritti umani e rispetto dello stato di diritto.
Nonostante i progressi riscontrati è chiaro comunque che il paese ha ancora molta strada da fare prima di essere in condizione di aderire all’Unione europea. Mi auguro che la determinazione del Montenegro continui a farsi sentire e che il paese, piuttosto che puntare ad una convergenza nominale o formale con l’Unione europea, cerchi di migliorare le condizioni di vita della popolazione e il funzionamento delle proprie istituzioni in modo da diventare uno Stato prospero.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Le istituzioni europee hanno riconosciuto in diverse occasioni l’interesse strategico di un allargamento dell’UE ai Balcani. L’adesione di nuovi Stati dipende da vari fattori il primo tra i quali è la necessità che il paese manifesti il proprio interesse per poi impegnarsi a rispettare una serie di diritti fondamentali per i cittadini. Il Montenegro ha dichiarato di essere interessato ad entrare a far parte dell’Unione europea e, il 17 dicembre 2010, il Consiglio ha deciso di conferirgli lo status di paese candidato. In effetti, come risulta dalla relazione, il Montenegro ha introdotto una serie di riforme; in particolare ha creato un nuovo quadro giuridico e costituzionale e ha avviato una lotta contro la corruzione. Vi sono tuttavia settori nei quali il paese dovrà compiere ulteriori progressi, come quelli della libertà di stampa e del rispetto del lavoro svolto dalle organizzazioni non governative. Voto a favore della risoluzione del Parlamento europeo sul processo di integrazione del Montenegro che raccomanda di accelerare tale processo e invito le autorità montenegrine a continuare a sforzarsi di raggiungere gli obiettivi prefissati dato che il paese è un vicino importante per l’Unione europea con il quale vorremmo avviare una collaborazione.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Nel caso del Montenegro sta diventando chiaro che la direzione e il significato dei processi di allargamento dell’Unione europea sono finalizzati a soddisfare i disegni delle maggiori potenze comunitarie e i loro interessi al servizio delle grandi imprese. Mi riferisco in particolare all’allargamento dei mercati, all’accesso e al controllo di posizioni geostrategiche e all’utilizzo e allo sfruttamento della forza lavoro per svalutare ulteriormente la manodopera dei paesi dell’Unione nel suo insieme. Dato che le regioni periferiche createsi a seguito dei vari processi di allargamento che si sono succeduti sono ormai esaurite è necessario crearne altre. Le promesse fatte oggi ai cittadini del Montenegro così come quelle fatte ad altri nel passato e nel presente sono molte ma il prezzo da pagare è alto e lo si precisa solo in parte. In questo caso particolare è importante non dimenticare che il processo di frammentazione della Jugoslavia è stato guidato dalla NATO e dalle potenze europee che oggi cercano di attirare il Montenegro verso l’adesione all’Unione europea che è l’erede di tale processo.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Siamo di fronte ad un altro episodio del processo di totale disintegrazione della Jugoslavia e di ciò che ne rimane: ora è la volta del Montenegro. Le maggiori potenze della NATO e dell’Unione, imponendo alla Jugoslavia misure di strangolamento economico e finanziario con il sostegno del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, hanno favorito le divisioni etniche che hanno portato alla guerra e alla creazione frettolosa di nuovi ”Stati sovrani”.
La futura integrazione del Montenegro nell’Unione europea è l’erede di quel processo e dell’attacco alle conquiste del socialismo ed è finalizzata a soddisfare gli interessi di gruppi economici e finanziari sfruttando la forza lavoro, tramite i mercati di quei paesi e le loro posizioni geostrategiche e risorse naturali.
Ora si fanno moltissime promesse e l’Unione attira a sé questi paesi prospettando loro milioni di euro di cosiddetti aiuti allo sviluppo: ma quanto costerà tutto questo e quando arriveranno gli aiuti, se mai arriveranno?
In base alla nostra esperienza i 25 anni di integrazione capitalistica del Portogallo nell’Unione Europea dimostrano che i progressi promessi non vengono mai raggiunti. Ciò che si ottiene è la distruzione della produzione e dell’impiego, lo sfruttamento dei lavoratori, lo smantellamento dei servizi pubblici nonché dipendenza e debito estero. Questo è il motivo per cui abbiamo espresso dubbi sul procedimento in discussione.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Il processo di allargamento dell’Ue continua su basi esclusivamente geografiche e, come ho già avuto modo di dichiarare in quest’aula, lo status di paese candidato all’adesione viene concesso dal Consiglio europeo in maniera frettolosa, prima che i paesi in questione arrivino ad avere degli standard di qualità della democrazia che si avvicinino, quanto meno, ad una soglia di adeguatezza. Corruzione, contrabbando, crimine organizzato e violazioni delle libertà di stampa non sono che alcuni degli elementi per i quali ritengo il Montenegro ancora lontano dalla dimensione europea. E mi sembrano motivi sufficienti per non appoggiare questa risoluzione, che segue la linea guida del futuro in prospettiva europea dei Balcani, a prescindere dai problemi tangibili dell’area.
Jiří Havel (S&D), per iscritto. – (CS) La decisione di accordare al Montenegro lo status di candidato è stata di natura prevalentemente politica. Il paese avrebbe probabilmente dovuto attendere più a lungo se la questione dello status non fosse stata esaminata contemporaneamente anche per l’Albania. Il confronto, naturalmente, va a vantaggio del Montenegro ma molte delle riserve espresse nei confronti di questo paese fanno sì che si passi da una relazione annuale all’altra: dalla dichiarazione della Commissione risulta infatti che la politicizzazione della burocrazia statale, l’indipendenza della magistratura, la criminalità organizzata e l’ambiente sono ormai problemi costanti. Non c’è progresso fondamentale in vista per quanto riguarda la lotta contro la corruzione diffusa e non dobbiamo sottovalutare questo aspetto. Date le circostanze concedere al Montenegro lo status di candidato senza fissare un termine per l’avvio dei negoziati sull’adesione rappresenta quindi una buona soluzione. L’Unione europea ha già adottato un approccio simile per l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia nel 2005. La differenza sta nel fatto che il superamento dell’ostacolo che si trova ad affrontare l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia richiede l’accordo di due Stati. Il destino del Montenegro, nel frattempo, è interamente nelle mani del paese. Presumo che tutto questo sia stato ben chiarito nei recenti colloqui tra Herman van Rompuy, José Manuel Barroso, Jerzy Buzek e il nuovo leader montenegrino, Igor Luksic, il premier più giovane del mondo. A nessuno piace essere preso in giro troppo a lungo e questo vale anche per un paese che, nonostante non appartenga all’Unione Europea, usa già da molti anni l’euro come valuta nazionale.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questo documento perché il governo e i partiti di opposizione montenegrini hanno trovato un consenso generale e assegnato la massima priorità all’integrazione europea e ciò ha portato a notevoli progressi nel processo di riforma da quando il paese ha ottenuto l’indipendenza. Accolgo con favore il fatto che al Montenegro sia stato accordato lo status di paese candidato all’adesione all’Unione europea e ai suoi cittadini sia stata concessa la possibilità di viaggiare senza visto (con la completa liberalizzazione dei visti) nell’area comunitaria di Schengen. Sono lieto che il processo di istituzione di un quadro giuridico e costituzionale nel paese sia quasi giunto al termine e che siano stati fatti progressi nell’adozione di un’importante legge in materia di lotta contro la corruzione, così come nella riforma del sistema giudiziario. Occorre tuttavia proseguire ancora lungo il cammino della riforma della pubblica amministrazione, rafforzare le risorse umane a livello di amministrazione locale e lottare contro la criminalità organizzata, con particolare riferimento al riciclaggio di denaro e al contrabbando. Il settore dei media dev’essere in grado di operare senza interferenze politiche ed è inoltre necessario garantire l’indipendenza degli organismi di regolamentazione.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, il voto di oggi, a sostegno della risoluzione sulla strategia dell’UE per l’inclusione dei Rom, può rappresentare, per i Paesi dell’Unione, uno stimolo utile a sostegno della non discriminazione, nonché un incentivo per la messa in campo di strumenti di tutela nei confronti dei Rom. Quanto affermato vale, in particolare, per le categorie più deboli, in conformità a quanto sostenuto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Ritengo che l’individuazione di strumenti economici incisivi sia l’ulteriore obbiettivo da raggiungere per l’attuazione di una seria e concreta politica di inclusione della comunità Rom. La risoluzione in questione, che tratta una problematica di particolare rilevanza, anche per il mio Paese, mira dunque ad una concreta integrazione dei Rom, in grado di consentire una reale partecipazione alla vita economica, sociale e culturale dei paesi in cui essi sono stanziati, a condizione, aggiungo, del totale rispetto dei principi e delle norme giuridiche dello Stato ospitante. Infine, sostengo la sollecitazione fatta alla Commissione in ordine all’assunzione di un ruolo guida per la realizzazione di un coordinamento strategico unitario, in partenariato con gli Stati membri, attraverso l’istituzione di una task force quale organismo permanente responsabile della supervisione e del coordinamento della materia.
Monica Luisa Macovei (PPE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della risoluzione per riconoscere i progressi compiuti dal Montenegro in materia di integrazione europea e per evidenziare gli obiettivi ancora da raggiungere per il bene della popolazione del paese. Quando la risoluzione era al vaglio della commissione affari esteri ho elaborato alcuni emendamenti riguardanti l’efficienza e la prevedibilità del sistema giudiziario. La pubblicazione di tutte le sentenze e l’unificazione della giurisprudenza dovrebbero essere aspetti prioritari da affrontare al fine di accrescere la fiducia della popolazione e di avere un sistema giudiziario prevedibile. Occorrerà inoltre aumentare i finanziamenti affinché i tribunali possano operare in modo rapido e efficiente e introdurre misure coerenti per la formazione dei giudici. Occorrerà valutare l’efficienza dei fondi comunitari spesi nel campo della riforma della giustizia e della lotta contro la corruzione. La coerenza dello stato di diritto in tutta una nazione è vitale per la sua capacità di progredire politicamente e democraticamente.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione che si compiace del raggiungimento di un consenso generale sull’integrazione europea e dell’alta priorità attribuita a tale questione dai partiti di governo e dell’opposizione montenegrini, portando a notevoli progressi del processo di riforma dopo l’indipendenza del paese. La relazione saluta con favore la nuova dirigenza politica di Podgorica e incoraggia il nuovo governo a portare avanti il processo di integrazione europea del Montenegro e ad accelerare le riforme che consentiranno di soddisfare i criteri di Copenaghen. Il documento plaude alla decisione del Consiglio europeo del 17 dicembre 2010 di accordare al Montenegro lo status di paese candidato all’adesione all’Unione europea pur rammaricandosi del fatto che tale status sia stato dissociato dal diritto di avviare negoziati e sottolinea che la decisione di dare inizio ai negoziati non dovrebbe essere indebitamente o irragionevolmente rinviata. Ci si aspetta l’avvio dei negoziati al più tardi dopo la pubblicazione della relazione annuale 2011 della Commissione sui progressi compiuti dal paese sempre a condizione che il Montenegro raggiunga buoni risultati quanto al soddisfacimento dei criteri fissati da quest’ultima.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La risoluzione sottolinea l’obbligo per i cittadini del Montenegro di soddisfare i criteri di Copenaghen e di accelerare le privatizzazioni. L’Unione si limita ad imporre un catechismo liberista aggressivo e pretenzioso con il quale non voglio avere nulla a che fare: voterò quindi contro la proposta.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Come paese candidato all’adesione all’Unione europea il Montenegro ha dimostrato di voler portare avanti la propria scelta di unirsi all’Europa tramite la determinazione dei suoi leader e i cambiamenti avvenuti nel paese volti ad avvicinarlo ai requisiti europei, con particolare riguardo alla democrazia, ai diritti umani e al rispetto dello stato di diritto. I progressi compiuti non sono ancora sufficienti e il Montenegro dovrà continuare ad impegnarsi in modo da poter acquisire le caratteristiche necessarie per entrare a far parte dell’Unione europea. Mi auguro che la determinazione del paese continui a dare frutti e che l’adesione all’Unione diventi una realtà in modo che il Montenegro possa assicurare alla propria popolazione migliori condizioni di vita ottimizzando il funzionamento delle proprie istituzioni in modo da divenire uno Stato sempre migliore.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Sono favorevole ad avviare il dibattito sull’adesione del Montenegro all’Unione europea in quanto, per principio, sono a favore dell’allargamento. Ciononostante non ho potuto votare a favore della risoluzione in oggetto in quanto la Commissione chiede al Montenegro una serie di riforme che sono in linea con le politiche neoliberiste dell’Unione europea, come la privatizzazione del settore pubblico e l’adattamento del sistema scolastico al processo di Bologna. Per questi motivi non ho votato a favore della relazione ma ho preferito astenermi.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Fin da quando ha ottenuto l’indipendenza, nel 2006, il Montenegro ha chiaramente dimostrato la propria volontà di entrare a far parte dell’Unione europea: l’euro è stato adottato ufficialmente nel 2006 e un accordo di stabilizzazione e di associazione è entrato in vigore il 1° maggio 2010. L’adesione del Montenegro all’Unione porterà una maggiore stabilità politica, economica e sociale al paese e aumenterà la stabilità della regione balcanica. Accolgo quindi con favore l’impegno dimostrato dal Montenegro nel cercare di diventare un partner costruttivo in tema di cooperazione regionale, specialmente a seguito dei vari accordi regionali conclusi con i paesi confinanti nei settori della riammissione e dell’estradizione e in materia giudiziaria e di polizia. Il consolidamento della pace e della stabilità apporta benefici non solo alla regione ma anche all’Europa nel suo complesso.
Chiedo pertanto di avviare prima possibile i negoziati di adesione, soprattutto in considerazione del fatto che il Consiglio europeo ha concesso al Montenegro lo status di paese candidato alla fine di dicembre del 2010. Gli sforzi del Montenegro volti a soddisfare i criteri di adesione stanno producendo sviluppi positivi anche se c’è ancora molto lavoro sa svolgere, specialmente in materia di corruzione e criminalità organizzata, di libertà di informazione e di parità di genere.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (EN) Anche se la commissione per gli affari esteri del Consiglio europeo plaude alla decisione di conferire al Montenegro lo status di paese candidato permangono ancora gravi problemi di corruzione, soprattutto nei settori dell’edilizia, delle privatizzazioni e degli appalti pubblici. Vi sono ancora questioni da risolvere in relazione alle minoranze e anche ai gruppi non tutelati. Sarebbe opportuno monitorare l’applicazione delle raccomandazioni del Parlamento europeo al Montenegro e, se tali raccomandazioni verranno seguite, allora credo che l’adesione di un paese come il Montenegro non possa che essere vantaggiosa per l’Unione europea.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Esiste una tensione non sempre facilmente superabile tra il rispetto per i diritti umani e altri interessi nazionali (magari di natura militare o economica). Anche gli Stati Uniti e l’Unione europea oltrepassano di tanto in tanto questa linea sottile come risulta dalla violazione delle libertà civili e della tutela dei dati nel contesto della lotta contro il terrorismo. L’UE deve quindi difendere con maggiore forza e coerenza i diritti umani sia al suo interno che all’esterno. Quanto penso all’esterno dell’Unione ho in mente soprattutto la tutela delle minoranze cristiane dei paesi islamici e dell’Asia. Ho quindi votato a favore della proposta di risoluzione.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Oggi il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione sul processo di integrazione europea del Montenegro. L’allargamento dell’UE ai Balcani occidentali è stata confermata già nel 2003 ad Atene ed è per questo che il Parlamento ha espresso la speranza che i negoziati di adesione inizino entro la fine di quest’anno. La risoluzione richiama l’attenzione sul miglioramento sostanziale della situazione politica e sociale in Montenegro e anche sull’approccio positivo adottato dal paese in materia di integrazione europea.
