Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signor Presidente, le ultime tensioni interne e i disordini in Tunisia, Egitto, Libia e in altri paesi arabi hanno causato ingenti flussi migratori che rappresentano, di conseguenza, una sfida e l’Europa deve essere pronta ad affrontarla. Dobbiamo individuare le modalità per far fronte, con un’azione concertata, ai flussi migratori e alle situazioni che si presentano, rispondendo, in uno spirito solidale, alle sfide determinate dalla pressione esterna sul sistema comune.
Sono lieto che il Parlamento abbia adottato oggi una politica per affrontare la questione dei flussi migratori causati dall’instabilità. È con particolare piacere che noto che nella risoluzione del Parlamento si pone particolare l’accento sul potenziamento del ruolo di Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne. Si tratta di un aspetto per cui da tempo si batte il partito liberale danese. Frontex si è rivelata uno strumento di notevole importanza nell’affrontare i flussi migratori dal Nord Africa durante l’attuale crisi della regione. È importante ora che Frontex possa intervenire tempestivamente laddove richiesto.
Pino Arlacchi (S&D). - (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dal momento che rappresenta il primo passo verso una politica dell’Unione europea sui flussi migratori causati dall’instabilità. A tal proposito è fondamentale che il Parlamento si pronunci contro l’idea assurda di un’incombente invasione di immigrati e richiedenti asilo provenienti dal Sud.
Non verremo invasi da milioni di persone che fuggono dalla tirannia e dalle privazioni politiche. Molti cittadini temono l’arrivo di numerosi richiedenti asilo che potrebbero mettere a dura prova i nostri sistemi di assistenza sociale già instabili. È un timore che certo può aiutare a ottenere voti e a raccogliere il consenso per dure politiche sull’immigrazione, ma non corrisponde alla realtà. Secondo le nuove cifre delle Nazioni Unite, il numero totale di richiedenti asilo nei paesi occidentali ha registrato una flessione di oltre il 40 per cento nell’ultimo decennio.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io ho sostenuto e votato questo dossier del collega Provera perché ritengo sia un passo avanti concreto e incisivo nell'auspicata direzione della solidarietà, prevista peraltro dall'articolo 80 con riferimento alla solidarietà all'interno degli Stati membri dell'Unione europea, e con uno sguardo chiaro e definito nei confronti di chi si trova in una posizione di grande difficoltà, come in questa fase in particolare il Nord Africa.
Rispetto dei diritti umani, cooperazione internazionale, rapporti bilaterali ma, nel contempo, organizzazioni regionali quali la Lega araba e l'Unione africana che possono dare un valore aggiunto in un processo di pacificazione stabile e duraturo. Confidiamo che i passi avanti siano impostati anche attraverso interventi su aree omogenee che valorizzino sotto il profilo dell'economia realtà che hanno bisogno di essere sostenute e assistite in un percorso di crescita costante e continuo.
Mitro Repo (S&D). - (FI) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall’instabilità rappresentano una sfida reale per l’Unione europea. Riguarda il destino di ogni essere umano e ciascun individuo ha la propria storia; i migranti sono spinti dalla disperazione, ma sono uniti dalla speranza in un destino migliore.
L’Europa deve dimostrare comprensione e deve essere pronta a fornire aiuto. L’integrazione europea è un progetto comune di successo che ha portato prosperità, stabilità e sicurezza, creando una sorta di isola di benessere. Rispondere all’onda di migranti che busserà alla nostra porta sarà difficile e costoso.
L’esempio di Lampedusa dimostra come questioni di sicurezza nell’ambito della politica estera possano diventare improvvisamente questioni di politica internazionale e per questo la sola cooperazione allo sviluppo non è più sufficiente.
L’Europa necessita di un piano preventivo di ampia portata che tratti gli aspetti legati a sicurezza, cooperazione regionale, politica commerciale, cambiamento climatico, tutela dei diritti umani e sviluppo della democrazia. È questa l’azione che dobbiamo intraprendere.
Carlo Fidanza (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel dibattito europeo sui flussi migratori spesso ci si sente dire: "Quale problema può avere un paese di quasi sessanta milioni di abitanti come l'Italia ad accogliere poche decine di migliaia di immigrati?".
In questa domanda si prescinde, spesso strumentalmente, da due dati. Primo, gran parte di questi immigrati vogliono raggiungere altri paesi dell'Unione europea. Secondo, negli ultimi due anni sono sbarcate sulle coste italiane meno di 4.000 persone, grazie agli accordi bilaterali con la Libia e la Tunisia. Negli ultimi due mesi, dopo la crisi politica, siamo già a 22.000 persone.
Oggi l'Italia è una pentola a pressione. Da un lato il flusso dal Nord Africa, in particolare il flusso di migranti economici dalla Tunisia, non si arresta. Dall'altro, la Francia, a Ventimiglia, respinge i migranti perché senza permesso di soggiorno.
Se la solidarietà europea esiste è il momento di dimostrarlo, stabilendo insieme a livello comunitario come affrontare questi flussi, sia nell'emergenza che nel lungo periodo, quali strumenti attuare nei confronti di chi arriva in Europa e quali misure adottare nei paesi di provenienza. Questo testo è un primo passo in questa direzione e per questa ragione ho votato a favore.
Nicole Sinclaire (NI). - (EN) Signor Presidente, un richiamo al regolamento: il dialogo è l’anima di quest’Assemblea e ovviamente siamo chiamati a dimostrare reciproco rispetto. Nel momento in cui due capigruppo intrattengono conversazioni private mentre altri onorevoli colleghi hanno la parola, quale messaggio viene dato all’Assemblea?
Presidente. − Onorevole Daul e onorevole Schulz, vi prego di essere d’esempio a quest’Assemblea.
Giommaria Uggias (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che abbiamo votato oggi fa un po' di chiarezza sul fenomeno dei flussi migratori ed esalta l'azione di Frontex. Credo che questo debba essere considerato positivamente e, in tal senso, anche il voto.
Credo però che questa posizione debba essere accompagnata da una eguale chiarezza da parte degli Stati membri, perché questa è una sfida che riguarda le Istituzioni europee ma riguarda anche la politica degli Stati membri.
Devo dire, però, che questa chiarezza non è stata attuata e praticata finora da tutti gli Stati membri, a iniziare dalla politica del governo italiano, che ha affrontato in maniera molto criticabile e discutibile la situazione di Lampedusa, dove migliaia di migranti sono stati sostanzialmente abbandonati a se stessi laddove una solidarietà – più che giuridica, umana – avrebbe comportato un'attenzione immediata e sicuramente maggiore rispetto a quella che c'è stata, salvo il fatto, poi, di dover affrontare, così come abbiamo fatto in questa sede, il problema giuridico.
Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, se è vero che molti flussi migratori sono causati dall'instabilità, è con un certo pudore che usiamo a sproposito questo termine, perché l'instabilità in effetti è la guerra, il genocidio, la violenza incontrollata, le insurrezioni, la miseria alla quale sono stati condannati questi popoli, anche con il silenzio dell'Unione europea. Poi c'è il desiderio della libertà. La risoluzione che abbiamo votato invoca una politica a Est dell'Unione e i suoi strumenti più appropriati per intervenire sui vari aspetti che determinano questa instabilità.
Mi chiedo quale credibilità potrà avere questa politica estera, dato che le vicende libiche e del Nord Africa hanno dimostrato l'inesistenza di una politica estera dell'Unione. I governi degli Stati sono andati ciascuno per conto proprio, offrendo un desolante spettacolo al mondo e ai popoli che dovremmo aiutare. L'Unione non è stata in grado di offrire una politica d'accoglienza per i profughi se non in misura limitata rispetto alle necessità. All'isola di Lampedusa e all'Italia non è stata data risposta. Pertanto, votiamo certamente a favore di questo provvedimento, ma invitiamo l'Unione a darsi finalmente una politica estera degna di questo nome.
Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, mi sono astenuto dal voto sulla relazione Provera, principalmente perché ritengo manchi di chiarezza. Contiene molte affermazioni e proposte, alcune anche sensate, aspetto insolito per questo Parlamento. Purtroppo la relazione è un esempio di correttezza politica che non osa trattare – in nessun punto, in nessun paragrafo – la questione di una nuova ondata di immigrazione di massa in Europa, un continente già sovrappopolato. È questione che riguarda principalmente quei paesi che un tempo venivano definiti parte dell’Europa occidentale, ma è comunque una questione di fondamentale importanza.
Le Fiandre, regione da cui provengo, sono una delle zone a più alta densità di popolazione di tutta l’Unione europea. La maggioranza dei fiamminghi non vuole accogliere una nuova ondata di immigrati, tantomeno da paesi con culture e religioni che promuovono valori completamente in disaccordo con i nostri. È giunto il momento che il Parlamento europeo ascolti per una volta i propri cittadini.
Anna Maria Corazza Bildt (PPE). - (EN) Signor Presidente, concordo sulla necessità di adottare misure nel breve termine per far fronte alla crisi umanitaria nel Mediterraneo, assicurando il rispetto della dignità delle persone coinvolte attraverso strumenti quali Frontex. È necessario però sviluppare anche una strategia a lungo termine per affrontare i problemi relativi ai flussi migratori e per creare posti di lavoro nei paesi di origine di queste persone.
Uno degli strumenti chiave a disposizione dell’Unione europea è la politica commerciale ed è ora il momento opportuno per migliorare l’apertura dei nostri mercati, a partire da paesi quali l’Egitto e la Tunisia. Vi è anche la necessità di stabilire un dialogo, rafforzando, al contempo, le relazioni regionali in ambito commerciale.
Possiamo guardare all’esempio della Turchia, al successo che il paese ha ottenuto con l’unione doganale e l’attuazione delle riforme democratiche necessarie. Dobbiamo avere il coraggio di pensare a unioni doganali e accordi di libero scambio con i paesi del Mediterraneo che hanno avviato un percorso di riforme e intrapreso il cammino verso la democrazia.
Desidero concludere appellandomi al Consiglio affinché adotti prontamente la convenzione regionale sulle norme di origine preferenziali paneuromediterranee.
Daniel Hannan (ECR). - (EN) Signor Presidente, la premessa della relazione non è corretta. L’idea che l’emigrazione sia causata da povertà e disperazione, sebbene possa sembrare plausibile, è in realtà ingannevole. Come dimostra la storia, l’emigrazione è più spesso determinata dall’aumento della ricchezza e delle aspirazioni; proprio di recente abbiamo assistito a un incremento nei flussi migratori dalla Turchia dopo il restauro della democrazia e la fine della dittatura.
La vera causa che spinge le persone ad abbandonare il proprio paese e compiere un viaggio di centinaia di chilometri alla ricerca di una vita migliore è il desiderio di avere nuove opportunità. In realtà, nell’Unione europea abbiamo creato una situazione in cui vi è una forte disoccupazione strutturale, ma siamo obbligati a importare manodopera. Nel mio paese, il Regno Unito, sono 4 milioni i cittadini disoccupati o che percepiscono l’assegno per invalidità; ciononostante ogni mese accettiamo persone provenienti da tutto il mondo per occupare quelle posizioni che i cittadini nati nel Regno Unito non accattano. È un sistema che intrappola milioni di persone nello squallore della dipendenza: si trovano in una situazione in cui il lavoro non è più una possibilità. Se intendiamo sollevarli da questa infelice condizione, non dobbiamo ricercare la soluzione nella politica estera bensì nella riforma allo stato sociale, per poter così restituire la dignità e l’indipendenza ai nostri cittadini.
Syed Kamall (ECR). - (EN) Signor Presidente, un aspetto che, di frequente, non viene trattato nelle discussioni sull’immigrazione è la difficoltà per i migranti di spostarsi da un paese all’altro, spesso in condizioni difficili. Pensiamo a cosa possa significare lasciare la propria famiglia, il proprio villaggio, la propria città, la propria vita sociale, gli amici, senza sapere se e quando li potremo rivedere. Come ha detto l’onorevole collega che mi ha preceduto, cosa li spinge a lasciare il proprio paese alla ricerca di nuove opportunità nei paesi occidentali? Spesso fuggono da una condizione, da un governo in cui non hanno più fiducia.
Da un certo punto di vista li possiamo aiutare. Consideriamo alcune politiche che abbiamo creato: la Politica comune della pesca, che incoraggia i grandi pescherecci a saccheggiare le acque dei paesi africani poveri, facendo perdere il lavoro ai pescatori locali e abbandonandoli ad una condizione disperata. E quale altra scelta rimane loro se non cercare di migrare? Pensiamo poi alla politica di aiuto, che mantiene al potere governi corrotti, rendendo meno allettante per i cittadini l’opzione di rimanere nel proprio Stato d'origine. Questo spinge le persone a migrare e giungere da noi.
Deve essere chiaro a tutti noi. Dobbiamo comprendere quanto sia difficile per i migranti lasciare il proprio paese e fare in modo che le nostre politiche li aiutino a rimanere nella loro terra.
Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signor Presidente, il gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa ritiene importante garantire la parità di diritti e opportunità non solo per le donne ma anche per gli uomini nelle zone rurali rispetto a chi vive in città. Se l’Europa intende mantenere un settore agricolo forte, in grado di fornire prodotti di buona qualità a tutti i paesi europei, deve garantire l’attrattività del settore sia per i lavoratori sia per le loro famiglie. Si deve quindi mirare a creare possibilità di crescita, di innovazione, posti di lavoro e opportunità di sviluppo nelle zone rurali. L’imposizione di quote o di ripartizioni innaturali del lavoro in base al sesso non porta ad alcun risultato.
Ritengo positivo che il Parlamento abbia adottato oggi la relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali, lanciando un segnale chiaro sul ruolo decisivo che le donne rivestono anche in questo settore.
Mario Pirillo (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel settore agricolo e rurale le donne hanno sempre avuto un ruolo importante. Sono infatti il 42% della forza lavoro su un totale di circa 27 milioni di lavoratori.
Nonostante questa elevata percentuale, le donne non sono ben rappresentate nelle organizzazioni di settore e sono discriminate nel processo decisionale. Sono tanti i settori in cui migliorare la condizione delle donne, come il riconoscimento di un'adeguata copertura sociale.
Le Istituzioni europee dovrebbero quindi agire per colmare questa diseguaglianza, monitorando il settore magari attraverso un osservatorio per l'imprenditoria femminile nell'agricoltura, già attivo in Calabria e in altre regioni italiane.
La relazione votata oggi, che ho sostenuto, prende bene in esame anche il problema dell'esodo dalla campagna. Per favorire il mantenimento dell'occupazione occorrono politiche di sostegno e strategie volte alla costruzione di infrastrutture e alla creazione di servizi adeguati alle esigenze della vita moderna da attivare nelle zone rurali.
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, la vita e il lavoro nelle zone rurali sono cambiati radicalmente in seguito alle trasformazioni della società, ai mutamenti della struttura sociale e al drammatico cambiamento demografico.
Se l’obiettivo è di evitare l’esodo dalle campagne delle donne di tutte le generazioni o comunque di incentivare la scelta di vivere in zone rurali, è fondamentale che le loro esigenze e condizioni trovino un riscontro più forte nelle politiche di sviluppo. A tale proposito è opportuno ricordare che negli ultimi decenni la realtà delle donne nelle aree rurali si è evoluta e che è ormai fortemente variegata. Si tratta di un'evoluzione che le stesse donne, singolarmente o attraverso i propri movimenti politici, hanno contribuito ad avviare e strutturare.
La relatrice, l’onorevole Jeggle, ha sottolineato correttamente questo aspetto, presentando una relazione significativa. Se miriamo allo sviluppo delle zone rurali, dobbiamo non solo indirizzare le nostre azioni verso la costruzione di infrastrutture e la creazione di un ambiente adatto al turismo, ma dobbiamo anche assicurare che le famiglie, coinvolgendo uomini e donne in ugual misura, facciano ritorno alla vita di campagna.
Janusz Wojciechowski (ECR). – (PL) Signor Presidente, ho appoggiato la relazione Jeggle, anche in virtù del fatto che raccomanda di garantire un adeguato stanziamento dei fondi per la politica agricola dell’Unione europea. La tendenza al risparmio che caratterizza la determinazione del bilancio dell’UE è corretta, ma non deve interessare la Politica agricola comune. Se l’Unione europea non riserva l’adeguata assistenza alle zone rurali e all’agricoltura, sarà difficile sia migliorare il ruolo delle donne nelle zone rurali ed incoraggiarle a vivere in campagna in condizioni disagiate, sia perseguire gli obiettivi di questa fondamentale politica, quali la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente e l’equilibrio territoriale. Desidero cogliere l’occasione offerta dalla discussione sulla relazione presentata dall’onorevole Jeggle per ricordare e ribadire che i tagli in Unione europea non devono andarea discapito della Politica agricola comune.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). – (ES) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dal momento che contribuisce a dare visibilità al lavoro e al ruolo delle donne nelle zone rurali.
Senza il contributo fornito dalla relazione, non sarebbe mai stato possibile mantenere popolate le zone non urbane e garantire l’occupazione nelle stesse. La maggiore visibilità dell’operato delle donne nelle campagne porterà a un maggiore riconoscimento sociale, favorendo al contempo la fornitura di prestazioni adeguate. Occorre prestare attenzione alle diverse necessità di uomini e donne nei programmi d’aiuto contemplati nella Politica agricola comune, promuovendo iniziative specifiche volte ad incentivare l’imprenditoria femminile. Nella PAC vanno previsti, inoltre, fondi a favore di servizi quali l’accesso a Internet nelle zone rurali, aspetto che promuove la parità delle condizioni di vita tra i cittadini che vivono nelle città e chi abita in campagna.
Gli Stati membri, in quest’ambito, sono chiamati a riconoscere il lavoro delle donne nei sistemi di sicurezza sociale, dal punto di vista sia della produzione sia dell’assistenza con particolare attenzione alla cura delle persone non autonome e dei bambini.
Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nonostante la presenza del 42% di donne su 26-27 milioni di addetti e il fatto che il 29% delle imprese agricole è gestito da donne, la loro rappresentanza a livello di categoria è quasi nulla e non corrisponde al loro peso.
Ciò non è giusto e non è normale, per cui è necessario che l'Unione dia maggiore spazio alle donne proprio nel settore rurale e trovi adeguate soluzioni per l'insieme delle attività economiche che esse svolgono. Parità di genere, uguaglianza di trattamento, protezione sociale per le madri e riconoscimento del ruolo specifico che le donne portano in agricoltura.
Favorire perciò la formazione continua è uno dei punti fermi sui quali non possiamo più transigere. Condividiamo le proposte della relatrice sull'appoggio a una migliore rappresentazione delle donne in tutti gli organi politici, economici e sociali del settore agricolo, sul sostegno a iniziative di protezione sociale per le coltivatrici dirette, le salariate agricole e le allevatrici stagionali.
Le donne devono trovare un riconoscimento proprio nella riforma della PAC, altrimenti questa riforma sarà inutile e non potremo certo immaginare un futuro sereno con nuovi tagli in agricoltura.
Daniel Hannan (ECR). - (EN) Signor Presidente, forse ricorda la famosa serie televisiva britannica Life on Mars, in cui il personaggio principale, un agente di polizia, si ritrova catapultato agli inizi del 1970.
Mi sono sentito esattamente come lui stamattina quando ho letto la lista di voto programmata per la giornata odierna. Sono elencate proposte politiche dell’Unione europea in ambiti quali le donne nell’agricoltura, i crediti all’esportazione per aziende privilegiate, le sovvenzioni speciali per Unilever nella Repubblica ceca e per i produttori di macchine utensili in Polonia.
Gli inizi degli anni ‘70 furono un periodo duro per l’Europa in generale e per il Regno Unito in particolare: un periodo segnato da stagflazione, disoccupazione, bancarotta nazionale. La causa però non erano forze naturali al di fuori del nostro controllo, bensì una politica errata, basata principalmente sull’idea che i governi avessero il potere di determinare i vincitori, controllare l’economia e stabilire il corso degli eventi ridistribuendo le risorse.
I 27 Stati membri hanno fatto pregressi, a differenza dell’Unione europea, che continua ad utilizzare i contributi dei cittadini a vantaggio di alcuni gruppi.
Il motivo? Bè, se l’Unione europea non agisse in questo modo, cos’altro potrebbe fare? Come disse una volta Upton Sinclair, è difficile far notare ad una persona ciò che il suo lavoro gli impone di non vedere.
Anna Záborská (PPE). – (SK) Signor Presidente, l’obiettivo della relazione di migliorare la condizione delle donne nelle zone rurali è giusto e adeguato. Purtroppo la relazione considera le donne solamente come lavoratrici e imprenditrici e non come madri, trascurando il valore della loro attività informale e di conseguenza non retribuita. Anche il lavoro delle donne in casa e l’assistenza ai familiari a carico rappresentano un contributo significativo per il benessere della società.
