Indice 
Resoconto integrale delle discussioni
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Giovedì 10 marzo 2011 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Legge sui mezzi di informazione in Ungheria (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 3. Rispetto dei meccanismi nazionali di fissazione dei salari e delle pensioni (discussione)
 4. Prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana (discussione)
 5. Crisi causata dalle ceneri vulcaniche (discussione)
 6. Dichiarazione della Presidenza
 7. Introduzione di statuti europei per le mutue, le associazioni e le fondazioni (dichiarazione scritta): vedasi processo verbale
 8. Collisioni causate da veicoli commerciali pesanti (dichiarazione scritta)
 9. Turno di votazioni
  9.1. Legge sui mezzi d’informazione in Ungheria (B7-0191/2011) (votazione)
  9.2. Paesi vicini a Sud, e in particolare la Libia, compresi gli aspetti umanitari (B7-0169/2011) (votazione)
  9.3. Approccio dell’UE nei confronti dell’Iran (A7-0037/2011, Bastiaan Belder) (votazione)
  9.4. a sessione del Consiglio per i diritti dell’uomo (Ginevra, 28 febbraio - 25 marzo 2011) (B7-0158/2011) (votazione)
 10. Dichiarazioni di voto
 11. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 13. Composizione delle commissioni: vedasi processo verbale
 14. Discussione su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (discussione)
  14.1. Pachistan - assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze
  14.2. Bielorussia, in particolare il caso di Ales Mikhalevic e di Natalia Radin
  14.3. Situazione e patrimonio culturale a Kashgar (regione autonoma di Xinjiang Uighur, Cina)
 15. Turno di votazioni
  15.1. Pachistan - assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze (RC-B7-0166/2011)
  15.2. Bielorussia, in particolare il caso di Ales Mikhalevic e di Natalia Radin
  15.3. Situazione e patrimonio culturale a Kashgar (regione autonoma di Xinjiang Uighur, Cina)
 16. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 17. Posizione del Consiglio in 1ª lettura: vedasi processo verbale
 18. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 19. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale
 20. Dichiarazioni scritte inserite nel registro (articolo 123 del regolamento): vedasi processo verbale
 21. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
 22. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale
 23. Interruzione della sessione
 ALLEGATO (Risposte scritte)


  

PRESIDENZA DELL’ON. MIGUEL ANGEL MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
Video degli interventi
  

(La seduta inizia alle 9.00)

 

2. Legge sui mezzi di informazione in Ungheria (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

3. Rispetto dei meccanismi nazionali di fissazione dei salari e delle pensioni (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sul rispetto dei meccanismi nazionali di fissazione dei salari e delle pensioni.

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, desidero ringraziare gli onorevoli parlamentari per avermi dato la possibilità di fugare alcuni malintesi, particolarmente diffusi, a proposito del programma irlandese.

L’interrogazione del gruppo S&D che ha reso necessaria questa dichiarazione evidenzia la preoccupazione dei membri del Parlamento secondo i quali alcune condizioni di politica economica contenute nel memorandum di intesa del programma di adeguamento economico per l’Irlanda sono giuridicamente in contrasto con l’articolo 153, paragrafo5, del trattato. Tale paragrafo dell’articolo 153 esclude la possibilità di adottare misure nel campo delle retribuzioni e, dunque, della politica sociale. Il programma di adeguamento economico per l’Irlanda, tuttavia, non è un programma di politica sociale né è stato adottato in virtù dell’articolo 153. Si tratta di un programma di assistenza finanziaria istituito insieme al governo irlandese per ripristinare la fiducia all’interno e all’esterno del paese ed eliminare quei dannosi effetti di retroazione che si innescano fra la crisi fiscale e quella finanziaria. Il programma si fonda, pertanto, sull’articolo 122, paragrafo 2, del trattato, che consente l’assistenza finanziaria dell’Unione europea quando uno Stato membro è minacciato da gravi difficoltà a causa di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo.

Il ruolo del memorandum di intesa è di specificare le condizioni di politica economica che valgono da parametro di riferimento per valutare l’operato della politica irlandese per la durata del programma di assistenza finanziaria. Lo Stato membro ha il pieno controllo di tali condizioni di politica economica e della loro attuazione. Esse rappresentano altrettanti impegni che lo Stato membro si assume a livello di governo. Non si tratta di provvedimenti adottati dall’Unione europea nei diversi ambiti. Molte delle condizioni, ad esempio la riduzione dei salari minimi, erano, di fatto, già incluse nel piano di rilancio nazionale del governo irlandese pubblicato il 24 novembre 2010, prima dell’avvio del programma.

Le condizioni previste per il mercato del lavoro hanno come obiettivo quello di creare occupazione ed evitare la disoccupazione di lungo periodo per i gruppi più vulnerabili in Irlanda. La riduzione dei salari minimi rientra in questo più ampio pacchetto di misure e non va disgiunta dalle politiche di attivazione e dagli sforzi di ammodernamento del sistema di indennità di disoccupazione. Per esprimere una valutazione sulla riduzione di uno dei salari minimi più alti dell’Unione europea – il secondo più elevato della zona euro, per esempio – occorre ricordare che, nonostante un significativo adeguamento salariale nell’economia irlandese, con le retribuzioni minime in calo del 3 per cento in termini reali nel 2008, allo stesso modo delle retribuzioni generali, e aumentate poi dello 0,3 per cento nel 2009, la maggior parte degli adeguamenti del mercato del lavoro ha assunto la forma di perdite di occupazione. In effetti, il taglio dei salari minimi ha semplicemente ripristinato lo status quo esistente prima dell’1 gennaio 2007, prima, quindi, della crisi.

L’altra condizione menzionata nell’interrogazione riguarda la revisione indipendente dei contratti collettivi settoriali. Una simile revisione vuole essere lo spunto per discutere dell’equità e dell’efficacia delle condizioni di lavoro sia per i lavoratori sia per i datori di lavoro nei diversi settori. Vorrei sottolineare che l’Irlanda ha una lunghissima tradizione di consultazione tripartita in materia di politica sociale ed economica e che esiste un ampio consenso che individua nei diversi patti siglati dal governo e dalle parti sociali a partire dagli anni ’80 uno dei fattori più importanti del successo dell’economia irlandese.

Grazie a questa revisione le parti sociali avranno l’opportunità di far sentire la propria voce e influire sulla politica e l’annuncio di questa condizione è stato accolto favorevolmente. Sono certo che il governo irlandese effettuerà la revisione all’insegna dell’importanza del dialogo sociale, dell’inclusione di tutte le parti sociali e del rispetto della normativa comunitaria.

Infine, le condizioni previste dal memorandum di intesa per le riforme strutturali non riguardano solamente il mercato del lavoro. Esse comprendono anche provvedimenti importanti tesi ad aprire i mercati reali, ad esempio i settori e le professioni ad accesso ristretto Tali riforme potrebbero produrre un effetto significativo sui prezzi ai consumatori e sulla produttività a sostegno del potere d’acquisto delle famiglie.

 
  
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  Gay Mitchell, a nome del gruppo PPE.(EN) Signor Presidente, desidero ringraziare a mia volta il Commissario. Ieri si è insediato in Irlanda un nuovo governo nazionale per la ripresa. Il partito Fine Gael e i laburisti appartengono rispettivamente ai gruppi del PPE e S&D di questo Parlamento. Uno dei temi prioritari del nuovo programma di governo sarà la rinegoziazione degli elementi del programma UE/FMI di sostegno all’Irlanda.

Oggi sono molti gli irlandesi che temono che le condizioni accettate dal governo precedente con il programma UE/FMI siano troppo drastiche e comportino un onere eccessivo per i cittadini che hanno dovuto farsi carico del peso maggiore degli errori delle banche – sia irlandesi sia europee – e del governo. Occorre sottolineare che il nuovo governo ha deciso di non procedere alla riduzione del salario minimo. Sappiamo, tuttavia, che la ripresa non sarà indolore. L’Irlanda ha già affrontato un percorso simile negli anni ’80. Molte delle condizioni difficili stabilite dal programma UE/FMI sono indispensabili se vogliamo ripristinare la buona salute delle nostre finanze pubbliche. È necessario potare l’albero per permetterne la crescita.

Sono lieto che la Commissione appoggi l’idea di una riduzione dei tassi di interesse così come ha ricordato il Commissario Rehn. È un provvedimento che dovrebbe essere introdotto al più presto e invito la Commissione a valutare seriamente questa possibilità quanto prima. Il Commissario ha sottolineato che tutte le misure considerate vengono valutate alla luce del loro impatto sulla crescita, sulla competitività e sulla sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo periodo. Riconosco che non è possibile per l’Irlanda sostenere tutto in una volta l’onere del quale ci è stato chiesto di farci carico. I cittadini irlandesi si sono assunti le proprie responsabilità in questa situazione; anzi, si sono assunti anche le responsabilità altrui poiché non è stata data loro alcuna alternativa. Il loro sforzo non è solo per l’Irlanda, ma anche per l’Europa e, in particolare, per la zona euro. Non ci serve l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. Date agli irlandesi gli strumenti necessari; possiamo farcela da soli, ma non potete aspettarvi che i cittadini dell’Irlanda sopportino un peso che non sono in grado di sopportare. Chiedo pertanto al Commissario di tener presente queste osservazioni soprattutto nei giorni e nelle settimane a venire.

 
  
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  Stephen Hughes, a nome del gruppo S&D.(EN) Signor Presidente, il memorandum prevede la riduzione di un euro all’ora dei salari minimi in Irlanda e, come abbiamo sentito, una revisione del sistema di contrattazione collettiva che tutela le retribuzioni più basse.

Non ritengo che una simile ingerenza possa trovare una giustificazione. Il trattato richiede che la Commissione promuova il dialogo sociale e non che lo pregiudichi. L’articolo 152 richiede il rispetto dell’autonomia delle parti sociali e non una simile ingerenza, e l’articolo 153 esclude esplicitamente l’azione dell’Unione europea in questo ambito. La Commissione non può stabilire arbitrariamente una gerarchia degli articoli per questa materia.

Il memorandum insiste poi sulla necessità di tagli alla spesa sociale, di riduzione di servizi pubblici chiave, e di tagli all’occupazione e alle pensioni del pubblico impiego. Come giustificare tali richieste rispetto a un trattato che chiede all’Unione di adoperarsi per eliminare le diseguaglianze, promuovere un alto livello di occupazione e contrastare l’esclusione sociale? L’unica risposta onesta è che le due cose sono inconciliabili e il problema sta proprio nel fatto che situazioni simili sono divenute ormai la regola a causa dell’Analisi annuale della crescita.

I cittadini respingeranno l’idea di un’Europa fondata solo sull’austerità. Non tollereranno le vaste implicazioni di una politica sociale di salari ridotti, minore protezione sociale, debolezza degli standard sociali, riduzione dei servizi pubblici e imposizione di un’età pensionabile superiore. Che la Commissione prosegua nel suo intento, se vogliamo continuare a ingrossare le fila dei movimenti antieuropeisti. In caso contrario, faremmo meglio a porre fine ora a questa assurdità.

 
  
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  Marian Harkin, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, il Commissario ha affermato che il memorandum è stato redatto ai sensi dell’articolo 122, paragrafo 2. Vorrei chiedere al Commissario che cosa accade quando un articolo del trattato è in conflitto con altri articoli dello stesso testo. Come ha ricordato l’onorevole Hughes, come si decide qual è la gerarchia? Il conflitto riguarda l’articolo 153.

Anche l’articolo 9 appare in conflitto, la clausola sociale che ho citato molte volte in questa Assemblea con riferimento al pacchetto di austerità irlandese, L’articolo 9 stabilisce che, nella definizione e attuazione delle proprie politiche e attività, l’Unione prenderà in considerazione quei requisiti che si rifanno alla promozione di un alto livello occupazionale e alla lotta all’esclusione sociale, e così via. Che dire poi dell’articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali in virtù del quale i lavoratori hanno il diritto di negoziare e concludere contratti collettivi e, nel caso di conflitti di interesse, possono avviare azioni collettive, fra le quali lo sciopero, per difendere i propri interessi? Molti lavoratori irlandesi riterrebbero di trovarsi oggi proprio in una di queste situazioni. Come gestire la contraddizione fra i diversi articoli del trattato?

Vorrei porre un ulteriore quesito al Commissario: lei sta dicendo che il governo irlandese è il solo responsabile del memorandum di intesa e che la Commissione ha semplicemente acconsentito o accettato?

Infine, ipotizziamo che la Commissione abbia il potere di fare ciò che dice così come va sostenendo: perché, allora, non è stato compiuto alcuno sforzo per ridurre o eliminare i bonus delle banche? Perché non si è fatto alcuno sforzo per garantire che le retribuzioni più elevate paghino il dovuto? Perché si è ridotto di un euro il salario minimo? Sono pienamente d’accordo con quanto sostenuto dall’onorevole Hughes: in questo modo si alimentano sentimenti antieuropeisti. I cittadini vedono quanto sta accadendo. Vedono qual è l’operato della Commissione in questo processo e si rendono conto che la scure dei piani di austerità ricade su coloro che percepiscono un salario minimo, che lavorano in un settore coperto dai contratti collettivi.

Signor Commissario, il mio quesito principale è: chi decide? La Corte di giustizia? Chi decide se esiste un conflitto fra gli articoli del trattato o se la Commissione agisce creando un conflitto fra tali articoli?

 
  
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  Marije Cornelissen, a nome del gruppo Verts/ALE.(EN) Signor Presidente, comprendo l’urgenza della Commissione nell’affrontare la crisi economica e i livelli elevati di indebitamento che rappresentano una minaccia per la stabilità dell’euro. Comprendo la necessità di imporre condizioni ai paesi che devono ricorrere al meccanismo europeo di stabilità finanziaria. Ritengo, tuttavia, che la Commissione sia particolarmente selettiva nella scelta delle misure e delle condizioni che giudica appropriate per questa crisi.

Da un lato, qualsiasi provvedimento appare giustificato quando si cerca il consolidamento fiscale mediante tagli alla spesa. Non appena l’Irlanda ha applicato il pacchetto di salvataggio, i livelli dei salari minimi e delle pensioni sono stati le prime variabili a richiedere un adeguamento nonostante questi ambiti non rientrino esplicitamente fra le competenze dell’Unione europea. D’altro canto, la Commissione si nasconde dietro la mancanza di competenze per lasciare invariate le tasse societarie irlandesi, eccezionalmente contenute, mentre un loro aumento potrebbe migliorare sensibilmente le entrate del paese. I tagli alla spesa, dopo tutto, non sono l’unica via per arrivare a un pareggio di bilancio.

Mi rendo conto che la crisi richiede misure straordinarie, ma come mai la Commissione ha tanta fretta di adeguare i salari minimi – colpendo quindi i lavoratori che guadagnano di meno – mentre stiamo ancora aspettando di vedere l’introduzione di provvedimenti che ricadano sul settore bancario e finanziario? Ho l’impressione che la Commissione stia dando un’interpretazione molto unilaterale e, oserei dire, di destra delle competenze europee. Questo approccio violento produce euroscetticismo. Sembra che la Commissione intervenga con fermezza nel settore dell’occupazione e della politica sociale solo in periodi di crisi e lo faccia imponendo tagli alla spesa sociale e ai salari.

L’Unione europea può ritrovare la fiducia solo se la Commissione dimostra la stessa determinazione nell’introdurre standard e garanzie sociali minime adeguate a fronte dei tagli pesanti che colpiscono i cittadini. Certo, vogliamo una governance economica, ma vogliamo che sia equilibrata e preveda sia una sostenibilità fiscale sia garanzie sociali. In caso contrario saranno i cittadini più vulnerabili a pagare il prezzo di un disastro del quale non sono responsabili.

 
  
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  Thomas Händel, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, i pacchetti di salvataggio sono stati concepiti per proteggere gli Stati membri dell’Unione europea dall’insolvenza. Essi, tuttavia, stanno riversando sui cittadini brutali programmi di austerità mentre permettono ai responsabili di cavarsela indisturbati. A ciò si aggiunga che la Commissione sta interferendo nelle politiche salariali nazionali.

Commissario Hahn, le argomentazioni formali da lei addotte secondo le quali il pacchetto non vuole assolutamente essere una serie di misure di natura sociale e politica, suonano assurde e mi rattristano profondamente. Una simile posizione è del tutto inaccettabile. La politica salariale non rientra fra le competenze dell’Unione europea. La politica portata avanti dalla Commissione in questo caso è in totale contrasto con l’idea di Unione europea. L’UE non è mai stata concepita come spazio di concorrenza in materia di retribuzioni e di dumping sociale. La politica della Commissione menziona l’inflessibilità dei salari che va ridotta. Sostiene che i salari dovrebbero rispecchiare le condizioni di mercato. L’analogia è con il cieco che descrive l’elefante. Chi scrive simili considerazioni non ha alcuna comprensione dei sistemi dei contratti collettivi. Con queste proposte si interferisce nella libera contrattazione collettiva e si riducono il dialogo sociale e la famosa autonomia delle parti sociali a una vera assurdità.

Voglio sia chiaro che questo Parlamento ha il compito di garantire l’autonomia della politica della contrattazione collettiva, di proteggere il dialogo sociale e di evitare l’ulteriore sgretolamento della sicurezza sociale. Ci servono misure che prevengano una politica di austerità controproducente, non provvedimenti punitivi.

 
  
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  Derek Roland Clark, a nome del gruppo EFD.(EN) Signor Presidente, il tema in discussione va oltre la situazione irlandese. Solo un mese fa ricordavo all’Assemblea che le pensioni erano una competenza esclusiva degli Stati membri ed ecco che ora ritorna questo linguaggio che parla di coordinamento e meccanismi di pensionabilità. Le pensioni sono quasi sempre correlate alle retribuzioni: questo è allora un tentativo di armonizzazione dei salari? Mi auguro di no, perché i trattati stabiliscono altresì che le retribuzioni sono di competenza esclusiva degli Stati membri.

Va benissimo sostenere che con “eguale” si intende “eguale retribuzione”, ma tutti coloro che svolgono lo stesso lavoro dovrebbero ricevere la stessa paga nell’Unione europea? Pensiamo, a titolo esemplificativo, al clima: mantenere una casa riscaldata vicino al circolo polare artico costa molto di più che nei paesi mediterranei. Se aggiungiamo poi l’abbigliamento invernale, lo sgombero della neve e tutto ciò che serve al nord, è evidente che un’eguale retribuzione nell’Unione europea lascerebbe ad alcuni lavoratori risparmi maggiori che ad altri. È ovvio che i salari non possono essere uguali. Le intenzioni della Commissione nell’approntare misure che incoraggino gli Stati membri a introdurre una politica europea dei salari minimi e dei meccanismi di pensionabilità si scontrano con i trattati. Non ne sono sorpreso: è così che funziona l’Unione europea.

L’armonizzazione della politica salariale e delle pensioni non è solo un sogno; è illegale. Come stabilito dai trattati, lasciamo che di questa politica si occupino i governi eletti, come il mio a Westminster e come quello irlandese.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI).(DE) Signor Presidente, l’Irlanda rappresenta una lezione tragica della storia per tutti noi. Questo paese è stato sempre celebrato come vetrina ed esempio per i nuovi Stati membri anche se, in passato, sono state incoraggiate e consentite politiche sbagliate in seguito alle quali è stato necessario affrontare l’enorme bolla del settore immobiliare, si è permesso al settore bancario di divenire legge assoluta e si è trascurato di evitare la concorrenza basata sul dumping fiscale.

Signor Commissario, lei ed io abbiamo la stessa nazionalità. Sappiamo bene quanti scrittori austriaci, per esempio, hanno improvvisamente scoperto di essere irlandesi per i fortissimi vantaggi fiscali offerti da quel paese. Che cosa hanno fatto all’epoca le forze che si proclamano pro europeiste? Nulla! Hanno sottolineato che “l’Irlanda era un meraviglioso esempio”.

Oggi questa costruzione è completamente crollata. La bolla si rivelata essere esattamente ciò che molti sostenevano da tempo. Ancora una volta – e non sono l’unico a crederlo – ci troviamo in una situazione in cui si alimentano sentimenti antieuropeisti perché permettiamo che si attuino politiche sbagliate, in questo caso l’imposizione all’Irlanda di un pacchetto pesantissimo. Signor Commissario, lei ha affermato che lo Stato membro in questione si impegna ad attuare il pacchetto. Alla luce della nostra esperienza con i programmi della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale – perché quanto sta accadendo in Irlanda non è molto diverso – sappiamo, tuttavia, che questi paesi, dopo tutto, non hanno scelta.

Se potessimo fare un passo indietro e deplorare il fatto che l’Irlanda non abbia respinto per la seconda volta il trattato di Lisbona, il nostro modo di pensare cambierebbe completamente. Ci accorgeremmo che, nel caso di questa costruzione europea, ci troviamo di fronte a qualcosa di simile a un veicolo, che nella parte anteriore è una Porsche e, in quella posteriore, una bicicletta. Le due parti non si integrano. Devono essere molto più forti.

Se vogliamo che questa Europa non si sgretoli, ci serve una sorta di costituzione europea. Ci servono poi dei parametri di riferimento che si applichino a tutti. Ci serve una governance economica. L’approccio frammentato – avanti, indietro, di lato – non funzionerà e, alla fine, signor Commissario, è più probabile che sfoci in una catastrofe che non in quell’obiettivo per il quale voi, io e la stragrande maggioranza di questa Assemblea stiamo lavorando: un’Europa di pace, funzionale e unita.

 
  
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  Philippe Boulland (PPE).(FR) Signor Presidente, occorre riconoscere che, a causa della crisi e dello scoppio della bolla immobiliare e creditizia, lo Stato irlandese è dovuto intervenire a sostegno delle banche. Il deficit pubblico irlandese, il saldo di bilancio cumulativo delle amministrazioni locali e di quella centrale e, in particolare, delle amministrazioni della sicurezza sociale, è stato stimato nel 2010 al 32 per cento del prodotto interno lordo (PIL). Se il governo irlandese, che ha difficoltà a rifinanziarsi sui mercati, vuole avere accesso ai fondi del meccanismo e del fondo europeo di stabilità finanziaria, dovrà rispettare i requisiti di un cambiamento sociale e fiscale, anche se questi settori rientrano nell’ambito della sussidiarietà. Non esiste, a nostro parere, alcuna contraddizione in questo senso. Quale medico, mi sento di dire che, in caso di febbre, è inutile prescrivere antipiretici in modo indiscriminato senza cercare di curare la causa. Per quanto concerne la destinazione dei fondi, lo Stato irlandese dovrebbe rimettere in ordine le proprie finanze per correggere il deficit eccessivo e rimediare agli errori del passato.

Questo piano di austerità dovrebbe portare a un aumento del PIL del 10 per cento nei prossimi quattro anni. Come accade nel caso di un soggetto privato cui la banca, a fronte di requisiti di solvibilità, concede un prestito personale senza interferire nella vita e della gestione di tale soggetto, l’Unione europea può concedere prestiti all’Irlanda sulla base di una solvibilità consolidata. La banca, senza interferire nella vita privata del suo cliente, lo incoraggerà a negoziare, per esempio, un aumento della retribuzione o a rivolgersi altrove per un prestito. Nel rispetto della sussidiarietà, l’Unione europea, sulla scorta del memorandum di intesa siglato con il Fondo monetario internazionale (FMI), ritiene che ai fini della solvibilità servano la riduzione del salario minimo e l’adeguamento delle pensioni, accompagnati comunque da provvedimenti di natura fiscale. Spetta all’Irlanda decidere se attuare o no queste misure. Il pacchetto non consente all’Unione europea di interferire negli ambiti governati dalla sussidiarietà, permettendole, ad esempio, di imporre un salario minimo europeo – il che sarebbe pericoloso. È piuttosto una protezione per la stabilità della zona euro tramite un processo di garanzie reciproche. È certamente necessario aiutare l’Irlanda così come tutti gli altri paesi in difficoltà – è un sistema che protegge anche noi – ma non ad ogni costo e, soprattutto, non se il prezzo da pagare è quello di uno Stato che non è in grado di ripagare i suoi debiti e finisce per indebolire la posizione dei suoi cittadini e dei cittadini europei.

 
  
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  Presidente. – Permettetemi di far notare a tutti voi che, se gli interventi saranno pronunciati molto velocemente, gli interpreti avranno difficoltà a seguirvi. Poiché sono responsabile delle questioni inerenti al multilinguismo, vorrei ricordare che l’Ufficio di presidenza del Parlamento sta attualmente lavorando a un nuovo sistema.

Oggi gli interpreti segnalano al Presidente l’impossibilità di seguire l’intervento, ma il Presidente ha poi il compito difficile di interrompervi. Il sistema che stiamo studiando prevede che le vostre postazioni siano dotate di una luce che si accende per avvertirvi quando l’interprete non è in grado di seguirvi. In questo modo il Presidente non dovrà interrompervi e l’informazione vi giungerà direttamente.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D).(EN) Signor Presidente, per quanto concerne i temi del mercato del lavoro, il memorandum di intesa si fonda chiaramente su una teoria economica semplicistica secondo la quale la riduzione dei salari riporterebbe in equilibrio il mercato, in altre parole porrebbe fine alla disoccupazione. È una vera e propria assurdità che non trova fondamento nella realtà. Vorrei attirare l’attenzione della Commissione sulla relazione del Forfás dedicata alla competitività del costo del lavoro in Irlanda e pubblicata alla fine dello scorso anno, in cui si sostiene che le aziende preferiscono in genere il licenziamento ai tagli salariali perché pregiudica meno il morale. Se volete sapere perché in Irlanda si è ricorso più al licenziamento che ai tagli salariali, questa è la ragione.

Mi rivolgo alla Commissione perché rispetti la legislazione europea e smetta di interferire nelle questioni relative al mercato del lavoro in Irlanda. Come lei ha sottolineato, l’Irlanda conosce una lunga tradizione di accordi fra le parti sociali. Tali accordi sono in realtà il motivo per cui non c’è stata violenza nelle strade del mio paese: perché le parti sociali e il governo si sono seduti e hanno stabilito di adeguare le condizioni e il mercato del lavoro per assicurare una speranza di uscita dalla crisi attuale.

Questa tradizione ha permesso il progresso dell’Irlanda, ma il programma nel suo complesso non è riuscito a raggiungere gli scopi che si era prefisso, in altre parole aiutare l’economia irlandese a crescere. L’economia non cresce, anzi è in calo, e il programma deve essere rinegoziato. Il mio suggerimento è che, in particolare, devono essere eliminati dal programma i provvedimenti relativi al mercato del lavoro. Come è già stato ricordato, il governo irlandese, di cui il mio partito fa parte, ha già dichiarato che eliminerà la riduzione del salario minimo stabilita dal programma.

Questa decisione può non piacervi, ma è quanto accadrà. Ed è altrettanto certo che il vostro tentativo di interferire nella legge sui contratti di lavoro collettivi, in vigore ormai da più di 50 anni, non sarà ostacolato, come sperate, perché il governo attuale è convinto che il partenariato sociale debba continuare a svolgere il proprio ruolo tradizionale nel garantire la pace delle relazioni industriali e il progresso.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, con il pretesto della crisi, va sempre più rafforzandosi nell’Unione europea la tendenza a esercitare pressione sugli Stati membri al fine di ridurre i salari e aumentare lo sfruttamento dei lavoratori garantendo così maggiori profitti e guadagni ai gruppi economici e finanziari e mettendo a nudo tutta la crudeltà antisociale del capitalismo.

Se non fossero stati adottati i criteri irrazionali del patto di stabilità, con le proposte di una cosiddetta governance economica e di un cosiddetto patto di competitività – mi riferisco, in particolare, al tentativo di evitare l’indicizzazione dei salari e di aumentare l’età pensionabile – assisteremmo ora ad attacchi ancora più gravi portati avanti contro i diritti sociali e del lavoro.

Ciò che accade già in questo settore in alcuni paesi, ad esempio il Portogallo, la Grecia o l’Irlanda – ed è un fenomeno particolarmente grave – sono i tagli salariali e il congelamento delle pensioni, anche delle minime e di quelle al di sotto della soglia di povertà. Nel caso del Portogallo, era già stata prevista una riduzione dei salari minimi agli inizi dell’anno. Si era considerato che 500 euro al mese fosse un importo eccessivo e si è deciso di ridurlo di 15 euro, nonostante più del 13 per cento delle donne lavoratrici percepisca solo questa cifra rispetto al 6 per cento dei lavoratori di sesso maschile. Questo è un esempio evidente di discriminazione istituzionalizzata ed è il risultato delle cosiddette misure di austerità che la Commissione sta adottando insieme al Consiglio e ai governi dei nostri paesi, producendo un’esacerbazione delle disparità sociali, discriminazione, una svalutazione del lavoro e l’aumento della povertà, mentre permane l’indulgenza nei confronti della speculazione finanziaria e dei paradisi fiscali. Esprimiamo, quindi, la nostra solidarietà con i giovani lavoratori e insegnanti che hanno indetto una manifestazione di protesta nei prossimi finesettimana, a cominciare da sabato, 12 marzo, e poi in occasione della grande dimostrazione nazionale della confederazione generale dei lavoratori portoghesi (CGTP) a Lisbona il 19 marzo. Prosegue, dunque, la lotta contro queste misure antisociali.

(L’oratore accetta di rispondere a una domanda presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI). – Signor Presidente, alla luce di quanto ci è stato detto, potremmo sapere in quest’Aula come è cambiato l’atteggiamento dei cittadini portoghesi rispetto all’Unione europea? È diminuita la percentuale di cittadini a favore dell’appartenenza all’UE? Come è cambiato il sentimento generale nei confronti dell’Unione europea? Il Portogallo mostra molti elementi di somiglianza con l’Irlanda – dapprima c’è stata la grande euforia degli anni ’70 con la prospettiva dell’adesione, poi i finanziamenti erogati a questo scopo. Anche in Portogallo si assiste a fenomeni simili a quello della bolla immobiliare irlandese?

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, il tema è interessante per questo motivo: è evidente che queste politiche dell’Unione europea stanno scatenando una vera e propria rivolta in Portogallo e il prossimo finesettimana, pertanto, i giovani e gli insegnanti scenderanno nelle piazze per protestare contro questi provvedimenti. Il 19 marzo la confederazione generale dei lavoratori portoghesi ha indetto a Lisbona una grande dimostrazione di protesta contro queste politiche antisociali. Questa situazione si rispecchia anche nel comportamento del popolo portoghese perché il paese è entrato in una fase di recessione, le condizioni di vita dei lavoratori e dei cittadini stanno peggiorando, si acuiscono le disparità e aumenta la povertà. L’Unione europea, la Commissione e il Consiglio…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Marita Ulvskog (S&D).(SV) Signor Presidente, con la proposta di introdurre dei requisiti per le retribuzioni più basse, la Commissione ha pregiudicato il diritto a negoziare delle parti sociali e ha influito direttamente e indirettamente sulla formazione dei salari, ambiti che sono espressamente esclusi dalla sfera di competenze di questa istituzione. Quello in atto è un attacco frontale all’influenza delle parti sociali e una violazione della carta dei diritti fondamentali che prevede il diritto alla contrattazione collettiva.

Né si tratta di un episodio isolato limitato alla sola Irlanda: è un fenomeno che continua a ripetersi. Parlando di “costo unitario del lavoro” anziché di salari, la Commissione sta cercando di aggirare i vincoli imposti dal trattato. La Commissione ha semplicemente ridisegnato il contesto, creandone uno nuovo e stabilendo nuove regole in virtù delle quali gli Stati membri e le parti sociali si vedono sottrarre le loro competenze e dettare imposizioni in violazione di qualsiasi norma. Questo è il motivo della disputa e siamo solo agli inizi.

Con questa scelta l’Unione europea si sta allontanando sempre più da una base democratica e dalla legittimità, termini, che, in altri contesti, rivestono un’importanza fondamentale quando si discute del futuro dell’UE. Sappiamo che ci sono agitatori – anche in questa Assemblea – che stanno già pescando in queste acque torbide. Non è certamente questo che vogliamo.

 
  
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  Cornelis de Jong (GUE/NGL).(NL) Signor Presidente, in pochissimi nei Paesi Bassi sanno che noi, qui a Bruxelles, stiamo discutendo di salari e pensioni dei cittadini europei. Siamo testimoni di quanto sta accadendo in Irlanda, ma, al contempo, vedo che viene presentata al Consiglio ogni sorta di proposta sull’abolizione dell’indicizzazione dei salari, l’introduzione di una soglia massima per l’aumento delle retribuzioni in base all’aumento della produttività, e così via.

Purtroppo sembra prevalere un silenzio assordante quando si tratta di trovare un accordo su norme europee per i salari minimi. Né ho visto proposte tese a garantire che i lavoratori abbiano un’occupazione adeguatamente retribuita o che possano trovare lavori a tempo indeterminato e non solo lavori a cottimo o contratti a chiamata. Mi preoccupa l’impatto sui cittadini del dibattito in corso, ma mi preoccupa anche l’immagine dell’Unione europea. L’impressione prevalente è che l’Unione presti attenzione solamente agli interessi delle istituzioni finanziarie, degli speculatori e dei grandi gruppi. Signor Commissario, la Commissione intende intraprendere dei passi per cambiare questa impressione e assicurare che la sua immagine sia quella di un’istituzione che rappresenta anche gli interessi dei comuni cittadini?

 
  
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  Sylvana Rapti (S&D).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, la ricetta prescritta prevede due passi: innanzitutto, l’abolizione dei contratti collettivi e, in secondo luogo, l’ulteriore riduzione dei salari minimi.

Questa è la terapia prescritta a ogni paziente indistintamente. Uno dei pazienti è la Grecia. Lei è stato di recente in Grecia in occasione di un evento organizzato dal partito socialista. Lei ha visto e toccato con la mano la situazione e vorrei quindi chiederle: ha potuto constatare che la terapia funziona in Grecia? Ero anch’io presente e appartengo al partito socialista attualmente al governo, un partito che sta facendo quanto in suo potere per traghettare il paese fuori da questa difficile situazione provocata dai governi di destra. Abbiamo dovuto fare concessioni sulla questione dei contratti collettivi e posso confermarle che i risultati non si sono ancora visti. Lei ha affermato che si sta facendo tutto questo per i cittadini europei, per i consumatori, ma se i consumatori ricevono salari inferiori, non avranno reddito da destinare ai consumi e non contribuiranno quindi a rilanciare la crescita. Lei sa meglio di me che questo è un circolo vizioso perché si insiste nel prescriverci una terapia il cui unico effetto è la distruzione della dignità dei lavoratori, una terapia che produce una mancanza di posti di lavoro dignitosi e sostenibili. La invito a includere indicatori non solo economici, ma anche sociali.

 
  
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  Jutta Steinruck (S&D).(DE) Signor Presidente signor Commissario, talvolta ho la sensazione che la Commissione dovrebbe prima sperimentare su di sé tutte queste soluzioni per verificare qual è l’impatto che realmente si sta producendo in Europa. Dopo aver ascoltato il suo intervento, ho l’impressione che la Commissione sieda davvero in una torre d’avorio. I cittadini europei, i lavoratori, i percettori di basso reddito e i pensionati – sono coloro che stanno pagando il prezzo di questa situazione e voi interpretate la normativa e le competenze europee come più vi aggrada.

Il 19 ottobre dello scorso anno ho ricevuto una risposta a un quesito che avevo sottoposto alla Commissione. Nella risposta si confermava esplicitamente che i salari minimi e le retribuzioni in generale erano una materia di competenza degli Stati membri. La risposta lo sottolineava con enfasi. Vi invito a leggerla. Non è accettabile che diate una risposta di questo tenore quando si tratta di tutelare gli interessi dei datori di lavoro e poi cambiate direzione quando ritenete che la situazione sia a favore dell’altra parte. Così facendo cresce l’insoddisfazione dei cittadini europei. Il mio onorevole collega lo ha appenda ricordato. State intaccando la codeterminazione. State indebolendo i sindacati. Non è questa la strada per uscire dalla crisi e ne siete perfettamente consapevoli. A pagare per la crisi deve essere chi l’ha provocata.

(Applausi)

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D).(LT) Signor Presidente, di fronte alle condizioni poste dalla crisi economica, i paesi stanno incontrando difficoltà di ordine finanziario a rispettare gli impegni presi. È indubbio che non tutti abbiano la stessa capacità di uscire dalla crisi ed è indispensabile trovare il modo di ripristinare il pareggio di bilancio e ridurre il deficit. Eppure, signor Commissario, dobbiamo davvero farlo a spese di coloro che già sono in una condizione svantaggiata? È moralmente corretto che la Commissione eserciti pressione sui governi affinché riducano i salari minimi, le pensioni e gli altri ammortizzatori sociali? Signor Commissario, lei ci ha illustrato il suo parere sul memorandum di intesa per l’Irlanda. Mi permetta, tuttavia, di ricordarle che lei ha firmato un memorandum simile con la Lettonia, con il quale si spingeva il governo lettone a ridurre le pensioni già basse. Le pensioni sono state ridotte, ma la corte costituzionale lettone ha stabilito che la manovra violava la costituzione del paese e ne ha annullato gli effetti. Quando si prendono determinate decisioni e si firmano simili memorandum, è pertanto necessario valutarne a fondo le conseguenze giuridiche e sociali.

 
  
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  Evelyn Regner (S&D). (DE) Signor Presidente, Commissario Hahn, le proposte in discussione equivalgono a porre uno zaino pesantissimo sulle spalle di coloro che sono già in difficoltà dicendo loro che devono correre più velocemente. In che modo potrebbero riuscirci? Le proposte sulla decentralizzazione delle trattative salariali sono inique e poco creative e costituiscono solo una tattica diversiva giacché è così difficile tassare gli attivi finanziari e la speculazione e i capi di Stato e di governo non riescono a dare il via a un vero e proprio coordinamento macroeconomico. A questo proposito il Parlamento ha già stabilito un criterio completamente diverso con il voto di questa settimana sulla tassazione delle transazioni finanziarie.

Vorrei ricordare a tutti voi il principio dell’economia sociale di mercato così come sancito dal trattato di Lisbona. La mia concezione di economia sociale di mercato è piuttosto diversa – non contempla una decentralizzazione delle trattative salariali, anzi invoca proprio l’opposto. I sistemi di negoziazione salariale decentralizzati sono contrari a una politica salariale che si fonda sulla solidarietà e produrranno un ampliamento del divario fra ricchi e poveri e non una sua riduzione. In altre parole, dovremmo intervenire in senso opposto.

Consentitemi di ribadire espressamente quanto affermato dall’onorevole Steinruck – non lo ripeteremo mai abbastanza: dobbiamo intervenire con maggior forza per affrontare le cause della crisi, far pagare un prezzo più alto a coloro che hanno provocato la crisi e concentrarci su di loro per la risoluzione di questi problemi, anche ricorrendo a strumenti legislativi.

 
  
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  Elena Băsescu (PPE).(RO) Signor Presidente, per quanto concerne l’allineamento dei costi unitari alla forza lavoro e ai livelli di produttività, credo che dovremmo concentrarci sulle condizioni generali e meno sugli indicatori. Non è scontato che questo allineamento sia possibile. La produttività dipende, in primo luogo, da fattori come il capitale azionario accumulato, che può variare enormemente. Si può osservare una forte disparità fra Romania e Germania, dovuta alla diversa qualità delle politiche economiche nel tempo. Tali discrepanze non possono essere eliminate da un giorno all’altro. Il mio paese si è adoperato a favore di una riforma delle pensioni e del sistema di previdenza sociale. Vorrei pertanto suggerire di riprendere provvedimenti di questa natura nel patto di competitività. Sono favorevole alla necessità di introdurre una correlazione fra età pensionabile e andamento demografico. Occorre prendere in considerazione l’impatto prodotto sulle finanze pubbliche da una politica delle pensioni coerente e realistica.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D).(RO) Signor Presidente, comprendo perfettamente come opera il principio di sussidiarietà, ma credo che le pensioni non siano più un argomento di interesse nazionale dal momento che oggi sono al centro di una discussione europea. Stiamo discutendo di sistemi pensionistici che non sono più sostenibili a causa di sfide comuni, come la crisi finanziaria, e di fenomeni come l’invecchiamento della popolazione e la riduzione del tasso di natalità. Il principio della solidarietà intergenerazionale corre il rischio di divenire obsoleto e i cittadini potrebbero essere costretti a versare contributi alle pensioni private. Che cosa ne sarà, tuttavia, di quei cittadini che non dispongono di tempo a sufficienza per contribuire a queste pensioni? I cittadini europei dipendono, inoltre, dal sistema pensionistico pubblico. In Romania, il salario minimo lordo ammonta a circa 160 euro. Per questa ragione sostengo che l’investimento in un fondo pensionistico privato o il risparmio sono pura fantasia. La Commissione europea deve essere maggiormente coinvolta e proporre livelli minimi europei sia per i salari sia per le pensioni. Un primo passo in questa direzione potrebbe consistere nell’effettuare un’analisi comparata dei sistemi pensionistici.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, signor Commissario, siamo qui per discutere di proposte inerenti ai salari e l’età pensionabile. Simili proposte sono quanto meno inique. Sono inique perché insistono su percorsi che, più di una volta, hanno dimostrato di condurre alla catastrofe. I fenomeni che si registrano in Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e in chissà quanti altri paesi – la lista è infinita – presentano caratteristiche diverse, ma esistono alcuni elementi comuni. Uno di questi è un trasferimento senza precedenti del valore del lavoro al capitale finanziario. È inaccettabile. Un ulteriore elemento comune è che sono i lavoratori e i pensionati a pagare per questa crisi, insieme a una generazione di precari che non godono di alcuna garanzia nella società in cui vivono. Vorrei quindi terminare sottolineando, signor Presidente e signor Commissario, che non possiamo continuare a condannare i cittadini alla povertà. Mi auguro sinceramente …

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Liisa Jaakonsaari (S&D).(FI) Signor Presidente, oggi una tendenza che è sempre più forte in Europa è quella del populismo di destra, il cui ingrediente principale è l’opposizione all’Unione europea. Da dove proviene questo sentimento antieuropeista? Ha origine dal fatto che l’Europa sociale viene a essere messa in ombra dall’Europa del mercato. Tutte le proposte della Commissione oggi sono un attacco o al sistema salariale o a quello pensionistico. La sensazione è che una flessibilità nelle retribuzioni possa in qualche modo giovare. Non è così: si produrrà, invece, deflazione.

È estremamente importante che la legislazione nel suo complesso sia ancorata a una clausola sociale permanente per permettere all’idea di un’Europa sociale di tornare a prevalere. È indispensabile rendersi conto che l’età pensionabile salirà se ci saranno miglioramenti nella vita lavorativa, ma non può essere aumentata da provvedimenti imposti dall’alto.

 
  
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  Alfreds Rubiks (GUE/NGL) . – (LV) Signor Presidente, purtroppo l’Irlanda e la Grecia non sono gli unici paesi coinvolti. La Lettonia è stata forse il primo paese a essere colpito da queste difficoltà causate dall’operato delle banche. In Lettonia il salario minimo è stato ridotto e oggi è al di sotto della soglia di sussistenza. Sono state ridotte le pensioni e il reddito minimo esente da imposte. La popolazione protesta. In questo ultimo periodo la Lettonia ha perso un quinto della sua popolazione, che è emigrato e ha cercato lavoro all’estero. Il Fondo monetario internazionale, che dovrebbe salvare il mio paese, ha imposto condizioni draconiane. Ha permesso che i fondi venissero utilizzati per il salvataggio delle banche, che rimanessero piccoli accantonamenti per un prossimo salvataggio delle istituzioni finanziarie, ma non ha consentito …

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Frédéric Daerden (S&D).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, desidero manifestare il mio sostegno all’onorevole De Rossa. Le raccomandazioni del Fondo monetario internazionale (FMI) per l’Irlanda rispecchiano, purtroppo, una tendenza prevalente fra i nostri politici al più alto livello, ossia quella di lasciare che siano i lavoratori europei a pagare per una crisi della quale non sono responsabili.

Un altro esempio è l’analisi annuale della crescita elaborata dalla Commissione, che propone l’aumento dell’età pensionabile collegandola all’aspettativa di vita. Il Parlamento ha di recente espresso la propria condanna a questo proposito nella sua relazione sul libro verde sulle pensioni. Un ulteriore esempio è dato dalla proposta di un patto di competitività che invoca l’abolizione dell’indicizzazione dei salari, in particolare nel mio paese, il Belgio.

In queste circostanze mi compiaccio del coinvolgimento dei sindacati, come nel caso di ieri in Ungheria, per esempio, o di Bruxelles il 29 settembre. È arrivato il momento che i nostri Commissari ascoltino la voce dei lavoratori se non vogliono che aumenti il divario che li separa dai cittadini, i quali crederanno sempre meno nel progetto europeo.

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare gli onorevoli parlamentari per i loro interventi. Posso assicurarvi che tutte le vostre considerazioni riceveranno la nostra piena attenzione. Consentitemi in primo luogo di soffermarmi brevemente sull’importanza del dialogo sociale.

Riconosciamo pienamente l’importanza del dialogo sociale e di costruttive relazioni industriali. Da sempre siamo in contatto con le parti sociali sia a livello europeo sia nei singoli paesi. Il Commissario Rehn, per esempio, ha incontrato personalmente i dirigenti dei sindacati irlandesi agli inizi di novembre. Gli incontri ci sono stati anche con i funzionari della Commissione, della BCE e del FMI al momento di negoziare il programma alla fine di novembre. I contatti proseguiranno in occasione della prossima missione in aprile e anche in futuro. Tra l’altro, contrariamente a quanto riportato, la Commissione non ha costretto l’Irlanda a tagliare i salari minimi o la spesa sociale. Questi provvedimenti erano già stati presentati dal precedente governo irlandese nel suo piano di rilancio nazionale insieme con altre misure di carattere fiscale e strutturale tese a garantire stabilità economica, crescita e occupazione.

La base giuridica per le condizioni di politica economica è data dall’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento del Consiglio n. 407/2010 che istituisce un meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, e dall’articolo 2, paragrafo 2, della decisione di esecuzione del Consiglio n. 2011/77/UE che fornisce all’Irlanda assistenza finanziaria dell’Unione europea. Entrambi trovano base giuridica nell’articolo 122, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il fatto che le condizioni specifiche di politica economica riguardino vari aspetti inerenti alla politica sociale non intacca la validità della base giuridica dell’atto. Non vi è contraddizione con l’articolo 152 o 153, paragrafo 5. Il primo è una disposizione di carattere generale che non esclude l’eventuale necessità di misure specifiche con ripercussioni sul piano sociale. Tale disposizione, peraltro, non da origine a diritti soggettivi delle parti sociali. L’articolo 153, paragrafo 5, stabilisce un limite al contenuto delle misure che possono essere adottate ai sensi di questo stesso articolo, misure che riguardano la politica sociale. Giacché il memorandum di intesa non è stato adottato in virtù dell’articolo 153, tale limite non si applica.

Non è possibile ignorare le disposizioni del titolo 10, politica sociale. Devono essere tenute ben presenti ma ciò significa che, alla luce dell’articolo 153, paragrafo 5, non si possano adottare, ai sensi dell’articolo 122, provvedimenti che abbiano un impatto sulle retribuzioni. I provvedimenti adottati sulla scorta dell’articolo 122 in relazione all’Irlanda non disciplinano una materia. Stabiliscono le condizioni alle quali viene concessa l’assistenza dell’Unione europea. Lo permette esplicitamente l’articolo 122, paragrafo 2. Non esiste, pertanto, alcun problema giuridico rispetto al principio di attribuzione.

Più in generale, il tema delle condizioni di politica economica non riguarda le competenze dell’Unione nell’ambito della politica sociale o dei salari. Le condizioni previste dal programma si applicano a moltissimi ambiti politici per la maggior parte dei quali le competenze ricadono sugli Stati membri. Le condizioni di politica economica del programma costituiscono impegni degli Stati membri concordati con l’Unione europea e il FMI e riguardanti le misure che gli Stati membri adotteranno in cambio dell’assistenza finanziaria dell’UE e del FMI.

La Commissione riconosce, infine, che qualsiasi programma di assistenza finanziaria inevitabilmente produce ripercussioni sul piano sociale. L’obiettivo precipuo delle condizioni specifiche previste dal programma, tuttavia, è di evitare conseguenze sociali ancora più gravi permettendo al paese di ritornare a una situazione di crescita sostenuta e creazione di occupazione.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D).(EN) Signor Presidente, dovrò chiedere il suo aiuto per capire quando un Commissario, in questa Assemblea, afferma, da un lato, che l’Irlanda non è costretta a ridurre i salari minimi o la protezione sociale e poi aggiunge che l’accordo è un requisito essenziale; un requisito per ricevere assistenza finanziaria – non è forse questa una contraddizione fondamentale e una fuorviante…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Presidente. – Mi perdoni, onorevole De Rossa, lei sa che nutro per lei grande rispetto e amicizia, ma non possiamo riaprire la discussione. Il suo parere merita rispetto, così come quello del Commissario e ciascuno di noi deve vedersela con le contraddizioni che possono sorgere.

La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. (RO) Secondo Eurostat, nel gennaio 2011, il salario minimo mensile era pari a 123 euro in Bulgaria, a 157 euro in Romania e a 1 758 euro in Lussemburgo. In 20 dei 27 Stati membri, il salario minimo è stabilito dalla legge o da accordi nazionali intersettoriali. In 11 Stati membri, il salario minimo mensile varia fra 100 e 400 euro, in 5 Stati membri fra 550 e 950 euro, e in 6 supera 1 100 euro.

Lo sviluppo e il consolidamento del mercato interno consentono alle aziende di avere accesso agli oltre 500 milioni di consumatori europei. La persistente disparità fra i livelli dei salari minimi degli Stati membri è, tuttavia, un ostacolo che impedisce alle aziende europee di avere accesso ai consumatori europei e a questi ultimi di avere accesso a prodotti e servizi di elevata qualità. Ritengo che il dialogo sociale svolga un ruolo particolarmente importante al fine di garantire giustizia sociale e uno standard di vita adeguato a tutti i cittadini europei.

Facciamo appello alla Commissione e agli Stati membri affinché garantiscano una stessa paga per lo stesso lavoro sul mercato interno, elimino gli ostacoli che impediscono la libera circolazione dei lavoratori, e considerino la possibilità di un salario minimo stabilito per legge o dalla contrattazione collettiva, assicurando così un tenore di vita adeguato ai cittadini europei.

 

4. Prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale alla Commissione sulla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana presentata dall’onorevole Ferreira, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (O-000044/2011 - B7-0201/2011).

 
  
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  João Ferreira, autore.(PT) Signor Presidente, signor Commissario, sono passati due anni dalla pubblicazione della comunicazione della Commissione, nel febbraio del 2009, su un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana. È stata ribadita l’importanza di questo argomento. Da allora, diverse calamità hanno colpito l’Europa e hanno avuto conseguenze fortemente nefaste sulla popolazione, sul territorio, sull’economia e sull’ambiente.

In termini generali, la comunicazione della Commissione seguiva un approccio corretto, benché inadeguato, a giudizio del Parlamento. Inoltre, la Commissione non ha ancora assolto gli impegni assunti con questa comunicazione.

Un esempio è l’impegno di stilare un elenco di misure di prevenzione da finanziare con fondi dell’Unione europea e da attuare a livello nazionale. Dopo due anni, dov’è questa lista? La Commissione aspetterà ancora il prossimo quadro finanziario pluriennale per presentarla? Ancora due anni a partire da adesso?

Nel frattempo, nel settembre dello scorso anno, il Parlamento ha adottato una relazione proprio su questo argomento che presenta una serie di importanti raccomandazioni. È essenziale ribadire che questa relazione è stata preceduta da un’ampia discussione, non soltanto in seno al Parlamento, ma anche con numerosissimi enti locali, regionali e nazionali, che operano nelle diverse fasi della gestione delle catastrofi.

La relazione raccoglieva altresì numerose esperienze di disastri vissute da persone vittime di calamità nello scorso anno. Vorrei qui menzionare alcuni punti specifici della relazione, tra i tanti in essa contenuti. Sono state individuate delle azioni cui possano essere destinati i fondi speciali riservati agli Stati membri, nella prospettiva di rimediare a situazioni di rischio in settori come la gestione forestale, la tutela e la difesa delle coste, il ripristino e la protezione dei bacini fluviali, la tutela e il rimodellamento delle aree popolate particolarmente soggette ad alcuni tipi di catastrofi e la salvaguardia delle attività agricole in aree caratterizzate dallo spopolamento, soggette al rischio di disastri naturali.

In che modo la Commissione ha incluso o pensa di includere questi temi nell’elenco di misure da redigere? La relazione propone altresì la creazione di un’assicurazione agricola pubblica in Europa e l’istituzione di un sistema di compensazione minima per gli agricoltori vittime di catastrofi.

Rilevo che è cosa ben diversa dall’attuale possibilità di sovvenzionare un’assicurazione a livello nazionale, da parte degli Stati membri, con la valutazione dello stato di salute della PAC. Si propone invece un’assicurazione finanziata con fondi comunitari che tuteli dalle calamità tutti gli agricoltori in ugual misura, sia che vivano negli Stati membri meno prosperi, che in quelli più ricchi.

Come sappiamo, le calamità sono profondamente inique e quasi sempre hanno un effetto più incisivo su coloro che sono meno capaci di tutelarsi, che siano persone o paesi. Se c’è un settore in cui è necessario garantire un’espressione tangibile della solidarietà europea e del principio di coesione, è proprio la tutela della popolazione, dell’economia e dell’ambiente dalle catastrofi.

Vorrei pertanto chiedere, in questa sede, come la Commissione intenda agire per ridurre gli squilibri esistenti tra le regioni e gli Stati membri in questo settore, in altre parole, come intenda contribuire a migliorare la prevenzione nelle regioni e negli Stati membri con una maggiore esposizione al rischio e minori possibilità economiche. La relazione affronta anche il rafforzamento dei sistemi di allarme rapido negli Stati membri e la creazione di collegamenti tra i diversi sistemi di allarme rapido. Quali passi sono stati compiuti in questo settore? Quali saranno i prossimi passi da compiere? Infine, vale la pena di ricordare che, oltre alla prevenzione, in considerazione dell’esperienza accumulata durante i recenti disastri, sta diventando fondamentale rivedere i regolamenti del fondo di solidarietà, affinché si possa fare un uso più flessibile e tempestivo di questo strumento.