Purtroppo il Montenegro non ha ancora superato il problema della corruzione e della criminalità organizzata. A mio parere una questione importante ancora da risolvere è quella della discriminazione dei gruppi etnici e delle donne che sono sottorappresentati nel processo decisionale e nella pubblica amministrazione. Un altro aspetto positivo è la lotta del paese contro la censura e il suo tentativo di tutelare la libertà di espressione sebbene siano ancora segnalate offensive contro giornalisti e attivisti.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) L’integrazione europea è la principale forza motrice del progresso montenegrino. Il paese ha ottenuto grandi risultati negli ultimi 12 mesi, attuando con successo riforme strutturali ed economiche e contrastando efficacemente la corruzione e la criminalità organizzata. Le minoranze etniche convivono pacificamente in Montenegro e il paese promuove con successo relazioni di buon vicinato. L’UE e il Montenegro hanno quindi firmato un accordo di stabilizzazione e associazione. Ho votato a favore di questa risoluzione poiché essa indica giustamente le ulteriori misure da adottare per riformare il paese. È necessario fare progressi nella creazione dello stato di diritto, continuare ad attuare le riforme amministrative, accrescere le capacità dei dipendenti pubblici, modificare la legge elettorale e rafforzare la società civile e i media indipendenti. È importante che il paese non perda slancio e continui il lavoro che ha intrapreso.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − L’Unione europea lavora oramai da anni a problemi relativi all’integrazione sociale e alla tutela delle minoranze. La relazione della collega Járóka sulla strategia per l’inclusione sociale dei Rom propone un piano d’azione per la loro integrazione socio economica in vista di un progetto europeo che definisca le strategie nazionali per affrontare il problema, anche sulla base dei costi che ogni Stato membro dovrà affrontare. Ho votato a favore della relazione proprio per questo: si ha bisogno di un nuovo quadro giuridico europeo con misure per combattere la discriminazione e tutelare i diritti umani, per integrare i Rom nei vari Paesi europei con un progetto che garantisca loro istruzione e coperture sanitarie.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Riconosco l’impegno profuso dal Montenegro con particolare riguardo alle riforme giuridiche, alla lotta contro la corruzione e a quella contro diversi tipi di discriminazione ma desidero sottolineare che occorre proseguire e intensificare questo lavoro. Ci sono ancora diversi aspetti che richiedono molta attenzione: mi riferisco in particolare alle questioni economiche per le quali sarà necessario avviare nuovi cambiamenti strutturali. Si tratta di problemi che, nonostante il successo delle riforme economiche, si sono resi evidenti a seguito della crisi finanziaria. Desidero aggiungere un’ultima osservazione su una questione che mi sta molto a cuore, la necessità di migliorare la qualità della legislazione redatta in Parlamento.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) In generale voluto positiva e ben equilibrata la relazione che affronta tutti gli aspetti politici di rilievo. Il Montenegro, diventato paese candidato nel dicembre del 2010, è ancora in attesa dell’avvio dei negoziati. La relazione, al paragrafo 2, “si rammarica del fatto che lo status di paese candidato sia stato dissociato dal diritto di avviare negoziati e sottolinea che la decisione di dare inizio ai negoziati non dovrebbe essere indebitamente o irragionevolmente rinviata”. Il relatore prevede l’avvio dei negoziati dopo la presentazione della relazione del 2011 sui progressi compiuti dal paese. Alcuni aspetti interessanti riguardano lo strumento di assistenza preadesione (paragrafo 5), la corruzione (paragrafo 8), la libertà di informazione (paragrafo 10), la criminalità organizzata (paragrafo 14) e la discriminazione (paragrafi 17-22). Molti paragrafi sono dedicati al tema della lotta contro la discriminazione e toccano tutti aspetti rilevanti quali i rom, gli ashkali, gli egiziani (paragrafi 17 e 22), lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (paragrafo 17), le donne e la violenza domestica (paragrafi 17-19), le questioni etniche (paragrafo 21) e la società civile (paragrafi 5, 10, 23, 24 e 32). In generale, la proposta valuta molto positivamente il ruolo svolto dalle organizzazioni della società civile e dedica molti paragrafi alla questione. I paragrafi più importanti sono il 23, il 24 e il 32.
In questi paragrafi la relazione “ribadisce l’importanza, ai fini della democrazia, di organizzazioni della società civile attive e indipendenti” ed “esorta il governo montenegrino a impegnarsi in una stretta collaborazione e in un regolare dialogo con le organizzazioni non governative”.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, il prossimo 6 aprile la Commissione europea presenterà la propria comunicazione sull’inclusione delle persone Rom. Questa tematica è anche indicata come una priorità dal governo ungherese, attuale Presidente di turno del semestre europeo. La risoluzione del Parlamento rileva la necessità di una maggiore integrazione da parte delle popolazioni Rom nella società moderna.
Personalmente ritengo che siano queste popolazioni a doversi adattare alla nostra società e non costringerci ad adottare politiche di favore che spesso producono risultati opposti rispetto alle aspettative. L’ignoranza, la mancanza di cultura e l’analfabetismo significano spesso mancanza di futuro. Senza istruzione è quindi impossibile avere un ruolo attivo nella società. Le difficoltà che incontrano i Rom nel trovare un lavoro sono spesso la conseguenza del loro basso livello di istruzione e questo elemento conferma che il settore educativo è il fondamento per costruire un futuro proprio.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione che vedrebbe il Montenegro ottenere lo status di paese candidato all’Unione europea. Il documento evidenzia anche i problemi esistenti in materia di uguaglianza e corruzione che il paese dovrà risolvere oltre a invitarlo ad adottare misure per affrontare questi problemi.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della proposta di risoluzione perché la relazione dichiara in modo esplicito che da quando ha ottenuto l’indipendenza, nel 2006, il Montenegro ha compiuto notevoli progressi in materia di riforme interne. Non bisogna tuttavia ignorare il fatto che esistono, come sempre, gravi problemi di corruzione, di criminalità organizzata, di libertà di espressione e di discriminazione. Ciò nondimeno la relazione spiega anche che il governo montenegrino è disposto ad affrontare questi problemi in modo efficace e ha già introdotto un pacchetto di misure adeguate e appropriate.
Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. – (IT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho espresso un voto favorevole poiché ritengo che il processo di integrazione europea del Montenegro possa rispondere ad un interesse strategico fondamentale dell'Unione Europea, quello di promuovere e cercare di garantire stabilità e sviluppo in un'area geografica cruciale per il nostro continente. Tale adesione potrà permettere al tempo stesso di rafforzare la lotta contro la criminalità organizzata proveniente dall'area balcanica. Bisogna poi evidenziare come il Montenegro, nel quadro del processo di avvicinamento dei paesi balcanici all'Unione, stia esprimendo già da tempo un forte consenso interno sulla prospettiva europea e dimostrando un atteggiamento maturo e conciliante nei confronti degli Stati limitrofi.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione perché i valori di integrazione europea richiedono che l’UE sia priva di pregiudizi e discriminazioni perché i diritti umani possano venire rispettati. La discriminazione è esacerbata dall’attuale crisi economica e l’integrazione della popolazione rom deve essere vista come una responsabilità congiunta delle istituzioni europee, degli Stati membri e delle regioni che dovrebbero sfruttare tutte le risorse comunitarie disponibili per affrontare la situazione.
La Commissione dovrebbe assumere un ruolo guida in questo processo rivolgendo particolare attenzione alle richieste di assistenza tecnica e, soprattutto, presentando una strategia che affronti come settori prioritari quelli della difesa dei diritti umani e del diritto all’istruzione e alla formazione, alla cultura, all’occupazione, allo sport, ad alloggi adeguati, all’assistenza sanitaria e a migliori servizi igienico-sanitari per questa popolazione. Bisognerebbe inoltre cercare di aumentare la partecipazione politica e civile dei rom, a partire dai più giovani.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della risoluzione sulla strategia dell’Unione europea sull’inclusione dei rom. I rom sono la più grande minoranza etnica d’Europa ma sono anche molto isolati e quindi quasi completamente staccati dalle economie nazionali. Concordo con l’opinione della relatrice che ritiene l’inclusione dei rom un investimento necessario in quanto costa meno integrare questa minoranza piuttosto che sostenerne le precarie condizioni socio-economiche. Un altro aspetto importante che vorrei sottolineare è il fatto che, in generale, l’inclusione dei rom è essenzialmente una questione di diritti umani. Una parte rilevante di rom europei vive in condizioni così precarie – essendo quasi totalmente staccati dall’economia e di conseguenza esclusi dalla possibilità di godere dei diritti umani fondamentali – che il favorire l’inclusione sociale non può essere visto nel contesto delle rettifiche generali delle politiche comunitarie ma deve essere affrontato per colmare una delle principali lacune nella realizzazione dei diritti costituzionali e umani in Europa. Approvando questa strategia il Parlamento europeo ha fatto il primo passo verso la promozione dell’inclusione sociale ed economica dei rom e ora il Consiglio e la Commissione dovranno adottare le misure necessarie a garantire che la strategia venga applicata con successo.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Circa 10-12 milioni di rom risiedono nell’Unione europea e molti di essi subiscono discriminazioni ed esclusione sociale. Si tratta, per la maggior parte, di cittadini europei e l’UE deve creare una strategia per integrarli. Per questo motivo ho votato a favore del testo in oggetto dato che prevede un piano d’azione basato sui valori fondamentali dell’uguaglianza, dell’accesso ai diritti, della non discriminazione e della parità di genere attingendo ai Fondi strutturali già disponibili.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) La situazione dei rom nell’Unione europea è piuttosto complessa. Gran parte dei 10-12 milioni di rom europei ha subito discriminazioni sistematiche e sta quindi lottando contro un livello intollerabile di esclusione sociale, culturale ed economica, nonché contro le violazioni dei diritti umani. Inoltre una parte significativa di questa comunità vive in regioni che sono tra le meno sviluppate dell’Unione sotto l’aspetto economico e sociale e quindi i bambini rom spesso non hanno accesso ai sistemi di istruzione e formazione e ciò porta alla loro discriminazione nel mercato del lavoro e impedisce la loro integrazione nella società. L’Unione europea ha sviluppato una serie di strumenti, meccanismi e fondi utili a favorire l’inclusione di questa minoranza ma tali misure sono disseminate in diverse politiche e, di conseguenza, il loro effetto e beneficio restano limitati. Condivido l’opinione che gli Stati membri debbano ottimizzare l’applicazione della strategia dell’UE in materia di inclusione dei rom e garantire il pieno recepimento e l’applicazione di tutte le direttive correlate e del diritto comunitario, impedendo in tal modo la segregazione di questo popolo e la sua discriminazione.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. – (PT) La Carta europea dei diritti fondamentali vieta le discriminazioni fondate su sesso, razza, colore, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di altra natura, appartenenza ad una minoranza nazionale, ricchezza, nascita, disabilità, età o orientamento sessuale, così come sulla base della nazionalità. In Europa ci sono circa 10-12 milioni di rom, gran parte dei quali cittadini europei, che subiscono sistematicamente discriminazioni e sono vittime di intolleranza. L’integrazione di questa popolazione è una responsabilità di tutti gli Stati membri e delle istituzioni europee.
Questa relazione esorta gli Stati membri a cooperare con l’Unione europea e con i rappresentanti della comunità rom per sviluppare politiche integrate utilizzando le risorse disponibili all’interno dell’Unione europea previste nei Fondi strutturali al fine di sostenere l’integrazione della comunità rom. È infatti meno oneroso integrare i rom piuttosto che sostenerne le precarie condizioni socio-economiche. L’integrazione armoniosa di questo popolo prevede la partecipazione di tutti, degli stessi rom e delle comunità che li accolgono. Per questo motivo ho sostenuto la relazione.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) L’adozione a stragrande maggioranza della relazione dell’onorevole Járóka è un ulteriore segnale politico a conferma della consapevolezza dell’Unione europea della propria responsabilità nei confronti di questa minoranza etnica, la più grande in Europa e anche la più perseguitata. Il documento mette in evidenza le aree prioritarie che la strategia dovrà contemplare come la lotta per il rispetto dei diritti fondamentali del popolo rom. La strategia dovrà incentrarsi sulla formazione ma anche prevenire l’emarginazione e il perpetrarsi delle disuguaglianze; essa dovrà infine ideare modi innovativi che consentano a questo popolo di accedere al mercato del lavoro e acquisire alloggi adeguati a prezzi accessibili.
La sfida attuale, come si legge nella relazione, è quella di garantire il completo assorbimento dei fondi comunitari facendo in modo che il denaro venga usato a beneficio della popolazione rom. In realtà gli strumenti esistono già ma sono utilizzati particolarmente male.
L’inclusione dei rom è un problema europeo e spetta ora alla Commissione europea elaborare proposte definitive sulla base del nostro voto odierno. Nel rispetto del principio di sussidiarietà l’Unione deve svolgere appieno il proprio ruolo di forza trainante e unire le parti in causa a tutti i livelli in modo da aumentare l’effetto benefico dei fondi comunitari e rendere finalmente i rom cittadini europei a pieno titolo.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − La relazione sull’inclusione dei rom non tiene conto, di fondo, della difficoltà che l’integrazione sociale dei rom incontra qualora si consideri che molto spesso è la stessa comunità rom a non volersi integrare nel tessuto sociale dei nostri paesi.
Non si tratta se non di un fattore culturale che non può essere negato o ignorato: i rom hanno per loro tradizione e costume modi di vita che rendono molto difficile la loro integrazione in ambienti sociali caratterizzati da pratiche, modi di vivere e abitudini assai differenti dalle loro. Resta quindi il fatto che qualsiasi politica per l’integrazione dei rom deve fare i conti con questo ostacolo: la effettiva volontà o disponibilità dei rom a integrarsi.
Al di là delle considerazioni sociologiche, devo ricordare che, date queste e altre difficoltà, le politiche suggerite nella relazione nei confronti delle comunità rom comporteranno un’enorme esborso di finanziamenti da parte dell’UE e degli Stati membri, senza che alla fine si ottenga il risultato sperato. Senza giri di parole, è quello che è successo finora, e non vi sono ragioni per ritenere che la situazione cambi d’ora in poi. Il mio voto è pertanto contrario.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo che i rom che vivono in Europa abbiano bisogno del sostegno dell’Unione europea. La strategia dell’UE sull’inclusione di questo popolo propone di definire standard minimi obbligatori per l’istruzione, l’occupazione, gli alloggi e l’assistenza sanitaria. Una percentuale cospicua di rom europei vive in condizioni molto precarie essendo quasi totalmente staccata dall’economia e di conseguenza esclusa dal godimento dei diritti umani fondamentali. La strategia proposta dal Parlamento europeo dà pertanto priorità all’occupazione e al miglioramento dell’istruzione, della situazione abitativa e della previdenza sociale per questa popolazione. È importante assicurarsi che venga abolita la segregazione dei bambini rom nelle scuole e nelle aule così come incoraggiare i rom a partecipare a tutti i settori della vita pubblica e politica e al lavoro delle organizzazioni non governative. Al fine di garantire l’inclusione di questa minoranza è indispensabile soprattutto che la strategia sia interna all’UE e che la verifica delle aree e degli obiettivi prioritari avvenga in seno alle strutture comunitarie e fornisca una relazione annuale sui progressi della strategia e una valutazione dei risultati.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) I 10-12 milioni di rom dovrebbero godere di standard minimi a livello europeo in modo da poter accedere a lavoro e istruzione. La risoluzione del Parlamento europeo che cerca di influenzare la futura strategia per l’inclusione dei rom offre una maggiore protezione in materia di diritti fondamentali e chiede l’aumento dei finanziamenti comunitari. La Romania conosce perfettamente le difficoltà ma anche l’indolenza di questa minoranza. L’Unione europea deve essere consapevole che esiste un livello molto alto di resistenza al cambiamento all’interno di questo gruppo etnico anche in tema di inclusione sociale. I rom hanno subito discriminazioni nel corso dei secoli ma al contempo si sono anche autoesclusi. La mia è una valutazione equa e bisogna rendersi conto che, molto spesso, le soluzioni che adottiamo sono inadeguate o non vengono comprese da questo popolo.