Nonostante questo tipo di attività costituisca un terzo del PIL nei paesi europei, continuiamo a fingere che non esista e, al posto di riconoscerne il valore, facciamo pressione affinché le donne trovino un posto di lavoro ed entrino nel mondo degli affari. Il riconoscimento del valore dell’attività delle donne potrebbe, invece, migliorare la qualità della vita delle famiglie e delle comunità, in special modo nell’agricoltura e nelle zone rurali.
Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signor Presidente, gli Stati membri dovrebbero poter decidere autonomamente la composizione del mix energetico nazionale. Di conseguenza, i costi determinati dalla graduale esclusione di un componente del mix energetico sono di competenza dei singoli paesi. In Lituania, Slovacchia e Bulgaria, tuttavia, erano presenti centrali nucleari risalenti all’epoca sovietica che non soddisfacevano minimamente i requisiti di sicurezza in vigore nell’Unione europea. Fornire il nostro sostegno alla disattivazione delle centrali risulta in tal caso necessario e opportuno.
La pianificazione per il processo di disattivazione, o piuttosto la mancanza di pianificazione, è un problema da evitare in futuro. Nonostante gli ingenti costi, che entro la fine del 2013 ammonteranno a 3 miliardi di euro, le centrali non sono ancora state disattivate. Si tratta di una chiara dimostrazione della mancanza di pianificazione. La Commissione è chiamata ad analizzare nel dettaglio l’efficienza finanziaria dei progetti, dal momento che gli aiuti futuri dipenderanno dalla capacità che i singoli paesi dimostreranno nella gestione adeguata degli attuali fondi.
Sergej Kozlík (ALDE). – (SK) Signor Presidente, la relazione sui finanziamenti nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari presenta un chiaro quadro della situazione attuale. Concordo pienamente con una delle conclusioni chiave della relazione, che afferma la necessità di finanziamenti europei dopo il 2013 a favore dei paesi nei quali si trovano le centrali da disattivare, paesi che non sono in grado di finanziare il processo autonomamente.
La Slovacchia, per esempio, sotto la pressione esercitata dall’Unione europea, ha disattivato due unità della centrale nucleare di Jaslovské Bohunice nel 2006 e nel 2008, soddisfacendo tutti i requisiti di sicurezza come attestato dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica. I costi del processo sono considerevoli e verranno ulteriormente incrementati dalle spese a lungo termine necessarie per la completa disattivazione dei reattori. L’Unione europea deve prevedere di protrarre l’assistenza per la disattivazione delle centrali nucleari anche nella prospettiva finanziaria per il periodo 2013-2020.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, la politica energetica, e in particolar modo la sicurezza energetica nel senso più ampio del termine, è un tema che suscita accese discussioni in tutto il mondo in seguito ai recenti eventi in Giappone. Il disastro della centrale nucleare di Fukushima ha dimostrato la portata dell’impegno necessario per creare un sistema di fornitura energetica efficiente, ecocompatibile e soprattutto sicuro. Il problema non riguarda solamente l’Asia, ma tutto il mondo. Se esistono centrali nucleari che, per ragioni di sicurezza, devono essere chiuse, è necessaria un’azione concertata per garantirne la disattivazione nel rispetto dei criteri di efficienza. Dobbiamo sostenere le misure volte a creare nuove fonti energetiche sicure. Nel processo decisionale, inoltre, la sicurezza pubblica deve essere la priorità assoluta. Molte grazie.
Salvatore Iacolino (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, non v'è dubbio che un dossier come quello presentato dall'on. Marinescu non poteva non essere sostenuto e condiviso in un contesto seppure caratterizzato ancora oggi dall'ondata emotiva dei fatti di Fukushima. L'approccio del relatore al documento, assolutamente equilibrato e cauto, mi ha spinto tuttavia al sostegno.
Non v'è dubbio, inoltre, che l'impegno nei confronti di Lituania, Slovacchia e Bulgaria debba essere un impegno sostenuto e coerente, ma che nel contempo una serie di altre attività, quelle chiamate più semplicemente "stress test" ma anche tutte quelle improntate alla cautela, debbano garantire sicurezza al nucleare. Non c'è margine di errore che può essere commesso per le ragioni note a tutti quanti noi.
I programmi di finanziamento erano già previsti da tempo e sono stati assicurati. Confidiamo nell'esito concreto e positivo dell'intera operazione che segna un passo avanti nella direzione auspicata da tutti quanti noi.
Paolo Bartolozzi (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'argomento della previsione di adeguate risorse finanziarie per garantire i processi di disattivazione degli impianti nucleari è un problema già affrontato dalla legislazione dell'Unione europea sulla sicurezza del settore nucleare ed è oggi di grande attualità, ovviamente alla luce dei recenti avvenimenti internazionali e delle conseguenti decisioni dei governi dell'Unione in proposito.
Il lavoro dell'onorevole Marinescu, al quale abbiamo espresso il nostro appoggio, affronta i casi specifici di alcuni paesi che, al momento della loro adesione, hanno assunto particolari obblighi in materia di disattivazione degli impianti nucleari e che hanno ricevuto proprio per questa attività un sostegno speciale dall'Unione europea.
Al di là dei casi specifici, da questo argomento è doveroso stabilire un effettivo controllo di verifica nonché di esame delle centrali nucleari presenti nel territorio dell'Unione. Alto sembra infatti essere il numero di reattori che si stima dovranno essere disattivati nel prossimo futuro in territorio comunitario.
Sarà quindi essenziale assicurare meccanismi di garanzia, anche e soprattutto in questi casi, per l'accantonamento di adeguate risorse finanziarie necessarie a far fronte alle necessità, sia ordinarie che straordinarie.
Giommaria Uggias (ALDE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sostenuto questo dossier da antinuclearista convinto, non solo perché credo che la dismissione di queste centrali sia un vantaggio per l'intera collettività, ma anche perché mi auguro che non ci possano essere altre realizzazioni.
Noi oggi ci troviamo davanti a una polveriera in tutta l'Europa. La gestione delle centrali nucleari per finalità civili è una gestione che riposa oramai su protocolli ingegneristici superati, anacronistici. Possiamo dire che questa è una sicurezza sempre più teorica e tutto va bene finché non succede qualcosa. Infatti, ci troviamo di fronte a protocolli di cinquant'anni fa che non trovano nella realtà tutela rispetto a eventi che possono essere sempre più imprevedibili. Non erano prevedibili gli attacchi terroristici e non erano prevedibili gli eventi naturali e calamitosi – e non si tratta solo di terremoti – che sempre più spesso, purtroppo, si manifestano nel nostro mondo disastrato.
Alajos Mészáros (PPE). – (HU) Signor Presidente, ho espresso il mio voto a favore della relazione, che interessa direttamente, tra gli altri, anche il mio paese, la Slovacchia. Nel 2004, in sede di negoziati di adesione, i governi di Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno concordato, nell'ambito dei rispettivi trattati di adesione, di chiudere alcuni dei reattori nucleari. Riconoscendo che la chiusura costi rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea si è impegnata a fornire assistenza finanziaria per la disattivazione dei citati reattori entro la fine del 2013, nonostante la limitata esperienza in simili processi. La chiusura delle centrali nucleari potrebbe influire sull’approvvigionamento energetico dei paesi interessati e degli Stati membri vicini.
Per contrastare le conseguenze negative, è necessario fornire alternative e promuovere fonti energetiche competitive e a bassa emissione di carbonio. L’Unione europea, allo stesso tempo, deve fornire adeguate risorse finanziarie al fine di garantire che le operazioni di disattivazione si svolgano in sicurezza. L'Unione europea nel suo insieme potrà trarre beneficio dall’esperienza acquisita in sede di dismissione di reattori al termine del loro ciclo economico. Guardando al 2013, è legittimo supporre che, sulla base dei risultati ad oggi conseguiti, alcuni progetti di investimento saranno conclusi e che le nuove strutture organizzative e gestionali per la disattivazione saranno completate e operative. Molte grazie.
Michail Tremopoulos (Verts/ALE). – (EL) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione Marinescu dal momento che nell’Europa orientale e sudorientale, in paesi quali Bulgaria, Romania e Slovacchia, sono attivi reattori nucleari vetusti estremamente pericolosi. In questi anni, tuttavia, si sono spesi miliardi di euro dei contribuenti europei per finanziarne il processo di ammodernamento e prolungamento della vita delle centrali. Stiamo sovvenzionando sostanzialmente la lobby nucleare che lotta per riaffermarsi. Fukushima ha dimostrato ancora una volta la necessità di chiudere i reattori nucleari, ma nelle disposizioni finanziarie non sono comunque stati inseriti i costi per le operazioni di disattivazione. Si tratti di un’enorme e scandalosa sovvenzione a favore di un modo pericoloso, costoso e inquinante di produrre energia. Ora abbiamo la possibilità di invertire questa volontà politica e trasformare i finanziamenti per il ripristino di reattori non sicuri in finanziamenti per la loro disattivazione. Blocchiamo i progetti di nuovi reattori; convertiamo le risorse volte a finanziare Euratom e il progetto ITER; destiniamo le risorse originalmente stanziate per la progettazione e la realizzazione di nuovi reattori a favore di un’economia completamente basata sulle fonti energetiche rinnovabili entro il 2050. Ci troviamo in una situazione di emergenza ed è necessario reagire.
Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE). – (LT) Signor Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Marinescu per la relazione, piuttosto dura ma per vari aspetti molto reale. Vorrei richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto che Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno rispettato l'impegno assunto con il trattato di adesione, di chiudere gli obsoleti reattori nucleari sovietici nei termini previsti. I progetti relativi alla chiusura della centrale di Ignalina sono per la maggior parte in fase di attuazione o sono già stati realizzati. L’Unione europea auspica che, una volta che entreranno in carica il nuovo governo lituano e il nuovo consiglio della centrale nucleare di Ignalina, verranno avviati procedimenti contro chi non ha organizzato adeguatamente i lavori e che verrà rivisto l’accordo per la costruzione di siti di stoccaggio dei combustibili esauriti al fine di migliorare le condizioni attuali. Concordo sulla necessità di gestire i fondi e di utilizzare le risorse in completa trasparenza, garantendo in tal modo la sicurezza nucleare. Tuttavia, dal momento che stiamo discutendo di nuove centrali nucleari, desidero cogliere l’occasione per richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi circa i progetti di Russia e Bielorussia, paesi confinanti con l’UE, di costruire centrali elettriche con reattori sperimentali. Vi invito a concentrare la nostra attenzione su tali progetti.
Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signor Presidente, non mi ero reso conto che avremmo avuto la possibilità di presentare una dichiarazione di voto in merito alla risoluzione, ma dal momento che si presenta l’occasione vorrei intervenire brevemente. Il partito liberale danese si oppone essenzialmente al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Tuttavia, dal momento che è stato deciso di costituire il Fondo e che sono state inviate domande conformi ai requisiti previsti dal Fondo stesso, siamo chiamati a concedere i finanziamenti richiesti. Per questo motivo abbiamo votato a favore della relazione.
Nicole Sinclaire (NI). - (EN) Signor Presidente, ho espresso voto contrario per le relazioni Matera concernenti la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per la Repubblica ceca e per la Polonia ma non perché io sia contro questi paesi. Tengo semplicemente in considerazione i miei elettori delle West Midlands e i loro contributi, che rientrano nei 48 milioni di sterline che il Regno Unito versa ogni giorno all’Unione europea.
Permettetemi di spendere qualche parola in merito alla regione delle West Midlands: la disoccupazione tra i giovani è la più alta e le industrie automobilistiche sono state decimate. La colpa è in parte dovuta ai fondi che l’Unione europea ha erogato a favore della creazione di posti di lavoro in Slovacchia, a discapito di posizioni chiave nello stabilimento di Ryton.
Nel 2004 è stato chiaramente il Regno Unito a sostenere l’impatto dell’allargamento dell’Unione europea dal momento che è stato l’unico paese a non imporre barriere, con un conseguente incremento del costo dei servizi pubblici. Un ulteriore esempio di costi sostenuti dai miei elettori sono le sovvenzioni per l’indennità per i figli nell’Europa orientale. I cittadini di questa regione giungono nel Regno Unito, lavorano nel nostro paese e richiedono sussidi per i figli residenti nei paesi di origine.
La nostra intenzione e il nostro desiderio è di mantenere nel Regno Unito i 48 milioni di sterline pagati giornalmente all’UE per dedicarli a servizi pubblici nazionali essenziali, anziché distribuirli negli altri Stati membri, considerando anche che i conti dell’UE non sono stati soggetti a revisione negli ultimi 14 anni.
Seán Kelly (PPE). – (GA) Signor Presidente, ho espresso con piacere il mio sostegno alle proposte dell’onorevole de Brún e rivolgo i miei auguri ai lavoratori della Repubblica ceca e della Polonia. Temo tuttavia che rimarranno disgustati e scoraggiati come è accaduto nella mia circoscrizione, in particolare alla Dell a Limerick e alla Waterford Crystal a Waterford.
(EN) Il FEAOG è uno splendido progetto, ma purtroppo non è abbastanza flessibile e quindi una parte dei finanziamenti ritorna all’Unione europea. Suggerisco che, laddove i fondi non vengono utilizzati, gli Stati membri interessati presentino a nome dei lavoratori proposte per impiegarli nel modo migliore.
(GA) Se la procedura sopra indicata verrà adottata, si fornirà un grande aiuto ai cittadini disoccupati, migliorando al contempo l’immagine dell’Unione europea.
Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signor Presidente, la violenza contro le donne è un problema mondiale ed è importante prendere posizione in merito, dal punto di vista sia personale che politico. Anche a livello europeo è necessario individuare l’approccio da adottare. Nel momento in cui viene discusso il tema, anziché proporre iniziative non correlate tra loro, dovremmo coinvolgere la Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere per considerare in modo più approfondito le iniziative che meritano l’attenzione dell’Unione europea. Promuovendo la parità in altri ambiti, daremo maggiore peso alle nostre azioni, rendendole più efficaci a vantaggio delle donne interessate. Ne beneficerebbe, inoltre, la credibilità delle iniziative proposte in Parlamento.
Anna Maria Corazza Bildt (PPE). - (EN) Signor Presidente, la violenza contro le donne non è una questione privata; è un reato che va perseguito. Dobbiamo spezzare il silenzio. Rispettare la cultura e la religione di ogni cittadino è importante, ma non deve mai rappresentare una onorare giustificazione per omicidi, mutilazioni genitali, tratta di esseri umani, violenza domestica e matrimoni forzati. Il programma di Stoccolma fornisce un nuovo quadro politico per migliorare la lotta alla violenza contro le donne e richiede l’attuazione di azioni concrete. Esorto la Commissione a presentare una strategia che preveda soluzioni concrete.
Ho votato a favore della relazione poiché credo nell’unione delle forze tra gli attori politici al fine di denunciare e combattere tutte le forme di violenza contro le donne. Appoggio il principio e la maggioranza delle proposte della relazione, ma ritengo necessario adottare misure giuridiche e penali a livello nazionale. È questa la linea adottata in Svezia. La lotta alla violenza è il fulcro dell’azione dell’organizzazione femminile del mio partito, che attraverso interventi concreti e azioni di sensibilizzazione mira a proteggere le donne, a dare loro maggiori poteri e a sviluppare una cultura di rispetto per la dignità femminile. Ho dato avvio a una campagna mediatica sulla violenza contro le donne a cui tutti possono partecipare.
Silvia Costa (S&D). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che votando a favore di questa relazione dell'onorevole Svensson – com'è stato detto anche da altre colleghe – noi ci impegniamo perché sia rispettato l'impegno preso dalla Commissione europea di adottare, entro il 2011, una comunicazione per avviare una strategia e un piano d'azione europeo contro la violenza nei confronti delle donne, che abbiano approccio complessivo, cioè che comprendano tutte le fattispecie, dalla violenza sessuale alla violenza domestica e alle mutilazioni genitali femminili, ma anche – io mi auguro – tutte le nuove forme di violenza. Penso alla vera e propria induzione alla violenza, che spesso è perpetrata da certa pubblicità e dai media, e penso anche alle forme di vero e proprio ricatto e violazione dei diritti umani delle donne sul luogo di lavoro laddove intendano diventare madri o quando sono lavoratrici e madri.
Dopo l'attuazione e l'approvazione della direttiva sulla tratta degli esseri umani, che ha visto il Parlamento europeo molto impegnato, e di quella sull'ordine di protezione europeo, credo che sarebbe importante una vera e propria direttiva nel nuovo quadro giuridico creato da Lisbona e dal programma di Stoccolma su questo tema.
Licia Ronzulli (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, finché qualsiasi forma di violenza contro le donne non sarà completamente eliminata, non potremo mai dire di avere una società moderna finalmente democratica. Ancora una volta il Parlamento europeo rivolge l'attenzione a questo brutale fenomeno che, purtroppo, rimane drammaticamente attuale.
I dati parlano chiaro: almeno una donna su cinque subisce violenze fisiche o sessuali nel corso della sua vita e addirittura, per le donne tra i 15 e i 44 anni, la violenza è la prima causa di morte e di invalidità, ancora più del cancro o degli incidenti stradali.
Per questo motivo è necessaria una vera e propria mobilitazione permanente che porti alla creazione di uno strumento giuridico globale per la lotta contro tutte le forme di violenza nei confronti delle donne. Oggi deve partire un segnale forte. L'obiettivo finale è uno solo: questo virus letale non deve più trovare terreno fertile.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). – (ES) Signor Presidente, la violenza contro le donne è una conseguenza diretta della discriminazione e per questo è necessaria una politica multidisciplinare che rivolga particolare attenzione ai figli delle donne vittime di abusi.
Queste donne devono avere a disposizione assistenza giuridica gratuita e sostegno psicologico, centri di accoglienza e aiuti economici per essere indipendenti. Vanno elaborate procedure di attuazione delle normative specifiche e corsi di formazione ad hoc per gli operatori in ambito sanitario, legale e della polizia. Al fine di ottenere una prospettiva generale chiara del problema e applicare le politiche più appropriate a livello europeo, sono necessari dati e statistiche aggiornate.
Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, mi sono astenuto dalla votazione finale in merito alla relazione Svensson. Desidero cogliere l’occasione della dichiarazione di voto per affermare che considero la violenza contro le donne un atto terribile e completamente inaccettabile.
Mi sono astenuto dalla votazione finale poiché penso che la relazione violi ripetutamente il principio di sussidiarietà, principio che tengo in grande considerazione. Non ritengo appropriato incrementare ulteriormente la burocrazia europea, creando nuovi osservatori o istituzioni. Mi disturba anche la correttezza politica della relazione: la parola Islam non viene citata nemmeno una volta nel testo. Questa religione, però, impregnata di principi e standard arretrati, gioca un ruolo cruciale nella discriminazione e nella violenza contro le donne nel mondo islamico, e, purtroppo, anche nei nostri paesi. Non temiamo di affermare che l’Islam, allo stato attuale, è arretrato e misogino.
Anna Záborská (PPE). – (SK) Signor Presidente, accolgo con favore la relazione dell’onorevole Svensson poiché promuove la discussione in merito ai diritti delle donne. Nel condannare la violenza contro le donne in gravidanza, nella relazione si afferma che l'autore del reato nuoce a più di una parte. Sto lottando da anni affinché i diritti delle donne non contrastino con i diritti dei bambini non nati, e sfortunatamente la relazione Svensson non riesce ad evitare questa opposizione.
La restrizione dei diritti delle donne in materia di riproduzione, principalmente il diritto di aborto, ad oggi è considerata una forma di violenza contro le donne. Se consideriamo i bambini non nati come esseri umani, allora l’aborto artificiale rappresenta un atto di violenza contro il feto.
Nella fase di elaborazione di una strategia volta a contrastare tutte le forme di violenza, la Commissione deve armonizzare i diritti delle donne e dei bambini non nati. La nuova strategia deve proteggere le donne e prevedere, allo stesso tempo, meccanismi volti a tutelare i bambini non nati. Da un’attenta lettura della relazione Svensson, emerge la stessa conclusione.
Nicole Sinclaire (NI). - (EN) Signor Presidente, ho espresso voto contrario alla relazione Svensson. Mi oppongo apertamente alla violenza, in particolar modo alla violenza contro le donne, e quindi, qual è la motivazione del mio voto contrario? Ho votato contro la relazione poiché, come ha affermato l’onorevole collega poco fa, rappresenta quasi un salto temporale, tentando ingenuamente di intraprendere nuovamente le lotte agli anni 70, ricercando la correttezza politica di quel tempo.