Cosa ha già fatto la Commissione e cosa ha intenzione di fare per questa revisione? Ricordo che un anno fa Madeira è stata colpita da una calamità di rilievo, con vittime e numerosi danni materiali alle infrastrutture di base e strategiche. È passato un anno e Madeira non ha ancora ricevuto un solo centesimo di aiuti dall’Unione europea. Cosa intende fare la Commissione per modificare questa situazione, quando il regolamento del fondo di solidarietà recita che “si deve intervenire in maniera urgente al fine di contribuire, nel minor tempo possibile, a mobilitare i servizi di soccorso”? Dov’è questa rapidità quando, dopo un anno, Madeira non ha ancora ricevuto un euro di aiuti dall’Unione europea?

In conclusione, signor Presidente, ancora una volta esorto la Commissione a considerare l’ampio consenso riscosso da questa relazione al momento della votazione e della discussione come un chiaro segnale che si debba dare applicazione a queste raccomandazioni, alle raccomandazioni contenute in questa relazione. Molte di esse erano già contenute nelle precedenti risoluzioni del Parlamento, ma sfortunatamente non si è fatto nulla e la responsabilità di questo ritardo ricade, in particolare, sulla Commissione.

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il Parlamento per l’opportunità di questo scambio di opinioni sulla prevenzione delle catastrofi e, segnatamente, l’onorevole Ferreira per essersi costantemente interessato alla materia.

Le catastrofi dello scorso anno fungono da sano promemoria per l’Unione europea e per gli Stati membri, affinché migliorino la prevenzione dei disastri naturali. Dobbiamo essere ambiziosi. Tutti sappiamo che gli investimenti nella prevenzione delle catastrofi sono fruttuosi. Al tempo stesso, rappresenta una sfida garantire più investimenti in questo settore, contenendo la spesa.

Attualmente stiamo valutando l’efficacia degli strumenti finanziari europei esistenti. Stiamo altresì sviluppando un catalogo di misure di prevenzione che gli Stati membri potranno prendere in considerazione per accedere ai fondi europei.

Il nostro obiettivo è accrescere l’impatto dei fondi europei e accelerare l’attuazione del sostegno ai fondi regionali. Stiamo anche esaminando strumenti finanziari innovativi, come delle assicurazioni collettive per condividere i rischi. Investimenti efficaci nella prevenzione delle catastrofi contribuiranno a salvare vite umane, a limitare i danni e, infine, a risparmiare denaro.

Sono state anche pensate delle azioni per migliorare la conoscenza delle catastrofi. Abbiamo lavorato con l’Agenzia europea per l’ambiente su una relazione che valuti la frequenza delle calamità in Europa e il loro impatto sulle persone, sulle economie e sugli ecosistemi. Abbiamo altresì bisogno di valutazioni chiare e trasparenti dei rischi in cui incorriamo.

Il 21 dicembre dello scorso anno abbiamo pubblicato un documento guida sulla valutazione e sulla mappatura nazionale dei rischi per incoraggiare gli Stati membri a rafforzare una cultura globale della gestione del rischio. Lo sviluppo di politiche mature di gestione del rischio necessita del coinvolgimento di tutte le parti in causa. La maggiore frequenza e intensità delle catastrofi in Europa dovrebbe anche fornire agli Stati membri un ulteriore incentivo per investire nella preparazione preventiva e per accrescere le proprie capacità.

Oltre agli elementi attinenti alla prevenzione, è ugualmente importante che gli Stati membri, e l’Europa nel suo complesso, siano in grado di offrire la migliore reazione possibile. Nell’ottobre dello scorso anno abbiamo delineato la nostra proposta politica per una capacità di reazione alle catastrofi a livello europeo. Il nostro obiettivo è migliorare l’efficacia, la coerenza e la visibilità della reazione ai disastri da parte dell’Unione europea.

 
  
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  Richard Seeber, a nome del gruppo PPE.(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, è giusto iniziare dal termine solidarietà. Quando si verifica un disastro, che sia causato dall’uomo o dalla natura, dobbiamo agire insieme in Europa. Questo è un elemento capitale dell’integrazione europea.

La seconda parola chiave da menzionare è rapidità. È importante fornire gli aiuti velocemente, perché l’assistenza rapida è la forma più efficace di soccorso.

In terzo luogo, tuttavia, devo sottolineare che, innanzi tutto, la responsabilità di proteggere la popolazione dalle catastrofi, ove possibile, ricade sugli Stati membri. Dobbiamo analizzare come poter impiegare le risorse europee e i fondi disponibili in modo più efficiente ed efficace. Devo tuttavia rimarcare che molti Stati membri chiedono risorse europee per celare il fatto che non dispongono autonomamente di misure adeguate.

Come possiamo agire a livello europeo? Abbiamo due capitoli di spesa principali: innanzi tutto, il Fondo europeo di sviluppo regionale del quale è responsabile il Commissario Hahn e, in secondo luogo, il fondo agricolo, nell’ambito del quale si potrebbe fare un uso migliore dei finanziamenti già disponibili. È fondamentale la prevenzione. Vale a dire che si possono prevenire molti disastri, soprattutto le alluvioni, con un’opportuna pianificazione territoriale. Abbiamo già una direttiva alluvioni con la quale è emerso chiaramente che avremmo potuto fare molto con le risorse disponibili se avessimo adottato le misure corrette, come la mappatura del territorio, la valutazione del rischio e, come terzo provvedimento, la creazione di piani d’azione precauzionali.

Vorrei che la Commissione, oltre alle misure di prevenzione da essa delineate, prenda in particolare considerazione la siccità e la carenza di acqua. Su questi temi manca ancora uno strumento come la direttiva alluvioni e potremmo fare molto.

Per quanto attiene al catalogo delle misure di prevenzione in sé, devo dire che è sicuramente cruciale un approccio globale; in altre parole, dobbiamo prendere in considerazione questi aspetti anche in altre politiche. Con la supervisione della Commissione, gli Stati membri devono anche tracciare delle mappe del rischio per tutte le regioni.

 
  
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  Edite Estrela, a nome del gruppo S&D.(PT) Signor Presidente, questa è una discussione ricorrente in Parlamento. Purtroppo le catastrofi naturali e di origine umana stanno diventando sempre più frequenti e devastanti.

Benché la responsabilità della prevenzione dei disastri ricada principalmente sugli Stati membri, l’Unione europea può offrire un importante contributo. Esistono alcuni strumenti comunitari a sostegno delle attività di prevenzione delle catastrofi.

È tuttavia importante la valutazione di tali strumenti, al fine di individuare meglio le lacune. Inoltre, è necessario migliorare anche i meccanismi di finanziamento. È stato già detto in questa sede, ma vorrei ribadire che, nel caso di Madeira, non c’è ancora stata alcuna promessa di aiuti ed è chiaro che le vittime di questa catastrofe non possono aspettare all’infinito.

Abbiamo anche esortato la Commissione a redigere delle linee guida comunitarie per la mappatura del rischio. Vorrei anche sottolineare l’importanza di stilare un inventario completo di tutte le fonti di informazione, poiché si riesce a procedere nel modo corretto soltanto se si hanno informazioni accurate.

Alcuni dei suggerimenti e delle proposte presentate dalla relazione dell’onorevole Ferreira erano contenuti anche nella mia relazione, adottata dal Parlamento nel 2006, e la Commissione non ha ancora dato risposta a molte di queste proposte. Vorrei pertanto chiedere al Commissario se può fornire un resoconto delle attività espletate fino ad adesso relativamente alla creazione di un Osservatorio europeo per la siccità e anche alla direttiva in materia di incendi boschivi.

 
  
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  Catherine Bearder, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, l’estate è sempre più calda e i temporali sempre più imponenti. Le precipitazioni sono più incostanti e abbiamo fenomeni di siccità più ampi che provocano incendi in tutto il continente, minacciando le specie viventi. Negli ultimi anni quasi nessun paese è sfuggito alle catastrofi naturali, senza considerare i disastri provocati dall’uomo come Chernobyl e, più recentemente, la fuga tossica in Ungheria.

I cittadini si appellano ai rappresentanti eletti perché garantiscano una pianificazione delle misure di protezione, affinché siano efficaci, affidabili e pronte a ogni evenienza. Abbiamo avuto molte promesse e molte relazioni della Commissione, seguite però da poche azioni concrete. Ci hanno promesso progressi nella creazione di una rete di servizi nazionali che si occupi della materia negli Stati membri. Nel 2009 ci hanno promesso una mappa delle risorse disponibili e pronte all’uso, in caso di calamità. Dovremmo chiedere adesso alle autorità nazionali di predisporre all’uso le strutture essenziali, affinché siano disponibili per interventi di assistenza in Europa, laddove necessari.

Nella mia regione, a Bracknell, è ubicato il centro di previsioni meteorologiche a medio raggio, noto in tutto il mondo. Le informazioni fornite da questo centro assistono, su tutto il pianeta, marinai, piloti aeronautici e addetti alle emergenze fornendo dati in tempo reale, ma abbiamo bisogno di qualcosa in più, oltre a questi mezzi. Abbiamo necessità di sapere dove sono dislocate le squadre di personale addestrato a intervenire nelle emergenze, dove si trovano le scorte alimentari, le tende e le coperte per le emergenze.

Abbiamo bisogno di sapere dove sono custodite le attrezzature che salveranno la vita dei cittadini della nostra Unione quando ne avranno bisogno. La Commissione deve presentare questi piani adesso; la catastrofe di domani potrebbe essere dietro l’angolo.

 
  
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  Marisa Matias, a nome del gruppo GUE/NGL.(PT) Signor Presidente, vorrei cominciare col dire che approvo pienamente quanto detto dal mio collega. La prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana è di importanza capitale e sempre crescente: la Commissione sta sistematicamente presentando una serie di intenzioni di ordine procedurale e temporale.

Sussiste tuttavia un problema complicato che ho già menzionato. Il fondo di solidarietà è lo strumento che normalmente risponde a queste situazioni, ma interviene dopo un lunghissimo lasso di tempo, da nove mesi a un anno dopo l’evento disastroso. Come è stato già detto, ma voglio continuare a ripetere, così come continuerò a ripetere quanto segue finché necessario, nel caso di Madeira, la popolazione è stata vittima di un disastro enorme un anno fa e non ha ancora ricevuto gli aiuti.

Vorrei pertanto sottolineare nuovamente la questione: non è giunto il momento che la Commissione riveda le procedure relative al fondo e al modello di finanziamento? Come possiamo mantenere un fondo che si occupa di situazioni eccezionali sempre più drammatiche? Non sappiamo dove si verificherà la catastrofe, ma sappiamo che ci sarà e i cambiamenti climatici lo dimostrano. Pertanto, il carattere di eccezionalità non può essere applicato a situazioni che si verificano regolarmente.

 
  
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  Jaroslav Paška, a nome del gruppo EFD.(SK) Signor Presidente, ci sono ampi margini di miglioramento per gli attuali meccanismi di prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana.

Nell’ambito delle misure preventive da adottare contro i disastri naturali, dobbiamo cercare soprattutto di migliorare i sistemi di monitoraggio dei fenomeni naturali – che siano i mutamenti della situazione meteorologica o i movimenti tettonici – e poi migliorare i modelli matematici per la valutazione e la previsione dei cambiamenti, delle loro conseguenze e dei relativi meccanismi di allerta e successiva evacuazione; per quanto attiene ai disastri di origine umana, invece, possiamo agire in modo più efficace.

Poiché siamo consapevoli dei rischi delle diverse attività umane, specialmente delle attività industriali che minacciano l’ambiente, sappiamo come ridurre in modo preventivo il rischio di un possibile disastro generato da qualsiasi tipo di attività a rischio attraverso l’applicazione di una corretta normativa. Un quadro normativo per la prevenzione, così come i sistemi di supervisione, ispezione, sanzione e repressione, devono essere tuttavia onnicomprensivi e messi in pratica con dovizia e slancio.

Dobbiamo pertanto lavorare sistematicamente per migliorare questi meccanismi di protezione dalle catastrofi, con l’obiettivo di tutelare la salute e la vita dei nostri cittadini.

 
  
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  Ville Itälä (PPE).(FI) Signor Presidente, approviamo quanto è stato detto qui. Le catastrofi continuano ad aumentare. L’Unione europea potrebbe davvero dare un forte contributo in materia: scambiare informazioni, offrire sostegno e solidarietà. Naturalmente, così si crea un valore aggiunto che è ciò che ci si aspetta dall’Unione su questi temi.

Personalmente, tuttavia, vorrei cogliere questa occasione e porre una domanda al Commissario. Tre o quattro anni fa ci fu un grande incendio boschivo in Russia che provocò considerevoli danni da fumo nel mio paese, la Finlandia. Molte persone si sono effettivamente ammalate a causa di questi fumi. All’epoca il Parlamento europeo decise di chiedere alla Commissione di negoziare un accordo con la Russia sulle modalità di assistenza da parte dell’Unione europea, fornendo gli aiuti di cui la Russia aveva allora bisogno, ma che all’epoca non accettò. Vorrei sapere se la Commissione ha compiuto dei progressi e se ha attuato dei provvedimenti in materia.

Le catastrofi non si limitano ai confini dell’Unione europea: avvengono anche oltre le nostre frontiere e spesso hanno un impatto sugli Stati membri dell’Unione. Vorrei sapere quali progressi sono stati compiuti nei rapporti con la Russia in questo ambito.

 
  
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  Mario Pirillo (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli ultimi 15 anni il numero delle catastrofi naturali e di origine umana è sensibilmente aumentato, assistiamo a fenomeni che sono sempre più gravi e più frequenti in quasi tutti i paesi dell'Unione europea con conseguenze gravi sull'economia, le infrastrutture nonché sugli ecosistemi.

Urge un approccio comunitario per sviluppare politiche di prevenzione ed individuare e adeguare i relativi strumenti finanziari. Il fondo di solidarietà dell'Unione europea e quelli nazionali non sono più in grado di far fronte alle frequenti calamità.

Vorrei chiedere al Commissario qui presente quando potrà fornire i dati e una mappatura delle aree soggette a rischio, già annunciate nella sua comunicazione del 23 febbraio 2009? Devo lamentare, infine, che da diverso tempo è bloccata al Consiglio la direttiva sul suolo, utile per migliorare la gestione del territorio.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (S&D).(RO) Signor Presidente, dopo il disastro ecologico verificatosi in Ungheria lo scorso ottobre, in più occasioni ho attirato l’attenzione della Commissione europea sul tema della prevenzione delle catastrofi nell’industria mineraria. Nel caso delle miniere, gli incidenti possono spesso avere un impatto transfrontaliero. Questa è la principale ragione per cui l’Unione europea ha il dovere di garantire che sia adottata ogni possibile misura per ridurre il rischio di incidenti e migliorare la rapidità e l’efficacia della reazione nel caso in cui tali incidenti comunque si verifichino.

Dalla Commissione, in risposta alle mie interrogazioni, ho ricevuto conferma che le sostanze disperse nell’ambiente e nel Danubio dopo l’incidente in Ungheria erano effettivamente tossiche, anche se questa verità era stata inizialmente smentita dalle autorità. È un esempio lapalissiano di regolamenti non applicati, una situazione da modificare prima possibile.

È compito della Commissione europea intraprendere azioni urgenti a seguito della risoluzione adottata lo scorso anno dal Parlamento che chiedeva di vietare l’impiego di cianidi per l’attività mineraria, poiché costituiscono una seria minaccia transfrontaliera per gli ecosistemi.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE).(RO) Signor Presidente, la relazione sull’approccio comunitario per la prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana, approvata nel settembre 2010, contiene alcuni importanti riferimenti diretti all’agricoltura. La relazione menziona, nello specifico, il fatto che la produzione agricola sia sensibile ai fenomeni climatici, come la siccità, il gelo, la grandine, gli incendi boschivi, le alluvioni, gli smottamenti e altri. La relazione indica anche diversi importanti suggerimenti per mitigare l’impatto di questi fenomeni. L’autore ha già citato l’idea di offrire delle formule di assicurazione per il settore agricolo.

Vorrei sottolineare quanto sia importante affrontare queste sfide in modo efficace, soprattutto nel contesto di una futura politica agricola comune, il cui obiettivo è conferire al settore primario sia un ruolo nella produzione alimentare, che una funzione ancora più centrale nelle attività di tutela dell’ambiente.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (S&D).(HU) Signor Presidente, lo scorso ottobre l’Ungheria ha ricevuto assistenza specializzata e risorse materiali per far fronte ai danni provocati dal disastro del fango rosso, ma nessuna forma di aiuto concreto. È stato estremamente difficile spiegare alla popolazione perché si possano offrire aiuti umanitari ai cittadini extracomunitari, ma non agli Stati membri dell’Unione europea. È ovvio che debba applicarsi il principio “chi inquina paga” in caso di disastri nel settore industriale, ma nella maggior parte dei casi, le aziende non hanno fondi sufficienti. La Commissione ha promesso di rendere obbligatoria un’assicurazione per responsabilità civile ambientale per tutte le aziende che svolgono attività pericolose. Al tempo stesso, propongo che – con un’adeguata regolamentazione – il fondo di solidarietà sia allargato al sovvenzionamento parziale dei disastri di origine industriale, sottolineo, parziale...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Franz Obermayr (NI).(DE) Signor Presidente, il concetto di prevenzione delle catastrofi, in particolare per quanto riguarda i nostri amici ungheresi, merita chiaramente grande attenzione, poiché qualcosa non ha funzionato nell’affrontare il disastro del fango tossico in Ungheria, lo scorso ottobre. Nella sua relazione la Commissione ha rilevato che ci siano stati errori evidenti da parte delle autorità locali, che non sono riuscite a individuare le acque di scarico pericolose e hanno commesso errori evidenti nella costruzione della cisterna. La Commissione ha anche rilevato che non era stato recepito nella normativa ungherese il Catalogo europeo dei rifiuti – la direttiva relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive. È pertanto importante che ogni Stato membro trasponga gli standard europei nella propria legislazione in modo vincolante.

Oltre alla prevenzione delle catastrofi, è capitale un’applicazione corretta di questi standard europei, così come lo scambio delle buone prassi che aiuta gli Stati membri ad aiutare loro stessi. In particolare, durante quest’anno del volontariato, è fondamentale e corretto che i paesi membri dell’Unione si conformino ai modelli costituiti da quegli Stati membri che dispongono di vigili del fuoco volontari su tutto il territorio nazionale, di servizi di salvataggio, eccetera.

 
  
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  Iosif Matula (PPE).(RO) Signor Presidente, una delle maggiori sfide che deve affrontare attualmente l’Unione europea è l’aumento della gravità e delle ripercussioni delle calamità naturali. Le statistiche indicano che, negli ultimi 20 anni, in Europa si sono verificate 953 catastrofi naturali, provocando almeno 90 000 morti e perdite economiche per 269 miliardi di dollari.

Per fronteggiare gli effetti provocati da questi fenomeni, è necessaria una carta dei rischi, unitamente a un piano coerente per la gestione dei fattori ambientali. Devono essere prioritari per tutti noi la conservazione e l’ampliamento delle aree boschive, così come l’inserimento di cinture verdi nei contesti urbani. È vitale che si attribuisca la dovuta importanza alle attività di informazione ed educazione dei cittadini circa la prevenzione delle conseguenze delle catastrofi. Un buon esempio è la giornata internazionale per la riduzione dei disastri naturali. Penso altresì che sia necessario rendere più efficaci tutti gli strumenti…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D).(PT) Signor Presidente, le preoccupazioni sollevate in merito alla prevenzione delle catastrofi e la reazione alle stesse sono un argomento molto delicato e di primaria importanza per i nostri cittadini che non possono e non devono attendere.

Parliamo di situazioni estremamente delicate che riguardano la sicurezza delle persone e dei loro beni e che spesso ci toccano tutti per la perdita di vite umane, la distruzione di famiglie intere, la devastazione dei mezzi di sussistenza. Tutte le nostre rimostranze però hanno poca importanza se paragonate alle tragedie che, attraverso i media, ci toccano tutti e ci rendono consapevoli del fatto che non possiamo restare indietro con l’opera necessaria a evitare, ridurre al minimo o assistere più efficacemente le vittime in queste situazioni.

Signor Commissario, i miei colleghi hanno delineato il problema molto chiaramente. È uno dei casi in cui l’Unione europea può dimostrare ai cittadini che è pronta ad aiutarli nella prevenzione delle calamità e, soprattutto, a offrire il suo sostegno quando essi ne hanno più bisogno e nei momenti di massima fragilità, se capita.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, siamo tutti ben consapevoli dei fattori che hanno generato un aumento del numero delle catastrofi verificatesi negli ultimi anni: sappiamo dei cambiamenti climatici, dell’industrializzazione selvaggia nei paesi in via di sviluppo e della crescita demografica, tra le altre ragioni.

Molti di questi disastri, tuttavia, sono semplicemente causati dall’uomo e, a tal proposito, dobbiamo ribadire che dovrebbe valere il principio “chi inquina paga”. È sbagliato chiedere sempre e subito gli aiuti dell’Unione europea. È tuttavia necessaria la solidarietà europea, naturalmente, quando le calamità sono il risultato di una vera e propria forza maggiore, quando si verificano disastri di origine puramente naturale. In questo ambito, non vi è dubbio che la solidarietà europea debba cominciare con la prevenzione – per esempio, con strutture per evitare le valanghe, con dighe contro le inondazioni e sistemi di mappatura e di monitoraggio.

Oltre a ciò, dovremmo davvero disporre di un’unità che somigli a un “servizio catastrofi” di livello europeo che possa attivarsi molto rapidamente nel caso in cui vi sia bisogno di assistenza per evitare le conseguenze più gravi.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signor Presidente, si sentono molti paroloni qui oggi, ma il parolone più importante è il primo che leggiamo in alto: prevenzione. Come dice il vecchio adagio, “meglio prevenire che curare” e certamente dobbiamo cercare di prevenire i disastri naturali studiando le più recenti evoluzioni, in modo da formulare delle previsioni per mettere in atto misure precauzionali.

È altresì necessario una sorta di meccanismo di assicurazione transeuropea, altrimenti le zone colpite non potranno permettersi un’assicurazione. Per esempio, dalle mie parti, nella città di Clonmel le assicurazioni sono cresciute di sei volte a causa del rischio di alluvioni.

Infine, chiedo: quanti paesi possono davvero affermare di aver ottemperato alle raccomandazioni della Commissione, in particolare per quanto attiene alla direttiva alluvioni? So che nel mio paese non è stata adeguatamente applicata. I paesi devono assumersi le loro responsabilità, così come la Commissione. Lavorando insieme possiamo almeno attenuare le difficoltà.

 
  
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  Georgios Koumoutsakos (PPE).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, giungiamo sempre alla stessa conclusione di fronte ai grandi e catastrofici incendi boschivi che, quasi ogni estate, colpiscono gli Stati membri nell’Europa meridionale e dei quali la Grecia ha un’esperienza drammatica e traumatica: la parola chiave per agire in maniera pronta ed efficace, in caso di catastrofi naturali e di origine umana in Europa, è “solidarietà”. Il trattato di Lisbona, inoltre, ha introdotto la clausola di solidarietà per la prestazione di assistenza agli Stati membri che patiscono le conseguenze di disastri naturali.

Dobbiamo prepararci ad applicare questa clausola in modo corretto ed efficace, altrimenti è come se ignorassimo il 70 per cento dei cittadini europei che corre il rischio di dover far appello all’assistenza messa a disposizione dall’Unione europea, nel caso in cui, nel loro paese, si verifichi una calamità naturale. È importante evitare che i vincoli di bilancio intacchino le politiche e i finanziamenti per il settore della prevenzione dei disastri.

È anche importante…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(DE) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare tutti per gli ampi contributi alla discussione. Laddove è stata formulata una richiesta diretta alla mia collega, Commissario Georgieva, forniremo delle risposte scritte, per esempio per quanto attiene alla situazione delle trattative e dei negoziati con la Russia sulla questione dell’informazione e del monitoraggio.

Vorrei tuttavia cogliere questa occasione – poiché il fondo europeo di solidarietà è di mia competenza – per dirvi che questo fondo è uno strumento creato sette o otto anni fa e che non è finanziato dal bilancio. Quando si verifica una calamità, si segue una procedura molto complessa – innanzi tutto, si effettuano delle valutazioni e, successivamente, si passa alla codecisione del Parlamento europeo e del Consiglio – che può provocare dei ritardi.

Nel caso specifico di Madeira, posso dirvi che nei prossimi 14 giorni avremo la firma e il pagamento. Il ritardo è stato anche provocato dal fatto che lo Stato membro ha fornito tante informazioni necessarie con molto ritardo: bisogna considerare anche questo fattore. Alla fin fine dobbiamo anche essere in grado di dimostrare, e anche di far valutare, come sono stati effettivamente impiegati i fondi. Nondimeno è necessario continuare a sviluppare la struttura del fondo di solidarietà: sono in corso discussioni in materia in seno alla Commissione.

È francamente difficile inserire il tema della valutazione della siccità. La situazione è diversa per i disastri di origine tecnologica, per esempio. Questi temi devono essere rivalutati alla luce dell’esperienza accumulata negli ultimi anni.

Per quanto attiene ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali, per esempio, in tutta Europa per l’esercizio finanziario corrente sono disponibili 7,5 miliardi di euro per la prevenzione dei rischi e per le corrispondenti misure di tutela ambientale. Di questi, circa il 20 per cento è già stato destinato a progetti specifici.

In quanto parlamentari eletti in una circoscrizione elettorale o in un Land, sapete meglio di me che spesso sorgono diatribe amministrative tra le regioni e gli Stati membri perché non è chiaro chi sia responsabile. In pratica, si producono spesso dei ritardi nell’attuazione dei progetti. Sarebbe un risultato importante il superamento di questi problemi, perché è nell’interesse dei cittadini e delle regioni che impieghiamo il denaro messo a disposizione, senza perderci in problemi amministrativi o burocratici e senza permettere che essi provochino ritardi.

Infine, vorrei dire che abbiamo intenzione di presentare effettivamente una proposta legislativa alla fine dell’anno che indichi come adottare un approccio più diretto al monitoraggio dei disastri, in Europa, e alla reazione di fronte agli stessi. Vorrei ringraziarvi ancora una volta per l’impegno e la perseveranza dimostrati nei confronti di questo tema e vorrei chiedervi anche di continuare – e con questo concludo – a prestare questa costante attenzione all’attuazione della normativa e all’impiego delle risorse finanziarie che, in linea di principio, sono disponibili negli Stati membri.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Ádám Kósa (PPE), per iscritto. (HU) Con la comunicazione del 23 febbraio 2009 dal titolo “Un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana”, la Commissione, tra le altre cose, ha assunto il compito di mettere in relazione le fonti di informazione esistenti e disponibili sulle catastrofi e sulle misure preventive. Vorrei cogliere questa occasione per sottolineare che le modalità con cui il governo neozelandese ha gestito le comunicazioni con i sordi e gli ipoudenti durante l’ultimo disastro sono un esempio illuminante che si potrebbe replicare. Alla fine del 2010 il governo neozelandese ha diffuso diverse pubblicazioni e anche un DVD per preparare le persone coinvolte, le autorità e la popolazione a utilizzare il linguaggio dei segni nel corso di un’eventuale calamità. Quest’attività ha salvato molte vite umane e beni materiali. Secondo le organizzazioni locali e la Federazione mondiale dei sordi (http://www.wfdeaf.org" ) il governo del Queensland e l’autorità australiana per i media e le comunicazioni (ACMA) dovrebbero essere orgogliosi – nonostante le tragedie che, purtroppo, continuano a verificarsi – dei successi conseguiti con la loro eccellente preparazione e cooperazione, soprattutto per aver offerto ai sordi comunicazioni immediate e in tempo reale. In questa prospettiva, spero che la Commissione esamini la buona prassi di questo Stato extraeuropeo e ne diffonda e promuova l’attuazione negli Stati membri, anche per quanto attiene all’impiego delle risorse europee.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROUČEK
Vicepresidente

 

5. Crisi causata dalle ceneri vulcaniche (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione:

- sull’interrogazione orale (O-0198/2010 - B7-0015/2011) alla Commissione, degli onorevoli Marinescu e Grosch a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), in merito alla crisi causata dalle ceneri vulcaniche;

- sull’interrogazione orale (O-000052/2011 - B7-0204/2011) alla Commissione, dell’onorevole El Khadraoui a nome del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, in merito alla crisi causata dalle ceneri vulcaniche;

- sull’interrogazione orale (O-000049/2011 - B7-0202/2011) alla Commissione, dell’onorevole Meissner a nome del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, in merito alla crisi causata dalle ceneri vulcaniche;

- sull’interrogazione orale (O-000051/2011 - B7-0203/2011) alla Commissione, dell’onorevole Zīle a nome del gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, in merito alla crisi causata dalle ceneri vulcaniche.

 
  
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  Marian-Jean Marinescu, autore.(RO) Signor Presidente, lo scorso aprile sono stati chiusi ampi settori dello spazio aereo europeo a causa dell’eruzione vulcanica e la crisi che ne è derivata ha colpito più di 10 milioni di viaggiatori, provocando gravi ripercussioni economiche. La gestione della crisi causata dalle ceneri vulcaniche ha lasciato molto a desiderare per la mancanza di coordinamento tra le istituzioni, l’assenza di indicazioni e flessibilità e l’incapacità di utilizzare in modo ottimale le risorse tecniche.

Ho affermato già allora e continuo a sostenere che sia di fondamentale importanza attuare le misure necessarie per impedire un’altra eruzione vulcanica con le medesime conseguenze. La responsabilità della sicurezza dei voli, compresa quella di evitare le aree contaminate dalle ceneri, spetta agli operatori aerei e agli equipaggi; gli operatori devono altresì disporre di dati accurati per adottare le migliori soluzioni. I piloti sono addestrati a gestire condizioni di volo straordinarie e hanno l’esperienza necessaria per valutare il rischio, decidendo un’eventuale modifica della rotta.

Per garantire che il processo funzioni in modo più efficiente possibile sarà necessario quanto segue: migliorare la supervisione e la previsione, investendo maggiori risorse nelle attrezzature terra/aria. La struttura tecnica deve essere in grado di fornire dati accurati in tempo reale e previsioni costantemente aggiornate, resi possibili dalle nuove tecnologie. L’impiego di diversi centri per raccogliere e trasmettere queste informazioni migliorerà la valutazione del rischio e la relativa programmazione dei voli. Il ruolo degli istituti per la gestione delle crisi deve essere chiarito, assicurando quindi che gli operatori ricevano le informazioni necessarie per prendere decisioni.

All’organo di controllo spetta la responsabilità della supervisione, mentre i centri di consulenza sulle ceneri vulcaniche hanno il compito di notificare eruzioni e aree ad alto rischio ai fornitori di servizi di navigazione aerea. Questi ultimi devono, a loro volta, informare l’equipaggio dell’aeromobile delle aree ad alto rischio di contaminazione da ceneri vulcaniche. Occorre che le parti interessate siano preparate a gestire efficacemente le crisi attraverso esercitazioni di simulazione.

A mio avviso, è indispensabile che l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) elabori le specifiche necessarie a chiarire le competenze e il controllo a livello operativo. La creazione di un cielo unico europeo e la realizzazione della ricerca sulla gestione del traffico aereo nel cielo unico europeo (SESAR) semplificheranno notevolmente il processo decisionale, riducendo in modo significativo l’impatto in caso di crisi. Ritengo che questi siano i punti essenziali da risolvere per prepararci a gestire efficacemente una situazione simile nel futuro.

 
  
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  Brian Simpson, autore.(EN) Signor Presidente, accolgo con favore l’opportunità fornita dall’interrogazione orale per riesaminare i problemi incontrati dai viaggiatori e, più in generale, dal settore aeronautico durante la crisi vulcanica verificatasi lo scorso anno in Islanda.

Un anno fa è emerso chiaramente che gli Stati membri e l’Unione europea nel suo complesso non disponevano di un piano per una simile eventualità; i dati utilizzati erano incompleti, mentre i meteorologi non potevano o meglio non volevano aiutare. Ciascuno era diventato maestro nell’arte di incolpare l’altro, adottando una politica di non accettazione del rischio piuttosto che di gestione.

Francamente, signor Presidente, gli Stati membri hanno impedito ogni progresso l’anno scorso, ma questi sono avvenimenti passati. Che ne è del futuro? Abbiamo un piano globale per affrontare la prossima eruzione vulcanica? Se si riverificasse, gli Stati membri in futuro si coordinerebbero a livello di UE? Cercherebbero il coinvolgimento, peraltro fondamentale, dell’industria aeronautica e in particolare delle compagnie aeree prima di prendere posizione? Dobbiamo evitare di ripetere gli errori commessi un anno fa, che hanno ingenerato una serie di contraddizioni: uno Stato chiude il proprio spazio aereo, mentre il paese vicino lo lascia aperto, generando così caos, confusione e gravi conseguenze economiche.

Signor Presidente, il vulcano islandese ha infine evidenziato un aspetto fondamentale: è stato capace di consolidare l’argomentazione a favore del cielo unico europeo meglio di qualsiasi altro politico. Il nostro compito consiste ora nel formulare e attuare questo obiettivo con urgenza, sebbene gli Stati membri siano ritornati alle loro vecchie abitudini di tirarla per le lunghe, su un progetto tanto necessario.

 
  
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  Gesine Meissner, autore. (DE) Signor Presidente, nel precedente punto all’ordine del giorno abbiamo discusso di disastri naturali. In questo caso una forza della natura ha causato il blocco totale del traffico aereo. Il vulcano Eyjafjallajökull, probabilmente ormai conosciuto da tutti, ha eruttato lo scorso anno provocando l’interruzione totale di gran parte del traffico aereo. L’intervento precedente mi ha dimostrato ancora una volta, che abbiamo un eccellente presidente della commissione per i trasporti e il turismo, in quanto le sue osservazioni sono state molto simili a quelle che volevo esprimere. Proverò ora a modificare un po’ il mio intervento.

È stato davvero un caos, come già menzionato dall’onorevole Simpson. Noi europei siamo stati, di fatto, incapaci di affrontare questo disastro e porvi rimedio nonostante le elevate capacità tecnologiche e il coordinamento su molti punti. Ci siamo resi conto che erano stati conclusi troppi pochi accordi e abbiamo quindi istituito una task force. Le domande che ci interessavano a questo proposito erano le seguenti: la task force ha già prodotto risultati validi, che potessero diventare oggetto di discussione, e ha pubblicato qualche studio? Io per lo meno non ne conosco nessuno. Sono stati consultati tutti gli esperti internazionali su eruzioni vulcaniche di questo tipo? Dopo tutto, come già discusso nella plenaria dello scorso anno, esistono altre parti del mondo dove le eruzioni vulcaniche sono molto più frequenti rispetto all’Europa e nelle quali si è riusciti in qualche modo a formulare i dati aggiornati e coordinare la situazione nel suo insieme.

Vi è un altro punto che mi preoccupa. Il 4 maggio, durante il Consiglio dei ministri dei Trasporti, si è parlato della necessità di un sistema europeo dei trasporti interconnesso, che può indubbiamente aiutare in questi casi. Quali progressi sono stati compiuti verso una migliore risposta in caso di un’altra eruzione vulcanica? Un evento del genere non si può infatti prevedere, succede e basta.

Ho un’altra domanda: conosciamo con esattezza la tecnologia di cui abbiamo bisogno per affrontare meglio la situazione? In Germania tutte le stazioni meteorologiche si sono dotate di dispositivi adeguati, che raccolgono dati e trasmettono velocemente le informazioni aggiornate agli addetti delle compagnie aeree e ai piloti per consentire loro di decidere se sia sicuro o meno volare.

Un altro punto non ancora menzionato, ma a mio avviso importante in questo contesto, riguarda il fatto che la crisi causata dalle ceneri e i conseguenti problemi per l’industria dei trasporti aerei hanno colpito 10 milioni di passeggeri e ovviamente anche molte imprese. Alcuni passeggeri sono rimasti bloccati e non hanno potuto proseguire il viaggio, il che ha sollevato il problema della situazione dei diritti dei passeggeri. Tali diritti sono riconosciuti, tuttavia ho l’impressione che in questo caso non siano sempre stati applicati e dobbiamo forse riesaminarli ancora una volta.

Le domande sono molte. Signor Commissario Hahn, non so se sarà in grado di rispondere ora a tutte, in quanto i trasporti in realtà non sono il suo ambito. In caso contrario, sono sicura che le domande sollevate oltre all’interrogazione scritta troveranno risposta in un momento successivo. Avrà notato che la questione è motivo di forte preoccupazione per noi. In fin dei conti, l’industria dei trasporti aerei riveste un ruolo fondamentale e abbiamo dunque bisogno di un cielo unico europeo.

 
  
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  Roberts Zīle, autore.(LV) Signor Presidente, non mi piace ripetere quello che è già stato detto dagli onorevoli colleghi, ma perché, in realtà, sottoponiamo questa interrogazione? È passato quasi un anno dagli eventi in discussione ed è possibile che vengano semplicemente dimenticati. Nondimeno abbiamo voluto assicurarci che la questione fosse ancora importante per la Commissione e ci attendiamo che il Commissario prenda le contromisure promesse, dimostrando di aver tratto le giuste conclusioni dall’eruzione vulcanica dello scorso anno. Quest’ultima, in effetti, ha provato che il settore dell’aviazione rappresenta il mercato interno dell’Unione europea forse di più di qualsiasi altra modalità di trasporto in Europa; ciò significa, a sua volta, che la predisposizione e l’elaborazione di decisioni richiedono un processo diverso da quello necessario per le altre modalità. I problemi risiedono nell’assenza dei dati, nella mancata partecipazione degli operatori al processo decisionale, nonché nell’adozione delle decisioni stesse a livello di Stati membri. In linea di principio, questo trova ovviamente le proprie basi nel diritto. Pur appartenendo a un gruppo politico che ha sempre sostenuto il principio di sussidiarietà, ritengo che dobbiamo prendere spunto dalla situazione verificatasi lo scorso anno per valutare l’opportunità di aumentare il numero di decisioni assunte a livello di UE. I passeggeri sono inoltre preoccupati che le compagnie aeree si comportino in modo diverso nei loro confronti e che ottenere un risarcimento da queste per vie legali non sia facile. È ovvio che si debba evitare una situazione in cui le compagnie aeree superino la crisi con modalità e costi diversi. Infine, il terzo punto che desidero evidenziare riguarda l’insegnamento che possiamo ricavare dalla crisi: nell’Unione europea esistono varie “isole” che, come dire, non sono collegate da diverse modalità di trasporto agli altri Stati membri dell’Unione europea. Questo significa che, quando quest’anno elaboreremo la mappa della rete transeuropea di trasporto (TEN-T) e il bilancio TEN-T per la nuova prospettiva finanziaria, nonché il bilancio per la politica di coesione, dobbiamo concedere investimenti alle altre modalità di trasporto, affinché queste “isole” possano essere connesse al resto dell’Unione europea. Vi ringrazio.

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, l’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull verificatasi in Islanda lo scorso aprile ha avuto un enorme impatto e ha richiesto l’azione urgente dell’Unione europea. La Commissione ha pertanto proposto interventi immediati per coordinare la posizione dell’Unione europea e per rafforzare il quadro normativo, rendendo l’Europa un partner più forte a livello globale.

La Commissione partecipa attivamente ai lavori pratici volti a migliorare le metodologie esistenti per l’aggiramento delle ceneri vulcaniche. La Commissione ha ad esempio ha indetto un bando specifico nell’ambito del Settimo programma quadro dal titolo “Sostegno tecnologico al coordinamento di crisi per il sistema di trasporto aereo in seguito a eventi fortemente destabilizzanti”. In parallelo, l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) elabora regole per i requisiti di aeronavigabilità e la valutazione del rischio per la sicurezza dei voli in spazi aerei con contaminanti vulcanici.

Dal punto di vista operativo è stato sviluppato, in stretta collaborazione con l’AESA, un approccio che riflette le prassi adottate in altre parti del mondo. I principi guida sono i seguenti: innanzi tutto la compagnia aerea è responsabile della sicurezza delle proprie operazioni. Prima di operare in uno spazio aereo contaminato dalle ceneri vulcaniche, la compagnia aerea deve presentare una valutazione dei rischi per la sicurezza e ottenere l’approvazione dell’autorità di controllo. È necessario ripetere questo processo qualora si verifichino importanti cambiamenti.

In secondo luogo, la compagnia deve dimostrare l’affidabilità delle fonti di informazione utilizzate per la valutazione dei rischi per la sicurezza, comprovando la propria competenza e capacità di interpretare tali dati correttamente. Prima dell’inizio delle operazioni è necessario che la compagnia aerea ottenga dai costruttori informazioni specifiche circa la suscettibilità dell’aeromobile agli effetti delle ceneri in sospensione e l’impatto di queste ultime sulla sua aeronavigabilità: tali punti devono essere evidenziati dalla suddetta valutazione.

Nell’affrontare eventi destabilizzanti di questo tipo, risulta essenziale un processo decisionale collaborativo tra gli Stati membri e il settore. Per assicurare l’adozione di misure esaustive e coordinate, la Commissione, insieme a Eurocontrol, ha istituito la Cellula europea di coordinamento delle crisi nel settore aeronautico in seguito al Consiglio dei ministri dei Trasporti tenutosi il 4 maggio 2010. Dalla sua creazione, la Cellula si è riunita in diverse occasioni per sviluppare le proprie strutture e procedure. Per valutare e verificare la sua capacità di agire in tempi rapidi, prenderà parte a un esercizio di simulazione vulcanica previsto per il 13 e 14 aprile 2010 sotto gli auspici dell’ente per l’aviazione delle Nazioni Unite, l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO).

La crisi causata dalle ceneri vulcaniche ha evidenziato l’importanza fondamentale del cielo unico europeo. La Commissione ha quindi accelerato il relativo processo di attuazione, ad esempio attraverso l’adozione di un sistema di valutazione delle prestazioni e degli obiettivi di rendimento correlati a livello di UE, l’introduzione di regole attuative per le funzioni di gestione della rete, la nomina del gestore della rete, l’adozione di regole attuative e di materiale esplicativo per i blocchi funzionali di spazio aereo, la designazione dell’ex membro del Parlamento Jarzembowski a coordinatore dei suddetti blocchi e l’ampliamento delle competenze dell’AESA in materia di regolamentazione della sicurezza nel settore della gestione del traffico aereo, da concludersi entro l’aprile 2011.

Vorrei concludere affermando che la Commissione continua a lavorare a questi aspetti, di grande complessità tecnica, cooperando con l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA), l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO), gli Stati membri e il settore per garantire la sicurezza dello spazio aereo europeo.

 
  
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  Mathieu Grosch, a nome del gruppo PPE. (DE) Signor Presidente, signor Commissario Hahn, ovviamente considero la sua risposta quella della Commissione e non mi aspetto che si addentri nei quesiti specifici posti oggi dalla commissione per i trasporti e il turismo.

Un aspetto è stato tuttavia chiaro: più di 100 000 voli sono stati annullati, interessando 300 aeroporti e circa 10 milioni di passeggeri, e dobbiamo quindi trarre le dovute conclusioni da tale avvenimento. Anche per questo solleviamo oggi il problema, in quanto il coordinamento che è stato richiesto in tempi rapidi non era chiaramente di prossima realizzazione. Non è possibile improvvisare un’azione coordinata nel giro di 24 ore. Queste sono le domande a cui vogliamo risposta oggi, e non è solo il Parlamento a richiederlo, ma anche i cittadini dell’Europa.

Innanzi tutto vogliamo sapere se le informazioni relative sia agli effetti che alla localizzazione di questi fenomeni siano migliorate o meno.

In secondo luogo, qual è il ruolo che verrà svolto in futuro dagli organismi dell’Unione europea in questo settore e che poteri decisionali avranno? Continueranno a esserci 27 decisioni diverse o la Commissione ha già altre proposte, e in quale misura saranno coinvolte le compagnie aeree? Questa è una domanda che è stata posta molte volte.

Il comitato di crisi dovrebbe riunirsi, si riunirà ed effettuerà anche test. Sarebbe estremamente importante per il Parlamento e anche per i cittadini europei essere informati dei risultati dei suddetti test.

Per quanto riguarda il coordinamento, è fondamentale che venga introdotto anche al di fuori dell’Unione europea. Si rende inoltre necessario trovare un accordo sulle strutture a livello internazionale, poiché lo spazio aereo e certe catastrofi non conoscono confini in questo contesto.

Un altro fattore che riteniamo importante riguarda i passeggeri. Si tratta di circa 10 milioni di passeggeri, di cui non tutti erano turisti costretti o felici di prolungare le proprie vacanze; alcuni dovevano tornare a casa o recarsi in un posto urgentemente. In questo caso non si può semplicemente rimandare ai diritti dei passeggeri, ma abbiamo l’obbligo di lavorare in modo coordinato, proponendo alternative e prevedendo un maggiore utilizzo di altre modalità di trasporto: ad esempio, in caso di necessità, occorre procedere a una più rapida assegnazione delle tratte ferroviarie. Anche questo non può essere improvvisato nell’arco di 24 ore. Queste sono le domande che vogliamo sollevare a nome dei cittadini e dei passeggeri. Non si tratta semplicemente di spiegare i lori diritti.

L’ultimo punto, ma non per importanza, è stato già citato: viene proposta la creazione di 7 anziché 27 blocchi di spazio aereo, meglio conosciuti come blocchi funzionali di spazio aereo (FAB) Ciò potrebbe funzionare. Mi azzarderei soltanto a prevedere già oggi che non saremo in grado di realizzarla entro il 2012, perché gli Stati membri non lo vogliono. Dobbiamo quindi mandare un segnale chiaro all’esterno, secondo cui è assolutamente necessaria una riduzione nel numero dei FAB. Anche questa soluzione può funzionare. Signor Commissario Hahn, la invito a venire a Maastricht, non molto distante da lei, dove esiste già una cooperazione fra tre o quattro paesi sullo strato superiore dello spazio aereo, che costituisce il fulcro di tutti i problemi sollevati dagli Stati membri. Vada lì, lo proponga alla Commissione e lo impieghi come modello per l’Europa, per i sette blocchi funzionali di spazio aereo; allora saremo in grado di regolamentare la questione entro dodici mesi.

 
  
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  Edit Herczog, a nome del gruppo S&D (EN) Signor Presidente, non essendo un membro della commissione per i trasporti, alcuni di voi si potrebbero chiedere come mai voglia esprimermi proprio su questa questione. Come altri, sono anch’io stata una vittima della nube di cenere. Stavo andando a Baku e sono riuscita a rientrare solo con grandi difficoltà.

L’argomento coinvolge tutti i cittadini europei e ha rappresentato per l’Europa un’occasione di dimostrare il proprio valore aggiunto, ma abbiamo fallito. A mio avviso, i cittadini europei hanno capito che l’Unione europea non era pronta a intraprendere un’azione unica, ma dobbiamo garantire che lo saremo qualora si verificasse un caso simile. Ritengo pertanto che sia essenziale istituire un cielo unico europeo, opinione condivisa da tutti.

Sebbene non sia un membro della commissione per i trasporti, desidero dire che non solo vi è bisogno di un cielo unico europeo, ma anche di un’unica infrastruttura europea ad esso connessa. In occasione della plenaria odierna, vorrei quindi sottolineare la necessità che Galileo e il programma europeo di monitoraggio della terra (GMES) conseguano risultati in merito, poiché possono diventare un’importante infrastruttura europea se saremmo in grado di costituirli. Per questo stiamo lavorando al fine di definire le linee di bilancio in tali ambiti, ma dobbiamo spiegare meglio ai cittadini europei perché questi progetti siano tanto necessari.

Ho voluto intervenire proprio per sottolineare che, oltre alle politiche europee, si rende necessario istituire un’infrastruttura europea in questo settore.

 
  
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  Nathalie Griesbeck, a nome del gruppo ALDE.(FR) Signor Presidente, signor Commissario, meno di un anno fa trecento aeroporti sono stati chiusi in Europa in 23 su 27 paesi dell’Unione. Ciò ha causato perdite finanziarie notevoli e, come evidenziato dai precedenti oratori, più di 10 milioni di persone, non tutte in viaggio per motivi turistici, hanno dovuto posticipare la partenza e trovare mezzi alternativi di trasporto.

Questo è stato il risultato della confusione scatenata da un evento completamente naturale, che ci ha collocati in un contesto importante in relazione alla natura, provocando una paralisi senza precedenti nei cieli europei.

È ovviamente difficile prevedere un’eruzione vulcanica, e ancor di più la creazione di una nube di cenere vulcanica, rispetto a un episodio di neve. Nondimeno la crisi causata da questa nube ha sottolineato le carenze e le lacune della gestione del traffico aereo nell’Unione, così come la debolezza e la mancanza di certi strumenti di gestione.

Alla luce di questi tre fattori, vorrei avanzare tre proposte di miglioramento: la prima riguarda l’imprescindibilità della co-modalità, la seconda la necessità che il metodo comunitario risponda alle sfide di questo tipo e infine i diritti dei passeggeri, che si trovano al centro delle nostre preoccupazioni.

Per quanto concerne il primo punto, la crisi ha messo in evidenza l’importanza fondamentale di un rafforzamento della co-modalità nei trasporti europei, poiché la nube non ha posto l’accento unicamente sui limiti dei sistemi di aviazione a livello europeo, ma soprattutto su quelli del trasporto ferroviario, in quanto numerosi viaggiatori non sono stati in grado di trovare un’alternativa. Come dimostrato dagli studi condotti lo scorso anno, si pensa che con una maggiore co-modalità le dimensioni della crisi non sarebbero state tali e la paralisi, a sua volta, sarebbe risultata un po’ meno marcata.

Per quanto concerne il secondo elemento, come per la crisi finanziaria e le discussioni sul confronto tra metodo comunitario e intergovernativo, nel settore dei trasporti non saranno un approccio intergovernativo o una risposta disomogenea da parte dei 27 Stati membri a risolvere le difficoltà che abbiamo incontrato, e che potrebbero verificarsi di nuovo, bensì un reale metodo comunitario. Ciò richiede un rafforzamento delle competenze di Eurocontrol in un sistema comunitario e ovviamente, come già indicato, il completamento del cielo unico europeo con la massima urgenza.

Infine vi sono i passeggeri che si trovano al centro e al cuore delle nostre preoccupazioni ...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

Avrete capito che, come affermato nella mia introduzione, la questione che ho lasciato per ultima era quella centrale.

 
  
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  Eva Lichtenberger, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signor Presidente, innanzi tutto desidero ringraziare la Commissione, cosa che non faccio spesso, per aver costantemente richiamato l’attenzione sulla sicurezza, nonostante le proteste di alcune compagnie aeree che hanno cercato di minimizzare la situazione per via dell’ impatto finanziario derivante da problemi di questo tipo. La sicurezza deve rimanere il nostro principio guida anche per il futuro, ma si rendono necessari alcuni miglioramenti che possiamo conseguire a livello europeo.

Ad esempio perché non migliorare i nostri sistemi comuni di misurazione? Disponiamo di strategie per determinare modalità e attribuzione dei compiti nella misurazione degli incidenti ecologici, in modo tale da pubblicare più velocemente dichiarazioni in qualche misura affidabili? So che è estremamente difficile, soprattutto considerando le condizioni meteorologiche, tuttavia desidero sapere se siano stati realizzati progressi in materia di coordinamento, cosicché si possano almeno effettuare misurazioni e valutarle in base ai medesimi criteri.

In generale, la crisi causata dalle ceneri vulcaniche ha evidenziato la vulnerabilità del nostro ben attrezzato sistema di trasporto aereo, come risulta ormai evidente a tutti già negli aeroporti. In condizioni operative normali, due o tre ritardi comportano già di per sé una serie di conseguenze, rendendo sempre più difficile l’utilizzo del servizio; a maggior ragione la situazione degenera nella confusione totale in caso di ulteriori eventi meteorologici esterni o di una crisi causata dalle ceneri vulcaniche. Il nostro sistema non offre nessuna tolleranza agli errori; anche in questo settore dobbiamo compiere progressi, in quanto la validità di un sistema è proporzionale alla sua capacità di ammettere un certo margine di errore in determinati casi.

È altresì evidente che stiamo affrontando una grave carenza, ovvero la generale mancanza di cooperazione tra i trasporti ferroviari, stradali e aerei. Proprio a causa di questa cooperazione insufficiente, è stato quasi impossibile adottare adeguate misure compensative in loco.

Per quanto riguarda il cielo unico, la cui necessità è stata messa in evidenza dal fatto che l’adozione di misure coordinare sarebbe comunque stata preferibile, vorrei formulare un’osservazione: fintanto che ogni Stato membro sarà convinto di essere l’unico veramente capace di controllare in maniera efficiente il proprio spazio aereo e che tutti gli altri non ne siano in grado (e mi sto riferendo in questo caso allo spazio aereo nell’Europa centrale) non otterremmo alcun progresso in merito. Questo egotismo danneggia la cooperazione europea e in definitiva anche l’idea europea. Ciò deve essere chiaro.

 
  
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  Jacqueline Foster, a nome del gruppo ECR.(EN) Signor Presidente, è stato già detto durante la discussione, ma desidero ripeterlo: siamo tutti consapevoli della vastità del dissesto causato dalla nube di cenere vulcanica. Come già ricordato, più di 100 000 voli sono stati cancellati, decine di milioni di passeggeri in viaggio per vacanza o per lavoro non sono stati in grado di intraprendere lo spostamento programmato, merci e carichi erano in ritardo o non sono affatto stati trasportati, le imprese sono state colpite, mentre i vettori e gli aeroporti europei hanno subito perdite finanziarie catastrofiche. Tutto considerato, i costi per le compagnie aeree europee sono ammontati a oltre 2 miliardi di euro. Le istituzioni in Europa e negli Stati membri competenti per la gestione di simili problemi erano completamente paralizzate, e francamente se la situazione non fosse stata così grave sarebbe risultata quasi ridicola.

In tutto questo caos, una cosa è emersa chiaramente. Il trasporto aereo è estremamente importante per l’economia europea e ognuno di noi confida in un settore aereo efficiente e prospero, dove la sicurezza per l’equipaggio e i passeggeri rappresenti la principale prerogativa. Sono pertanto lieta di sostenere questa interrogazione orale, anche perché durante la precedente discussione in plenaria ho invitato l’Unione europea a guardare alle migliori prassi internazionali nella gestione delle ceneri vulcaniche; ho fatto riferimento, in particolare, al caso dell’America, che ha sempre adottato un approccio più calibrato. Senza dubbio ho accolto con favore il fatto che, nella propria valutazione sulla crisi, la Commissione abbia accettato la necessità di rivedere le procedure dell’Europa attraverso l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale.

Le migliori prassi internazionali ci dicono che la responsabilità di affrontare i potenziali rischi correlati alle ceneri vulcaniche dovrebbe essere trasferita agli operatori di linee aeree nel quadro dei rispettivi sistemi di gestione della sicurezza. Il ruolo delle autorità consiste nel verificare tali sistemi per garantire che soddisfino i necessari standard di sicurezza. Questa è la procedura impiegata dagli Stati Uniti e da altri paesi, che sono stati capaci di affrontare eruzioni vulcaniche senza gravi turbative al traffico aereo.