La futura strategia dell’UE per la minoranza rom deve ovviamente sottolineare il rispetto e la promozione dei diritti fondamentali al lavoro, all’alloggio, alla salute e, in particolare, alla formazione, anche a dispetto delle resistenze da parte dei genitori. Non ci si deve aspettare però che il cambiamento avvenga in fretta: saranno probabilmente necessari diversi passaggi generazionali prima che questa minoranza adotti alcune norme di coesistenza sociale.
Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) Un presupposto essenziale per l’elaborazione di qualsiasi tipo di strategia sensata per l’inclusione dei rom è quello di raccogliere e fornire dati sulla situazione socio-economica di questa popolazione (soprattutto in materia di istruzione, sanità, alloggio e occupazione). Sia gli Stati membri che le organizzazioni internazionali (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’OCSE) dovrebbero quindi concentrarsi su questi temi in modo più specifico e contribuire a fissare obiettivi concreti in relazione, per esempio, alla percentuale della comunità rom che ha completato il ciclo di istruzione secondaria e terziaria, che è impegnata nel servizio civile o che è rappresentata in vari settori della vita sociale e politica. Spetterà poi alla Commissione definire una strategia comunitaria chiara e gestibile per l’inclusione di questo popolo sulla base dei dati raccolti. Potremmo considerare la possibilità di istituire premi in funzione del risultato per la strategia dell’UE sulla minoranza rom nel quadro della politica di coesione. In ogni caso occorrerà elaborare metodi più efficaci per monitorare l’utilizzo di risorse comunitarie destinate specificatamente a gruppi marginali di cittadini.
Ai fini dell’inclusione dei rom forse occorrerà anche usufruire del finanziamento previsto dal programma Progress, da quello di apprendimento permanente, da quello culturale (2007-2013) e da quello di sanità pubblica (2008-2013). In questo contesto la Commissione dovrebbe fornire al Parlamento europeo un elenco dei progetti finanziati a partire dal 2000 dei quali i rom hanno usufruito specificando quali sono stati i risultati conseguiti.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Sono soddisfatta dell’impegno dimostrato dall’Unione europea nella definizione di norme vincolanti che garantiscano l’accesso della comunità rom all’istruzione, al lavoro, all’alloggio e all’assistenza sanitaria. Questa iniziativa è finalizzata non solo a salvaguardare i valori umani inerenti all’inclusione sociale delle minoranze etniche ma anche al progresso economico stimolato dal calo della disoccupazione. Concordo con le misure proposte in questa strategia di integrazione e in particolare con la lotta contro il lavoro sommerso e l’aumento del numero degli insegnanti rom. È importante che la comunità stessa sia inclusa nel processo di integrazione in modo da garantire uno sviluppo sostenibile dall’interno verso l’esterno, incoraggiando il desiderio di un ruolo positivo nella società invece di imporlo. Questo procedimento dovrebbe anche concentrarsi su tutte le forme di violazione dei diritti fondamentali con particolare riguardo all’esclusione sociale e alla discriminazione nella vita pubblica.
Françoise Castex (S&D), per iscritto. – (FR) La questione dell’inclusione dei rom è una grande sfida che l’Unione europea deve raccogliere. Questo rapporto va nella direzione giusta poiché dimostra la volontà del Parlamento europeo di fornire un reale contributo a questo fine.
Nessa Childers (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione poiché credo che i 10-12 milioni di rom europei dovrebbero godere di norme minime vincolanti a livello europeo che agevolino il loro accesso all’occupazione, all’istruzione, all’alloggio e all’assistenza sanitaria. La risoluzione, mirante a influenzare la prossima strategia della Commissione sull’inclusione dei rom, chiede inoltre una maggiore tutela dei diritti fondamentali e un migliore utilizzo dei finanziamenti comunitari. Mi auguro che i governi dell’Unione europea ora rispondano a questo forte messaggio inviato dal Parlamento.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Appoggio la relatrice, l’onorevole Járóka, nella sua difesa di una politica coordinata europea che integra la normativa esistente finalizzata a promuovere l’inserimento dei cittadini europei appartenenti all’etnia rom – che secondo una stima del Consiglio conta tra i 10 e i 16 milioni di persone – e che prevede l’adozione di misure contro il razzismo e la discriminazione. Occorrerebbe anche assicurare l’attuazione e la corretta applicazione di questa politica oltre ad adottare alcune misure per far fronte alle necessità specifiche di questo popolo e promuoverne l’inclusione socio-economica garantendo loro, tra l’altro, il diritto al lavoro, ad un alloggio, all’istruzione e all’assistenza sanitaria.
Oltre all’aspetto umanitario l’integrazione rom dovrebbe anche consentire di aumentare la forza lavoro a sostegno del sistema previdenziale e di ridurre le prestazioni di assistenza sociale e sanitaria garantiti dallo Stato a coloro che vivono in povertà, per non parlare della possibilità di far calare il tasso di criminalità. L’integrazione dovrebbe tenere conto della necessità di tutelare l’infanzia e rispettare la legge. Occorre una soluzione comune europea ad un problema comune dell’Europa che preveda un approccio integrato e intersettoriale e che consenta di fornire aiuti e di avviare un intervento specifico nelle zone più sottosviluppate e in quelle con gravi svantaggi strutturali.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Abbiamo appena approvato a larga maggioranza la strategia dell’UE sull’inclusione dei rom. Si tratta di un segnale politico forte a conferma del fatto che l’Unione europea è consapevole della propria responsabilità nei confronti di questa minoranza che è la più grande in Europa oltre ad essere la più perseguitata. L’UE e gli Stati membri devono opporsi frontalmente al problema della vergognosa segregazione subita da questa minoranza. La relazione in oggetto sottolinea l’importanza del rispetto dei diritti fondamentali dei rom e in particolare di quello di accedere all’istruzione. Al fine di evitare ogni rischio di emarginazione è anche importante attuare politiche innovative di reale accesso all’occupazione e consentire a queste persone, la stragrande maggioranza delle quali è ormai sedentaria, di avere un alloggio decente ed economico. I fondi comunitari ci sono e devono essere usati a vantaggio dei rom. Spetta ora alla Commissione europea redigere le disposizioni definitive sulla base delle proposte contenute in questa relazione, in linea con il principio di sussidiarietà e con un unico obiettivo: far sì che i rom diventino cittadini europei a pieno titolo.
Karima Delli (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Il Parlamento ha approvato un buon testo che sottolinea l’importante ruolo dell’Europa nell’assicurare l’inclusione sociale dei rom all’interno dell’Unione europea mediante l’applicazione di questa strategia a livello locale. La relazione sottolinea che è possibile definire una strategia per i rom solo con la collaborazione dei membri della comunità – in poche parole, dobbiamo lavorare “con”, prima di lavorare “per”. I rom dovrebbero pertanto essere coinvolti in tutti i processi decisionali.
Il testo sottolinea le difficili condizioni di vita della minoranza, le discriminazioni che subisce e le difficoltà di accesso ai servizi che sperimenta oltre ad evidenziare la necessità di garantire il rispetto della libertà di circolazione per tutti i cittadini europei. La relazione si sofferma anche sull’importanza, a livello di inclusione sociale, della tutela sociale, della formazione professionale, dell’istruzione e dei servizi pubblici e denuncia l’insufficienza dei fondi stanziati quando invece il denaro potrebbe essere speso bene. Il vero difetto di questa relazione è però l’insistenza dei conservatori del Parlamento europeo sulla necessità di lottare contro la cosiddetta “dipendenza prolungata” dei rom dal sistema di previdenza sociale: questo è un pregiudizio scandaloso volto ancora una volta a emarginare questa comunità.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Sono lieta che il Parlamento europeo abbia approvato a stragrande maggioranza la relazione Járóka che sostiene la necessità di combattere l’esclusione e la discriminazione dei rom, di promuoverne l’integrazione sociale, culturale ed economica, di tutelarne maggiormente i diritti fondamentali e di utilizzare meglio i fondi europei. Il Parlamento ha definito le sue priorità sulle quali esiste un consenso: chiede un piano d’azione comunitario in questo settore, vuole che i fondi europei vengano sfruttati e propone l’adozione di una mappa delle aree di crisi che evidenzi dove sono concentrate le popolazioni rom. Per quanto riguarda le misure specifiche proposte va ricordata quella relativa all’accesso all’istruzione, una priorità sia per questo popolo che per chiunque altro. Occorrerà inoltre monitorare l’utilizzo dei fondi comunitari per assicurarsi che il denaro raggiunga effettivamente i destinatari.
Il Parlamento ha inoltre chiesto con forza l’istituzione di organismi comunitari sotto la supervisione dell’attuale task force per i rom il cui compito sia quello di fornire l’assistenza finanziaria europea alle iniziative nel settore a livello locale e di individuare e segnalare in tempo utile qualsiasi uso improprio dei fondi. I finanziamenti, inoltre, dovranno essere estesi ai progetti volti a migliorare i servizi pubblici.
Ioan Enciu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione perché penso che una strategia a livello comunitario in materia di integrazione della minoranza rom sia un passo positivo da accogliere positivamente. Questa comunità ha bisogno di particolare attenzione a livello europeo data la persistenza dei problemi di integrazione sociale ed economica e il particolare livello di mobilità dei suoi membri. Credo altresì che occorra impegnarsi maggiormente: strategie e piani di azione per l’integrazione di questa popolazione sono stati e sono disponibili ad ogni livello ma ciò che manca è una corretta applicazione. Questa nuova strategia dovrà essere attuata nel modo più appropriato per avere successo e con questo obiettivo credo che un dialogo strutturato tra le comunità rom, le organizzazioni non governative del settore e gli enti locali debba fornire le basi per l’applicazione futura della strategia.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché credo che l’inclusione dei rom non sia solamente un imperativo morale o un obbligo dell’Unione europea in materia di diritti umani. Alcuni studi dimostrano che l’esclusione di questi cittadini europei ha un costo a livello socio-economico per gli Stati membri. L’inclusione sociale di questa minoranza è un investimento necessario e sul lungo periodo apporterà un beneficio a livello finanziario.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Storicamente i rom sono oggetto di discriminazione e ostilità da parte della maggioranza delle popolazioni degli Stati membri. La discriminazione persiste anche all’interno delle stesse comunità rom e la strategia deve cercare urgentemente di porvi rimedio piuttosto che limitarsi a non nasconderla. Credo che si debba accogliere positivamente una strategia dell’UE per l’integrazione dei rom così come di qualsiasi altra minoranza etnica svantaggiata.
Sono inoltre convinto che la strategia potrà avere successo se sarà supportata dalla partecipazione attiva della stessa popolazione che si propone di integrare. Senza la partecipazione, l’interazione e l’impegno di tutte le parti in causa in uno sforzo comune la strategia rischierà di diventare solamente una dichiarazione di buoni intenti. Resta ancora molto da fare per invertire la tendenza alla discriminazione dei rom e spero che il successo della strategia possa alla fine giustificare la lentezza con cui il fenomeno verrà eliminato.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) La relazione riguarda lo sviluppo di una strategia dell’UE per l’inclusione dei rom. Si tratta di un documento molto utile e incoraggiante che è stato compilato congiuntamente dalla Commissione e dal Parlamento e le sue raccomandazioni sono in linea con gli obiettivi fissati nella strategia Europa 2020 in materia di riduzione della povertà e di lotta contro l’esclusione sociale finalizzati a favorire una crescita inclusiva in tutta l’Unione europea. La popolazione rom, a differenza di altri gruppi etnici, ha un alto dinamismo demografico e si ritiene che in alcuni paesi come l’Ungheria essa costituirà più del 50 per cento della popolazione economicamente attiva entro il 2050. L’integrazione dei rom è quindi un imperativo non solo a livello etico, essendo una questione di diritti umani, ma anche ai fini della sostenibilità dei sistemi di previdenza sociale dal momento che è stato dimostrato che sul lungo periodo non rappresenta un costo ma piuttosto un investimento necessario ed economicamente redditizio. A volte i costi dell’esclusione sono superiori a quelli dell’inclusione qualora si considerino i benefici che quest’ultima comporta. Accolgo con favore l’adozione di questa relazione e anche la raccomandazione che esorta la Commissione a vigilare e a controllare che gli Stati membri si conformino alla strategia.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La risoluzione che abbiamo approvato auspica l’adozione di una strategia comunitaria per l’integrazione dei rom insieme allo sviluppo di un piano d’azione inclusivo basato sui valori fondamentali di uguaglianza, di esercizio dei diritti, di non discriminazione e di parità. Lo scopo è quello di garantire che la comunità rom abbia realmente accesso alla formazione, all’occupazione, all’alloggio, alla sanità e alla cultura. Il riferimento ai programmi e ai finanziamenti europei che possono essere utilizzati per l’integrazione sociale ed economica di questa minoranza è opportuno, dato che tali programmi sono sottoutilizzati. Questa risoluzione riveste un’importanza ancora maggiore in quanto è risaputo che i rom hanno subito una discriminazione deplorevole e inaccettabile in alcuni paesi comunitari come la Francia e altri Stati membri.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Siamo consapevoli del fatto che i rom subiscono una discriminazione in vari paesi dell’UE. Di recente vi sono stati problemi in Francia e in altri Stati comunitari e la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente con il pretesto della crisi economica e sociale. La relatrice, una deputata di origine rom, ha quindi cercato di sensibilizzare il Parlamento sulla situazione.
In questo contesto la risoluzione approvata oggi sostiene che la Commissione dovrebbe proporre, e il Consiglio adottare, una strategia comunitaria che incoraggi l’integrazione dei rom come un piano d’azione a livello europeo. Tale strategia dovrebbe essere sostanziale e inclusiva a diversi livelli oltre a basarsi sui valori fondamentali di uguaglianza, di esercizio dei diritti, di non discriminazione e di parità tra uomini e donne.
Va ricordato al contempo che esistono programmi e finanziamenti europei che possono essere utilizzati per l’integrazione sociale ed economica di questo popolo ma si dovrà migliorare la comunicazione a tutti i livelli se si vuole che tali strumenti vengano utilizzati bene. L’obiettivo è quello di garantire che la comunità rom possa accedere realmente alla formazione, al lavoro, alla casa, alla sanità e alla cultura.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la gestione delle problematiche della minoranza etnica più numerosa d’Europa necessita di pragmatismo, piuttosto che di un falso buonismo. Si parla dell’attribuzione alla minoranza Rom di tutta una serie di diritti che moltissimi cittadini possono avere soltanto grazie ai sacrifici quotidiani. Non ritengo una strategia europea una scelta condivisibile visto che il fenomeno presenta delle differenze abissali tra uno Stato membro e un altro. Alcuni Paesi si trovano in una situazione di oggettiva difficoltà, mentre altri non sono toccati se non minimamente dal fenomeno. Motivo per cui, ritengo più efficace l’applicazione del principio di sussidiarietà. Per queste ragioni, non sono intenzionato ad offrire il mio appoggio al testo presentato.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Di rado una relazione del Parlamento europeo ha rasentato maggiormente la follia. La strategia per l’inclusione dei rom significa promozione sistematica di una piccola popolazione in tutto e dappertutto, quote obbligatorie in tutti i settori, inclusi gli organismi e le imprese preposti a prendere decisioni e il finanziamento pubblico sistematico di qualsiasi bisogno presunto, compreso l’alloggio. Naturalmente si ritiene che questa minoranza sia spesso vittima di discriminazione malevola e nessuno ha mai messo in discussione le proprie responsabilità. Va detto che la relatrice stessa fa parte di questa minoranza a dimostrazione del fatto che quella popolazione non è poi tanto oppressa. Francamente ritengo che sia un po’ come affidare a un cinese il compito di definire la politica di protezione commerciale europea.