Sono un po’ preoccupata anche per l’impostazione criminale che la relazione intende dare. D’altro canto è questo che fa l’Unione europea, giusto? Si intromette in una questione in cui vige già il consenso – ossia che la violenza contro le donne è terribile – chiarisce la situazione e chiama in causa il diritto penale. Prima di rendercene conto, lo stesso avviene in sempre più ambiti.
L’Unione europea dovrebbe vergognarsi di aver scelto un simile argomento. Nonostante si tratti di una relazione di iniziativa, è questo il punto di partenza. È da qui che ha inizio la vergognosa presa di potere da parte dell’UE. Una vera reazione per contrastare la violenza contro le donne a livello di Stati membri, è questo quello che serve. L’Unione farebbe meglio a lasciare le cose come stanno e a non trattare più la questione.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato istituito nel 2006 per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali internazionali e per assisterli nel reinserimento nel mercato del lavoro. Dall’1° maggio 2009, l’ambito di applicazione del FEG è stato ampliato per includere il sostegno per i lavoratori in esubero come conseguenza diretta della crisi economica, finanziaria e sociale.
In questo periodo di profonda crisi, che ha portato a un aumento della disoccupazione, l’Unione europea dovrebbe ricorrere a tutti i mezzi a propria disposizione per reagire, in particolare per quanto riguarda il sostegno a chi si trova a vivere quotidianamente la realtà della disoccupazione. Per questo ho votato a favore della presente relazione relativa alla mobilitazione del FEG a beneficio della Repubblica ceca, con l’obiettivo di sostenere i lavoratori in esubero in tre imprese che operano nella divisione 28 della classificazione statistica delle attività economiche della comunità europea (NACE) rev. 2, fabbricazione di macchinari e apparecchiature.
Adam Bielan (ECR), per iscritto. − (PL) Signor Presidente, la crisi economica mondiale ha peggiorato la situazione finanziaria di numerose imprese polacche. I problemi associati ai ridotti livelli di produzione hanno l’impatto maggiore sulle persone comuni che lavorano per le aziende coinvolte. Al fine di salvaguardare il sostegno ai lavoratori in esubero in seguito ai cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali dovuti alla globalizzazione, si è istituito il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, il cui obiettivo principale è assistere le persone licenziate nel loro reinserimento nel mercato del lavoro. L’attuale richiesta di mobilitazione del Fondo a favore dei lavoratori delle imprese polacche nella regione di Podkarpackie è la prima dell’anno in corso. In qualità di rappresentante degli interessi polacchi al Parlamento europeo, accolgo con favore la decisione della Commissione di mobilitare il Fondo per perseguire gli obiettivi illustrati nella richiesta. Grazie a questa decisione, i lavoratori in esubero di tre imprese nel settore dei macchinari nella regione di Podkarpackie ricevono un sostegno finanziario pari a quasi 500 000 euro. Con il mio voto a favore della risoluzione, mi auguro anche che la Commissione accolga richieste simili in futuro.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto. – (ES) Signor Presidente, la richiesta è conforme ai requisiti del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione e riguarda 200 dei 594 lavoratori licenziati nell’arco di nove mesi in tre imprese polacche che si occupano della fabbricazione di macchinari e apparecchiature e che hanno ridotto le proprie esportazioni del 58 per cento. Il 20 per cento dei lavoratori ha più di 54 anni e il 10 per cento ne ha più di 64. L’assistenza consentirà di migliorare la formazione dei lavoratori in esubero, preparandoli a nuove occupazioni in futuro.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, mi compiaccio del lavoro compiuto sulla base del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), in particolare per quanto riguarda il sostegno ai lavoratori colpiti ai cambiamenti nei flussi commerciali mondiali. Sostengo la decisione di mobilitare il FEG a favore della Polonia, a vantaggio di lavoratori nel settore della fabbricazione di macchinari e apparecchiature licenziati a causa della crisi economica e finanziaria mondiale. Si tratta di una misura estremamente tempestiva, considerando il notevole calo delle esportazioni registrato nel settore, accompagnato da un tasso di disoccupazione altrettanto preoccupante.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, la domanda riguarda 594 esuberi in tre imprese operanti nella regione di Podkarpackie, in Polonia, nel settore della fabbricazione di macchinari e apparecchiature. Si tratta della prima richiesta che va esaminata nel quadro del bilancio 2011 e si basa sul criterio di intervento di cui all'articolo 2, lettera b), del regolamento FEG, che prevede l'esubero di almeno 500 dipendenti, nell'arco di nove mesi, in imprese operanti in una regione o in due regioni contigue di livello NUTS II.
La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha valutato positivamente le condizioni di ammissibilità pertinenti. Il FEG è stato istituito nel 2006 per fornire sostegno supplementare ai lavoratori in esubero che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali dovuti alla globalizzazione e per assisterli nel reinserimento nel mercato del lavoro. In seguito alla revisione del regolamento FEG nel 2009, l’ambito di applicazione del Fondo è stato ampliato per includere il sostegno per i lavoratori in esubero come conseguenza diretta della crisi economica e finanziaria mondiale. Il bilancio annuo disponibile per il FEG ammonta a 500 milioni di euro. Ritengo opportuno impegnarsi nella misura del necessario per velocizzare la mobilitazione di questo strumento, permettendo così agli aiuti di raggiungere più rapidamente i lavoratori che ne hanno bisogno.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, la relazione riguarda un progetto di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilitazione di 453 570 euro dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) al fine di sostenere il reinserimento di lavoratori polacchi licenziati a seguito dell’attuale crisi economica e finanziaria. La domanda in esame, la prima nel quadro del bilancio 2011, è stata presentata dalla Polonia il 27 aprile e riguarda 594 lavoratori della regione di Podkarpackie, impiegati nel settore della fabbricazione di macchinari e apparecchiature. Dal momento che si ricorre a uno strumento di bilancio specifico e che l’importo richiesto è giuridicamente ammissibile e conforme alle disposizioni dell’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea, in particolare il punto 28, ho votato a favore della proposta, che spero contribuisca a ridurre le difficoltà economiche degli abitanti della regione in questione, nonché a rilanciare l’economia locale.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, la situazione agricola e i problemi che il mondo rurale si trova ad affrontare non possono essere analizzati distintamente dalla profonda crisi del sistema o dalla politica attuale, ad esempio la Politica agricola comune (PAC), che detiene la maggior parte della responsabilità del continuo declino dell’agricoltura in alcuni Stati membri: tutto gira intorno agli interessi degli agricoltori più grandi e dell’industria agroalimentare nordeuropea, distruggendo in questo modo l’agricoltura familiare e compromettendo la sopravvivenza delle aziende agricole di piccole e medie dimensioni.
Il ruolo delle donne nell’agricoltura e nello sviluppo delle aree rurali è estremamente importante; le donne infatti rappresentano quasi il 42 per cento dei lavoratori agricoli e sono fondamentali per l’attività delle aziende agricole, assicurando al contempo un’efficace lotta alla desertificazione nelle zone rurali.
Nonostante manchino critiche realistiche alla PAC, la relazione approvata è in linea di massima positiva nel suo approccio e nel modo di riconoscere il ruolo delle donne. Afferma che “la promozione dell’uguaglianza di genere è un obiettivo fondamentale dell’Unione europea e dei suoi Stati membri”, oltre alla creazione di migliori condizioni di vita nelle aree rurali e alla desertificazione a questo scopo è essenziale tutelare“adeguate infrastrutture di trasporto” e migliorare l’“accesso ai trasporti per tutti” al fine di contrastare “l’esclusione sociale e le disparità nella società, principalmente per le donne”.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Signor Presidente la relazione permette la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per Podkarpackie Machinery, in Polonia. Va ricordato che la Polonia ha richiesto assistenza per 594 lavoratori in esubero in tre imprese della divisione fabbricazione di macchinari e apparecchiature nella regione NUTS II di Podkarpackie.
Gli esuberi sono legati all’impatto della crisi economica e finanziaria, che ha causato un calo del 47 per cento delle esportazioni di Huta Stalowa Wola SA, , un calo del 34 per cento di HSW-ZZN e un calo del 58 per cento delle esportazioni di DEZAMET; le imprese soddisfano quindi i criteri di ammissibilità stabiliti dal regolamento FEG. La Commissione europea propone quindi di stanziare un importo pari a 453 570 euro. Questa situazione ha determinato un rilevante calo nella produzione complessiva di macchinari e apparecchiature, a dimostrazione degli effetti negativi della crisi sulle imprese del settore nel paese.
I 594 licenziamenti hanno gravi ripercussioni sulle condizioni di vita, l’occupazione e l’economia locale e per questo la mobilitazione del FEG è di fondamentale per il sostegno dei lavoratori interessati. Per questi motivi abbiamo votato a favore, sebbene riteniamo più importante evitare che le imprese falliscano e che si perdano posti di lavoro.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali. La domanda della Polonia, FEG/2010/013 PL/Podkarpackie Machinery, è stata presentata alla Commissione il 27 aprile 2010 e integrata con informazioni aggiuntive fino al 4 agosto 2010. Si basa sul criterio d'intervento di cui all'articolo 2, lettera b), del regolamento FEG, che prevede l'esubero di almeno 500 dipendenti, nell'arco di nove mesi, in imprese operanti nella stessa divisione NACE Rev. 2, in una regione o in due regioni contigue di livello NUTS II in uno Stato membro, ed è stata presentata entro il termine di 10 settimane (articolo 5 del medesimo regolamento). In base alla valutazione della Commissione, la domanda soddisfa i criteri di ammissibilità stabiliti dal regolamento FEG e l’istituzione raccomanda all'autorità di bilancio di approvare le domande. Ho quindi votato a favore del documento, che ritengo contribuirà a evitare conseguenze sociali negative. Credo, inoltre, che anche gli altri Stati membri debbano trarre maggiori benefici dalle opportunità offerte dai fondi europei.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, cari colleghi, ho votato a favore della mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) a favore della Polonia perché credo che questo strumento rappresenti una valida risorsa di sostegno ai lavoratori in difficoltà a causa della crisi economica. Come più volte ribadito, dal 2006 il FEG fornisce un aiuto concreto per quei lavoratori europei che subiscono un licenziamento per cause legate alla delocalizzazione delle relative aziende o, a seguito della deroga introdotta nel 2009, anche a causa della crisi economica, al fine di provvedere al loro reinserimento nel mercato del lavoro. La votazione odierna riguardava una richiesta di supporto relativa a 594 esuberi, di cui 200 ammessi all'assistenza, in 3 imprese operanti nella divisione 28 NACE Rev. 2 nella regione NUTS II Podkarpackie. L'importo totale finanziato dal FEG ammonta a 453.570 euro. Concludo accogliendo con favore l'approvazione della relazione, che dimostra come il FEG sia una risorsa utile ed efficace nella lotta alla disoccupazione come conseguenza della globalizzazione e della crisi economica.
Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto. − (PL) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato istituito per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali. Oggi, il Parlamento europeo ha votato una richiesta per approvare la concessione di oltre 450 000 euro per i lavoratori in esubero di tre imprese operanti nella regione di Podkarpackie. Vorrei sottolineare che il sostegno dell’Unione europea costituisce un incentivo fondamentale per la regione che rappresento, poiché permetterà ai lavoratori licenziati di reinserirsi nel mercato del lavoro e verranno stanziati fondi per la formazione, la riqualificazione, le nuove attrezzature e la consulenza per diventare liberi professionisti. La regione di Podkarpackie è una tra le più povere in Polonia e sono quindi estremamente soddisfatto che riceverà assistenza dall’UE. Vorrei ringraziare quanti hanno votato a favore della concessione di sostegno finanziario.
Barbara Matera (PPE), per iscritto. – Mi compiaccio per l'approvazione dello stanziamento di 453.000 euro provenienti dal fondo FEG a favore dei lavoratori polacchi licenziati nel settore della costruzione di macchinari. A seguito delle raccomandazioni della commissione per i bilanci, la Commissione europea ha iscritto circa 50 milioni di euro in stanziamenti di pagamento alla linea di bilancio relativa al FEG nel bilancio 2011. Questo ci consente di approvare uno stanziamento dei fondi necessari, senza intaccare altre linee di bilancio già dedicate al finanziamento di azioni importanti rispetto agli obiettivi e ai programmi dell'Unione.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione che fornisce sostegno attraverso il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione a 594 lavoratori in esubero in Polonia. I 450 000 euro saranno usati per la riqualificazione e l’assistenza ai lavoratori in questa difficile transizione.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, ancora una volta siamo costretti a votare a favore di una pietosa elemosina dall’Unione europea alle vittime delle sue politiche di delocalizzazione. La logica alla base del Fondo europeo di globalizzazione è intollerabile. Mi astengo dal voto soltanto per riguardo verso i lavoratori polacchi il cui dolore potrà essere lievemente lenito da questo ipocrita aiuto.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, l’Unione europea è un’area di solidarietà e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) si inscrive in questa logica. Si tratta di un aiuto essenziale per assistere i disoccupati e le vittime della delocalizzazione di imprese in un contesto globalizzato. Sempre più imprese spostano la produzione, traendo vantaggio dai costi inferiori della manodopera in numerosi paesi, in particolare Cina e India, con effetti negativi sui paesi che rispettano i diritti dei lavoratori. Il FEG ha l’obiettivo di assistere i lavoratori vittime delle delocalizzazioni di imprese ed è essenziale per facilitare il loro accesso a una nuova occupazione. Il FEG è stato usato in passato da altri Stati membri ed è quindi opportuno concedere ora assistenza alla Polonia, che ha presentato domanda per 594 esuberi (di cui 200 ammessi all'assistenza) in tre imprese operanti nella divisione 28 NACE Rev. 2, fabbricazione di macchinari e apparecchiature, nella regione NUTS II di Podkarpackie, in Polonia.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Signor Presidente, sebbene abbia votato a favore della proposta di fornire assistenza ai lavoratori del settore dei macchinari di Podkarpackie, in Polonia, ritengo si tratti di una misura analgesica e palliativa alle conseguenze del modello capitalista, che non costituisce alcun passo in avanti nella lotta contro le cause fondamentali della crisi. Sostengo la mobilitazione di risorse dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per i lavoratori in esubero a causa dei cambiamenti strutturali nei flussi commerciali o come conseguenza diretta dell’attuale crisi economica e finanziaria. Ritengo che il FEG possa contribuire all’obiettivo prioritario, ovvero agevolare il reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro. Ho votato a favore anche perché sono convinto che quest’assistenza completi gli aiuti agli esuberi previsti dalle legislazioni nazionali e dagli accordi collettivi. La mobilitazione di denaro dal FEG non può in nessun caso sostituire o annullare le responsabilità giuridiche dei governi e delle imprese nei confronti dei dipendenti in esubero.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, considerando che la Polonia ha richiesto assistenza in relazione a 594 esuberi (di cui 200 ammessi all'assistenza del Fondo) in tre imprese operanti nella fabbricazione di macchinari e apparecchiature nella regione di Podkarpackie, in Polonia, durante il periodo di riferimento dal 1° giugno 2009 al 1° marzo 2010, approvo e sostengo pienamente una posizione così attiva da parte del governo polacco e i pareri dei colleghi del mio gruppo S&D. Purtroppo, il governo del mio paese, la Lettonia, non risponde a nessuna delle richieste e delle lettere che ho inviato, e quindi non ricorre all'aiuto del Fondo di stabilizzazione per superare la crisi finanziaria.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito per tutelare i lavoratori licenziati a causa della crisi economica e finanziaria globale. La Polonia ha richiesto assistenza per 594 esuberi nella regione di Podkarpackie. È giusto e opportuno offrire assistenza personale ai lavoratori in esubero in seguito alla globalizzazione e alla crisi economica, agevolando il loro reinserimento nel mercato del lavoro. Ho pertanto votato a favore della relazione.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato istituito per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali. Il 15 febbraio 2011 la Commissione ha adottato una nuova proposta di decisione sulla mobilitazione del FEG a favore della Polonia al fine di sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori licenziati a causa della crisi finanziaria ed economica globale. La domanda riguarda 594 esuberi (di cui 200 ammessi all’assistenza) in tre imprese che fabbricano macchinari e apparecchiature nella regione di Podkarpackie, in Polonia, durante il periodo di riferimento di nove mesi, tra il 1° giugno 2009 e il 1° marzo 2010. La domanda in esame, la prima nel quadro del bilancio 2011, si riferisce alla mobilitazione del FEG per un importo totale di 453 570 euro. La valutazione della Commissione constata l’esistenza di un legame tra gli esuberi e i grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali o la crisi finanziaria ed economica, nonché la natura imprevista degli esuberi. La richiesta soddisfa tutti i criteri di ammissibilità stabiliti nel regolamento FEG e per questo ho votato a favore della mobilitazione del Fondo.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, la domanda della Polonia relativa all’intervento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) riguarda 594 esuberi (di cui 200 ammessi all’assistenza) in tre imprese operanti nella divisione 28 NACE rev. 2, fabbricazione di macchinari e apparecchiature, nella regione NUTS II di Podkarpackie. In base alla valutazione della Commissione, la domanda soddisfa tutti i criteri di ammissibilità definiti giuridicamente. Ai sensi del regolamento (CE) n. 546/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009 che modifica il regolamento (CE) n. 1927/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, l’ambito di applicazione del FEG è stato temporaneamente ampliato a coprire interventi in situazioni come questa, in cui, come conseguenza diretta della crisi finanziaria ed economica mondiale, vi è “l’esubero di almeno 500 dipendenti, nell’arco di nove mesi, in particolare in piccole e medie imprese, di una divisione NACE 2, in una regione o in due regioni contigue di livello NUTS II”. Ho pertanto votato a favore della risoluzione nella speranza che la mobilitazione del FEG contribuisca all’effettivo reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, come sempre in questi casi, abbiamo chiesto alle istituzioni interessate di compiere gli sforzi necessari per accelerare la mobilitazione del FEG.
Il Parlamento apprezza a tale proposito la procedura perfezionata messa in atto dalla Commissione, dando seguito alla sua richiesta di accelerare la concessione dei contributi al fine di presentare all’autorità di bilancio la valutazione della Commissione sull’ammissibilità di una domanda FEG congiuntamente alla proposta di mobilitazione del Fondo, e auspica l’attuazione di ulteriori miglioramenti procedurali nel quadro delle prossime revisioni del Fondo.
Ciononostante, il Parlamento ricorda l’impegno delle istituzioni volto a garantire una procedura agevole e rapida per l’adozione delle decisioni relative alla mobilitazione del FEG, apportando un aiuto specifico, una tantum e limitato nel tempo, ai lavoratori in esubero a causa della globalizzazione e della crisi finanziaria ed economica; rileva il ruolo che il FEG può svolgere ai fini del reinserimento dei lavoratori in esubero nel mercato del lavoro; tuttavia, chiede una valutazione dell’integrazione a lungo termine di tali lavoratori nel mercato del lavoro, quale risultato diretto delle misure finanziate dal FEG.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto – Signor Presidente, lo scorso 15 febbraio la Commissione ha adottato una proposta di decisione sulla mobilitazione del FEG a favore della Polonia, con l'obiettivo di sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori licenziati a causa della crisi finanziaria ed economica globale. La domanda riguarda 594 esuberi (di cui 200 ammessi all'assistenza) in tre imprese operanti nella divisione 28 NACE Rev. 2 (confezione di articoli d'abbigliamento) nella regione NUTS II Podkarpackie, durante il periodo di riferimento di nove mesi dal 1° giugno 2009 al 1° marzo 2010. Il mio voto positivo alla risoluzione odierna ribadisce il parere favorevole già espresso in sede di commissione per l'occupazione e gli affari sociali.
Peter Skinner (S&D), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, mentre votiamo questa relazione, trovo ironico che esista questo Fondo ma che non tutti gli Stati membri lo utilizzino. La percentuale di Fondo rimanente a fine anno è versata agli Stati membri come parte del loro “rimborso”, eppure, il fatto che alcuni paesi, come il Regno Unito, non ricorrano al Fondo in casi come la chiusura delle piantagioni di tè Twining ad Andover nonostante ne abbiano il diritto, solleva alcune domande. Chi finge di comprendere i vantaggi e gli svantaggi del rimborso si chiede se forse non sarebbe più corretto ed efficiente che i paesi utilizzassero direttamente i fondi del FEG a livello locale.