Una leadership comune chiara e risoluta è essenziale. L’Agenzia europea per la sicurezza aerea deve inoltre far sì che gli Stati membri dell’Unione adattino le proprie procedure correnti, garantendo un’assunzione di responsabilità da parte degli operatori di linee aeree e offrendo sostegno a questi ultimi nell’adozione di decisioni simili in futuro.

La crisi verificatasi nell’aprile e nel maggio scorsi ha infine evidenziato inequivocabilmente che dobbiamo insistere, in via prioritaria, sulla piena attuazione del cielo unico europeo e su SESAR. Sia il settore europeo che i contribuenti hanno già investito ingenti somme di denaro in questi progetti e noi, in quanto legislatori europei, dobbiamo continuare a perseguire riforme strutturali equilibrate ed efficienti in termini di costi. Accolgo con favore le osservazioni avanzate oggi dal signor Commissario. Speriamo ora di progredire in modo positivo.

 
  
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  Juozas Imbrasas, a nome del gruppo EFD. (LT) Signor Presidente, poiché oggi discutiamo ancora della crisi causata dalle ceneri vulcaniche sembrerebbe che la questione sia ancora attuale e che vi siano tuttora interrogativi senza risposta. Sappiamo che i vulcani non rispettano nessuna regola e che non possiamo escludere situazioni impreviste. È in gioco la sopravvivenza dell’industria aeronautica, tuttavia gli aeromobili sono ostacolati non solo dai vulcani, ma anche dalle tempeste, dalla neve e da simili fenomeni. È chiaramente impossibile eliminare, fermare o pronosticare qualunque evento che possa colpire il settore dell’aviazione. La sicurezza degli aeromobili, la vita delle persone e la loro mobilità devono essere considerate tra gli elementi più importanti.

Sono lieto che venga perseguito un programma dettagliato attraverso l’attuazione dell’iniziativa del cielo unico per modernizzare la gestione del traffico aereo. Concordo con il mio onorevole collega nel dire che è necessario creare anche un’infrastruttura comune. Dato che sono sull’argomento, vorrei però ricordare che oggi dobbiamo considerare e discutere lo sviluppo di trasporti alternativi: abbiamo bisogno e dobbiamo conseguire maggiori progressi in questo settore. Questa crisi ha avuto un particolare impatto sugli Stati membri orientali dell’Unione europea, che sono rimasti separati da una parte dell’Europa occidentale e, a differenza degli altri Stati membri dell’UE, non hanno avuto opportunità sufficienti di scegliere mezzi di trasporto alternativi. Ora sappiamo di dover urgentemente istituire un sistema di mobilità alternativa, reti transeuropee, reti ferroviarie e un’alternativa al trasporto aereo, come è stato saggiamente fatto con le reti elettriche e di telecomunicazione. Alla luce delle prospettive finanziarie, è necessario stabilire obiettivi più ambiziosi in sede di revisione delle reti transeuropee. Il trasporto terrestre e soprattutto le ferrovie devono essere in grado di sostituire il trasporto aereo con meno intoppi, qualora quest’ultimo venga rimosso. È giunto il momento di considerare alternative specifiche e attuarle il prima possibile.

 
  
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  Diane Dodds (NI).(EN) Signor Presidente, come altri onorevoli colleghi, non sono un membro della commissione per i trasporti e il turismo, tuttavia provengo dall’Irlanda del Nord, un’isola agli estremi confini dell’Europa. Potete quindi immaginare l’importanza di buoni collegamenti aerei e marittimi non solo per la nostra economia, ma anche per i viaggi personali.

Negli ultimi mesi e anche durante questa settimana mi sono occupata degli ultimi casi di miei elettori colpiti da questa particolare emergenza. Al tempo della crisi causata dalle ceneri vulcaniche, i costi stimati superavano i 200 milioni di sterline britanniche al giorno per i soli voli del Regno Unito. Per evitare questa situazione, dobbiamo quindi intensificare la cooperazione e conoscere meglio le buone prassi per predisporre un piano volto a prevenire futuri dissesti ed evitare un tale spaventoso impatto sull’economia.

Come ho già affermato, ho ricevuto molti reclami da parte dei miei elettori, la maggior parte dei quali riguardavano le compagnie aeree, il trattamento riservato ai passeggeri e il mancato riconoscimento dell’obbligo di assistenza che spetta alle compagnie. Invito la Commissione ad esaminare anche questo elemento.

 
  
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  Ville Itälä (PPE).(FI) Signor Presidente, conosciamo ovviamente tutti le tristi storie che si sono sentite quando la nube di cenere si è formata. Molte persone non sono state in grado di partecipare al funerale dei propri familiari, ai matrimoni dei loro figli o ad altri avvenimenti simili. Si è trattato di incidenti molto personali e spiacevoli, senza parlare dei costi finanziari registrati sulla pelle di 10 milioni di persone. Come vedete, in realtà non ha funzionato nulla.

Non abbiamo potuto rispondere dicendo che l’Unione europea aveva una soluzione per queste circostanze e il presidente della commissione per i trasporti e il turismo ha giustamente affermato che questo rischio non avrebbe potuto essere previsto né controllato: il tutto è stato più simile a una situazione di caos completo.

La Commissione deve ora fornire quanto prima le risposte che l’opinione pubblica richiede: disponiamo di soluzioni tecniche o saranno le compagnie aeree a trovarle? Se ne esistono, quali potrebbero essere? Come verranno applicati in futuro i diritti dei passeggeri qualora accadesse di nuovo che le persone non riescono a volare o tornare a casa? Quando ci sarà un efficace spazio aereo comune europeo? Ovviamente i cittadini esigono una risposta il prima possibile, onde evitare che questa situazione si protratta ancora a lungo. Qual è il piano alternativo? Quali mezzi di trasporto verranno impiegati? Questa volta le persone erano del tutto abbandonate a loro stesse. Alcuni hanno chiamato taxi dalla Spagna alla Finlandia, pagando migliaia di euro. Una simile situazione non può ripetersi in futuro: occorre avere un piano che offra ai cittadini una migliore copertura di emergenza.

A tal proposito, desidero sollevare un’altra questione qui menzionata, un altro sconvolgimento naturale: la neve. Decine di migliaia di persone a dicembre sono state bloccate negli aeroporti in Europa quando ha nevicato. Nel mio paese, la Finlandia, ci sono continue intense nevicate e forti gelate, ma le cose funzionano. Dobbiamo quindi far sì che anche gli aeroporti europei funzionino in modo appropriato. Non è molto difficile e non possiamo semplicemente arrenderci: le questioni devono essere affrontate in modo tale da garantire l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D).(RO) Signor Presidente, l’eruzione del vulcano in Islanda e le ingenti quantità di neve cadute lo scorso anno hanno gravemente bloccato il traffico aereo europeo causando conseguenze economiche e sociali notevoli. Per evitare il ripetersi di simili situazioni in futuro, desidero chiedere alla Commissione quali siano le principali norme che intende adottare per migliorare il quadro legislativo dei diritti dei passeggeri nel trasporto aereo.

Oltre ai centri di consulenza sulle ceneri vulcaniche a Londra e Tolosa, parte di una rete internazionale di nove centri istituiti dall’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO), e al centro specialistico di Londra che elabora carte di rischio sulle nubi di ceneri vulcaniche, dobbiamo migliorare l’infrastruttura europea introducendo un sistema che misuri in tempo reale la concentrazione di nubi di cenere vulcanica.

Il regolamento (CE) n. 1070/2009, volto a migliorare le prestazioni del sistema aeronautico europeo, richiede agli Stati membri di adottare le misure necessarie per l’attuazione dei blocchi funzionali di spazio aereo entro il 4 dicembre 2012.

Vorrei chiedere alla Commissione se l’attuazione del cielo unico europeo rispetterà lo scadenzario indicato. L’Unione europea deve altresì promuovere la co-modalità e un sistema di prenotazione ed emissione dei biglietti per le rotte europee che comprenda diversi mezzi di trasporto. L’Unione necessita inoltre di un sistema ferroviario ad alta velocità che colleghi tutte le capitali e le città europee.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE).(EN) Signor Presidente, la crisi causata dalle ceneri vulcaniche lo scorso anno ha provocato l’annullamento di quasi 100 000 voli, creando una situazione di totale caos per i passeggeri. Oggi vorrei richiamare all’attenzione della Commissione proprio gli effetti che questa crisi ha avuto sui passeggeri.

Più di 10 milioni di persone sono state colpite e gli annullamenti hanno comportato costi economici notevoli per migliaia di passeggeri. Nonostante gli aeroporti espongano insegne e volantini informando i viaggiatori dei propri diritti, spesso questo risulta poco utile in caso di annullamenti o gravi perturbazioni del traffico come quella provocata dalla nube di cenere. In base alla legislazione dell’Unione europea, i passeggeri hanno diritto di ricevere informazioni e assistenza da parte delle compagnie aeree.

In realtà, la maggior parte dei passeggeri i cui voli sono stati sospesi perderanno molto tempo e denaro a rincorrere informazioni, cercare biglietti alternativi oppure ottenere un risarcimento da parte delle compagnie aeree. Questo è uno dei fronti sui quali la Commissione deve intervenire in modo più efficace. L’esperienza più frustrante per i passeggeri in situazioni di questo tipo consiste nel cercare di avere informazioni, contattare le compagnie aeree. Nonostante conoscano i propri diritti, ciò è di poco aiuto quando sono bloccati in aeroporto o in attesa, al telefono, con le compagnie.

Sebbene riconosca che durante la crisi causata dalle ceneri le compagnie aeree sono state sottoposte a pressioni senza precedenti dovendo gestire migliaia di passeggeri, e devo ammettere che alcune hanno svolto un lavoro ammirevole, in generale risulta molto difficile per le persone ottenere informazioni e assistenza quando necessario.

Il caos del traffico causato dal maltempo nel dicembre 2010 ne è un’ulteriore dimostrazione. I passeggeri necessitano di informazioni aggiornate, ma devono anche essere in grado di contattare le compagnie aeree per esercitare i propri diritti. Gli operatori, l’assistenza clienti presso gli aeroporti e i servizi informativi devono essere più di più facile accesso per i passeggeri che hanno subito problemi durante il viaggio. Non è sufficiente informare i cittadini dell’Unione europea sui diritti dei passeggeri: le persone devono infatti essere assistite nell’esercizio di tali diritti nei momenti di caos del traffico.

 
  
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  Michael Cramer (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, questo disastro naturale ha avuto terribili conseguenze per molte persone. Ciononostante, al confronto con le inondazioni e l’uragano abbattutosi contemporaneamente sull’Australia o con il terremoto di Christchurch in Nuova Zelanda, ne siamo tutti sfuggiti illesi. La sicurezza ha avuto giustamente la priorità. Il Commissario Kallas ha adottato la giusta decisione in accordo con i ministri dei Trasporti dell’Unione europea degli Stati membri.

Non capisco le critiche rivolte alle compagnie aeree, le quali hanno chiaramente subito una perdita: si è parlato di 2 miliardi. È sbagliato lasciare alle compagnie aeree la responsabilità di decidere sulla partenza dei voli. Questa decisione deve essere presa a livello politico, accordando la massima priorità alla sicurezza. Immaginate se un aereo fosse caduto a causa delle ceneri vulcaniche. Oggi avremmo avuto una discussione completamente diversa, su quanto irresponsabile fosse stato anche solo permettere a un aeroplano di decollare.

Abbiamo bisogno di un piano B, come giustamente osservato, e il sistema ferroviario rappresenta l’alternativa. A causa dell’esenzione dalla tassa sui carburanti le compagnie aeree ricevono 30 miliardi di euro all’anno dai contribuenti europei. Questo denaro deve essere investito, almeno in parte, nel sistema ferroviario per disporre di un’alternativa in caso di simili disastri.

La sicurezza al primo posto: è questa la giusta richiesta dei cittadini, che deve continuare a essere tale anche in futuro.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (ECR).(PL) Signor Presidente, questa situazione ha dimostrato che l’Europa, in realtà, non era preparata alla crisi. Nonostante gli interventi che ascoltiamo in quest’Aula, gli esperti affermano che la nostra reazione è stata eccessiva e che certi voli avrebbero potuto essere senz’altro consentiti. Questo dimostra nondimeno le indubbie dimensioni della paralisi in cui ci siamo trovati. Gli oratori precedenti che hanno proposto lo sviluppo della rete ferroviaria quale alternativa hanno ragione, e questo è ovvio. Nel settore dell’aviazione la risposta a tale problema sta di certo in un migliore coordinamento e nel consolidamento del ruolo dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea. È inoltre positivo che a novembre il Parlamento europeo abbia adottato una normativa adeguata in materia, che ha rappresentato un passo nella giusta direzione.

 
  
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  Béla Kovács (NI).(HU) Signor Presidente, l’eruzione vulcanica ci ha costretti a ripensare le nostre priorità in materia di trasporti. È giunto il momento di iniziare a privilegiare il sistema ferroviario per il trasporto di media distanza sino a 1 500 km, per il quale possono essere impiegati, secondo necessità, sovvenzioni, tasse e altri meccanismi regolatori. È importante ricordare che si osserva una notevole domanda del mercato interno in parallelo alla modernizzazione delle linee ferroviarie e alla costruzione di materiale rotabile, che potrebbero entrambi creare numerosi posti di lavoro. Considerando i tempi di trasferimento all’aeroporto e di check-in, gli aeromobili non offrono un risparmio di tempo apprezzabile rispetto ai treni ad alta velocità, mentre provocano emissioni di anidride carbonica e inquinamento acustico in misura considerevole. Sebbene non possiamo impedire le eruzioni vulcaniche, possiamo migliorare la tecnologia impiegata per prevederle e le modalità di valutazione dell’impatto. Una reale soluzione può tuttavia derivare soltanto da un ripensamento della politica dei trasporti, energetica e industriale, poiché le eruzioni vulcaniche non causano interruzioni al trasporto ferroviario o le provocano solo a livello locale.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, come ricordato da molti di noi oggi, l’eruzione del vulcano islandese verificatasi lo scorso aprile ha dimostrato dolorosamente la frammentazione e l’inefficacia del cielo europeo. Noi tutti in quest’Aula ne siamo stati direttamente interessati. Cinque milioni di cittadini sono stati bloccati senza una reale alternativa di trasporto e a un anno da questo evento eccezionale non si sono ancora concretizzate nuove misure europee.

Signor Commissario, lei ha affermato che il primo esercizio di simulazione di crisi connesso alle ceneri vulcaniche è previsto per il 13 e 14 aprile sotto il coordinamento di Eurocontrol, dell’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO) e dell’Associazione internazionale dei trasporti aerei (IATA), ma è necessario che l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) svolga un reale ruolo di direzione nel coordinamento delle misure di sicurezza a livello europeo.

È certo che le informazioni fornite dalle carte di avvicinamento a vista di Londra e Tolosa debbano essere perfezionate utilizzando tecnologie più moderne. Come abbiamo visto lo scorso aprile, i dati potrebbero tuttavia essere contradditori e spingere i singoli Stati membri a disporre la chiusura dello spazio aereo sulla base di reazioni emotive piuttosto che dei dati.

In questo contesto, l’AESA svolge un ruolo fondamentale nel proporre un’interpretazione armonizzata dei dati, nonché assicurare la centralizzazione e un’adeguata diffusione delle informazioni. Oltre alle informazioni fornite dalle carte di avvicinamento a vista, l’AESA deve istituire un meccanismo per raccogliere i dati disponibili in stretta cooperazione con gli Stati membri, le compagnie aeree e i piloti.

Tale centralizzazione delle informazioni e il coordinamento di tutte le parti coinvolte eviteranno il caos e le incongruenze verificatesi lo scorso anno. Mi aspetto che la Commissione, di concerto con l’AESA sia in grado di presentare proposte specifiche nel prossimo futuro, che verranno pienamente integrate nell’attuazione del cielo unico europeo.

 
  
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  James Nicholson (ECR).(EN) Signor Presidente, la crisi causata dalle nubi di ceneri vulcaniche ha provocato un grave dissesto nell’aprile e nel maggio scorsi. Come affermato dall’onorevole Foster, molti di noi hanno compreso la misura della nostra dipendenza dal trasporto aereo moderno. Senza dubbio chi proviene da un paese come il mio, dove è impossibile andare a lavorare senza usare l’aereo, ha ben chiara questa realtà. Tutti coloro che hanno viaggiato durante quel periodo hanno probabilmente storie da raccontare e alcuni sono stati colpiti in modo molto grave. Le perdite economiche subite dalle compagnie aeree e da altre imprese per la sospensione dei voli e le difficoltà dei passeggeri sono state notevoli.

Sembra che possa accadere di nuovo e ritengo che dobbiamo essere preparati a questa eventualità, perché vi sono state sin troppe indecisioni. Permettetemi di essere molto franco: volo ogni settimana e, quando sono in cielo a 39 000 piedi, voglio soprattutto sentirmi al sicuro, quindi non metto mai in discussione le misure di sicurezza. Dobbiamo garantire che si assegni la massima importanza alla sicurezza dei passeggeri; a mio avviso, è questo l’elemento di fondo che dobbiamo sostenere.

 
  
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  Artur Zasada (PPE).(PL) Signor Presidente, lo ripeto di nuovo: 100 000 voli cancellati, 10 milioni di passeggeri che non hanno raggiunto la propria destinazione, 2 miliardi di euro di perdita per le compagnie aeree. Non ricordo si sia mai verificata in Europa una simile paralisi del traffico aereo. La Commissione europea, messa sotto pressione dall’opinione pubblica e dall’industria aeronautica, ha annunciato azioni rapide e risolute già ad aprile dello scorso anno. Sfortunatamente le ceneri vulcaniche sono passate e con esse le ambizioni della Commissione. A oggi non è ancora stato preparato un piano europeo di gestione delle crisi per simili situazioni, né è stato possibile sinora definire una posizione comune tra esperti di sicurezza, costruttori di aeromobili, compagnie aeree e autorità di regolamentazione dei mercati. Oggi si pongono dunque le seguenti domande: che cosa è stato fatto in merito lo scorso anno? Se una simile eruzione vulcanica si verificasse oggi, reagiremmo in modo diverso rispetto a un anno fa? Quando ci saranno presentate misure specifiche?

Portiamo avanti un confronto lungo e intenso sul cielo unico europeo, sugli analizzatori di liquidi e sui body scanner, nonché sulle procedure in caso di disastri naturali come un’eruzione vulcanica o inverni estremi. Nel frattempo, il traffico aereo sull’Europa continua ad aumentare anno dopo anno e il tempo per discutere giunge alla fine. Sul cielo europeo occorrono buone e immediate soluzioni per il futuro e incoraggio fermamente la Commissione a completare i lavori. Vi ringrazio molto.

 
  
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  Ismail Ertug (S&D).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, le ceneri vulcaniche dello scorso anno hanno messo drammaticamente in evidenza le nostre debolezze. Sorge quindi la domanda su come dobbiamo affrontare situazioni simili in futuro. È in gioco prima di tutto la sicurezza delle persone che salgono a bordo di un aeroplano. È inoltre necessario prendere in considerazione il problema delle perdite finanziarie. Chiedo quindi alla Commissione (e il Commissario Hahn forse può riferire la mia domanda al suo collega, il Commissario Kallas): cosa stiamo pianificando nello specifico? Ritengo sia particolarmente importante assumere un ruolo di coordinamento nella gestione dei voli di prova e dei valori limite, aspetti fondamentali per la valutazione dell’idoneità al volo di un aeromobile.

Ho un’altra osservazione, signor Commissario: è essenziale, come già ricordato più volte, istituire un cielo unico europeo. Come intende la Commissione esercitare pressioni sugli Stati membri affinché assolvano ai propri obblighi? Dopo tutto gli Stati hanno sottoscritto il progetto.

Un altro punto essenziale, che è stato evidenziato molte volte oggi, riguarda gli sviluppi futuri in relazione ai diritti dei passeggeri nel trasporto aereo. Abbiamo il regolamento (CE) n. 2061 dal 2004, che cosa ha intenzione di fare la Commissione in merito? Conosciamo il problema delle perdite finanziarie subite da diverse compagnie aeree. Desidero sottolineare ancora una volta che ci occorre un’alternativa al trasporto aereo, ovvero il sistema ferroviario. Condivido inoltre l’opinione di chi ritiene necessario collegare le città più grandi, le capitali europee; anche in questo caso la risposta è un aumento, e non una riduzione, del coinvolgimento dell’Europa.

Sarei lieto se la Commissione si occupasse di tali questioni.

 
  
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  Carlo Fidanza (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, vorrei innanzitutto ringraziare il collega Marinescu per aver voluto con forza che si tenesse questo dibattito.

Dopo quasi un anno dall'accaduto ci ritroviamo qui a discutere di questa tematica delicata, che ha causato ingenti danni ai passeggeri e alle imprese coinvolte sia nel settore aereo ma, non dimentichiamolo, anche in altri comparti produttivi.

Ritengo quindi necessario agire su un duplice binario. Da un lato, migliorare il coordinamento tra le autorità e i soggetti coinvolti, affrontando finalmente la riforma di Eurocontrol che, certamente, non è un organismo alle dirette dipendenze delle istituzioni europee, ma che è stato fondamentale nella gestione e nella mancata gestione efficace di questa crisi.

Si è dimostrata l'insufficienza di modelli meramente matematici, che hanno indotto le autorità dei singoli paesi al blocco quasi totale degli spazi aerei, anche quando non ce n'era bisogno. In assenza di un modello verificato sul campo e di tecnologie più avanzate, l'eccesso di precauzione ha causato infatti danni e disagi ingentissimi.

Inoltre, dobbiamo compiere decisivi passi avanti verso la realizzazione del cielo unico europeo, sviluppando con maggiore rapidità tutti i FAB per ridurre la frammentazione nella gestione degli spazi aerei e assicurare una più efficace gestione degli stessi. Dall'altro lato, è necessario garantire i diritti dei viaggiatori. A tale proposito auspico che la Commissione possa presentare al più presto la revisione della direttiva sui viaggi "tutto compreso" per rendere più chiaro il quadro delle garanzie e delle responsabilità in situazioni straordinarie e anche delle modifiche, eventualmente, al regolamento sui diritti dei passeggeri quando le situazioni straordinarie si prolungano nel tempo.

Inoltre sarebbe necessario – lo hanno detto altri colleghi – varare un piano di emergenza per garantire una mobilità alternativa, mezzi di trasporto alternativi nel caso si dovesse verificare nuovamente una simile situazione.

 
  
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  Dominique Riquet (PPE).(FR) Signor Presidente, vorrei ringraziare gli onorevoli colleghi che sono intervenuti prima evidenziando tutte le carenze dell’integrazione europea del trasporto aereo in relazione all’utilizzo dello spazio aereo, delle strutture di terra e delle reti commerciali. Più nello specifico, desidero sottolineare anche gli aspetti non correlati allo spazio aereo che la crisi vulcanica ha messo in evidenza: la mancanza di reti alternative al trasporto aereo, in particolare quelle ferroviarie, come menzionato questa mattina, e soprattutto l’assenza di sistemi informativi integrati per permettere ai passeggeri di reperire velocemente informazioni sui mezzi alternativi di trasporto disponibili.

Questo incidente deve spingerci a lavorare per sviluppare mezzi di trasporto alternativi, efficienti e competitivi. Il riesame del primo pacchetto ferroviario e il rilancio delle politiche infrastrutturali attraverso le reti transeuropee di trasporto devono muoversi in questa direzione.

Invito inoltre la Commissione a riflettere seriamente sull’istituzione di un’unica interfaccia informativa e di prenotazione per tutte le modalità interconnesse di trasporto.

 
  
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  Bogdan Kazimierz Marcinkiewicz (PPE).(PL) Signor Presidente, l’Europa non era preparata a fronteggiare un simile caos, né le istituzioni competenti per la gestione della crisi erano all’altezza del compito. A causa del blocco del traffico aereo, le compagnie aeree hanno perso 400 milioni di dollari americani al giorno. Alla perdita dei biglietti venduti bisogna aggiungere il costo dell’alloggio, dei pasti e del trasporto per i passeggeri bloccati in aeroporto.

L’attività vulcanica e sismica non è una novità per il mondo ed è possibile che accadano altre eruzioni vulcaniche in futuro. Sfortunatamente, non esiste un rimedio adatto a un problema simile e in questi momenti l’Unione europea deve concentrarsi sull’offerta di mezzi di trasporto alternativi a quello aereo. Una buona soluzione è rappresentata dalla creazione di una rete comune di collegamenti ferroviari, nell’ambito della rete transeuropea di trasporto (TEN-T) che verrà istituita nell’Unione, prestando particolare attenzione al miglioramento del trasporto ferroviario ad alta velocità. Ciò sarebbe certamente efficace per contribuire a risolvere problemi di questo tipo. Vi ringrazio.

 
  
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  Karin Kadenbach (S&D).(DE) Signor Presidente, signor Commissario Hahn, neanche io sono un membro della commissione per i trasporti e il turismo, ma ritengo sia importante per tutti noi ricavare il giusto insegnamento dalla crisi causata dalle ceneri vulcaniche. Come già menzionato più volte oggi, “la sicurezza al primo posto” deve diventare il principio guida nella ricerca di soluzioni in futuro. È necessario sviluppare le ferrovie e una rete ferroviaria europea, nonché creare una forma di coordinamento generale per il trasporto di passeggeri e quello di merci, indipendentemente dalla modalità di trasporto (su rotaie, su strada o per via aerea) e dal verificarsi di terremoti, nubi di cenere, inondazioni o disastri simili.

Punti di contatto nazionali, come quelli che stiamo istituendo nel settore della sanità per l’assistenza transfrontaliera dei pazienti, sembrano costituire un’ovvia soluzione, offrendo un punto di riferimento per i cittadini di ogni età. Il fatto è che mi sembra di intravedere anche una certa disomogeneità fra generazioni nel trasporto aereo. Oggigiorno è quasi impossibile ottenere informazioni senza Internet; dobbiamo quindi cooperare per risolvere anche questa questione.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE).(EN) Signor Presidente, come sottolineato da molti onorevoli colleghi, la crisi causata dalle ceneri vulcaniche ha provocato nel 2010 una notevole perturbazione del traffico aereo e danni economici ancora non quantificabili. Più di 10 milioni di passeggeri sono stati direttamente interessati a seguito dell’annullamento di 100 000 voli in tutta Europa. Provengo dall’Irlanda e i passeggeri qui hanno incontrato enormi difficoltà a causa delle nubi di ceneri, in quanto il mio paese non dispone di collegamenti terrestri con il continente europeo. Per raggiungere Strasburgo, ho dovuto prendere traghetti, treni, taxi e auto impiegando più di 24 ore senza dormire. È sicuramente un piccolo prezzo da pagare; dobbiamo garantire che la sicurezza sia al primo posto.

La situazione ha tuttavia evidenziato l’assoluta necessità di una politica comune e accolgo con favore le recenti iniziative adottate dal Commissario Kallas per attuare il cielo unico europeo e istituire i blocchi funzionali. Sostengo inoltre la dichiarazione resa oggi dal Commissario Hahn in questa sede e appoggio pienamente queste misure, poiché le nubi di ceneri vulcaniche non conoscono confini geografici né politici.

 
  
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  Ádám Kósa (PPE).(HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come evidenziato dall’onorevole collega Marinescu, la crisi causata dalle ceneri vulcaniche ha dimostrato che l’Europa non era preparata ad affrontare questa situazione né da un punto di vista strategico né tecnologico. Desidero richiamare l’attenzione della Commissione sul fatto che questo ha provocato un forte impatto sulla diffusione e sull’accesso alle informazioni. Il caos nelle comunicazioni ha fatto sì che la crisi si ripercuotesse su gruppi svantaggiati, come le famiglie con bambini piccoli e le persone disabili, incapaci di reagire adeguatamente alle circostanze. Chiedo alla Commissione se dopo l’aprile del 2010, in caso di situazioni simili, ogni viaggiatore avrà accesso a informazioni adeguate per poter debitamente esercitare il proprio diritto all’informazione.

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare gli onorevoli parlamentari per la comprensione dimostrata sapendo che non sono ferrato sulla questione. Onorevoli deputati, avete ragione nel dire che il mio collega, il Vicepresidente Kallas, sta svolgendo un eccellente lavoro e riceverete delle risposte scritte ai vostri quesiti specifici, se necessario. Oltre a questo, desidero ringraziarvi per l’interessante discussione, soprattutto perché sono stato coinvolto in prima persona, e in vari modi. Vorrei pertanto concludere formulando le seguenti affermazioni.

La crisi causata dalle ceneri vulcaniche lo scorso anno ha sottolineato chiaramente il bisogno di lavorare insieme a una soluzione, onde evitare che si ripeta una chiusura dello spazio aereo come quella a cui abbiamo assistito. Con queste premesse, e come è accaduto ad aprile dello scorso anno, le azioni intraprese a tal fine non possono ridurre i livelli di sicurezza per il quale il settore aeronautico è rinomato in tutto il mondo.

Le situazioni di crisi non sono una novità per l’Unione europea, che ha reagito all’emergenza in maniera tempestiva ed efficiente, dimostrando l’importanza di un’azione europea centralizzata in una situazione di crisi generale. Guardando nello specifico al caso dell’Eyjafjallajökull, gli avvenimenti hanno messo in risalto ancora una volta l’idea, gli scopi e gli obiettivi dell’iniziativa del cielo unico europeo. Come riconosciuto dal Consiglio dei ministri, è necessario accelerare l’attuazione della suddetta proposta per trarre tutti i benefici dalla sua applicazione.

Dalla prospettiva della Commissione, l’obiettivo principale resta quello di assicurare un approccio armonizzato e applicare misure condivise in future situazioni di crisi, a beneficio di tutti i cittadini europei. È nostra intenzione riesaminare i diritti dei passeggeri aerei nel 2012. Ultimo punto, ma non per importanza, è la partecipazione dell’industria, indispensabile per facilitare un processo decisionale coordinato.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto.(EN) La chiusura di ampi settori dello spazio aereo europeo ad aprile e maggio dello scorso anno a causa dell’eruzione vulcanica in Islanda ha provocato gravi interruzioni del traffico e danni economici, interessando direttamente 10 milioni di passeggeri. A mio avviso, la competenza in materia di sicurezza dei voli spetta principalmente agli operatori, che devono pertanto disporre di dati accurati. I piloti sono addestrati a gestire condizioni di volo straordinarie, i manuali di sicurezza delle compagnie aeree commerciali sono riveduti, controllati e confermati dalle autorità di controllo e le compagnie aeree hanno la necessaria esperienza di volo sulle zone vulcaniche, come provato dalle condizioni di sicurezza che applicano. Gli operatori delle compagnie aeree (i piloti) hanno dunque il compito di valutare il rischio e garantire la sicurezza del volo, ad esempio scegliendo la rotta o decidendo di modificarla, se necessario, sulla base di tutte le informazioni offerte (a bordo degli aerei devono essere disponibili maggiori informazioni e una migliore attrezzatura tecnica). Mi auguro che la Commissione collabori con le autorità competenti per consentire loro, in futuro, di svolgere il proprio lavoro.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto.(PL) Oggi il Parlamento europeo ha condotto una discussione sulla crisi causata dalle ceneri vulcaniche. L’eruzione vulcanica verificatasi in Islanda lo scorso anno ha provocato gravi interruzioni del traffico aereo in Europa e notevoli perdite economiche, interessando direttamente 10 milioni di passeggeri. L’Unione non ha certo intenzione di resistere alle forze della natura, ma una migliore previsione delle crisi future permetterebbe senza dubbio di ridurre le perdite economiche e i costi per i cittadini europei.

Durante la discussione si è parlato dei progressi realizzati nell’attuazione degli investimenti a favore di attrezzature tecnologiche e sistemi di trasferimento dei dati, per la diffusione di previsioni meteorologiche in tempo reale. Alla Commissione europea sono stati sottoposti quesiti riguardanti la trasparenza dei processi decisionali collaborativi e un migliore coordinamento delle risposte. Sono state altresì prese in considerazione le conseguenze di un eventuale aumento del traffico aereo e le misure che dovrebbero essere adottate per conferire all’Agenzia europea per la sicurezza aerea la competenza di effettuare modifiche operative.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Il numero di disastri naturali è aumentato sia per intensità che per frequenza. Il recente caso della nube di cenere vulcanica avvenuto in Islanda ha colpito duramente l’intero spazio aereo europeo nell’aprile e nel maggio scorsi, quando il 75 per cento della rete aeroportuale è rimasta inattiva; le perdite economiche sono state considerevoli e circa 10 milioni di passeggeri sono rimasti coinvolti.

Per prevenire ulteriori interruzioni del traffico aereo è necessario elaborare urgentemente misure di gestione delle crisi, il che significa investire in attrezzature tecnologiche terra/aria per fornire informazioni accurate in tempo reale. È inoltre essenziale definire il ruolo e le funzioni delle varie istituzioni nella gestione della crisi, affinché il coordinamento venga concertato e si eviti un aumento delle perdite per le varie parti in causa. Questo avvenimento dimostra che è fondamentale sviluppare l’integrazione dello spazio aereo europeo attraverso l’iniziativa del cielo unico europeo. La continua crescita del traffico aereo, la frammentazione dello spazio aereo europeo e situazioni impreviste come la nube di cenere vulcanica dimostrano che l’Unione europea deve coordinare e armonizzare le proprie procedure per conferire valore aggiunto al settore aeronautico europeo.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 11.35, riprende alle 12.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BUZEK
Presidente

 

6. Dichiarazione della Presidenza
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, onorevoli deputati, gentili ospiti, domani, 11 marzo, commemoreremo la Giornata europea delle vittime del terrorismo per la settima volta. Questo giorno è dedicato alle oltre 5 000 vittime del terrorismo in Europa. I terroristi dichiarano guerra ai civili. Colpiscono in luoghi dove i comuni cittadini dovrebbero sentirsi al sicuro nei propri paesi. Ciò è vergognoso, subdolo e vigliacco. Ecco perché il terrorismo non può mai essere giustificato. Noi europei siamo forti e uniti. Nessuna organizzazione terrorista o criminale è in grado di indebolire la nostra fede nei valori che sottendono all'Europa unita.

Onorevoli deputati, vi invito ad alzarvi e a osservare un minuto di silenzio per le vittime del terrorismo.

(Il Parlamento, in piedi, osserva un minuto di silenzio)

 

7. Introduzione di statuti europei per le mutue, le associazioni e le fondazioni (dichiarazione scritta): vedasi processo verbale

8. Collisioni causate da veicoli commerciali pesanti (dichiarazione scritta)
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  Presidente. – Per cominciare, vi leggerò due dichiarazioni scritte. La prima è stata presentata dagli onorevoli Tarabella, Bastos, Canfin, Vergiat e Weber sull’introduzione di statuti europei per le mutue, le associazioni e le fondazioni. Ha raccolto le firme della maggioranza dei deputati che compongono il Parlamento e pertanto, a norma dell’articolo 123 del regolamento, sarà trasmessa ai suoi destinatari e pubblicata nei “Testi approvati” della presente seduta, con l’indicazione dei nomi dei firmatari.

La seconda dichiarazione scritta è stata presentata dagli onorevoli Hall, Ayala Sender, Durant, Koch e Wils sulle collisioni causate da veicoli commerciali pesanti. Ha ottenuto le firme della maggioranza dei deputati che compongono il Parlamento e pertanto, a norma dell’articolo 123 del regolamento, sarà trasmessa ai suoi destinatari e pubblicata nei “Testi approvati” della presente seduta, con l’indicazione dei nomi dei firmatari.

 
  
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  Mike Nattrass (NI).(EN) Signor Presidente, alla luce di quanto è stato appena detto, vorrei dire che la sicurezza in questo edificio è stata intensificata e desidero ringraziare gli uomini e le donne che ci proteggono. Ci può garantire che le indagini sulle violazioni della sicurezza a Bruxelles, alcune delle quali riguardano l'utilizzo di armi da fuoco, procedono incisivamente? Tali violazioni hanno messo in serio pericolo il personale, i nostri ospiti e noi stessi. Ci può altresì garantire che, se del caso, gli alti funzionari dovranno render conto del proprio operato e che i soldati non verranno sacrificati per proteggere i generali?

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Le assicuro che tale questione è costantemente sottoposta a verifica al fine di rafforzare la sicurezza dell’Aula.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in relazione alla firma della dichiarazione scritta 84/2010, desidero naturalmente ringraziare tutti i co-firmatari: l’onorevole Bastos del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), l’onorevole Canfin del gruppo Verde/Alleanza libera europea, l’onorevole Vergiat del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica e l’onorevole Weber del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa. Insieme siamo stati in grado di raccogliere le firme della maggioranza dei deputati.

Ringrazio gli operatori dell’economia sociale che sono intervenuti e hanno consentito al Parlamento di inviare un segnale chiaro alla Commissione, affinché venga infine riconosciuto un unico statuto europeo per le mutue, le associazioni e le fondazioni.

(Applausi)

 

9. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per l’esito delle votazioni e altri dettagli: vedasi processo verbale)

 

9.1. Legge sui mezzi d’informazione in Ungheria (B7-0191/2011) (votazione)
  

- Prima della votazione:

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE.(FR) Signor Presidente, prima di votare come previsto la risoluzione sui mezzi d’informazione in Ungheria, mi preme richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sugli ultimi sviluppi della situazione e formulare una proposta concreta.

Quattro giorni fa il Parlamento ungherese ha approvato tutte le modifiche richieste dalla Commissione europea, nonostante il voto negativo, peraltro, dei deputati ungheresi socialisti e verdi. Il Commissario Kroes era presente alla votazione e ha dichiarato che la versione modificata della legge è in linea con la normativa europea e, in particolare, con la Carta dei diritti fondamentali. Tuttavia la risoluzione dei gruppi di sinistra, che sarà posta in votazione a mezzogiorno, ignora completamente questi fatti. Il testo è sostanzialmente identico a quello di tre settimane fa e non cita in alcun modo il voto del Parlamento ungherese. La mia domanda è questa: il Parlamento vive nel mondo reale o in un mondo immaginario? Questa risoluzione è diretta contro il governo ungherese o contro la Commissione europea, che non ha più nulla in contrario a questa legge?

(Applausi)

In particolare, vorrei chiedere al presidente del gruppo liberale: ha fiducia o non ha fiducia nel Commissario Kroes?

Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) ritiene che il Parlamento perderebbe credibilità se approvasse testi che non corrispondono alla realtà. Dobbiamo diventare teatro di regolamenti di conti politici nazionali?

(Applausi)

Date queste premesse, il Partito Popolare Europeo ritira la propria risoluzione e invita gli altri gruppi a fare altrettanto: è in gioco la credibilità del Parlamento.

 
  
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, la proposta è chiarissima. Da quel che capisco, il Partito popolare europeo (Democratico cristiano) ha ritirato la sua risoluzione. Abbiamo pertanto un unico testo, presentato da molti dei gruppi politici. Vorrei pregare i rappresentati dei gruppi politici di pronunciarsi al riguardo.

 
  
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  Hannes Swoboda, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole Daul ha parlato di realtà. Ebbene, è una realtà che il governo o il parlamento ungherese hanno modificato la legge; si tratta di una novità positiva perché ricordo bene la discussione in Aula quando alcuni – compreso lei, onorevole Daul – sostenevano che non fosse necessaria alcuna modifica, che tutto andasse bene. Improvvisamente, ora sono necessarie modifiche.

(Applausi a sinistra)

Tuttavia, è una realtà anche il fatto – e lo si può pure leggere – che sia il rappresentante per la libertà dei media dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) sia il rappresentante del Consiglio d’Europa sostengano l’insufficienza delle modifiche. Questa è la realtà, onorevole Daul. Questa è la realtà.

(Applausi a sinistra)

Ieri sera durante la riunione del nostro gruppo, che ho presieduto, abbiamo discusso la legge e le modifiche giungendo alla medesima conclusione dell'OSCE e del Consiglio d’Europa: sono insufficienti. Qualunque decisione venga presa oggi – che vinca lei, onorevole Daul, o che vinciamo noi – non rinunceremo a lottare per la libertà dei mezzi d’informazione, onorevole Lange. Se voi rinunciate, è una vostra scelta.

(Applausi a sinistra)

La libertà dei media è un elemento inviolabile della democrazia. Vogliamo la democrazia e vogliamo la libertà dei media. Oggi vi chiediamo dunque di votare di conseguenza. Sappiamo che alcuni deputati del vostro gruppo sono d’accordo con noi. Dobbiamo lottare per la libertà dei mezzi d’informazione, in Ungheria come altrove.

(Applausi a sinistra)

 
  
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  Presidente. – Onorevoli deputati, colleghi, da quel che mi pare di capire, i quattro gruppi parlamentari non ritirano la propria dichiarazione. Potremmo terminare qui la discussione e procedere alla votazione, ma vedo che anche il gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa al Parlamento europeo desidera rendere una dichiarazione. Vi invito a prendere la parola.

 
  
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  Alexander Graf Lambsdorff, a nome del gruppo ALDE. (DE) Signor Presidente, siamo stati direttamente chiamati in causa. Naturalmente abbiamo fiducia nell'operato del Commissario Kroes. La sua analisi del diritto secondario è stata esemplare. Avremmo sperato che la signora Commissario per i diritti umani facesse altrettanto, perché è il problema risiede proprio in questo ambito.

(Applausi a sinistra)

La realtà comprende gli elementi appena citati dall’onorevole Swoboda, vale a dire il fatto che, a parere sia del Consiglio d’Europa sia dell’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa (OSCE), le modifiche siano insufficienti. Lo stesso vice Primo ministro ungherese nonché ministro della Funzione pubblica e della giustizia Navracsics ha ammesso che la legge sui mezzi d’informazione non è stata modificata in maniera sostanziale. Potrei citare la protezione delle fonti giornalistiche, che resta ancora non regolamentata, o la composizione e i poteri dell’autorità per i media. Tutti questi temi devono essere ancora discussi.

Desidero pertanto dichiarare, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, che non ritireremo la proposta di risoluzione, anzi chiediamo che si proceda alla votazione.

 
  
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  Presidente. – Onorevoli deputati, ci apprestiamo a votare la risoluzione dei quattro gruppi politici.

 

9.2. Paesi vicini a Sud, e in particolare la Libia, compresi gli aspetti umanitari (B7-0169/2011) (votazione)
 

- Prima della votazione:

 
  
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  Ana Gomes (S&D).(PT) Signor Presidente, è sopraggiunto un nuovo elemento che non trova riscontro nella risoluzione e invito il Parlamento a unirsi a me nell’esprimere indignazione e preoccupazione. Mi riferisco a quanto accaduto all’équipe di giornalisti della BBC illegalmente detenuti, torturati e sottoposti a finte esecuzioni, che hanno visto molti altri cittadini libici incarcerati in condizioni assolutamente disumane.

Ciò dimostra che ai giornalisti in Libia non è consentito svolgere liberamente il proprio lavoro. Si tratta di un problema importante, ed esorto il Parlamento a unirsi a noi nell’esprimere indignazione e preoccupazione per poi trasmettere la nostra posizione al Consiglio.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Gomes, ha in mente un emendamento specifico? Possiamo prendere in considerazione solo un emendamento specifico, non un appello generale.

 
  
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  Ana Gomes (S&D).(PT) Signor Presidente, in base alle informazioni di cui dispongo il gruppo liberale vorrebbe proporre l’emendamento orale, come è stato concordato, ma se così non fosse, sarò più che felice di comunicarlo.

 
  
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  Presidente. – Va bene, capisco. Si tratta di una considerazione generale. La ringrazio.

 
  
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  Michał Tomasz Kamiński (ECR).(PL) Signor Presidente, con tutto il rispetto, l’abbiamo sentita dichiarare che la risoluzione è stata approvata, ma non ho visualizzato l’esito, almeno non sul mio schermo né su quello del deputato davanti a me. Ritengo che anche a noi dovrebbero essere comunicati i risultati, ossia il particolare esito di questa votazione.

 
  
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  Presidente. – Ecco l’esito: 316 deputati hanno votato a favore, 264 hanno votato contro e 33 si sono astenuti.

 
  
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  József Szájer (PPE). – Signor Presidente, vorrei ricordare all’Assemblea che non stiamo seguendo una linea di coerenza. Nel caso della legge ungherese sui media, un fatto accaduto lunedì non ha trovato riscontro nella nostra risoluzione.

Ora cerchiamo di includere un avvenimento verificatosi solo ieri. Questa Assemblea sta chiaramente applicando due pesi e due misure: ciò è deplorevole e inaccettabile.

 
  
 

- Prima della votazione sull’emendamento n. 11:

 
  
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  Guy Verhofstadt (ALDE).(EN) Signor Presidente, intervengo a nome di tutti i presidenti dei gruppi e anche della maggioranza dei coordinatori, perché ieri, dopo la discussione, prevaleva l’idea che il paragrafo 11 vada rafforzato. L’emendamento orale che intendo presentare è il seguente: “invita il Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza a instaurare rapporti con il Consiglio nazionale provvisorio avviando il relativo processo di ufficializzazione; si incoraggerà così la transizione verso la democrazia garantendo il coinvolgimento di un ampio ventaglio di rappresentanti della società libica, conferendo responsabilità a donne e minoranze nel processo di transizione e fornendo sostegno al Consiglio nazionale provvisorio nella zona liberata, al fine di allentare la pressione sulla popolazione locale e soddisfarne i bisogni umanitari essenziali, tra cui l’assistenza medica”.

Questo è l’emendamento orale presentato a nome dei sette presidenti di gruppo nonché di tutti i coordinatori, con i quali è stato concordato.

 
  
 

(L’emendamento orale è accolto)

 

9.3. Approccio dell’UE nei confronti dell’Iran (A7-0037/2011, Bastiaan Belder) (votazione)
 

- Prima della votazione sul paragrafo n. 6:

 
  
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  Bastiaan Belder, relatore.(NL) Signor Presidente, su iniziativa del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo e con l’approvazione e il consenso degli altri gruppi, vorrei proporre che il seguente emendamento orale venga inserito dopo il paragrafo 6:

(EN) “Condanna con forza la detenzione illegale dei capi dell’opposizione iraniana Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, insieme alle loro mogli, da parte delle forze di sicurezza iraniane e chiede il loro immediato e incondizionato rilascio; sottolinea che la detenzione costituisce una violazione del diritto iraniano; condanna l’atteggiamento delle autorità iraniane nei confronti di un’opposizione che eserciate il suo legittimo diritto di protestare e manifesta la sua solidarietà per le aspirazioni democratiche del popolo; deplora l’ipocrisia del governo iraniano che, pur asserendo di sostenere la libertà in Egitto, è ricorso a un uso eccessivo della forza, all’intimidazione e all’arresto arbitrario contro i pacifici dimostranti che il 14 febbraio scorso esprimevano solidarietà al popolo egiziano”.

 
  
 

(L’emendamento orale è accolto)

- Prima della votazione sul considerando N:

 
  
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  Anna Ibrisagic (PPE).(SV) L’emendamento orale propone la soppressione di un unico termine, vale a dire il termine “e”. Leggerò il testo in inglese e poi ve ne spiegherò i motivi:

– “considerando che si è verificato un notevole avvicinamento tra la Turchia e l’Iran”; la parola “e” che segue viene eliminata e il considerando continua “che quest’ultimo si sta avvalendo dei suoi alleati, siano essi Stati o meno, quali la Siria, Hezbollah e Hamas, come pure i Fratelli musulmani, per destabilizzare la regione”.

(SV) Vorremmo eliminare il termine “e” nel mezzo perché non vogliamo collegare le relazioni tra la Turchia e l’Iran con quelle dell’Iran con Hezbollah e Hamas.

 
  
 

(L’emendamento orale è accolto)

 

9.4. a sessione del Consiglio per i diritti dell’uomo (Ginevra, 28 febbraio - 25 marzo 2011) (B7-0158/2011) (votazione)
 

- Prima della votazione:

 
  
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  Heidi Hautala , presidente della sottocommissione per i diritti umani.(EN) Signor Presidente, ho ottime notizie sul fronte dei diritti umani. Il candidato al premio Sakharov, l’ottantenne Haitham al-Maleh, avvocato siriano per i diritti umani, è stato graziato e rilasciato due giorni fa. Questo è uno straordinario esempio di come il Parlamento europeo possa rafforzare i diritti dell’uomo.

Ora che è nuovamente libero, Haitham al-Maleh è determinato a contribuire al rilascio delle migliaia di prigionieri politici in Siria.

(Vivi applausi)

 
  
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  Presidente. – La ringrazio per averci comunicato questa notizia: sicuramente impartirà un grande impulso al nostro lavoro.

- Prima della votazione sul paragrafo n. 8:

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE).(FR) Signor Presidente, vorrei semplicemente far presente che, quando ha posto in votazione il paragrafo 8 del testo originale, la traduzione francese lo riportava come paragrafo 19; si è dunque verificato un malinteso sulle istruzioni di voto.

 
  
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  Presidente. – Verificheremo. La ringrazio per la sua osservazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. WALLIS
Vicepresidente

 
  
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  Fiona Hall (ALDE). – Signora Presidente, vorrei semplicemente cogliere l’opportunità per ringraziare i 400 onorevoli colleghi che hanno votato, in maniera trasversale, la dichiarazione scritta n. 81. Desidero inoltre ringraziare i miei collaboratori per il grande lavoro svolto nonché i servizi incaricati delle dichiarazioni scritte per il loro sostegno, ma soprattutto desidero ringraziare gli attivisti che l’hanno resa possibile attraverso la loro dedizione.

Sono orgogliosa di essere deputata in un Parlamento al quale i cittadini comuni possono rivolgersi per esporre un problema e in cui deputati ascoltano e vengono persuasi. Questa è la democrazia nella sua espressione migliore e la dimostrazione che il Parlamento europeo è vicino ai cittadini.

 

10. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
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  Presidente. – Procediamo adesso alle dichiarazioni di voto.

 
  
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0191/2011

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D). (SK) Signora Presidente, ho votato a favore della risoluzione presentata congiuntamente dal gruppo dei socialisti europei principalmente perché ben poco è cambiato in termini di importanza e di attualità della risoluzione, sebbene vi siano stati alcuni cambiamenti in Ungheria dalla stesura della risoluzione alla votazione di oggi sulla stessa.

In primo luogo, vorrei sottolineare la nostra delusione per il fatto che la Commissione ha deciso fin dall’inizio di concentrarsi esclusivamente su tre aspetti della controversa legge ungherese sui media. Ribadiamo che, dopo che il governo e il parlamento ungheresi hanno affrontato questi tre aspetti in maniera relativamente accettabile, la Commissione avrebbe dovuto insistere osservando da vicino la conformità della legge ungherese sui media alla normativa europea – in particolare alla Carta dei diritti fondamentali.

Vorremmo inoltre invitare le autorità ungheresi, in caso di future modifiche della legge, a coinvolgere maggiormente le parti in causa, fra cui la società civile, perché è l’unico modo di redigere una legge in un paese davvero democratico. In questo senso, i contributi e le raccomandazioni costituiranno sicuramente uno stimolo, sia che provengano da noi – dal Parlamento europeo, dalla Commissione o dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – sia dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signora Presidente, sicuramente tutti i presenti in quest’Aula che condividono i principi dell’Unione europea attribuiscono grande importanza alla libertà dei media. Questa libertà implica, senza dubbio, responsabilità. Nondimeno ho votato contro tale proposta.

Secondo le informazioni che ho ricevuto in proposito e che sono state qui discusse , la Commissione ha avanzato alcune richieste all’Ungheria, la quale ha reagito modificando la legge sui media di conseguenza. A mio parere ciò avrebbe dovuto essere sufficiente. Sono dell’avviso che non si dovrebbe trasformare la questione in un caso politico in questo modo, dove apparentemente la sinistra si contrappone alla destra, o qualunque sia la situazione: per tutti si devono applicare gli stessi standard in quest’ambito. Se la Commissione ha approvato questa modifica dell’Ungheria, la approvo anch’io. Sono del parere che si tratti di una questione di principi fondamentali; ho dunque votato contro la relazione proposta dal mio stesso gruppo, o l’idea che vi soggiace, perché ritengo che l’Ungheria abbia fatto esattamente ciò che la Commissione le ha chiesto di fare.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR). – Signora Presidente, prima di pronunciarci sulla libertà dei media in Ungheria, forse sarebbe bene guardare a ciò che facciamo come Parlamento.

Potremmo pensare alle centinaia di migliaia di euro di aiuti pubblici che concediamo all’unione dei giornalisti europei oppure alle decine di migliaia di euro che spendiamo ogni settimana per mandare reporter locali in gita di piacere, soprattutto a Bruxelles e Strasburgo; potremmo inoltre pensare alle decine di corrispondenti accreditati a Bruxelles che ottengono un secondo reddito come esperti su temi correlati ai mezzi d’informazione oppure come editori o redattori di testate gratuite finanziate dall’Unione.

Se fossi ungherese, avrei serie perplessità non solo riguardo alla legge sui media, ma anche alla strisciante tendenza autocratica del governo. Ma non sono ungherese, perciò non mi deve riguardare.

Sono tuttavia un deputato di questo Parlamento e ritengo che utilizzando il denaro dei contribuenti in maniera così apertamente propagandistica offendiamo i nostri principi fondamentali di dignità, equità e democrazia. Dovremmo togliere il grosso tronco d’albero dal nostro occhio, prima di preoccuparci della pagliuzza in quello dell’Ungheria.

 
  
  

Proposta di risoluzione RC-B7-0169/2011

 
  
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  Lara Comi (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore di questa importante risoluzione. È essenziale che l'Unione europea compia ogni sforzo nell'ambito delle sue competenze per porre fine all'emergenza, coordinandosi con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nei tempi più rapidi possibili.

Esprimere una condanna chiara, proporre un'area di non sorvolo, una no-fly zone, stabilire l'embargo sugli armamenti e le altre sanzioni, provvedere agli aiuti umanitari, far evacuare i cittadini europei, assicurare l'assistenza alle popolazioni civili colpite sono però tutte misure ex post, che cercano di arginare l'emergenza.

L'Unione europea, tuttavia, deve acquisire un ruolo politico più forte sulla scena internazionale e saper affrontare le grandi sfide. Dopo aver affrontato l'emergenza, credo che dovremmo fermarci a riflettere per capire come l'Unione può in futuro lavorare per evitare che le situazioni di democrazie deboli degenerino e sfocino in disastri umanitari.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE).(EN) Signora Presidente, ho votato, com’è ovvio, a favore della risoluzione, ma penso che sia urgente che il Consiglio europeo, che si riunisce domani, si attivi quanto prima e quanto più decisamente possibile per, primo, istituire un’area di non sorvolo sulla Libia, al fine di impedire al governo libico di continuare a uccidere i propri cittadini, e, secondo, per stabilire contatti con il consiglio nazionale provvisorio. Alla nostra risoluzione abbiamo aggiunto questa richiesta.