Tornando al tema in oggetto mi chiedo quali altri cittadini europei vittime di povertà e insicurezza ed esclusi, nel proprio paese, dalla possibilità di usufruire dei benefici sociali già concessi ad altri in via prioritaria suscitino in voi la stessa profonda preoccupazione. È nella discriminazione sistematica dei cittadini europei e a loro spese che vanno ricercati i motivi del crescente rigetto dell’apparto di Bruxelles.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Questa settimana il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza una relazione sulla strategia dell’UE per l’inclusione dei rom: si tratta di un segnale politico forte a conferma del fatto che l’Unione europea è consapevole della propria responsabilità nei confronti di questa minoranza etnica che è la più grande in Europa oltre ad essere la più perseguitata. La relazione sottolinea i settori prioritari di questa strategia: i diritti fondamentali, le disuguaglianze, la lotta contro la discriminazione, l’istruzione, l’accesso all’occupazione, il mercato del lavoro, l’accesso all’alloggio e così via. Questi sono tutti aspetti su cui è necessario intervenire. Da parte mia, in seno alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni ho sottolineato la necessità di prestare particolare attenzione ai bambini e ai minori nel redigere la strategia. La relazione sottolinea anche il cattivo utilizzo dei fondi europei disponibili per l’inclusione dei rom: ritardi e oneri amministrativi, un grado di consapevolezza insufficiente, la mancanza di coinvolgimento da parte delle autorità locali e così via sono tutte difficoltà a cui gli Stati membri, le autorità locali, le parti interessate e chiunque altro devono affrontare al fine di garantire il completo assorbimento dei fondi europei preposti. La strategia dovrà in seguito essere modellata da ciascuno Stato membro e sarà pertanto valutata a livello locale.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) La questione dell’inclusione dei rom è un problema sostanzialmente europeo e questo è il motivo per cui l’UE deve risalire alla radice stessa della discriminazione subita dalla comunità rom battendosi contro gli stereotipi al fine di garantire parità di accesso all’occupazione, all’alloggio, alla sanità e all’istruzione. Sono quindi lieta che il Parlamento europeo abbia affrontato nuovamente questo tema e abbia approvato la relazione, volta a fornire spunti di riflessione alla Commissione. Il documento denuncia l’uso improprio, da parte degli Stati membri, dei fondi europei che dovrebbero essere finalizzati a progetti di inclusione dei rom. Mi auguro che la Commissione prosegua su questa strada e obblighi gli Stati membri a rendere conto pubblicamente di come utilizzano questi fondi.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questo documento anche se credo che la relazione avrebbe dovuto essere respinta. Al momento non è necessario rafforzare una strategia finalizzata a un solo gruppo; occorre piuttosto definire una strategia di emergenza efficace che cerchi di risolvere il problema della migrazione legale e illegale in modo da assicurare, soprattutto, la stabilità economica, l’occupazione, la sicurezza, l’ordine pubblico e la giustizia a tutti i cittadini europei che appartengono ad uno Stato membro sotto l’aspetto demografico, culturale, tradizionale, storico ed economico.
Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. – (RO) L’approccio europeo al problema dei rom è stato, ed è tuttora inadeguato. La relazione redatta dall’onorevole Járóka e dalla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni con il contributo di altre commissioni associate dovrebbe dare nuovo impulso alla strategia per l’integrazione dei rom che attendiamo dalla Commissione il mese prossimo.
Credo fermamente che noi tutti siamo desiderosi di avviare un vero cambiamento a sostegno della comunità rom e di offrire loro tutti i presupposti per l’inclusione sociale: è per questo che dobbiamo concentrarci sugli strumenti politici e finanziari che abbiamo a disposizione ed intervenire direttamente in settori chiave come l’istruzione e la salute.
È inoltre essenziale avviare una cooperazione a tutti i livelli, da quello europeo a quello locale, perché, in assenza di azioni concertate, tutte le risorse vanno sprecate. I rom devono essere coinvolti nel processo di istituzione delle politiche e questo è il motivo per cui vanno trovate soluzioni che ci consentano di entrare in contatto con coloro che fungono da collegamento tra il livello decisionale e quello attuativo.
Occorre infine riconoscere l’importanza del messaggio insito in questa relazione senza dimenticare che abbiamo già inviato molti messaggi e che ora è giunto il momento di agire concretamente.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) I rom sono una delle più ricche nazioni del mondo sotto l’aspetto culturale e la loro presenza conferisce varietà al paesaggio di molti paesi diversi tra loro. Gli stereotipi e la discriminazione danneggiano questa minoranza e purtroppo non aiutano a stabilire il dialogo che sarebbe invece necessario. Viviamo fianco a fianco e dobbiamo almeno accettarci a vicenda per mettere fine al fenomeno dell’esclusione. A tale scopo è necessario sostenere l’istruzione in modo che non vi siano ostacoli all’inserimento dei piccoli rom accanto agli altri bambini che studiano nelle scuole europee. È inoltre necessario appoggiare le iniziative che permetteranno ai rom di iniziare un’attività professionale legittima e di ambientarsi più facilmente nel paese in cui vivono. Abbiamo paura di ciò che non conosciamo e se apprenderemo qualcosa in più sulle ricchezze della cultura e dei costumi rom l’integrazione di questo popolo sarà sicuramente più rapida.
Timothy Kirkhope (ECR), per iscritto. – (EN) Il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei sostiene senza riserve l’inclusione e l’integrazione del popolo rom negli Stati membri e nell’Unione europea. Assicurare parità di accesso al settore dei servizi pubblici e al mercato del lavoro eliminando la discriminazione è un requisito essenziale per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro razza, etnia o cultura di appartenenza. Sosteniamo inoltre con forza le finalità della relazione in materia di fondi comunitari che dovrebbero essere spesi e stanziati meglio a pieno sostegno del popolo rom. Riteniamo però che alcuni temi su cui si sofferma la relazione quali la salute, l’istruzione e l’occupazione dovrebbero essere regolamentati dagli Stati membri.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, il voto di oggi, a sostegno della risoluzione sulla strategia dell’UE per l’inclusione dei Rom, può rappresentare, per i Paesi dell’Unione, uno stimolo utile a sostegno della non discriminazione, nonché un incentivo per la messa in campo di strumenti di tutela nei confronti dei Rom. Quanto affermato vale, in particolare, per le categorie più deboli, in conformità a quanto sostenuto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Ritengo che l’individuazione di strumenti economici incisivi sia l’ulteriore obbiettivo da raggiungere per l’attuazione di una seria e concreta politica di inclusione della comunità Rom. La risoluzione in questione, che tratta una problematica di particolare rilevanza, anche per il mio Paese, mira dunque ad una concreta integrazione dei Rom, in grado di consentire una reale partecipazione alla vita economica, sociale e culturale dei paesi in cui essi sono stanziati, a condizione, aggiungo, del totale rispetto dei principi e delle norme giuridiche dello Stato ospitante. Infine, sostengo la sollecitazione fatta alla Commissione in ordine all’assunzione di un ruolo guida per la realizzazione di un coordinamento strategico unitario, in partenariato con gli Stati membri, attraverso l’istituzione di una task force quale organismo permanente responsabile della supervisione e del coordinamento della materia.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore di questa relazione perché essa guarda con grande attenzione alla complessità della questione della comunità rom in Europa. Mi spingerei ad affermare che quando la maggior parte di questi problemi sarà risolta lo saranno anche molte delle questioni che la società europea si trova oggi ad affrontare. Desidero solo ricordare il modo in cui i Fondi strutturali potrebbero essere utilizzati a sostegno delle priorità della strategia dell’UE per l’inclusione dei rom. Credo che occorra stanziare concretamente dei fondi per lo sviluppo economico e sociale di queste comunità. Quando gli interventi ricevono un sostegno inadeguato sotto il profilo finanziario e quando non si prevede un periodo di tempo sufficiente a ottenere il risultato che si intende raggiungere allora gli effetti che si ottengono non sono quelli che ci si aspetta. Ciò che serve sono giuste priorità, una spesa intelligente dei fondi e un impegno politico poiché in loro assenza le risorse finanziarie andranno sprecate. Dopo la relazione attendo con interesse i prossimi passi che la Commissione vorrà intraprendere e mi auguro che questa strategia possa fornire il valore aggiunto necessario per realizzare un’iniziativa europea a sostegno dell’inclusione dei rom.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore questa relazione sulla situazione dei rom, il gruppo più emarginato nell’Unione europea. La risoluzione prevede iniziative concrete volte a migliorare l’istruzione, la salute e il benessere di questa comunità oltre a prevedere misure per agevolare il loro accesso al mercato del lavoro e ad alloggi accettabili. Il documento offre a questo popolo l’opportunità di integrarsi meglio nella società.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Questa risoluzione, ancora una volta, contiene solo parole. Mi fa piacere che il testo denunci i discorsi di incitazione all’odio razziale, il profiling etnico, il rilevamento illegale di impronte digitali nonché lo sfratto e l’espulsione illegittimi. Sono tuttavia contrario alle pillole amare che siamo costretti ad ingoiare in questo processo – mi riferisco ai pieni poteri della Commissione in questa materia, alla stigmatizzazione dei rom in un testo che pretende di difenderli, alla concorrenza sul mercato del lavoro e ai poli di competitività. Questo approccio confuso è inaccettabile.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea è uno spazio di solidarietà e di inclusione e quindi deve fare quanto necessario per prevenire la discriminazione contro i rom e per assicurare loro gli stessi diritti in materia di educazione, occupazione, sanità e alloggio in tutti gli Stati membri e in quelli che intendono aderire all’Unione. I rom dovrebbero preoccuparsi dei bambini cui viene impedito di andare a scuola, dei bambini e delle donne costretti a chiedere l’elemosina, dell’accattonaggio adottato come scelta di vita e del rifiuto del lavoro per ricorrere, invece, ai sistemi di previdenza sociale di paesi terzi. Vanno adottate misure decisive per porre fine alla discriminazione. Se tuttavia vogliono perseguire questo obiettivo i rom non possono autoescludersi: devono invece contribuire alla propria integrazione nello spazio europeo, dove l’inclusione è auspicabile.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Ho votato a favore della relazione sulla strategia dell’UE per l’inclusione dei rom che sottolinea la necessità di preparare una strategia comunitaria per la tutela e l’integrazione di questo popolo oltre a invitare gli Stati membri ad adottare e a rafforzare le leggi contro la discriminazione – mi riferisco tra l’altro alla discriminazione multipla – in tutti i settori della vita in modo da garantire, tutelare e promuovere i diritti fondamentali, l’uguaglianza, la non discriminazione e il diritto alla libera circolazione. Ritengo inoltre che si debba avviare azioni di sensibilizzazione pubblica sia nei confronti dei rom che di altri popoli in modo da eliminare gli ostacoli discriminatori.
Louis Michel (ALDE), per iscritto. – (FR) Oggi circa 10-12 milioni di rom hanno bisogno di misure europee che promuovano la loro integrazione sociale, culturale ed economica. Questo popolo ha subito e continua a subire sistematicamente discriminazioni, esclusione, violazioni dei diritti umani e stigmatizzazione. La relazione che abbiamo appena approvato è un passo importante verso l’adozione di misure volte a ridurre l’emarginazione, la povertà e l’esclusione sociale.
C’è tuttavia ancora molto da fare per prevenire la discriminazione. Anche se la discriminazione fondata sull’origine etnica può essere eliminata, l’esclusione socio-economica della maggior parte di questo popolo resta una dura realtà. Molti rom in Europa sono tagliati completamente fuori dall’economia e vivono in condizioni di tale miseria che non possono godere dei diritti fondamentali.
Credo inoltre che l’inclusione di questa minoranza dovrebbe iniziare fin dalla prima infanzia con l’inserimento dei bambini nel registro della popolazione, prevedendo la loro possibilità di accedere a un’istruzione di qualità e un’assistenza occupazionale per i loro genitori. La Commissione deve introdurre norme minime vincolanti a livello comunitario che richiedano la partecipazione delle autorità locali, nazionali e anche europee.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (EN) I settori in cui è richiesto uno sforzo comunitario maggiore nel processo di inclusione dei rom sono prioritari per l’UE. Purtroppo esistono problemi per quanto concerne l’istruzione, l’assistenza medica e l’estremo isolamento di queste persone. La relazione invita la Commissione a presentare un piano strategico per l’introduzione di norme minime vincolanti a livello comunitario per queste priorità e a prevedere sanzioni per gli Stati membri che non rispettano gli obiettivi. Anche se non sono certo che l’iniziativa nel suo complesso possa avere successo ho votato a favore.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) I rom e i sinti – utilizzo i termini politicamente corretti anche se alcuni membri di questi gruppi etnici li ritengono peggiorativi e chiedono di essere chiamati “zingari” – vivono in qualche misura in condizioni terribili. Non bisogna sottovalutare il fatto che il mancato miglioramento delle condizioni di vita è anche collegato alle tradizioni di questi gruppi, alle quali essi continuano ad aggrapparsi. In un tipico atteggiamento buonista da diversi anni si cerca di far integrare queste persone ma tali tentativi sono tutti falliti perché non sono stati accettati dalla maggioranza di questa popolazione nomade. L’Unione europea ha stanziato 12 miliardi di euro per l’integrazione delle minoranze per il periodo fino al 2013 ma è emerso già con sufficiente chiarezza che, nel caso dei rom e dei sinti, il denaro andrà sprecato.
Sia la struttura dei clan che il fatto che le autorità non abbiano diritto di intervenire da sempre fanno sì che non si possa interrompere questo circolo vizioso. La strategia programmata non solo non riuscirà a cambiare nulla di significativo ma potrebbe persino trasformarsi in un autogol in alcuni settori come quello della non discriminazione. La relazione non evidenzia in alcun modo il fatto che non esiste il diritto di inclusione nel sistema di previdenza sociale. Per questi motivi respingo con forza la relazione.
Claudio Morganti (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho voluto dare il mio voto negativo a questa relazione poiché non vedo alcuna necessità per cui l’Unione europea dovrebbe impegnare ingenti risorse per favorire l’inclusione dei Rom. In una situazione di crisi e difficoltà generale si vuole spingere sull’acceleratore per garantire finanziamenti specifici e condizioni agevolate in numerosi ambiti per la popolazione Rom.