Il secondo aspetto ironico riguarda la partecipazione politica ed economica, l’impegno a qualsiasi livello UE di valore aggiunto. Che il Regno Unito eserciti il diritto di non partecipare ai fondi gestiti a livello comunitario perché in futuro potrebbero non esserci più benefici è, in questo caso, un approccio dubbio e forse anche del tutto errato.
Il Regno Unito rinuncia all’accesso al finanziamento sulla base del principio che prevede la non presentazione di domande per il Fondo per poi ricevere un rimborso. Vi sono poche giustificazioni per rispondere “no” a chi è alla ricerca di assistenza per il reinserimento nel mondo del lavoro (a Sandwich, Kent e Andover, Hampshire),: si tratta di un’altra delusione del governo del Regno Unito.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione che finanzierà misure di assistenza personalizzate per i lavoratori in esubero in Polonia.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Signor Presidente, ho votato a favore dell’importante risoluzione in oggetto sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE. L'instabilità politica, sociale ed economica, la mancanza di sicurezza, la repressione politica e i regimi autoritari sono le forze principali alla base della migrazione, in quanto privano le comunità colpite di prospettive e di redditi locali sostenibili e, di conseguenza, del diritto di scegliere se migrare o meno, mettendo così costantemente a rischio le loro vite e offrendo loro, come unica opzione, la migrazione. I recenti avvenimenti drammatici verificatisi in Egitto e in altri paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente hanno chiaramente portato a un aumento del flusso di migranti sia legali sia illegali verso l'Europa. L’Unione europea, pertanto, deve essere pronta a resistere ai flussi migratori e può farlo soltanto sviluppando una politica in materia di immigrazione efficiente e sensata, simile a quella attuata in Canada, Australia o Nuova Zelanda. Concordo con il parere del relatore sulla necessità di esortare la Commissione ad assicurare che qualunque accordo di riammissione firmato dall'UE e dai suoi Stati membri rispetti pienamente i diritti umani e il principio di non respingimento e non metta a rischio persone bisognose di protezione internazionale. L’Unione europea, così, dimostrerà ancora una volta che i valori e il rispetto dei diritti dell’uomo costituiscono il bene più prezioso e inalienabile e chi cerca asilo si sentirà rispettato e al sicuro.
Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, l'instabilità politica, sociale ed economica, la mancanza di sicurezza e la repressione politica dei regimi autoritari sono i fattori principali alla base della migrazione e delle ondate migratorie che si riversano senza sosta su alcuni paesi del bacino del Mediterraneo, mettendoli nelle condizioni di non riuscire a gestire le numerose difficoltà che comportano le emergenze umanitarie.
In queste ultime settimane è impossibile ignorare le migliaia di migranti che hanno raggiunto Lampedusa a seguito dei disordini nei paesi del Nord Africa. Il 90% di queste persone sono giovani di età compresa tra i 15 e i 35 anni, che rischiano la vita con la speranza di trovare opportunità migliori. Nonostante gli sforzi straordinari del governo italiano, delle amministrazioni locali e della Croce Rossa Italiana, la situazione sull'isola è emergenziale: gli sbarchi non accennano a fermarsi e si sconta il ritardo dell'UE che ha tempi burocratici inconciliabili con la situazione.
Oggi, l'UE ha il dovere di sviluppare una politica efficiente e globale in materia di migrazione che preveda la realizzazione di un sistema europeo di asilo, l'attuazione di un programma di reinserimento su base obbligatoria, capace di realizzare un'equa distribuzione delle responsabilità, e accordi con gli Stati per incoraggiare lo sviluppo.
Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. – I recenti avvenimenti che hanno avuto luogo e che stanno accadendo tuttora sulle sponde opposte del Mediterraneo testimoniano come l'instabilità di questa regione e i conseguenti flussi migratori rappresentino per l'Unione europea una sfida da dover affrontare.
Il fenomeno migratorio è preoccupante per gli sviluppi e le tensioni che può provocare, sia nelle relazioni tra i paesi d'origine e i paesi di destinazione dei migranti, ma anche tra i paesi d'origine e i paesi di transito degli stessi. È necessario rafforzare la politica di prevenzione, ottimizzando le risorse finanziarie e migliorando le esistenti strutture istituzionali. Dobbiamo circoscrivere l'immigrazione illegale e, in tal senso, ritengo che l'estensione degli accordi di migrazione costituisca un rimedio efficace per ottenere dei risultati nel breve termine e ridurre l'instabilità dei flussi migratori.
Condivido l'analisi contenuta nella relazione e, in particolare, sono d'accordo sul fatto di inserire, nella preparazione post 2013 degli strumenti delle relazioni esterne, un meccanismo bilaterale che consenta un monitoraggio attivo dello stato della protezione delle minoranze, ovvero di altri gruppi che possano essere oggetto di violazioni e soffrire di una dimensione di instabilità. Per questo ho dato il mio voto favorevole a questa relazione.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione. I recenti avvenimenti drammatici verificatisi in Egitto e in altri paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente hanno portato a un aumento del flusso di migranti sia legali sia illegali verso l'Europa. Gli Stati membri dell’Unione europea si trovano ad affrontare migrazioni forzate, causate dalla recessione economica, dall’impoverimento, dalle violazioni dei diritti umani, dal degrado ambientale, dal crescente divario fra i paesi ricchi e quelli poveri, dalle guerre civili e dalle persecuzioni politiche. La gestione dei flussi migratori costituisce un’enorme sfida per l’Unione europea, che deve attivarsi per elaborare una politica migratoria comune in grado di contribuire a una riduzione dell’immigrazione clandestina. Concordo con la necessità di adottare misure preventive in tutti gli accordi commerciali bilaterali dell’UE, incluse clausole sui diritti umani, e bisogna prendere in considerazione l’applicazione di sanzioni appropriate per i paesi che non rispettano tali clausole.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, l’Europa si trova ad affrontare una vera sfida, ovvero l’aumento dei flussi migratori che deriva dall’instabilità caratteristica di molti paesi. Simili fenomeni migratori potrebbero generare tensioni non solo tra i paesi di origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi di origine e quelli di transito dei migranti.
La strategia dell’Unione europea dovrebbe affiancare alla dimensione della cooperazione allo sviluppo una visione più globale e politica che investa gli aspetti della sicurezza, della cooperazione regionale e degli accordi bilaterali. La relazione identifica in quest’ambito le possibili aree di azione seguenti: incoraggiare i paesi di transito e d'origine a realizzare condizioni di maggiore stabilità economica ed istituzionale; intensificare i propri sforzi nella mediazione e prevenzione dei conflitti, in cooperazione con le organizzazioni regionali; negoziare accordi bilaterali sull'immigrazione con altri paesi di transito; elaborare un'agenda economica dotata di specifiche misure per aumentare i livelli di occupazione nei paesi partner dell’UE. La Commissione deve migliorare le sinergie tra il pilastro dello sviluppo e quello della stabilità e della sicurezza, creando nuovi strumenti di azione esterna per il periodo successivo al 2013. Per tutti i motivi elencati, ho votato a favore della relazione.
Dominique Baudis (PPE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, ho votato a favore di questo documento sui flussi migratori. In effetti gli avvenimenti che stanno avendo luogo nel nostro vicinato meridionale hanno portato a elevati livelli di migrazione verso le coste europee. Ora più che mai è necessario coordinare le nostre politiche estere e migratorie. La questione è di natura puramente europea e non è questo il momento di cedere all’egoismo nazionale. Gli Stati membri sul Mediterraneo non devono affrontare da soli i massicci flussi di immigrati clandestini in ingresso: si tratta di un impegno che va condiviso con tutti i paesi dell’UE.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto. − (ES) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché, stabilendo obiettivi a medio e lungo termine, adotta un approccio realistico nei confronti dei problemi derivanti dal divario tra i paesi sviluppati e quelli che non lo sono e dalle violazioni dei diritti dell’uomo in molte regioni del mondo.
La relazione suggerisce alcune procedure per prevenire l’immigrazione clandestina e mira a coinvolgere nell’approccio globale al problema sia i paesi emergenti sia tutti i paesi interessati: di origine, di transito e di accoglienza. È particolarmente positiva la proposta di concentrarsi sull’idea di vincolare la politica di cooperazione al livello del rispetto dei diritti dell’uomo, così come sono interessanti i riferimenti alla tutela dei gruppi maggiormente svantaggiati, quali le donne o i minori non accompagnati.
Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché i flussi migratori causati dall’instabilità in un paese costituiscono una minaccia per l’intera Unione europea. La risoluzione fa un primo passo verso la creazione di una politica comune europea in materia di gestione della migrazione, che dovrà avere anche un effetto deterrente. A tale scopo, deve combinare ogni possibile strumento di cooperazione dell’Unione europea nel settore dello sviluppo economico e sociale, esercitando così un’influenza diretta sulle cause d’instabilità nei paesi di origine dei flussi migratori.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. − (LT) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione. Come già sottolineato, la migrazione è una questione particolarmente attuale dal momento che, a causa dei recenti avvenimenti in Africa settentrionale, l’Unione europea, in qualità di regione vicina, è stata costretta ad accogliere ingenti flussi migratori. La relazione richiama l’attenzione sulle molteplici cause alla base dei flussi migratori, quali i fattori economici e sociali, l’instabilità economica e il cambiamento climatico, che ancora oggi non vengono presi sufficientemente in considerazione quando si esaminano le cause della migrazione di massa. Alla luce di queste motivazioni, si sottolinea che l’Unione europea necessita di un approccio più efficace alla migrazione, a completamento degli strumenti di politica estera che contribuirebbero così ad affrontare le cause d’instabilità nei paesi d’origine e, quindi, della migrazione in massa verso paesi vicini più stabili. La relazione, inoltre, esorta la Commissione a elaborare proposte in materia di migrazione legale, di più semplice gestione, anche in vista della promozione del progresso economico e sociale nei paesi di origine, , transito e accoglienza. Nella relazione si afferma che le peggiori violazioni dei diritti dell’uomo e le attività criminali, spesso veri e propri affari per chi li organizza, sono strettamente collegate all’immigrazione clandestina. Si sottolinea, infine, la necessità di valutare la situazione demografica nell’Unione europea per calcolare con esattezza quante persone possono essere accolte dall’Europa.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Signor Presidente, l’Unione europea deve affrontare flussi migratori causati da guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni dei diritti umani e disastri naturali nei paesi terzi. L’Unione deve rispondere a questa sfida in modo efficace, adottando misure preventive e mettendo in campo gli strumenti di politica estera più appropriati per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità. Una politica europea di governo dei fenomeni migratori dovrebbe affiancare alla dimensione della cooperazione allo sviluppo una visione più globale e politica che investa gli aspetti della sicurezza, della cooperazione regionale, degli accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito, della tutela dei diritti umani e della democratizzazione.
La politica estera europea dovrebbe completare ed essere sinergica alla propria politica sull'immigrazione, concentrandosi sulle fonti dell'instabilità e sulle difficoltà strutturali nei paesi d'origine. Occorre altresì instaurare un dialogo costante con i paesi di transito, in modo da governare i flussi migratori e permettere un'applicazione uniforme degli standard internazionali sui diritti umani in materia d'immigrazione.
Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore della relazione del collega Provera perché ritengo sia un passo avanti nell'auspicata direzione della solidarietà fra gli Stati.
Nelle ultime settimane, in particolare, l'Italia è la meta di migliaia di migranti in fuga dai paesi del Nord Africa. Di fronte a una così difficile situazione l'UE non può lasciare solo il mio paese, ma deve adoperarsi affinché si rispettino i trattati e in particolare l'articolo 80 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
Al contempo, è necessario ottimizzare le risorse finanziarie e le strutture esistenti. Il ruolo dell'agenzia per le frontiere Frontex, ad esempio, va rafforzato e maggiormente finanziato. Protezione dei diritti umani, accresciute risorse finanziarie, sviluppo delle democrazie, Stato di diritto e accordi bilaterali sono strumenti che, se opportunamente applicati, possono contribuire certamente a prevenire le migrazioni di massa.
Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) Signor Presidente, condivido la necessità di elaborare una strategia integrata a lungo termine per gli Stati instabili che affronti le cause alla base dei flussi migratori. Ciononostante, non condivido la richiesta al Consiglio di presentare un piano d’azione con oneri ripartiti sulla base della clausola di solidarietà di cui all’articolo 80 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il reinsediamento dei rifugiati della regione deve essere responsabilità degli Stati di destinazione e se l’afflusso diventa insostenibile bisognare rendere più rigide le politiche europee in materia di asilo e immigrazione. In questo contesto, nutro timori in merito all’invito a istituire un regime comune europeo in materia di asilo e un programma comune di reinsediamento. Lo sviluppo di un approccio globale della Commissione nei confronti della migrazione legale è una buona idea, ma non va collegato alle esigenze del mercato del lavoro europeo o alla capacità di ogni Stato membro di ricevere e integrare migranti. La gestione dei flussi migratori deve rimanere fondamentalmente di competenza degli Stati membri.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, accolgo con favore l’impegno dell’Unione europea per rispondere alle sfide generate dall’instabilità e dai flussi migratori, che riguardano non solo i paesi d’origine ma anche quelli di transito, in diversi settori connessi alla violenza, alle violazioni dei diritti umani e così via. Sostengo una politica attiva che cerchi di risolvere gli iniziali fattori destabilizzanti nei paesi d’origine, quale la mancanza di strutture economiche e democratiche. Si tratta dell’unico modo per superare le conseguenze negative della migrazione, che dovrebbe essere invece positiva e produttiva e non una via di fuga. Questa politica deve tradursi in una cooperazione tra i paesi d’origine e quelli di transito sulla base di un dialogo teso a raggiungere risultati solidi, efficaci e duraturi.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL)
Signor Presidente, ho votato contro la relazione sui flussi migratori perché, sebbene contenga un’analisi relativamente accurata ed equilibrata delle principali cause che spingono le persone a lasciare il proprio paese, essa non presenta le necessarie conclusioni o proposte. Da un lato, insiste sull’approccio della divisione tra migranti legali e clandestini e sulla percezione utilitarista di migranti “utili” e non utili, collegando in questo modo i loro diritti alle diverse “quote” applicate dall’Unione e dagli Stati membri. Dall’altro, la relazione collega il fenomeno dell’immigrazione a questioni di sicurezza, creando confusione e mettendo sullo stesso piano gli immigrati e le attività criminose o “terroristiche”, consolidando in questo modo le pratiche e le ideologie che le criminalizzano.
In questo contesto, la relazione rafforza ulteriormente il ruolo “paternalistico” dell’Unione, al punto che propone di collegare il pilastro relativo agli aiuti allo sviluppo dell’UE per i paesi terzi con il pilastro “sicurezza”, modificando del tutto la natura e l’obiettivo dell’aiuto in questione.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Signor Presidente, siccome le precedenti conferenze ONU si sono concentrate sui principi, mi auguro che la quarta edizione che si terrà a Istanbul sia orientata ai risultati e all’elaborazione di chiari indicatori per dimezzare il numero di paesi meno sviluppati entro il 2020. Dei 51 paesi sottosviluppati, dove il 78 per cento della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno, solo tre sono usciti da questa categoria negli ultimi anni. La situazione è preoccupante, dal momento che i paesi in questione sono i più vulnerabili a tragedie, come le crisi finanziarie e alimentari e il cambiamento climatico, e si trovano nel contempo a far fronte a povertà estrema, mancanza di infrastrutture e aumento della disoccupazione. Questa realtà sottolinea il fallimento della comunità internazionale nel tener fede agli impegni assunti con il programma d’azione di Bruxelles. Spero che durante la conferenza, dove rappresenterò il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, ci concentreremo sul raggiungimento della coerenza in termini di politiche e metodologie per lo sviluppo volte a mettere in atto meccanismi di finanziamento innovativi, per fornire un’assistenza più efficace ai paesi che devono essere incoraggiati ad applicare politiche adeguate.
Mário David (PPE), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, stiamo discutendo di una questione estremamente importante e dobbiamo tenere ben presente la sua complessa natura. La relazione esamina l’importanza di portare avanti i trattati di cooperazione in materia di Politica europea di vicinato (PEV). Il fenomeno della migrazione causata da situazioni di crisi e instabilità ha implicazioni negative per i paesi di destinazione e per le popolazioni sfollate stesse. Questo fenomeno va contrastato affinché la migrazione in queste circostanze non costituisca più l’ultima risorsa, una fuga da una situazione di insicurezza, di debole sviluppo economico, di instabilità o paura. Nella mia dichiarazione di voto desidero ribadire la necessità di adottare misure che garantiscano e promuovano la stabilità e la sicurezza nei paesi d’origine. L’approccio alla riduzione dei flussi migratori che hanno origine dall’instabilità e dalla crisi deve basarsi sulla prevenzione. La politica estera europea, e specificatamente la PEV, deve fornire aiuti a queste regioni, promuovendo la sicurezza, la stabilità e la tutela dei diritti umani nell’ambito di un processo di sviluppo ampliato, come ho già affermato nella mia relazione sulla revisione della PEV – dimensione meridionale, al voto questa settimana.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, alcuni Stati membri si trovano ad affrontare un massiccio afflusso di persone alla ricerca di protezione dalla sponda meridionale del Mediterraneo, ma non riescono ad affrontare da soli questa emergenza umanitaria e migratoria. Le risorse umane, materiali e anche finanziarie di Frontex vanno incrementate, affinché sia un grado di fornire maggiore sostegno a operazioni come Hermes e Poseidon. I deputati al Parlamento europeo esortano il Consiglio europeo a mettere a punto un piano d’azione per il reinsediamento dei rifugiati, ai sensi della clausola di solidarietà tra Stati membri. In effetti, l’articolo 80 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce il principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri per quanto concerne le politiche relative alla gestione dei controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione. Nel medio e lungo termine, dobbiamo creare legami di cooperazione con i paesi d’origine dei migranti futuri e istituire partenariati di mobilità che permettano ai cittadini di questi paesi di lavorare, studiare e viaggiare legalmente sulle due sponde del Mediterraneo.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE. L’instabilità politica, sociale ed economica, la mancanza di sicurezza, la repressione politica e il cambiamento climatico spingono le comunità a migrare; l’UE deve pertanto elaborare una politica comune in materia d’immigrazione, in vista della promozione del progresso economico e sociale nei paesi di accoglienza, d’origine e di transito e per aumentare la coesione sociale tramite una migliore integrazione dei migranti.
Göran Färm, Anna Hedh, Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog e Åsa Westlund (S&D), per iscritto. − (SV) Signor Presidente, i socialdemocratici svedesi concordano sul fatto che i flussi migratori causati dall’instabilità costituiscono una sfida per l’Unione europea e sulla necessità di intensificare l’impegno per affrontare le cause dell’instabilità e i problemi strutturali nei paesi d’origine. Ciononostante, riteniamo importante che l’Unione europea si assuma seriamente la responsabilità per i migranti che si recano qui e non la scarichi invece sui paesi vicini, come proposto al paragrafo 9. Sosteniamo l’esortazione relativa alla chiara inclusione della dimensione “diritti umani” nelle attività di Frontex, specialmente per quanto riguarda il diritto di una persona di lasciare il proprio paese, il divieto di non respingimento e il diritto di chiedere asilo. Riteniamo vi siano problemi con alcune delle attività portate avanti da Frontex finora e non sosteniamo il paragrafo nel quale il Parlamento europeo plaude alle attività completate con successo da Frontex.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, è ormai chiara la relazione tra centri di instabilità sociale, economica o politica e i flussi migratori verso l’Unione europea. La politica estera dell’Unione non solo non può ignorare questo fenomeno, ma deve cercare di comprenderlo e monitorarlo il più possibile. In realtà, l’Unione europea deve adottare misure che ottimizzino l’uso delle proprie risorse finanziarie e strutture istituzionali e gestire con efficacia i flussi migratori generati dall’instabilità presente al momento in diverse regioni del mondo.