Tutto considerato, però, penso che occorra sottolineare un passo della risoluzione, laddove si dice che i cambiamenti rivoluzionari avvenuti nel Nordafrica hanno dimostrato che l’impatto positivo e la credibilità a lungo termine dell’Unione europea in quella regione dipenderanno dalla sua capacità di praticare una politica estera comune che sia coerente, fondata su valori e prenda nettamente le parti delle nuove forze democratiche.

 
  
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  Pino Arlacchi (S&D).(EN) Signora Presidente, ho votato per la risoluzione. Desidero rilevare che il partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il Mediterraneo meridionale, lanciato recentemente dalla Commissione, è un notevole primo passo nella giusta direzione.

L’Unione europea è stata in gran parte assente all’inizio della crisi nordafricana e della transizione alla democrazia, ma adesso sembra essere diventata più attiva e più efficace in quell’area.

 
  
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  Mitro Repo (S&D).(FI) Signora Presidente, il popolo libanese deve avere il diritto di decidere prima di chiunque altro del futuro del proprio paese. Poiché i concetti di democrazia e libertà derivano dal popolo, non possono essere imposti dall’esterno.

Il vertice straordinario del Consiglio europeo che si terrà domani deve trovare un accordo sul ruolo dell’Unione in quella regione. L’Unione deve fare tutto il possibile per sostenere l’ondata di democrazia che si è diffusa nel mondo arabo. Non c’è tempo da perdere: dobbiamo passare dalle parole ai fatti. L’UE deve avere una politica coerente e assumersi le proprie responsabilità in quell’area a lungo termine. Se gli attacchi contro la popolazione civile continueranno – e pare che sia proprio così – l’Unione deve negoziare un mandato delle Nazioni Unite e attivarsi per istituire un’area di non sorvolo sulla Libia, al fine di evitare una catastrofe umanitaria. Dobbiamo inoltre mantenere valida l’opzione di un intervento militare.

 
  
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  Adam Bielan (ECR).(PL) Signora Presidente, stiamo assistendo alla fine di uno degli ultimi regimi di lunga durata nati nell’era postbellica. Gheddafi non è stato capace di dimettersi con onore e, pur di conservare il proprio ruolo di dittatore, ha dichiarato guerra contro il suo stesso popolo. Puntando i fucili contro i propri cittadini, ha messo in dubbio le fondamenta della civiltà moderna. Ha commesso un crimine contro l’umanità. Abbiamo perciò il dovere di sostenere il popolo libico nella sua lotta per la libertà, la democrazia e i diritti umani fondamentali.

Dobbiamo agire d’intesa con le Nazioni Unite per riportare stabilità in Libia e punire coloro che si sono resi colpevoli di crimini, compreso il colonnello Gheddafi. Particolarmente urgente è la necessità di garantire aiuti umanitari ai civili e dare riparo ai rifugiati libici. Già 25 anni fa l’amministrazione del Presidente Reagan cercò di porre fine al regime di Gheddafi. Oggi dobbiamo adottare tutte le misure lecite nel contesto del diritto internazionale per sollevarlo dal suo incarico. In tale ottica, appoggio la risoluzione del Parlamento.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE).(FI) Signora Presidente, ho votato a favore della risoluzione pur ritenendo che essa, sotto determinati aspetti, susciti talune perplessità. In primo luogo, voglio dire che questa settimana il mio gruppo si è incontrato con esponenti delle forze di opposizione libiche, i quali ci hanno detto che non vogliono interventi armati dell’Occidente. Lo hanno affermato molto chiaramente. Penso che in questa vicenda l’Unione non debba agire in maniera isolata bensì di comune intesa con le Nazioni Unite e i paesi arabi.

Ciò nonostante, nella risoluzione si parla di un intervento umanitario – un termine che troppo spesso, purtroppo, è sinonimo di intervento armato. Quindi, in realtà il Parlamento sta per adottare una posizione a favore di un intervento, sia pure camuffato da elegante retorica.

L’altra mia preoccupazione riguarda la zona di non sorvolo, che porterà – temo – al bombardamento della Libia. Penso che dovrebbe trattarsi di una missione sotto il comando delle Nazioni Unite da compiersi congiuntamente con l’intero mondo arabo, l’Africa e l’Unione europea.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signora Presidente, questa richiesta di un intervento militare – ché una zona di non sorvolo è, ovviamente, una forma di intervento militare, posto che comporta la disponibilità a colpire strutture militari sul terreno – dovrebbe farci riflettere su tre cose. Primo, come è stato detto, l’opposizione libica non vuole interventi stranieri. Bengasi è tappezzata di manifesti che affermano tale volontà. Secondo, il regime di Gheddafi, invece, vuole un intervento straniero perché così potrebbe giustificare le proprie asserzioni secondo cui starebbe agendo per difendere il paese da invasori stranieri. Terzo, non possiamo permetterci un intervento militare. La prima nave arrivata nell’area dopo che è scoppiata la crisi umanitaria è stata una nave del mio paese, la HMS Cumberland, che incrociava in quelle acque perché stava andando alla demolizione! E la nostra marina ha tuttora un raggio d’azione più ampio rispetto alla maggior parte degli altri Stati membri.

Negli anni ’80 azioni militari dirette contro il regime di Gheddafi potevano anche essere giustificate, perché all’epoca il regime era palesemente coinvolto nel terrorismo internazionale. Colpisce che chi oggi invoca una qualche forma di intervento militare non la pensasse allo stesso modo allora, quando azioni del genere sarebbero state giustificabili ai sensi del diritto internazionale. C’è qualcosa di rivoltante nello spettacolo di tutti questi leader europei che con fare servile sbavano dietro a quell’orripilante regime. Con i nostri interventi passati ci siamo già procurati abbastanza problemi. Penso che abbiamo già fatto a sufficienza.

 
  
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  Anna Záborská (PPE). (SK) Signora Presidente, sono favorevole alla risoluzione e quindi l’ho appoggiata, ma questo non basta per adottare una risoluzione.

La settimana scorsa in Egitto 4 000 musulmani hanno attaccato un villaggio copto non distante dal Cairo. Hanno bruciato due chiese e impedito ai pompieri di entrare nel villaggio. In un primo momento, l’esercito si è rifiutato di intervenire e quando poi, finalmente, l’ha fatto, i musulmani lo hanno cacciato via sostenendo che era tutto a posto. Contro i 12 000 cristiani che vivono nel villaggio è stato imposto il coprifuoco.

C’è stato un tempo in cui l’Europa sapeva cosa era bene, cosa era male e perché. Grazie al sostegno di quelle brave persone, leader come Havel, Walesa e Čarnogurský erano preparati ad affrontare il crollo del comunismo. Oggi, invece, i politici dell’Unione sono amici dei dittatori e fanno finta di non vedere le persecuzioni dei cristiani. Non ragionano in termini di bene e male perché il pragmatismo non conosce simili categorie. Finché le cose resteranno così, potremmo fare più male che bene al Nordafrica.

 
  
  

Relazione Belder (A7-0037/2011)

 
  
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  Pino Arlacchi (S&D).(EN) Signora Presidente, ho votato a favore della relazione perché essa distingue nettamente tra i due fascicoli riguardanti l’Iran: quello sulle violazioni dei diritti umani ad opera del governo in carica e quello sul programma nucleare iraniano.

La relazione appoggia l’approccio duale del Consiglio alla questione nucleare: sanzioni da un canto, offerta di dialogo dall’altro.

È indispensabile denunciare le gravissime violazioni dei diritti umani compiute attualmente in Iran. I loro autori, che per la maggior parte appartengono alle istituzioni statali, godono dell’impunità.

Nel contempo, dobbiamo evitare richieste irresponsabili di un intervento armato internazionale contro la tirannia al potere. Un attacco armato contro l’Iran, pur se compiuto nel nome dei diritti umani, verrebbe vissuto da tutti gli iraniani, indipendentemente dalle loro posizioni politiche, come un attacco contro il paese e un’ulteriore violazione dei loro diritti fondamentali.

In una simile eventualità, l’unico vincitore sarebbe Ahmadinejad.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE).(EN) Signora Presidente, ho votato a favore della risoluzione perché ritengo sia giunto il momento di adottare nei confronti del regime di Teheran lo stesso approccio che stiamo applicando alla Libia e al colonnello Gheddafi. Voglio dire, in altri termini, che sperare che si instauri un clima di fiducia non è più un’opzione realistica. Dobbiamo sostenere maggiormente l’opposizione iraniana. Mi preoccupa in particolare la situazione nel campo dell’opposizione di Ashraf, che è sotto assedio e sotto pressione dal luglio 2009. Le condizioni umanitarie nel campo sono intollerabili. Su questo problema, il Parlamento ha adottato nell’aprile 2009 una risoluzione e nel novembre scorso una dichiarazione scritta. Mi permetto di consigliare all’Alto rappresentante Ashton di portare questo serio messaggio al Consiglio europeo di domani.

 
  
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  Adam Bielan (ECR).(PL) Signora Presidente, l’Iran e il suo attuale governo guidato da Ahmadinejad sono motivo di grave preoccupazione a causa delle ambizioni nucleari di chi detiene il potere nel paese. Visti il persistente rifiuto di collaborare con l’Agenzia internazionale per l’energia nucleare e la conseguente assenza di controlli sul programma nucleare iraniano, è necessario prendere in considerazione l’adozione di misure forti nei confronti dell’Iran.

Trattandosi di un regime autoritario, dobbiamo tener presente il fatto che esso può costituire una minaccia per altri paesi, specialmente quelli confinanti. Timori particolarmente seri suscita la retorica anti-israeliana cui il Presidente iraniano ricorre da parecchio tempo. Ritengo che la posizione delle autorità iraniane in proposito sia inaccettabile e la condanno categoricamente. Votando a favore della risoluzione, esprimo la mia condanna dell’aggressiva politica estera dell’Iran e chiedo altresì il rilascio dei prigionieri politici, la cessazione delle persecuzioni contro i sostenitori dei diritti umani e l’avvio della cooperazione con le organizzazioni internazionali, compresi gli organismi delle Nazioni Unite. Appoggio inoltre gli sforzi diplomatici della Turchia e del Brasile volti a trovare una soluzione alla questione nucleare.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signora Presidente, la rivoluzione iraniana del 1979 sarà considerata un giorno come un evento epocale, alla stessa stregua della rivoluzione francese del 1789 e di quella russa del 1917. Al pari delle ultime due, la rivoluzione iraniana si è immediatamente diffusa al di fuori dei propri confini e ha cercato di replicarsi in altre parti del mondo; come le altre due, ha violato tutte le norme consolidate del diritto internazionale, della sovranità internazionale e della giurisdizione territoriale.

Qual è stato l’evento caratterizzante della rivoluzione? È stato l’assedio dell’ambasciata statunitense. Ora, fermiamoci un attimo a considerare la straordinaria portata di quel fatto alla luce dei precedenti nelle relazioni fra Stati. Persino durante la Seconda guerra mondiale, quando ideologie contrapposte cercavano di annullarsi a vicenda, i diplomatici venivano evacuati pacificamente attraverso paesi neutrali. Se domani gli Stati Uniti invadessero Cuba, tutti si aspetterebbero uno scambio pacifico del personale diplomatico. Con l’assedio dell’ambasciata, gli iraniani ci avevano fatto capire che le loro regole non erano uguali alle nostre, che a loro non importava più nulla della sovranità dello Stato e che sarebbero andati avanti così come avevano iniziato, sostenendo le loro milizie dai canati lungo la via della Seta fino ai Balcani, per arrivare addirittura a Buenos Aires.

Saremmo in una posizione più forte per condannare quel regime se, come Unione europea, avessimo un po’ più di considerazione per i principi della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione nazionale.

 
  
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  Gianni Vattimo (ALDE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, volevo spiegare la mia astensione nel voto finale sulla relazione a proposito dell'Iran perché, mentre condivido tutte le critiche contro il mancato rispetto dei diritti umani in Iran, specialmente per quello che riguarda la pena di morte, la persecuzione di minoranze sessuali, il non rispetto della libertà di insegnamento nelle scuole e nelle università, sono però persuaso che molte delle notizie, delle informazioni che questa relazione cita vengono direttamente dalla propaganda statunitense, non me ne posso fidare.

Infine, come liberal-democratico, mentre naturalmente sono convinto che l'Iran abbia tutto il diritto di perseguire lo sviluppo di una ricerca nucleare a scopi pacifici, non negherei nemmeno il suo diritto di avere armi nucleari in una regione in cui l'unica potenza che le possiede e a cui si consente di possederle è uno Stato razzista e colonialista come Israele.

 
  
  

Proposta di risoluzione RC-B7-0158/2011

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signora Presidente, in merito a questa risoluzione delle Nazioni Unite sui diritti umani voglio dire che è molto importante che l’Unione europea si impegni a favore dei diritti umani senza risparmiarsi. Purtroppo, la risoluzione non era ben equilibrata; infatti, leggendone il testo, in particolare il punto 19, si ha l’impressione che uno Stato – Israele – sia oggetto di critiche eccessive e che si cerchi di addossagli ogni colpa.

Conosciamo tutti la situazione attuale nel Medio Oriente. Nei paesi della regione sono in corso rivolte che sono costate la vita a migliaia di persone innocenti. Stando così le cose, questa avrebbe dovuto essere una risoluzione sui diritti umani, non sul Medio Oriente. Se lo scopo era quello di trovare un punto d’equilibrio, invece di essere prevenuti e cercare di incolpare Israele, si sarebbe potuto citare il caso di Gilad Shalit, il soldato israeliano che da 1 720 giorni è privato dei suoi diritti umani in quanto prigioniero degli arabi palestinesi o di Hamas.

Quando scriviamo dichiarazioni sui diritti umani, come in questo caso, è nostro dovere mirare a un approccio equilibrato e corretto, perché solo così potremo portarle avanti in maniera sostenibile e potremo per di più conservare la nostra credibilità in quanto garanti dei diritti umani sia in Europa sia in luoghi più remoti.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(GA) Signora Presidente, mi ha fatto molto piacere che siano state adottate le proposte di risoluzione sui diritti umani, ed è stato bene che l’Unione europea le abbia approvate. Devo fare, però, una piccola precisazione.

(EN) Signora Presidente, sull’emendamento n. 2, paragrafo 8, i colleghi irlandesi del nostro gruppo ed io abbiamo votato a favore perché riteniamo che le fognature e soprattutto l’acqua pulita siano diritti umani fondamentali. Durante la mia esperienza di volontario in Africa ho potuto vedere quanto sia importante per la vita delle persone la differenza tra avere e non avere accesso all’acqua dolce. Penso quindi che, riconoscendo che si tratta di un diritto umano fondamentale, possiamo far comprendere quanto sia urgente garantire a tutti i cittadini del mondo, più di tutto, l’accesso all’acqua dolce pulita.

(GA) Per tale motivo, plaudo all’adozione della risoluzione. Questo è quanto volevo dire.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0191/2011

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) L’adozione di questa proposta di risoluzione è stata sollecitata dalla preoccupante situazione causata dalla legge sui media vigente in Ungheria, che mette in dubbio il requisito di una copertura equilibrata per tutti i fornitori di media audiovisivi, il rispetto della proporzionalità e i fondamentali diritti di espressione e informazione. Ciò significa che l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e il Parlamento europeo condividono legittimi timori per il fatto che la legge citata viola i requisiti internazionali in materia di libertà di espressione, indipendenza politica e ambito di applicazione della normativa. Queste preoccupazioni sono ancora più pesanti se si considera l’avvertimento lanciato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Stando così le cose, è necessario adottare le raccomandazioni contenute nella proposta perché esse mirano a modificare le norme sui media alla luce delle osservazioni formulate dalla Commissione, dall’OSCE e dal Consiglio d’Europa, e sollecitano la Commissione a redigere entro la fine dell’anno una proposta di direttiva sulla libertà e il pluralismo dei media, per affrontare il problema dell’inadeguatezza del quadro legislativo comunitario ed evitare quindi che in futuro si verifichino situazioni del genere.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Il pluralismo e la libertà dei media sono principi fondamentali dell’Unione europea perché garantiscono la libertà di esprimere opinioni e di ricevere e comunicare informazioni senza controlli, ingerenze o pressioni da parte delle autorità pubbliche. Le organizzazioni internazionali hanno manifestato preoccupazione per la legge ungherese sui media e, dopo aver condotto un’indagine, la Commissione europea ha concluso che essa è incompatibile con la direttiva sui servizi di media audiovisivi e con l’acquis communautaire in generale. Condivido la proposta avanzata nella risoluzione secondo cui le autorità ungheresi devono rivedere ulteriormente questa legge sulla base delle osservazioni formulate dalla Commissione europea, dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) nonché dal Commissario per i diritti umani, dal Comitato dei ministri e dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, per garantire la conformità della legge alla normativa comunitaria e ai valori europei, oltre che ai requisiti di libertà, pluralismo e indipendenza dei media.

 
  
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  Ivo Belet (PPE), per iscritto. (NL) Il governo ungherese ha saputo gestire bene tutta la confusione sollevata su questa legge controversa, dimostrando che la libertà di stampa e il pluralismo dei media sono stati e rimangono concetti fondamentali per l’Ungheria. La Commissione europea si è comportata molto bene e continuerà giustamente a seguire da vicino tale questione non solo in Ungheria ma in tutti gli Stati membri dell’Unione europea.

L’iniziativa annunciata dal Commissario Kroes di istituire un gruppo di esperti formato da diversi soggetti interessati, con il compito di occuparsi della situazione del pluralismo dei media in Europa, rappresenta un importante passo avanti. Il gruppo aiuterà la Commissione a definire nuove misure per il settore dei media. Abbiamo il compito di garantire il pluralismo dei media e la libertà di stampa in Europa. Ritengo pertanto che il Parlamento europeo contribuirà attivamente in tal senso.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. (FR) La democrazia è tutt’altro che un dato di fatto immutabile nel tempo: si evolve, progredisce e, purtroppo, può anche regredire. Sotto questo profilo, la legge ungherese sui media rappresenta un grave passo indietro. L’accordo fra tutti i progressisti europei ha permesso innanzi tutto di iscrivere tale questione in cima all’agenda politica europea – il che è positivo. Adesso si tratta di essere precisi e risoluti sui punti che continuano a essere problematici. L’indipendenza della governance dei media e la libertà di espressione non sono valori negoziabili.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione perché la legge ungherese sui media va sospesa e rivista alla luce delle osservazioni e delle proposte avanzate dalla Commissione europea, dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e dal Consiglio d’Europa, al fine di garantirne la piena conformità alla legislazione comunitaria nonché ai valori e ai requisiti europei in materia di libertà dei media, pluralismo e indipendenza della governance dei media. Inoltre, il Parlamento europeo richiama i criteri di Copenaghen per l’adesione all’Unione europea, stabiliti nel 1993 al Consiglio europeo svoltosi in quella città, laddove si afferma che la libertà di stampa e la libertà di espressione devono essere sostenute da tutti gli Stati membri dell’Unione europea e attuate per mezzo di pertinenti norme comunitarie. Quindi, il Parlamento europeo invita le autorità ungheresi a ripristinare l’indipendenza della governance dei media e porre fine all’ingerenza dello Stato, che reca pregiudizio alla libertà di espressione e a una copertura equilibrata. Penso inoltre che un’eccessiva regolamentazione dei media sia controproducente perché mette a repentaglio un effettivo pluralismo nella sfera pubblica. Il Parlamento sollecita altresì la Commissione a presentare entro la fine dell’anno un’iniziativa legislativa sulla libertà dei media, il pluralismo e la governance indipendente, nell’ottica di stabilire quanto meno i requisiti essenziali di minima, nonché di assicurare, garantire e promuovere un adeguato livello di pluralismo dei media e l’indipendenza della governance dei media negli Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Jan Březina (PPE), per iscritto. (CS) Il pluralismo e la libertà dei media costituiscono sicuramente un pilastro importante della democrazia e dello stato di diritto. La legge ungherese sui media è senz’altro da deplorare, però è altrettanto vero che il governo ungherese è stato oggetto di attacchi frettolosi e ingiustificati, che andavano evitati, soprattutto all’inizio della Presidenza ungherese dell’Unione europea. Mi fa piacere, comunque, che di recente il parlamento ungherese abbia apportato a questa controversa legge sui media modifiche che tengono conto dei punti sollevati dall’Unione europea. In tal modo, ha smontato le argomentazioni di coloro che, per fini ideologici, alimentano tensioni. Il requisito principale, cioè che la “copertura equilibrata” non valga per siti Internet, blog, discussioni e bollettini informativi stranieri, è stato soddisfatto. La Commissione europea deve ora vigilare costantemente sull’applicazione della legge. Va reso merito al dialogo costruttivo tra l’Ungheria e l’Unione europea che ha permesso di approvare le modifiche della legge.

I media e i giornalisti stranieri che lavorano in Ungheria non corrono più il rischio di dover pagare pesanti multe per aver violato la legge ungherese sui media, però rimangono “altre conseguenze legali” a loro carico, mentre i proprietari ungheresi di media sono tuttora soggetti a sanzioni, compresi quelli che hanno formalmente trasferito la propria sede in altri paesi dell’Unione per sottrarsi a questa legge. Per quanto possiamo non condividere simili modifiche, esse rientrano pienamente nelle competenze del parlamento ungherese e i rappresentanti dell’Unione europea le devono rispettare.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) La libertà di espressione di ogni individuo, la libertà di circolazione delle informazioni e la libertà e il pluralismo dei media sono i pilastri centrali dell’integrazione europea e dei suoi valori fondanti. L’elaborazione e l’attuazione di un quadro normativo per i media devono essere conformi ai requisiti democratici per l’organizzazione e la governance dei sistemi di comunicazione. Invito le autorità ungheresi a ripristinare l’indipendenza della governance dei media e a far cessare l’ingerenza dello Stato nella libertà di espressione. Un eccesso di regolamentazione dei media è controproducente perché mina un vero pluralismo nel settore pubblico. Invito le autorità ungheresi a coinvolgere tutte le parti interessate nella riforma della legge sui media, compresi i partiti di opposizione e la società civile, affinché possano partecipare in maniera significativa al processo di modifica di questa legge, che disciplina un aspetto fondamentale del funzionamento di una società democratica.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) La libertà e il pluralismo dei media costituiscono diritti fondamentali che garantiscono la libertà di esprimere le proprie opinioni e di ricevere e comunicare informazioni senza alcun tipo di ingerenza o pressione da parte delle autorità pubbliche. La Commissione europea, in veste di garante dei trattati, ha manifestato preoccupazione e chiesto chiarimenti all’Ungheria riguardo a una possibile violazione di questo diritto, cioè il fatto che la legge ungherese sui media possa non essere conforme alla direttiva sui servizi di media audiovisivi.

Mi ha fatto molto piacere che il 7 marzo il parlamento ungherese abbia approvato gli emendamenti che erano stati concordati tra il governo del paese e la Commissione. Non comprendo, però, perché i socialisti e il Partito verde ungherese abbiano votato contro. Stando alle dichiarazioni del Commissario Kroes, sembra non sussista più alcun dubbio sul fatto che l’Ungheria si sia attenuta alle raccomandazioni della Commissione e che la versione emendata della legge sia in linea con la normativa europea.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) La libertà di stampa non tollera compromessi: questo è il messaggio che il Parlamento voleva trasmettere non soltanto a Budapest ma anche alla Commissione europea. Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che invita il governo ungherese a sospendere e a sottoporre a un “riesame urgente” il controverso pacchetto legislativo sui media, sebbene esso sia stato emendato di recente su pressione dei partner europei. Permangono, tuttavia, timori, specialmente in relazione al Consiglio dei media, l’organo responsabile del controllo dei media, che è formato esclusivamente da persone affini al partito del Primo ministro Orbán. In realtà, questo organo di controllo è lo strumento ideale per censurare i media e pertanto il gruppo dell’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa, in quanto garante della libertà di espressione dei cittadini nell’Unione europea e nel mondo, ha chiesto che venga posta fine all’ingerenza dello Stato e sia quindi ripristinata l’indipendenza dei media.

 
  
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  Ioan Enciu (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della risoluzione perché penso che l’Unione europea debba essere pronta a prevenire e contrastare ogni possibile attacco contro i valori fondamentali della democrazia, tra i quali figura anche la libertà di espressione. Credo che l’Ungheria e altri Stati membri, come la Romania, debbano assolutamente rivedere il proprio atteggiamento nei confronti della stampa, in conformità dei principi democratici sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della risoluzione riguardante la legge ungherese sui media perché la libertà di stampa è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea. Credo che la Commissione debba procedere a una disamina dettagliata della legge ungherese sui media per accertare se essa sia conforme alla legislazione europea, in particolare alla Carta dei diritti fondamentali.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Credo non abbia senso che il Parlamento adotti un parere su questo tema dopo che sono state fornite tutte le garanzie per la libertà di espressione, tra gli altri dal Primo ministro ungherese Orbán. Inoltre, si tratta di una questione di principio e quindi mi asterrò dal fare apprezzamenti su atti politici, legislativi e giurisdizionali che rientrano strettamente nelle competenze delle autorità legislative, esecutive e giudiziarie di uno Stato membro che non sia il mio.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La libertà di espressione e informazione, compresa la libertà di esprimere opinioni e la libertà di ricevere e comunicare informazioni senza ingerenze né pressioni, sono valori sociali per i quali molte persone hanno combattuto nel corso degli anni, anche in Portogallo. In questa lotta, i comunisti sono stati e sono tuttora in prima linea. Purtroppo, in molti paesi dell’Unione europea è ancora necessario combattere questa battaglia. Il pluralismo e la libertà dei media continuano a essere fonte di preoccupazione in diversi Stati membri. Si dimentica spesso che tra le concause di questa situazione figurano la concentrazione della proprietà dei media in una manciata di grandi gruppi industriali, l’attacco contro i diritti dei professionisti dei media e l’esistenza di rapporti di lavoro sempre più precari. A tutto ciò si aggiungono le ingerenze da parte dei poteri politici, che in molti paesi si fanno sentire ancora oggi e sono preoccupanti.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La libertà di espressione e informazione, con il conseguente pluralismo dei media, nonché la libertà di esprimere opinioni e di ricevere e comunicare informazioni senza alcun tipo di ingerenza né pressioni da parte delle autorità pubbliche è una conquista della civiltà.

Purtroppo, però, in molti paesi dell’Unione europea assistiamo spesso ad attacchi contro questi diritti fondamentali. Il pluralismo e la libertà dei media continuano a suscitare preoccupazioni in molti Stati membri, specialmente in Ungheria, Italia, Bulgaria, Romania, Estonia e altri. Anche in Portogallo si ha notizia di numerosi casi di attacchi contro il pluralismo dei media, la qual cosa non rende onore alla democrazia.

Non condividiamo, però, l’affermazione contenuta in alcuni paragrafi secondo cui vi sarebbe una politica di costante ingerenza politica da parte dell’Unione europea nell’attività di governo dei singoli paesi. È in questo spirito che abbiamo votato la risoluzione concernente la legge ungherese sui media, tenendo conto tanto dei suoi aspetti positivi quanto di quelli negativi.

 
  
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  Mathieu Grosch (PPE), per iscritto.(DE) Sono convinto che la grandissima maggioranza del Parlamento europeo voterà a favore dei diritti fondamentali dei media. Tali diritti sono ora invocati in una risoluzione che non tiene conto degli emendamenti apportati questa settimana alla legge da parte del parlamento ungherese. Avrei perciò preferito che tutte le risoluzioni redatte prima del voto del parlamento ungherese fossero state ritirate per essere dapprima aggiornate e soltanto dopo sottoposte alla discussione e al voto. Di conseguenza, la votazione del Parlamento europeo non aveva più nulla a che fare con la libertà di stampa, che deve essere una priorità assoluta, bensì è stata semplicemente una prova di forza tra i gruppi.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Appoggio pienamente l’adozione di questa risoluzione della sinistra europea che giudica negativamente, in quanto inadeguati, gli emendamenti apportati dall’Ungheria alla legge sui media, mentre la destra li valuta favorevolmente. Anche il Commissario Kroes sembra essere soddisfatta di queste modifiche, mentre il Parlamento europeo ritiene invece che la Commissione abbia preso in considerazione soltanto alcuni aspetti tecnici, a scapito della Carta dei diritti fondamentali. Inoltre, la nostra risoluzione, pur essendo indirizzata all’Ungheria, sottolinea altresì che, purtroppo, la libertà e il pluralismo dei media possono essere messi a rischio anche in altri paesi con governi conservatori. In tale contesto, i deputati al Parlamento europeo hanno dimostrato di avere a cuore il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, che sono i principi fondanti delle democrazie e dell’Unione europea.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo documento perché le autorità ungheresi devono ripristinare l’indipendenza della governance dei media e far cessare l’ingerenza dello Stato nella libertà di espressione e nella copertura equilibrata. Una regolamentazione eccessiva dei media è controproducente perché mette a repentaglio un effettivo pluralismo nella sfera pubblica.

 
  
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  Timothy Kirkhope (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo dei Conservatori e riformisti europei appoggia con convinzione la libertà e il pluralismo dei media in tutta l’Unione europea e sottolinea l’importanza della libertà di informazione per tutti i cittadini europei. Tuttavia, visti i continui cambiamenti apportati alla legge ungherese sui media e considerata l’impossibilità di incontrare la Commissione dopo le ultime modifiche della legge, adottate questa settimana, riteniamo che questo non sia il momento adatto per approvare un’altra risoluzione su tale questione. Pertanto, il gruppo dei Conservatori e riformisti europei si è astenuto dal voto.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato per la risoluzione perché credo che la legge ungherese sui media debba essere sospesa urgentemente e rivista alla luce delle osservazioni e delle proposte della Commissione, dell’OSCE e del Consiglio d’Europa, allo scopo di garantirne la piena conformità al diritto comunitario e ai valori e ai requisiti europei in materia di libertà dei media, pluralismo e indipendenza della governance dei media.

 
  
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  Iosif Matula (PPE), per iscritto. (RO) Sono favorevole alla modifica delle disposizioni della legge ungherese sui media considerata poco democratica dalla Commissione europea e accolgo con favore le modifiche apportate all’atto normativo da parte del governo di Budapest. Non ho però votato a favore della risoluzione firmata dal gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, dal gruppo Verde/Alleanza libera europea e del gruppo della Sinistra unitaria/Sinistra verde nordica poiché ritengo che le misure proposte siano eccessive se si considerano le leggi analoghe introdotte in altri Stati membri che non sono stati sanzionati pubblicamente. Una stampa libera è indubbiamente una misura del grado di democrazia di una società ed è noto che nell’Unione europea la libertà di espressione praticamente non ha restrizioni. Non dobbiamo però confondere questo diritto fondamentale con la libertà di fornire informazioni di qualsiasi genere senza che ciò comporti conseguenze o responsabilità e in assenza di prove inconfutabili di ciò che si dice. Proprio per questo sono necessarie leggi chiare che definiscano i confini entro i quali debba essere svolta qualsiasi attività giornalistica. La legge ungherese sui media è stata redatta in questo contesto sulla scia della direttiva europea in materia. Credo anche che occorra essere ben informati prima di avviare un dibattito sulla legge ungherese sui media visto che è possibile essere tratti in inganno da interessi di parte e controversie di natura politica.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Questa proposta di risoluzione è inadeguata sia per la tempistica che per la forma, perché tutti sanno che, dopo le critiche iniziali alla legge ungherese sui media e dopo le raccomandazioni della Commissione, il governo ungherese ha riconsiderato la propria posizione e modificato tutte le parti della legge che erano state criticate dalla Commissione. Di conseguenza, la versione della legge adottata dal parlamento ungherese il 7 marzo è pienamente conforme alla legislazione europea. Per questo motivo non capisco l’insistenza della sinistra affinché si votasse sulla risoluzione e, dunque, ho espresso voto contrario.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato a favore della risoluzione B7-0191/2011 perché credo che la nuova legge ungherese sui media non offra sufficienti garanzie quanto alla libertà di espressione e al pluralismo e rechi pertanto pregiudizio all’affermazione di un vero pluralismo nella sfera pubblica.

Il governo ungherese deve dare garanzie concrete per la libertà e il pluralismo nei media; dovrebbe quindi abrogare la legge o emendarla in maniera sostanziale, tenendo presenti le osservazioni e le proposte dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e del Consiglio dell’Unione europea, nonché la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una discussione aperta e trasparente cui possano partecipare tutte le parti interessate, le organizzazioni non governative e i cittadini.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) La libertà di espressione e, quindi, la libertà di stampa sono alcuni dei diritti fondamentali più importanti. Dobbiamo adoperarci instancabilmente per tutelarli, anche quando la manifestazione di certe opinioni ci preoccupa. Ma quella libertà è anche la nostra libertà, oltre a essere la garanzia del libero esercizio del nostro mandato. Non vi può essere trasparenza se i media non sono liberi. C’è una forte tentazione di mettere sotto controllo l’informazione e i giornalisti, anche nelle nostre democrazie occidentali. Un’informazione libera e professionale è sempre preferibile alle “voci”, che spesso si sostituiscono alle notizie quando la stampa viene imbavagliata.

I mezzi moderni di comunicazione di massa svolgono un ruolo assolutamente decisivo nella vita democratica e sono essenziali per fornire accesso universale alla conoscenza, al divertimento e alla vita sociale. Pertanto, quello che definisco uno “Stato giusto” deve assumersi la responsabilità di sostenere lo sviluppo di media liberi sia al proprio interno che a livello internazionale, promuovendo il pluralismo dell’informazione e la ricchezza della creazione culturale e facilitando l’accesso di tutti a questi contenuti.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) Si sa che, secondo le osservazioni e le proposte della Commissione europea, dell’OSCE e del Consiglio europeo, la legge ungherese sui media va rivista quanto prima possibile per essere adeguata alla legislazione comunitaria e alle virtù e ai requisiti europei in materia di libertà di informazione dei media, pluralismo e indipendenza dei mezzi di comunicazione di massa.

La nuova legge viene criticata perché prevede la nomina di una sola persona come responsabile della gestione dei media e delle telecomunicazioni nazionali. Le nuove norme minano il pluralismo e la libertà dei media e li privano dell’indipendenza politica e finanziaria. Bisogna analizzare tutte le cause di questo risultato così negativo.

Forse il lassismo dei governi di alcuni Stati membri dell’Unione europea ha dato al governo ungherese l’illusione di poter violare cinicamente norme comunemente adottate. Ad esempio, il governo lettone non ha ancora applicato la risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2004, e qual è stata la conseguenza? Nessuna, finora. Può darsi che il governo ungherese si sia ispirato all’”autonomia” lettone. Ho votato a favore della risoluzione nella speranza che le cose cambino.

 
  
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  Tiziano Motti (PPE), per iscritto. − Gli attacchi della sinistra europea alla legge sulla libertà di stampa approvata recentemente in Ungheria vanno letti nella cornice del teatrino con cui in varie occasioni gli strumenti messi a disposizione dalla nostra Istituzione vengono utilizzati in modo improprio e strumentale al fine di sostenere a livello internazionale o interno campagne politiche e mediatiche di disinformazione. Nel caso specifico, tali attacchi sono del tutto fuori luogo, poiché il dibattito è già stato aperto ed anche chiuso: il governo ungherese ha prontamente accolto le osservazioni che erano state espresse dalla Commissione europea ed il primo ministro Orban, ha dichiarato, già all'inizio di gennaio 2011, che la legge sui media sarà modificata in ossequio a tali osservazioni. Attaccare il paese che presiede l'Unione europea nel momento in cui andrebbe sostenuto nello svolgimento del proprio incarico, ha l’effetto di indebolire l'Unione nel suo insieme e svuotarla d’autorità. Il ritornello della mancanza di libertà di stampa è un film già visto come lo sono i continui e anacronistici riferimenti alla situazione italiana, in cui paradossalmente il controllo dei maggiori quotidiani è di gruppi editoriali vicini alla sinistra e l'informazione corre libera, a volte troppo libera, sul web.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Dopo gli emendamenti adottati dal parlamento ungherese la settimana scorsa, la legge sui media è ora perfettamente conforme alla normativa e alle disposizioni comunitarie sui diritti fondamentali, come riconosciuto anche dalla Commissione europea. Pertanto, la proposta di risoluzione comune è diventata superflua e per tale motivo ho espresso voto contrario.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Come ho avuto modo di dire intervenendo nella discussione sulle priorità della Presidenza ungherese, queste sono questioni di politica interna ungherese che possono essere regolate, come prima, all’interno di relazioni sane e normali tra la Commissione europea e il governo e il parlamento ungheresi. In quanto sostenitore della libertà, specialmente della libertà di espressione e di stampa, non posso che essere soddisfatto dei risultati.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Questa legge è stata in effetti predisposta con l’obiettivo di limitare le attività dei media in Ungheria e ostacolare una valutazione critica dell’attività del governo, nel quadro di più ampie restrizioni del pluralismo in quel paese. Tutto ciò è nettamente in contrasto con i principi fondamentali dell’Unione europea, sanciti dai trattati e dalla Carta dei diritti fondamentali. In tale spirito, la Commissione e il Consiglio devono continuare a insistere affinché la legge sia completamente rivista oppure ritirata.

Il Parlamento ha detto con chiarezza che la Commissione non può semplicemente chiudere un occhio e lasciare che il governo ungherese l’abbia vinta su una questione cruciale come questa. Inoltre, la legge ungherese è solo l’ultimo tentativo di limitare la libertà dei media in Europa – e come tale va considerata – e dimostra quanto sia urgente e necessario che la Commissione avanzi solide proposte legislative per affermare questo fondamentale valore dell’Unione europea.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Ho votato contro questa risoluzione perché ritengo che i gruppi politici della sinistra che siedono in questo emiciclo abbiano strumentalizzato una questione politica nazionale, peraltro già risolta, come dimostra il recente accordo tra il governo ungherese e la Commissione europea.

Ritengo che questioni nazionali di questo tipo non debbano essere portate in discussione in questa sede istituzionale, in quanto competenza diretta dei singoli Stati membri. Nel merito della questione, è giusto e doveroso tutelare la libertà ed il pluralismo dell’informazione come valore cardine di tutti i paesi dell’Unione europea, ma la libertà dei mezzi di comunicazione non deve contraddire la morale pubblica e soprattutto non deve invadere la privacy di nessuno.

Il mondo dell’informazione deve mostrarsi più consapevole delle conseguenze che un uso non equilibrato del proprio potere e della propria influenza può determinare sulla vita e sulla libertà dei cittadini. Questo perché troppo spesso, in nome del diritto di cronaca, si è finito col comprimere la libertà delle persone.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Sono molto lieta che la risoluzione sia stata approvata e si sia così dato prova dell’impegno del Parlamento europeo a favore della libertà di espressione e dell’indipendenza dei media in tutti gli Stati membri.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto.(DE) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune. Sebbene l’Ungheria e la Commissione europea abbiano trovato un’intesa sui punti sollevati dalla Commissione, appoggio la richiesta dei colleghi di un’analisi approfondita del testo della legge. I miglioramenti ottenuti dalla Commissione sono notevolmente selettivi e le perplessità manifestate dal Parlamento e da diverse organizzazioni internazionali, come l’OSCE e il Consiglio d’Europa, sono rimaste in gran parte inascoltate. In particolare, sono del tutto comprensibili i timori riguardo alla nomina, alla composizione e ai poteri dell’autorità responsabile dei media. La libertà di stampa è un fattore troppo importante della nostra democrazia perché possa essere sottoposto a interpretazioni giuridicamente restrittive.

 
  
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  Joachim Zeller (PPE), per iscritto. – (DE) Ho votato contro la risoluzione presentata dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, dal gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e democratici al Parlamento europeo, dal gruppo Verde/Alleanza libera europea e dal gruppo dell’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa. Lo scopo dei suoi autori non è quello di tutelare la libertà dei media in Europa, quanto piuttosto di screditare un governo civico, eletto dal popolo a schiacciante maggioranza e con il difficile compito di ricostruire un paese che ha pesantemente sofferto a causa della cattiva amministrazione del precedente governo socialista. Nemmeno la Commissione europea è stata in grado di riscontrare gravi violazioni della libertà dei media nella legge ungherese, la quale, sia detto per inciso, è già stata emendata. La sinistra europea è sempre pronta a vedere la pagliuzza negli occhi dei governi non socialisti, ma stupidamente non si accorge della trave negli occhi dei governi socialisti.

È difficile comprendere la posizione dei liberali tedeschi, che con questa risoluzione invocano una regolamentazione del panorama mediatico a livello europeo, mentre gli esponenti dei media tedeschi ed europei considerano questa proposta, in particolare, come una restrizione della libertà dei media e una violazione del principio di sussidiarietà.

 
  
  

Proposta di risoluzione RC-B7-0169/2011

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Approvo questa proposta di risoluzione perché sono convinto che il regime di Gheddafi debba essere destituito immediatamente, così da frenare la repressione delle proteste politiche del popolo libico operata dal suo regime e da ridurre il bilancio di morti. Vi ricordo che la comunità internazionale ha approvato all’unanimità la risoluzione 1970/2011 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che prevede l’imposizione di sanzioni al regime. Appoggio pienamente tale risoluzione che impone misure quali l’embargo, il divieto di scambio con la Libia di attrezzature utilizzabili per la repressione interna e il congelamento dei beni delle persone coinvolte in violazioni dei diritti umani. In questo senso, il testo sottolinea la necessità di mettere in atto la strategia Africa-UE che consente il congelamento dei beni acquisiti illegalmente. Le istituzioni finanziarie europee e gli Stati membri richiedono un’azione di questo tipo nell’ambito della lotta alle attività mercenarie. L’UE e l’ONU devono intraprendere un’azione umanitaria rapida ed efficace. Concludo affermando che gli eventi in Libia, Egitto e Tunisia richiedono un cambio di paradigma in materia di politica estera nei confronti dei paesi a sud del Mediterraneo, e vorrei esprimere la mia solidarietà al popolo libico.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione. Le massicce proteste in numerosi paesi arabi hanno dimostrato che i regimi antidemocratici e autoritari non possono garantire una stabilità credibile e che i valori democratici costituiscono elementi centrali dei partenariati economici e politici. È interesse vitale dell'UE che il Nordafrica sia democratico, stabile, prospero e in pace, ma i recenti avvenimenti in Libia, Egitto e Tunisia hanno evidenziato l'urgente necessità di ripensare la politica estera dell'UE nei confronti della regione mediterranea. L'UE deve riesaminare la sua politica in materia di sostegno alla democrazia e ai diritti umani, al fine di creare un meccanismo di applicazione della clausola sui diritti umani in tutti gli accordi con i paesi terzi. Concordo sul fatto che la revisione della politica europea di vicinato debba privilegiare criteri quali l'indipendenza della magistratura, il rispetto delle libertà fondamentali, del pluralismo e della libertà di stampa e la lotta contro la corruzione.

 
  
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  Dominique Baudis (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore di questa risoluzione che si colloca nella giusta direzione per quanto riguarda la reazione dell’Unione europea alla rivoluzione libica che sta degenerando in guerra civile. Le rivoluzioni sono un sogno che diventa realtà, ma la guerra civile è un incubo. In un quadro che vede gli oppositori perdere terreno sotto il fuoco delle truppe di Gheddafi e dei mercenari, e il Colonnello inviare emissari nelle capitali europee per cercare di salvare il suo regime, dobbiamo dimostrare il nostro sostegno al popolo libico.

Abbiamo ascoltato l’appello del Consiglio nazionale provvisorio libico del 5 marzo. È un nostro dovere sostenere questa alternativa e proteggere il popolo libico dalle forze del regime. In assenza di una presenza militare diretta sul suolo libico, sarà necessario contemplare l’ipotesi di una zona di interdizione al volo. Anche se la decisione spetta all’ONU, non è possibile prevedere tale opzione senza l’esplicito consenso della Lega araba. A livello politico e diplomatico dobbiamo assicurarci che il Colonnello Gheddafi venga isolato e che il popolo libico riesca finalmente a riconquistare la propria libertà.

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Signora Vicepresidente, onorevoli colleghi, i drammatici sviluppi della situazione in Libia e in Africa del Nord continuano ad evolvere verso i confini europei: la crisi umanitaria in Libia, infatti, potrebbe trasformarsi in un'ondata migratoria senza precedenti nella storia.

Secondo recenti stime, gli sconvolgimenti politici nel Nord Africa potrebbero portare sulla costa meridionale dell'Unione circa 300 000 rifugiati. Condivido e sostengo, pertanto, l'appello lanciato da sei Stati membri mediterranei dell'UE per la creazione di un fondo di solidarietà che contribuisca a mitigare gli effetti legati all'immigrazione. Sono favorevole alla creazione di un sistema europeo comune di asilo e ad un'equa ripartizione tra gli Stati membri dei costi legati all'immigrazione. Inoltre, al fine di limitare le immigrazioni di massa verso l'Europa, sollecito l'attenzione sull'opportunità sia di inviare un aiuto umanitario alle popolazioni colpite, sia di sostenere il processo di democratizzazione e di crescita economica della regione.

Esorto, infine, la Commissione ad approntare un piano di emergenza che preveda come affrontare anche l'ipotesi peggiore in cui un massiccio numero d'immigrati decida di dirigersi a nord fino alle coste europee. A mio avviso, tale piano di emergenza deve essere sostenuto dal principio di solidarietà tra gli Stati membri dell'Unione europea.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Le recenti proteste in numerosi paesi arabi hanno dimostrato che i regimi antidemocratici e autoritari non possono garantire una stabilità credibile e che i valori democratici costituiscono elementi centrali dei partenariati economici e politici. Vorrei richiamare la necessità di una stretta collaborazione con i lavori della task force istituita per coordinare la risposta dell'UE alla crisi in Libia e altrove nella regione mediterranea. L'Unione per il Mediterraneo deve adeguarsi alla nuova era e alle nuove circostanze, riflettere sui recenti avvenimenti e agire di conseguenza, al fine di presentare proposte circa le migliori modalità per promuovere la democrazia e i diritti dell'uomo nei suoi Stati membri e nella regione, compresa la Libia, nonché circa possibili riforme atte a rendere il proprio ruolo più forte, coerente ed efficiente.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione sul “vicinato meridionale ed in particolare la Libia, inclusi gli aspetti umanitari” perché credo che il Colonnello Gheddafi debba dimettersi all’istante per evitare un ulteriore spargimento di sangue e consentire una transizione politica pacifica. Condanno con la massima fermezza le violazioni dei diritti umani in Libia, in particolare la violenta repressione contro i dimostranti pacifici a favore della democrazia, i giornalisti e i difensori dei diritti umani. Esprimo quindi la mia solidarietà al popolo libico.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Oggi siamo chiamati ad esprimere il nostro voto sulla risoluzione, ma non ci è ancora chiaro quale sarà l’esito delle rivoluzioni che hanno cercato di abbattere i regimi autoritari da tempo al potere in tutta l’area mediterranea. Per quanto riguarda il caso della Libia, le notizie sui successi e i fallimenti dei ribelli e delle forze che continuano ad appoggiare il regime dittatoriale di Gheddafi sono contraddittorie: una vera e propria guerra civile sembrerebbe essere in corso. Ciononostante, diverse fonti stanno denunciando una violenza e una repressione brutali e inaudite da parte del regime libico, e un elevato numero di vittime che quest’ultimo sembrerebbe aver causato. Sono le stesse Nazioni Unite a condannare, a ragione, le atrocità commesse. È oggi evidente che i ribelli non accettano di vivere sotto regimi che non rispettano i loro diritti e che non assicurano un minimo di rispetto per la democrazia e lo Stato di diritto. L’Unione europea non può ignorare la situazione attuale. In primo luogo, dovrebbe richiedere la fine della violenza, continuare a condannare e sanzionare i responsabili, appoggiare coloro che stanno combattendo per valori comuni e cercare di dimostrarsi solidale con il popolo libico. Dovrebbe inoltre seguire più da vicino e comprendere meglio le aspirazioni, i desideri e le tendenze dei movimenti che anelano al cambiamento.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa risoluzione è preoccupante ed inaccettabile, soprattutto nel contesto dei recenti aventi in Libia che dimostrano quanto sia urgente, ora più che mai, trovare una soluzione pacifica e politica senza ingerenze esterne. Di fronte al susseguirsi grave e pericoloso di eventi che, invece di contribuire alla riduzione delle tensioni, mirano a preparare atti di aggressione da parte della NATO e degli Stati Uniti contro la Libia, la maggioranza del Parlamento sta appoggiando atti di ingerenza, aggressione e occupazione in Libia. Qualsiasi attacco nei confronti di questo paese, indipendentemente da pretesti e mandati, avrebbe gravi conseguenze su un popolo che vive già una situazione di alta tensione e insicurezza. Danneggerebbe inoltre tutti coloro i quali stanno continuando a combattere in Libia per difendere i propri diritti, la democrazia, la sovranità e la pace, ed introdurrebbe gravi elementi di instabilità e conflittualità nella regione. Qualsiasi attacco militare alla Libia, che non potrebbe prescindere da obiettivi di controllo sulle risorse naturali della Libia, non sarà diretto solo al popolo libico, ma anche agli insorti della regione che continuano a lottare per i propri diritti sociali e politici, per la propria libertà e democrazia, e per l’effettiva sovranità e indipendenza dei propri paesi.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Manifestiamo la nostra profonda preoccupazione circa i recenti eventi in Libia, ma siamo a favore di una soluzione pacifica e politica, senza ingerenze esterne. La risoluzione del Parlamento, purtroppo, difende l’intervento militare, dal momento che non è possibile avere una zona di interdizione al volo senza un intervento militare.

Questa risoluzione, quindi, invece di contribuire ad una soluzione pacifica, sembra essere mirata a preparare atti di aggressione da parte degli Stati Uniti, della NATO e forse dell’UE contro la Libia. È per questo che esprimiamo la nostra ferma opposizione a qualsiasi tipo di intervento militare in questo paese.

Qualsiasi attacco nei confronti della Libia, indipendentemente da pretesti e mandati, avrebbe gravi conseguenze su un popolo che vive già una situazione di alta tensione e insicurezza. Danneggerebbe inoltre tutti coloro i quali stanno continuando a combattere in questo paese per difendere i propri diritti, la democrazia, la sovranità e la pace, ed introdurrebbe gravi elementi di instabilità e conflittualità nella regione.

Qualsiasi attacco militare alla Libia, che non potrebbe prescindere da obiettivi di controllo sulle risorse naturali della Libia, non sarà diretto solo al popolo libico, ma anche agli insorti della regione che continuano a lottare per i propri diritti sociali e politici, per la propria libertà e democrazia, e per l’effettiva sovranità e indipendenza dei propri paesi. Appoggiamo queste lotte e per questo abbiamo votato contro questa risoluzione.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Questa risoluzione, votata da una larga maggioranza e alla quale ho personalmente contribuito, dimostra che il Parlamento europeo non sta restando in silenzio di fronte alla situazione in Libia. Al contrario, attraverso la sua posizione, sta chiedendo all’Unione europea, agli Stati membri e alla baronessa Ashton di appoggiare le sue proposte. Ribadisce il proprio supporto al popolo libico e sostiene, tra le altre cose, il riconoscimento del Consiglio nazionale provvisorio libico e l’istituzione di una zona di interdizione al volo, conforme ad un mandato delle Nazioni Unite e fondata su un coordinamento con la Lega araba e l’Unione africana. Condanna inoltre con la massima fermezza le violazioni dei diritti umani in Libia da parte del regime libico ed invita il Colonnello Gheddafi a dimettersi all’istante. Il mio unico rimpianto riguarda la questione dei rifugiati e degli immigrati che ritengo non sia stata affrontata sufficientemente, né presentata come una sfida comune per questi paesi e per l’Unione europea.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo testo perché ritengo che l’UE debba mostrare il suo coinvolgimento e sostegno al vicinato meridionale, con particolare riferimento allo sviluppo dello Stato di diritto, del buon governo e dei requisiti costituzionali ed elettorali per una democrazia stabile, pluralista e pacifica nella regione. L’Unione per il Mediterraneo deve adeguarsi alla nuova era e alle nuove circostanze, riflettere sui recenti avvenimenti e agire di conseguenza, al fine di presentare proposte circa le migliori modalità per promuovere la democrazia e i diritti dell'uomo nei suoi Stati membri e nella regione, compresa la Libia, nonché circa possibili riforme atte a rendere il proprio ruolo più forte, coerente ed efficiente.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE), per iscritto.(PL) Ho appoggiato la risoluzione sul vicinato meridionale, che dedica particolare attenzione alla situazione in Libia. È un nostro dovere aiutare la gente in Libia che combatte per la libertà del proprio paese e che viene uccisa. Questa risoluzione aiuta il popolo libico perché condanna inequivocabilmente il dittatore e sostiene chi propone cambiamenti fondamentali in Libia.

Non sappiamo quando né come finirà la guerra civile. Auspichiamo che finisca presto e che veda trionfare le forze democratiche. L’Unione europea deve stabilire quanto prima relazioni con il Consiglio nazionale provvisorio ed iniziare il suo processo di riconoscimento ufficiale. Deve anche incoraggiare il popolo libico a cambiare la situazione e a intraprendere la strada della democrazia. Vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo favorevolmente la spinta per la democrazia in Libia e nei paesi del vicinato. Invito al pieno rispetto dei diritti umani nella regione, ma mi astengo su questa risoluzione perché prevede la possibilità di una zona di interdizione al volo. Per imporre un’area di questo tipo dovremmo bombardare i siti missilistici antiaerei, una seria minaccia per la popolazione civile. Permetteremmo così al regime di dichiarare che l’Occidente attacca la Libia, piuttosto che difendere il popolo libico.