Questa etnia è storicamente rimasta isolata in Europa, e spesso non per volontà altrui, ma per loro stessa natura; sono volutamente rimasti ai margini per poter continuare a vivere secondo i loro propri dettami, che ben lontani sono dai comuni valori e sentimenti europei. Piuttosto cha ad una strategia specifica per l’inclusione dei Rom a livello europeo, mi piacerebbe che a livello europeo ci si impegnasse invece ad esempio in una vera ed efficacie strategia comune per l’immigrazione, che appare sempre più indispensabile e non più rinviabile.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Avere una strategia europea sui rom è senza dubbio una necessità assoluta in quanto questa popolazione è una minoranza europea che, per il suo modo di vivere, è caratterizzata da un grado molto elevato di mobilità transfrontaliera. Ho votato a favore della risoluzione in oggetto soprattutto perché essa sottolinea quanto possano influire un’istruzione e una formazione di alta qualità nella vita personale e professionale: l’istruzione rappresenta quindi la soluzione migliore per garantire l’integrazione dei rom nella società.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) A fronte del rapido invecchiamento di gran parte della società comunitaria si registra un parallelo aumento dell’etnia rom. In Ungheria, dove i rom attualmente rappresentano tra il 6 e l’8 per cento della popolazione complessiva, questo gruppo entro il 2050 supererà il 50 per cento della popolazione attiva. È quindi un peccato che l’esistenza dei rom nell’Unione europea sia caratterizzata, come sempre è avvenuto, dalla disoccupazione, da un livello di istruzione notevolmente inferiore alla media, dalla criminalità organizzata e dalla prostituzione, nonché dal ritirarsi dei rom in una società parallela. La condizione delle donne nella società rom, spesso arcaica, è particolarmente drammatica e la mancanza di istruzione e l’esclusione dal mercato del lavoro sono ancora più gravi. Bisogna riconoscere che la relazione oggi al vaglio affronta alcuni problemi ma lo fa unilateralmente. L’integrazione non è una strada a senso unico: questa minoranza deve dare il suo contributo, mandare i figli a scuola, integrarsi meglio nel mercato del lavoro e porre fine alle tendenze criminali. Ho pertanto votato contro la relazione.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa relazione poiché ritengo che occorra urgentemente cambiare una situazione che, nel XXI secolo, consente che una parte significativa dei 10-12 milioni di rom che vivono in Europa subisca discriminazioni e isolamento economico e sociale. La strada verso l’integrazione è un processo lungo e complicato da adattare alle condizioni di singoli paesi e regioni. La strategia dell’Unione europea dovrebbe garantire obiettivi chiari e strumenti per il finanziamento dei programmi. Gran parte della responsabilità ricade sui governi nazionali e sulle autorità locali che conoscono meglio la situazione della regione. L’istruzione, l’assistenza sanitaria, le politiche abitative e l’inserimento più rapido dei rom nel mercato del lavoro rappresentano la chiave per risolvere un problema di lunga data. Se i cittadini rom dell’Unione non riusciranno ad integrarsi adeguatamente nelle società degli Stati membri comunitari ciò invierebbe un segnale negativo in tema di politica di integrazione europea nel suo complesso.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − L’Unione europea lavora oramai da anni a problemi relativi all’integrazione sociale e alla tutela delle minoranze. La relazione della collega Járóka sulla strategia per l’inclusione sociale dei Rom propone un piano d’azione per la loro integrazione socio economica in vista di un progetto europeo che definisca le strategie nazionali per affrontare il problema, anche sulla base dei costi che ogni Stato membro dovrà affrontare. Ho votato a favore della relazione proprio per questo: si ha bisogno di un nuovo quadro giuridico europeo con misure per combattere la discriminazione e tutelare i diritti umani, per integrare i Rom nei vari Paesi europei con un progetto che garantisca loro istruzione e coperture sanitarie.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Oggi ho votato a favore della relazione del Parlamento europeo sulla strategia dell’UE per l’inclusione dei rom. L’integrazione di questa minoranza nella società è un problema molto importante che riguarda, nel complesso, tutti gli Stati membri e in particolare la Grecia dove, in base ad alcuni studi effettuati dall’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea, il 35 per cento dei rom è analfabeta e solo il 4 per cento ha frequentato la scuola per almeno dieci anni. L’aspetto chiave ai fini dell’inclusione è la scolarizzazione e l’abolizione della segregazione nelle scuole. Oltre ad assicurare un’adeguata assistenza sanitaria e pari opportunità di impiego è compito degli Stati membri verificare che i fondi comunitari destinati a questa minoranza siano effettivamente utilizzati a beneficio dei rom.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (EN) Sappiamo che 10-12 milioni di rom europei continuano a subire sistematicamente gravi discriminazioni nel campo dell’istruzione (sono vittime, in particolare, di segregazione), dell’assegnazione di alloggi (essi subiscono sgomberi forzati e sono costretti a vivere in condizioni di degrado e spesso in ghetti), dell’occupazione (con un tasso di occupazione particolarmente basso) e della parità di accesso ai sistemi sanitari e ad altri servizi pubblici, oltre ad avere un livello di partecipazione politica sorprendentemente basso. La strategia dell’UE per l’inclusione dei rom dovrebbe contemplare misure volte ad assicurare il monitoraggio della situazione di questo popolo in materia di rispetto e promozione dei diritti sociali fondamentali, di uguaglianza, di non discriminazione e di libera circolazione all’interno dell’Unione europea oltre a fornire istruzione, opportunità di formazione e assistenza occupazionale agli adulti, aspetti cruciali per favorire il reclutamento e la continuità dell’attività lavorativa dei rom e per evitare il perpetrarsi dell’esclusione sociale.
La Commissione e gli Stati membri dovrebbero considerare le esigenze particolari delle donne rom, adottando una prospettiva di genere in tutte le politiche di inclusione di questo popolo e fornendo protezione ai sottogruppi particolarmente vulnerabili. Chiedo pertanto alla Commissione di presentare annualmente al Parlamento europeo un aggiornamento sulla strategia dell’UE per l’inclusione dei rom al fine di monitorare i progressi compiuti a livello nazionale.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione incentrata sulla necessità di affrontare efficacemente i problemi e le sfide relative alla delicata questione dell’integrazione delle comunità rom.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione parlamentare Járóka sulla strategia dell’Unione in materia di inclusione dei rom è stata votata nella commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni il 14 febbraio. In tale occasione la maggior parte degli emendamenti presentati dal gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea è stata accolta dalla relatrice oppure inclusa negli emendamenti di compromesso, così come sono state inserite molte delle linee di demarcazione alla questione presentate dal gruppo. La strategia per l’inclusione dei rom dovrebbe infatti essere condotta dall’interno, essere progettata dai rom per i rom per dare potere a questo popolo coinvolgendolo nel processo decisionale, assumendo personale/mediatori rom in posizioni chiave a livello locale, nazionale e comunitario e ponendo fine alle pratiche illegali tuttora esistenti che lasciano impuniti gli Stati membri dell’Unione. Mi riferisco alla violenza contro i rom, alle violazioni del diritto alla libera circolazione, alla crescente attività dei partiti politici, dei politici e delle politiche estremisti, alla segregazione sistematica dei bambini rom nelle scuole, alla loro diffusa segregazione residenziale, alla tratta di esseri umani, all’esclusione dai servizi sanitari e sociali e alla sterilizzazione forzata delle donne rom.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, il prossimo 6 aprile la Commissione europea presenterà la propria comunicazione sull’inclusione delle persone Rom. Questa tematica è anche indicata come una priorità dal governo ungherese, attuale Presidente di turno del semestre europeo. La risoluzione del Parlamento rileva la necessità di una maggiore integrazione da parte delle popolazioni Rom nella società moderna.
Personalmente ritengo che siano queste popolazioni a doversi adattare alla nostra società e non costringerci ad adottare politiche di favore che spesso producono risultati opposti rispetto alle aspettative. L’ignoranza, la mancanza di cultura e l’analfabetismo significano spesso mancanza di futuro. Senza istruzione è quindi impossibile avere un ruolo attivo nella società. Le difficoltà che incontrano i Rom nel trovare un lavoro sono spesso la conseguenza del loro basso livello di istruzione e questo elemento conferma che il settore educativo è il fondamento per costruire un futuro proprio.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione è assolutamente inaccettabile in quanto ribadisce più volte che l’inclusione dei Rom è una necessità economica e che agli Stati membri porterebbe vantaggi finanziari, propone una task force per i Rom quale organo permanente della Commissione e denuncia una discriminazione sistematica e un livello intollerabile di esclusione e violazione dei diritti umani.
La relazione sottolinea altresì la necessità di una strategia comune europea per combattere ogni forma di violazione dei diritti dei Rom, inclusa la rilevazione delle impronte digitali e l’espulsione. Prevede di imporre penalità ai governi nazionali che non rispettano standard comunitari obbligatori a favore della popolazione Rom, di favorire l’assunzione dei Rom nell’amministrazione pubblica, assumere insegnanti Rom nelle scuole in modo da proteggere la loro cultura attraverso l’uso della loro lingua. E come ultimo dispregio della libertà di parola chiede di condannare il rifiuto e la discriminazione dei Rom durante i comizi dei politici. È evidente che una relazione assolutamente offensiva e lesiva dei diritti dei popoli di essere padroni a casa propria non può che ricevere un voto contrario.
Olga Sehnalová (S&D), per iscritto. – (CS) Qualsiasi strategia europea per l’inclusione dei rom deve basarsi, innanzi tutto, sulla conoscenza delle condizioni locali. È quindi inconcepibile stabilire una strategia senza avviare una stretta collaborazione con le autorità locali e con le comunità interessate e il documento dovrà tradursi in coesistenza quotidiana tra la maggior parte della società e la comunità rom. La relazione non trascura questo aspetto e ho quindi votato a favore.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) I rom sono costretti a subire una discriminazione sistematica in Europa e ad affrontare esclusione, violazioni dei diritti umani e stigmatizzazione. Mi auguro che, votando oggi a favore dell’introduzione di norme minime vincolanti 10-12 milioni di rom potranno accedere più facilmente al mondo del lavoro, all’istruzione, agli alloggi e all’assistenza sanitaria. È positivo che la relazione inviti a cercare le misure più opportune assieme alle parti in causa. Il documento sottolinea ulteriormente il ruolo primordiale della politica regionale. Gli Stati membri, dopotutto, dispongono di fondi destinati al processo di integrazione dei rom ma utilizzano di rado queste risorse. Sta quindi agli Stati membri assumersi le proprie responsabilità.
Un altro aspetto positivo della relazione consiste nell’idea che la Commissione debba introdurre criteri di assegnazione che favoriscano gli Stati membri adempienti e li sanzioni in caso di inadempienza. L’unico aspetto negativo è il riferimento alla “dipendenza prolungata” dei rom dal sistema di previdenza sociale. Si tratta di un’idea conservatrice e preconcetta che emargina ancora una volta la comunità rom. Spero che la Commissione integri la relazione in oggetto nella sua proposta che dovrebbe presentare il 5 aprile e che, secondo quanto previsto, dovrebbe essere adottata dal Consiglio prima dell’estate. L’integrazione dei rom è una delle priorità della presidenza ungherese.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho sostenuto la relazione che mira a combattere la discriminazione dei rom e invita gli Stati membri a elaborare politiche per la loro integrazione nel mercato del lavoro. Il popolo rom è uno dei gruppi più emarginati dell’Unione ed è per questo che dobbiamo fare in modo che si intervenga per contrastare l’esclusione sociale che tale popolo è costretto a subire.
Alexander Alvaro (ALDE), per iscritto. – (DE) Nella votazione sulla relazione Lange, mi astengo sul paragrafo 31, che si riferisce agli Eurobond e ai Project bonds, a causa della formulazione ambigua. Voto comunque a favore della relazione nel suo complesso in quanto non ho nulla contro i Project bonds in quanto tali, che rappresentano una fonte di finanziamento per grandi progetti di innovazione, infrastrutture e reindustrializzazione. Non si tratta infatti di strumenti per la comunitarizzazione dei debiti, come è invece il caso degli Eurobond.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché la politica industriale costituisce una priorità per la strategia Europa 2020 nonché la principale forza trainante dell'economia europea. Questo settore è oggetto di grande attenzione in quanto rappresenta tre quarti delle esportazioni europee, offre posti di lavoro a 57 milioni di persone e corrisponde all'80 per cento delle spese di ricerca e sviluppo. Se l'Europa vuole essere competitiva in questo ambito, ritengo necessario insistere con il sostegno a progetti basati sulla conoscenza, ecocompatibili e innovativi.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa importante relazione su una politica industriale per l'era della globalizzazione. La crisi economica globale ha colpito l'industria europea. Per poter superare gli effetti della crisi e far fronte alle sfide, all'UE serve quindi un approccio di politica industriale in grado di coniugare competitività, sostenibilità e lavoro dignitoso e nel contempo di stimolare l'economia, rilanciare l'occupazione, ridurre il degrado ambientale e migliorare la qualità della vita. Sono d'accordo con l’invito alla Commissione e agli Stati membri perché sviluppino una strategia industriale dell'UE che sia ambiziosa, eco-efficiente e verde, al fine di ricreare la capacità produttiva in tutto il territorio dell'UE e di generare posti di lavoro altamente qualificati e ben pagati all'interno dell'UE. Il Parlamento europeo rileva la notevole importanza delle PMI nel paesaggio industriale, in particolare per garantire posti di lavoro durevoli a livello regionale e per salvaguardare il dinamismo creativo ed economico, nonché un elevato livello di crescita. È pertanto necessario continuare ad adoperarsi per un migliore accesso alle possibilità di finanziamento per le PMI ed in particolare sviluppare valide possibilità per i capitali di rischio e, nell'ambito della nuova architettura del mercato finanziario, rafforzare le possibilità di finanziamento per le PMI – sia a breve che a lungo termine – nonché le loro fonti di finanziamento privilegiate; aprire i mercati e creare eque precondizioni di concorrenza, permettendo a un numero di maggiore di imprenditori e piccole società di crescere e assumere dimensioni paneuropee.
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. – (RO) La crisi economica globale ha colpito l'industria europea, ostacolandone l’adattamento alle sfide poste dalla transizione verso un sistema basato sulla conoscenza e l'efficienza, che produce forte impatto sullo sviluppo industriale e sul mercato del lavoro. Per essere in grado di affrontare queste sfide, ritengo necessario un approccio di politica industriale in grado di coniugare competitività, sostenibilità e lavoro dignitoso e nel contempo di stimolare l'economia, rilanciare l'occupazione, ridurre il degrado ambientale e migliorare la qualità della vita all’interno dell’Unione europea. Questa relazione sostiene il progresso industriale attraverso una regolamentazione intelligente e orientata verso il futurononché stimolando il mercato, sulla base di precise aspettative per i suoi sviluppi; sostiene inoltre le tendenze globali verso forme pulite, sostenibili e innovative di produzione, distribuzione e consumo. Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo che il successo della politica industriale dell'Unione europea dipenda dal suo fermo ancoraggio a una nuova architettura del settore finanziario, che promuova gli investimenti e impedisca la speculazione, nonché a una politica macroeconomica che orienti le politiche fiscali, economiche e di bilancio all’interno dell’UE verso la crescita sostenibile e la creazione di occupazione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) In Europa la deindustrializzazione è un dato di fatto. La posizione tecnologica ed economica dell'Europa messa in discussione dalla crescente globalizzazione e dall’intensa concorrenza di paesi che si sviluppano rapidamente. L'Unione europea deve quindi adottare una politica industriale in grado di coniugare competitività, sostenibilità e lavoro dignitoso. Gli obiettivi sono i seguenti: stimolare l'economia, rilanciare l'occupazione, ridurre il degrado ambientale e migliorare la qualità della vita. Questo è il fulcro della risoluzione, che ha ricevuto il mio appoggio. In particolare, sono a favore dell’emissione di obbligazioni europee al fine di consentire all'UE di finanziare l'innovazione, le infrastrutture e la reindustrializzazione.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) In Europa 57 milioni di persone sono impiegate nel settore industriale, che rappresenta inoltre il 75 per cento delle esportazioni europee. Questo comparto apporterà un contributo fondamentale alla competitività dell'UE in futuro. Accolgo con favore i contenuti della strategia UE 2020 circa la promozione di posti di lavoro e opportunità di formazione di alta qualità e circa l’assistenza e il sostegno allo sviluppo della base industriale: ho quindi ho votato a favore della relazione.