Una politica di prevenzione che ricorra agli strumenti di politica estera più appropriati per affrontare e contrastare le cause dell’instabilità potrebbe contribuire a trasformare l’attuale “drammatica necessità” di migrare in una “opportunità”. Lo stato di diritto va promosso, i diritti umani tutelati e lo sviluppo della democrazia e dell’economia incoraggiato. Senza quest’impegno comune per lo sviluppo nei paesi interessati e senza una cooperazione con i loro cittadini e le strutture sociali, non sarà possibile contribuire in modo efficace alla riduzione dell’instabilità.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, la relazione si concentra sui flussi migratori causati dall’instabilità politica caratteristica di alcune regioni del mondo, in particolare l’Africa settentrionale e il Mediterraneo meridionale. Questa situazione, che colpisce i paesi dell’Europa meridionale e in particolare l’Italia – stiamo tutti seguendo la situazione sull’isola di Lampedusa, dove sono sbarcati oltre 20 000 immigrati – e Malta, ha portato in Europa oltre 400 000 rifugiati. Per risolvere la situazione, non dobbiamo solamente mobilitare il Fondo europeo per i rifugiati, ma è essenziale anche che l’Unione europea metta in atto un piano più ampio di assistenza umanitaria e soddisfi quanto prima le esigenze di base delle persone interessate. È necessario predisporre un programma regionale per i rifugiati provenienti da Egitto, Tunisia e Libia che riguardi sia la loro tutela sia l’asilo, per prevenire la tratta di esseri umani e preparare il loro rientro nei paesi d’origine. Accolgo con favore l’adozione della relazione, poiché indica che l’Unione europea affronterà, attraverso la propria politica di cooperazione esterna e senza alcun preconcetto, le cause strutturali dei problemi derivanti dai flussi migratori.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, i flussi migratori hanno numerose cause, ma le principali sono guerre e conflitti armati, violazioni sistematiche dei diritti umani, conflitti religiosi ed etnici e repressione. Anche i disastri naturali e la povertà risultante dalla mancanza di strutture economiche e democratiche adeguate rientrano tra le motivazioni più frequenti alla base dei flussi migratori.
Gli effetti della crisi del capitalismo mondiale e le conseguenze del suo sviluppo irregolare e asimmetrico stanno inasprendo la situazione economica e sociale in molti paesi. Anche le rivolte nel mondo arabo sono un’espressione di questo fenomeno, con il conseguente aumento dei flussi migratori. L’approccio dell’Unione europea in merito è spesso ipocrita, in quanto si applicano due pesi e due misure: da un lato, la nostra politica afferma di difendere i diritti umani nei paesi terzi, adottando però un punto di vista utilitarista quando si tratta di attaccare uno di questi paesi Stati; dall’altro si rende complice del protrarsi di situazioni gravi, come l’attuale a Lampedusa, in Italia.
La prevenzione dei flussi migratori in questione richiede misura basate su un’onesta politica di cooperazione, di aiuti allo sviluppo e di solidarietà e promozione della pace, inclusa la risoluzione pacifica dei conflitti, non ancora raggiunta.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Signor Presidente, le guerre e i conflitti armati, le tensioni etniche, le violazioni sistematiche dei diritti dell’uomo, l'impossibilità di praticare la propria religione, i disastri naturali e l'assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali dei flussi migratori.
La prospettiva attuale è un peggioramento della situazione, alla luce della crisi di cui il capitalismo è vittima e delle sue conseguenze sociali, incluse le rivolte nei paesi arabi.
L’Unione europea non può quindi continuare con la propria politica ipocrita che prevede due pesi e due misure, dal momento che sostiene di tutelare i diritti umani nei paesi terzi, ma permette il perdurare di situazioni gravi come quella a Lampedusa.
Abbiamo bisogno di una politica di prevenzione e di misure di cooperazione allo sviluppo, con una visione politica più globale, che includa in particolare la solidarietà e la salvaguardia dei diritti umani, situazione ben diversa dalla realtà attuale.
In generale, la Commissione europea e lo stesso Parlamento europeo accordano la priorità ai loro interessi economici e geostrategici, dimenticandosi della solidarietà e degli obiettivi di sviluppo del Millennio, adottando direttive vergognose come quella sul rimpatrio.
Per questi motivi abbiamo votato contro la relazione, sebbene includa uno o due punti positivi.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, vorrei esprimere il mio sostegno agli abitanti di Lampedusa, che si trovano a far fronte a sovraffollamento, insicurezza, problemi di approvvigionamento e probabilmente rischi sanitari, ma che, agli occhi del Parlamento, vengono dopo le decine di migliaia di immigrati clandestini che sbarcano sulle loro coste. Vorrei anche dire alle autorità italiane che le barche noleggiate devono rimpatriare questi clandestini in Africa, non in Europa. La maggior parte degli immigrati proviene dalla Tunisia, un paese in cui pare si stia svolgendo una straordinaria avventura democratica, alla quale hanno il dovere di partecipare. Non possiamo continuare ad accogliere chiunque non si sente a proprio agio nel suo paese d’origine, perché piove o c’è il sole, perché c’è una dittatura o non ce n’è più una, perché è sottosviluppato o perché è in via di sviluppo. La motivazione principale di questi migranti è puramente economica.
Le nostre politiche per lo sviluppo devono incoraggiare le persone a rimanere nel proprio paese e devono essere subordinate a questo principio e al rimpatrio dei cittadini. Contrariamente a quanto afferma il relatore, non vi è alcun “diritto” di emigrare; al contrario, i popoli europei, che devono essere la vostra prima priorità, hanno il diritto assoluto di dire “STOP” ed essere ascoltati.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE e vorrei concentrarmi su diversi aspetti menzionati. Dalla caduta del Presidente Ben Ali, circa 24 000 tunisini sono sbarcati sull’isola di Lampedusa e sulle coste italiane e migliaia di libici sono fuggiti dal loro paese, da febbraio devastato dalla guerra. Abbiamo estrema necessità di una risposta europea e di solidarietà europea di fronte al dramma umanitario in corso. La nostra relazione chiede un sistema di solidarietà relativo al reinsediamento dei rifugiati dall’Africa settentrionale, nonché l’applicazione della “clausola di solidarietà” tra gli Stati membri per quanto riguarda le politiche relative ai controlli alle frontiere, l’asilo e l’immigrazione. La relazione chiede, inoltre, che il bilancio post-2013 includa una disposizione in materia di fondi di emergenza per una risposta rapida all’immigrazione e all’asilo in Europa. Tutti questi aspetti sono necessari in una politica europea genuina in materia d’asilo, che chiediamo da tempo e che deve basarsi sui principi di coerenza, responsabilità, solidarietà e rispetto dei diritti dell’uomo.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, ho votato a favore di questa relazione d’iniziativa perché sottolinea le reali cause dei flussi migratori, ovvero l’instabilità politica, sociale ed economica, la mancanza di sicurezza, la repressione politica, le violazioni dei diritti umani nonché il cambiamento climatico. La relazione, inoltre, sottolinea l’importanza di dotare i paesi d’origine di strategie sostenibili nell’ambito della Politica europea di vicinato (PEV) e della Politica europea di cooperazione allo sviluppo. Così facendo, mette in dubbio il mito dell’immigrazione zero, ricordandoci come questo fenomeno non possa essere fermato e la necessità dell’Unione europea di un’immigrazione forte ma controllata, per compensare l’invecchiamento della propria popolazione e affrontare le altre sfide economiche e sociali.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, la relazione Provera affronta diverse questioni importanti relative all’immigrazione e sottolinea l’importanza dei diritti dell’uomo, che sono stati al centro di campagne in Scozia e Regno Unito per fermare la detenzione di bambini che chiedono asilo. Il governo britannico ha promesso di porre fine a tale oscenità, ma per il momento alle parole non sono seguiti i fatti.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Signor Presidente, ho votato a favore di questo documento perché i flussi migratori causati dall’instabilità costituiscono una minaccia per l’Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori. Tale fenomeno è particolarmente preoccupante perché può generare o amplificare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Per rispondere in maniera efficace a questa sfida l'Unione europea deve attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo gli strumenti di politica estera più appropriati per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità. È pertanto urgente aprire un dibattito per meglio conoscere ogni aspetto dei fenomeni migratori e delle loro cause strutturali e che permetterà all'Unione europea di delineare una politica coerente ed efficace sul fenomeno dei flussi provenienti dai paesi d'origine e di transito; in questo modo sarà possibile decidere quanto e come investire in questi paesi per compensare le tensioni interne demografiche e sociali, contribuendo così a creare condizioni di stabilità.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di risoluzione sottoposta oggi al voto dell'aula pone un'importante questione: definire il ruolo della politica estera dell'UE di fronte al problema, insieme tragico e delicato, dei flussi migratori. La sfida che l'Unione europea deve affrontare è determinata dalle evidenti instabilità di cui l'Africa del nord ed il Medio Oriente sono protagonisti. L'Europa deve saper cogliere questa sfida, al fine di evitare conseguenze negative, attraverso la previsione e la messa in campo di una politica di prevenzione, che intervenga sulle cause di instabilità economica e politica di questi paesi, proponendo soluzioni condivise che possano evitare o perlomeno attenuare la consistenza del fenomeno. Le risorse necessarie a questo fine sono però ingenti, motivo per il quale sarà necessario coinvolgere e coordinarsi con le altre grandi potenze. Quanto detto non può però prescindere dal dare pieno rispetto al principio di solidarietà. Con questa prospettiva l'Europa ha il dovere di rispondere in modo compatto e coeso, dimostrando in tal modo la scelta di attenzionare questa politica più che altre. Per questi motivi, perché convinto dell'importante segnale politico che l'Europa ha l'obbligo morale di dare nei confronti di questo problema, evitando di lasciare soli gli Stati, ho sostenuto mediante il mio voto la suddetta risoluzione..
Agnès Le Brun (PPE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, l’Unione europea dispone di poteri molto ampi per quanto riguarda il controllo dei flussi migratori. Tali poteri vengono ora invocati per gestire il recente afflusso di rifugiati in fuga dai problemi nell’Africa settentrionale, in particolare in Libia. La “Primavera araba” è un potente simbolo di libertà, ma cela anche una realtà più tragica che spinge molti civili a mettersi in viaggio, via mare in questo caso, alla ricerca di asilo. La risoluzione esorta l’UE e le istituzioni internazionali a fare il punto della situazione sulle conseguenze derivanti da massicci movimenti della popolazione. L’ho sostenuta perché i singoli Stati membri non possono far fronte a questa situazione autonomamente: la gestione deve essere orientata alla cooperazione e alla condivisione. La nuova architettura della politica estera dell’Unione introdotta dal trattato di Lisbona, e in particolare la creazione del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), deve permettere di coordinare con maggiore efficacia l’azione degli Stati membri.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione, che accoglie con favore le recenti proposte della Commissione sulla migrazione legale delle persone che non richiedono asilo e la invita a sviluppare ulteriori strumenti per creare una politica comune in materia di immigrazione, per gestire la migrazione economica in vista della promozione del progresso economico e sociale nei paesi di origine, di transito e di accoglienza e per aumentare la coesione sociale tramite una migliore integrazione dei migranti. Sottolinea la necessità di informazioni adeguate sulle possibilità di immigrare legalmente nell'UE, onde prevenire la migrazione illegale, fare un uso migliore dei regimi dell'UE per l'immigrazione legale, chiarire le prospettive e le opportunità attuali nell'UE e screditare le false promesse date dai trafficanti, riducendo in tal modo i profitti che la criminalità organizzata e la tratta degli esseri umani traggono sfruttando il bisogno delle persone di spostarsi. Invita la Commissione a promuovere misure di protezione per i gruppi e le persone vulnerabili (in particolare donne e bambini), che spesso divengono vittime della tratta di esseri umani e dello sfruttamento sessuale e la esorta a istituire nei paesi terzi centri di informazione sulle possibilità di migrazione nell'UE. Esorta, tuttavia, ad adottare un approccio equilibrato tra la promozione della migrazione legale nell'UE e la garanzia che quest'ultima sia in grado di accogliere e di integrare con successo i migranti.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, la relazione non riesce a nascondere la verità, nonostante la profusione di buoni sentimenti. L’Unione europea è preoccupata a causa della caduta dei dittatori che sosteneva in cambio della gestione dei “flussi migratori” alle sue frontiere. L’idea di un afflusso massiccio di rifugiati, vittime del sistema dittatoriale, non la preoccupa, e a ragione; è l’arrivo della democrazia a suscitare i suoi timori.
Eppure tra oggi e il 2030 l’Europa avrà bisogno di 230 milioni di immigrati: lo ha affermato la Commissione stessa. Il testo, inoltre, raccomanda l’applicazione di sanzioni ai paesi che non rispettano i principi sanciti negli accordi di libero scambio e quelli difesi dal Fondo monetario internazionale (FMI). Le rivoluzioni arabe si sono a malapena liberate dal giogo dei propri despoti e ora i tiranni stranieri mandano i loro ossequi. La relazione è arrogante e brutale. Esprimo voto contrario.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall'instabilità rappresentano una sfida per l'Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori. Tale fenomeno è particolarmente preoccupante perché può generare o amplificare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Per rispondere in maniera efficace a questa sfida l'Unione europea deve attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo gli strumenti di politica estera più appropriati per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. − (ES) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Provera sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE, perché non condivido la politica dell’Unione europea in materia di migrazione; la politica della “fortezza Europa”, con frontiere corazzate per le persone, ma inesistenti per i capitali. La relazione incoraggia una politica migratoria europea che non riconosce che l’emigrazione è un diritto e non un reato e che non garantisce il sacro principio della richiesta di asilo. L’ipocrisia dell’Unione europea è abominevole: criminalizza gli immigrati privi di documenti. Gli immigrati clandestini sono utilizzati come forza lavoro nel processo per accumulare rapidamente capitale, in un attacco diretto alla natura universale dei diritti umani. L’Unione europea, che può esistere solo grazie all’immigrazione economica, mostra un grande cinismo. Quanto succede nell’Africa settentrionale è una dimostrazione della “fortezza Europa”. L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex) non ha niente a che vedere con la solidarietà o con la cooperazione al fine di aiutare i popoli a lottare contro le dittature come quella di Ben Ali, Mubarak o Gheddafi: quando migliaia di africani fuggono da repressione e guerra, l’Unione europea li mette in carcere.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall'instabilità rappresentano una sfida per l'Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori. Tale fenomeno è particolarmente preoccupante perché può generare o amplificare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Per rispondere in maniera efficace a questa sfida l'Unione europea deve attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo tutti gli strumenti di politica estera appropriati ad affrontare le cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una necessità. A lungo termine, L’Unione europea deve intraprendere azioni efficaci sul lungo termine per ottimizzare l’impiego dei propri strumenti finanziari e delle strutture istituzionali esistenti. Le misure proposte nella relazione non sono sufficienti e sono troppo teoriche: abbiamo bisogno di un piano economico e finanziario preciso e specifico, altrimenti l’Europa soffocherà in seguito all’ondata di immigrazione clandestina. La relazione, che è un primo passo verso la risoluzione del problema, è molto utile.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Signor Presidente, alla luce del continuo afflusso di migranti verso l’Europa sembra sempre più importante prendere posizione contro la legalizzazione dei migranti economici. È fondamentale fornire la nostra assistenza ai paesi in via di sviluppo, in modo tale da incoraggiare le loro popolazioni a non abbandonarli. Non ha senso permettere ai cittadini dei paesi in via di sviluppo di entrare nel mercato del lavoro, soprattutto perché il tasso di disoccupazione della zona euro si attesta al momento al 9,9 per cento. La relazione originale dell’onorevole Provera era ottima e ben equilibrata, ma è stata, purtroppo, modificata nella direzione sbagliata da molti emendamenti e per questo motivo ho espresso voto negativo.
Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. − (LT) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione perché, a seguito alle rivolte nei paesi arabi che hanno portato a una notevole intensificazione dei flussi migratori, è importante che l’Unione europea disponga di una politica comune in materia di migrazione. Non è possibile fermare la migrazione e la politica estera deve quindi svolgere un ruolo cruciale in quest’ambito. I paesi alle frontiere esterne dell’Unione europea sono i più colpiti dall’aumento dei flussi migratori e il nostro impegno deve quindi garantire la creazione a livello europeo di una politica migratoria comune, per un controllo e una gestione ottimale dei flussi di migranti. Soltanto attraverso un impegno congiunto potremo salvaguardare la crescita economica, la sostenibilità del mercato del lavoro e le possibilità di sviluppo dalle conseguenze negative nei paesi che fanno fronte ai flussi più ingenti di immigrati. Si tratterà di uno strumento efficace per contrastare l’immigrazione clandestina, la criminalità organizzata e la tratta di esseri umani. L’Unione europea deve impegnarsi il più possibile per garantire la promozione della migrazione legale e una lotta efficace alla migrazione clandestina. È fondamentale istituire un sistema di migrazione legale, che prenda in considerazione le necessità del mercato del lavoro europeo e la capacità di ogni Stato membro di accogliere e integrare immigrati.
Gli immigrati legali negli Stati membri devono godere degli stessi diritti e degli stessi obblighi degli altri lavoratori. Al fine di ridurre in ogni paese la fuga dei cervelli e di specialisti qualificati, è fondamentale introdurre programmi di rimpatrio assistito, promuovere la migrazione circolare, regolamentare le pratiche di assunzione e sostenere l’ampliamento delle capacità.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Cari colleghi, ho votato a favore della relazione del collega Provera in rispetto ad uno dei principi fondanti dell'Unione, il principio di solidarietà tra i popoli. La situazione attuale, viste le crisi politiche nel nord Africa e la lenta o del tutto assente risposta della politica europea sui flussi migratori, è grave e problematica tanto che ritengo vada affrontata con tempestività. La richiesta al Consiglio, con l'approvazione di questo testo, di dare piena attuazione alla clausola di solidarietà con un piano d'azione concreto e oneri ripartiti tra gli Stati membri non può e non deve essere ignorata. Il testo nello specifico auspica norme minime per la concessione della protezione temporanea degli immigrati e misure dirette a dividere responsabilità e sforzi tra gli Stati membri che, come l'Italia, accolgono gli immigrati responsabilmente subendone unilateralmente le conseguenze.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Signor Presidente, a livello europeo stiamo collegando l’aumento della pressione dei flussi migratori alla politica estera europea e si tratta di un passo molto importante. Le iniziative europee possono aiutare i paesi politicamente instabili dell’Africa settentrionale, paesi di origine di ingenti flussi di immigrati clandestini, e per questo strumenti come i programmi di aiuti allo sviluppo e cooperazione e gli accordi di riammissione possono e devono essere sfruttati pienamente. Si tratta, chiaramente, di questioni che diverranno cruciali nell’immediato futuro, sia per la Grecia sia per il resto d’Europa, e per questo motivo ho votato a favore della relazione.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall'instabilità rappresentano al momento una grande sfida per l'Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori. Tale fenomeno è in crescita e può generare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito. La relazione presenta un insieme di raccomandazioni tese a permettere all’Unione europea di rispondere in maniera efficace a questa sfida. Tra le misure proposte desidero sottolineare l’adozione di una politica di prevenzione per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità, e l’integrazione della cooperazione allo sviluppo con una visione più globale e politica che investa gli aspetti della sicurezza, della cooperazione regionale e degli accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito. Questi traguardi vanno perseguiti parallelamente agli obiettivi di sviluppo del Millennio, strettamente collegati alla stabilità politica, e devono inquadrare l’intero processo.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Care colleghe e cari colleghi, i flussi migratori causati dall'instabilità sono la conseguenza indiretta di violazioni dei diritti umani, di disastri ambientali e della mancanza di strutture economiche e sociali in grado di assicurare il benessere di ampi strati della società. Essi rappresentano una sfida per l'UE, per gli sforzi che essi richiamano sia in termini di cooperazione allo sviluppo che in termini di prevenzione di tensioni sociali, le quali vengono spesso a crearsi non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Tale sfida necessita di risposte concrete dell'UE, volte ad affrontare, oltre alla dimensione della cooperazione allo sviluppo, anche quella della politica estera, mettendo in campo, sia al livello regionale che globale, misure di carattere preventivo nell'ambito della sicurezza, della cooperazione regionale, degli accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito, della tutela dei diritti umani e della democratizzazione, che facciano uso di tutti gli strumenti di politica estera a disposizione. Essendo fermamente convinto dell'importanza per l'UE di intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, e di farlo migliorando l'utilizzo degli strumenti a disposizione, non posso che esprimere il mio voto favorevole alla proposta..
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall'instabilità rappresentano una sfida per l'Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori.
Tale fenomeno è particolarmente preoccupante perché può generare o amplificare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Per rispondere in maniera efficace a questa sfida l'Unione europea deve attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo gli strumenti di politica estera più appropriati per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità.
Una politica europea di governo dei fenomeni migratori dovrebbe affiancare alla dimensione della cooperazione allo sviluppo una visione più globale e politica che investa gli aspetti della sicurezza, della cooperazione regionale, degli accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito, della tutela dei diritti umani e della democratizzazione.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – La gestione dei flussi migratori causati dall'instabilità politica rappresenta una sfida fondamentale per l'UE. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani, disastri naturali e l'assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questi flussi.