 
  
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  Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. (CS) I negoziati che l’evolversi della situazione [in Libia] rende necessari devono essere intrapresi con cognizione di causa e nel modo più consono agli eventi. Soltanto in un secondo momento sarà possibile porre in essere ulteriori misure sulla base di un’analisi esaustiva della situazione. Tali provvedimenti possono fornire la possibilità di una soluzione diretta e di un sostegno nel settore sociale e in altri comparti. Il fine ultimo deve essere trovare una soluzione che abbia una chiara e solida visione a lungo termine, che possa contribuire a garantire la sovranità di questo paese e che riesca a preservarne le tradizioni. La possibile istituzione di una tanto discussa zona di interdizione al volo rappresenta uno dei passi che, come è stato riferito, deve essere compiuto con lo scopo primario di proteggere la popolazione civile. In questo senso, è a mio avviso importante non solo che il mandato sia accettato dal maggior numero possibile di paesi, ma anche che sia conforme a quello del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La ricchezza delle risorse naturali in questo paese non dovrebbe costituire l’unico fattore determinante nell’elaborazione di una proposta di risoluzione.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Ho votato a favore del testo e delle misure proposte relative allo spazio aereo sopra la Libia per aiutare le persone che lottano contro i bombardamenti del tiranno. È possibile interpretare il mio voto alla luce del seguente quadro: ogni atto di guerra, come la creazione di una zona di interdizione al volo, può essere deciso solo ed esclusivamente dall’ONU. Questa azione deve essere intrapresa solo ed esclusivamente sotto l’autorità del comando militare dell’ONU. Ogni decisione dovrà essere presa in accordo con le organizzazioni dell’Unione africana e della Lega araba. Sono fortemente contrario all’idea degli Stati Uniti di un bombardamento preventivo e all’intervento della NATO. Qualsiasi altro sviluppo necessiterebbe un testo diverso e delle disposizioni differenti.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La situazione in Libia è completamente inaccettabile e la comunità internazionale deve prendere provvedimenti più concreti, ovvero sospendere immediatamente tutti i tipi di attacchi sui civili. L’imminenza di una guerra civile in Libia rappresenta una fonte di preoccupazione e tale minaccia deve essere eliminata ad ogni costo. L’UE deve assumere un ruolo di guida in questo processo, contribuendo a trovare soluzioni atte ad evitare l’aggravarsi del conflitto attualmente in corso in questo paese.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato contro la risoluzione comune del Parlamento europeo sulla Libia perché richiede la creazione di una zona di interdizione al volo sul paese, azione che rappresenta il primo passo verso l’intervento militare. Non possiamo, in alcun modo, appoggiare la soluzione militare per risolvere la crisi libica o qualsiasi altra crisi. Siamo stati molto critici riguardo gli interventi militari in Iraq e in Afghanistan e non possiamo cadere nello stesso errore. Gli esempi di questi due paesi devono insegnarci che la violenza genera solo altra violenza, il che, in ultima analisi, provoca conseguenze devastanti per la popolazione civile.

Per quanto riguarda il caso libico, condanno la violenza che Gheddafi sta perpetrando sul suo popolo ed esprimo la mia solidarietà nei confronti dei movimenti di protesta della popolazione. Ritengo, tuttavia, che la soluzione in Libia debba derivare dalla rinuncia alla violenza e dalla via diplomatica.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) Sono stati i giovani guidati dal senso dello Stato a lanciare la rivoluzione libica in nome della libertà, dignità e democrazia. Non possiamo che appoggiare questa meravigliosa e impressionante aspirazione e condannare fermamente coloro che cercano di sopprimerla con la forza, uccidendo e ferendo senza scrupoli migliaia di civili.

Spero vivamente che l’ONU, in coordinamento con la Lega araba e l’Unione africana, riesca ad emanare un mandato atto a stabilire una zona di interdizione al volo sulla Libia per proteggere la popolazione da possibili attacchi. Spero anche che l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la baronessa Ashton, riesca quanto prima a stabilire relazioni con il Consiglio nazionale provvisorio libico affinché quest’organo venga riconosciuto come un legittimo interlocutore in attesa delle elezioni democratiche.

Nel corso delle ultime settimane, siamo stati testimoni di uno spettacolare e promettente sconvolgimento del quadro geopolitico di questa regione estremamente vulnerabile. Sono convinto che si sta aprendo una prospettiva senza precedenti, in grado di creare le condizioni necessarie per una risoluzione pacifica del conflitto tra Israele e la Palestina. Dobbiamo cogliere questa opportunità di liberare il Medio Oriente da un conflitto che ha già causato troppo dolore, tragedie, risentimenti e fraintendimenti.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) Mi “compiaccio” del numero di dichiarazioni ed espressioni di condanna così veementi! Dove eravate prima? Gheddafi è forse nato ieri? Non c’è mai stato terrore in Libia? Oggi, il cinismo di qualche leader europeo genera una sensazione di nausea! Fino a poco tempo fa, tutti i leader dei più grandi Stati membri dell’Unione europea corteggiavano il capo libico cercando di ingraziarsi i suoi favori. Adesso invece sono pronti a crocifiggerlo! È meglio non intromettersi negli affari interni di un altro paese, non credete? Lasciamo che siano i libici a risolvere i loro problemi, altrimenti rischiamo di innescare una ribellione su vasta scala in tutti i paesi arabi! Mi astengo.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto.(DE) Nella sua lotta per restare al potere, Gheddafi sta facendo un uso sempre più pesante dell’artiglieria (come ad esempio le bombe sui ribelli) e non ha paura di un alto bilancio di morti. Il mondo intero ha condannato pesantemente queste misure, mentre il Parlamento europeo sta chiedendo l’istituzione di una zona di interdizione al volo per impedire ai bombardieri di Gheddafi di attaccare la popolazione civile, il riconoscimento del Consiglio nazionale provvisorio libico e del movimento pro-democrazia come rappresentanti legittimi del popolo libico, nonché la rottura di qualsiasi rapporto con Gheddafi. Resta tuttavia da verificare se i Capi di Stato o di governo osserveranno tale richiesta. In nome di un potenziale reinsediamento e distribuzione di immigrati in Europa, mi astengo dal voto.

 
  
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  Claudio Morganti (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho voluto esprimere il mio voto positivo su questa risoluzione comune riguardante l'attuale situazione in Libia.

Troppi abusi e gravissime violazioni sono state perpetrate dal regime di Gheddafi ai danni della popolazione insorta e ritengo perciò doverosa e necessaria una forte presa di posizione comune europea. Le misure proposte nella risoluzione adottata vanno nella giusta direzione, a partire da una auspicata chiusura dello spazio aereo sopra la Libia, ovvero la creazione di una cosiddetta "no-fly zone", per impedire al regime di attaccare dai cieli la popolazione civile.

Ritengo doveroso anche che la comunità internazionale, e l'Unione europea in primo luogo, instaurino delle relazioni con il Consiglio nazionale provvisorio degli insorti, al fine di favorire l'avvio di un processo di democratizzazione nel paese. È giunta l'ora che l'Europa si mostri salda nel far valere la sua voce per porre fine a questa drammatica situazione, che può portare altresì forti ripercussioni in tutta l'UE, a partire da una massiccia ondata di flussi migratori verso l'Italia in particolare e l'Europa in generale.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) La gravità della situazione attuale vissuta dal popolo libico, vittima di una violenta repressione da parte del regime di Gheddafi che ha causato innumerevoli morti, feriti e rifugiati, richiede un’azione specifica e concertata da parte della comunità internazionale. In questo senso, l’Unione europea deve assumere un ruolo di guida e adottare una ferma posizione in materia di condanna dei responsabili di queste atrocità, adozione e introduzione di sanzioni e misure specifiche, sostegno alle legittime aspirazioni democratiche di questo popolo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ritengo che i paragrafi 10 e 11 del testo emendato siano particolarmente importanti:

“10. Sottolinea che l'UE e i suoi Stati membri devono onorare la loro responsabilità di proteggere per mettere i civili libici al riparo da attacchi armati su larga scala; ritiene che non possa essere quindi esclusa nessuna delle opzioni previste dalla Carta delle Nazioni Unite; invita l'Alto rappresentante e gli Stati membri a tenersi pronti per una decisione nell'ambito del Consiglio di sicurezza dell'ONU circa ulteriori misure, compresa la possibilità di prevedere una zona di interdizione al volo per impedire al regime di attaccare la popolazione civile; sottolinea che le misure emanate dall'UE e dai suoi Stati membri dovrebbero essere conformi a un mandato delle Nazioni Unite e fondate su un coordinamento con la Lega araba e l'Unione africana, incoraggiando ambedue le organizzazioni a orientare gli sforzi internazionali;

11. Invita il vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza a stabilire relazioni con il Consiglio nazionale provvisorio e a iniziare il processo per renderle ufficiali in maniera da incoraggiare la transizione verso la democrazia, garantendo il coinvolgimento di un ampio spettro di rappresentanti della società libica, conferendo responsabilità a donne e minoranze nel processo di transizione e fornendo sostegno al Consiglio nazionale provvisorio nella zona liberata, in modo da allentare la pressione sulla popolazione locale e fare fronte ai suoi bisogni umanitari essenziali, tra cui l'assistenza medica”.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Con questa risoluzione il Parlamento europeo chiede ai governi dell'UE di riconoscere il Consiglio nazionale della transizione come autorità ufficiale dell'opposizione libica.

La risoluzione approvata invita l'UE a prepararsi alla possibile istituzione di una "no-fly zone" per impedire a Gheddafi di colpire la popolazione e aiutare il rimpatrio di chi fugge dalla violenza. Inoltre ritengo un'opzione strategicamente importante che l'Alto rappresentante per la politica estera dell'UE Ashton stabilisca contatti con i rappresentanti dei ribelli del Consiglio nazionale per la transizione, in modo da accelerare il processo di riconoscimento ufficiale di tale ente. È giunto il momento che Gheddafi lasci il potere e ponga fine alla sistematica violazione dei diritti umani che sta operando nel suo Paese.

 
  
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  Ernst Strasser (PPE), per iscritto.(DE) Al paragrafo 15 si legge: “in conformità dell'articolo 80 TFUE”; rimane il fatto che sia io che il governo austriaco sosteniamo la solidarietà su base volontaria. Spetta agli Stati membri – in base alle proprie possibilità – decidere quanto estendere questa solidarietà.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Ho votato a favore di questa risoluzione del Parlamento europeo sulla Libia, testo che rappresenta un chiaro messaggio di supporto politico alla rivoluzione libica. Innanzi tutto, il Parlamento europeo ha espresso la sua solidarietà al popolo libico e ha condannato le violazioni dei diritti umani, nonché la violenta repressione perpetrata dal regime di Gheddafi.

Il paragrafo 10 della risoluzione prevede la zona di interdizione al volo e colloca questa misura sotto l’egida dell’ONU, in coordinamento con la Lega araba e l'Unione africana, per mettere i civili libici al riparo da attacchi armati. Questo paragrafo tuttavia può essere interpretato in diversi modi. Per alcuni, concerne semplicemente il tentativo di impedire ad al-Muammar Gheddafi di attaccare la popolazione civile. In questo senso, attribuisce alla misura un ruolo preventivo che si spinge fino ad impedire al regime di assassinare il popolo libico. Per altri, invece, si tratterebbe di un primo passo verso un possibile intervento militare.

Mi astengo su questo paragrafo ambiguo.

Accolgo quindi favorevolmente l’adozione di questa risoluzione, sebbene rimpianga il fatto che questo testo non riconosca gli errori passati commessi dall’Unione nei confronti della Libia, tra cui la questione dell’immigrazione.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto.(DE) Ho votato a favore di questa proposta commune di risoluzione. È fondamentale fornire il nostro sostegno al popolo del Nordafrica, non soltanto perché siamo loro prossimi vicini, ma anche perché abbiamo l’obbligo di rispettare i principi del diritto internazionale, che prevede oltretutto il diritto di autodeterminazione dei popoli. Le modalità di sostegno, tuttavia, devono essere scelte con attenzione: per evitare di peggiorare la situazione umanitaria dei civili in Libia è necessario rispettare la richiesta del Consiglio nazionale provvisorio libico di astenersi dall’intervento militare diretto.

 
  
  

Relazione Belder (A7-0037/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Sono a favore di questa relazione in quanto ritengo che il governo dell’Iran debba esaudire le legittime richieste del suo popolo, ovvero il rispetto delle libertà fondamentali e il miglioramento delle condizioni economiche e sociali, con l’auspicio che collabori con la comunità internazionale. L’atteggiamento che l’UE deve adottare consiste nel trattare il problema dei diritti umani quale fattore fondamentale, da un lato, e d’altro canto, riconoscere il ruolo stabilizzatore dell’Iran nella regione a condizione che normalizzi le relazioni con i suoi vicini e con altri attori internazionali, che rinunci al proprio programma nucleare e che migliori le condizioni umane e democratiche al suo interno. Concordo anche con la posizione del Consiglio che sostiene la necessità di un doppio approccio alla questione nucleare: sanzioni da un lato, ma offerta di dialogo dall’altro. Infine, lasciatemi dire che l’Unione europea non deve essere troppo semplicistica, riducendo il problema di quel paese al suo programma nucleare, senza tenere conto del tema dei diritti umani e del suo potenziale stabilizzatore nella regione.

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. (IT) Signor Presidente, i punti dolenti della questione iraniana sono la massiccia violazione dei diritti umani, ma soprattutto l’utilizzo della pena di morte come metodo di punizione.

Considerando che il 12 maggio 2010 l’UE ha invitato, ancora una volta, l’Iran a introdurre una moratoria sulla pena di morte, conformemente alle risoluzioni 62/149 e 63/168 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’Iran continua a detenere il record mondiale di esecuzioni sui minorenni, sulle donne e in base agli orientamenti sessuali.

Inoltre, desta forte preoccupazione il controverso programma nucleare, per insufficienza di trasparenza e per la mancata collaborazione con l’AIEA e rispetto degli obblighi previsti nel TNP.

Un’ulteriore problematica è quella legata alle telecomunicazioni e ad Internet che vengono continuamente interrotti a discapito dell’obbligo assunto a livello internazionale per la difesa della libertà di informazione. Pertanto sostengo questa relazione sperando di poter assistere a breve tempo ad un miglioramento della situazione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) La Repubblica islamica dell’Iran (qui di seguito chiamata Iran) in questo momento affronta una serie di sfide per la sua dirigenza: dalle lotte per il potere tra fazioni opposte all’interno delle élite alla guida del paese a un disastroso malessere sociale ed economico, da una situazione problematica nel campo della sicurezza regionale a un crescente malcontento popolare all’interno. Le politiche perseguite dal regime iraniano non soddisfano le giustificabili richieste dei cittadini iraniani. Il malcontento popolare nei confronti del governo, scaturito dalla grave situazione socioeconomica, assieme alla mancanza di libertà e del rispetto basilare per la dignità umana nel paese rappresentano le principali sfide alla sopravvivenza del regime. Inoltre, continuano a registrarsi numerose violazioni dei diritti umani nel paese. Secondo i rapporti annuali sulla pena di morte in Iran, il numero di esecuzioni nel 2009 è stato il più alto degli ultimi 10 anni, pertanto esso risulta oggi il paese con il maggior numero di esecuzioni pro capite al mondo. Concordo con l’invito, contenuto nella relazione, rivolto all’Iran affinché abolisca una volta per tutte la pena capitale per crimini commessi prima dei 18 anni di età e perché modifichi la propria legislazione, la quale viola le convenzioni internazionali in tema di diritti umani che il paese ha ratificato, ivi compresi la Convenzione sui diritti del fanciullo e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, inoltre chiedo all’Iran di pubblicare statistiche ufficiali circa l’applicazione della pena di morte.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché penso che l’Iran debba porre fine a ogni forma di discriminazione, che riguarda soprattutto le donne. Le violazioni dei diritti umani e dei diritti fondamentali proseguono impunemente in Iran. Le autorità locali devono smettere di praticare ogni forma di tortura o qualunque altro tipo di trattamento crudele e inumano una volta per tutte, sia dal punto di vista giuridico, sia da quello pratico.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) L’Iran ha una storia lunga e ricca di avvenimenti, oltre a una speciale identità di cui si dovrebbe tenere conto in un momento in cui crescono i timori per i recenti sviluppi politici e sociali nel paese. Senza rinunciare ai valori europei e alla priorità da dare alla democrazia e ai diritti dell’uomo, ritengo che non si debbano chiudere i canali di dialogo con Teheran e che occorra pertanto compiere un tentativo per incoraggiare i mutamenti di cui questo paese ha un bisogno estremo. Osservo con preoccupazione i recenti attacchi di cui sono stati oggetto membri dell’opposizione e spero che il regime iraniano comprenda quanto sia controproducente questo atteggiamento e quanto facilmente rischi di isolarlo sul panorama internazionale.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Ancora una volta, vogliamo dichiarare che non condividiamo, anzi condanniamo, una visione dei diritti umani restrittiva ed elementare. L’UE spesso agisce ipocritamente in questo campo, celando obiettivi ben diversi. Se così non fosse, molte delle considerazioni e delle critiche mosse qui sarebbero estese anche ad altri paesi della regione, come Israele o l’Arabia Saudita, e gli stessi criteri che ora si applicano all’Iran sarebbero applicati anche a quei paesi.

È importante notare che il mantenimento della pace e della sicurezza nella regione è incompatibile con il proseguimento dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele e con la politica di aiuti assicurati a quel paese dagli USA e dalla NATO, con la complicità dell’Unione europea. La risoluzione evita di menzionare questo punto.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La violazione dei diritti umani è riprovevole in Iran così come in qualsiasi altro paese al mondo. In questa relazione, la maggioranza del Parlamento esercita la sua abituale ipocrisia, prendendo a pretesto una presunta difesa dei diritti umani per mascherare il suo reale obiettivo: proteggere gli interessi economici strategici delle grandi potenze, in particolare il suo petrolio, e non la libertà del popolo iraniano. Invocare tale libertà non è altro che un espediente. Se l’obiettivo fosse veramente il rispetto dei diritti umani e la sicurezza della regione, andrebbe smascherata la stessa situazione in altri paesi della regione, come Israele e l’Arabia Saudita, e occorrerebbe applicare gli stessi criteri a quei paesi.

Inoltre, la relazione passa sotto silenzio la minaccia per la pace e la sicurezza della regione rappresentata dalla prosecuzione dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele e la politica degli aiuti concessi a quest’ultimo dagli USA e dalla NATO.

Riteniamo che le interferenze negli affari interni di qualunque paese siano da evitare, in quanto contrarie alla sovranità nazionale o al diritto internazionale. Pertanto siamo contrari alla manipolazione o allo sfruttamento di alcune forze o partiti di opposizione iraniani, nonché alle campagne che mirano a tutelare gli interessi dell’UE e dei suoi alleati, piuttosto che gli interessi del popolo iraniano.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. (IT) La relazione del collega Belder sottolinea in maniera pragmatica tutte quelle che dovrebbero essere le preoccupazioni dell’UE nei confronti dell’Iran. Progressi incontrollati dei test nucleari, mancanza delle libertà basilari, clima ostile nei confronti degli investimenti stranieri, abusi del governo, scollamento tra classe dirigente e società civile. Ritengo siano elementi sufficienti per esprimersi in favore di un atteggiamento pragmatico dell’Ue nei confronti di un attore primario nello scenario regionale del Medio Oriente e per appoggiare la relazione dell’On. Belder.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo documento perché non è possibile imporre i cambiamenti democratici dall’esterno o addirittura manu militari, bensì essi devono essere conquistati in seguito a un processo democratico e pacifico. Come sapete, i rischi di proliferazione legati al programma nucleare iraniano restano fonte di preoccupazione per l’Unione europea e per la comunità internazionale, come è stato dichiarato con grande chiarezza in varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’influenza stabilizzatrice che l’Iran potrebbe riacquistare sarebbe positiva per l’intera regione, a patto che normalizzi le sue relazioni internazionali, in particolare, con i paesi vicini, che dissipi una volta per tutte i timori circa i reali obiettivi del suo programma nucleare e che garantisca il rispetto per i diritti umani e la democrazia.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che condanna la situazione dei diritti umani in Iran e chiede l’adozione di misure tese a impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare. Sono preoccupato perché la risoluzione riconosce il “diritto dell’Iran ad arricchire l’uranio”, il che naturalmente è corretto in base alle norme AIEA, ma, considerato il persistente stallo nei negoziati, contravviene alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. (IT) Il regime di Ahmadinejad continua a calpestare impunemente i diritti fondamentali della popolazione iraniana, mentre il governo stesso è scosso da varie incertezze. Da una parte vi sono aspirazioni al cambiamento democratico della popolazione; mentre dall’altra il governo e il parlamento iraniani sono turbati dalla presenza di fazioni interne delle élite in competizione per il potere. Indubbiamente, però, il cambiamento democratico non può essere imposto dall’esterno, ma dovrebbe essere il frutto di un processo democratico e pacifico, che dia finalmente ragione alle richieste di benessere e libertà dei recenti movimenti di massa iraniani. Rimane poi ancora aperto il nodo del nucleare: dal nostro canto, l’UE dovrebbe lavorare per una soluzione diplomatica, sulla base di un approccio che unisca pressione al semplice dialogo. Sarebbe ad esempio consigliabile che il Consiglio europeo possa contribuire al congelamento dei beni di individui collegati con i programmi nucleari e balistici iraniani. Nel futuro, le relazioni fra UE e Iran dovrebbero concentrarsi però anche sull’analisi delle innumerevoli violazioni dei diritti dell’uomo. L’Unione dovrebbe, insomma, usare tutti i mezzi a sua disposizione per formulare una posizione univoca europea e far sapere agli iraniani che pensiamo al loro futuro. I loro diritti umani sono anche i nostri diritti.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Occorre considerare il passato e la storia culturale dell’Iran quando si intende esaminare il suo attuale sviluppo politico e sociale. Le costanti violazioni dei diritti umani nel paese destano preoccupazione, ma non possono impedirci di dialogare con il suo governo per far cessare tali incidenti; dobbiamo essere proattivi nel ricercare soluzioni in tal senso. I recenti attacchi a membri dell’opposizione sono preoccupanti ed è necessario far capire al regime iraniano che questo comportamento ha come effetto soltanto un suo ulteriore isolamento nel panorama internazionale.

 
  
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  Alajos Mészáros (PPE), per iscritto. (HU) Ultimamente il governo dell’Iran si trova ad affrontare formidabili sfide e suscita un crescente malcontento tra la popolazione. Le forze di sicurezza hanno risposto con la forza bruta, procedendo ad arresti sommari tra i manifestanti pacifici; i tribunali hanno celebrato svariati processi spettacolari contro studenti, scienziati, attivisti per i diritti delle donne, avvocati, giornalisti ed esponenti del clero. Numerosi iraniani sono stati giustiziati per motivi politici e un numero imprecisato di persone restano in carcere. L’Iran è uno dei tre paesi al mondo con il più alto numero di esecuzioni. Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per eliminare il prima possibile le discriminazioni negative e la repressione sociale nel paese, garantendo in tal modo che esso possa muovere i primi passi verso il cambiamento democratico. Tuttavia, non è possibile farlo dall’esterno, né manu militari: deve trattarsi di un pacifico processo democratico ed è per questo che appoggio questa proposta con il mio voto.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Nonostante questa relazione sia stata leggermente migliorata con una serie di modifiche, ho votato contro perché essa auspica una politica di sanzioni che, a mio parere, non miglioreranno la situazione del popolo iraniano: anzi, la peggioreranno. A mio modo di vedere, la relazione del Parlamento europeo dovrebbe gettare acqua sul fuoco e non benzina, perché se si esauriscono i canali diplomatici, la già complessa situazione in cui versa il popolo iraniano si aggraverà. Le minacce rivolte all’Iran dalla comunità internazionale non costituiscono il miglior modo per giungere a un compromesso ragionevole nella disputa sul programma nucleare. È per questo che ho votato contro la relazione.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) Ho appoggiato la presente risoluzione perché, oltre alla questione nucleare, il relatore non ha avuto timore di parlare della situazione interna del paese, delle aspirazioni della popolazione che anela a maggiore democrazia, e della situazione dei diritti umani.

Abbiamo il dovere di non deludere una popolazione giovane, una popolazione che aspira a vivere in una democrazia e a rispettare le idee altrui. Dobbiamo sostenere un popolo che intende creare uno stato di diritto che possa offrire alle prossime generazioni un futuro fondato su tolleranza, libertà, giustizia e prosperità. Dobbiamo denunciare come inaccettabili gli stupri, gli omicidi, le esecuzioni sommarie, gli arresti arbitrari e le molestie.

Qualunque violazione dei diritti umani è inaccettabile. Tuttavia, a partire dalla rielezione del presidente Ahmadinejad nel giugno 2009, abbiamo assistito all’aumento di tali violazioni. L’Iran ha il più alto tasso di esecuzioni pro capite al mondo. Il paese viene dopo la Cina per quanto riguarda l’applicazione della pena di morte per lapidazione in termini di numero di esecuzioni, ed è il primo su base pro capite. È giunto il momento che l’Iran adempia ai suoi obblighi, come previsto dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, che ha ratificato di sua spontanea volontà.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE), per iscritto. (SK) L’Iran, in quanto firmatario del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, da tempo si sottrae ai propri impegni, soprattutto nascondendo il proprio programma nucleare. Se l’Iran intende mantenere buoni rapporti con l’UE e con altri stati democratici deve assolutamente spazzare via ogni dubbio circa lo scopo del suo programma nucleare.

Ritengo inoltre che il consolidamento dei rapporti tra Iran e Turchia, la quale assicura all’Unione di riconoscere valori condivisi nel tentativo di ottenere l’adesione, mentre mostra apertamente la sua simpatia per il regime iraniano, debba destare la preoccupazione dell’Unione stessa.

Vorrei ricordare che l’Iran detiene il record mondiale per il numero di minori giustiziati e per il numero di esecuzioni pro capite. I processi mediatici degli oppositori politici, e la crudelissima pena della lapidazione, legalmente impiegata oggi in Iran, nonché altre forme di tortura, trattamento e punizione crudeli e inumani sono tipici di un regime che merita la nostra ferma condanna morale.

A parte quanto è già stato ricordato, le priorità dell’UE devono comprendere costanti pressioni per la dichiarazione di una moratoria sulle esecuzioni fino all’abolizione della pena di morte, l’invito a cessare l’impunità per le violazioni dei diritti umani e, naturalmente, la fine dei tentativi di destabilizzare la regione.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) È ridicolo e, allo stesso tempo, triste parlare di rispetto dei diritti e delle libertà in un paese governato da un uomo che minaccia di massacrare gli Stati Uniti, l’Europa e Israele. Non ha alcun senso negoziare con lui sui diritti umani, i valori e le libertà. Questo genere di persone capiscono soltanto il linguaggio della forza. È necessario smetterla con le cerimonie e iniziare a passare dalle parole ai fatti. Completo isolamento, severe sanzioni e una posizione chiara e coerente daranno i risultati attesi. Mahmoud Ahmadinejad è un pericolo per il mondo intero.

 
  
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  Cristiana Muscardini (PPE), per iscritto. (IT) La mancanza di trasparenza del governo iraniano e la scarsa collaborazione con l’AIEA per il programma nucleare non lascia certo tranquilli.

Il degrado della situazione dei diritti umani fondamentali e la sua capacità di destabilizzare la regione tramite gli Hezbollah e Hamas sono elementi che s’aggiungono all’inquietudine che l’Iran diffonde nel mondo. I brogli elettorali, la repressione violenta delle manifestazioni e le esecuzioni capitali che nel 2010 hanno raggiunto il numero di 680 nel 2010 (il doppio dell’anno precedente), l’arresto dei leader dell’opposizione non lasciano dubbi sull’uso che il regime fa del potere e della violenza. Le sanzioni dell’Unione, il 26 luglio 2010, in sintonia con quelle dell’Onu, sono state doverose e necessarie. La maggiore attenzione dell’Unione alla politica nucleare dell’Iran è necessaria per gli sviluppi nel campo non pacifico.

L’Unione deve sostenere la diplomazia internazionale per la tutela dei diritti umani. L’approccio del "doppio binario" mantiene aperta la porta al dialogo, ma per dialogare bisogna essere almeno in due ed in mancanza di buona volontà da parte dell’Iran, le sanzioni devono essere rafforzate e maggiormente mirate. Non si può accettare che le esecuzioni continuino a salire in quella misura e che la politica nucleare sfugga al controllo della comunità internazionale.

 
  
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  Mariya Nedelcheva (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Belder. Da troppo tempo ormai chiediamo un cambio di regime in Iran. I diritti umani vengono continuamente violati dalle teste pensanti dell’attuale regime, che si tratti delle vergognose condizioni in cui vengono tenuti i residenti del campo della dissidenza di Ashraf, o le continue violazioni dei diritti delle donne, o le discriminazioni degli omosessuali, oppure la censura degli artisti ecc.

A livello europeo, quello che possiamo fare è applicare sanzioni incisive nei confronti dei leader del regime. Tuttavia, applicare sanzioni non basta. Occorre incoraggiare i cittadini che lottano per difendere i propri diritti umani nel paese. L’Unione europea non ha forse il dovere di sostenere tutti i difensori dei diritti umani in Iran? L’attuale afflato democratico in Africa del Nord deve estendersi all’Iran.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione che descrive la grave situazione che sta vivendo oggi l’Iran, denuncia le pratiche di repressione e le sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità iraniane e sottolinea l’esigenza di giungere a una seria soluzione diplomatica alla questione nucleare. In particolare, desidero esprimere anch’io solidarietà al popolo iraniano, il quale chiede legittimamente un cambiamento democratico nel paese dopo le elezioni presidenziali del 2009.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Questa è la prima relazione sull’Iran presentata al Parlamento dalla relazione Gahler del 2001 a questa parte. Dato che tutti i negoziati su accordi tra l’UE e l’Iran sono in stallo da anni ormai, l’unico modo che ha il Parlamento di esprimere una posizione più approfondita sul paese è mediante una relazione di iniziativa, redatta su proposta dei Verdi. Il compito è stato affidato all’EFD. Quattro gruppi politici (Verdi, S&D, ALDE e GUE) hanno formulato emendamenti comuni al progetto che sono stati per la maggior parte adottati, sebbene con un’esigua maggioranza.

Le questioni importanti sono: i contatti tra UE e Iran (paragrafo 32) dove, per quanto riguarda i retroscena della polemica sull’autorizzazione alla delegazione per l’Iran del PE di recarsi nel paese, il testo ora invita, contrariamente a quanto auspicato dal relatore, a intessere contatti con un ampio spettro di attori, senza fare alcun riferimento diretto alla delegazione; le sanzioni (paragrafo 42), in merito alle quali il testo chiede l’adozione di sanzioni mirate nei confronti dei principali responsabili delle violazioni dei diritti umani; finora sono state adottate soltanto sanzioni nei confronti di persone legate al dossier nucleare; l’apertura di un’ambasciata dell’UE a Teheran, parallelamente a quasi tutti gli Stati membri che hanno una rappresentanza nel paese.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. (IT) Sono favorevole al testo di questa relazione perché mette in luce gli aspetti principali che rendono l’Iran uno dei paesi più pericolosi nello scenario internazionale, sia dal punto di vista umanitario che politico.

Il paese oggi è devastato dall’arbitrario uso della violenza delle forze di sicurezza, che hanno reagito con una repressione spietata alle manifestazioni pacifiche arrestando migliaia di manifestanti. Questo uso gratuito della violenza ha provocato un progressivo degrado dei diritti umani fondamentali del popolo iracheno, che è sottoposto continuamente ad un sistema punitivo contrario a qualunque Convenzione dei diritti civili e politici dell’uomo.

Come se non bastasse, in questo paese è ancora in vigore la pena di morte per lapidazione, con un numero sempre crescente di esecuzioni capitali, senza considerare che resta tuttora senza prove l’utilizzo esclusivamente pacifico degli impianti nucleari presenti nel suo territorio.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. (IT) Questa relazione ci vede favorevoli perché affronta con la necessaria durezza e severità la questione iraniana, evidenziando tutti i contrasti presenti nel paese e l’inaccettabilità del perdurare di questa situazione.. Il regime iraniano applica costantemente la repressione nei confronti di chiunque osi ribellarsi all’assolutismo, applicando abitualmente la pena di morte.

Infatti è il paese che detiene il maggior numero di esecuzioni di minorenni e procapite al mondo. Segnala inoltre che spesso la pena di morte viene effettuata tramite lapidazione anche per reati di scarsa rilevanza penale come i presunti casi di adulterio e apostasia. La relazione evidenzia anche la repressione nei confronti dei cristiani e della comunità Baha’i.

L’Iran continua a perdere credibilità internazionale a causa della sua politica retorica ed aggressiva e di sostegno verso il fondamentalismo islamico. Voglio anche segnalare i continui atti di violenza psicologica e fisica a cui sono quotidianamente sottoposti i profughi dissidenti di Campo Ashraf dal governo iraniano.

 
  
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  Peter Skinner (S&D), per iscritto. (EN) Sono lieto che l’onorevole Belder sia riuscito a portare questa relazione all’esame di quest’Aula e a far passare gli elementi in materia di diritti umani in Iran, soprattutto l’energica condanna della detenzione dei leader dell’opposizione iraniana Hossein Mousavi e Mehdi Karoubi, e delle loro mogli.

Tuttavia, non sono d’accordo nel sostenere che l’Iran abbia il “diritto di arricchire l’uranio”: le norme della AIEA lo consentono ma dato il persistente stallo nei negoziati questo contravviene alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Ho appoggiato questa relazione in quanto credo fermamente che il governo iraniano debba rispondere positivamente alle richieste del popolo iraniano, il quale chiede di godere delle libertà fondamentali e di migliori condizioni sociali ed economiche. In questa relazione, il Parlamento europeo condanna l’uso della pena di morte e numerosi altri abusi dei diritti umani.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Belder sull’atteggiamento dell’UE nei confronti dell’Iran. Condivido le preoccupazioni della maggior parte degli europei rispetto al programma nucleare iraniano e alle rassicurazioni del regime sul suo esclusivo uso a scopi civili. Ciononostante, sono del parere che, nella sua collaborazione con paesi terzi nel settore energetico, l’Unione europea debba fare uso esclusivamente di fonti energetiche sostenibili, verdi e sicure, in linea con i suoi obiettivi di protezione del clima. Mi trovo d’accordo, inoltre, con il mio collega, secondo il quale l’UE dovrebbe formulare una strategia più ampia verso l’Iran, che travalichi il tema nucleare per affrontare anche la situazione dei diritti umani e altre questioni importanti.

 
  
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  Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. (IT) Ho espresso un voto favorevole alla relazione del collega Belder perché, nonostante l’Iran presenti numerosi problemi relativi alla politica interna ed estera quali, ad esempio, il possibile utilizzo di armamenti nucleari, la mancanza di trasparenza in talune scelte governative e, in certi casi, il mancato rispetto dei diritti umani fondamentali, credo che una linea di condotta basata in via esclusiva sulle sanzioni non possa portare grossi giovamenti.

Per questo credo sia importante per l’Unione europea salvaguardare e, per quanto possibile, mantenere forme di dialogo col governo di Teheran.

 
  
  

Proposta di risoluzione RC-B7-0158/2011

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Approvo incondizionatamente la presente risoluzione comune, la quale sottolinea l’importanza delle tematiche discusse relative ai diritti delle persone appartenenti a minoranze e alla promozione della tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché dei diritti del fanciullo, lottando al contempo contro il terrorismo. Vorrei richiamare l’attenzione sulle conclusioni e concordo che l’Unione europea debba rafforzare la sua pratica di parlare con una sola voce perché questo ne aumenterebbe la visibilità e l’influenza in quanto attore mondiale, inoltre le delegazioni a Ginevra e a New York devono migliorare la coerenza, visibilità e credibilità dell’azione dell’UE in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC). Concordo con la risoluzione, la quale afferma che gli Stati membri devono incoraggiare l’UNHRC a dedicare pari attenzione alle discriminazioni di qualunque tipo: basate su sesso, razza, età, orientamento sessuale, religione o credo. Concordo altresì con la revisione del Consiglio, che pone in evidenza la necessità di rendere più attivo l’UNHRC nel suo ruolo di meccanismo di allarme rapido e di prevenzione, affinché favorisca l’adozione di procedure speciali e garantisca l’indipendenza della carica di Alto Commissario per i diritti umani, oltre a garantire il necessario finanziamento per mantenere le proprie sedi regionali.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) L’Unione europea e i suoi Stati membri sono impegnati a garantire il rispetto dei diritti umani nelle proprie politiche. È perciò fondamentale che essa sia in grado di assumere una forte e influente posizione nelle organizzazioni internazionali, soprattutto in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, assicurando un’applicazione efficace e coerente della politica in tema di diritti umani a livello internazionale. Concordo circa la necessità di riformulare l’operato e il mandato dell’UNHRC, valutando e migliorando le sue metodologie di lavoro, in modo che possa rispondere alle violazioni dei diritti umani nel modo più efficiente e sistematico possibile. In diverse occasioni l’UNHRC non è stato in grado di affrontare gravi episodi di violazione dei diritti umani con urgenza e tempestività per l’assenza di strumenti adeguati. Pertanto esso dovrebbe essere meglio attrezzato per risolvere sia le situazioni di cronicità, sia le emergenze, ampliando l’armamentario di cui è dotato in tema di diritti umani, impiegando i comitati di esperti non solo durante le sessioni, ma anche tra una sessione e l’altra. A sua volta, l’UE deve rendere l’UNHRC una priorità e coordinare meglio tra gli Stati membri, il che le permetterebbe di sfruttare meglio la propria influenza nell’ambito del sistema allargato dell’ONU e agevolerebbe il coordinamento e i processi decisionali nel campo dei diritti umani.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione poiché l’Unione europea e i suoi Stati membri devono garantire il rispetto dei diritti umani nelle rispettive politiche, inoltre la posizione dell’Unione europea in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC) deve essere più solida ed efficace. Le priorità della sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani e la revisione del 2011 sono necessarie perché soltanto allora potremo valutare in che modo il Consiglio ha adempiuto al proprio mandato e stabilire le metodologie di lavoro che occorre potenziare per renderlo più efficiente e più pronto nel rispondere alle violazioni dei diritti umani. Il Parlamento europeo si rammarica del fatto che in più di un’occasione l’UNHRC non sia riuscito ad affrontare gravi situazioni di violazione dei diritti dell’uomo con urgenza e tempestività per la mancanza di adeguati strumenti, e intende creare appositi meccanismi atti a reagire prontamente alle crisi dei diritti umani, per esempio in Medio Oriente, in Iran e in Bielorussia. Inoltre, è fondamentale che esso sia meglio attrezzato per risolvere sia le situazioni croniche, sia le emergenze, grazie all’espansione dell’armamentario a sua disposizione nel campo dei diritti umani, utilizzando i comitati di esperti non solo durante le sessioni, ma anche tra una sessione e l’altra. Il Parlamento inoltre chiede agli Stati membri dell’Unione di impegnarsi attivamente nella revisione dell’UNHRC del 2011 per rafforzarne la conformità al suo mandato.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione in quanto ritengo che l’ordine del giorno della 16a sessione ordinaria del Consiglio per i diritti umani fissi questioni di rilevanza particolare. Vorrei mettere in evidenza l’importanza dell’ordine del giorno, che comprende relazioni in materia di “diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche” e di “promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel contrasto al terrorismo”, nonché incontri di ampio respiro sui diritti del fanciullo.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La 16a sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite si terrà in un momento storico particolarmente turbolento, che vede messa a repentaglio la sua stessa composizione, dato che alcuni dei suoi membri sono ben lontani dall’adempiere le disposizioni della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite e promuovere e tutelare i diritti umani stessi, in linea con la sua missione. L’Unione europea deve partecipare attivamente a questa sessione e fare tutto ciò che è in suo potere per far sì che la sua visione universalistica dei diritti dell’uomo, fondata sulla dignità personale, si diffonda sempre più e sia realizzata appieno in ogni paese del mondo. La nomina di un alto rappresentante europeo per i diritti umani può contribuire a rendere più visibili le posizioni dell’Unione e a convincere gli Stati membri del Consiglio a insistere sulla strategia “un solo messaggio ma più voci”, inoltre può intensificare il sostegno per le posizioni europee.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Il Parlamento europeo da tempo adotta una politica dei due pesi e due misure per quanto concerne i diritti umani. È ben noto, inoltre, che esso nutre una concezione ristretta e strumentale della dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ancora una volta, in questa relazione, la selettività con cui si fa riferimento ai vari paesi è chiara. I paesi con cui l’UE intrattiene rapporti economici e diplomatici e a cui attribuisce un’importanza strategica vengono omessi a causa degli interessi strategici che rivestono, nonostante le gravi violazioni dei diritti umani di cui si macchiano. Tra questi paesi si contano, per esempio, Israele, la Colombia e il Marocco, per citarne solo tre in continenti diversi. Da parte nostra, noi non abbiamo una visione ristretta dei diritti umani.

Prendiamo sul serio l’intero contenuto della dichiarazione, che riteniamo essere una delle principali ispirazioni della nostra azione politica. Infine, respingiamo l’idea che l’Unione europea debba avere un seggio permanente nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite semplicemente perché non avrebbe senso, considerati lo spirito e i principi a cui si ispira l’organizzazione, contenuti nella Carta delle Nazioni Unite. L’ONU è, e deve restare, un’organizzazione di stati indipendenti e sovrani.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La selettività riguardante i paesi criticati in questa relazione e il carattere strumentale di questa discussione sono chiari. L’utilizzo ipocrita della presente relazione è palese, perché essa non critica i paesi con cui l’UE intrattiene buone relazioni economiche e diplomatiche e quelli di importanza strategica, nonostante le loro violazioni dei diritti umani, per esempio, la Colombia e l’Honduras. Non si chiede la fine dell’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco, né della Palestina da parte di Israele.

Inoltre non possiamo condividere l’idea che l’Unione europea abbia un seggio permanente all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite perché l’ONU è un’organizzazione composta da stati sovrani e indipendenti e l’Unione europea non è uno stato, secondo la Carta dell’ONU.

La difesa dei diritti umani, compresa la loro indivisibilità e non classificabilità, e il fatto che sono uno dei presupposti per il rispetto dei diritti delle persone e per giustizia, pace, libertà e democrazia autentiche, costituisce la base della nostra azione politica. Potete contare su di noi per la difesa dei diritti umani, ma non contate su di noi per meri esercizi di ipocrisia.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo documento perché il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite costituisce una piattaforma unica nel suo genere, specializzata nei diritti umani universali e rappresenta un apposito forum che si occupa di diritti umani nell’ambito del meccanismo dell’ONU, inoltre gli è stato affidato l’importante compito e responsabilità di rafforzare la promozione, la protezione e il rispetto dei diritti dell’uomo in tutto il mondo. Vorrei sottolineare l’importanza della 16a sessione dell’UNHRC, in particolare il rispettivo processo di revisione, che rappresenta un’opportunità unica per valutare il modo in cui il Consiglio ha svolto il proprio mandato e un’occasione per il Consiglio di migliorare le proprie metodologie di lavoro allo scopo di reagire più efficacemente e sistematicamente alle violazioni dei diritti dell’uomo. Giudico positivamente il fatto che all’ordine del giorno della 16a sessione ordinaria vi siano, tra le altre, relazioni riguardanti i diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche e la promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel contrasto al terrorismo, nonché incontri di largo respiro sui diritti del fanciullo.

 
  
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  Petru Constantin Luhan ( PPE), per iscritto. (RO) La 16a sessione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU rappresenta una straordinaria occasione per valutare il modo in cui il Consiglio ha adempiuto al suo mandato e, al contempo, un’opportunità per migliorare le sue metodologie di lavoro al fine di assicurare una risposta più efficace e sistematica alle situazioni di violazione dei diritti umani. Penso sia fondamentale istituire, nel quadro del Consiglio UE, un gruppo di lavoro sui diritti umani che comprenda esperti nel campo provenienti da tutti i 27 Stati membri dell’UE, con sede a Bruxelles.

Sarebbe veramente utile nominare un rappresentante speciale UE di alto livello per i diritti umani. Spero che il SEAE, in particolare, le delegazioni dell’Unione europea a Ginevra e a New York, migliorino in futuro la coerenza, rendano più visibile e aumentino la credibilità delle azioni dell’Unione nell’ambito del Consiglio dell’ONU per i diritti umani, sviluppando la capacità dell’UE di interagire e cooperare a livello interregionale.

 
  
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  Thomas Mann (PPE), per iscritto.(DE) Ho appena votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulle priorità della 16a sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani. La nostra risoluzione è particolarmente importante perché oggi abbiamo commemorato la repressione delle proteste pacifiche per la violenta occupazione del Tibet 52 anni fa. Il Dalai Lama ieri ha annunciato il suo ritiro dalla vita politica: questo costituisce una perdita di portata storica. Sono poche le persone che godono di una stima così profonda del proprio popolo e del mondo intero e che, allo stesso tempo, sono così amate come Sua Santità. Ritirandosi dalla vita politica, il Dalai Lama non sta assolutamente sottraendosi alle proprie responsabilità. Ha dichiarato che continuerà ad impegnarsi nel suo ruolo spirituale per le questioni che riguardano il popolo tibetano. Sua Santità trasferirà i poteri politici previsti dalla costituzione tibetana al governo in esilio liberamente eletto. In tal modo, rafforzerà ancora una volta la democrazia del popolo tibetano in esilio, sparso in tutti i continenti del mondo. Il 20 marzo saranno eletti un nuovo primo ministro e un nuovo parlamento. Assisterò alle elezioni in Svizzera in qualità di osservatore. Noi europei dobbiamo contribuire a consolidare ulteriormente la democrazia e i diritti umani per il popolo tibetano.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo positivamente la presente risoluzione, che pone in evidenza l’interdipendenza dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali e sottolinea che l’accesso all’acqua fa parte dei diritti dell’uomo. Vedo con favore soprattutto l’adozione dell’emendamento 19 che invita a dare un seguito alla relazione Goldstone.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) In questi tempi difficili che ci troviamo ad affrontare, soprattutto nelle regioni del Nord Africa, la 16a sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è di straordinaria importanza. L’Unione europea dovrà pertanto svolgere un ruolo veramente attivo in questa sessione e compiere ogni sforzo per fare in modo che la sua visione universalistica dei diritti umani fondata sul rispetto della dignità umana sia seguita da ogni paese del mondo. Per l’UE è importante inoltre che sia nominato un alto rappresentante per i diritti umani al fine di diffondere sempre più il suo parere sulla protezione di tali diritti.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Purtroppo non mi è stato possibile votare a favore di questa risoluzione del Parlamento europeo riguardante le priorità della 16a sessione del Consiglio ONU per i diritti umani perché contiene una serie di punti che non mi vedono d’accordo.

La risoluzione chiede il coordinamento con gli Stati Uniti nel campo dei diritti umani, vede con favore la nomina del Marocco a co-facilitatore nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e incoraggia l’UE a mantenere “posizioni comuni” rispetto ad alcuni paesi. Insiste anche sulle virtù degli strumenti finanziari dell’UE, che sono semplicemente un esempio del modo in cui l’UE manipola un tema così importante come i diritti umani, finanziando gruppi che salvaguardano gli interessi europei nei paesi terzi.

A mio parere, vi sono motivi a sufficienza per non votare a favore di questa risoluzione, per questo mi sono astenuto.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto.(DE) I disordini nel Maghreb ci mostrano nitidamente che non è facile difendere i diritti umani e che nel farlo ci si scontra spesso con interessi economici e/o militari. Allo stesso modo, si adottano provvedimenti nel nome della lotta al terrorismo incompatibili con i diritti umani. A tal proposito, l’UE deve fare un esame di coscienza: si pensi ad esempio al caso dei sorvoli illegali della CIA. Nonostante questi difetti, resta fondamentale che l’UE si dedichi alla protezione dei diritti umani. La tutela dei diritti delle minoranze, in particolare il miglioramento della situazione dei cristiani e di altre minoranze religiose nei paesi musulmani deve costituire uno dei principali obiettivi dell’Unione europea, perché soprattutto i cristiani sono oggetto di gravi persecuzioni e sono le principali vittime delle violenze religiose. Per questo motivo ho votato a favore.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché il Consiglio per i diritti umani della Nazioni Unite svolge un ruolo fondamentale in tutto il mondo nella risoluzione delle questioni legate ai diritti umani. Il processo di revisione costituisce una straordinaria opportunità per valutare in che modo il Consiglio ha adempiuto al proprio mandato. Concordo con l’invito rivolto all’UE di parlare con una sola voce in merito alle tematiche affrontate. Gli Stati membri devo altresì impegnarsi attivamente per riesaminare l’operato del Consiglio. Giudico positivamente il fatto che l’ordine del giorno della 16a sessione ordinaria comprenda relazioni concernenti i diritti delle persone che appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche, i diritti del fanciullo e il contrasto al terrorismo. Tuttavia, per migliorare le condizioni di vita delle persone, durante la sessione dovranno essere prese in esame anche le questioni relative al diritto all’approvvigionamento idrico e ai servizi igienici. Occorre garantire un efficace meccanismo di attuazione e protezione di quello che è un diritto umano fondamentale. È necessario compiere ogni sforzo per far adottare impegni in questo ambito a livello internazionale e affinché ogni persona abbia accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Il rispetto, la promozione e la salvaguardia dell’universalità dei diritti umani fanno parte dell’acquis giuridico, etico e culturale dell’Unione europea e rappresentano una pietra miliare della unità e integrità europee. Occorre pertanto fare ogni sforzo per aumentare la visibilità e l’efficacia dell’azione dell’Unione e dei suoi Stati membri, inoltre è essenziale garantire che essa si impegni a partecipare attivamente a questa importante 16a sessione del Consiglio per i diritti umani (UNHRC), nonché al processo di revisione dello stesso organismo che avrà luogo nel 2011.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Una buona relazione in cui, tra le altre cose, il Parlamento accoglie con favore il fatto che l’ordine del giorno della 16ª sessione ordinaria comprende relazioni in materia di “diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche" e di “promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel contrasto al terrorismo”, nonché riunioni di ampio respiro sui diritti del fanciullo; vede positivamente anche le candidature di quest’anno dei relatori speciali su questi temi chiave e prende atto delle relazioni che essi presenteranno in materia di tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, di libertà di religione o di credo e sulla situazione dei difensori dei diritti umani; invita gli Stati membri dell’Unione a contribuire attivamente a queste discussioni.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione in quanto mette in evidenza l’importante ruolo svolto dall’UE nella sua collaborazione con il Consiglio per i diritti umani. Considerati i recenti avvenimenti in Libia, è assolutamente fondamentale portare avanti la nostra campagna volta a promuovere la tutela dei diritti umani a livello internazionale.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Mi sono astenuta dalla votazione finale su questa risoluzione per due ordini di motivi: di fondo e procedurali.

Il testo della risoluzione rafforza l’idea di una politica UE fatta di due pesi e due misure in tema di diritti umani, soprattutto per quanto riguarda le loro violazioni nei territori palestinesi occupati. I pochi emendamenti presentati su questo tema, per cui ho votato, non nascondono il fatto che l’Unione si rifiuta di mettere in pratica le linee guida della relazione Goldstone.

Il Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea – Sinistra verde nordica ha presentato una propria risoluzione che sostiene l’universalità dei diritti umani in tutti gli ambiti sociali, economici e culturali.

D’altro canto, l’obiettivo di questa risoluzione era di votare in merito al mandato della delegazione dell’Unione europea presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per la sua 16a sessione, benché tale sessione sia già iniziata il 28 febbraio scorso, con numerosi interventi della Baronessa Ashton.

Votare questa risoluzione quando la sessione del Consiglio per i diritti umani è già iniziata ha poco senso; il Parlamento europeo avrebbe dovuto spiegare a monte la sua posizione.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della risoluzione sulle priorità della 16a sessione del Consiglio ONU per i diritti umani. Anche a mio parere il Consiglio potrebbe essere molto prezioso come una sorta di “sistema di preallarme” e di meccanismo preventivo e mi aspetto che il Servizio per l’azione esterna partecipi a questo organismo in quest’ottica. Per quanto riguarda la revisione del Consiglio per i diritti umani, ovviamente sono altresì a favore della richiesta di un processo omnicomprensivo e, soprattutto, trasparente.

 
  
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  Presidente. – Le dichiarazioni di voto sono concluse.

 

11. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 12.55, è ripresa alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. WIELAND
Vicepresidente

 

12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Video degli interventi

13. Composizione delle commissioni: vedasi processo verbale
Video degli interventi

14. Discussione su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (discussione)

14.1. Pachistan - assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei mozioni di risoluzione sul Pakistan – assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze(1).

 
  
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  Jean Lambert, autore.(EN) Signor Presidente, credo che noi tutti siamo stati profondamente scioccati e inorriditi dall’assassinio del ministro Shahbaz Bhatti, anche perché si trattava di una personalità conosciuta qui al Parlamento: l’aveva visitato e aveva incontrato molti di noi; ma anche perché si tratta di un altro assassinio dal grande significato simbolico, che ha colpito una persona che s’impegnava per la riconciliazione e lavorava cercando di superare le divisioni tra le minoranze in Pakistan.

Le nostre condoglianze non vanno solo alla sua famiglia, ma anche a tutte le famiglie delle vittime di attacchi terroristici in Pakistan. Questa settimana si sono verificati due di questi attacchi, che hanno ucciso e ferito più persone rispetto, ad esempio, agli attentati di Londra.

L’intera popolazione ne soffre, e l’intimidazione mina la democrazia in Pakistan. Si rileva un cambiamento nella struttura demografica di alcune circoscrizioni elettorali, ad esempio quella di Quetta, poiché l’intimidazione spinge i cittadini a trasferirsi.

La nostra risoluzione è importante per la continuazione del nostro sostegno a tale lavoro, per la tolleranza e il rispetto reciproco. Vorrei ricordare che ne abbiamo bisogno anche qui nell’Unione europea, dove alcune dichiarazioni ministeriali recenti, a mio parere, non hanno contribuito in questo senso. Ci aspettiamo, quindi, una leadership in Pakistan e nell'Unione europea.

 
  
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  Marietje Schaake, autore.(EN) Signor Presidente, nonostante le richieste di maggiore protezione avanzate dal ministro pakistano delle minoranze religiose Shahbaz Bhatti dopo numerose minacce, un killer è riuscito ad assassinarlo il 2 marzo. Il nostro cordoglio va non solo ai suoi cari, ma anche a tutti i pakistani che desiderano una società più tollerante. Si tratta di un duro colpo per il Pakistan, nonché per l’intera umanità.

Perché le autorità pakistane hanno rifiutato la richiesta del ministro di avere un’auto ufficiale antiproiettili, nonché la sua richiesta di poter scegliere in prima persona le proprie guardie del corpo, selezionando persone di cui si fidava? Il ministro, con le sue richieste di riforma delle inumane leggi sulla blasfemia, era un difensore dei diritti umani.

Vogliamo, inoltre, rendere omaggio al lavoro di Naeem Sabir Jamaldini, il coordinatore della commissione per i diritti umani del Pakistan, assassinato l'1 marzo.

Necessitiamo di azioni pratiche, ad esempio inchieste, anche in seno al governo. È necessario eseguirle in conformità con gli standard internazionali, perché l’impunità deve terminare. L’Unione europea deve monitorare la situazione e cercare di finanziare la società civile attraverso lo strumento per la democrazia e i diritti umani.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg, autore.(PL) Signor Presidente, negli ultimi 10 mesi il Parlamento europeo ha adottato in totale 3 risoluzioni sulla libertà religiosa nella Repubblica islamica del Pakistan.