Poiché sono le PMI che creano due terzi dei posti di lavoro nel settore, guardo con favore alle proposte, avanzate nella relazione, sull’accesso delle piccole imprese agli appalti pubblici e sul loro ruolo nel miglioramento della politica industriale.
Le PMI devono godere di un migliore accesso al Programma quadro e ricevere assistenza e supporto per il trasferimento tecnologico e l’innovazione. Concordo con il relatore sul fatto che l'UE debba sviluppare e incoraggiare cluster innovativi a livello regionale. I vantaggi principali di questi cluster stanno nella capacità di trasferire conoscenze, sviluppare attività di ricerca, qualificazioni e infrastrutture nonché stimolare le opportunità di lavoro su scala regionale.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa relazione. L'Unione europea è il più grande mercato del mondo eppure non stiamo sfruttando il nostro considerevole potenziale. Siamo un mercato molto aperto, che deve però affrontare enormi ostacoli nell'accesso ai mercati esteri. Il mercato unico, che risulta incompleto in settori come l'energia, ci costringe a sottostare alle condizioni dettate da soggetti esterni, incidendo indirettamente sulla nostra competitività. La vitalità dell’industria dipende da quelle delle nostre piccole e medie imprese, che, nonostante le misure approvate, attraversanoun periodo difficile. Sono d'accordo sul fatto che oggi l'innovazione si trova al centro dell'industria, ma su questo fronte non possiamo esattamente vantarci di saper reagire con tempestività alle mutevoli condizioni del mercato globale. A mio avviso, oggi abbiamo una visione bilanciata e completa dell'industria: adesso gli Stati membri e la Commissione europea dovranno fare la propria parte per assicurare che le nostre ambizioni conducano alla creazione di un'industria moderna e competitiva.
Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) L'industria europea, che è ancora alle prese con le conseguenze della crisi economica, richiede un approccio coordinato a livello di UE per gestirle. Occorre elaborare una strategia industriale per l'UE individuando i settori strategici di investimento e, in un momento successivo, integrando tali priorità nelle future prospettive finanziarie, nei bilanci annuali e nelle politiche dell'UE. Lo sviluppo dell'industria europea non sarà possibile senza finanziamenti ambiziosi, soprattutto nei settori della ricerca, dell’energia, delle telecomunicazioni e delle reti di trasporto (TEN) nonché nei servizi pubblici, che sostengono l'ambiente imprenditoriale. A mio parere, tuttavia, non è né necessario né opportuno iniziare a questo scopo l'emissione di obbligazioni dell'UE (Eurobonds o Project bonds). L'UE non è un’entità politica sovrana, e quindi le sue entrate devono essere costituite fondamentalmente dai contributi degli Stati membri. Oltretutto l'idea degli Eurobond comporta un accumulo di debito e potrebbe essere incompatibile con il principio del pareggio di bilancio europeo. Il sostegno finanziario per l'innovazione, le infrastrutture e la reindustrializzazione deve basarsi principalmente sull’incremento delle risorse per l’Ottavo programma quadro per la ricerca, lo sviluppo, la competitività e l'innovazione, affinché l'industria europea rimanga competitiva a livello globale utilizzando in modo efficace anche gli investimenti privati.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) L'Europa scopre oggi di essere diventata meno competitiva sui mercati mondiali; deve dunque trovare il modo di rafforzare la propria base industriale per affrontare le nuove sfide. La relazione su una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione mira a presentare proposte per il rilancio dell'industria europea. Una politica industriale integrata e sostenibile deve basarsi sulla ricerca scientifica, sull'innovazione, sulla maggiore efficienza delle risorse, su una strategia per le materie prime, sul rafforzamento delle piccole e medie imprese e sullo sviluppo di reti regionali. In particolare, è essenziale che l'efficienza energetica e l'introduzione di tecnologie dell'informazione e della comunicazione diventino il fondamento di questa rivoluzione industriale, in modo da accrescere la competitività, la crescita economica e l'occupazione. Apprezzo in particolar modo l'accento posto sull’industria europea tradizionale, che è essenziale per la nostra economia. Sono di cruciale importanza misure come l'introduzione di nuove tecnologie e un maggiore impegno nella ricerca scientifica e nell'innovazione in settori quali il comparto manifatturiero. Questo è l'unico modo per poter riportare l'industria europea a una posizione di prominenza su scala mondiale.
Françoise Castex (S&D), per iscritto. – (FR) La politica industriale è essenziale per l'Unione europea, e questa relazione rappresenta un'opportunità per la Commissione europea: la comunicazione iniziale era stata deludente. Il lavoro del Parlamento consiste nel avanzare proposte concrete alla Commissione, che questa deve prendere in esame. La relazione dovrebbe essere collegata alle proposte adottate questa settimana dal Parlamento europeo, riunito in plenaria, in particolare la tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo e l’emissione di obbligazioni europee (Eurobond). Le nostre politiche devono dimostrare la compatibilità tra l’innovazione sociale e quella tecnologica.
Jorgo Chatzimarkakis (ALDE), per iscritto. – (DE) Nella votazione sulla relazione Lange, mi astengo sul paragrafo 31, che si riferisce agli Eurobond e ai Project bonds, a causa della formulazione ambigua. Voto comunque a favore della relazione nel suo complesso in quanto non ho nulla contro i Project bonds in quanto tali, che rappresentano una fonte di finanziamento per grandi progetti di innovazione, infrastrutture e reindustrializzazione. Non si tratta infatti di strumenti per la comunitarizzazione dei debiti, come è invece il caso degli Eurobond.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) L'Europa deve senza dubbio sviluppare una strategia industriale europea a lungo termine. Non possiamo essere l'unica area economica del mondo che applica unilateralmente i principi del libero scambio senza avere la minima idea delle scelte dei nostri principali concorrenti. La Commissione europea deve rendersi conto che, con la crisi, le regole vigenti non sono più adatte al contesto economico attuale e che è il momento di rafforzare seriamente gli strumenti dell'Unione europea per la difesa contro il dumping nonché di applicare il principio generale di reciprocità negli scambi commerciali. L'UE ha bisogno di una strategia europea che funga da motore di grandi progetti industriali come Galileo e ITER. Deve altresì sostenere i propri settori produttivi e la propria base industriale, composta dalle PMI. Occorre promuovere e incrementare investimenti in ricerca e sviluppo, al fine di mantenere il proprio primato nel campo dell'alta tecnologia. Allo stesso modo, è necessario intensificare la lotta contro la contraffazione e proporre una politica aggressiva per i brevetti a livello europeo.
Karima Delli (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Questo testo non brilla per qualità visto che è il risultato di un compromesso molto ampio tra i deputati. Contiene elementi molto positivi per il gruppo Verde/Alleanza libera europea, ma anche alcune idee che abbiamo cercato invano di denunciare. Ad ogni modo, il vantaggio principale è che consente ai deputati di esprimere un parere alquanto progressista sull’iniziativa faro, dedicata all’industria, della strategia UE 2020.
Il testo invita quindi a rendere più sostenibili i sistemi di trasporto attraverso soluzioni tecnologie, di interoperabilità e di mobilità innovativa che siano più efficienti. Sottolinea la necessità di collocare l'energia e il risparmio delle risorse al centro della politica industriale europea. A tale proposito, ricorda l'enorme potenziale occupazionale e i benefici in termini di riduzione dei costi che, secondo le attese, i miglioramenti dell’efficienza energetica dovrebbero produrre.
L'adozione di misure che assicurino il potenziamento dell'efficienza energetica deve quindi accomunare le iniziative intraprese in tutti i settori industriali. I deputati hanno inoltre cercato di incoraggiare tutti gli sforzi compiuti per superare la penuria di competenze, al fine di promuovere la qualificazione della forza lavoro e rivalorizzare l’industria presso i giovani diplomati.
Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) L’industria crea quasi un terzo del PIL dell'UE e dà lavoro a 57 milioni di cittadini europei, mentre i prodotti industriali rappresentano tre quarti delle esportazioni. Già prima della crisi in atto l'industria europea stava attraversando un processo di ristrutturazione. Al momento attuale è influenzata soprattutto dai rapidi cambiamenti dell'economia globale, nonché dall’aumento della concorrenza. Nasce una nuova forma di globalizzazione, che condurrà a una società globale basata sulla conoscenza, la ricerca e l’innovazione. La necessità di mitigare il cambiamento climatico e preservare i massimi livelli di biodiversità spinge il settore verso una produzione che azzeri le emissioni di ossido di carbonio e sfrutti le risorse in maniera efficiente. L'industria europea deve mantenere la propria posizione strategica in settori chiave e sfruttare le opportunità di ripresa sostenibile in modo da garantire il maggior numero possibile di posti di lavoro per i lavoratori qualificati. Il relatore propone una serie di misure per rendere possibili tali obiettivi. Concordo e sostengo la creazione di una filiera dell’innovazione, una maggiore efficienza nell'uso delle risorse, un utilizzo più efficace degli appalti pubblici, soprattutto per le piccole e medie imprese, una maggiore produzione della cosiddetta energia pulita e, in generale, un più ampio coinvolgimento delle PMI nell’industria europea. La relazione porta benefici all'industria europea e il relatore comprende realmente il problema: voto quindi a favore della sua approvazione.
Ioan Enciu (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo che rappresenti la strada da seguire per una politica industriale forte, coesa e basata sull’occupazione, a beneficio della forza lavoro europea. La ricerca e lo sviluppo rappresentano un fattore fondamentale per l'innovazione e il commercio, e costituiranno una delle pietre angolari della politica industriale dell'UE. Ritengo che l'industria svolga un ruolo chiave nel tutelare l'occupazione in Europa e per questo dobbiamo intensificare gli sforzi al fine di mantenere una base industriale forte, diventare l'economia più competitiva del mondo e assicurare fitte reti tra le imprese dei diversi Stati membri al fine di raggiungere priorità industriali condivise. Alcuni dei miei emendamenti, inclusi nella relazione, chiedono che i tempi di commercializzazione dei nuovi prodotti vengano accorciati, che la produzione europea rafforzi le basi dell'economia del continente e che i programmi di finanziamento per l'industria siano semplificati.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché condivido l'idea che solo una strategia industriale ambiziosa ed efficiente dal punto di vista ambientale sia in grado di rinnovare e stimolare la capacità produttiva in Europa, nonché di conquistare un ruolo centrale nella creazione di posti di lavoro altamente qualificati e adeguatamente retribuiti all’interno dell'UE.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Attualmente l'Europa sta attraversando una crisi senza precedenti, dovuta anche ma non esclusivamente al bilancio; non possiamo tuttavia dimenticare il ruolo di rilievo dell’industria, che rappresenta il 37 per cento del PIL europeo e che si trova ad affrontare le sfide di un mondo globalizzato in cui le economie emergenti – oltre agli Stati Uniti – adottano politiche industriali aggressive basate su ingenti investimenti in ricerca e sviluppo nei settori chiave, in concorrenza con l'Europa e senza i medesimi vincoli ambientali, sociali e nel mercato del lavoro. Non esiste un rimedio miracoloso. Malgrado i suoi numerosi aspetti positivi, la strategia Europa 2020 non è una bacchetta magica per l'industria europea in un mondo in cui la concorrenza è globale e feroce.
Ritengo pertanto che l'unica strada per l'industria europea sia specializzarsi e impegnarsi definitivamente a favore della qualità e di tecnologie all’avanguardia, razionalizzando al tempo stesso i costi e garantendo una maggiore efficacia della gestione. I prodotti europei dovranno essere scelti non perché sono meno costosi – cosa che non accadrà mai – ma perché sono migliori e più innovativi. Ciò potrà accadere solo grazie all'eccellenza dell'industria europea. Ci auguriamo di essere all’altezza della sfida.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L'importanza dell'industria europea è indiscutibile. Rappresenta tre quarti delle esportazioni, un terzo del valore aggiunto lordo dell'UE e un terzo dell'occupazione. Per quanto dinamica, l’industria non è sfuggita alla crisi economica e deve essere in primo piano nell'agenda politica europea che questa relazione propone. La politica industriale deve infatti trovarsi in cima alle nostre priorità, poiché incide sul futuro, crea posti di lavoro e promuove gli investimenti nella produzione. Nondimeno ci pone anche davanti ad alcune sfide: come possiamo garantire la sostenibilità delle risorse di fronte ai cambiamenti climatici? L'UE ha bisogno di una politica industriale coerente, che trasmetta fiducia alle imprese e le aiuti a superare la crisi. Deve promuovere un'industria moderna che sia efficiente, riduca i costi energetici e le emissioni di anadidride carbonica, sia ecologicamente responsabile, competitiva e che si impegni per la ricerca, l'innovazione e il riciclaggio delle materie prime. Non possiamo infatti dimenticare che la politica industriale è anche una politica sociale, ed è per questo che voto a favore della relazione. Desidero però richiamare l'attenzione sulla necessità di rafforzare il sostegno alle piccole e medie imprese, il principale datore di lavoro nel settore privato dell'Unione europea, e sull’esigenza di applicare il marchio di origine.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa è un’altra relazione piena di contraddizioni. Da un lato, contiene alcuni aspetti positivi che apprezziamo, poiché difende l'industria e le piccole e medie imprese. La presenza di un'industria moderna ed efficiente che crei posti di lavoro e sia eco-sostenibile rappresenta un importante strumento di sviluppo per ciascun paese e ciascuna regione. L'attuale quadro delle politiche dell'UE, i cui aspetti più negativi sono andati peggiorando nel corso degli anni, non favorisce tuttavia un impegno di questo tipo. Sono stati invece promossi lo smantellamento di importanti centri produttivi, la deindustrializzazione, l'eliminazione di posti di lavoro e la crescente dipendenza in innumerevoli paesi e regioni. La liberalizzazione e le politiche di deregolamentazione del commercio su scala internazionale costituiscono uno dei capisaldi di questo quadro politico e contribuiscono in modo determinante alla situazione attuale. La relazione insiste nondimeno nel sostenere tali politiche. Le appoggia ignorandone gli effetti. Insiste inoltre sul sacrosanto principio della “libera concorrenza” e sulla piena attuazione del mercato interno, entrambi propaggini del suddetto quadro, sui partenariati pubblico-privato e anche sulle sinergie tra investimenti civili e militari. Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica ha cercato di eliminare gli aspetti più negativi della relazione, pur mantenendo quelli positivi. Purtroppo, tutte le proposte sono state respinte dalla maggioranza in Parlamento. Ecco perché abbiamo votato a sfavore.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Purtroppo, non è stato accolto alcuno dei nostri emendamenti, volti a eliminare gli aspetti più negativi della relazione. Abbiamo quindi espresso voto contrario nella votazione finale sulla risoluzione del Parlamento.
Come ho già detto nella discussione in plenaria, anche se la relazione contiene aspetti positivi, rimangono molte posizioni contraddittorie. Mentre, da un lato, la relazione sostiene la difesa dell'industria e delle piccole e medie imprese (PMI), dall’altro contiene proposte che insistono sulla liberalizzazione degli scambi e sulla libera concorrenza, sul consolidamento del mercato interno, sui partenariati pubblico-privato e anche sulle sinergie tra investimenti civili e militari.
Vorremmo industrie efficienti in termini di utilizzo delle risorse e meno dipendenti dalle emissioni di carbonio, che valorizzino il lavoro dignitoso e garantiscano pari diritti per le donne in termini di accesso al lavoro, alla promozione, a un’equa retribuzione e agli organismi dirigenziali e amministrativi.