Ritengo necessario fin d'ora attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo gli strumenti più appropriati per intervenire sulle cause delle instabilità. La politica estera europea dovrebbe concentrarsi sulle fonti dell'instabilità e sulle difficoltà strutturali nei paesi d'origine. Ritengo che questo testo rappresenti per l'UE uno strumento in più per delineare una politica coerente ed efficace sul fenomeno dei flussi migratori, indirizzando le scelte sulla strada più opportuna per ricostituire condizioni di stabilità politica, economica e sociale.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. – Sulla relazione in oggetto la mia posizione è fortemente contraria. Il motto "Uniti nella diversità" prevede che ognuno sia padrone a casa propria e non può e non deve essere l'UE che ci impone di accettare ospiti sgraditi. Vedersi negare il diritto di respingere al paese di origine i clandestini va contro ogni regola di buon senso. Se non si rispetta la legalità, si rischia l'invasione di milioni di disperati in fuga. Bisogna aiutare chi soffre ma a casa loro, impedendo il traffico di esseri umani.
Rigetto fortemente l'accusa all'Europa di razzismo e xenofobia perché sono stanco di assistere agli scioperi dei tunisini illegali perché non vengono dati loro i soldi per comperare le sigarette, al rifiuto di mangiare cibo contenente tonno perché sa di pesce, alla pretesa di ricevere, una volta sbarcati in Italia, casa e lavoro, ovviamente gratis, alla faccia dei disoccupati e dei poveri che nel nostro paese vivono da sempre.
Si sprecano i complimenti all'Alto rappresentante baronessa Ashton che in realtà non ha saputo minimamente gestire l'attuale situazione di crisi del Maghreb. Ciliegina sulla torta, il considerare perseguitati o con pochi diritti, e quindi degni di particolari attenzioni, lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender.
Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. – (EL) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dell’onorevole Provera perché ritengo che affronti il problema in modo realistico e che la ripartizione degli oneri proposta per l’immigrazione sia estremamente necessaria. Il problema dell’immigrazione è di difficile risoluzione, ma possiamo gestirlo agendo in modo corretto. Non possono essere soltanto la Grecia, l’Italia e la Spagna a sobbarcarsi questo problema. Da gennaio, 23 000 immigrati sono sbarcati in Italia. Alla luce degli sviluppi nell’Africa settentrionale e nel mondo arabo, dobbiamo trovare una strategia europea per affrontare il problema e non abbandonare gli Stati membri al proprio destino, garantendo al contempo che non ci si approfitti degli sfortunati cittadini costretti a emigrare né dei cittadini europei che ne sopportano gli oneri.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Signor Presidente, la risoluzione ha il merito di intensificare la discussione sulla politica migratoria dell’Unione, anche se avrebbe potuto essere più specifica e utilizzare formulazioni più incisive. Al momento, proprio mentre la situazione nell’Africa settentrionale sta portando a ingenti flussi di migranti, l’Unione europea non riesce a colpire nel segno, poiché non si assume in modo chiaro alcuna responsabilità. Frontex non può essere l’unico strumento coinvolto nella gestione della crisi dei rifugiati. L’Europa necessita urgentemente di un piano d’azione con oneri ripartiti per sostenere il reinsediamento dei rifugiati dalla regione e offrire sostegno ai senzatetto. È deplorevole che, nella situazione attuale, il rinvio di un accordo in merito alla cooperazione tra Unione europea e Libia sia apparentemente l’unica opzione possibile. In accordi simili, la preoccupazione principale non deve essere una maggiore rigorosità dei controlli alle frontiere dell’Unione, ma il monitoraggio della ratifica della convenzione di Ginevra, nonché il suo rispetto. Spero che la presente risoluzione rappresenti un primo passo verso un approccio più globale alla questione dei rifugiati, affinché si trattino le persone in modo più umano.
Michèle Striffler (PPE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dell’onorevole Provera sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE. Il coordinamento tra politica estera e politica migratoria è fondamentale. Dobbiamo concentrarci sulle cause radicate dell’instabilità in alcune regioni del mondo e gestire con efficacia i flussi migratori. Le politiche di gestione migratoria devono essere efficacemente combinate con la politica europea di cooperazione allo sviluppo e prendere in considerazione gli aspetti di sicurezza, cooperazione regionale nei paesi meridionali e accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito. Per quanto riguarda il ruolo centrale di alcuni paesi nell’ambito di tale politica, sono convinta che la firma di accordi di cooperazione tra questi paesi e l’Unione europea sia essenziale per contrastare l’immigrazione clandestina. In quest’ambito, l’accordo di cooperazione tra Libia e Unione europea, al momento sospeso, va ripristinato.
Niki Tzavela (EFD), per iscritto. – (EL) Signor Presidente, la recessione e l’instabilità politica presenti in numerosi paesi hanno contribuito all’intensificazione dei flussi migratori, che costituiscono una sfida per l’Unione europea. Le misure proposte nella relazione contribuiranno alla risoluzione del problema, che spaventa direttamente i paesi situati alle frontiere europee e indirettamente l’intera Unione. Una di queste misure è la creazione di un sistema di monitoraggio permanente e stabile per tutte le attività e le operazioni di Frontex legate alla gestione dei flussi migratori; per questo motivo ho votato a favore della relazione Provera.
Dominique Vlasto (PPE), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, accolgo con favore l’adozione di questa equilibrata risoluzione che avanza proposte per rispondere alle sfide poste dalle pressioni migratorie cui l’Europa fa fronte. Ritengo essenziale che la politica migratoria e la politica in materia di aiuti allo sviluppo vadano di pari passo. Il fenomeno migratorio nasconde drammi umani e parte della soluzione risiede nelle politiche di aiuti per i paesi terzi, che contribuiranno al loro sviluppo e alla loro stabilità. Si tratta di una problematica che anche la Politica europea di vicinato (PEV) deve prendere in considerazione. è urgente offrire una risposta paneuropea ed esorto gli Stati membri e la Commissione a mobilitare le risorse e gli strumenti necessari. Potremo farlo rafforzando il ruolo e le risorse dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex)nonché fornendo adeguata assistenza alle regioni e alle città lungo le sponde del Mediterraneo; queste aree dovranno affrontare l’emergenza umanitaria generata dall’afflusso di immigrati, garantire il mantenimento dell’ordine e incoraggiare l’integrazione dei migranti legali. A mio parere, la solidarietà europea tra Stati membri e paesi terzi deve scendere pienamente in campo.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. − (DE) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione. Come viene sottolineato, l’attuale flusso di migranti è alla base di grandi tensioni tra i paesi d’origine, d’accoglienza e di transito, nonché in seno agli stessi paesi d’accoglienza. Come misura preventiva, l’onorevole Provera propone di intervenire sulla causa alla radice della migrazione e di affrontare nella politica estera europea la mancanza di stabilità economica e democratica nei paesi di destinazione. Il Parlamento europeo ha elaborato diverse relazioni sul settore delle politiche allo sviluppo per esortare la Commissione, e in particolare la baronessa Ashton, a includere la situazione dei diritti umani in tutti i negoziati, a fornire assistenza e a facilitare il commercio in questo contesto. Desidero cogliere quest’opportunità per ribadire tale richiesta.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. − (LT) Ho espresso voto favorevole alla relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali dal momento che nella società moderna le donne assumono un ruolo multifunzionale sulla base del loro personale retaggio familiare e professionale e che proprio in questa molteplicità di ruoli possono fornire un contributo essenziale al progresso e all'innovazione a tutti i livelli sociali come pure al miglioramento della qualità della vita, in particolare nelle zone rurali. Sfortunatamente assistiamo a un calo della presenza femminile nelle zone rurali. Per mantenere stabile la situazione dei cittadini che lavorano nel settore primario, la politica di aiuto alle zone rurali dovrebbe prendere maggiormente in considerazione condizioni di vita e di lavoro innovative e sostenibili. Condivido la posizione dell’onorevole Jeggle in merito alla necessità di incoraggiare l’imprenditorialità e le iniziative delle donne, in particolare attraverso la promozione della titolarità femminile, le reti di imprenditrici e l'accesso agevolato al credito nel settore finanziario per le donne che gestiscono un’attività nelle zone rurali, comprese le lavoratrici autonome, le lavoratrici a tempo parziale a basso reddito e le giovani donne, affinché esse possano operare meglio sul mercato e crearsi una solida posizione economica. È importante anche sostenere gli sforzi politici miranti a promuovere il ruolo delle donne in agricoltura onde facilitare loro l’esercizio di un’attività imprenditoriale agricola. È necessario migliorare l’accesso alla terra e al credito per le donne, così da incoraggiarne l'insediamento nelle zone rurali e di operare attivamente nel settore primario.
Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, sostengo con piacere la relazione della collega Jeggle, in quanto focalizza l'attenzione su quel 42% di donne che vivono nelle zone rurali e che svolgono una funzione indispensabile ai fini dello sviluppo di queste aree, nonché alla loro stabilizzazione e modernizzazione, sviluppando nuove forme imprenditoriali. Grazie al loro impegno, queste donne hanno dimostrato di poter contribuire all'evoluzione dei tradizionali modi di vivere e produrre nelle campagne, creando delle attività economiche capaci di offrire occupazione e che consentono di conciliare gli obblighi familiari con l'attività lavorativa.
Con l'obiettivo di garantire condizioni di vita equivalenti in tutte le regioni e di evitare lo sviluppo unilaterale dei centri urbani, è necessario dotare tutto lo spazio rurale delle più moderne infrastrutture IT, con un accesso adeguato alla banda larga, e sviluppare imprese elettroniche come l'e-business che consentano di gestire l'attività economica a prescindere dalla distanza dai centri urbani.
Si dovrà altresì migliorare la formazione delle donne e l'accesso agevolato al credito a sostegno dell' imprenditorialità femminile. Le politiche di protezione sociale che verranno intraprese, dovranno anche tener conto delle condizioni di vita delle donne migranti impiegate come lavoratrici stagionali nelle aziende agricole, con particolare riferimento alla necessità di garantire ad esse un alloggio adeguato, l'assicurazione medica e adeguati servizi sanitari
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. – (RO)
Il principio dell'uguaglianza di genere è un requisito essenziale nel quadro della strategia Europa 2020, nonché un concetto da promuovere al fine di aumentare la partecipazione attiva delle donne alle attività economiche e sociali e garantire il rispetto dei diritti umani, con particolare attenzione al rispetto della parità di diritti tra uomini e donne nel settore agricolo. Ritengo implorante mettere in luce il ruolo svolto dalle donne nelle aziende agricole e nelle campagne. È fondamentale che le esigenze e le condizioni delle donne nelle zone rurali trovino un riscontro più che mai forte nelle politiche di sostegno. Esorto gli Stati membri a stanziare finanziamenti a favore delle zone rurali, promuovendo l’azione delle donne produttrici e imprenditrici e sostenendo il loro coinvolgimento negli organi direttivi delle istituzioni per favorire la parità dei ruoli tra uomini e donne.
Ho espresso voto favorevole al testo, che mi auguro aiuti a contrastare l’esclusione sociale nelle zone non urbane. L’obiettivo principale delle politiche di aiuto alle zone rurali è garantire la parità di diritti tra uomini e donne e condizioni di vita equivalenti in tutte le regioni, evitando lo sviluppo unilaterale dei centri urbani e prevenendo un esodo di massa dalle campagne.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) Il 42 per cento delle persone occupate nell’agricoltura è costituito da donne e questo rispecchia il valore del loro ruolo nelle zone rurali e nella aziende agricole.
Appoggio la relazione Jeggle, un testo importante che offre sostegno alle donne e riconosce il loro contributo all’agricoltura e alla vita nelle campagne. Le future politiche agricole dell’Unione europea dovranno riservare un riconoscimento adeguato al ruolo delle donne. Concordo con la posizione della relazione in merito all’eccellente lavoro delle reti di donne nel rendere vivaci le comunità rurali e nel promuovere l’uguaglianza e l’inclusione sociale nelle campagne. Queste reti devono ricevere maggiore sostegno politico a livello locale, nazionale ed europeo. In Irlanda, per esempio, l’ICA è un’organizzazione rilevante e influente nelle zone rurali, che ha di recente celebrato il centesimo anniversario dalla sua fondazione; conta attualmente circa 11 000 membri e da tempo appoggia l’attività delle donne nelle campagne. Le organizzazioni locali hanno bisogno di essere sostenute e tenute in considerazione nelle future politiche agricole dell’Unione europea.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. − (PT) Le donne rivestono un ruolo sempre più importante nel settore agricolo e nelle zone rurali. Negli ultimi anni, hanno fatto notevoli progressi grazie al sostegno fornito ai loro progetti, con una conseguente evoluzione della società rurale in generale.
Le donne hanno contribuito al progresso dei modelli economici tradizionali e della vita nelle zone rurali, apportando miglioramenti anche alla stabilità e alla modernizzazione dei modi di produzione, nonché allo sviluppo sostenibile nelle campagne. Anche le donne che vivono nelle aree non urbane hanno aspirazioni quali, ad esempio, realizzare il proprio progetto di vita, rendersi economicamente indipendenti e far fronte alle responsabilità familiari.
La relazione, alla quale ho espresso voto favorevole, sostiene la necessità di dare maggiore rilievo alle molteplici competenze professionali delle donne oltre che ai loro variegati interessi e alle diverse prestazioni che offrono, in modo che i posti di lavoro nell'agricoltura restino attrattivi anche per le donne. Garantire il successo e buone prospettive di vita a uomini e donne nelle zone rurali deve essere l’obiettivo principale delle strategie europee di sostegno alle aree agricole.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) La situazione delle donne nelle zone rurali è un tema molto attuale per l’Unione europea, ma diventa una questione seria ed urgente per alcuni Stati membri, come la Romania, dove la percentuale di aree non urbane è molto elevata e il tasso di occupazione è estremamente basso. Adottando un approccio sostenibile, finanziato in futuro dalla PAC, si potranno creare condizioni di vita migliori e rendere queste zone attrattive. Appoggio l’idea proposta dall’onorevole Jeggle di creare una rete europea di donne sostenuta anche dalle misure del secondo pilastro della PAC. Ritengo che, come riportato nella relazione, nel quadro della prossima riforma della PAC, si debba dare priorità all’accesso delle donne a determinati servizi e aiuti, in linea con le esigenze di ogni Stato membro.
Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione oggi in discussione è di particolare importanza in quanto si focalizza sui principali punti su cui lavorare al fine di ottenere un efficiente contributo delle donne allo sviluppo delle aree rurali, mirando nel contempo a favorire prospettive occupazionali nel contesto della nuova politica agricola comune.
A mio avviso, il ruolo svolto dalle donne nelle imprese agricole e negli ambienti rurali rappresenta un fattore di rilievo nell'ambito delle politiche di sviluppo territoriali. Infatti, uno dei principali obiettivi della politica europea per le aree rurali è di garantire condizioni di vita equivalenti in tutte le regioni in modo tale che, anche nelle campagne, donne e uomini abbiano la possibilità di cogliere delle opportunità di realizzazione.
Nella fase attuale di elaborazione della PAC diviene fondamentale tenere in considerazione le necessità delle donne che vivono nelle aree rurali e, allo stesso tempo, impiegare le loro potenzialità. Ritengo che, nell'ottica di una visione proiettata al futuro, occorrerà impegnarsi maggiormente nella direzione di un utilizzo sostenibile delle zone rurali che sia efficiente sotto il duplice profilo energetico e della qualità. Inoltre, sarà necessario un maggiore impegno da parte di tutti gli attori coinvolti nel processo di riforma della politica agricola.
Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) L’obiettivo della Politica agricola comune è promuovere lo sviluppo sostenibile e di qualità nelle zone rurali. Ho votato a favore del testo presentato dall’onorevole Jeggle poiché credo che le donne rivestano un ruolo importante nella società moderna. Negli ultimi anni, sarebbe stato impossibile realizzare molti dei progetti condotti nelle aree agricole, senza la partecipazione attiva delle donne. Sono del parere che le condizioni di vita nelle zone rurali devono essere migliorate, per esempio, garantendo maggiore accesso a infrastrutture, strutture e servizi legati alla vita quotidiana. Le comunità rurali devono essere preservate e alle donne deve essere offerta la possibilità di conciliare vita lavorativa e privata, di accedere a servizi di sostegno, istituzioni e strutture. Nel processo decisionale, inoltre, devono avere maggior peso.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Tenuto conto che il rischio di esclusione sociale nelle zone rurali è maggiore per le donne rispetto agli uomini e valutata l´importanza dell'argomento, sostengo con entusiasmo ed un voto favorevole questa risoluzione che, concentrandosi sul ruolo delle donne nell´agricoltura, chiede non soltanto che si tenga maggiormente conto delle competenze professionali, agricole ed extra agricole, delle donne nel contesto delle strategie di sviluppo aziendali e regionali, ma anche che si prevedano incentivi per la promozione del loro coinvolgimento nel mercato, eliminando ogni tipo di discriminazione e migliorandone la formazione e l'accesso a corsi post-laurea e specialistici.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore della relazione in quanto ritengo che lo sviluppo regionale sia un tema sempre più importante, alla luce del continuo calo della popolazione nelle zone rurali in ragione delle trasformazioni sociali, dell'evoluzione delle strutture sociali, del profondo cambio dei valori e di una marcata individualizzazione. Concordo sul fatto che la creazione di condizioni di vita e di lavoro sostenibili nelle aree non urbane sia una delle soluzioni centrali per contrastare l’attuale l’urbanizzazione. L’esperienza insegna che aspetti come la qualità della vita e il potere economico sono strettamente legati, soprattutto nelle regioni rurali, alla presenza delle donne e al ruolo che rivestono nel settore primario. Di conseguenza, le misure proposte nel testo possono consentire alle donne di realizzare il proprio progetto di vita, rendendosi economicamente indipendenti e affrontando con successo le responsabilità familiari proprio come avviene già oggigiorno nelle zone urbane. Tra le misure indicate nella relazione vi sono: progetti di formazione e consulenza, destinati specificatamente alle donne in ambito rurale; sostegno costante da parte dell’UE all’agricoltura e alle attività imprenditoriali nelle campagne; il potenziamento delle infrastrutture fondamentali e informatiche e la possibilità di godere di misure quali il pensionamento anticipato.
Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Mi complimento con la collega e relatrice Jeggle per il lavoro svolto, attraverso cui è stato possibile apprezzare pubblicamente in quest'Aula il ruolo "multifunzionale" della donna nel settore agricolo. Questo ruolo non è ancora adeguatamente riconosciuto, nonostante il 42% di circa 27 milioni di lavoratori impiegati nel settore sia rappresentato da donne e quasi il 29% delle aziende agricole sia gestito da una donna.
Ho votato a favore di questo documento perché condivido la necessità di riconoscere il ruolo specifico che le donne svolgono in agricoltura. Ritengo altresì doveroso che si individuino le esigenze specifiche delle donne nelle zone rurali e che a loro vadano adeguate le strategie future a partire dalla prossima riforma della PAC. L'Unione europea non può trascurare le aspirazioni professionali, familiari e sociali delle donne che vivono in ambienti rurali. Per permettere ciò è però opportuno, da parte delle Istituzioni europee, garantire adeguati servizi di sostegno e un'offerta innovativa che non sia orientata esclusivamente al mercato.
Condivido infine le proposte della relatrice sopratutto in merito a una migliore rappresentanza femminile negli organismi politici, economici e sociali del mondo agricolo.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Sono lieta che la Commissione abbia rivolto particolare attenzione al ruolo multifunzionale delle donne nel processo di sviluppo delle aree rurali negli ultimi anni, che merita la nostra considerazione dal punto di vista sia economico che sociale. Ciò è tanto più vero se parliamo di agricoltura; negli ultimi anni le donne hanno contribuito in maniera determinante alla diversificazione delle imprese del settore e al loro adattamento al mercato. Ne consegue che, conformemente agli obiettivi della Politica agricola comune di incoraggiare un uso più sostenibile delle zone rurali, è necessario avviare iniziative volte a realizzare le aspirazioni e a soddisfare le necessità delle donne che abitano in queste aree. Al contempo vanno mantenute e sviluppate infrastrutture di sostegno, riservando particolare attenzione all’istruzione.