Nel maggio 2010, abbiamo tenuto una discussione in merito qui a Strasburgo alla presenza del ministro delle minoranze, Shahbaz Bhatti. Oggi, al Parlamento si discute delle circostanze della sua morte. L’assassinio di un funzionario statale di alto livello verificatosi il 2 marzo significa una sola cosa: in Pakistan nessuno è al sicuro dagli islamisti radicali. Corre rischi non solo chi critica la legge arcaica che prescrive la condanna a morte per blasfemia religiosa, ma anche chi prende pubblicamente le difese delle vittime dell’intolleranza, come Bhatti.

Dopo 10 mesi, si rileva che l’attuale politica dell’Unione europea nei confronti del Pakistan non porta agli effetti desiderati. Sostengo, pertanto, l’idea espressa nella nostra risoluzione, vale a dire organizzare tavole rotonde sulla situazione delle minoranze in Pakistan. Ritengo che il Servizio europeo per l’azione esterna recentemente creato debba reagire con chiarezza agli eventi di Islamabad prima che vi siano ulteriori vittime e prima che sia troppo tardi.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola, autore.(FI) Signor Presidente, Shahbaz Bhatti e tutta la sua famiglia sono un esempio straordinario di ciò che cittadini coraggiosi, leali e di sani principi possono raggiungere. Bhatti ricopriva la carica di ministro da soli sei mesi quando il parlamento pakistano ha introdotto un’importante riforma che garantiva una quota del 5 per cento riservata alle minoranze del paese in posizioni pubbliche. Questa è stata solo una delle numerose riforme democratiche che Bhatti ha sostenuto e delle quali il governo pakistano dovrebbe essere estremamente orgoglioso.

La più significativa di tutte è forse il “dialogo dell’armonia interreligiosa”, che ha avviato a livello locale, e che aveva l’obiettivo di lenire le tensioni e affrontare i problemi che portano al terrorismo. In tale idea ho scorto elementi che giustificherebbero un premio Nobel per la pace e spero che il lavoro di promozione dei diritti umani e della democrazia in Pakistan non si fermi, anche se le istanze estremiste hanno segnato una vittoria temporanea quando si sono liberate dell’attivista per i diritti umani più strategico del paese. Se il dialogo ha successo in un paese che costituisce il centro dell’Islamismo radicale, gli effetti positivi si irradieranno ovunque nel mondo.

Soltanto circa un mese fa, ho incontrato il ministro Bhatti. Abbiamo parlato della sua eventuale morte. Non era ingenuo: capiva benissimo a che cosa poteva portare il coraggio. Morirò fra non molto, diceva, ma nel frattempo voglio cercare di cambiare il più possibile le leggi non giuste. Morirò, ma le leggi rimarranno e influenzeranno le vite di milioni di persone.

(Applausi)

 
  
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  Peter van Dalen, autore.(NL) Signor Presidente, temo che la situazione in Pakistan stia peggiorando. Sembra che si verifichino sempre più attacchi e che il governo abbia perso la volontà di intervenire. Lo scorso gennaio è stato assassinato il governatore Taseer, e la scorsa settimana anche l’unico ministro federale cristiano, Bhatti, è stato ucciso. L’Unione europea e gli Stati membri intrattengono contatti con il Pakistan in molti modi. È in corso una cooperazione per quanto riguarda l’Afghanistan, molte centinaia di milioni di aiuti per l’istruzione e la ricostruzione vengono inviati al paese e ci si impegna per promuovere il dialogo interreligioso.

Ciononostante, è giunta l’ora di farci valere. Il sistema d’istruzione pakistano va riformato e la predicazione ai bambini dell’odio per i cristiani va fermata. Gli aiuti per la ricostruzione dopo le inondazioni vanno distribuiti con equità, includendo anche i non musulmani, e ciò non soltanto nell’interesse dell’occidente. Se il governo pakistano e i servizi di sicurezza non ristabiliscono il controllo della situazione, il paese affonderà in una palude di estremismo. Rimane pochissimo tempo per invertire quest’ondata.

 
  
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  Rui Tavares, autore.(PT) Signor Presidente, spesso qui al Parlamento europeo nelle nostre risoluzioni su questioni urgenti possiamo raggiungere risultati di portata limitata, ma in casi come questi, che riguardano almeno due questioni relative alla libertà di parola e alla libertà di religione in paesi come il Pakistan, dobbiamo per lo meno raggiungere due obiettivi per far sentire la nostra voce.

Inizialmente, vorrei dire a chi difende la tolleranza in Pakistan e a chi difende la libertà di religione in Pakistan che non è solo. Si tratta di un obiettivo molto modesto, ma ritengo costituisca un primo passo verso una certa dignità e un certo rispetto nel dibattito, e questo messaggio raggiungerà chi in Pakistan sostiene la libertà di religione, quindi la prima cosa che vorrei fare è comunicare loro che non sono soli.

La seconda cosa che vorrei fare è chiarire al governo pakistano che non può lasciare che gli estremisti in Pakistan pensino di parlare a nome di tutti, perché questo è il circolo vizioso in cui spesso cadono i paesi quando si tratta di leggi sulla blasfemia, come ora in Pakistan, o come si è verificato, ad esempio, in Indonesia. Stiamo affrontando una minoranza di estremisti molto rumorosi, che parlano a voce alta e che alla fine iniziano a credere di parlare a nome di tutti, poiché riescono a intimidire il resto della società. Di conseguenza, in questo caso, se i governi non sono in prima linea per difendere la libertà nei propri paesi e lottare contro l’impunità, e se i governi non impongono una muraglia di decenza, l’intero paese correrà il rischio di essere devastato dall'intolleranza.

Il governo del Pakistan, pertanto, deve indagare con attenzione sull’assassinio di Shahbaz Bhatti e deve esperire indagini fino a quando non si siano raggiunte delle conclusioni, come ha fatto nel caso del governatore del Punjab. Ciò che senza alcun dubbio non può fare è permettere che le indagini siano corrotte dal tipo di pratiche che la polizia e i servizi segreti pakistani hanno utilizzato nelle investigazioni, che hanno distrutto le investigazioni, incluse quelle relative all’assassinio dell’ex primo ministro, Benazir Bhutto. È, quindi, vitale che il governo pakistano garantisca che gli estremisti non monopolizzino la scena pubblica e che, da parte nostra, manteniamo la nostra solidarietà nei confronti dei difensori della tolleranza nel paese.

 
  
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  Mario Mauro, a nome del gruppo PPE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Shahbaz Bhatti è stato ucciso in nome delle cosiddette leggi sulla blasfemia da un gruppo di fondamentalisti che, come sempre più spesso accade, utilizzano il nome di Dio per portare avanti un proprio progetto di potere.

Con questa risoluzione vogliamo applaudire e ringraziare Shahbaz Bhatti, per l'esempio che ci ha regalato in questi anni. Spero che un sacrificio così doloroso serva da monito ai governi dell'Unione europea e all'Alto rappresentante per la politica estera perché azioni concrete sostituiscano le poche parole, peraltro pronunciate a mezza voce fino ad oggi.

Infatti, in questi mesi l'Unione europea, o meglio, il Consiglio e la Commissione, a differenza del Parlamento, hanno perso tempo a discutere dell'inclusione o meno della parola "cristiani" nei propri deboli documenti di condanna, mentre i cristiani continuano ad essere massacrati brutalmente, spesso perché accostati all'Occidente, sebbene di occidentale non abbiano nulla. Credo quindi che Commissione e Consiglio facciano bene a guardare al Parlamento in questa circostanza.

 
  
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  Catherine Stihler, a nome del gruppo S&D.(EN) Signor Presidente, anche io vorrei rendere omaggio al coraggio e al lavoro di Shahbaz Bhatti. So che molti onorevoli colleghi in questa Camera l’hanno incontrato personalmente e la sua determinazione nel lavorare per le comunità minoritarie in Pakistan, nel sostenere i loro diritti, è un esempio per noi tutti. Il fatto è che ha messo la propria vita in prima linea; sebbene sapesse che le minacce erano in aumento, e il suo coraggio va riconosciuto. Ha perso la propria vita e noi, in quest’Aula, abbiamo perso un amico.

Cosa possiamo, quindi, fare? Credo vi siano diversi punti importanti nella presente risoluzione. Il paragrafo 13, che invita le istituzioni dell’UE competenti ad affrontare la questione della tolleranza religiosa nella società, è di importanza vitale. Vorrei, inoltre, esortare la Commissione a far emergere la questione dei diritti umani anche nei negoziati e nel contesto commerciale. Anche il paragrafo 19, sulle istituzioni e il governo pakistano, è rilevante, come lo è l’invito a riconoscere la democrazia e i diritti umani.

Ritengo che, alla fine dei conti, vogliamo tutti assicurarci che la nostra partecipazione sia sentita e spero che il Presidente del Parlamento invii una lettera personale alla madre di Shahbaz Bhatti. Il funerale si è tenuto la scorsa settimana, e ritengo che anche quello sia stato un evento capitale.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, l’assassinio del ministro Bhatti è il secondo assassinio di un funzionario pakistano di alto livello in due mesi. L’omicidio sia di Bhatti che del governatore Salman Taseer va investigato con attenzione e i responsabili vanno consegnati alla giustizia.

A prescindere dall’assassinio di Bhatti, vorrei parlare di un’altra questione scottante in termini di diritti umani in Pakistan, cioè la situazione nella provincia del Baluchistan. La minoranza dei baluchi continua a essere perseguitata e, secondo Amnesty International, almeno 90 attivisti baluchi – insegnanti, giornalisti e avvocati – sono spariti o sono stati assassinati. Anche altre persone, come operatori umanitari, insegnanti, giornalisti e funzionari governativi, sono state oggetto di persecuzioni e minacce.

Il Parlamento europeo e l’UE devono inviare un chiaro messaggio al Pakistan e invitare il governo pakistano a fare il possibile per evitare situazioni simili.

 
  
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  Nicole Kiil-Nielsen, a nome del gruppo Verts/ALE.(FR) Signor Presidente, gli omicidi in questione sono, senza dubbio, intollerabili, ma ciò che è ancora più intollerabile è il clima d’impunità che esiste, nonostante l’aumento degli attentati. Sfortunatamente, i cittadini del Pakistan e le famiglie delle vittime non possono nutrire grandi aspettative nei confronti di un sistema giudiziario dilaniato da corruzione, intimidazione e dalla formazione scadente di investigatori e procuratori. Le indagini durano anni e sono basate su leggi discriminatorie. La dimensione penale del sistema giudiziario, in particolare, va riformata e deve acquisire un’effettiva credibilità sia a livello nazionale che internazionale.

Stando a un sondaggio condotto nelle università dalla fondazione Heinrich Böll, i giovani pakistani ritengono che la credibilità del sistema giudiziario sia più importante per la sopravvivenza del paese che la forza militare o il sistema parlamentare.

L’Unione europea, pertanto, deve utilizzare tutti gli strumenti necessari a propria disposizione per rafforzare la cooperazione giudiziaria con il Pakistan.

 
  
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  Charles Tannock, a nome del gruppo ECR.(EN) Signor Presidente, una dopo l’altra, in Pakistan le voci a favore delle riforme e del progresso vengono soffocate. Shahbaz Bhatti sapeva di essere in pericolo, sia come cristiano in un paese in cui è diffusa l’intolleranza religiosa, sia come ministro delle minoranze che denunciava intrepidamente le draconiane leggi sulla blasfemia del proprio paese. Ciononostante, rifiutava di essere intimidito dai fanatici islamisti che lo minacciavano di morte.

Il governatore del Punjab, Salman Taseer, era stato assassinato soltanto due mesi prima dalle proprie guardie del corpo, ma Bhatti non aveva nemmeno a propria disposizione delle guardie del corpo e, quindi, costituiva il bersaglio più semplice per i terroristi armati fino ai denti che hanno falciato la sua vita mentre si recava a una riunione di gabinetto.

Perché Bhatti non era sorvegliato da ufficiali armati per la sua protezione personale? Questa è una delle numerose domande che dobbiamo porre al presidente Zardari. Spero sia in grado di fornire una risposta. Spero che il vicepresidente/altro rappresentante lo induca a dare l’esempio nell’opporsi alla preoccupante radicalizzazione della società pakistana, più di quanto non abbia fatto finora.

Prima di tutto, si tratta di una tragedia umana. Un uomo di grande coraggio e di sani principi ha perso la vita e noi, in qualità di democratici, nel dibattito odierno onoriamo il suo nome e rendiamo omaggio alle conquiste della sua vita. In questo momento di dolore, rivolgiamo le nostre condoglianze ai suoi cari.

 
  
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  Jaroslav Paška, a nome del gruppo EFD.(SK) Signor Presidente, le disposizioni della legge islamica Sharia affermano letteralmente che chiunque offenda l’Islamismo deve essere condannato a morte.

Non so quali azioni possano essere considerate un insulto all’Islam nel mondo islamico, ma i casi di omicidio di difensori dei diritti umani e delle libertà di religione in Pakistan, nonché in altri paesi islamici, ci mostrano che alcuni leader spirituali islamici considerano i nostri valori civilizzati, che forniscono alle persone un’ampia libertà di scelta, come una minaccia per la loro fede e non esitano a dichiarare, in conformità con la loro legge, una fatwa contro chiunque promuova apertamente il rispetto dei diritti umani e delle libertà civili nei loro territori.

Shahbaz Bhatti, un ministro del governo pakistano, Salman Taseer, governatore della provincia del Punjab, o Sabir Jamaldini, coordinatore della commissione per i diritti umani del Pakistan, sono diventati vittime innocenti dell’applicazione fanatica delle legge islamica. L’esempio fornito da queste vittime persegue l’obiettivo di avere un effetto deterrente non soltanto per la ricerca di maggiori libertà da parte del popolo pakistano, che ma anche per le riforme del sistema politico da parte di chi governa il paese, così che si continueranno a rispettare un insieme di regole che ricordano il Medioevo.

Eppure, se non vogliamo arrivare a un conflitto tra i politici riformisti nei paesi islamici e le autorità religiose, dovremmo, a mio parere, cercare di trovare una piattaforma per un dialogo costruttivo con i leader spirituali islamici per quanto riguarda la coesistenza pacifica di civiltà...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Ryszard Czarnecki (ECR).(PL) Signor Presidente, stiamo parlando dell’assassinio di un ministro del governo e di un uomo che aveva dichiarato apertamente le proprie radici cristiane ed era un cattolico. Stiamo parlando di un altro assassinio in Pakistan che mostra come, in realtà, le autorità locali non siano in grado di controllare la situazione, il che costituisce un problema. Non stiamo affermando ora che il presidente o il governo del Pakistan hanno mostrato cattive intenzioni. La nostra accusa riguarda il fatto che non sono nemmeno in grado di garantire la sicurezza di persone che fanno parte di strutture governative ma che professano una fede differente dal resto del paese. È questa la tragedia del paese, che, passo dopo passo, sta diventando sempre più aggressivo e pieno di odio verso le religioni diverse dall’Islam. Si tratta di un problema reale, sono certo che dovremmo parlarne apertamente.

 
  
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  Presidente. – Passiamo ora alla procedura catch-the-eye.

Moltissimi deputati mi hanno indicato – e dal momento che alcuni presidenti e vicepresidenti dei gruppi sono qui presenti, ne parlerò ora – che è necessaria maggiore flessibilità quando si tratta di questi dibattiti d’urgenza in cui chiaramente molti deputati sono interessati all’argomento in questione. Terrò ora conto, in una certa misura, del modo in cui i deputati figurano come oratori in discussioni successive.

 
  
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  Michael Gahler (PPE).(DE) Signor Presidente, una settimana prima di essere assassinato, ho parlato con Shahbaz Bhatti, che era consapevole del pericolo che correva, nel suo ufficio a Islamabad. Ciononostante, era maggiormente preoccupato per la sua impressione che, particolarmente negli ultimi mesi, anche in seguito all’omicidio di Salman Taseer, il governatore del Punjab, molti evitavano di sfidare gli estremisti. Ministri, parlamentari, giornalisti, avvocati, anche attivisti per i diritti umani, che si erano sempre impegnati in passato, non avevano più la fiducia di farsi sentire e contrastare gli estremisti.

Ritengo che dobbiamo fare appello a chiunque si trovi in Pakistan affinché si opponga all’intolleranza, altrimenti saranno messi in disparte, comunemente o individualmente. Sherry Rehman, la coraggiosa politica che ha proposto emendamenti alla legge sulla blasfemia, corre un rischio particolare. Invito, pertanto, il parlamento pakistano a proteggerla senza indugi, accogliendo gli emendamenti proposti per la legge sulla blasfemia, il che segnalerebbe in modo chiaro una posizione unita contro l’estremismo.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D).(RO) Signor Presidente, l’assassinio del ministro delle minoranze del Pakistan Bhatti ha avuto luogo nel bel mezzo della controversia circa la modifica della legge che prescrive la pena di morte per la blasfemia nel paese, modifica che egli sosteneva. Ritengo che l’intolleranza su cui si basano le leggi che puniscono la blasfemia abbia anche portato ai terribili omicidi di personalità d primaria importanza che lottavano per la libertà di espressione e credo in Pakistan. Nel contempo, l’incidente che ha coinvolto Bhatti è stato condannato da un’ampia sezione dell’establishment politico pakistano, nei mezzi di comunicazione, e da cittadini di diversa origine etnica e credi religiosi, il che è un segnale positivo. È, quindi, dovere del governo del paese prevenire un ripresentarsi d’incidenti violenti basati sull’intolleranza e continuare il proprio impegno per rispettare i valori democratici sanciti nella costituzione del Pakistan, i principi universali dei diritti umani e la libertà di pensiero.

 
  
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  Constance Le Grip (PPE).(FR) Signor Presidente, anche io sono stata profondamente sconvolta dal vigliacco assassinio di Shahbaz Bhatti, il ministro delle minoranze del governo del Pakistan, il 2 marzo 2011.

Questo assassinio di stampo terrorista segue numerosi altri omicidi di pakistani coraggiosi e tolleranti, che si impegnano con passione per i diritti umani e li difendono, sia per le donne che per gli uomini.

Invitiamo ancora una volta il governo del Pakistan a fare tutto il possibile per gettare luce su questo vile omicidio e garantire che la protezione di coloro che sono minacciati dagli estremisti religiosi fanatici sia veramente efficace. Ovviamente mi riferisco, in primo luogo ma non unicamente, a Sherry Rehman.

Nuovamente, invito vigorosamente tutte le istituzioni competenti dell’Unione europea a includere nei negoziati tesi alla preparazione di futuri accordi di cooperazione, incluso l’accordo di cooperazione tra l’Unione e il Pakistan, una clausola che garantisca il rispetto della libertà religiosa e dei diritti umani.

(Applausi)

 
  
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  Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE).(PL) Signor Presidente, ancora una volta discutiamo della questione delle violazioni dei diritti umani in Pakistan, questa volta a causa del recente assassinio del ministro Shahbaz Bhatti, che si opponeva alla legislazione del paese sulla blasfemia e difendeva i diritti delle minoranze religiose. Si opponeva all’intolleranza e alla discriminazione religiosa.

La risoluzione del Parlamento europeo su questo violento assassinio esprime la nostra opposizione al brutale sterminio religioso, in aumento in Pakistan, e testimonia anche inequivocabilmente che non lasciamo che le minoranze religiose, i cui diritti sono spesso violati, si difendano da sole. È nostro dovere condannare gli atti illeciti che minacciano la libertà e la vita di altri cittadini. Vorrei, pertanto, sottolineare l’importanza del sostegno che va fornito alle organizzazioni non governative che lottano per i diritti umani, nel loro impegno volto a ottenere una maggiore democratizzazione del Pakistan e una cessazione della violenza.

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, a gennaio abbiamo condannato l’assassinio del governatore del Punjab, Salman Taseer.

Poche settimane dopo, questi atti di violenza sono continuati con l’assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze nel governo del Pakistan, il 2 marzo 2011.

Il vicepresidente Ashton ha condannato fermamente l’omicidio e ha espresso gravi preoccupazioni circa il clima di violenza e intolleranza in Pakistan nel contesto del dibattito sulle controverse leggi sulla blasfemia.

Bhatti era l’unico cristiano nel governo e un noto sostenitore del rispetto dei diritti umani e della libertà di religione. Era una della poche voci rimaste ad avere il coraggio di cantare fuori dal coro e sapeva di correre un gran rischio dopo l'omicidio di Salman Taseer. Eppure, ciò non gli ha impedito di difendere i propri diritti che, dopotutto, sono sanciti nella costituzione del Pakistan.

Il vicepresidente Ashton ha invitato il governo del Pakistan ad assumersi la responsabilità e fornire una protezione adeguata a chi ricopre posizioni ufficiali o è attivo a livello di società civile ed è oggetto di minacce.

L’Unione europea accoglie con favore la dichiarazione del primo ministro Jamali che il governo farà il possibile per consegnare i colpevoli alla giustizia. Rispettiamo il primo ministro Jamali per aver partecipato al funerale di Bhatti.

Il governo deve ora tener fede ai propri impegni e consegnare alla giustizia i responsabili e gli istigatori di tali crimini. Il ministro Bhatti e il governatore Taseer criticavano apertamente le leggi sulla blasfemia ed erano in prima linea negli sforzi per modificarle. Ciononostante, nel clima che si è instaurato dopo l'omicidio di Taseer, gli emendamenti sono stati ritirati dal parlamento.

Le leggi sulla blasfemia, che prevedono la pena di morte, sono incompatibili con i valori comuni che cerchiamo di promuovere nelle nostre relazioni con il Pakistan. Hanno anche portato a errori giudiziari e discriminazione nei confronti delle minoranze religiose.

Mentre sosteniamo fermamente il governo democratico del Pakistan e faremo il possibile per sostenerlo nel proprio tentativo di far fronte a un’ondata di atti terroristici senza precedenti, i suoi membri dovrebbero difendere i principi a cui aderiscono. La libertà di religione o credo è un diritto umano universale, la libertà di opinione ed espressione sono intrinsecamente connesse a essa.

Il Consiglio ha appena adottato conclusioni che ricordano l’impegno dell’UE per la salvaguardia di tali principi fondamentali e per l’intensificazione degli sforzi tesi a promuovere e proteggere tali diritti, ovunque e per chiunque.

 
  
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  Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei mozioni di risoluzione(2) ai sensi dell’articolo 110, paragrafo 2 del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alla fine delle discussioni.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Krzysztof Lisek (PPE), per iscritto.(PL) Vorrei esprimere le mie condoglianze per la famiglia del ministro pakistano delle minoranze, Shahbaz Bhatti, che è stato assassinato. Spero che i responsabili di questo crimine siano presto arrestati e opportunamente punito. Questo brutale incidente, di cui è stato vittima un funzionario di alto livello che lottava per la parità dei diritti delle minoranze in Pakistan, è un’ulteriore dimostrazione di quanto sia complicata la situazione nel paese. Purtroppo, la nostra politica attuale non ha portato ai risultati sperati. In questo contesto, l’Unione europea deve compiere passi specifici che contribuiranno ad aumentare il rispetto per quanto prescrive la legge e per la democrazia nella Repubblica islamica del Pakistan.

A mio parere, una considerevole intensificazione della nostra attività, con l’organizzazione di riunioni annuali tra l’UE e il Pakistan sulla situazione delle minoranze in Pakistan e il coinvolgimento del Parlamento europeo, potrebbe portare benefici tangibili. Conformemente al testo della risoluzione che abbiamo approvato oggi, sono del tutto favorevole al sostegno finanziario concesso da parte nostra a organizzazioni che difendono i diritti umani e che si oppongono alle leggi sulla blasfemia. Spero che sia possibile aumentare il volume di tali aiuti. Spero, inoltre, che saremo in grado, ricorrendo a strumenti diplomatici adeguati, di convincere il governo del Pakistan a rispettare le disposizioni sancite nella clausola relativa alla democrazia e ai diritti umani dell’accordo di cooperazione tra l’Unione europea e la Repubblica islamica del Pakistan.

 
  
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  Monica Luisa Macovei (PPE), per iscritto.(EN) Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze del Pakistan, cercava di riformare le leggi del paese in materia di blasfemia, ed è stato assassinato. I talebani pakistani si sono assunti la responsabilità dell’uccisione e hanno preannunciato lo stesso destino per chiunque continui a criticare le leggi sulla blasfemia. È ora di agire con fermezza per proteggere i riformatori e i difensori dei diritti umani che rischiano la propria vita per la libertà. Esorto il Consiglio e il Servizio per l’azione esterna a garantire la tutela degli altri difensori dei diritti umani che corrono rischi in Pakistan, nonché l’efficace e tempestiva investigazione dell’assassinio del ministro Shahbaz Bhatti. I responsabili vanno consegnati alla giustizia e la risposta del governo deve essere risoluta, al fine di avere un effetto deterrente.

 
  
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  Kristiina Ojuland (ALDE), per iscritto.(EN) Perdere un avvocato della libertà di religione è una disgrazia, perderne due è una vera e propria negligenza. Quando abbiamo discusso dell’assassinio del governatore Salman Taseer, avevo espresso un monito contro l’emergere dell’estremismo religioso in Pakistan. Meno di due mesi dopo, si è verificata un’altra tragedia. Il movimento dei talebani del Punjab si è assunto la responsabilità dell’assassinio del ministro Shahbaz Bhatti. La sua richiesta di utilizzare una vettura antiproiettili era stata rifiutata dalle autorità pakistane. Questa negligenza da parte delle autorità le rende complici dell’omicidio. Spero che l’Unione europea affronti la questione degli assassinii degli alti funzionari in questione con le autorità del paese e le esorti ad abrogare le leggi sulla blasfemia, che hanno portato all’intensificazione della violenza religiosa.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka (PPE), per iscritto.(PL) Due mesi fa, in plenaria, e anche durante una discussione sui diritti umani, abbiamo condannato gli attacchi al governatore della provincia del Punjab, Salman Taseer. La discussione aveva lo stesso tema di quella odierna: i tentativi di riformare la controversa legislazione sulla blasfemia. I due tragici eventi sono strettamente legati, poiché le vittime avevano cooperato in difesa delle minoranze nazionali in Pakistan, incluse le minoranze religiose, e delle vittime dell’ideologia di intolleranza diffusa dai talebani.

Purtroppo, il mondo occidentale non può fare altro che osservare la crescente radicalizzazione delle posizioni nel paese, dove nemmeno una decina di anni fa Benazir Bhutto introduceva riforme democratiche. Il Pakistan sta sprofondando nel caos – i talebani terrorizzano il paese e con frequenza crescente organizzano attentati, come quello che si è verificato nel Punjab l’8 marzo, che ha causato la morte di 25 persone.

Sono ora emerse notizie circa la prossima persona che gli estremisti hanno condannato a morte – Sherry Rehman, deputata al parlamento pakistano, ex giornalista e difensore dei diritti delle donne, delle minoranze religiose e della libertà di parola. È stata lei ad aver presentato al parlamento pakistano un progetto di emendamento alla legislazione sulle sanzioni per la blasfemia. Durante la prossima plenaria ci troveremo a condannare un attentato sferrato contro di lei?

 
  

(1) Vedasi processo verbale
(2) Vedasi processo verbale


14.2. Bielorussia, in particolare il caso di Ales Mikhalevic e di Natalia Radin
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei mozioni di risoluzione sulla Bielorussia, in particolare il caso di Ales Mikhalevic e di Natalia Radin(1).

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, autore.(ES) Signor Presidente, ritengo sia importante ricordare che non è la prima volta che parliamo della Bielorussia al Parlamento, e da questo punto di vista la presente risoluzione è importante nella misura in cui condanna chiaramente gli arresti e l’imprigionamento di membri dell’opposizione e la violazione dei diritti fondamentali cui sono state soggette queste persone.

La libertà di espressione, la libertà di riunione e la libertà di circolazione in paesi come la Bielorussia dovrebbero costituire una priorità, ed è quindi necessario insistere per l’immediato rilascio incondizionato delle persone in questione, che non possono essere definite in nessun altro modo se non prigionieri politici.

In secondo luogo, ritengo sia ugualmente importante condannare – come fa la risoluzione – il ricorso alla tortura in questi paesi, come in altri, nel modo più fermo, chiaro e risoluto possibile, anche quando ciò si verifica nell’Unione europea, il che purtroppo accade. Ciononostante, in un paese con cui le nostre relazioni di vicinato continuano a svilupparsi, e con il quale rafforziamo il nostro partenariato, l’utilizzo della tortura come metodo di trattamento nelle prigioni, soprattutto quando è alimentata da motivazioni politiche, è un fenomeno che richiede il nostro rifiuto totale e la nostra piena condanna.

Infine, vorrei anche condannare esplicitamente la sentenza pronunciata contro il giovane attivista d’opposizione soltanto perché aveva partecipato alle manifestazioni del 19 settembre 2010. Credo che il Parlamento faccia bene ad assumere una posizione chiara contro tali sviluppi, e insisto sul fatto che la sua voce va ascoltata.

 
  
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  Marietje Schaake, autore.(EN) Signor Presidente, un grande numero di esponenti dell’opposizione, inclusi ex candidati alla presidenza, ma anche giornalisti e difensori dei diritti umani, sono stati arrestati dopo gli eventi del 19 dicembre 2010 a Minsk e da allora sono richiusi in centri di detenzione del KGB. Sono emerse notizie che parlano di torture e confessioni forzate dal KGB. Gli sviluppi in questione s’inscrivono in uno schema più generale di repressione e processi politicamente motivati contro gli attivisti dell’opposizione, la società civile, i mezzi di comunicazione e i difensori dei diritti umani, che continuano tuttora.

Esortiamo con urgenza le autorità bielorusse a consentire l’opposizione politica, la società civile, la libera espressione e il pluralismo dei mezzi di comunicazione. Lo stato di diritto va rispettato. Le autorità bielorusse si assicurerebbero la credibilità se iniziassero immediatamente indagini in conformità con gli standard internazionali e con il coinvolgimento di esperti internazionali. Dobbiamo prendere in considerazione misure restrittive, incluse sanzioni economiche sulle imprese di proprietà del governo bielorusso, ma spero che non si rivelino necessarie. Accoglieremmo con favore l’adesione di altri paesi della comunità internazionale a questo invito ad agire , perché lo status quo è inaccettabile.

 
  
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  Kristian Vigenin, autore.(EN) Signor Presidente, la Bielorussa figura così spesso sulla nostra agenda politica perché ci sta a cuore, perché vogliamo vedere una Bielorussia democratica in cui i diritti umani siano rispettati. Ho l’impressione, ciononostante, che i messaggi che inviamo così spesso alle autorità bielorusse non siano ascoltati – né quelli del Parlamento europeo, né quelli del Consiglio europeo. Le decisioni del Consiglio non hanno finora avuto alcun effetto sulla situazione in Bielorussia.

Dopo un anno di progressi estremamente limitati, il 19 dicembre 2010 ha segnato un momento di svolta per la Bielorussia. Da allora il paese sta sprofondando nell’auto isolamento, il che può salvare il regime per un certo periodo, ma va a discapito del futuro della nazione bielorussa. Ciò va compreso, e non smetteremo di ricordarlo a Lukashenko e i suoi alleati. Spero che il presidente Lukashenko prenda atto degli eventi nel vicinato meridionale e comprenda che l’unico comportamento responsabile è costituito dalla democratizzazione e dalle riforme sociali ed economiche nel paese.

Noi al Parlamento europeo non ci arrenderemo, chiediamo l’immediato rilascio incondizionato di tutti i manifestanti in detenzione e il ritiro di tutte le accuse motivate politicamente. Nel contempo, continuiamo a credere che la Bielorussia abbia ancora tempo per cambiare, cooperiamo con gli altri cinque vicini orientali per trovare una soluzione che porti alla democratizzazione e alla creazione di una situazione in Bielorussia in cui sia possibile organizzare elezioni libere ed eque alla fine dell’anno o all’inizio del prossimo anno.

 
  
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  Jacek Protasiewicz, autore. (PL) Signor Presidente, la sincera e commuovente dichiarazione pronunciata da Ales Mikhalevich quasi due settimane fa, in cui ha rivelato i metodi di tortura usati dal KGB bielorusso contro gli oppositori politici di Alexander Lukashenko, ha fatto scalpore. È sconvolgente che nel 21esimo secolo un paese europeo che ha iniziato a cooperare con l’Unione europea nell’ambito del partenariato orientale usi metodi caratteristici del nazismo o dello stalinismo.

La nostra risoluzione esprime il nostro shock e la nostra indignazione, nonché la nostra solidarietà nei confronti di chi viene perseguitato. Quest’oggi vorrei mandare tre messaggi da quest’Aula. Il primo messaggio va ad Ales Mikhalevich, ma anche ad Anatoli Labiedzka e Mikhail Statkievich, che si trovano in prigione: ammiriamo il vostro coraggio, siamo con voi e non vi abbandoneremo.

Il secondo messaggio va ad Alexander Lukashenko: inizi a mostrare rispetto per le convenzioni internazionali che il suo paese ha ratificato, inclusa la Dichiarazione congiunta del vertice di Praga per il partenariato orientale, e la smetta di perseguitare i suoi cittadini.

Il terzo messaggio va alla baronessa Ashton: è giunto il momento di introdurre sanzioni economiche, perché solo in questo modo potremo cambiare il modo in cui l’opposizione viene perseguitata in Bielorussia.

Vi ringrazio.

 
  
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  Ryszard Czarnecki, autore.(PL) Signor Presidente, la Bielorussia è un paese che condivide una frontiera con l’Unione europea ma che sembra 1 000 anni luce lontana da essa. È come se la Bielorussia fosse abitata da persone guidate da standard differenti. Eppure non è così. Anche degli europei vivono lì – persone che vogliono sentire di vivere in un’Europa comune. Il problema è il presidente del paese, che ricorre a metodi risalenti all’Unione Sovietica di decenni fa – quanto il presidente Lukashenko ci offre è un singolare viaggio nel passato. A differenza dell’onorevole Vigenin, che è intervenuto poco fa, ritengo che dovremmo credere nella nostra voce europea e che il Parlamento e le istituzioni europee possono esercitare pressione sulle autorità bielorusse affinché rispettino i diritti umani. Si tratta di una questione non tanto politica, ma di morale ed etica di base. Oggi dobbiamo dire ai nostri fratelli bielorussi che non sono soli.

 
  
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  Rui Tavares, autore.(PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci sono sempre stati casi connessi ai diritti umani al di fuori dell’Unione europea, quindi vorrei prendermi la libertà, in questa urgente discussione, di iniziare con la nostra votazione odierna sulla libertà di stampa in Ungheria, o meglio nell’Unione europea, poiché il rispetto per i diritti fondamentali nella nostra Camera e il rispetto dei diritti umani appena al di fuori dell’Unione europea sono questioni inestricabilmente connesse.

Dal momento che siamo riusciti a discutere dei problemi che ci troviamo ad affrontare all'interno dell'Unione europea in una votazione che ha diviso quest’Aula in due, e che ci ha fatto lavorare molto negli ultimi due mesi, possiamo ora affrontare a testa alta il presidente Lukashenko della Bielorussia. Possiamo dire al presidente Lukashenko che deve porre fine alla repressione delle manifestazioni, alla repressione degli oppositori e alla repressione della stampa nel proprio paese, perché egli stesso rappresenta un governo che ritiene di avere il monopolio sul diritto di decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, cioè che è equilibrato, ciò che è neutrale e ciò che è obiettivo, non solo nelle proprie dichiarazioni, ma anche in quelle dell’opposizione e della stampa estera. Abbiamo persino visto il presidente Lukashenko affrontare i media internazionali con profonda arroganza in seguito alla repressione delle manifestazioni di dicembre.

Ecco perché ritengo che possiamo nutrire speranza che la voce del Parlamento europeo, la voce della Commissione e la voce del Consiglio siano ascoltate in Bielorussia, ed è in questo modo che raggiungeremo un’autorità morale, che dobbiamo anche preservare attraverso il nostro esempio in questa Camera.

 
  
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  Eduard Kukan, a nome del gruppo PPE. (SK) Signor Presidente, durante la riunione della scorsa settimana del gruppo Visegrad a Bratislava, il ministro per gli Affari esteri della Slovacchia, che al momento presiede il gruppo, ha inviato un chiaro messaggio al presidente Lukashenko della Bielorussia. Fino a quando ci sarà anche solo un prigioniero politico nelle prigioni della Bielorussia, il paese non potrà fare altro che aspettarsi di essere completamente isolato in Europa.

Persino oggi, purtroppo, tre mesi dopo le elezioni presidenziali, la situazione nel paese continua a essere critica. I cittadini dalla mentalità democratica sono oggetto d’indagini, vengono arrestati, imprigionati e detenuti in condizioni inumane, come abbiamo discusso oggi, senza alcuna possibilità di assistenza legale e di visite dai propri famigliari.

È, pertanto, anche importante che l’UE adotti una posizione più rigorosa nei confronti dell’ultimo dittatore in Europa. Potrebbe anche essere necessario ampliare la portata delle sanzioni economiche che stiamo applicando, perché ogni prova suggerisce che le parole, per quanto siano dure, non miglioreranno la situazione per i cittadini in Bielorussia.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis, a nome del gruppo S&D.(LT) Signor Presidente, la presente risoluzione costituisce un chiaro segnale alle autorità bielorusse che l’Unione europea non può e non intende tollerare alcuna limitazione al diritto a manifestare, né tollererà la presenza di prigionieri politici nel paese e, in particolare, la tortura nelle strutture di detenzione. Bruxelles sta intensificando la propria assistenza alla società civile bielorussa, alle organizzazioni non governative, ai mezzi di comunicazione indipendenti e agli studenti. Inoltre, dobbiamo abolire con urgenza i costosi visti che impediscono ai cittadini bielorussi di recarsi nell’Unione europea, ridurre le tariffe e negoziare una semplificazione del regime dei visti. Ritengo che in questa situazione, sarebbe ancora utile che una delegazione del parlamento europeo si recasse in Bielorussia, nonostante vi siano ostacoli, e se è impossibile far viaggiare un’intera delegazione, allora i deputati al parlamento europeo dovranno recarsi lì individualmente per comprendere meglio la situazione ed esercitare una certa influenza.

 
  
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  Kristiina Ojuland, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, a gennaio abbiamo adottato una dichiarazione sulla Bielorussia. Non è un buon segno dovere ripetutamente esprimere le nostre preoccupazioni per la situazione nel paese senza che vi siano reazioni positive da parte delle autorità bielorusse.

Nonostante l’Unione europea abbia nuovamente imposto delle sanzioni e assunto una linea dura nei confronti del regime di Lukashenko, i diritti fondamentali come la libertà di riunione o di espressione continuano a essere violati e calpestati. Inoltre, le notizie sulla continua tortura mentale e fisica dei prigionieri politici e i tentativi di reclutare informatori nel KGB forniscono all’Unione europea un chiaro segnale che il regime di Lukashenko non ha prestato ascolto al nostro messaggio precedente.

Dovremmo, forse, alzare la voce e chiarire in misura ancora maggiore che la situazione in Bielorussia è inaccettabile. Vorrei chiedere alla Commissione si presentare una relazione circa le ulteriori misure che possono essere adottate contro il regime di Lukashenko.

Vorrei anche esortare le imprese e gli investitori europei a ritirarsi dalla Bielorussia, a meno che non abbiano intenzione di maneggiare denaro sporco di sangue e di sostenere, direttamente o indirettamente, il regime criminale di Lukashenko.

 
  
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  Marek Henryk Migalski, a nome del gruppo ECR.(PL) Signor Presidente, l’onorevole Ojuland ha ragione quando dice di avere l’impressione che si discute sempre delle stesse cose senza mai vedere i risultati sperati. Ciononostante, purtroppo, si sbaglia quando afferma che su questo punto siamo unanimi. Vorrei chiedere a tutti noi qui di parlare con una sola voce, e di parlare in modo forte come l’onorevole Protasiewicz, che ha inviato un chiaro segnale a tutti coloro che lottano per la libertà e la democrazia in Bielorussia, dicendo che siamo con loro, e che ha espresso un chiaro monito al regime in Bielorussia, vale a dire che ciò che fanno è inaccettabile. Beh, parallelamente a questa voce, che dovrebbe essere sostenuta da tutti, vengono espresse anche altre opinioni, e purtroppo da uno degli autori della risoluzione, che gli incidenti di tortura si verificano in Bielorussia semplicemente come avvengono in alcuni paesi europei e in alcuni Stati membri dell'Unione europea. Ciò è inaccettabile. L’onorevole Ojuland ha ragione quando afferma che si presta attenzione a quanto diciamo, e che non siamo solo noi ad ascoltare gli altri, ma che c’è anche qualcuno che ci ascolta. Se continueranno a esserci opinioni così contrastanti, allora, a mio parere, continueremo a essere inefficaci. Vi ringrazio.

 
  
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  Sari Essayah (PPE).(FI) Signor Presidente, L’ultimo dittatore d’Europa, Lukashenko, governa la Bielorussia con il pugno di ferro da più di 16 anni. I mezzi di comunicazione e il sistema giudiziario del paese sono sotto il suo controllo sovrano, e non ha alcuna esitazione a usarli per reprimere l’opposizione politica, come abbiamo visto durante le recenti elezioni presidenziali fraudolente a dicembre. In quel periodo, delle truppe speciali e, ovviamente, la polizia, hanno represso con violenza le manifestazioni e arrestato centinaia di persone, inclusi quasi tutti i candidati presidenziali dell’opposizione.

Le richieste dell’Unione europea relative al rilascio dei prigionieri politici e alla fine della violenza contro i cittadini sono state completamente ignorate dall’amministrazione di Lukashenko. È ora imperativo che l’UE introduca sanzioni economiche più consistenti, dal momento che Lukashenko ha semplicemente sfruttato il programma di partenariato orientale e tutti i vantaggi della politica di vicinato. Non possiamo accettare violazioni così gravi dei diritti umani in nessuna parte del mondo, men che meno nelle zone isolate dell’Europa.

 
  
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  Mitro Repo (S&D).(FI) Signor Presidente, non dobbiamo spingerci al di là dei confini dell’Europa per trovare paesi che violano i diritti umani. In Bielorussia, si può essere accusati e andare in prigione semplicemente per aver partecipato a una protesta, per essersi candidato alle elezioni, o per aver espresso la propria opinione. La consapevolezza politica da parte dei cittadini e l’attivismo civile non sono un onere per la società: dovrebbero essere un qualcosa che l’arricchisce.

Risulta difficile, ciononostante, credere che la democrazia possa essere consolidata in Bielorussia soltanto attraverso la coercizione dell’UE. È anche necessario incoraggiare il dialogo a livello popolare e la partecipazione nella società civile. L’Unione europea deve sostenere gli sviluppi democratici in Bielorussia e continuare a cooperare con essa nell’organizzazione di progetti culturali ed educativi. Il Servizio europeo per l’azione esterna deve monitorare con attenzione gli sviluppi in Bielorussia e sostenere i bielorussi, affinché i valori europei possano essere interiorizzati.

(Applausi)

 
  
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  Cristian Dan Preda (PPE).(RO) Signor Presidente, due giorni fa, l’8 marzo, la giornata internazionale della donna, Natalia Radina non ha potuto godersi i festeggiamenti perché era agli arresti domiciliari. Quello stesso giorno, Ales Mikhalevich festeggiava il suo 53esimo compleanno in prigione. Il semplice motivo è che è un uomo libero, un uomo che ha osato candidarsi alle elezioni presidenziali e, in una dittatura come quella della Bielorussia, la sanzione per aver compiuto un tale gesto di libertà è di vedersi limitati nei movimenti e mandati in prigione. Desidero sottolineare due punti della risoluzione che considero estremamente importanti. Ritengo che sia necessario sostenere l’ampliamento delle misure restrittive imposte dall’Unione europea producendo un elenco che includa i procuratori, i giudici e i membri della polizia segreta coinvolti nei recenti casi di violazione dei diritti umani in Bielorussia. In secondo luogo, penso anche che dovremmo fare tutto il possibile per sostenere la società civile nel paese, che può essere fonte di speranza.

(Applausi)

 
  
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  Elena Băsescu (PPE).(RO) Signor Presidente, vorrei iniziare la mia dichiarazione con un appello alle autorità bielorusse affinché pongano fine alla censura nei confronti delle forze democratiche e della stampa indipendente. Propongo, inoltre, la riapertura dell’ufficio dell’OSCE in Bielorussia.

I diritti umani hanno subito un duro colpo durante le elezioni presidenziali del dicembre 2010. Le manifestazioni organizzate dall’opposizione contro la frode elettorale sono state represse senza alcuna pietà dalle forze di sicurezza. Tra gli arrestati figura uno dei candidati alla posizione di presidente, Ales Mikhalevich. Ha denunciato la tortura cui è stato sottoposto in prigione, fatto che, però, è stato negato dalle autorità. Nello stesso periodo sono stati presi di mira anche i giornalisti vicini all’opposizione. Nonostante il divieto di rendere dichiarazioni, hanno confermato le affermazioni di Mikhalevich nella speranza di richiamare l’attenzione dell’Unione europea sulla situazione critica in Bielorussia. Le circostanze nelle quali sono stati effettuati gli arresti sono vaghe, ma i trattamenti cui sostengono di essere stati sottoposti costituiscono gravi violazioni dei diritti umani.

 
  
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  Krzysztof Lisek (PPE).(PL) Signor Presidente, Commissario, vorrei esprimere i miei più sinceri ringraziamenti per avermi concesso l'opportunità di intervenire, perché alcuni giorni fa, quando ho parlato con Ales Mikhalevich, che ho avuto l’opportunità e l'onore di conoscere e di cui sono amico da più di dieci anni, gli ho promesso che avrei fatto il possibile per intervenire quest'oggi. Sebbene io sappia che non è questo il luogo adatto per mandare messaggi personali, vorrei dire: “Ales, siamo con te, come ha affermato l’onorevole Protasiewicz”.

Credo che oggi sia molto importante comunicare all’opposizione che li sosterremo – e non dovremmo dirlo solo all’opposizione. È importante dirlo a chi è coinvolto nella persecuzione – i procuratori che conducono indagini come viene loro detto, i giudici che pronunciano sentenze non giuste, i direttori di aziende che licenziano i dipendenti a causa della loro attività politica, i rettori delle università che espellono gli studenti perché hanno partecipato a manifestazioni – dovremmo dire a tutti loro: “Ce ne ricorderemo. Ci ricorderemo di cosa fate e di come agite oggi, e verrà il momento in cui tutti voi subirete la punizione che vi meritate”.

 
  
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  Corina Creţu (S&D).(RO) Signor Presidente, anche io vorrei associarmi a chi invita il Consiglio, la Commissione e la comunità internazionale e intensificare il sostegno alla società civile e all’opposizione democratica in Bielorussia, in risposta agli eventi che si verificano dal dicembre 2010.

L’arresto e la detenzione di più di 600 attivisti della società civile, giornalisti, insegnanti e studenti, la maggior parte dei candidati presidenziali e leader dell’opposizione democratica, insieme all’uso sproporzionato della forza in seguito alle manifestazioni organizzate in segno di protesta contro l’elezione di Lukashenko, sono caratteristiche tipiche di una dittatura e mostrano un profondo disprezzo del rispetto dei diritti umani. Il caso di Ales Mikhalevich, uno degli sfidanti del presidente Lukashenko, che è stato torturato durante il periodo di detenzione precedente al processo, e quello della giornalista Natalia Radina sono significativi in una situazione attuale in cui siamo moralmente obbligati a reagire sostenendo gli sforzi della società civile in Bielorussia, della stampa indipendente e dell’opposizione verso la democrazia.

 
  
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  Charles Tannock (ECR).(EN) Signor Presidente, il fatto che in Bielorussia la polizia segreta del presidente Lukashenko sia ancora chiamata KGB ci dice tutto quello che abbiamo bisogno di sapere relativamente alla sua mentalità e ai suoi metodi. Vent’anni dopo il collasso dell’Unione sovietica, egli rimane l’homo sovieticus per antonomasia, un uomo forte la cui dipendenza dal potere è così pronunciata come il suo istinto per la repressione del dissenso.

Lukashenko si è servito del KGB, o si serve del KGB, come strumento politico per zittire la protesta popolare, inclusi i casi di Ales Mikhalevich e Natalia Radina, che sono emersi in seguito a un’altra deludente elezione presidenziale truccata nel dicembre dello scorso anno. Più di 700 persone sono state arrestate. Vi sono numerose storie di attivisti dell’opposizione rapiti, detenuti in via extragiudiziale, e poi torturati mentalmente e psicologicamente dal KGB.

La Bielorussia ci sta così a cuore perché è un paese europeo ed è diventata una Cuba alle nostre porte. Se l’Unione europea vuole avere una qualsiasi forza morale nel mondo per quanto riguarda la promozione della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto, deve senza dubbio iniziare nell’Europa stessa, il nostro continente. Non metto in dubbio la necessità di impegnarsi con il regime di Lukashenko. Una politica della sedia vuota sarebbe controproducente per l’UE, ma dobbiamo aumentare il sostegno all’opposizione in Bielorussia, inasprire le sanzioni intelligenti dell’UE su Lukashenko e i suoi alleati del KGB.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola, autore.(FI) Signor Presidente, gli eventi degli ultimi mesi in Bielorussia mostrano chiaramente come i diritti civili e politici continuino a essere sistematicamente violati dal governo. Gli arresti dei sostenitori dell’opposizione a dicembre rispecchiano il modo in cui si cerca di imporre il silenzio agli oppositori di Lukashenko ricorrendo a mezzi violenti.

L'arresto di Ales Mikhalevich e sei altri candidati presidenziali dell’opposizione sulla base dell’ingiustificabile pretesto che avevano provocato manifestazioni violente è contrario ai diritti politici. Analogamente, la carcerazione della giornalista Natalia Radina per più di un mese rende la probabilità di avere libertà di espressione in Bielorussia una realtà ancora più distante.

Dobbiamo prendere con serietà le accuse di trattamento inumano e tortura nelle prigioni del KGB avanzate da Mikhalevich, Radina e altri, e le indagini su di loro devono essere affidate a un ente indipendente. Vorrei ricordare alla Bielorussia gli impegni internazionali che si è assunta ratificando la convenzione ONU sui diritti civili e politici e la convenzione ONU contro la tortura e, di conseguenza, la responsabilità che ha nei confronti della comunità internazionale e, in particolare, i propri cittadini.

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, nutriamo timori circa il peggioramento della situazione in Bielorussia, che purtroppo non sorprende. La diffusa incarcerazione e perseguimento degli attivisti della società civile, inclusi candidati alle presidenziali, nel periodo postelettorale ci porta ad attenderci l’emergere di dure sentenze. Ad oggi, siamo già a conoscenza di quattro casi in cui alcune persone sono state condannate a numerosi anni di prigione. Temiamo che nei prossimi mesi seguano molte altre condanne simili, che coinvolgano fino a 40 persone che sono ora accusate. Inoltre, siamo stati sconvolti dai racconti sulla tortura e i maltrattamenti di chi è detenuto per motivi politici, incluso l’ex candidato alla presidenza Mikhalevich.

Tutti questi spregevoli eventi richiederebbero un aggiornamento della risposta dell’Unione europea. La situazione attuale è la seguente: come sapete, l'UE ha reagito alle elezioni fraudolente del 19 dicembre e alla repressione che ne è risultata inserendo quasi 160 persone su una lista sanzionatoria. È stato un messaggio molto forte e chiaro di condanna alle autorità. Nel contempo, la Commissione e il Servizio europeo per l’azione esterna hanno rapidamente progettato nuovi strumenti di assistenza mirata, al fine di fornire in modo urgente sostegno alle vittime della repressione, le loro famiglie e la società civile, fino a un importo di 1,7 milioni di euro. Tale assistenza viene erogata con l’enfasi iniziale posta sull’assistenza giuridica e sulla consulenza alle vittime della repressione e sul sostegno alle organizzazioni della società civile e a campagne civiche.

Stiamo anche finalizzando un ri-orientamento della nostra assistenza a medio termine alla Bielorussia per aumentare il sostegno alla società civile. La Commissione aumenterà di quattro volte i propri aiuti alla società civile bielorussa per il periodo 2011-2013 per un totale di 15,6 milioni di euro, dedicando particolare attenzione al consolidamento dei mezzi di comunicazione indipendenti e al sostegno agli studenti, incluso il mantenimento del finanziamento all’Università europea delle scienze umane.

È ora il momento di riflettere sulla necessità di un'ulteriore risposta. L’Alto rappresentante ha emesso una condanna immediata in seguito alla prima sentenza del 18 febbraio, e ha ricordato che le motivazioni politiche non devono avere spazio in un processo giudiziario. L’Unione europea ha anche condannato fermamente all’OSCE le rigorose sentenze e le accuse di tortura e sta discutendo della questione al Consiglio per i diritti umani dell’ONU.

L’Unione europea, infine, discuterà se gli ultimi eventi richiedono un ulteriore ampliamento dell’elenco sanzionatorio esistente con nuovi nomi, come ad esempio quelli dei responsabili delle ultime sentenze che hanno portato alla recente repressione. L’Unione europea è pronta a prendere in considerazione ulteriori misure mirate in tutti i settori di cooperazione, nella misura del necessario.

La risoluzione del Parlamento sarà senza dubbio un contributo utile e tempestivo alle nostre riflessioni e discussioni. Vi ringrazio, onorevoli deputati, per la vostra attenzione.

 
  
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  Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei mozioni di risoluzione(2) ai sensi dell’articolo 110, paragrafo 2 del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alla fine delle discussioni.

 
  

(1) Vedasi processo verbale
(2) Vedasi processo verbale


14.3. Situazione e patrimonio culturale a Kashgar (regione autonoma di Xinjiang Uighur, Cina)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei mozioni di risoluzione sulla situazione e il patrimonio culturale a Kashgar (regione autonoma di Xinjiang Uighur, Cina)(1).

 
  
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  Tunne Kelam, autore.(EN) Signor Presidente, gli uiguri sono praticamente diventati una minoranza nella loro patria storica, che necessita di sostegno internazionale per preservare la propria cultura e identità. In effetti, il destino dell’antica città di Kashgar è appeso a un filo. Un programma di modernizzazione prevede che fino all’85 per cento del tradizionale centro storico di Kashgar venga demolito. È importante impedire che la fortezza storica sia sostituita da moderni palazzi di appartamenti. Se le autorità cinesi intendono seriamente convincerci che tutto andrà bene, devono in primo luogo convincere la popolazione nativa dell'Est Turkestan che il loro patrimonio culturale sarà effettivamente rispettato e che la lingua uigura sarà insegnata nelle scuole allo stesso livello del cinese.