Specie in ambiti come la politica industriale, il commercio estero, la finanza, la ricerca, la scienza e l’innovazione, sosteniamo politiche diverse, che aiutino le PMI, e condividiamo l’impegno a favore della formazione e qualificazione della forza lavoro nonché della dignità dei lavoratori.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione dell'onorevole collega Bernd Lange su una politica industriale per l'era della globalizzazione sviluppa temi di grande importanza come quelli che riguardano l'accesso al credito per le imprese, sopratutto per le PMI. Apprezzo in particolare il concetto di collegare il mondo industriale a quello dell'università per dare così stimolo alle università europee, richiamando in questo modo gli obiettivi dell'EU 2020. Per questo motivo esprimo voto favorevole.
Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la strategia Europa 2020 ha riconosciuto la necessità di definire una nuova politica industriale, al fine di preservare una base industriale europea solida e sostenibile.
Un'industria forte e prospera è infatti un fattore chiave per la crescita dell'Unione europea ed è quindi indispensabile creare un quadro quanto più favorevole per il suo sviluppo, nell'attuale contesto di globalizzazione e di intensa concorrenza internazionale. A questa relazione va senza dubbio riconosciuto il merito di aver fornito un bilancio dettagliato della politica industriale, alla luce della crisi economica che ha fortemente colpito il settore e di aver dato diversi spunti per rilanciare concretamente l'industria europea.
Ritengo in tal senso importante che gli obiettivi politici delineati dall'iniziativa faro presentata lo scorso 28 ottobre dal Commissario Tajani si traducano in azioni concrete quali, ad esempio, il rafforzamento e l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, un migliore accesso al credito e l'affermazione di un nuovo modello di innovazione industriale. Oltre a ciò, l'Europa deve assumersi il rischio di incrementare la produttività con idee nuove, investendo maggiormente nella ricerca, che deve rappresentare il nuovo motore di rilancio dell'eccellenza europea.
Adam Gierek (S&D), per iscritto. – (PL) Il mercato globale sta reagendo per soddisfare le richieste del modello di consumo che si è già formato nelle società altamente sviluppate e in via di sviluppo. Emerge tuttavia una competitività “ad ogni costo”, e con questo intendo una competitività che non è influenzata soltanto dallo spirito di innovazione dell'industria o da cambiamenti nel modello di consumo.
Possiamo includere quanto segue nell’elenco dei fenomeni negativi che accompagnano la competitività: un modello di consumo, imposto dall’industria, che sperpera energia e materie prime; una concorrenza basata non sulla superiorità dei metodi utilizzati ma sulla supremazia finanziaria delle ricche aziende monopolistiche; una competitività frammentaria, che si interessa solo della fase finale di lavorazione, e l’assenza della competitività lorda, ossia quella che tiene conto della preparazione delle materie prime e dei materiali per la produzione; il controllo delle materie prime e dei mercati energetici esercitato da parte di multinazionali, spesso non europee; gli aumenti dei prezzi dell'energia e, di conseguenza, anche delle materie prime a causa delle disposizioni che impongono agli Stati membri dell'Unione europea un sistema di scambio delle emissioni; la concorrenza sleale creata principalmente dalle grandi aziende multinazionali, tra cui le società finanziarie.
Considero questa relazione un buon punto di partenza per un’importantissima discussione sul futuro dell’industria competitiva in Europa, e quindi dell’Europa stessa: per questo motivo ho votato a favore della sua adozione.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Mi rammarico che questa relazione non sia stata messa all’ordine del giorno in precedenza, ad esempio quando Bruxelles denunciava la creazione di “campioni” industriali o quando la Mittal ha effettuato un’offerta pubblica di acquisto ostile su Arcelor, privando l'Europa di quanto era rimasto della sua lavorazione di ferro e acciaio. Da decenni l'Unione europea si impegna a distruggere il nostro tessuto industriale e i posti di lavoro nel comparto, attraverso le politiche europee settoriali, di concorrenza e di libero scambio, che tutti voi qui avete sistematicamente lodato, sostenuto e promosso. A fronte del disastro, si sta ora timidamente arrivando a quanto il Fronte nazionale propone da lungo tempo: riconoscere la centralità di una base industriale, sviluppare i settori strategici, proteggersi dalla concorrenza sleale e sostenere la penetrazione di mercati esteri, garantire e salvaguardare gli approvvigionamenti di materie prime, regolamentare le OPA, assoggettare le politiche della concorrenza a requisiti strategici, socio-economici e di pubblico servizio, offrire sostegno pubblico ai settori emergenti e innovativi e via dicendo.
Ciononostante, ormai è tardi e l’Europa, che si aggrappa alle proprie fondamenta ideologiche ultraliberali, non rappresenta certo il miglior livello per prendere decisioni e attuare tali politiche.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Concordo con questa relazione, perché l'industria europea rappresenta circa un terzo del valore aggiunto lordo dell'UE, i beni industriali costituiscono quasi tre quarti delle esportazioni europee e un terzo dell'occupazione, dando da vivere a quasi 57 milioni di persone. La recente devastante crisi economica ha colpito l'industria europea, dimostrandone l'importanza per l'economia dell'UE e mettendo in evidenza che non è stato fatto abbastanza per soddisfarne appieno le esigenze, a fronte di un contesto difficile. La crescita della produzione manifatturiera è scesa al livello più basso degli ultimi due decenni: alcune industrie europee sono permanentemente in crisi a causa della concorrenza sleale dei paesi terzi, in particolare sul fronte dei rapporti di lavoro, dell'ambiente e della tutela della proprietà intellettuale e industriale. Stati Uniti, Giappone e Cina perseguono una politica industriale vigorosa e attiva, sorretta da prodotti e servizi all'avanguardia: si corre il rischio che l'industria europea venga lasciata indietro. La conduzione di una politica industriale integrata e sostenibile nell'UE dovrebbe essere basata sui seguenti aspetti fondamentali: la necessità di costruire una catena di innovazione che colleghi la ricerca scientifica con le applicazioni pratiche, il più efficace utilizzo delle risorse e il miglioramento della produzione di energia pulita.
Dobbiamo far sì che l’UE vari strategie in grado di prevedere cambiamenti di lungo termine e perseguire una politica dell’istruzione che soddisfi i bisogni del mercato del lavoro. Nella crisi in atto è necessario combattere la diffusione dell'economia sommersa e del lavoro nero occasionale, che falsano la concorrenza; sono state inoltre avanzate proposte per facilitare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici.
Silvana Koch-Mehrin (ALDE), per iscritto. – (DE) Nella votazione sulla relazione Lange, mi astengo sul paragrafo 31, che si riferisce agli Eurobond e ai Project bonds, a causa della formulazione ambigua. Voto comunque a favore della relazione nel suo complesso in quanto non ho nulla contro i Project bonds in quanto tali, che rappresentano una forma di finanziamento per grandi progetti di innovazione, infrastrutture e reindustrializzazione. Non si tratta infatti di strumenti per la comunitarizzazione dei debiti, come è invece il caso degli Eurobond.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, cari colleghi, ritengo il voto di oggi un importante passo in avanti verso l'uscita dalla crisi economico finanziaria che ha colpito l'Europa e le sue industrie. La risoluzione riguarda, infatti, un settore chiave, che necessita di essere supportato pienamente al fine di permettere all'Unione europea di attuare una politica industriale che accompagni al raggiungimento di alti livelli produttivi, lo sforzo verso un rinnovamento sostenibile e competitivo. Credo in tal senso utile il riferimento alla strategia EU2020, che deve fungere da faro guida per la piena implementazione delle priorità dell'azione europea, attraverso ingenti investimenti nel settore dell'innovazione e della ricerca, necessari per la crescita e lo sviluppo dell'Europa. Nel complesso considero buono il lavoro svolto dal relatore, che è riuscito a sintetizzare gli spunti e i suggerimenti provenienti da oltre 500 emendamenti, mettendo a punto una relazione che condivido e supporto, eccezion fatta per il brevetto europeo. Credo, infatti, che la scelta di dare vita ad una cooperazione rafforzata, in un settore di strategica importanza, quale quello della proprietà intellettuale, non sia una decisione corretta e foriera di conseguenze positive per l'industria europea.
Bogusław Liberadzki (S&D), per iscritto. – (PL) La politica industriale nell'era della globalizzazione sta diventando un grande problema per l'Unione e per i singoli Stati membri. Il tentativo di minimizzare i costi di produzione e i prezzi sta causando la scomparsa della produzione industriale dell'Unione: le fabbriche vengono trasferite al di fuori dell'UE, mentre le lavorazioni vengono importate. Ne derivano effetti nocivi quali la perdita della capacità di sviluppo industriale, la formazione e l’innovazione sul piano tecnico, e, di conseguenza, la dipendenza da altri paesi. Interi settori dell'industria stanno scomparendo, come la cantieristica in Polonia. I requisiti ambientali più rigorosi introdotti solo nell’UE e la tolleranza verso le pratiche di dumping da parte dei produttori asiatici accelerano la deindustrializzazione dell'Europa. C’è bisogno di una politica oculata che permetta all'Europa di conservare il proprio carattere industriale.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) La recente crisi economica ha confermato che le PMI costituiscono ancora il motore dello sviluppo economico e sociale, svolgendo un ruolo chiave nella promozione della competitività economica e creando posti di lavoro. Accolgo con favore questa relazione e ritengo che gli strumenti europei di sostegno della competitività debbano essere rivisti e rafforzati, con l'obiettivo di snellire le procedure amministrative e agevolare l'accesso delle PMI ai finanziamenti. È inoltre assolutamente necessario introdurre meccanismi innovativi di incentivazione, basati sul raggiungimento degli obiettivi legati a una crescita intelligente e sostenibile che combini tutti gli aspetti. Occorre inoltre promuovere una più stretta cooperazione con le istituzioni finanziarie: uno dei principali strumenti per finanziare i progetti di innovazione delle piccole e medie imprese è il meccanismo del “Risk Sharing Financial Facility” (RSFF), attivabile attraverso la Banca europea per gli investimenti (BEI). Per garantirne il successo, la Commissione europea deve tuttavia stanziare somme molto più ingenti, anche attraverso le risorse destinate all’innovazione del Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), nonché promuovere gli investimenti privati diretti e nuovi meccanismi di finanziamento per progetti innovativi ad alto rischio e per quanti vedano la partecipazione delle PMI.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Sono d'accordo con questa relazione: l'unico mezzo per rafforzare la capacità concorrenziale e la sostenibilità dell'industria europea e per mantenere così la sua leadership mondiale è una strategia dell'UE che promuova risorse umane forti e qualificate con un grande potenziale di creatività e coinvolgimento attivo nell’innovazione e nello sviluppo. Tale strategia deve altresì promuovere tecnologie/processi/soluzioni nuovi e innovativi che generino valore aggiunto; una R & S calibrata alle esigenze dello sviluppo sostenibile; deve inoltre permettere un’efficiente catena di forniture per la produzione di beni e servizi di elevata qualità; una maggiore efficienza nell’organizzazione del sistema produttivo e gestionale; una maggiore efficienza nell’uso delle risorse risorse a livello generale che porta a ridurre l’impronta ecologica; modi di trasporto efficienti in termini di costo e sostenibili; una logistica intelligente ed efficiente e infrastrutture di elevata qualità; un mercato interno unico consolidato e pienamente operativo; la parità di condizioni, infine, nelle relazioni commerciali con i paesi terzi.
Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) La relazione su una politica industriale per l'era della globalizzazione è un documento importante nel quadro della crisi che ha colpito l'economia europea e, in particolare, la produzione industriale. La relazione non affronta però la questione principale, la vera causa degli enormi problemi economici: il capitalismo globale della libera concorrenza e il neoliberismo sfrenato su cui purtroppo si basa l'UE. Non serve che la Commissione continui a sfornare (letteralmente) altri documenti strategici; l’UE deve invece modificare urgentemente i propri fondamenti e, in particolare, deve progredire verso un'unione sociale e pacifica con un settore finanziario regolamentato. Dato che stiamo discutendo un documento “strategico” di questo genere, l'esperienza dimostra che produrli non è difficile quanto articolarli successivamente nei singoli ambiti, oltre a seguire e valutare in modo flessibile gli effetti delle misure proposte. Lo dimostra ad esempio il settore dei diritti di proprietà intellettuale, compresi i diritti industriali.
Gesine Meissner (ALDE), per iscritto. – (DE) Nella votazione sulla relazione Lange, mi astengo sul paragrafo 31, che si riferisce agli Eurobond e ai Project bonds, a causa della formulazione ambigua. Voto comunque a favore della relazione nel suo complesso in quanto non ho nulla contro i Project bonds in quanto tali, che rappresentano una fonte di finanziamento per grandi progetti di innovazione, infrastrutture e reindustrializzazione. Non si tratta infatti di strumenti per la comunitarizzazione dei debiti, come è invece il caso degli Eurobond.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L'industria europea rappresenta circa un terzo del valore aggiunto lordo dell'UE, mentre quasi tre quarti delle esportazioni europee e un terzo dell'occupazione dipendono dal settore industriale. Genera inoltre un effetto moltiplicatore, il che significa che ad ogni posto di lavoro nel settore industriale ne corrispondono all’incirca altri due nel settore dei servizi connessi. Considerato questo, la rilevanza del settore industriale per le economie degli Stati membri non è contestabile, ma la crisi economica ha messo in dubbio l'importanza di questo settore, a detrimento del settore finanziario e di quello dei servizi. È giunto il momento di rivedere questa situazione e di tornare a investire fortemente in questo ambito. L'industria europea procede verso la specializzazione e verso l'impegno per la qualità dei propri prodotti e le tecnologie più avanzate. La produzione delle nostre industrie deve distinguersi per innovazione e qualità, non per il prezzo.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Non dobbiamo trascurare il rilevante settore economico dell'industria per poter rimanere competitivi a fronte dei cambiamenti dell’economia mondiale. Bisogna sia incoraggiare sia esigere condizioni di lavoro umane, considerando che la concorrenza dei paesi emergenti come Cina, India e Brasile si acuisce sempre più e, di conseguenza, cresce la pressione sul mercato interno dell’UE. Sostenibilità e crescita sono due parole d'ordine spesso citate, soprattutto in riferimento alla politica industriale, ma la loro attuazione è gravemente a rischio, in particolare per la mancanza di risorse disponibili. Mi astengo perché sono del parere che le misure proposte non saranno in alcun modo sufficienti a garantire la leadership mondiale dell'Europa nel settore industriale.
Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché l'industria europea è stata duramente colpita dall’attuale crisi economica. Nel mondo attuale vi è una grande concorrenza nell’industria e, di conseguenza, il settore industriale deve rimanere competitivo e innovativo, promuovere l’innovazione e una leadership sul piano della qualità e delle tecnologie. Occorre migliorare le infrastrutture e il trasferimento di tecnologie ad alto livello, favorendo l’attuazione fra aziende. Dobbiamo altresì fare quanto in nostro potere per garantire che le risorse esistenti (i minerali) vengano utilizzati in modo appropriato all'interno dell'Unione europea, evitandone l’esportazione al di fuori dei confini dell'UE e arrestando la formazione di oligopoli in ambito commerciale. Gli aiuti europei non dovrebbero essere destinati alle soluzioni rapide, ma agli investimenti orientati al futuro, che si concentrino sulla creazione di nuovi posti di lavoro, in modo che ogni cittadino abbia un posto di lavoro nel proprio paese. Meritano una particolare attenzione le cosiddette regioni a rischio, che hanno un basso livello di sviluppo industriale o un elevato livello di disoccupazione. Di conseguenza è necessario promuovere l'introduzione di tecnologie, parchi industriali e scientifici e gruppi aziendali. Queste organizzazioni sono particolarmente importanti per creare e sviluppare attivamente tecnologie all’avanguardia e garantire lo sviluppo economico e la modernizzazione, creando al tempo stesso nuovi posti di lavoro. Bisogna incoraggiare le PMI a investire nei cluster, oltre a creare un ambiente favorevole alle imprese e a ridurre gli oneri amministrativi. Una burocrazia radicata impedisce lo sviluppo industriale e danneggia la competitività dei prodotti creati.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Cari colleghi, ho votato a favore della relazione del collega Lange perché di pari passo con la Strategia Europa 2020 l'UE deve lavorare per uno sviluppo energetico e un miglior sfruttamento delle risorse al fine di garantire innovazione. Il testo sulla politica industriale per l'era della Globalizzazione elenca proprio questi obiettivi: l'innovazione industriale e una semplificazione della legislazione esistente, ponendo al centro il cittadino e il ruolo delle piccole Medie Imprese, cuore pulsante dell'economia europea. Alle PMI vanno garantite agevolazioni e maggiore accesso ai finanziamenti. È importante sottolineare il mezzo tramite il quale definire una politica industriale dinamica e all'avanguardia, e ,cioé i fondi strutturali che, se utilizzati nel modo corretto, saranno la base della crescita europea.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) L'industria europea rappresenta circa un terzo del valore aggiunto lordo dell'UE, mentre quasi tre quarti delle esportazioni europee riguardano beni industriali e i lavoratori occupati dal settore, un terzo del totale, ammontano a 57 milioni. Si consideri inoltre il suo effetto moltiplicatore, per cui ad ogni posto di lavoro nell'industria ne corrispondono all’incirca altri due nel settore dei servizi connessi. Ci sono 15 elementi chiave: costruire una catena di innovazione; aumentare l'efficienza delle risorse; definire obiettivi chiari per prodotti sostenibili; ricorrere agli appalti pubblici; incrementare la produzione di energia pulita; elaborare una strategia convincente delle materie prime; riorientare il commercio verso una coesistenza equa e una produzione sostenibile; formulare una politica industriale settoriale vincolante; coinvolgere le PMI; sviluppare aree regionali di intervento; prevedere le trasformazioni industriali; ristrutturare; migliorare le qualifiche; ampliare la partecipazione dei lavoratori al processo decisionale; infine, varare politiche a lungo termine.
La politica industriale dell’UE deve essere orientata verso un rinnovamento base industriale che sia al tempo stesso sostenibile, eco-efficiente e competitivo a livello mondiale, e verso una transizione sostenibile da un’industria basata principalmente sulla produzione a un'industria basata sulla conoscenza; una politica che si impegni decisamente ad investire nell’UE e a stabilire partenariati strategiche tra le imprese dell'Unione.
Fiorello Provera (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, con questa relazione il Parlamento sottolinea temi importanti che meritano di essere sottolineati nella prospettiva di crescita dell'industria europea. Mi riferisco al riconoscimento del ruolo strategico delle piccole e medie imprese e alla necessità di agevolare l'accesso al credito con procedure di finanziamento semplificate, nonché all'importanza dell'internazionalizzazione come fattore chiave per la competitività.
Decisivo inoltre il collegamento dell'innovazione al mondo industriale attraverso rapporti costanti tra imprese e università, proponendo anche la commercializzazione dei risultati e l'incoraggiamento all'uso. Per questo motivo sostengo i contenuti e le proposte della relazione del collega Lange.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) La recente crisi economica e finanziaria ha messo in evidenza l'importanza dell’industria per l'economia dell'UE. È dunque importante riconoscere la necessità di un approccio integrato alla politica industriale che coniughi competitività, sostenibilità e lavoro dignitoso e nel contempo stimoli l'economia, rilanci l'occupazione e garantisca la tutela ambientale. L'industria europea si trova infatti ad affrontare numerose sfide ed è quindi fondamentale che ci si impegni a investire in nuove tecnologie e soluzioni, nella formazione del personale, nell'efficienza dei sistemi di produzione e dei modelli di gestione oltre che nel rafforzamento delle PMI.
Evelyn Regner (S&D), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore perché sono convinta che l'Europa abbia assoluta necessità di una politica industriale integrata, soprattutto di fronte alle nuove sfide poste dalla globalizzazione; è quindi necessario sviluppare ulteriormente la politica industriale, che funge da volano per l'occupazione sostenibile e la prosperità sociale. Un posto di lavoro nel settore industriale ne crea almeno altri due. La posizione dell'Europa in materia di politica industriale viene messa sempre più a repentaglio dalla crescente industrializzazione dei paesi emergenti e dal rafforzamento dei nostri principali concorrenti, quali gli Stati Uniti e la Cina. Dobbiamo quindi svilupparci maggiormente; a tal fine, occorre però assicurare il rinnovo della nostra base industriale e l’adozione di iniziative in settori specifici. Dobbiamo altresì garantire, in termini più ampi, la competitività dell'Europa a livello globale e la crescita sostenibile dell'industria europea. La relazione chiede anche una politica industriale integrata basata sull'ambiente, sulla concorrenza e sulla politica commerciale, al fine di migliorare l'efficienza delle risorse. Evidenzia inoltre l'importanza di una collaborazione costruttiva con i lavoratori e le organizzazioni sindacali, oltre a sottolineare la necessità di migliorare il coordinamento tra l'UE e gli Stati membri. Ritengo che tali misure siano assolutamente necessarie. Il testo dispone che l'ulteriore sviluppo della politica industriale venga affrontato con l'ambizione e la prudenza necessarie.
Britta Reimers (ALDE), per iscritto. – (DE) Nella votazione sulla relazione Lange, mi astengo sul paragrafo 31, che si riferisce agli Eurobond e ai Project bonds, a causa della formulazione ambigua. Voto comunque a favore della relazione nel suo complesso in quanto non ho nulla contro i Project bonds in quanto tali, che rappresentano una fonte di finanziamento per grandi progetti di innovazione, infrastrutture e reindustrializzazione. Non si tratta infatti di strumenti per la comunitarizzazione dei debiti, come è invece il caso degli Eurobond.
Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo votato oggi in Plenaria la relazione "Politica industriale per l'era della globalizzazione" dell'onorevole Bernd Lange. L'industria europea rappresenta circa un terzo del valore aggiunto lordo dell'UE, con quasi tre quarti delle esportazioni europee composte di beni industriali, e un terzo dell'occupazione, che fa vivere circa 57 milioni di persone. Se si conta il suo effetto moltiplicatore, per cui ogni posto di lavoro nell'industria crea circa due altri posti di lavoro supplementari nei servizi connessi, il suo impatto sull'occupazione è ancora più sostanziale.
Inoltre la politica industriale europea va orientata sia verso il rinnovamento sostenibile, competitivo ed ecoefficiente a livello mondiale della base industriale, sia verso una transizione sostenibile da un'industria soprattutto produttiva verso quella basata sulla conoscenza. L'integrazione di tutte le politiche dell'Unione a combinare tutti gli aspetti che hanno un impatto sul settore è fondamentale. Il rapporto d'iniziativa del collega Lange sulla politica industriale ricalca la posizione espressa dalla comunicazione del Commissario all'industria Antonio Tajani, con nuovi spunti volti all'importante rinnovamento del settore industriale dopo la crisi economica.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il Parlamento ha appoggiato oggi una serie di iniziative per promuovere la competitività dell'industria europea. Apprezzo la constatazione che, per affrontare la crisi e le sfide della globalizzazione, l'efficienza energetica e le risorse devono costituire il fondamento del rinnovamento industriale in Europa. La Commissione deve fare della sostenibilità il fulcro della cosiddetta “prova di concorrenzialità” e dei “controlli di idoneità”, che attuerà nell’ambito delle sue iniziative per il miglioramento della regolamentazione. La relazione chiede giustamente sistemi di produzione industriale a ciclo chiuso e un incremento della produttività delle risorse, della sostenibilità, del riutilizzo, del riciclaggio e della rigenerazione delle risorse.
Il testo invoca inoltre l’introduzione di strumenti che favoriscano lo sviluppo e la crescita di PMI eco-innovative come pure lo sviluppo di parchi eco-industriali. È importante allineare la politica industriale dell'UE con gli obiettivi di politica energetica e climatica. I verdi si aspettano che la Commissione raccolga questa sfida nelle prossime iniziative strategiche, quali la strategia per l’efficienza delle risorse, la strategia per le materie prime e lo “Small Business Act”.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, finalmente l'Unione europea riconosce un ruolo fondamentale all'industria, proponendo semplificazione dell'accesso al credito e riduzione della burocrazia. Negli ultimi anni stiamo assistendo alla votazione di provvedimenti che comportano oneri pesanti per la nostra industria e che favoriscono la concorrenza sleale dei prodotti importati da paesi terzi; ricordo i costi derivati dalla lotta ai cambiamenti climatici e i provvedimenti volti a ridurre o a eliminare i dazi.
Nella relazione si evidenzia l'importanza della ricerca quale strumento per resistere alla concorrenza e si richiama alla formazione professionale dei lavoratori e all'informazione che deve essere data ai consumatori. Non dimentichiamo però che, al di la delle belle parole, oggi nell'UE si rischia una spaccatura fra i paesi membri, da cui si evince una scarsa volontà di costruire insieme un futuro industriale. Mi sto riferendo a quanto successo con il brevetto europeo che ha visto l'Unione porre fuori dalla stessa l'Italia e la Spagna e a utilizzare la cooperazione rafforzata fra gli altri paesi membri. Il voto su questa relazione è favorevole in quanto i principi richiamati sono condivisibili.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) L’industria europea si trova ad affrontare non solo gli effetti della crisi economica, ma anche le nuove sfide dell'era della globalizzazione. Le aziende devono reagire in modo adeguato ai cambiamenti, sempre più rapidi, delle tendenze economiche. Le economie dei paesi emergenti stanno alterando l'equilibrio delle forze sui mercati internazionali. Con lo sviluppo di una società basata sulla conoscenza, si rafforza anche il ruolo della ricerca scientifica e dell'innovazione in quanto fattori di crescita economica e di competitività. Tra i problemi che l'economia europea si trova ad affrontare si annoverano il cambiamento demografico e il rallentamento della produttività, mentre gli obiettivi principali per l'industria dell'UE sono la crescita della competitività e l’innovazione. Per raggiungerli, è necessario adottare contemporaneamente una serie di misure. È essenziale continuare ad adoperarsi per il mercato unico e per l'armonizzazione della legislazione doganale e fiscale. Occorre ridurre gli oneri burocratici per le imprese e semplificare il quadro normativo. La cooperazione tra le imprese deve inoltre essere rafforzata attraverso la creazione di cluster, reti e centri di eccellenza; è altresì necessario impegnarsi per la promozione delle sinergie tra università e imprese.
Potrebbe rivelarsi utile anche il ricorso a meccanismi alternativi, come i partenariati pubblico-privato, che prevedano una condivisione dei rischi tra investitori privati e pubblici, nonché all’incentivazione e all’effetto trainante. Sarà fondamentale sostenere le piccole e medie imprese, che costituiscono la baseindustriale dell’Europa, offrendo loro sostegno finanziario per l’innovazione e il trasferimento tecnologico nonché inserendo criteri innovativi e sostenibili negli appalti pubblici. Non va infine trascurato un incremento della spesa per la ricerca sulla base della cooperazione fra il settore pubblico e quello privato.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che evidenzia le possibili strategie per rafforzare la base industriale dell'UE. L'industria rappresenta circa un terzo dell’occupazione nell’Unione europea, ed è dunque indispensabile che preservi la sua vitalità.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) L'industria europea e il suo effetto moltiplicatore rappresentano circa un terzo del valore aggiunto lordo dell'UE e danno lavoro a 57 milioni di persone. Occorre elaborare una politica industriale che favorisca il coordinamento tra gli Stati membri e il rispettivopotenziale competitivo, come indicato dalla Strategia Europa 2020. L’attualità di questa relazione in un momento di recessione economica dimostra che, malgrado la sua importanza, questo settore viene relegato in secondo piano. Di fronte a una situazione del genere, si rende necessaria un’analisi più attenta delle sfide che l'industria europea dovrà raccogliere per fronteggiare la competitività delle economie emergenti; mi riferisco in particolare alla ristrutturazione e al riorientamento del suo assetto, nel contesto di una società globale basata sulla conoscenza, attraverso l’innovazione e la ricerca. Oltre a ciò, si stanno sviluppando nuove dinamiche: il cambiamento climatico, i cambiamenti demografici e il processo di urbanizzazione/spopolamento. Dei 15 punti presentati dal relatore, desidero porre l’accento sulle misure riguardanti le piccole e medie imprese (PMI), che rappresentano il reale motore della crescita europea. La semplificazione delle procedure per l’ottenimento di fondi europei, l’ampliamento e il miglioramento delle informazioni fornite alle PMI circa i programmi operativi, la creazione di cluster innovativi e di reti, così come un maggiore sostegno da parte della Banca centrale europea, costituiscono iniziative chiave per il successo della politica industriale europea.
Alexandra Thein (ALDE), per iscritto. – (DE) Nella votazione sulla relazione Lange, mi astengo sul paragrafo 31, che si riferisce agli Eurobond e ai Project bonds, a causa della formulazione ambigua. Voto comunque a favore della relazione nel suo complesso in quanto non ho nulla contro i Project bonds in quanto tali, che rappresentano una fonte di finanziamento per grandi progetti di innovazione, infrastrutture e reindustrializzazione. Non si tratta infatti di strumenti per la comunitarizzazione dei debiti, come è invece il caso degli Eurobond.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) Ho sostenuto la relazione in quanto esprime la necessità di una politica coerente per il futuro dell’industria dell’UE. In considerazione dei 60 milioni di posti di lavoro generati dalla produzione industriale nell'Unione europea, una politica vigorosa aiuterà l’UE a superare alcune delle sfide che si pongono ai produttori. Questa relazione, che rientra nella strategia Europa 2020, delinea le 15 “pietre angolari chiave” di una politica forte. Tali capisaldi consentiranno all'UE di tenere il passo con la concorrenza di paesi come Stati Uniti, Cina e Giappone, che investono risorse considerevoli in ricerca e sviluppo di tecnologie all’avanguardia, nonché dei paesi che riducono le spese attraverso la manodopera a basso costo e hanno norme meno rigide sulla proprietà intellettuale. Tra le raccomandazioni più utili della relazione si annoverano la necessità di una filiera dell’innovazione, che crei un collegamento tra la ricerca di stampo industriale e l'innovazione e applicazione delle tecnologie, nonché una maggiore enfasi sull’efficienza e la sostenibilità delle risorse in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020.
Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho deciso di esprimere un voto favorevole alla relazione d'iniziativa del collega on. Lange poiché esprime il contributo offerto dal Parlamento europeo al dibattito su un tema di prioritaria importanza per il mondo delle imprese: la politica industriale europea.
La relazione presenta elementi positivi quali l'ampio richiamo (ma solo su base volontaria, senza rigide imposizioni) a standard in materia ambientale da parte delle imprese europee. È giustamente ribadito inoltre il ruolo centrale dell’industria (e non soltanto della politica industriale) per la crescita dell'Unione europea. Ora, prendendo spunto dal testo quest'oggi votato, credo sia importante che tutte le istituzioni e le parti interessate si impegnino per realizzare e tradurre in azioni concrete gli obiettivi in esso delineati: in particolare l'adozione di misure rivolte alla tutela della proprietà intellettuale; l'affermazione di un modello di innovazione industriale che punti all'eccellenza; la modernizzazione delle industrie, specie in relazione alla tutela ambientale e a un attento uso delle risorse energetiche; la promozione di uno scenario che favorisca l'internazionalizzazione delle PMI.