Esorto le autorità cinesi ad accettare possibili contributi dall'ICOMOS, che ha un'impressionante esperienza nella gestione dei paesaggi urbani storici, e chiedo al governo cinese di acconsentire al conferimento a Kashgar dello status di patrimonio mondiale dell’Unesco, che includerà diversi siti culturali lungo l'antica via della seta.

 
  
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  Marietje Schaake, autore.(EN) Signor Presidente, nel nome delle riforme e dello sviluppo si sta demolendo l’antica città di Kashgar, sulla via della seta. Non si tratta soltanto di un duro colpo per il patrimonio culturale mondiale, ma in primo luogo la città è molto importante per le popolazioni uigure e hui, nonché per la diversità culturale della Cina nel suo insieme, che viene distrutta.

La Cina ha intensificato i propri sforzi volti a migliorare le relazioni attraverso la diplomazia culturale in tutto il mondo, ma nessuno sarà interessato a una versione commercializzata e omogeneizzata della cultura di un paese caratterizzato da una così grande molteplicità.

Nell’interesse delle opportunità economiche e delle relazioni sostenibili con il resto del mondo, è essenziale il rispetto dei diritti umani e delle minoranze, nel senso più ampio possibile. Esortiamo il governo cinese a valutare la possibilità di includere Kashgar nella candidatura comune di Kazakstan, Kirghizistan e Uzbekistan per la designazione della via della seta come patrimonio mondiale Unesco.

L’Alto rappresentante dovrebbe intensificare il dialogo in materia di diritti umani con la Cina e renderlo più orientato all’azione ed efficace.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg, autore.(PL) Signor Presidente, la discussione odierna sui diritti delle minoranze etniche in Cina si tiene il giorno successivo all’annuncio ufficiale del Dalai Lama di rinunciare al proprio ruolo politico in Tibet. Nei prossimi mesi, dovremmo monitorare con attenzione lo sviluppo della situazione politica del paese. Oggi, ciononostante, discutiamo di un altro gruppo minoritario che è vittima di discriminazione in Cina – la popolazione musulmana degli uiguri. La Cina giustifica la propria politica nei loro confronti con la necessità di contrastare il terrorismo, e per le autorità cinesi la persecuzione degli uiguri significa anche distruzione del loro patrimonio culturale. Le notizie relative alla ricostruzione della città di Kashgar sono particolarmente preoccupanti. Le intenzioni in materia comportano, in pratica, la distruzione del centro storico, uno degli esempi più interessanti e meglio conservati di architettura musulmana in Asia centrale, che attira più di un milione di turisti ogni anno e sarebbe ammissibile per l’inclusione sulla lista Unesco del patrimonio dell’umanità se la Cina richiedesse tale status.

Nutro fiducia nel servizio diplomatico dell’Unione europea, che sono certo mostrerà la propria efficacia nel dialogo con le autorità cinesi, e ricorderà loro la necessità di rispettare i diritti delle minoranze etniche e proteggere il patrimonio culturale. Vi ringrazio.

 
  
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  Frieda Brepoels, autore.(NL) Signor Presidente, è chiaro che Kashgar è il simbolo per eccellenza dell’identità culturale uigura nella provincia cinese di Xinjiang. Il 27 gennaio ho organizzato una conferenza a Bruxelles, durante la quale sono venuta a conoscenza dell’impatto che i distruttivi piani cinesi di urbanizzazione hanno sulla popolazione uigura. Effettivamente, nascondendosi dietro motivazioni di sicurezza pubblica e modernizzazione, la Cina vuole lasciare intatto non più del 15 per cento della città originale e, in realtà, trasformare Kashgar in un enorme museo all’aperto. Credo sia giunto in momento di rispondere in modo deciso, prima che sia troppo tardi.

Dopo la repressione delle manifestazioni di Urumqi nel luglio 2009, quest’Aula aveva invitato le autorità cinesi a impegnarsi il più possibile per avviare un dialogo aperto, permanente e rispettoso con gli uiguri e perseguire una politica economica più integrata e ampia in quest’ambito, con l’obiettivo di incoraggiare la partecipazione locale e, soprattutto, tutelare l’identità culturale uigura. Purtroppo, l’attuale politica cinese a Kashgar si sta dimostrando essere l’esatto opposto di quanto era stato chiesto all’epoca. Non solo la distruzione di Kashgar, negando alla popolazione locale qualsiasi voce in capitolo, ma anche il rifiuto cinese di permettere a Kashgar di candidarsi per lo status Unesco di patrimonio mondiale dell’umanità sono chiari esempi del modo in cui il partito comunista cinese affronta la diversità culturale.

 
  
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  Charles Tannock, autore.(EN) Signor Presidente, il motto dell’Unione europea è “Unità nella diversità”. Tale sentimento, purtroppo, non si ritrova nella Repubblica popolare cinese, i cui governatori comunisti sono ossessionati dall’unità, ma non prestano molta attenzione alla celebrazione della diversità.

Senza dubbio, il tentativo di imporre la cultura maggioritaria cinese han sulle piccole minoranze nel paese più popoloso del mondo è causa di molta tensione e risentimento. Siamo già a conoscenza della soppressione dell’antica cultura buddhista tibetana negli ultimi 60 anni, ora vediamo che lo stesso rischio minaccia la città di Kashgar nella provincia di Xinjiang, finora piuttosto recalcitrante all’idea.

Da 2 000 anni, Kashgar è una fiorente città sulla via della seta caratterizzata da una cultura centro-asiatica ricca, unica e prospera, ma che ora si trova a far fronte a massicce demolizioni e ricostruzioni. È difficile non pensare che si tratti del tentativo di Pechino di schiacciare la volontà dei separatisti uiguri.

Personalmente non ho alcune istruzioni o simpatia per la causa separatista, alcuni sostenitori della quale, temo, sono connessi con al-Qaeda, ma esorto il governo cinese a ripensarci. La distruzione di una città antica come Kashgar non farebbe altro che intensificare la determinazione di tutti coloro che desiderano fomentare la violenza contro lo Stato.

 
  
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  Rui Tavares, autore.(PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a dirvi la verità, tra le tre discussioni urgenti che si tengono questo pomeriggio, questa è effettivamente quella nel contesto della quale ci sentiamo più impotenti. Abbiamo parlato di Pakistan e Bielorussia e abbiamo motivo di pensare che l’Unione europea detenga non solo autorità morale, ma anche una certa influenza o potere sulle autorità esterne per cercare di garantire, almeno, che si muovano nella direzione giusta.

In realtà, quando parliamo della Cina, sappiamo che tale influenza è ridotta, poiché molto di quanto viene detto in quest’Aula contraddice ciò che i governi europei nelle nostre capitali fanno, vale a dire ciò che Sarkozy, Merkel o i politici del mio paese, il Portogallo, fanno, come Sócrates, che proprio di recente ha fatto deviare una manifestazione contro le autorità cinesi affinché il premier, che era in visita a Lisbona, non dovesse trovarsi faccia a faccia con chi protestava contro il suo regime. In altri termini, è l'Europa stessa a prendere ripetutamente parte a questo mondo dei sogni o di fantasia che i leader cinesi creano a loro vantaggio, in cui non vi è alcuna opposizione e in cui un unico modello di sviluppo va bene per tutti, a Pechino come a Shanghai, Guangzhou, nella regione autonoma uigura dello Xinjiang e in Tibet.

Pertanto, è molto difficile per il Parlamento dire ciò che afferma quest’oggi, e che è anche espresso nella nostra risoluzione: esortiamo le autorità di Pechino a smettere di compiere un genocidio demografico contro gli uiguri; chiediamo loro di preservare la diversità culturale ed etnica delle regioni che compongono la Cina; e chiediamo loro di salvaguardare siti di valore architettonico o appartenenti al patrimonio. Ciononostante, i leader dei nostri paesi si gettano tra le braccia dei leader cinesi, perdonandoli per qualsiasi cosa abbiano fatto ne loro paese, e forniscono loro carta bianca nel nome di un modello di sviluppo che alla fine dei conti rispettiamo solo fino a un livello molto limitato. È, quindi, stato dimostrato ancora una volta che l’autorità morale inizia a formarsi a livello interno e che, in ogni caso, quando noi nell’Unione europea discutiamo degli altri, discutiamo in primo luogo di noi stessi, e che è necessario rivedere il nostro atteggiamento nei confronti della Cina.

 
  
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  Bernd Posselt, a nome del gruppo PPE.(DE) Signor Presidente, come è già stato affermato, gli uiguri non sono una minoranza, ma un popolo sulla via della seta con un’antica cultura, che gradualmente ha ceduto al dominio cinese, inizialmente molto rilassato. Gli uiguri sono sostenuti, in particolare, dal Congresso mondiale degli uiguri, con sede a Monaco, e il patrimonio culturale di Kashgar è difeso dal Comitato dello scudo blu, il presidente del quale, Karl di Asburgo, questa settimana è stato qui a Strasburgo per fornirci informazioni.

Se vogliamo sostenere gli uiguri, facciamolo attraverso un appello amichevole rivolto ai cinesi, perché gli uiguri sono minacciati dall’etnocidio culturale. La Cina, inoltre, in qualità di più antica nazione culturale al mondo, dovrebbe riconoscere chiaramente che una delle caratteristiche di un popolo culturale è la tutela e il rispetto per le altre culture, in particolare quando si tratta di culture di dimensioni limitate in un impero enorme. I cinesi devono semplicemente applicare la propria costituzione, che afferma in tre punti che il patrimonio culturale va preservato.

Vorrei, pertanto affermare molto chiaramente che dai nostri partner cinesi esigiamo delle concessioni in quest’ambito – vogliamo la tutela del patrimonio culturale degli uiguri.

 
  
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  Corina Creţu, a nome del gruppo S&D.(RO) Signor Presidente, a mio parere personale nel caso in questione è necessario guardarsi dai giudizi parziali. Sussiste un rischio di avere preconcetti controproducenti, sia per quanto riguarda la situazione in loco che il partenariato tra Unione europea e Cina. La sanguinosa violenza degli ultimi anni a Xinjiang è una prova evidente che ricorrere alla forza è l’opzione meno soddisfacente. Ecco perché ritengo sia nostro dovere incoraggiare il dialogo interetnico.

Sono dell’opinione che la risoluzione del Parlamento europeo non debba influenzare il diritto delle autorità cinesi a difendere l’integrità del proprio paese e la sicurezza di tutti i propri cittadini, soprattutto da minacce terroristiche in una regione in cui al-Qaeda sta tentando di insediarsi. Dobbiamo incoraggiare chiaramente uno sviluppo nazionale equilibrato sia dal punto di vista economico che demografico.

(Applausi)

 
  
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  Kristiina Ojuland, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, è ben noto che la regione degli uiguri corre l’imminente rischio di diventare un secondo Tibet. La Repubblica popolare cinese ha annunciato una “riforma degli edifici pericolosi di Kashgar”, il cui obiettivo è di radere al suolo l’85 per cento del centro storico di Kashgar.

Un tale filisteismo va fermato e l’Unione europea deve insistere con le autorità della Repubblica popolare cinese affinché non distruggano questo importante sito culturale sull’antica via della seta. La Dichiarazione delle Nazioni Unite dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche, nonché la costituzione della Repubblica popolare cinese, vanno rispettate anche da Pechino.

La Repubblica popolare cinese sta esercitando sempre di più una sinicizzazione delle minoranze culturali come gli uiguri e i tibetani. Si tratta di un genocidio culturale nel 21esimo secolo che semplicemente non possiamo accettare.

 
  
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  Jaroslav Paška, a nome del gruppo EFD.(SK) Signor Presidente, i circoli ufficiali cinesi hanno sempre considerato fastidiosa la presenza di riferimenti ad altre culture e civiltà antiche e importanti i cui monumenti si trovano sul territorio della Cina odierna.

Kashgar è il centro degli uiguri musulmani – una delle più consistenti minoranze etniche in Cina. Per millenni, i cinesi hanno cercato di appropriarsi delle terre degli uiguri, e molte volte i loro tentativi di conquistare tali terre sono falliti. Anche oggi, pertanto, la posizione dell'amministrazione cinese è caratterizzata da un certo distacco e dal tentativo di sopprimere ogni manifestazione di tradizioni culturali e identità connessa ai fastosi monumenti culturali degli uiguri e della città di Kashgar.

Non sono certo che gli organi ufficiali cinesi siano oggi in grado di accettare la filosofia secondo la quale l’attuale Stato cinese è costruito non soltanto sulle tradizioni e la storia dell’impero cinese, ma anche sulle tradizioni e le storie di altri popoli. Il comportamento dei cinesi nei confronti del Tibet, e nei confronti dei monumenti uiguri a Kashgar, testimonia, invece, il fatto che la Cina di oggi è incapace di apprezzare la ricchezza che gli altri popoli e le altre culture hanno apportato al proprio stato condiviso.

È, quindi, giusto affermare in quest’Aula che noi, al contrario delle autorità cinesi, apprezziamo e valorizziamo tutti gli importanti monumenti culturali situati sul territorio della Repubblica popolare cinese, anche quelli in Tibet e a Kashgar.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signor Presidente, Kashgar è una città di tre milioni e mezzo di persone, poco meno che la popolazione dell’intera isola dell’Irlanda. È più vicina a Baghdad che non a Pechino. Si trova sulla grande rotta commerciale della via della seta e ospita alcuni dei siti architettonici islamici meglio conservati al mondo, alcuni dei quali sono sepolti al di sotto del deserto. Ospita, inoltre, la più grande moschea con sepolcro della Cina ed è un tesoro, non vi sono dubbi. Ciononostante, come è stato affermato, corre un grave rischio, perché i cinesi sembra vogliano ristrutturare la città a causa della sua fragilità in caso di terremoti. Ciò non è accettabile ai nostri occhi, perché riteniamo che si perderebbe un grande tesoro.

Come possiamo intervenire? Forse in misura estremamente limitata, ma almeno sottolineare qui tale situazione è importante. Possiamo, come abbiamo affermato, chiedere che Kashgar sia inclusa tra i siti del patrimonio dell'umanità della via della seta. Forse potremmo anche sensibilizzare i cittadini circa i tesori che ospita, cosicché le persone in loco possano salvaguardarli per il futuro. Si tratterebbe di una perdita per il mondo, ma di una perdita ancora maggiore per la Cina.

 
  
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  Mitro Repo (S&D).(FI) Signor Presidente, la risoluzione in questione riguarda la salvaguardia di un importante sito del patrimonio culturale e il diritto delle minoranze alla propria identità culturale. L’antica città di Kashgar è una delle città meglio conservate dell’Asia centrale. La ricca storia di Kashgar risale alla dinastia cinese Han, e la città era un importante luogo di sosta sulla via della seta. Collegava l’Asia all’Europa. Tutta la regione dello Xinjiang riveste un’enorme importanza culturale per il mondo intero.

La Cina deve attivarsi per rendere Kashgar un sito incluso nel patrimonio dell’umanità Unesco e conservare l’area a beneficio delle generazioni future. Il Servizio europeo per l’azione esterna dovrebbe, inoltre, garantire che le strategie locali comprendano anche il diritto alla propria identità culturale, La delegazione dell’Unione europea in Cina potrebbe anche destinare fondi a sostegno delle tradizioni delle minoranze di Kashgar e della loro identità culturale.

 
  
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  Monica Luisa Macovei (PPE).(EN) Signor Presidente, le generazioni future dipendono dalle nostre azioni di oggi volte a salvaguardare siti senza tempo come Kashgar. Kashgar è un pilastro fondamentale della storia dell’Islam in Cina.

Nel 2009 il governo cinese ha annunciato un programma di ricostruzione urbana in cui si pianifica di demolire l’85 per cento del centro storico di Kashgar e sostituirlo con appartamenti moderni. La demolizione va fermata. Gli urbanisti devono identificare un piano di rinnovamento urbano che conservi il centro storico di Kashgar. L’intera via della seta in Cina deve essere oggetto della tutela del programma Unesco per il patrimonio mondiale, a cui la Cina ha aderito nel 1985. Esorto la Commissione e il Consiglio a sollevare queste questioni con le autorità cinesi.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, il patrimonio culturale è fondamentale per preservare l’identità, il che vale in Europa, in Cina e in ogni altro luogo, e le autorità cinesi ne sono consapevoli. Ciononostante, abbiamo visto, ad esempio, come hanno intenzionalmente distrutto tale patrimonio, e quindi tale identità, in molti luoghi come il Tibet, e ora fanno lo stesso nelle località uigure come Kashgar.

Ecco perché è così importante chiarire ancora una volta qual è la nostra posizione, esortare il governo cinese a fermare immediatamente la distruzione culturale che minaccia la sopravvivenza architettonica di Kashgar e avviare un’ampia indagine su metodi di ristrutturazione sensibili agli aspetti culturali, con il coinvolgimento di specialisti del settore. Non si tratta di un fine in se stesso: la credibilità di un governo è anche basata sul modo in cui tratta le minoranze. Se la Cina vuole essere credibile a livello internazionale, è importante che le minoranze, come gli uiguri, siano trattate in modo adeguato, opportunamente rispettoso e conforme agli standard umani.

 
  
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  Paul Rübig (PPE).(DE) Signor Presidente, Commissario Hahn, la cultura e l’identità devono chiaramente essere poste al centro a livello globale. Proprio questa settimana, Karl di Asburgo ci ha spiegato quanto sia importante per la ricerca dell’identità che il patrimonio culturale di cui parliamo non sia a disposizione soltanto degli uiguri, ma che sia anche un bene mondiale. La Cina dovrebbe fare una concessione in quest’ambito. Ad esempio, recentemente abbiamo stipulato un accordo con la città di Wenzhou che permette gli investimenti diretti in dollari in futuro. Ritengo sia un’opportunità per porre l’enfasi anche su questa regione e affinché le persone delle diverse città e regioni della Cina godano di pari diritti. Le relazioni internazioni possono, effettivamente, rivelarsi molto utili in quest’ambito.

 
  
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  Sari Essayah (PPE).(FI) Signor Presidente, non vi è alcun rispetto per i diritti fondamentali delle minoranze etniche in Cina, che si tratti dei tibetani o degli uiguri. È tipico per il partito comunista cinese rifiutare di sostenere la città di Kashgar nella sua candidatura volta a concorrere per ottenere lo status di patrimonio mondiale dell’Unesco. Negli ultimi anni, la Cina ha sostenuto un progetto internazionale teso a inserire alcuni siti culturali sulla via della seta nell’elenco del patrimonio mondiale, ma Kashgar non era presente sulla lista, dal momento che ospita una delle più grandi minoranze della Cina, gli uiguri.

Al contrario, la Cina intende demolire grandi parti della città, affermando di nutrire timori per la sicurezza dei residenti, ma le organizzazioni per i diritti culturali, civili e umani considerano il piano in questione uno spietato tentativo di sopprimere la cultura uigura. Il partito comunista cinese deve riconoscere che i cittadini cinesi sono caratterizzati da una grande diversità culturale, e che devono godere del diritto all’autonomia culturale.

 
  
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  Elena Băsescu (PPE).(RO) Signor Presidente, il centro storico della città di Kashgar è in pericolo e, con esso, anche il simbolo storico della minoranza uigura in Cina. La politica perseguita della cosiddetta ricostruzione urbana sta portando alla graduale sparizione dell’identità di tale gruppo, che ha sviluppato la propria cultura intorno alla fortezza situata sulla via della seta. Ritengo che allontanare la popolazione uigura dalle proprie abitazioni tradizionali e demolire Kashgar siano misure che violano i diritti delle minoranze. Inoltre, la città viene considerata l’esempio meglio conservato di architettura islamica nell’Asia Centrale. Le strade e gli edifici di Kashgar possono essere risanati per migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Ci si può chiedere perché le autorità non stiano investendo in attività di questo tipo. Raccomando l’inclusione del centro storico nella lista dei patrimoni mondiali dell’Unesco come parte della via della seta. Esorto, inoltre, il governo cinese a fermare la demolizione della città e a cercare soluzioni alternative.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE).(FI) Signor Presidente, a causa della sua posizione remota, al confine occidentale della Cina, Kashgar e gli uiguri lì residenti sono riusciti a conservare le proprie antiche tradizioni per secoli. La città attrae, di conseguenza, centinaia di migliaia di turisti all’anno. A causa della sua posizione strategica, l’amministrazione cinese sta cercando di controllare la regione in modo più efficace, per garantire un accesso migliore ai mercati energetici nell’Asia centrale.

La Cina ha, ovviamente, il diritto di svilupparsi dal punto di vista economico, ma i diritti delle minoranze, estremamente fragili, vanno tutelati. È possibile sviluppare Kashgar continuando a salvaguardare lo stile di vita degli uiguri. La sicurezza sismica degli edifici e delle infrastrutture può essere migliorata senza dover attuare piani che prevedono la distruzione dell’85 per cento del centro storico e l’obbligo per gli uiguri di spostarsi verso nuove aree residenziali e assistere alla frammentazione della propria società.

Questa sconsiderata distruzione del centro storico deve, pertanto, essere fermata, e gli uiguri vanno consultati per quanto riguarda il rinnovamento urbano del luogo in cui tradizionalmente vivono, altrimenti la loro cultura esotica e affascinante corre il rischio di essere inesorabilmente distrutta.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (ECR).(PL) Signor Presidente, vorrei dire che va accolto con favore il fatto che il Parlamento europeo stia ancora una volta parlando degli uiguri, una minoranza musulmana che è vittima di discriminazione in Cina. Vorrei ricordarvi che il Parlamento ha già approvato una risoluzione in materia, e che dobbiamo anche esprimere il nostro parere per quanto riguarda altre minoranze religiose che sono oggetto di persecuzioni nella Repubblica popolare cinese, come la minoranza cristiana. I cattolici si trovano a far fronte a una grave discriminazione in Cina. Le autorità comuniste di Pechino hanno nominato strutture ecclesiastiche apposite che non sono riconosciute dalla chiesa cattolica ufficiale. Ritengo che questa discussione importante e necessaria possa costituire, oggi, una voce in difesa di tutte le minoranze religiose in Cina, voce per cui sussiste una grande necessità.

 
  
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  Johannes Hahn, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, la conservazione del patrimonio culturale è senza alcun dubbio fondamentale per garantire la tutela e il proseguimento delle tradizioni e dello stile di vita delle minoranze. Inoltre, la distruzione d’importanti siti culturali è suscettibile di sferrare un duro colpo non solo al patrimonio tradizionale e archeologico della minoranza coinvolta, ma anche al patrimonio culturale in termini generali. In questo contesto, il Parlamento europeo segue con preoccupazione i piani di rinnovamento urbano del centro storico di Kashgar, nella regione autonoma di Xinjiang, in Cina. L’importanza di Kashgar come centro culturale per la minoranza uigura non può essere ribadito a sufficienza. L’importanza di Kashgar è pari a quella di Gerusalemme per gli ebrei, i musulmani e i cristiani.

Il libro bianco del 2009 del governo cinese su Xinjiang affermava che il restauro di Kashgar è necessario per proteggere la città da terremoti o incendi. Si tratta senza dubbio di un obiettivo lodevole. La società civile, sia in Cina che a livello internazionale, ha, però, espresso inquietudine circa i metodi utilizzati. Vi sono gravi timori che fino all’85 per cento del centro storico venga distrutto. Effettivamente, molti edifici rilevanti, inclusa l’unica madrasa di Xanliq, sembra siano già stati distrutti. È, inoltre, preoccupante che circa 200 000 persone potranno essere allontanate dalle loro abitazioni tradizionali e che sembra vi sia stata una consultazione limitata, nella migliore delle ipotesi, dei residenti coinvolti.

Si teme che la demolizione di strutture che per centinaia di anni sono state alla base della cultura uigura possa avere un grave impatto sulla conservazione di tale cultura nei prossimi anni. È, inoltre, deplorevole che la Cina abbia scelto di non proporre Kashgar come sito del patrimonio mondiale nonostante il suo status unico, poiché ciò permetterebbe all’Unesco di partecipare al processo di ristrutturazione. Sappiamo che l’Unesco ha, comunque, presentato rimostranze alle autorità cinesi per quanto riguarda l’impatto dei programmi di rinnovamento urbano sul patrimonio tradizionale e culturale di Kashgar. L’Unione europea condivide in toto tali timori e inviterà le autorità cinesi a cooperare con l’Unesco per garantire che ogni intervento di rinnovamento urbano sia conforme alle migliori prassi internazionali del settore.

L’Unione europea esorterà, inoltre, le autorità cinesi a garantire che gli abitanti di Kashgar siano pienamente consultati per quanto riguarda il futuro della città e che i loro pareri siano presi in considerazione.

 
  
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  Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(2) ai sensi dell’articolo 110, paragrafo 2, del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alla fine delle discussioni.

 
  

(1) Vedasi processo verbale
(2) Vedasi processo verbale


15. Turno di votazioni
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per l’esito delle votazioni e altri dettagli: vedasi processo verbale)

 

15.1. Pachistan - assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze (RC-B7-0166/2011)

15.2. Bielorussia, in particolare il caso di Ales Mikhalevic e di Natalia Radin

15.3. Situazione e patrimonio culturale a Kashgar (regione autonoma di Xinjiang Uighur, Cina)
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  Presidente. – Con questo si conclude il turno di votazioni.

 

16. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale

17. Posizione del Consiglio in 1ª lettura: vedasi processo verbale
Video degli interventi

18. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

19. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale

20. Dichiarazioni scritte inserite nel registro (articolo 123 del regolamento): vedasi processo verbale

21. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
Video degli interventi

22. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale
Video degli interventi

23. Interruzione della sessione
Video degli interventi
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  Presidente. – Dichiaro interrotta la sessione del Parlamento europeo.

(La seduta termina alle 16.30)

 

ALLEGATO (Risposte scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è l’unica responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 1 dell’onorevole Papanikolaou (H-000060/11)
 Oggetto: Proposta della Presidenza di un "Anno europeo dedicato alle famiglie"
 

Al punto relativo alla "politica sociale" del programma della Presidenza ungherese è menzionata l'intenzione della Presidenza di proporre di dedicare un anno europeo alle famiglie. Inoltre, il Consiglio si dichiara disposto a porre l'accento sulla questione della conciliazione della vita professionale con quella familiare.

Quale anno intende il Consiglio proporre per questa azione specifica e attraverso quali politiche intende attuarla? Dispone di studi o dati in merito all'impatto della crisi economica sulla normale vita delle famiglie?

Stante il nesso esistente tra questa concreta iniziativa e il problema demografico dell'Europa, quali sono le idee della Presidenza per incoraggiare le famiglie numerose? Considerato che il Fondo sociale europeo finanzia iniziative degli Stati membri miranti ad attuare in generale politiche a favore della protezione della famiglia, intende invitare la Commissione a proporre iniziative concrete mirate sulle famiglie numerose che, secondo la legislazione greca, è una famiglia che ha quattro o più figli?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Onorevoli deputati, desidero ringraziare per l’interrogazione che riguarda un tema di forte interesse per la Presidenza ungherese.

La Presidenza ungherese, come opportunamente indicato, ha proposto una serie di attività nell’ambito della politica della famiglia nel programma “Cambiamento demografico e politica della famiglia”, tra le quali l’iniziativa di un Anno europeo per le famiglie nel 2014, che faccia seguito ai risultati ottenuti nel corso dell’Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010). Secondo la Presidenza, la famiglia deve essere oggetto di particolare attenzione. Il miglioramento della situazione sociale delle famiglie può fornire un apporto positivo alle attuali tendenze demografiche e contribuire sicuramente a rafforzare la coesione sociale.

Nell’ambito dell’impatto della crisi sulla situazione sociale delle famiglie, la Presidenza ha analizzato con interesse le informazioni riguardanti le politiche della famiglia riportate soprattutto nelle relazioni del Comitato per la protezione sociale e della Commissione europea. Per una maggiore comprensione delle problematiche, la Presidenza ungherese organizzerà il 28-29 marzo una conferenza di esperti intitolata “http://www.eu2011.hu/news/work-and-family-life-%E2%80%93-conference-experts-demography" \o "vai alla pagina dedicata ai lavori della conferenza" dinamiche demografiche”. Il 1° aprile, inoltre, la Presidenza ospiterà un incontro informale dei ministri per le Politiche della famiglia e gli affari demografici durante il quale verranno affrontate le questioni legate alle famiglie, la strategia Europa 2020 e le possibilità per promuovere la cooperazione in merito alle politiche della famiglia. Nell’ambito delle azioni rivolte alle sfide demografiche, la Presidenza ungherese sta elaborando un’iniziativa per proclamare il 2014 Anno europeo per le famiglie.

Sebbene i problemi delle famiglie siano principalmente di competenza degli Stati membri, è possibile collaborare a livello europeo nell’ambito delle politiche della famiglia, che sono strettamente legate ai valori e alle tradizioni comuni. Azioni come quelle proposte dalla Presidenza ungherese possono offrire un valore aggiunto a politiche e soluzioni da adottare a livello nazionale. La Presidenza auspica che la proposta dell’Anno europeo per le famiglie nel 2014 goda di ampio sostegno. In una fase successiva verranno concordati e stabiliti nel dettaglio gli obiettivi e le misure dell’iniziativa.

 

Interrogazione n. 2 dell’onorevole Harkin (H-000062/11)
 Oggetto: Armonizzazione delle aliquote dell'imposta sulle società
 

Può la Presidenza ungherese fornire il proprio parere in merito alla richiesta di alcuni paesi di armonizzare le aliquote dell'imposta sulle società?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Le imposte dirette rimangono di competenza degli Stati membri. In alcuni casi, tuttavia, al fine di garantire il funzionamento del mercato interno, l’imposta sulle società è stata soggetta a legislazione e coordinamento da parte dell’Unione europea.

Nell’ambito della legislazione UE, il Consiglio ha adottato una serie di direttive sui flussi di reddito transfrontalieri (direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi(1) e la direttiva 2003/49/CE(2) concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi) e sulle fusioni transfrontaliere di gruppi internazionali di società (direttiva 90/434/CEE del 23 luglio 1990(3) sulle fusioni). È stata adottata, inoltre, la direttiva 77/799/CEE(4) relativa alla reciproca assistenza.

Quanto al coordinamento, dal 1998 il gruppo “Codice di condotta (tassazione delle imprese)” si incontra regolarmente per valutare misure potenzialmente dannose nell’ambito della tassazione alle imprese. Tale verifica ha portato all’individuazione e al ritiro di molte misure fiscali dannose. Nel giugno 2010 il Consiglio ha infine adottato una risoluzione sul coordinamento delle società controllate estere (CFC) e sulle regole di sottocapitalizzazione nell’Unione europea con l’obiettivo, tra gli altri, di coordinare le politiche degli Stati membri in materia di imposte dirette.

Quanto alle attività future nell’ambito dell’imposta sulle società, la Commissione, nel programma di lavoro per il 2011, intende sottoporre la proposta della base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società, per la quale verrà consultato il Parlamento europeo.

In questo contesto, solo un paio di Stati membri hanno proposto idee in merito alle aliquote dell'imposta sulle società. In virtù del trattato, le misure legislative in ambito fiscale proposte dalla Commissione richiedono l’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio, che può adottare direttive dopo aver consultato il Parlamento europeo.

 
 

(1) GU 225 del 20.8.1990
(2) GU 157, 26.6.2003, p. 49
(3) GU 225, 20.8.1990, p. 1
(4) GU 336, 27.12.1977, p. 15

 

Interrogazione n. 3 dell’onorevole Higgins (H-000064/11)
 Oggetto: Priorità della Presidenza ungherese
 

La Presidenza ungherese inizia in un momento in cui la ripresa economica è ancora irregolare e deve essere consolidata all'interno dell'Unione. In risposta ai problemi della zona euro gli Stati membri hanno convenuto di modificare il trattato di Lisbona al fine di rendere permanente il meccanismo di stabilizzazione finanziaria istituito per aiutare la Grecia e l'Irlanda. Uno degli obiettivi della nuova Presidenza è quello di portare avanti questi negoziati. Può dire quali misure intende prendere?

La Presidenza ungherese intende inoltre adottare ulteriori misure per coordinare le politiche economiche degli Stati membri, compreso il lancio del "semestre europeo", un periodo di sei mesi durante il quale il progetto di bilancio di ciascun paese sarà esaminato dall'UE per individuare eventuali squilibri. Può il Consiglio indicare i criteri che saranno applicati per stabilire se vi siano squilibri nel bilancio di uno Stato membro?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Il Consiglio europeo del 16-17 dicembre 2010 ha stabilito che il trattato sul funzionamento dell’Unione europea dovesse essere modificato al fine di permettere agli Stati membri della zona euro di elaborare un meccanismo permanente di risoluzione della crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro. Ha inoltre disposto che i ministri delle Finanze della zona euro e la Commissione concludessero entro marzo 2011 i lavori sull’accordo intergovernativo che istituisce il futuro meccanismo europeo di stabilità. Trattandosi di un accordo intergovernativo, non rientra nelle competenze della Presidenza ungherese.

Il cosiddetto "semestre europeo" è stato approvato dal Consiglio nelle conclusioni del 7 settembre 2010 e coinvolge il controllo annuale delle politiche di bilancio e delle riforme strutturali degli Stati membri per un periodo di sei mesi conformemente alle regole comuni. Il semestre europeo verrà attuato per la prima volta quest’anno.

Nel 2010 gli Stati membri hanno presentato il progetto dei programmi nazionali di riforma. Il 13 gennaio 2011(1) la Commissione ha presentato al Consiglio le principali conclusioni della prima analisi annuale della crescita, che sottolinea le azioni prioritarie per gli Stati membri e stabilisce le priorità nei tre ambiti fondamentali: aumento della stabilità macroeconomica, riforme strutturali per promuovere l’occupazione e misure a favore della crescita secondo la strategia Europa 2020.

Il 18 gennaio 2011 il Consiglio ha riesaminato il progetto dei programmi nazionali di riforma ed ha tenuto uno scambio di opinioni sull’analisi annuale della crescita sottoposta dalla Commissione.

Il 15 febbraio il Consiglio ha adottato le conclusioni sugli orientamenti fiscali e macroeconomici.

In virtù del programma della Presidenza ungherese, il 28 febbraio il Consiglio ha emesso il proprio giudizio sull’analisi annuale della crescita presentato dalla Commissione. Tratterà, inoltre, la relazione comune sull'occupazione il 7 marzo, l’obiettivo di ricerca e sviluppo il 10-11 marzo e il cambiamento climatico il 14 marzo. Il 21 marzo la Presidenza inviterà il Consiglio a presentare una relazione di sintesi comprendente i principali messaggi emersi dai lavori delle formazioni del Consiglio pertinenti, per trasmetterla poi al Consiglio europeo.

Quanto ai bilanci preventivi degli Stati membri, il 15 febbraio il Consiglio ha convenuto sulla rigida osservanza delle raccomandazioni della Commissione in merito alla procedura per i disavanzi eccessivi. Gli Stati membri con ampi disavanzi di bilancio o con livelli alti o in forte crescita di debito pubblico sono tenuti ad accelerare il processo di risanamento di bilancio. In tutti gli Stati membri, inoltre, l’aumento delle spese, al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, non deve superare il tasso di crescita potenziale del PIL a medio termine fino a quando verrà raggiunto l’obiettivo di bilancio a medio termine. Al contempo, è necessario dare priorità alle spese a favore della crescita e promuovere l’efficienza nella spesa pubblica.

 
 

(1) Doc. 18066/10

 

Interrogazione n. 4 dell’onorevole Posselt (H-000067/11)
 Oggetto: Negoziati di adesione con l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia
 

Qual è il giudizio del Consiglio sulle possibilità per l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia di avviare i negoziati di adesione con l'Unione europea o di ottenere l'indicazione di una data per il loro inizio, già nel corso di quest'anno?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Nelle conclusioni del 14 dicembre 2010, il Consiglio ha riaffermato il proprio impegno inequivocabile per la prospettiva europea dei Balcani occidentali, prospettiva indispensabile per la stabilità, la riconciliazione e il futuro della regione e già confermata in occasione della riunione ad alto livello sui Balcani occidentali tenutasi a Sarajevo il 2 giugno 2010. Al contempo, il Consiglio ha ribadito la necessità di condizioni eque e rigide nel processo di stabilizzazione e associazione, conformemente al consenso rinnovato sull’allargamento approvato dal Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2006.

Il Consiglio ha ricordato che, compiendo progressi consistenti nel campo delle riforme economiche e politiche e adempiendo alle condizioni e ai requisiti necessari, gli altri potenziali candidati dei Balcani occidentali possono ottenere lo status di candidato, in base ai loro meriti, con l’obiettivo ultimo dell’adesione all’UE. È fondamentale che un paese dimostri di aver adempiuto sufficientemente gli obblighi previsti dagli accordi di stabilizzazione e di associazione, anche in materia commerciale, affinché l’UE possa considerarne la domanda di adesione.

Il Consiglio accoglie con favore i progressi registrati dall'ex Repubblica iugoslava di Macedonia in settori chiave quali la riforma della polizia, anche se a ritmo irregolare. Il paese prosegue nell’adempimento degli obblighi previsti dagli accordi di stabilizzazione e di associazione. Il Consiglio auspica che il programma di riforme mantenga il proprio slancio. Devono ancora essere compiuti progressi in ambiti quali il dialogo tra gli attori politici, le riforme riguardanti la giustizia e l’amministrazione pubblica, la lotta alla corruzione, la libertà di espressione e il miglioramento del clima imprenditoriale. L’attuazione dell’accordo quadro di Ohrid è tuttora fondamentale per la democrazia e lo stato di diritto del paese.

In linea di massima, il Consiglio condivide la valutazione della Commissione circa il sufficiente adempimento del paese ai criteri politici. Prende altresì nota del fatto che la Commissione ha ripetuto la raccomandazione di aprire i negoziati di adesione con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Nelle proprie conclusioni, il Consiglio ha affermato l’intenzione di approntare nuovamente il tema durante la Presidenza ungherese, ribadendo l’importanza di mantenere relazioni di buon vicinato, raggiungendo fra l’altro, sotto l’egida dell’ONU, una soluzione comunemente accettata alla questione del nome. Il Consiglio, inoltre, accoglie con favore il dialogo ad alto livello in corso e auspica risultati a breve termine(1).

 
 

(1) Conclusioni del Consiglio “Affari generali”, 14 dicembre 2010, p. 18 § 1

 

Interrogazione n.5 dell’onorevole Czarnecki (H-000069/11)
 Oggetto: Islamismo radicale in Egitto e in Tunisia
 

Può in Consiglio comunicare i passi che intende compiere per impedire che in Egitto e in Tunisia accedano al potere gli islamisti radicali?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) In riferimento agli sviluppi in Egitto e in Tunisia a cui gli onorevoli parlamentari fanno riferimento nell’interrogazione, Il Consiglio europeo, il Consiglio "Affari esteri", i presidenti del Consiglio europeo, la Commissione europea e l’Alto rappresentante, in una dichiarazione comune, hanno accolto con favore la natura pacifica e dignitosa con cui il popolo tunisino ed egiziano ha espresso le proprie aspirazioni legittime, democratiche, economiche e sociali in linea con i valori che l’Unione europea promuove non solo negli Stati membri bensì in tutto il mondo. Nella dichiarazione si sottolinea che le aspirazioni democratiche dei cittadini devono essere accolte attraverso il dialogo, le riforme politiche ed elezioni libere ed eque, nel pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Il Consiglio intende sostenere pienamente il processo di transizione verso la governance democratica, il pluralismo, migliori opportunità per la prosperità economica, l’inclusione sociale, e maggiore stabilità regionale.

Il 4 febbraio 2011 il Consiglio europeo ha dichiarato il proprio impegno a favore di un nuovo partenariato per sostenere più efficacemente in futuro i paesi che perseguono riforme economiche e politiche. In tale contesto, il Consiglio europeo ha invitato l’Alto rappresentante a elaborare una serie di misure volte a fornire il sostegno dell’UE nel processo di transizione e trasformazione (rafforzare le istituzioni democratiche, promuovere la governance democratica e la giustizia sociale e fornire assistenza nella preparazione e nello svolgimento di elezioni libere ed eque). È necessario, inoltre, creare un maggiore legame con tali obiettivi nella politica europea di vicinato e nell’Unione per il Mediterraneo.

 

Interrogazione n. 6 dell’onorevole Blinkevičiūtė (H-000074/11)
 Oggetto: Sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa
 

Il 7 luglio 2010, la Commissione europea ha pubblicato un Libro verde dal titolo "Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa". Il Parlamento europeo ha altresì adottato una posizione sulla questione.

Il programma della presidenza ungherese del Consiglio dell'Unione europea di questo semestre non menziona la questione delle pensioni, pur trattandosi di una delle priorità e delle maggiori sfide di oggi, sia a livello nazionale sia a livello dell'Unione europea. Inoltre, il governo ungherese ha preso una nuova decisione: trasferire il risparmio dal secondo pilastro del regime pensionistico al primo pilastro. L'Ungheria, che detiene la presidenza del Consiglio, intende presentare iniziative simili agli altri Stati membri? Ritiene che tali iniziative permetteranno di garantire la sostenibilità delle pensioni?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Nel giugno 2010, il Consiglio ha adottato le conclusioni in merito alla relazione interinale congiunta sulla questione delle pensioni elaborata dal Comitato di politica economica (CPE) e dal Comitato per la protezione sociale (CPS). Nelle conclusioni il Consiglio ha confermato il proprio impegno verso l’obiettivo comune di garantire pensioni adeguate e sostenibili, sostenendo al contempo la strategia volta ad affrontare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione sull’economia e i bilanci pubblici. Gli obiettivi sono ridurre il debito più velocemente, aumentare l’occupazione e la produttività e riformare i sistemi pensionistici, sanitari e di assistenza a lungo termine.

Facendo seguito al libro verde della Commissione e al completamento della relazione congiunta CPE-CPS, il Consiglio ha affrontato il tema il 17 novembre 2010, mettendo in evidenza la sfida a lungo termine dell’invecchiamento demografico per la sostenibilità e l’adeguatezza dei sistemi pensionistici, aggravata dall’attuale situazione economica. Nell’incontro di dicembre, il Consiglio EPSCO ha adottato le conclusioni del Consiglio in materia.

L’elaborazione dei sistemi pensionistici è una questione a lungo termine e richiede, quindi, di essere all’ordine del giorno ora e in futuro. È per questo motivo che il Consiglio EPSCO, in occasione della riunione del 7 marzo, ha discusso le conclusioni della consultazione sulla base del Libro verde in merito a sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa, procedendo a un proficuo scambio di vedute sui maggiori dilemmi dei sistemi pensionistici in Europa. Oltre all’età pensionabile, sono state trattate le problematiche, strettamente legate tra loro, di adeguatezza, sostenibilità e sicurezza delle pensioni, unitamente alle particolari condizioni determinate dall’impatto dei vincoli di bilancio. Dal dibattito è emerso principalmente che, per la maggior parte degli Stati membri, è necessaria una maggiore coordinazione a livello di UE nell’ambito dei sistemi pensionistici. Al contempo è stato ribadita la competenza esclusiva degli Stati membri quanto alle questioni di pensioni ed età pensionabile.

In linea con la strategia Europa 2020, il Consiglio ha sottolineato l’urgenza di attuare ulteriori riforme strutturali al fine di favorire il risanamento dei conti pubblici, migliorare le prospettive di crescita, aumentare gli aiuti all’avviamento al lavoro, garantire la flessibilità nel mercato del lavoro e prolungare la durata della vita lavorativa.

È emersa, concludendo, la necessità di adottare un approccio olistico nelle politiche in materia di pensioni utilizzando i quadri di coordinamento esistenti a livello dell’Unione europea. La determinazione dei sistemi pensionistici, così come il pagamento delle pensioni, resta di competenza degli Stati membri.

 

Interrogazione n. 7 dell’onorevole Moraes (H-000078/11)
 Oggetto: Pacchetti di misure per i diritti delle vittime
 

Il miglioramento del sostegno alle vittime di reati è parte integrante del programma di Stoccolma. In particolare, le problematiche concernenti l'assistenza alle vittime di reati transfrontalieri in Europa, preoccupano realmente i cittadini dell'UE. Al momento esistono poche procedure pratiche che offrano sostegno e consulenza alle vittime e alle famiglie che fanno fronte alle conseguenze di reati e gravi lesioni subiti all'estero. L'interrogante sta attualmente aiutando un elettore il cui figlio è stato vittima di un'aggressione violenta durante una vacanza a Creta. È realmente necessaria un'azione dell'UE in quest'ambito per rispettare la promessa della creazione dell'Europa dei cittadini.

Il commissario Reding ha annunciato un pacchetto di misure in relazione alla tutela delle vittime di reati. Inoltre, il programma della Presidenza ungherese menziona la tutela delle vittime di reati.

Può il Consiglio illustrare questo tema e fornire maggiori informazioni su quali misure intende adottare per tutelare le vittime di reati?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) La tutela delle vittime di reati riveste grande importanza per la Presidenza ungherese al Consiglio dell’Unione. Il tema è un obiettivo chiave per l’Unione ed è inserito nel programma di Stoccolma (Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini). Nel programma il Consiglio europeo ha messo in luce l’importanza di fornire sostegno e tutela legale specialmente alle persone più vulnerabili o in situazioni particolarmente a rischio, come le vittime di violenze reiterate da parte di persone vicine, le vittime della violenza di genere o le persone vittime di altre forme di reato in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza o in cui non risiedono, necessitano di un sostegno particolare e di protezione giuridica. La Presidenza ritiene sia necessario adottare un approccio integrato e coordinato per il sostegno alle vittime, in linea con il programma di Stoccolma e con le conclusioni del Consiglio adottate nell’ottobre 2009 su una strategia volta ad assicurare la realizzazione dei diritti delle vittime della criminalità e a migliorare il sostegno offerto a tali vittime.

La Presidenza, per dare avvio a un approccio integrato, organizzerà un seminario integrato il 23-24 marzo 2011 a Budapest dal titolo “La tutela delle vittime nell’Unione europea: il cammino da seguire”, durante il quale verranno trattati diversi temi riguardanti le future iniziative legislative e non legislative in materia.

La Commissione presenterà un pacchetto di misure a favore della tutela delle vittime, in particolar modo nell’ambito dei procedimenti penali, in occasione dell’incontro del Consiglio "Giustizia e affari interni" il 12 aprile 2011. Una volta formalizzate le proposte, il Consiglio le esaminerà tempestivamente ed elaborerà una lista di interventi per gli Stati membri al fine di aumentare la tutela delle vittime nell’UE, in linea con gli obblighi previsti dal programma di Stoccolma. La lista di interventi verrà incentrata sulle prossime proposte della Commissione soprattutto in merito alla decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio del 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. L’attenzione non varrà tuttavia limitata a tali proposte. La Presidenza intende includere gli interventi individuati in una “tabella di marcia” del Consiglio per garantire la coerenza nelle azioni future attraverso misure legislative e non legislative. La “tabella di marcia” dovrebbe essere approvata durante la riunione del Consiglio GAI il 10 giugno 2011.

 

Interrogazione n. 8 dell’onorevole Leichtfried (H-000083/11)
 Oggetto: Lampadine a basso consumo energetico
 

Il Consiglio è a conoscenza dello studio realizzato dall'Agenzia federale per l'ambiente tedesca (Bundesumweltamt), secondo il quale le lampadine a basso consumo energetico comportano, a causa del loro contenuto di mercurio, rischi di intossicazione in caso di rottura accidentale nell'ambiente domestico? Quali conclusioni trae il Consiglio da tale studio?

Il Consiglio è disposto a rivedere la sua decisione di ritirare dal mercato le lampadine a incandescenza tradizionali?

Come valuta il Consiglio l'eventualità di sospendere il divieto di utilizzo delle lampadine tradizionali, almeno per l'uso domestico?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Il Consiglio tutela la salute dei cittadini e l’ambiente dalle emissioni di mercurio e dei suoi componenti. È altresì consapevole delle preoccupazioni riportate dall’onorevole deputato nell’interrogazione. Il Consiglio sta esaminando attualmente la revisione della strategia comunitaria sul mercurio, sulla base della comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 7 dicembre 2010(1).

In seno all’Azione 8, la revisione descrive dettagliatamente le azioni e le misure riguardo al contenuto di mercurio nelle lampadine a basso consumo energetico introdotte in UE in seguito al progressivo ritiro di lampadine a incandescenza dai mercati dell’UE, previsto dalla direttiva del 2005 relativa alla progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia e dalla successiva revisione del 2009. La revisione contempla inoltre il parere sul mercurio contenuto in determinate lampadine a risparmio energetico del Comitato scientifico dei rischi sanitari ed ambientali (CSRSA) che è del parere che il rischio per la salute umana a causa della rottura di queste lampadine sia remoto. Il Consiglio attualmente non è a conoscenza di studi che affermino il contrario.

È fondamentale per il Consiglio che gli Stati membri e la Commissione continuino ad analizzare il problema e sensibilizzino le parti interessate, incluso il grande pubblico, quanto ai rischi del mercurio per la salute e l’ambiente, promuovendo l’informazione sulle azioni in corso in tale ambito.

 
 

(1) COM(2010) 723 finale

 

Interrogazione n. 9 dell’onorevole Aylward (H-000087/11)
 Oggetto: Sostegno alle PMI della zona euro
 

La legge UE sulle piccole e medie imprese prevede che le PMI vitali daranno all’Europa il vigore necessario a resistere alle incertezze che si incontrano nel mondo globalizzato di oggi. Le PMI sono di grande importanza dato che rappresentano il 70per cento di tutta l’occupazione nell’area dell’euro. Può il Consiglio illustrare le misure prese a livello UE per sostenere le PMI nell’UE? L’accesso ai finanziamenti al momento è un grave ostacolo per le PMI – quali misure si possono avviare a livello europeo per aiutare le PMI a restare vitali e competitive?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Nella comunicazione del 23 febbraio 2011 in merito al riesame di medio termine dello Small Business Act per l’Europa, la Commissione indica delle misure volte a ridurre gli oneri amministrativi, eliminare gli ostacoli alle operazioni transfrontaliere efficaci nel mercato unico, promuovere le attività delle PMI nel mercato globale e migliorare l’accesso ai finanziamenti per le PMI. La Presidenza intende focalizzarsi su tale comunicazione e presentare, in occasione del Consiglio di maggio 2011, il progetto di conclusioni relative a temi quali:

applicazione del principio dell’only once che evita che alle PMI vengano richieste le stesse informazioni da parte delle autorità,

riduzione della sovraregolamentazione da parte degli Stati membri, nel rispetto dei principi di regolamentazione intelligenti,

valutazione sistematica dell’impatto della legislazione attraverso un test PMI,

presentazione annuale del programma futuro di legislazione in materia di imprese,

applicazione del principio “innanzitutto pensare piccolo” anche nei procedimenti amministrativi che riguardano le PMI.

Le azioni già in atto, conformemente alla strategia Europa 2020, verranno potenziate ulteriormente nei seguenti ambiti:

realizzare in modo effettivo una regolamentazione intelligente per le PMI dell’UE,

adottare un approccio ampio al fine di aumentare l’accesso delle PMI al mercato,

sostenere le PMI verso un’economia più efficace sotto il profilo delle risorse e

promuovere lo spirito imprenditoriale, la creazione di posti di lavoro e la crescita inclusiva.

In merito all’accesso ai finanziamenti, gli Stati membri hanno introdotto una serie di misure, già dimostratesi efficaci, volte a garantire un accesso più semplice ed equo al credito bancario.

Gli strumenti finanziari in UE contemplati nel programma quadro per la competitività e l’innovazione (CIP), che dispone di un budget di 1,1 miliardi di euro per il periodo 2007-2013, permette agli istituti finanziari di fornire circa 30 miliardi di euro. La Banca europea per gli investimenti (BEI), inoltre, ha quasi raddoppiato i prestiti alle PMI in Europa, mirando all’obiettivo di fornire 30 miliardi di euro per il periodo 2008-2011.

Il Consiglio europeo, in occasione dell’incontro del 4 febbraio, ha evidenziato come gli strumenti di sostegno dell’UE a favore della ricerca e sviluppo tecnologico e degli sforzi di innovazione delle PMI (quali le attività rivolte alle PMI previste nel settimo programma quadro per le attività di ricerca e nel programma quadro per la competitività e l’innovazione (CIP)), siano importanti ed efficaci al fine di incrementarne la competitività.

 

Interrogazione n. 10 dell’onorevole Sturdy (H-000089/11)
 Oggetto: Dazi antidumping sulle fibre di vetro (AD549)
 

Il Consiglio sta per adottare, in sede di COREPER, una proposta della Commissione concernente l'applicazione di dazi antidumping sulle fibre di vetro (AD549). La fibra di vetro è il componente principale delle turbine eoliche, che costituiscono uno dei fiori all'occhiello della lotta dell'Unione europea contro il cambiamento climatico e uno degli elementi più importanti per raggiungere i suoi obiettivi "20-20-20".

È d'accordo il Consiglio nel ritenere che è mancata una riflessione sistematica, dal momento che, da un lato, esso promuove e sovvenziona l'energia eolica negli Stati membri e, dall'altro, la penalizza finanziariamente?

È soddisfatto il Consiglio nel constatare che un gruppo di lavoro può adottare una misura con soli 4 voti favorevoli su 27? Inoltre, alla luce dell'ovvia mancanza di sostegno a favore di questa misura e dell'assenza di informazioni adeguate sui suoi effetti, intende la Presidenza ungherese, il cui paese è stato uno dei nove Stati membri che hanno votato contro nel gruppo di lavoro, raccomandare che la misura sia discussa adeguatamente in seno al COREPER o deferita nuovamente in commissione?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) L’articolo 9(4) del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio del 30 novembre 2009 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (regolamento antidumping di base) prevede che una proposta della Commissione “sia adottata dal Consiglio a meno che questo non decida a maggioranza semplice di respingerla entro un mese dalla sua presentazione da parte della Commissione”. Ciò significa che per respingere una proposta, si devono opporre almeno quattordici Stati membri. Da una consultazione informale, conclusasi il 24 febbraio, sulla proposta oggetto dell’interrogazione dell’onorevole deputato, è emerso che la maggioranza degli Stati membri era a favore della proposta. La Presidenza non ritiene quindi necessario avviare ulteriori dibattiti o deferire nuovamente la misura in Commissione e propone al Consiglio di adottare la proposta della Commissione, conformemente al diritto dell’Unione europea.

Le informazioni fornite durante l’inchiesta dai produttori di pale e di turbine eoliche (industria utilizzatrice) sono state limitate e generiche. Le osservazioni scritte indicano che la maggioranza dei prodotti in fibra di vetro importati dalla Cina da tali produttori non rientra nella definizione del prodotto prevista dal presente procedimento. È rassicurante l’analisi di costi e redditività per l’utilizzatore, come indicato ai punti 119-126 del regolamento proposto. L’impatto sugli altri utilizzatori, inoltre, sarà minimo.

L’obiettivo delle misure antidumping è ripristinare condizioni di parità nel mercato dell’Unione. Temi ad ampio spettro, quali la lotta al cambiamento climatico, sono già oggetto di atti legislativi specifici, che tengono in conto considerazioni relative all’interesse dei cittadini. L’analisi basata sull’interesse dell’Unione nelle inchieste di difesa commerciale, in linea generale, è incentrata sull’impatto economico delle misure per gli operatori economici interessati. L’industria dell’UE ha il diritto di difendersi da pratiche commerciali sleali. Comprendere considerazioni di portata più ampia significherebbe compromettere la natura tecnica delle inchieste. I timori in merito ad altri aspetti dovrebbero essere affrontati con altri strumenti e misure adeguate.

 

Interrogazione n.11 dell’onorevole the Cope Gallagher (H-000093/11)
 Oggetto: Politica dell'UE in materia di sport
 

Può il Consiglio indicare quali iniziative adotterà nel corso del 2011 nell'ambito della politica in materia di sport? In seguito all'adozione del Trattato di Lisbona, la cooperazione in materia di sport è di competenza dell'Unione europea e, inoltre, il 2011 è l'anno europeo del volontariato. Nel corso dell'anno sono previste azioni specifiche dell'UE per le strutture sportive, in particolare per quelle che si basano sulle attività di volontariato?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Gli interventi di preparazione e attuazione dell’anno europeo del volontariato non rientrano nei compiti del Consiglio bensì della Commissione e degli Stati membri. Il Consiglio, d’altro canto, ha avviato in diverse occasioni, in particolare nelle sessioni di maggio(1) e novembre 2010(2), degli scambi di vedute in merito ai possibili ambiti prioritari futuri in materia di sport.

In occasione del Consiglio di maggio, i ministri hanno sottolineato l’importanza di esaminare gli sport di base, concentrando l’attenzione sugli sport ricreativi e che migliorano la salute. Come indicato dai ministri, l’azione dell’Unione europea dovrebbe essere incentrata sui seguenti ambiti:

- funzioni sociali ed educative dello sport, quali l’inclusione sociale attraverso lo sport e il miglioramento della salute grazie all’attività fisica; la carriera duale per gli atleti;

- strutture sportive, in particolare per quelle che si basano sulle attività di volontariato;

- lealtà e apertura nello sport, compresa la lotta al razzismo, la discriminazione e la violenza;

- integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare la lotta al doping e la protezione dei più giovani;

- dialogo e stretta collaborazione con gli sportivi.

Nel novembre 2010 il Consiglio ha adottato una risoluzione per instaurare un dialogo strutturato ad alto livello che coinvolga tutte le parti interessate nel settore dello sport(3), consentendo uno scambio di vedute delle priorità così come attività di attuazione e di follow up nell’ambito della collaborazione nell’Unione europea nel settore dello sport.

Nella stessa occasione, il Consiglio, nelle conclusioni adottate, riconosce che lo sport crea e promuove inclusione sociale(4) e individua tre ambiti prioritari comuni per la promozione dell’inclusione sociale attraverso lo sport: accesso allo sport per tutti i cittadini (il principio dello “sport per tutti”), uso migliore del potenziale dell’attività sportiva per rafforzare il senso di appartenenza alla comunità e per favorire la coesione sociale e la crescita e scambi di strategie e metodologie tra gli Stati membri.

La Presidenza invita il Consiglio a fornire una risposta alla comunicazione della Commissione intitolata “Sviluppare la dimensione europea dello sport” con l’adozione della risoluzione del maggio 2011. Quest’ultima potrebbe individuare alcuni ambiti prioritari ed elaborare un piano di lavoro dell’UE per i prossimi tre anni nel settore dello sport. L’attuale e la prossima Presidenza al Consiglio intendono dedicare al tema dell’anno una serie di conferenze ed eventi.

 
 

(1) 9456/10
(2) 16500/10
(3) 15214/10
(4) 15213/10

 

Interrogazione n.12 dell'onorevole Crowley (H-000095/11)
 Oggetto: Ridurre i tassi di abbandono scolastico
 

Potrebbe illustrare il Consiglio le misure che intende adottare al fine di ridurre il numero dei giovani che abbandonano gli studi senza una qualifica di base?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Ai sensi del trattato e, in particolare, degli articoli 165 e 166 del TFUE, l’istruzione e la formazione sono di competenza degli Stati membri mentre l’Unione europea svolge meramente un ruolo di sostegno. Ne consegue che le possibilità di adottare misure e azioni a livello di UE siano estremamente limitate.

Riconoscendo, tuttavia, che gli Stati membri affrontano sfide comuni in quest’ambito che richiedono soluzioni comuni, e che tutti possono trarre vantaggio dallo scambio di esperienze, nell’ultimo decennio l’Unione ha intensificato la cooperazione nel settore dell’istruzione e della formazione. L’esempio più significativo è stata l’adozione da parte del Consiglio nel maggio 2009 del quadro strategico ET 2020(1), in seno al quale gli Stati membri hanno concordato l’azione a livello nazionale al fine di raggiungere degli obiettivi strategici comuni. Gli Stati membri, per incentivare il raggiungimento degli obiettivi, hanno individuato una serie di livelli di riferimento del rendimento medio europeo (comunemente definiti “parametri di riferimento”), uno dei quali riguarda nello specifico la riduzione dell’abbandono scolastico e prevede la riduzione del tasso medio di abbandono scolastico al di sotto della soglia del 10per cento entro il 2020.

L’importanza di affrontare il problema è stata ribadita di recente al livello massimo dell’Unione. I capi di Stato e di governo hanno adottato nel giugno 2010 la strategia 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Riconoscendo la centralità del ruolo dell’istruzione e della formazione nella strategia, i capi di Stato e di governo hanno concordato che l’Unione deve dare priorità al miglioramento dei livelli d’istruzione – in linea con il parametro di riferimento stabilito nel quadro strategico ET 2020 – e hanno fissato l’obiettivo principale di ridurre il tasso medio di abbandono scolastico al di sotto della soglia del 10per cento entro il 2020.

Il Consiglio, analizzando le misure specifiche da adottare per raggiungere l’ambizioso obiettivo (il tasso medio attuale in UE è del 14.4per cento), ha già iniziato ad esaminare la proposta della Commissione per elaborare una raccomandazione in materia di politiche per ridurre l’abbandono scolastico.

La raccomandazione stabilisce le linee guida per l’adozione e l’attuazione di strategie coerenti, globali e basate sulla realtà nell’ambito dei programmi nazionali di riforme. I fondi proverranno dal programma di apprendimento permanente, dal programma quadro per la ricerca e l’innovazione e dal Fondo sociale europeo. La proposta verrà analizzata dal Consiglio nel corso dei mesi di marzo e aprile, con l’intento di permettere alla Presidenza di sottoporla al Consiglio per l’adozione a maggio.

Durante i primi sei mesi di ogni anno, nell’ambito del semestre europeo, verranno monitorati regolarmente i progressi compiuti verso l’obiettivo principale dell’UE di ridurre il tasso di medio di abbandono scolastico al di sotto della soglia del 10per cento unitamente ai progressi verso gli altri obiettivi della strategia Europa 2020.

 
 

(1) Si vedano le conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 in merito al quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della formazione (‘ET2020’) - GU C 119, 28.5.2009

 

Interrogazione n.13 dell’onorevole Zigmantas Balčytis (H-000102/11)
 Oggetto: Creazione negli Stati membri degli sportelli unici previsti dalla direttiva Servizi
 

La direttiva Servizi adottata nel 2006 prevede la creazione di sportelli unici negli Stati membri. Si tratta di uno degli aspetti più importanti di un'efficace applicazione della direttiva nonché di un provvedimento che garantisce la presenza di una fonte d'informazioni essenziale per i prestatori che intendono offrire servizi transfrontalieri oppure stabilirsi in un altro Stato membro. La questione riguarda soprattutto i piccoli prestatori, che spesso non dispongono di risorse finanziarie sufficienti per avvalersi di consulenze sul diritto del lavoro e la disciplina fiscale in un altro Stato membro dell'UE, sulle procedure applicabili in caso di stabilimento, ecc.

In alcuni Stati membri gli sportelli unici non sono stati neppure istituiti oppure non funzionano correttamente, ovvero non forniscono ai prestatori di servizi tutte le necessarie informazioni. Non ritiene il Consiglio che i summenzionati ritardi nella creazione degli sportelli unici in oggetto sostanzialmente impediscano ai prestatori di servizi di beneficiare delle possibilità offerte dal mercato comune e alle piccole e medie imprese di prestare servizi in altri Stati membri dell'Unione europea?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Gli sportelli unici previsti dalla direttiva Servizi hanno l’obiettivo di sostenere gli imprenditori fornendo tutte le informazioni necessarie. È fondamentale, quindi, assicurarne la creazione e favorirne l’attività per raggiungere gli obiettivi preposti.

Molto lavoro è già stato compito e gli sportelli unici sono operativi in 22 Stati membri. Si stanno registrando inoltre progressi nei cinque Stati privi di sportelli e molti saranno presumibilmente avviati nel corso del 2011.

In 17 sportelli unici è possibile portare a compimento online alcune procedure chiave. Proseguire in questa direzione significa creare un legame tra il principio “innanzitutto pensare piccolo”, l’Atto per il mercato unico e l’agenda digitale europea. Negli ultimi anni il Consiglio ha rivolto la propria attenzione con costanza e regolarità all’attuazione della direttiva Servizi unitamente alla valutazione dei tre strumenti sopraccitati.

Il processo di creazione degli sportelli unici non si conclude con l’attuazione della direttiva Servizi. In merito alla disponibilità e alla presentazione delle informazioni nonché al completamento di procedure online a livello nazionale e transfrontaliero, esistono possibilità per migliorare ulteriormente i servizi offerti dagli sportelli unici, rendendone l’utilizzo più agevole per gli utenti.

In questa prospettiva, la Presidenza intende sottoporre le conclusioni del Consiglio per un miglior funzionamento del mercato unico dei servizi in occasione del Consiglio del 10 marzo 2011, nelle quali viene sottolineata l’importanza di potenziare gli sforzi a favore di una completa attuazione della direttiva Servizi. Al contempo, il Consiglio accoglie con favore i risultati ottenuti finora, compresi gli esiti del processo di valutazione reciproca.

 

Interrogazione n.14 dell’onorevole Toussas (H-000104/11)
 Oggetto: Arresti e assassini di oppositori e di sindacalisti in Colombia
 

La Confederazione dei lavoratori di Colombia e la Federazione sindacale mondiale condannano i nuovi arresti e assassini di oppositori e sindacalisti in Colombia da parte di organi del regime e di gruppi paragovernativi. Il 5 febbraio è stato assassinato Carlos Alberto Ayala, insegnante e membro dell'Unione dei professori di Colombia, mentre solo nel 2010 erano stati assassinati 25 appartenenti al corpo insegnante.

Può il Consiglio dire se condanna gli assassini di sindacalisti in Colombia e se esige che i responsabili siano puniti?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di marzo 2011 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

(EN) Il Consiglio ha sempre fortemente condannato e considerato inammissibili le uccisioni e le violazioni dei diritti umani in Colombia.

Nell’ambito del dialogo politico con le autorità colombiane e, soprattutto, nel quadro nel dialogo specifico ad alto livello sui diritti umani, l’Unione europea ha invitato ripetutamente Bogotá ad aumentare gli sforzi per proteggere i gruppi più vulnerabili della popolazione, compresi i capi e i membri dei sindacati.

Devono essere svolte delle indagini sugli omicidi dei sindacalisti e su tutte le violazioni dei diritti umani commessi da diversi attori nel corso del conflitto interno in Colombia che prosegue da cinquant’anni. È fondamentale inoltre che i responsabili siano puniti.

Con l’ausilio dei programmi di cooperazione, incentrati principalmente nel settore dalla giustizia e dello stato di diritto, l’Unione europea ha sempre sostenuto la lotta all’impunità.

L’Unione europea accoglie con favore l’impegno del nuovo governo colombiano sotto la presidenza di Satos per i diritti umani e per migliorare le relazioni con i sindacati, come dimostrato dalla nomina a vice presidente di Angelino Garzón, ex leader del più grande sindacato della Colombia.

Il Consiglio auspica che nei prossimi mesi si assista a superamento delle divisioni nella società colombiana, fulcro del conflitto interno, e delle violazioni dei diritti umani che ne deriva.

 

INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 20 dell’onorevole Ludford (H-000097/11)
 Oggetto: Paradisi fiscali
 

Qual è la politica dell’UE in material di paradisi fiscali e giustizia fiscal?

 
  
 

(EN) L’Unione europea ha istituito una politica per la promozione della buona governance in materia fiscale basata su tre principi: trasparenza dei sistemi fiscali, scambio di informazioni in materia di imposte e una concorrenza fiscale leale. Vengono trattati di fatto anche i cosiddetti “paradisi fiscali”; sebbene la politica non vi sia specificatamente dedicata, è comunque finalizzata a migliorare in generale la buona governance fiscale.

La Commissione è attivamente impegnata nel tentativo di migliorare le azioni definite nelle sue comunicazioni del 2009 e del 2010 sulla “Promozione della buona governance in materia fiscale” e su “Fiscalità e sviluppo”, alla base della politica della Commissione in materia. In termini pratici questo significa:

in materia di trasparenza e di scambio di informazioni, garantire che le amministrazioni fiscali abbiano accesso, possano elaborare e scambiare tra loro in modo efficace le informazioni importanti sui contribuenti in materia fiscale;

in materia di concorrenza fiscale dannosa, eliminare i regimi fiscali ideati per attirare i contribuenti di altri paesi in modo illecito, mantenendo la capacità di impiegare le imposte quale strumento per la competizione leale all’interno del mercato unico.

Questa strategia ha chiaramente una dimensione internazionale. La Commissione appoggia l’inserimento dell’impegno per la buona governance in materia fiscale nel corso dei negoziati per gli accordi dell’Unione europea con paesi terzi. Condivide inoltre l’impegno congiunto intrapreso nel corso di forum internazionali quali il G20, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici e le Nazioni Unite.

Per quanto riguarda la tassazione dei redditi da risparmio e oltre agli accordi già in vigore con paesi terzi, la Commissione sta attivamente promuovendo i propri standard (incluso lo scambio automatico di informazioni) nel suo dialogo sia con gli Stati europei che non fanno parte dell’UE sia con altri importanti centri finanziari quali Singapore, Hong Kong e Macao.

La questione della giustizia fiscale non è di competenza della Commissione, la quale riconosce la responsabilità dei singoli paesi nel miglioramento del proprio sistema di entrate e nelle proprie politiche fiscali sulla base della loro specifica situazione e delle scelte economiche e politiche.

 

Interrogazione n. 21 dell’onorevole Crowley (H-000100/11)
 Oggetto: CCCTB
 

Una recente ricerca effettuata da Ernst & Young sugli effetti che una base imponibile consolidata comune per le imprese (CCCTB) avrebbe sulle aziende europee evidenzia che tale misura si tradurrebbe in costi di conformità più elevati, aliquote effettive più alte, incertezza in materia di aliquote fiscali e danni per l'Unione europea come meta di investimento. Può la Commissione rilasciare una dichiarazione in risposta ai dati emersi dalla ricerca?

 
  
 

(EN) La Commissione è a conoscenza della ricerca menzionata dall’onorevole Crowley. Si tratta di un’analisi aggiuntiva di grande valore inserita alla discussione. I risultati della ricerca devono comunque essere inseriti in un contesto che si basa sull’esame di cinque gruppi di aziende.

La Commissione si impegna a rimuovere gli ostacoli presenti al completamento del mercato unico e la CCCTB rappresenta uno strumento e un sostegno fondamentale verso questo obiettivo. Il Collegio dei Commissari prenderà in considerazione la proposta della CCCTB per la sua adozione nel marzo 2011, accompagnata da una dettagliata valutazione di impatto e dalla pubblicazione di diversi studi sulla base dei quali la Commissione valuterà l’approccio più vantaggioso per garantire che la CCCTB contribuisca a un migliore contesto per la crescita e l’occupabilità nell’Unione europea.

 

Interrogazione n. 23 dell’onorevole Higgins (H-000065/11)
 Oggetto: Crisi finanziaria in Irlanda
 

Non ritiene la Commissione che le istituzioni dell’UE, omettendo di rilevare gli errori dell’autorità di regolamentazione irlandesi, si siano dimostrate in certa misura negligenti?

Potrebbe la Commissione chiarire in quali circostanze si potrebbero eventualmente rimettere in discussione le misure di salvataggio a favore dell’Irlanda?

 
  
 

(EN) La Commissione e il Consiglio hanno ripetutamente sottolineato i rischi negativi di natura fiscale e macro-economica correlati al boom delle proprietà in Irlanda dall’inizio del 2000, come parte di regolari procedure di controllo fiscale, e alla fine del 2007 e del 2008 secondo la Strategia di Lisbona. Nonostante questo, la Commissione riconosce che un futuro controllo macro-economico su tutti gli Stati membri dovrà essere più completo e ampliato fino a includere anche i rischi correlati al settore privato.

Per quanto riguarda il tasso di interesse, la Commissione sostiene, in linea di principio, una riduzione del margine del tasso di interesse sulla parte europea dei prestiti interessati dal meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria e dal Fondo europeo di stabilità finanziaria. La decisione finale in questo ambito spetta al Consiglio e agli Stati membri dell'area euro; questa decisione deve anche essere inserita nel contesto di un pacchetto completo comprensivo dei progressi in termini di governance economica nell’eurozona, Del nuovo meccanismo europeo di stabilità e delle misure di adeguamento degli Stati membri. Per quanto riguarda l'Irlanda, qualsiasi riduzione dei tassi di interesse non dovrà alterare il percorso di consolidamento già concordato, che prevede il raggiungimento di un disavanzo del PIL irlandese del 3 per cento entro il 2015.

Per quanto riguarda la modifica del programma di assistenza UE-FMI, vanno rinegoziati i principali elementi e obiettivi, per i quali la politica definita nel programma è adeguata. Le revisioni trimestrali del programma offrono la possibilità di valutare se le mutate circostanze sono un segnale di cambiamenti in determinati elementi del programma. Tutte le misure devono comunque prendere in considerazione l’effetto che possono avere su crescita, competitività e sostenibilità sul lungo termine delle finanze pubbliche. Per quanto riguarda una più ampia governance economica, qualsiasi accordo a livello europeo non dovrà di per sé determinare il cambiamento della politica concordata con l’Irlanda.

 

Interrogazione n. 24 dell’onorevole Mitchell (H-000082/11)
 Oggetto: Tassi di interesse dei prestiti concessi dall’UE e dal FMI all’Irlanda
 

L'attuale tasso di interesse del 5,8per cento annuo del prestito che l'Irlanda ha ricevuto dall'UE e dal FMI significa che il paese dovrà versare quasi 30 miliardi di euro di interessi nel corso dei prossimi sette anni e mezzo. La crescita economica sarà gravemente compromessa da questi rimborsi. Poiché il tasso di interesse è stato fissato con una formula, che può essere modificata da un accordo fra i membri dell'UE e della zona dell'euro, può la Commissione formulare un parere sull'eventualità di un tasso di interesse più basso?

 
 

Interrogazione n. 25 dell’onorevole Gallagher (H-000094/11)
  Oggetto: Possibili modifiche al Memorandum d'intesa concluso tra Irlanda, UE e FMI
 

Può la Commissione indicare se i lavori in corso per istituire un meccanismo europeo di stabilità permanente, che dovrebbero concludersi con il Consiglio europeo di marzo, avranno ripercussioni o comporteranno modifiche per il Memorandum d'intesa concluso tra il governo irlandese, l'UE e il Fondo monetario internazionale?

 
  
 

(EN) La Commissione e il Consiglio hanno ripetutamente sottolineato i rischi negativi di natura fiscale e macro-economica correlati al boom delle proprietà in Irlanda dall’inizio del 2000, come parte di regolari procedure di controllo fiscale, e alla fine del 2007 e del 2008 secondo la Strategia di Lisbona. Nonostante questo, la Commissione riconosce che un futuro controllo macro-economico su tutti gli Stati membri dovrà essere più completo e ampliato fino a includere anche i rischi correlati al settore privato.

Per quanto riguarda il tasso di interesse, la Commissione sostiene, in linea di principio, una riduzione del margine del tasso di interesse sulla parte europea dei prestiti interessati dal meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria e dal Fondo europeo di stabilità finanziaria. La decisione finale in questo ambito spetta al Consiglio e agli Stati membri dell'aera euro; questa decisione deve anche essere inserita nel contesto di un pacchetto completo comprensivo dei progressi in termini di governance economica nell’eurozona, del nuovo meccanismo europeo di stabilità e delle misure di adeguamento degli Stati membri. Per quanto riguarda l'Irlanda, qualsiasi riduzione dei tassi di interesse non dovrà alterare il percorso di consolidamento già concordato, che prevede il raggiungimento di un disavanzo del PIL irlandese del 3 per cento entro il 2015.

Per quanto riguarda la modifica del programma di assistenza UE-FMI, vanno rinegoziati i principali elementi e obiettivi, per i quali la politica definita nel programma è adeguata. Le revisioni trimestrali del programma offrono la possibilità di valutare se le mutate circostanze sono un segnale di cambiamenti in determinati elementi del programma. Tutte le misure devono comunque prendere in considerazione l’effetto che possono avere su crescita, competitività e sostenibilità sul lungo termine delle finanze pubbliche. Per quanto riguarda una più ampia governance economica, qualsiasi accordo a livello europeo non dovrà di per sé determinare il cambiamento della politica concordata con l’Irlanda.

 

Interrogazione n. 26 dell’onorevole Papastamkos (H-000066/11)
 Oggetto: Patto di competitività europeo
 

La crisi economica e la crisi della zona euro hanno posto in evidenza, al di là del carattere patogeno delle politiche economiche degli Stati membri della zona euro, i deficit strutturali della costruzione stessa dell'UEM. È vero che la Commissione cerca attraverso una serie di proposte presentate sin dal manifestarsi della crisi di stabilizzare e rafforzare la costruzione dell'UEM, in particolare del suo primo pilastro tuttora imperfetto, cioè a dire quello dell'unione economica, ma è vero anche che l'esperienza decennale dell'UEM fa registrare vincitori e perdenti a livello di competitività economica.

Può la Commissione riferire se nell'ambito delle sue proposte tendenti a pervenire a una governance economica più europea intende includere un patto europeo sulla competitività più strutturato?

 
  
 

(EN) La Commissione ha monitorato per un lungo periodo gli sviluppo delle tendenze in materia di competitività nella zona euro. L’analisi è servita come stimolo per le proposte legislative sulla governance economica presentate dalla Commissione nel settembre 2010 e soprattutto per la nuova procedura per gli squilibri eccessivi, finalizzata a individuare sin dall’inizio sviluppi negativi in termini di competitività e a fornire, con cadenza annuale, raccomandazioni su questa politica agli Stati membri interessati.

Per quanto riguarda l’Unione europea nel suo complesso, una concorrenza in continua crescita è da sempre un obiettivo di numerose iniziative europee, quali la strategia di Lisbona e la più recente strategia Europa 2020. Il 12 gennaio 2011 la Commissione ha pubblicato la prima analisi annuale della crescita che presenta il punto di vista della Commissione in merito alle priorità immediate per la riforma economica dell’Unione europea. l’analisi comprende una guida di politica orizzontale per l’Unione europea e l’area ero incentrata su dieci azioni prioritarie, con un possibile impatto concreto su competitività, crescita e stabilità macroeconomica. Le azioni prioritarie includono requisiti macro-economici per la crescita, le riforme del mercato del lavoro per una maggiore occupazione e la consegna anticipata delle riforme strutturali per il miglioramento della crescita. L’attuazione di queste politiche sarà monitorata nel contesto del semestre europeo

 

Interrogazione n. 28 dell’onorevole Kratsa-Tsagaropoulou (H-000101/11)
 Oggetto: Scostamento dagli obiettivi di bilancio e privatizzazioni in Grecia
 

Potrebbe la Commissione rispondere ad alcuni quesiti sull'evoluzione dell'attuazione del programma di risanamento dei conti pubblici in Grecia nonché sul ruolo e l'obiettivo delle privatizzazioni? Il piano di privatizzazioni prevedeva inizialmente introiti per 3 miliardi di euro per il biennio 2011-2012; successivamente l'importo è stato rivisto al rialzo (7 miliardi di euro), e attualmente è stato portato a 15 miliardi di euro per il biennio citato e a 35 miliardi di euro per il periodo 2013-2015.

Da che cosa dipende l'esigenza di una simile revisione al rialzo delle entrate derivanti dalla privatizzazione? Qual è l'elemento che all'inizio non era stato valutato correttamente? Che cosa non ha funzionato? È legittimo parlare di uno scostamento dagli obiettivi del programma di risanamento dei conti pubblici del governo greco? Ritiene la Commissione che sia possibile un aumento delle entrate pubbliche in Grecia, segnatamente attraverso le privatizzazioni? In quali settori (servizi pubblici, beni di proprietà dello Stato)? Attraverso quali procedure (concessione in uso, vendita)?

 
  
 

(EN) Dal 27 gennaio all’11 febbraio 2011 personale della Commissione, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale ha svolto la terza verifica del programma economico del governo, sostenuto con un prestito da 80 miliardi di euro da parte dei paesi della zona euro e da un accordo stand-by di 30 miliardi di euro da parte del Fondo. La Commissione richiama l’attenzione dell’onorevole Kratsa-Tsagaropoulou sull’aggiornamento del memorandum d’intesa e sulla revisione di conformità della Commissione, disponibili sul sito internet dell’Unione europea(1), in cui si conclude quanto segue:

Da una valutazione generale emerge un progressivo miglioramento verso il raggiungimento degli obiettivi previsti dal programma. In alcuni ambiti sono stati registrati dei ritardi, tuttavia sono state attuate le riforme fiscali e ad ampio spettro necessarie all’attuazione degli obiettivi a medio termine del programma. Nello specifico:

la Grecia, nel 2010, ha conseguito un risanamento del bilancio sorprendente. La stima del deficit fiscale per il 2010 è di 9,5 punti percentuali rispetto al PIL, vale a dire un calo di 6 punti rispetto al 2009. Ciò nonostante, il risultato si pone ben al di sotto dell’obiettivo fissato nel programma dell’8per cento rispetto al PIL. La discrepanza, tuttavia, è stata determinata principalmente dalla revisione dei dati statistici eseguita nell’autunno 2010 e il processo di esecuzione del bilancio ha riscontrato notevoli problemi. La lotta all’evasione fiscale non ha (ancora) fruttato i guadagni previsti e persistono problemi considerevoli nel controllo delle spese.

Per il 2011 è stato fissato l’obiettivo di ridurre il disavanzo di bilancio al 7,5per cento rispetto al PIL, in linea con l’obiettivo del programma. Ciò significa che il governo non intende concentrare la propria attenzione sulla debole efficienza fiscale ottenuta nel 2010 bensì mira a mantenere costanti gli sforzi di adeguamento del bilancio nel 2011, come previsto inizialmente. Gli obiettivi in materia fiscale contenuti nel programma, sono stati rivisti.

Con l’obiettivo di ridurre il deficit al di sotto del 3per cento del PIL nel 2014, il governo sta attualmente elaborando la strategia fiscale di medio termine, nell’ambito della quale intende potenziare il programma iniziale di privatizzazioni e di sviluppo di progetti immobiliari che frutti 50 miliardi di euro entro il 2015. Gli introiti provenienti dalle privatizzazioni verranno utilizzati per ridurre il debito e non sostituiranno le misure previste per il risanamento dei conti pubblici. L’indice di indebitamento potrebbe potenzialmente essere ridotto di più di 20 punti del PIL nei prossimi 5 anni e, nel caso in cui l’iniziativa abbia successo, potrebbe migliorare considerevolmente il clima del mercato nei confronti della Grecia. La Commissione e i paesi della zona euro dovrebbero incoraggiare la Grecia ad attuare con determinazione il programma di privatizzazioni.

Il governo stabilirà e renderà noti i dettagli e le modalità di attuazione del programma di privatizzazioni e di sviluppo di progetti immobiliari.

 
 

(1) http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/occasional_paper/2011/pdf/ocp77_en.pdf

 

Interrogazione n. 29 dell'onorevole Podimata (H-000103/11)
 Oggetto: Rafforzamento e allargamento del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF)
 

Il rafforzamento della governance economica e la creazione di un meccanismo permanente di stabilità sono due riforme fondamentali che mirano a garantire la stabilità, la competitività e una reale convergenza dei paesi della zona euro. Il Consiglio europeo di primavera dovrà tuttavia dare, in via prioritaria, una risposta globale e circostanziata alla crisi del debito.

In questo contesto, può la Commissione far sapere:

se condivide l'esigenza di ampliare il campo di azione, le competenze e le reali disponibilità in capitali di FESF al fine di accelerare il processo di uscita dalla crisi e preparare il terreno a una più sostanziale e immediata convergenza economica della zona euro;

se sostiene in particolare l'istituzionalizzazione della possibilità di acquistare obbligazioni sul mercato secondario o di accordare un finanziamento agli Stati membri affinché riscattino il debito;

se condivide l'esigenza di ridurre i tassi dei prestiti alla Grecia e all'Irlanda;

inoltre, tenuto conto della recente risoluzione approvata dal PE il 16 dicembre 2010, quali azioni concrete intende attuare per rispondere alla domanda di una valutazione approfondita del futuro sistema di emissione di eurobbligazioni?

 
  
 

(EN) In attesa dell’introduzione del Meccanismo europeo di stabilità nel giugno 2013, al Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) spetta un ruolo chiave nel garantire la stabilità finanziaria nella zona dell’euro. Per poter ricoprire adeguatamente tale ruolo, la Commissione è fermamente convinta che il FESF vada rafforzato per aumentarne l’efficienza, la credibilità e la flessibilità. In particolare, la capacità di globale effettiva di erogazione prestiti del FESF dovrebbe essere riportata a 440 miliardi di euro aumentando il livello complessivo delle garanzie.

La Commissione è a favore di una gamma di strumenti flessibile e più ampia per il FESF (nonché per il MES). La Commissione ritiene che una maggiore flessibilità in quest’ambito potrebbe contribuire a migliorare l’efficacia del meccanismo e a fornire risposte mirate alla situazione specifica dello Stato membro interessato.

La Commissione appoggia inoltre le iniziative volte a migliorare le condizioni di erogazione prestiti del FESF.

 

Interrogazione n. 30 dell'onorevole Koumoutsakos (H-000105/11)
 Oggetto: Creazione di obbligazioni europee (projects eurobonds)
 

Nell'ultimo anno si è cercato di far fronte alla crisi della zona euro e tra le varie proposte che si sono sentite e sono state discusse vi è quella relativa alla creazione di obbligazioni europee. Il dibattito non ha finora dato alcun esito, nonostante che tale proposta abbia ricevuto il sostegno di numerosi Stati membri, dal presidente della Commissione José Manuel Barroso e dal presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker.

In considerazione di ciò, può la Commissione riferire se esiste una qualche formula che consenta di definire le obbligazioni europee, come ad esempio le obbligazioni europee destinate al finanziamento di determinati progetti e programmi di sviluppo (projects eurobonds), tale da ottenere un consenso che alla fine potrebbe essere accettabile per tutti e, se una siffatta formula esiste, quale potrebbe essere?

 
  
 

(EN) In seguito all’annuncio del Presidente della Commissione in occasione del discorso sullo stato dell’Unione dinanzi al Parlamento nel settembre 2010, la Commissione e la Banca europea degli investimenti (BEI) hanno lavorato alacremente per mettere a punto il piano definitivo delle obbligazioni europee destinate al finanziamento di determinati progetti e programmi di sviluppo (project bonds comunitari). In occasione di una conferenza stampa tenuta dal membro della Commissione per gli Affari economici e monetari e dal Presidente della BEI Maystadt il 28 febbraio 2011, è stato formalmente presentato un documento di consultazione delle parti interessate con il progetto proposto.

La consultazione proseguirà fino al 2 maggio 2011, con una conferenza finale l’11 aprile 2011, e l’obiettivo è consentire alla Commissione di formulare una proposta per il prossimo quadro finanziario pluriennale nel giugno 2011.

Il concetto di base è consentire alle società che partecipano al progetto di reperire finanziamenti per i progetti infrastrutturali nel mercato dei capitali tramite l’emissione di obbligazioni, oltre ai metodi tradizionali per ottenere prestiti.

I progetti ritenuti idonei dovrebbero essere in linea con gli obiettivi di Europa 2020, ad esempio progetti infrastrutturali a lungo termine che rivestono un interesse pubblico rilevante e che hanno il potenziale di generare introiti.

Attrarre finanziamenti sufficienti è difficile, a causa dei rischi associati al fatto che tali progetti sono a lungo termine.

Per colmare questo divario in termini di finanziamenti, l’UE e la BEI assumerebbero parte del rischio, per agevolare il finanziamento del debito privato e invogliare gli investitori del mercato di capitali a lungo termine a investire in tali obbligazioni a lungo termine. Tali investitori a lungo termine sono, ad esempio, le compagnie di assicurazione e i fondi pensione.

Va precisato che sia la BEI sia l’UE condividerebbero il rischio connesso alla remunerazione, ma non emetterebbero obbligazioni. In altre parole, l’iniziativa non andrebbe confusa con i cosiddetti “eurobonds”, che si riferiscono solitamente all’emissione congiunta di debito da parte degli Stati membri.

 

Interrogazione n. 32 dell'onorevole Ţicău (H-000081/11)
 Oggetto: Accordo di associazione tra l'Unione europea e il Mercosur
 

Nel 2010 il Mercosur rappresentava il quarto insieme economico del mondo con un PIL di 1.300 miliardi di dollari e una popolazione di 240 milioni di abitanti. Il Brasile è la prima economia della zona Mercosur, di cui rappresenta il 79per cento del PIL, vengono quindi l’Argentina (18per cento), l’Uruguay (2per cento) e il Paraguay (1per cento). L’Unione europea è il principale investitore e partner commerciale del Mercosur e i suoi investimenti riguardano essenzialmente il settore bancario, le telecomunicazioni, il settore finanziario e l’industria. In tale contesto, i negoziati relativi all’accordo di associazione tra l’Unione europea e il Mercosur rivestono grande importanza per lo sviluppo economico di entrambe le parti.

Può la Commissione indicare a che punto sono i negoziati, quali sono le principali difficoltà incontrate nel processo negoziale, quali tappe e quale calendario sono previsti per la conclusione dell’accordo di associazione tra l’Unione europea e il Mercosur?

 
  
 

(EN) L’UE sta negoziando con Mercosur un accordo di associazione composto da tre capitoli: politico, economico e commerciale. I negoziati sono ripresi nel maggio dello scorso anno, in occasione del vertice UE-Mercosur. Da allora, si sono svolti tre cicli di negoziati. Tuttavia, fino a oggi le discussioni si sono concentrate su norme in materia di requisiti sanitari, barriere tecniche, strumenti di difesa commerciale o norme generali in materia di servizi e appalti pubblici. Non si è ancora discusso di accesso ai mercati.

Dopo ogni ciclo di negoziati, sono state inviate alla commissione per il commercio internazionale (INTA) e alla commissione per la politica commerciale del Consiglio relazioni scritte e i testi aggiornati.

Pur essendo ancora presto per individuare i punti critici principali di tali negoziati, è chiaro che le discussioni sull’accesso ai mercati, soprattutto in agricoltura, saranno molto impegnative.

La Commissione assicura al Parlamento che si rende perfettamente conto degli aspetti più delicati dei settori agricolo e alimentare europei. Per questo ha sempre precisato a Mercosur - fin dall’avvio dei negoziati - che per determinati prodotti agricoli non saremmo stati in grado di liberalizzare completamente gli scambi con Mercosur. Le carni bovine sono uno di questi prodotti.

Tuttavia, è importante ricordare che l’UE detiene anche degli interessi offensivi in agricoltura e che dovrebbe pertanto mirare all’abolizione dei dazi in vigore sull’importazione da Mercosur anche per i prodotti agroalimentari.

Anche se l’agricoltura rappresenterà un ambito difficile per i negoziati, la Commissione si attende che lo stesso accada anche per le discussioni sull’accesso ai mercati di Mercosur per i prodotti e servizi industriali comunitari.

Al momento, l’UE e Mercosur sono entrambe impegnate a redigere internamente le offerte per l’accesso ai mercati. Quando le offerte saranno pronte, verrà presa una decisione sulle tempistiche migliori per procedere a uno scambio simultaneo.

Infine, la Commissione si rende perfettamente conto delle preoccupazioni espresse dall’onorevole deputato, nonché di quelle manifestate dagli agricoltori comunitari circa la necessità che i prodotti importati si conformino ai medesimi standard di qualità imposti alle merci prodotte nell’UE.

In questo contesto, la Commissione desidera sottolineare che tutti i prodotti collocati sul mercato comunitario devono uniformarsi ai requisiti di importazione in materia di sicurezza alimentare, salute di animali e piante, nonché determinati aspetti del benessere degli animali. Tali prodotti importati sono pertanto considerati sicuri.

La Commissione può garantire che l’accordo UE-Mercosur, come qualsiasi altro accordo bilaterale, non porterà a un allentamento degli obblighi in termini di importazioni nell’UE.

Gli standard in materia di sicurezza degli animali, delle piante e degli alimenti, correlati al commercio con i paesi terzi, meritano un’attenzione particolare e verranno affrontati nel corso dei negoziati. La Commissione si adopererà per negoziare l’integrazione degli standard comunitari e per istituire programmi di cooperazione tecnica nell’accordo di associazione futuro tra UE e Mercosur.

Le date dei tre prossimi cicli di negoziati sono già state fissate per marzo, maggio e luglio 2011, e la sede si alternerà tra Bruxelles e il Paraguay. Per il momento, l’obiettivo della Commissione rimane la conclusione dei negoziati entro la fine del 2011.

 

Interrogazione n.33 dell'onorevole Aylward (H-000088/11)
 Oggetto: Negoziati commerciali tra l'UE e il Mercosur
 

In vista della riunione tra l'UE e i paesi del Mercosur prevista per il prossimo mese di marzo, può la Commissione riferire in merito ai risultati degli ultimi tre cicli di incontri?

La Commissione ha dichiarato che l'accordo in questione sarà globale e ambizioso, con obblighi che andranno al di là di quelli assunti nel quadro dell'Organizzazione mondiale del commercio, e che saranno presi in considerazione gli aspetti sensibili legati a determinati prodotti o settori.

Può la Commissione fornire ulteriori informazioni circa i provvedimenti intrapresi per garantire che gli interessi degli agricoltori europei, inclusi gli allevatori di bovini da macello e non, siano tenuti in debita considerazione? Cosa intende fare la Commissione per scongiurare il rischio di un'uscita dal mercato degli agricoltori europei a causa della disponibilità di prodotti più economici importati da paesi in cui si applicano standard inferiori in materia di salute e ambiente nonché di benessere delle piante e degli animali?

 
  
 

(EN) L’UE sta negoziando con Mercosur un accordo di associazione composto da tre capitoli: politico, economico e commerciale. I negoziati sono ripresi nel maggio dello scorso anno, in occasione del vertice UE-Mercosur. Da allora, si sono svolti tre cicli di negoziati. Tuttavia, fino a oggi le discussioni si sono concentrate su norme in materia di requisiti sanitari, barriere tecniche, strumenti di difesa commerciale o norme generali in materia di servizi e appalti pubblici. Non si è ancora discusso di accesso ai mercati.

Dopo ogni ciclo di negoziati, sono state inviate alla commissione per il commercio internazionale (INTA) e alla commissione per la politica commerciale del Consiglio relazioni scritte e i testi aggiornati.

Pur essendo ancora presto per individuare i punti critici principali di tali negoziati, è chiaro che le discussioni sull’accesso ai mercati, soprattutto in agricoltura, saranno molto impegnative.

La Commissione assicura al Parlamento che si rende perfettamente conto degli aspetti più delicati dei settori agricolo e alimentare europei. Per questo ha sempre precisato a Mercosur - fin dall’avvio dei negoziati - che per determinati prodotti agricoli non saremmo stati in grado di liberalizzare completamente gli scambi con Mercosur. Le carni bovine sono uno di questi prodotti.

Tuttavia, è importante ricordare che l’UE detiene anche degli interessi offensivi in agricoltura e che dovrebbe pertanto mirare all’abolizione dei dazi in vigore sull’importazione da Mercosur anche per i prodotti agroalimentari.

Anche se l’agricoltura rappresenterà un ambito difficile per i negoziati, la Commissione si attende che lo stesso accada anche per le discussioni sull’accesso ai mercati di Mercosur per i prodotti e servizi industriali comunitari.

Al momento, l’UE e Mercosur sono entrambe impegnate a redigere internamente le offerte per l’accesso ai mercati. Quando le offerte saranno pronte, verrà presa una decisione sulle tempistiche migliori per procedere a uno scambio simultaneo. Infine, la Commissione si rende perfettamente conto delle preoccupazioni espresse dall’onorevole deputato, nonché di quelle manifestate dagli agricoltori comunitari circa la necessità che i prodotti importati si conformino ai medesimi standard di qualità imposti alle merci prodotte nell’UE.

In questo contesto, la Commissione desidera sottolineare che tutti i prodotti collocati sul mercato comunitario devono uniformarsi ai requisiti di importazione in materia di sicurezza alimentare, salute di animali e piante, nonché determinati aspetti del benessere degli animali. Tali prodotti importati sono pertanto considerati sicuri.

La Commissione può garantire che l’accordo UE-Mercosur, come qualsiasi altro accordo bilaterale, non porterà a un allentamento degli obblighi in termini di importazioni nell’UE.

Gli standard in materia di sicurezza degli animali, delle piante e degli alimenti, correlati al commercio con i paesi terzi, meritano un’attenzione particolare e verranno affrontati nel corso dei negoziati. La Commissione si adopererà per negoziare l’integrazione degli standard comunitari e per istituire programmi di cooperazione tecnica nell’accordo di associazione futuro tra UE e Mercosur.

Le date dei tre prossimi cicli di negoziati sono già state fissate per marzo, maggio e luglio 2011, e la sede si alternerà tra Bruxelles e il Paraguay. Per il momento, l’obiettivo della Commissione rimane la conclusione dei negoziati entro la fine del 2011.

 

Interrogazione n.34 dell'onorevole Sturdy (H-000090/11)
 Oggetto: Diritti di proprietà intellettuale per l'innovazione nell'ambito dei negoziati di libero scambio UE - India
 

La politica commerciale dell'UE ha un ruolo importante da svolgere nel conseguimento degli obiettivi della strategia UE 2020, attraverso tra l'altro, la conclusione di accordi di libero scambio (ALS). Essendo un'economia che registra una delle più rapide crescite al mondo, l'India è destinata a diventare, nei prossimi anni, un partner strategico fondamentale dell'UE. Un accordo di libero scambio aumenterà ulteriormente le opportunità di investimento per le imprese europee in India e migliorerà l'accesso ai mercati sia per le imprese europee che per quelle indiane. I benefici del commercio possono contribuire a far uscire milioni di indiani dalla povertà.

Poiché l'India diventa sempre più un'economia basata sulla conoscenza e l'innovazione svolge un ruolo cruciale per l'economia indiana, gli investimenti delle imprese innovative europee contribuiranno anche a favorire l'innovazione che, tuttavia, si basa su un solido quadro di diritti di proprietà intellettuale. Se non si riescono a proteggere i frutti dell'innovazione, le imprese innovative hanno poco incentivo ad investire.

Può dire la Commissione in che modo tiene conto dell'importanza dei diritti di proprietà intellettuale per l'innovazione negli attuali negoziati per un accordo di libero scambio con l'India?

 
  
 

(EN) La Commissione concorda sul fatto che la politica commerciale europea deve ricoprire un ruolo essenziale nel raggiungimento degli obiettivi della strategia UE 2020 stimolando la crescita e l’occupazione. I negoziati per un accordo di libero scambio con l’India rappresentano un’occasione imperdibile per produrre risultati su questi obiettivi.

L’accordo di libero scambio con l’India riveste un’enorme importanza economica e strategica. Poiché rappresenta una delle economie a più rapida crescita del mondo, l’India è un partner commerciale importante per l’UE e una potenza economica globale in ascesa. A un mercato in crescita che conta più di 1 miliardo di persone, si aggiunge un tasso di crescita che si assesta tra l’8 e il 10per cento.

La tutela adeguata dei nostri diritti di proprietà intellettuale rappresenta un elemento essenziale della nostra strategia per la competitività esterna.

Se l’UE desidera rimanere un’economia competitiva, deve affidarsi all’innovazione, alla creatività e all’esclusiva del marchio. è questo uno dei vantaggi comparativi principali dell’UE sul mercato mondiale. L’UE necessita pertanto di strumenti per garantire una protezione adeguata di questo vantaggio comparativo nei nostri principali mercati d’esportazione, compresa l’India.

L’obiettivo dell’UE nei negoziati sui diritti di proprietà intellettuale è garantire che gli innovatori europei possano operare e competere in un ambiente giuridicamente sicuro e non discriminatorio e assicurare un livello adeguato di protezione delle innovazioni, delle invenzioni e delle creazioni.

Inoltre, in questo modo, aumenteremo l’accesso ai mercati per le imprese sia europee sia indiane, e consentiremo all’India di potenziare la sua capacità innovativa e il suo contributo all’economia globale.

Un elemento importante da tenere a mente in questo contesto è il ruolo svolto dall’India quale fornitore chiave di medicinali generici al mondo in via di sviluppo. L’UE si adopererà pertanto affinché le disposizioni in materia di diritti di proprietà intellettuale contenute nell’accordo di libero scambio siano bilanciate e non ostacolino in alcun modo l’accesso a farmaci a basso prezzo in India e in altri paesi in via di sviluppo. La tutela adeguata dei diritti di proprietà intellettuale e l’accesso ai medicinali possono e devono sostenersi a vicenda.

Pertanto, è nell’interesse sia dell’UE sia dell’India garantire condizioni adeguate ed equilibrate in materia di proprietà intellettuale, in modo da promuovere la crescita, agevolare le attività commerciali e creare posti di lavoro in entrambe le nostre economie.

 

Interrogazione n.36 dell'onorevole Pargneaux (H-000072/11)
 Oggetto: Nuovo studio sugli effetti dell'edulcorante aspartame
 

L'aspartame potrebbe aumentare il rischio di parti prematuri e di cancro al fegato e ai polmoni. Queste le conclusioni alle quali sono giunti due gruppi di ricercatori europei.

Può la Commissione indicare se l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) presenterà un parere o una relazione in materia di aspartame nelle prossime settimane? In caso affermativo, sarebbe possibile corredare tale parere di una nuova ricerca aggiornata e dettagliata sull'edulcorante in questione, dato che l'ultimo parere espresso dall'EFSA risale al 2002?

 
  
 

(EN) La Commissione ha preso nota degli studi recenti di T. Halldorsson(1) e M. Soffritti(2) sugli effetti potenziali degli edulcoranti sulla salute umana, in particolare dell’aspartame.

Una volta venutane a conoscenza, la Commissione ha chiesto immediatamente all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) di procedere senza indugio alla valutazione di tali studi.

Il 28 febbraio l’Autorità ha pubblicato l’esito di tale valutazione in una dichiarazione(3) che giunge alla conclusione che le informazioni contenute in questi articoli non giustificano la revisione delle valutazioni di sicurezza precedentemente condotte sull’aspartame e su altri edulcoranti.

La sicurezza degli edulcoranti - e dell’aspartame in particolare - è oggetto di revisioni programmate da parte dell’EFSA. Da quando l’EFSA ha pubblicato il primo parere sull’aspartame nel 2002, l’Autorità ha valutato diversi studi sull’aspartame pubblicati in letteratura, e ha sempre confermato la sicurezza dell’aspartame.

L’EFSA continuerà a monitorare la letteratura scientifica alla ricerca di nuove evidenze scientifiche sugli edulcoranti che possano segnalare un possibile rischio per la salute umana o che possano comunque influire sulle valutazioni relative alla sicurezza degli edulcoranti.

Sulla base di tali conclusioni, la Commissione non ritiene opportuno chiedere all’EFSA di condurre una nuova rivalutazione completa dell’aspartame. Nel programma di rivalutazione di tutti gli additivi alimentari attualmente autorizzati inserito nel regolamento della Commissione (UE) n. 257/2010(4), è prevista una rivalutazione di tutti gli edulcoranti entro il 31 dicembre 2020.

 
 

(1) “Intake of artificially sweetened soft drinks and risk of preterm delivery: a prospective cohort study in 59334 Danish pregnant women” (Assunzione di bibite contenenti edulcoranti artificiali e rischio di parto pretermine: uno studio prospettico su una coorte di 59334 donne danesi in stato di gravidanza), Am J clin Nutr 2010, 92:626-33, Thorhallur I Halldorsson
(2) “L’aspartame somministrato nei cibi, dal periodo prenatale e per tutta la durata della vita, induce tumori epatici e polmonari nei ratti maschi svizzeri”, Morando Soffritti, Wiley-Liss, Inc 2010
(3) Dichiarazione dell’EFSA sulla “valutazione scientifica di due studi relativi alla sicurezza degli edulcoranti artificiali”; EFSA Journal 2011;9(2):2089; http://www.efsa.europa.eu/en/press/news/ans110228.htm
(4) Regolamento della Commissione (UE) n. 257/2010 del 25 marzo 2010 che istituisce un programma per la nuova valutazione degli additivi alimentari autorizzati ai sensi del regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento e del Consiglio sugli additivi alimentari, OJ L 80, 26.3.2010

 

Interrogazione n. 37 dell'onorevole Paleckis (H-000073/11)
 Oggetto: Aiuti alle imprese innovative dei nuovi Stati membri dell'UE.
 

Uno dei mezzi che permetteranno all'Unione europea di rimanere competitiva è quello di sviluppare l'innovazione, cioè generare un forte valore aggiunto. Nei nuovi Stati membri dell'UE, alcune piccole imprese innovative sviluppano prodotti che rispondono a tali criteri. Tuttavia, esse non hanno una lunga tradizione in materia di commercializzazione e questo costituisce un ostacolo alla loro competitività sia all'interno sia all'esterno dell'UE.

Ha intenzione la Commissione di proporre misure o azioni di sostegno specifiche per tali società innovative che desiderano promuovere e potenziare le loro PMI all'interno e all'esterno dell'UE? Quali sono i risultati concreti attesi in tale settore?

 
  
 

(FR) Aiutare le piccole e medie imprese (PMI) a sfruttare meglio le opportunità offerte dal mercato unico è uno dei principi di base dello Small Business Act per l’Europa (SBA). Questa rimarrà una delle aree prioritarie di intervento nella revisione dell’SBA, adottato il 23 febbraio 2011. Inoltre, la “Unione dell’innovazione” è una delle iniziative faro della strategia Europa 2020. Nella sua comunicazione del 6 ottobre 2010(1), la Commissione ha presentato un pacchetto di misure studiate per garantire uno sfruttamento più efficace delle idee innovative sul mercato, quali la creazione di un mercato unico dell’innovazione e il sostegno ai settori con grande potenziale creativo.

Inoltre, uno dei modi più efficaci per sostenere l’attività delle imprese innovative è migliorare il loro accesso al finanziamento. Nel periodo 2007-2010, il programma quadro per la competitività e l’innovazione (CIP), grazie al capitolo sull’agevolazione dell’accesso al capitale di rischio per imprese con un grande potenziale di innovazione, ha generato investimenti in 129 imprese a crescita rapida, con un effetto leva pari a sette volte il contributo del bilancio comunitario. Inoltre, grazie all’iniziativa JEREMIE, anche i Fondi strutturali contribuiscono al finanziamento delle PMI con potenziale di innovazione.

Innanzi tutto, in virtù della loro partecipazione al Settimo programma quadro, le stesse PMI sono in grado di creare la loro rete per ottenere un accesso agevolato al mercato internazionale e cooperare più efficacemente con altri soggetti innovativi. In secondo luogo, 20 000 PMI beneficiano di un sostegno diretto pari a 5 miliardi di euro.

Per il periodo 2014-2020, la Commissione si è posta l’obiettivo di mettere a punto strumenti finanziari tesi a generare un incremento sostanziale del finanziamento privato e a colmare le lacune del mercato in termini di investimenti nella ricerca e innovazione. I contributi provenienti dal bilancio comunitario dovrebbero creare un effetto leva importante e proseguire i risultati già ottenuti con il 7PQ e il CIP. La Commissione collaborerà con il gruppo della Banca europea degli investimenti, con gli intermediari finanziari nazionali e con gli investitori privati al fine di, punto primo, investire nel trasferimento della conoscenza e negli avviamenti d’azienda, punto secondo, erogare capitale di rischio alle aziende a crescita rapida che si espandono sui mercati comunitari e globali e, terzo punto, concedere prestiti alle PMI innovative.

In tale contesto va anche ricordato che il 9 febbraio 2011 la Commissione ha pubblicato un Libro verde sul quadro strategico comune intitolato: “Trasformare le sfide in opportunità: verso un quadro strategico comune per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione dell'Unione europea”(2).

Entro il 20 maggio 2011, la Commissione invita le parti interessate che desiderano presentare le loro osservazioni a partecipare a una consultazione pubblica sulla questione all’indirizzo: http://ec.europa.eu/research/csfri/index_en.cfm#" .

Altre linee di intervento sono mirate a stabilire legami più forti tra le imprese innovative e i potenziali investitori a livello transnazionale e a far sì che i fondi di capitale di rischio istituiti in qualsiasi Stato membro possano operare e investire liberamente in tutta l’UE entro il 2012. Inoltre, nel contesto del Forum sul finanziamento delle PMI, la Commissione si occuperà, tra le altre cose, dei problemi specifici di finanziamento riscontrati dalle piccole aziende innovative.

Il nuovo Single Market Act riconosce inoltre l’esigenza di creare un ambiente in cui le PMI possano prosperare. Sono state proposte azioni specifiche per migliorare l’accesso delle PMI ai mercati dei capitali e per semplificare l’ambiente amministrativo.

In aggiunta a ciò, la Commissione intende divulgare meglio i servizi di informazione e sostegno alle PMI, in modo da agevolare l’accesso ad attività commerciali transfrontaliere. Verranno mobilitate a tal fine le reti e gli strumenti esistenti, quali Enterprise Europe Network, Solvit, il portale “La tua Europa – Imprese”, e il portale “Piccole imprese per l’Europa”.

Nel quarto trimestre del 2011 è prevista la pubblicazione di una comunicazione per rafforzare il sostegno alle PMI sui mercat