Nessa Childers (S&D), per iscritto. − (EN) Plaudo all’impegno dimostrato nella giornata odierna dal Parlamento europeo al fine di sostenere e incentivare il contributo femminile in un settore vitale per l’Europa: l’agricoltura. La relazione sulle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali è stata presentata al momento giusto e ha goduto dell’appoggio dalla maggioranza degli onorevoli parlamentari. Non molti sanno che il 42 per cento delle persone regolarmente occupate nell’agricoltura è costituito da donne. Accolgo con favore la relazione Jeggle.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Il principio dell’uguaglianza di genere è promosso dalla legislazione europea ed è uno dei requisiti fondamentali della strategia Europa 2020. Ritengo quindi opportuna la sua inclusione nella Politica agricola comune assieme a strumenti innovativi volti a promuoverlo. Sono dell’avviso che la futura Politica agricola comune dovrà essere una politica giusta, anche dal punto di vista delle donne.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione poiché afferma che la promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne è un obiettivo fondamentale per l’Unione europea e propone l’inserimento di questo principio anche nella Politica agricola comune (PAC). È essenziale che le donne possano accedere facilmente alle attività e ai crediti agricoli. La relazione contribuisce anche alla crescita economica e allo sviluppo rurale nel rispetto dei criteri di sostenibilità.
Göran Färm, Anna Hedh, Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog e Åsa Westlund (S&D), per iscritto. − (SV) Abbiamo votato a favore della relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali poiché riteniamo fondamentale contrastare la mancanza di uguaglianza nella società. Nella relazione viene messa in luce l’importanza di infrastrutture ben funzionanti e di servizi accessibili quali la banda larga e l’assistenza per i bambini, anche nelle zone rurali. Desideriamo però sottolineare che non riteniamo opportuno che all’agricoltura venga assegnata la stessa quota di bilancio per il prossimo periodo finanziario, ma ne proponiamo una significativa riduzione .
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Se intendiamo impegnarci realmente a favore dell’agricoltura, come è mia intenzione, e fare in modo che lavorare in campagna possa diventare una scelta di vita per le famiglie, dobbiamo garantire che quanti seguono questa strada possano godere di condizioni di vita pari a quelle dei centri urbani in termini di assistenza sanitaria, istruzione e strutture di aiuto alle famiglie.
Per promuovere lo sviluppo e la coesione sociale, deve esserci armonia tra zone rurali e urbane, garantendo che le campagne ricevano la debita attenzione e vengano considerate attrattive. Le donne e la loro funzione attiva nelle comunità agricole possono agevolare il processo. Non ho una visione romantica e bucolica della “fuga in campagna”; so bene che è uno stile di vita che ha un prezzo e che spesso comporta difficoltà in termini di accesso alle infrastrutture proprie della vita moderna. Sono dell’avviso che i timori espressi nella relazione siano di stimolo per impegnarci nel promuovere la creazione di infrastrutture di qualità per l’assistenza alle famiglie, l’istruzione, la sanità e i trasporti anche nelle zone non urbane.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) La promozione dell'uguaglianza di genere è un obiettivo fondamentale dell'Unione europea e dei suoi Stati membri e questo principio deve essere integrato nella Politica agricola comune (PAC), in modo da favorire la crescita economica sostenibile e lo sviluppo rurale. Le aziende agricole, il turismo rurale, la commercializzazione diretta e i servizi sociali rappresentano i pilastri dell’insieme dei servizi in ambiente rurale e devono quindi beneficiare di un aiuto costante da parte della PAC. Si tratta di servizi che devono essere promossi attraverso la PAC, aprendo così nuove prospettive e opportunità di impiego retribuito per le donne e contribuendo notevolmente alla conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari. È necessario avviare iniziative volte a contrastare l’invecchiamento della popolazione nelle zone rurali. A tal fine devono essere create le condizioni affinché le persone scelgano di vivere in campagna, poiché è importante avere un contesto rurale vitale e dinamico caratterizzato dalla diversità demografica. Desidero sottolineare, a tale proposito, l'importanza di adeguate opportunità di sviluppo nonché di sfide per le giovani donne. È necessario sostenere e rilanciare il mondo rurale, promuovendo l’immagine di un ambiente completo e diversificato in cui vivere e lavorare, sfruttando soprattutto le conoscenze specifiche e le capacità delle donne.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La relazione si pone in contrasto con l’adozione del progetto di regolamento proposto dalla Commissione concernente l’autorizzazione e il rifiuto dell’autorizzazione di determinate indicazioni sulla salute, riportate sui prodotti alimentari, che si riferiscono allo sviluppo e alla salute dei bambini, nonché con gli obiettivi e i contenuti del regolamento riguardante le indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari. L’acido decosaesaenoico (DHA) è presente anche nel latte materno e contribuisce al normale sviluppo della vista nei bambini nei primi 12 mesi di vita. Dal momento che la comunità scientifica non ha ancora chiarito gli effetti sui bambini dei prodotti contenenti DHA diversi dal latte materno, che si tratti di latte artificiale o di altri alimenti, siamo dell’avviso che sia preferibile adottare una posizione preventiva e cautelare.
L’adozione del progetto di regolamento in esame è per noi fonte di preoccupazione dal momento che non soddisfa i requisiti previsti dal Regolamento (CE) n. 1924/2006, nel quale si afferma in particolare che “le indicazioni nutrizionali e sulla salute sono basate su dati scientifici generalmente accettati".
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Le politiche dell’Unione europea e degli Stati membri devono promuovere l’uguaglianza di genere e prestare debita attenzione ai diritti delle donne, contrastando al contempo la discriminazione fondata sul sesso. Emerge quindi la necessità di tenere in particolare considerazione la situazione delle donne nelle zone rurali e nell’agricoltura, che vivono in prima persona la profonda crisi del mondo rurale causata dalle politiche attuali, come la Politica agricola comune (PAC).
Le donne, che costituiscono circa il 42 per cento dei 26,7 milioni di persone occupate nel settore agricolo, risentono del fallimento di centinaia di migliaia di piccole e medie aziende agricole e del processo di distruzione delle attività familiari causati dalle continue riforme della PAC. Come in altri settori, le donne sono vittime della disoccupazione, dell’instabilità dei posti di lavoro, di salari bassi e povertà, fattori ulteriormente aggravati da politiche antisociali attuate con il pretesto della crisi.
Anziché continuare a parlare inutilmente, dobbiamo agire e mettere un freno alle politiche che hanno determinato la situazione attuale. Diamo valore al ruolo delle donne, ai loro diritti, alla parità e ai servizi pubblici nelle zone rurali in ambito sanitario, culturale, sociale, dell’istruzione e del tempo libero...
(Dichiarazione di voto abbreviata ai sensi dell’articolo 170 del regolamento)
Mathieu Grosch (PPE), per iscritto. − (DE) La relazione merita il nostro pieno appoggio in quanto richiama l’attenzione sulla particolare funzione delle donne nelle attività agricole e nelle zone rurali, fornendo al contempo, soluzioni alle sfide attuali che potrebbero incrementare l’attrattività della vita nelle campagne per le donne. Tra le soluzioni viene contemplato il ricorso a servizi di sostegno, a istituzioni e strutture, quali asili, ambulatori e altre infrastrutture necessarie, che devono essere abbordabili ed accessibili. Viene avanzata, inoltre, la proposta di stanziare fondi europei per migliorare la qualità di vita nel mondo rurale.
Un migliore accesso a scuole, corsi di formazione professionale di alto livello, università e il miglioramento della condizione sociale femminile nelle zone rurali sono altri elementi essenziali. Ne trarranno vantaggio non solo delle donne ma le aree rurali in generale, che, attraverso uno sviluppo sostenibile, diventeranno luoghi in grado di favore l’integrazione e dove vivere e lavorare.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore della relazione poiché è importante porre l'accento sul ruolo svolto dalle donne nelle aziende agricole e negli ambienti rurali, tenendo conto, in modo particolare, del loro ruolo multifunzionale. Uno dei principali obiettivi della politica europea per le zone rurali rimane quello di garantire condizioni di vita equivalenti in tutte le regioni e di evitare lo sviluppo unilaterale dei centri urbani, in modo che uomini e donne abbiano la possibilità di costruirsi prospettive di vita e di riuscita anche nelle campagne. Se l'obiettivo è quello di evitare l'esodo dalle campagne delle donne di tutte le generazioni o comunque di incentivare il ritorno di queste ultime alla vita rurale, è fondamentale che le loro esigenze e condizioni trovino un riscontro più che mai forte nelle politiche di sostegno. Si tratta di obiettivi che, nella società moderna, non è possibile raggiungere in assenza di servizi di sostegno nonché di organismi e strutture di pubblica utilità economicamente e geograficamente accessibili. La realizzazione e lo sviluppo a misura di donna di tale struttura di sostegno deve essere al centro delle strategie di promozione europee. Da questo punto di vista occorre elaborare nuovi approcci fin dalla fase di pianificazione degli interventi (ad esempio la costruzione di un asilo, la realizzazione di un ambulatorio o lo sviluppo dei trasporti pubblici) coinvolgendo nelle decisioni le donne di tutte le età. Uno dei capisaldi della qualità della vita e del lavoro nelle aree rurali rimane la formazione (intesa come istruzione e formazione continua) a livello sia di scuole che di istituti professionali e di università.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. − (FI) La vita delle donne nelle zone rurali è cambiata notevolmente, soprattutto negli ultimi cinquant’anni. Si è assistito a una diminuzione dei posti di lavoro tradizionali in queste regioni e alla nascita di nuovi stili di vita, sensibilmente diversi per quanto concerne la formazione personale, l’istruzione e la condizione delle donne nel mercato del lavoro. Le politiche di sostegno dell’Unione europea devono riflettere in maggior misura questi cambiamenti per permettere alle donne che vivono in campagna di conciliare la vita lavorativa e familiare.
Negli ultimi anni le donne, con la loro personale formazione e con la loro professionalità, hanno promosso lo sviluppo dell’economia rurale tradizionale. La struttura economica rurale ha sperimentato un rinnovamento grazie ad attività rurali innovative di ogni genere, imperniate ad esempio sui servizi e sull’agriturismo. In una prospettiva futura, devono essere favoriti la creazione e lo sviluppo di attività rurali innovative.
Per concludere, desidero ricordare che la promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne è un obiettivo fondamentale dell’Unione europea e dei suoi Stati membri e tale principio deve essere integrato nella Politica agricola comune.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. − (DE) Con la relazione Jeggle il Parlamento europeo esprime la propria volontà di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle donne che abitano nelle zone rurali e di creare migliori opportunità per il loro sviluppo in queste regioni. Al centro delle proposte contenute nella relazione vi è l’ulteriore ampliamento delle infrastrutture nelle regioni non urbane al fine di offrire alle donne nuove prospettive e opportunità di lavoro. Il problema di conciliare il lavoro con le necessità familiari interessa anche a quanti lavorano nel settore agricolo. Ritengo che, come sostenuto dalla relatrice, una campagna volta a sostenere attivamente le zone rurali sia l’unica soluzione per impedire che le donne si trasferiscano in città. Questo comporterebbe la presenza di servizi di custodia dei bambini e di infrastrutture adeguate per le famiglie operanti nel settore agricolo, nonché l’accesso a Internet ed altre tecnologie di comunicazione. In una prospettiva futura, per l’attuazione di misure fondamentali nelle zone rurali, avremo bisogno di finanziamenti adeguati a favore dell’agricoltura e dello sviluppo delle aree non urbane. Condivido l’invito della relatrice a evitare di ridurre ulteriormente l’incidenza della spesa agricola sul bilancio complessivo dell’UE, in sede di negoziati sul prossimo quadro finanziario pluriennale.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho fortemente sostenuto questa relazione della collega Jeggle perché in essa ritrovo dei principi importanti che è necessario rimarcare e sostenere in futuro. Su un totale di circa 27 milioni di persone regolarmente occupate nell'agricoltura nell'UE, circa il 42% è rappresentato da donne mentre, secondo statistiche ufficiali, risulta che un'azienda agricola su cinque (intorno al 29%) è gestita direttamente da una donna. Su questi dati Vi invito a riflettere circa il grande contributo apportato dalle donne allo sviluppo di molte comunità locali, cui spesso segue una loro non proporzionata partecipazione ai processi decisionali. Questo è un limite da superare attraverso una politica di servizi che proprio attraverso la nuova Politica Agricola Comune (PAC) possa agevolare i processi di sviluppo e di animazione nel tessuto rurale di molte aree. Penso, in particolare, alla formazione, alla consulenza e alle iniziative di creazione di imprese che, nel quadro del secondo pilastro della PAC, potrebbero ancora essere potenziate e costituire il cardine per un significativo miglioramento delle condizioni di vita e delle donne, ma anche degli uomini, nelle zone rurali. Ritengo ciò alquanto strategico, anche in vista della realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020, con particolare riferimento alle iniziative che puntano su innovazione, ricerca e sviluppo.
Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto. − (PL) Oggi, qui a Strasburgo, votiamo in merito alla relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali. Io provengo da una regione agricola, vivo in campagna e un tempo ho lavorato duramente nell’azienda agricola dei miei genitori. Posso affermare con convinzione che le donne nelle zone rurali non solo influiscono sullo sviluppo e sul processo di modernizzazione delle aziende agricole, ma stimolano anche l’intera comunità rurale con il loro duro lavoro e la loro determinazione. Dobbiamo sostenere le donne e mettere in luce il valore della loro azione, alla luce delle attività che svolgono nelle associazioni rurali, degli sforzi che compiono per preservare le tradizioni e le usanze familiari e della loro capacità di integrare con successo soluzioni innovative nella gestione delle aziende agricole. Desidero ringraziare tutte le donne che vivono nelle zone non urbane in Polonia e nell’intera Unione europea per il duro lavoro che svolgono e per il contributo che apportano allo sviluppo regionale. Desidero inoltre dichiarare il mio voto favorevole per la relazione Jeggle. Grazie.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Plaudo al riconoscimento che la relazione concede al ruolo femminile nella produzione agricola, alla necessità di adeguare alcune politiche e condizioni al fine di assistere le donne. Non ritengo tuttavia che questo giustifichi un aumento dell’importo destinato alla PAC.
Barbara Matera (PPE), per iscritto. − Ho espresso il mio voto favorevole in quanto credo fortemente che si debba recuperare la centralità della donna lì dove il suo operato è fondamentale all'andamento o al recupero di quella economia locale che concorre alla crescita generale dei nostri paesi.
Il ruolo delle donne nel settore agricolo, infatti, ha subito forti cambiamenti negli ultimi decenni, divenendo sempre più multifunzionale. Per questo motivo, è necessario un intervento delle Istituzioni europee volto a evitare l'esodo delle donne dalle campagne o comunque volto a incentivare il ritorno di queste ultime alla vita rurale. Un sostegno alle donne e ai loro progetti permetterebbe di compiere passi avanti per lo sviluppo delle comunità rurali nel loro insieme.
Occorre offrire alle donne che operano nel settore agricolo la possibilità di realizzare i propri progetti di vita, rendendosi economicamente indipendenti, anche per far fronte alle responsabilità familiari. I posti di lavoro nell'agricoltura devono restare attrattivi per le donne in modo che possano inserirsi per eseguire le loro molteplici competenze professionali. In questo periodo di crisi finanziaria ed economica, risulta fondamentale offrire condizioni di lavoro equivalenti sia nelle campagne che nelle città, in modo tale da ripopolare territori che possano rappresentare un volano della ripresa economica di una determinata regione europea.
Véronique Mathieu (PPE), per iscritto. – (FR) I profondi mutamenti nelle zone rurali europee rappresentano una sfida dal punto di vista demografico, occupazionale, ambientale e dei servizi. È nostro compito mettere in evidenza l’impatto che la presenza e la partecipazione delle donne hanno sulla qualità di vita e sull’economia delle zone rurali. Le donne rappresentano un grande potenziale per l’Unione europea nel processo di sviluppo e potenziamento dell’economia rurale europea. I finanziamenti comunitari possono contribuire a migliorare la qualità della vita e del lavoro nelle zone rurali attraverso stipendi più alti e la formazione (intesa come istruzione e formazione continua) a livello sia di scuole che di istituti professionali e di università .
Il futuro del settore agricolo è legato alla capacità di diversificare, mentre il potenziale dei servizi che le aziende agricole offrono, oltre alla produzione di alimenti, dipende dalla creatività degli attori agricoli, e le donne da questo punto di vista hanno già fornito un contributo significativo. Le opportunità per creare servizi locali sono innumerevoli e coinvolgere le donne è una garanzia di successo dei progetti.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La nuova Politica agricola comune (PAC) deve tenere in debita considerazione il ruolo sempre più importante delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali al fine di promuovere l’uguaglianza di genere. È questa la strada da intraprendere per promuovere la crescita economica e lo sviluppo rurale nel rispetto dei criteri di sostenibilità. Nelle regioni rurali dobbiamo creare buone condizioni di vita pari a quelle dei centri urbani così da incentivare le donne e le loro famiglie a non abbandonare le campagne.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. − (ES) Ho votato a favore della relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali poiché sono dell’avviso che la loro funzione sia cruciale nell’agricoltura, settore occupati che occupa 14,6 milioni di donne, ovvero il 41 per cento. Il secondo pilastro della Politica agricola comune sostiene i progetti relativi alle condizioni di vita delle donne nelle zone rurali. Ritengo sia comunque necessario analizzare i progetti in corso al fine di individuare esempi di buone prassi e migliorare la condizione delle donne, le quali risentono particolarmente delle conseguenze dell’attuale crisi strutturale del sistema capitalista nelle aree rurali. I livelli della disoccupazione femminile ne sono una chiara prova. La situazione è aggravata dal fatto che le donne non partecipano attivamente al mercato del lavoro, ovvero non sono iscritte alle liste di collocamento e non risultano nelle statistiche relative alla disoccupazione. Sono del parere che sia indispensabile garantire la protezione sociale delle donne attive nel settore agricolo a vantaggio dello sviluppo delle zone rurali. La relazione rappresenta un passo nella giusta direzione e per questo ho votato a favore.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. − (EN) La relazione mira ad evidenziare il principio di uguaglianza tra uomini e donne nella Politica agricola comune, come ribadito in precedenza, in modo da favorire la crescita economica sostenibile e lo sviluppo rurale. L’Unione europea deve reindirizzare le strategie di sostegno verso uno sviluppo delle zone rurali a misura di donna. Tra i punti chiave individuati che hanno incontrato il consenso dei diversi gruppi politici, vi sono: la promozione dell’imprenditorialità e le competenze delle donne nell’agricoltura; corsi di formazione specifici per le donne migliori e più accessibili; infrastrutture IT più moderne per le zone rurali; maggiore riconoscimento e sostegno per l’azione delle reti europee di donne; infrastrutture e servizi migliori e più accessibili; sicurezza sociale per le donne che operano nell’agricoltura; proprietà congiunta delle aziende agricole e una particolare attenzione alle donne immigrate. Chi contrari osi opporrebbe mai a queste proposte? In realtà, la relazione non è altro che un testo impreciso e populista! Sembra che la relatrice volesse semplicemente dimostrarsi gentile nei confronti delle donne che lavorano nell’agricoltura. Non si fa alcun accenno ai figli o all’assistenza sanitaria né alla mancanza di un’assistenza sanitaria efficiente, che, unitamente alla mancanza dell’istruzione prescolare nelle zone rurali, è tra le maggiori preoccupazioni delle donne in Estonia, Lettonia e Lituania. Ho votato però a favore della relazione, nonostante il testo sia grezzo e non professionale.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Nel settore agricolo la donna riveste ancora un ruolo di secondo piano. Come affermato nella relazione, è necessario rivolgere maggiore attenzione ai bisogni delle donne, soprattutto nelle aree non urbane. Dovrebbero essere create maggiori opportunità di istruzione e formazione nonché di accesso all’assistenza. Le donne impiegate nell’agricoltura contribuiscono sempre più alla diversificazione delle imprese e al loro adattamento al mercato, concretizzando in tal modo la multifunzionalità dell'agricoltura. Le donne devono avere la possibilità di partecipare maggiormente ai processi decisionali nei comitati e nelle associazioni, al fine di mantenere attrattiva dell’agricoltura come fonte di impiego e stile di vita. Rendere più sicura la posizione femminile, inoltre, può rappresentare un incentivo a non abbandonare il settore. Ho espresso voto favorevole alla relazione poiché dobbiamo porre un freno al declino dell’agricoltura con tutti gli strumenti a nostra disposizione.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione Jeggle, e la condividi in quanto provengo dalla Romania, un paese in cui l’agricoltura offre lavoro a un ingente numero di persone. Desidero sottolineare, tuttavia, che la relazione avrebbe dovuto rivolgere maggiore attenzione alle condizioni di vita nelle campagne. Per ridurre il divario tra zone urbane e rurali è necessario un Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale sostenuto da ingenti finanziamenti, che miri principalmente a investire nelle attività di ammodernamento delle infrastrutture di base. Sarebbe stato utile, inoltre, considerare maggiormente gli effetti dell’invecchiamento della popolazione rurale e l’importanza di regimi di pensionamento anticipato per gli agricoltori e i lavoratori agricoli e l’insediamento dei giovani.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) Le donne costituiscono la colonna portante del settore agricolo europeo per diversi aspetti. Creando condizioni favorevoli per un’economia agricola sostenibile, ecocompatibile e responsabile basata sulle piccole aziende agricole, contribuiamo ad affermare il crescente ruolo delle donne nel settore e proprio per questo è importante che la società riconosce e rispetti in misura maggiore il lavoro delle donne nel settore agricolo. In una prospettiva futura, dobbiamo intraprendere più azioni volte a soddisfare le necessità delle donne nell’agricoltura e ad attirare i giovani. Per i motivi citati ho votato a favore della relazione.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. − (PL) Il Parlamento europeo ha approvato oggi una proposta di risoluzione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali. Negli ultimi decenni, l’esperienza ha dimostrato che il crescente coinvolgimento delle donne, con le loro conoscenze, esperienza e professionalità, è un fattore fondamentale per lo sviluppo in tutti gli ambiti economici. Per questo ed altri motivi, sono dell’avviso che incrementare l’attrattività delle zone rurali e rivolgere particolare attenzione al ruolo e alle necessità delle donne debbano essere obiettivi al centro della Politica agricola comune. Dobbiamo permettere alle donne di realizzare le proprie ambizioni e conciliare la carriera con la vita familiare. A tal fine, è essenziale garantire l’accesso a tutti i servizi necessari, alle infrastrutture e alle opportunità di sviluppo delle capacità professionali e personali anche nelle zone rurali. Dobbiamo intraprendere azioni mirate per sostenere l’imprenditorialità delle donne e contrastare tutte le forme di discriminazione di genere. La nostra attenzione deve essere rivolta anche a garantire una maggiore assistenza politica e finanziaria, migliorando, ad esempio, l’accesso a prestiti e investimenti. Sono certo che tali misure permetteranno di utilizzare al meglio il potenziale delle donne a favore dello sviluppo del settore agricolo, delle comunità locali e di intere regioni.
Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore della relazione Jeggle che si propone di migliorare il ruolo delle donne nel settore agricolo e la loro condizione nelle zone rurali, di fornire maggiori garanzie sociali e di promuovere l’occupazione e l’imprenditorialità. Dobbiamo impegnarci al massimo per garantire il buon funzionamento del sistema di protezione sociale che permette il pensionamento anticipato e gli assegni di maternità. Dotare tutto lo spazio rurale delle più moderne infrastrutture IT è una prerogativa importante per la creazione di un ambiente favorevole alla promozione dell’imprenditorialità. La crescita delle piccole e medie imprese nelle aree rurali non sarebbe possibile senza un accesso adeguato alla banda larga. L’impegno dell’Unione europea deve essere rivolto anche alla tutela delle comunità rurali e alla creazione di opportunità per conciliare la vita lavorativa con le responsabilità familiari. Dobbiamo offrire a quanti vivono nelle aree rurali elevati standard di assistenza sanitaria, istruzione, assistenza ai bambini ed altri servizi necessari per la vita quotidiana per creare condizioni di vita più favorevoli e ridurre l’esclusione sociale.
Gli Stati membri che ricevono finanziamenti da Fondi strutturali devono elaborare e attuare azioni volte a promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ridurre le disuguaglianze sociali e affrontare i problemi relativi ai trasporti. È necessario rivolgere maggiore attenzione alle organizzazioni degli agricoltori e creare reti europee di donne occupate nel settore agricolo, contribuendo in tal modo alla realizzazione completa dei programmi di sviluppo.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La nuova politica agricola comunitaria (PAC) concentra il suo lavoro anche su questioni sociali come il ruolo della donna all'interno delle aree rurali. L'obiettivo comune è di evitare lo sviluppo esclusivamente nei centri abitati e, di conseguenza, evitare discriminazioni di sesso e o provenienza geografica dei cittadini residenti in luoghi di campagna. Concordando con questi propositi ho votato a favore della relazione che sottolinea l'importanza del ruolo della donna nelle aziende agricole e negli ambienti rurali e quanto questo ruolo sia importante per le politiche di sviluppo territoriali. La relazione indica gli argomenti su cui lavorare per una maggiore integrazione delle donne, per sfruttarne al meglio le potenzialità occupazionali dando migliori prospettive di vita attraverso una maggiore efficienza ecologica ed energetica delle zone rurali.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. − (PT) Ho espresso voto favorevole alla relazione poiché concordo con la maggioranza delle proposte contenute, in particolar modo la promozione della multifunzionalità delle attività svolte nelle zone rurali, zone dove vivere, lavorare, dove mantenere le comunità e creare condizioni di dinamicità. Le zone rurali sono particolarmente colpite dell’invecchiamento della popolazione, dalla scarsa densità demografica e, in alcune zone, dallo spopolamento, sfide che la Politica agricola comune (PAC deve affrontare. In una prospettiva storica, il lavoro delle donne in agricoltura è sempre stato sottovalutato, spesso non retribuito o ricompensato con salari più bassi rispetto a quelli degli uomini a parità di lavoro. Nell’affrontare la questione, non possiamo ignorare questo aspetto e soprattutto dobbiamo creare condizioni di lavoro paritarie per lavori di pari valore; questo problema perderà comunque rilevanza nel momento in cui l’uguaglianza di genere nel settore agricolo diverrà realtà.
Aldo Patriciello (PPE) , per iscritto. − Care colleghe e cari colleghi, le donne sono la spina dorsale del settore agricolo nelle aree rurali. È dunque importante porre l'accento sul ruolo svolto da queste ultime nelle aziende agricole e negli ambienti rurali. A tal riguardo, è necessario tener conto dei loro bisogni e avvalersi delle loro potenzialità, poiché aspetti come la qualità della vita ed il potere economico sono legati, soprattutto nelle regioni rurali, alla presenza e all'impegno delle donne su più fronti. Pertanto, è fondamentale che le loro esigenze e condizioni trovino un riscontro più che mai forte nelle politiche di sostegno europee, in modo da evitare l'esodo dalle campagne delle donne di tutte le generazioni o comunque di incentivare il ritorno di queste ultime alla vita rurale. Da questo punto di vista gli aiuti dell'UE possono contribuire a migliorare la qualità della vita nelle aree rurali, sia per quanto concerne le donne che gestiscono un'attività imprenditoriale o forniscono servizi, sia in relazione alle consumatrici di beni e servizi. Poiché le donne svolgono una funzione indispensabile ai fini dello sviluppo sostenibile delle zone rurali, esprimo il mio voto favorevole in modo da garantire un sostegno concreto a favore delle donne in tale settore.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. − (EN) Le donne sono la spina dorsale del settore agricolo nelle aree rurali. La loro presenza assume un peso sempre maggiore. È pertanto importante porre l'accento sul ruolo svolto dalle donne nelle aziende agricole e negli ambienti rurali, tenendo conto, in modo particolare, del loro ruolo multifunzionale. Se l'obiettivo è quello di evitare l'esodo dalle campagne delle donne di tutte le generazioni o comunque di incentivare il ritorno di queste ultime alla vita rurale, è fondamentale che le loro esigenze e condizioni trovino un riscontro più che mai forte nelle politiche di sostegno. Anche le donne che vivono nelle campagne hanno aspirazioni quali, ad esempio, quelle di realizzare il proprio progetto di vita, rendersi economicamente indipendenti e far fronte alle responsabilità familiari.
La Commissione europea dovrebbe incrementare gli stanziamenti per il Fondo sociale europeo affinché vi siano le risorse finanziarie necessarie a migliorare l’istruzione e la formazione, favorendo di conseguenza l’accesso al mercato del lavoro e contrastando la disoccupazione. Vanno sostenute misure e attività previste nella strategia per l’inclusione sociale e nell’iniziativa faro Europa 2020 per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale a favore delle persone più svantaggiate e vulnerabili, soprattutto donne e lavoratori precari o con contratti atipici. Il contributo degli Stati membri dovrebbe essere rivolto soprattutto a migliorare stabilmente la condizione delle donne nel settore agricolo europeo.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Cosa accadrebbe se le donne agricoltrici fossero il futuro della Politica agricola comune? L’ipotesi, sebbene possa risultare controversa, è del tutto verosimile se consideriamo l’importanza delle donne nella vita di campagna e nelle aziende agricole. In base alle statistiche, le agricoltrici costituiscono il 43 per cento della forza lavoro dell’agricoltura europea e gestiscono il 20 per cento delle aziende agricole, stime che non includono le mogli degli agricoltori, il cui lavoro spesso non viene preso in considerazione.
In un periodo in cui le aziende agricole stanno diventando più specializzate, la creatività delle donne rappresenta chiaramente un vantaggio che, se combinato al loro interesse per la sostenibilità ambientale e la qualità, merita riconoscimento e sostegno a livello europeo. È questa la scelta che ha operato il Parlamento europeo oggi con l’adozione della relazione presentata dall’onorevole Jeggle, scelta che mette in risalto il futuro ruolo centrale delle donne nel potenziare le aree rurali. La relatrice ha opportunamente affermato nella motivazione: “L'esperienza insegna che aspetti come la qualità della vita e il potere economico sono legati, soprattutto nelle regioni rurali, alla presenza delle donne e al loro impegno su più fronti”. Da questo passaggio emerge una nuova immagine, semplice e moderna, dell’attività agricola.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Le donne sono la spina dorsale del settore agricolo nelle aree rurali. La loro presenza assume un peso sempre maggiore. È pertanto importante porre l'accento sul ruolo svolto dalle donne nelle aziende agricole e negli ambienti rurali, tenendo conto soprattutto del loro ruolo multifunzionale. Un'opportunità da questo punto di vista è costituita dal sostegno concreto a favore delle donne nell'agricoltura. Occorre dare maggiore rilievo alle loro molteplici competenze professionali oltre che ai loro variegati interessi e alle diverse prestazioni che offrono, in modo che i posti di lavoro nell'agricoltura restino attrattivi per le donne. A tale scopo è necessario che le donne possano usufruire pienamente delle risorse offerte dalla vita e dal lavoro in ambiente agricolo. Le donne impegnate nell'agricoltura devono condividere i diritti e i doveri connessi con la posizione che occupano nell'ambito delle rispettive aziende agricole, ad esempio la rappresentanza all'interno degli organismi agricoli e la partecipazione al reddito aziendale.
Inoltre, ai fini di un'agricoltura moderna e sostenibile è indispensabile un'adeguata copertura sociale delle lavoratrici. Occorre prendere in considerazione le esperienze a livello di previdenza agricola fatte nei vari Stati membri in modo da contribuire, nel medio termine, a un netto miglioramento della condizione sociale delle donne nell'ambito dell'agricoltura europea.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − In Europa lo sviluppo sostenibile delle zone rurali è da sempre considerato una priorità, al fine di garantire condizioni di vita ottimali per uomini e donne che decidono di intraprendere questa specifica attività.
Attualmente, nell'Unione europea 26,7 milioni di persone sono occupate nel settore agricolo. Tra questi il 42% è costituito da donne e almeno un'azienda agricola su cinque è diretta da una donna. Da questi semplici dati emerge una realtà femminile rurale radicalmente diversa da quella degli scorsi decenni, dove le donne hanno giocato un ruolo da protagoniste in questi mutamenti, con situazioni sociali ed economiche molto diverse tra gli Stati.
Condivido quindi il testo di questa relazione, in quanto evidenzia la necessità di pianificare strategie europee di sostegno per le aree rurali "a misura di donna", in modo da contribuire nel medio termine a un miglioramento della loro condizione sociale e lavorativa.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − La relazione sul ruolo delle donne nell'agricoltura e nelle zone rurali non può che vederci favorevoli perché noi crediamo ancora nell'agricoltore professionale che vive del reddito derivante dalla propria azienda.
Le donne, per le loro tipicità legate alla maternità e al ruolo abituale di assistenza agli altri membri della famiglia, sono indubbiamente soggetti svantaggiati in un ambito agricolo. I tempi dell'agricoltura non sono scanditi da orari fissi ma devono tenere conto delle esigenze stagionali, dei periodi vegetativi e dell'eventuale presenza di animali di allevamento. Ci sono periodi in cui i giorni lavorativi saranno di 12-13 ore comprensivi di festività e altri più tranquilli. È evidente che una donna imprenditrice agricola, ad esempio in maternità, non può rinunciare a lavorare il terreno se quel periodo lo richiede, perché altrimenti non disporrebbe di un reddito per tutto l'anno.
Le necessità di una donna agricoltore sono quindi diverse da quelle di un'altra lavoratrice, per cui è fondamentale che siano loro garantiti servizi adeguati e dedicati, conto tenendo del fatto che quasi sempre le aziende agricole sono localizzate lontano dai servizi pubblici, siano questi di trasporto, di assistenza o sociali..
Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della proposta di risoluzione poiché sono dell’avviso che le donne giochino un ruolo fondamentale e diano un contributo essenziale allo sviluppo rurale e agricolo. Sostenere le donne e le loro iniziative imprenditoriali nel settore rurale significa promuovere il progresso di tutta la comunità locale. Nel vivo della crisi economica e in un periodo con tassi di disoccupazione in rapida crescita, dobbiamo incentivare le donne a rimanere in campagna, sostenere la loro imprenditorialità e investire nella formazione, promuovendo così lo sviluppo e l’innovazione del settore agricolo.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. – (RO) Desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Jeggle per l’eccellente relazione che mette in luce il ruolo importante delle donne in agricoltura. So per certo che a molti di noi sta a cuore il fatto che donne di tutte le età continuino a vivere o siano incoraggiate a trasferirsi in campagna così da garantire un futuro alle zone rurali e all’agricoltura europea. A questo scopo, dobbiamo migliorare l’accesso alle donne non solamente all’istruzione e alla formazione specifica per il settore agricolo, ma anche ai pagamenti diretti. Dobbiamo garantire pensioni decenti e assicurazione sociale.
In Romania, per esempio, alcune donne che vivono in campagna non hanno diritto alla pensione da agricoltore e incontrano serie difficoltà nell’avviare un’impresa nel settore agricolo. La nostra attenzione deve essere quindi incentrata sulle donne che lavorano in aziende agricole di famiglia o di sussistenza e garantire loro una posizione economica decente e pensioni adeguate.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. − (PL) Desidero esprimere il mio sostegno a favore della relazione sulle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali. Sono favorevole, in particolar modo, alle soluzioni volte a incrementare il tasso di occupazione delle donne nelle aree non urbane. In Polonia, la disoccupazione è soprattutto femminile, sopratutto nelle zone rurali; il problema interessa in particolar modo le donne al di sotto dei 34 anni, che nella maggior parte dei casi hanno un’istruzione, ma non riescono a trovare un impiego adeguato alle proprie qualifiche. La tendenza è allarmante, dal momento che proprio i giovani dovrebbero avere maggiori possibilità di affermarsi nel mercato del lavoro. In una prospettiva a lungo termine, la disoccupazione nelle zone rurali potrebbe assumere carattere femminile con il conseguente aumento della povertà tra le giovani donne; molte sceglieranno quindi di cercare lavoro in città, con gravi conseguenze per il mondo rurale quali l’invecchiamento della popolazione, il crollo del naturale tasso di crescita e un generale deterioramento delle condizioni di vita.
Con riferimento ai problemi citati, sono a favore della proposta di prevedere misure specifiche a sostegno delle donne da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) per il periodo di programmazione 2014-2020, misure che produrrebbero un impatto positivo sull'occupazione femminile nelle zone rurali. Concordo inoltre sulla necessità di garantire alle donne nelle aree rurali rimborsi adeguati nel quadro dei sistemi di previdenza sociale, che tengano in considerazione la loro minore capacità di rendimento e, quindi, i loro minori diritti pensionistici.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. − (PL) In seguito all’evoluzione sociale e demografica, al profondo cambio dei valori e alla maggiore possibilità di scelta, la struttura delle zone rurali sta mutando, così come il ruolo delle donne. L’Unione europea deve ora garantire che la politica europea di sostegno rifletta appieno le necessità delle donne al fine non solo di evitare l’esodo femminile dalle campagne, ma di incoraggiarle anche a scegliere di vivere nelle zone rurali. Dobbiamo favorire la visibilità delle donne nelle aree non urbane, in particolar modo in ambito economico e finanziario, e predisporre gli strumenti atti a raggiungere questi obiettivi.
Dobbiamo garantire alle donne la possibilità di conciliare vita lavorativa e responsabilità familiari, considerando che ancora abbandonano il lavoro per occuparsi dei bambini, dei malati e degli anziani. A questo scopo possiamo creare le infrastrutture necessarie, come gli asili, e offrire diverse opportunità in ambito culturale ed educativo. Includere le donne di tutte le generazioni nei processi decisionali risulta quindi indispensabile.
È molto importante, inoltre, migliorare l’accesso ai servizi sanitari e ai programmi di controllo per la prevenzione del cancro. Dobbiamo incentivare e potenziare l’agriturismo quale attività economica a basso rischio che promuove la creazione di posti di lavoro, consente di conciliare vita lavorativa e familiare e incoraggia i modelli di imprenditoria elettronica, quali l’e-commerce, che permettono di essere economicamente attivi indipendentemente dalla distanza dai centri urbani.
Brian Simpson (S&D), per iscritto. − (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo appoggia l’obiettivo della relazione Jeggle sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali di individuare le problematiche specifiche affrontate dalle donne che lavorano nell’agricoltura e molte delle misure volte a rafforzare la loro posizione. La relazione affronta le necessità specifiche delle donne nell’agricoltura e propone una serie di raccomandazioni che tengono conto non solo delle condizioni di vita bensì anche del ruolo e del contributo che offrono allo sviluppo dell’economia rurale. Il nostro partito, tuttavia, non concorda con il paragrafo 4, ovvero con la richiesta di evitare di ridurre ulteriormente l'incidenza della spesa agricola sul bilancio complessivo. Chiediamo quindi che vengano riviste le priorità del prossimo quadro finanziario pluriennale per un finanziamento completo degli obiettivi della strategia Europa 2020 che hanno maggiore impatto sull’aumento dell’occupazione e dei livelli di crescita.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione Jeggle che sottolinea l’importanza dell’uguaglianza di genere nella promozione della crescita economica sostenibile e dello sviluppo rurale. Sono dell’avviso che, al fine di garantire la partecipazione su base equa delle donne nell’agricoltura, è importante la rappresentanza femminile in tutti gli organismi politici, sociali ed economici del settore agricolo.
Marc Tarabella (S&D), per iscritto. – (FR) Sono lieto che la relazione Jeggle, a cui ho contribuito personalmente, sia stata adottata. La Politica agricola comune ha un valore sociale in quanto riconosce il ruolo delle donne nel garantire il futuro delle comunità rurali e la prosperità nelle aree non urbane (alla luce del fatto che il 41 per cento dei 14,6 milioni di persone attive nel settore agricolo europeo è costituito da donne).
L’obiettivo principale è la promozione dell’imprenditorialità e delle competenze agricole femminili; la creazione di infrastrutture moderne nelle zone rurali per permettere alle donne di conciliare il lavoro e la famiglia (attraverso, per esempio, la costruzione di asili); una maggiore rappresentanza delle donne negli organismi politici, economici e sociali nel settore agricolo (mirando alla parità assoluta); una copertura sociale adeguata per le donne che lavorano nel settore agricolo e la promozione della proprietà congiunta delle aziende agricole. Se uguaglianza è sinonimo di giustizia, allora dobbiamo innanzi tutto riconoscere il ruolo delle donne in agricoltura.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. − (DE) Ho espresso voto favorevole alla relazione. È necessaria una politica di sostegno per le zone rurali che miri ad offrire alle donne migliori prospettive e opportunità di lavoro. Le agricoltrici qualificate hanno bisogno di una formazione ad ampio spettro e di poter operare e pensare in un’ottica imprenditoriale. Servono quindi infrastrutture di qualità nelle zone rurali in termini di istruzione, formazione, scuole e assistenza all’infanzia, nonché un accesso senza vincoli alle moderne tecnologie informatiche. Vanno inoltre ampliate le reti europee di donne e l’accesso per le imprenditrici alle opportunità di credito e di investimento.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione che richiede il miglioramento della situazione, il loro riconoscimento e il mantenimento dei sussidi in ambito agricolo.
La relazione individua la necessità di garantire adeguati livelli di previdenza sociale per le mogli degli agricoltori che percepiscono un reddito e per i lavoratori stagionali o migranti. Si tratta di disposizioni ovvie, non soltanto per il settore agricolo, ma anche nel contesto più ampio delle professioni autonome, e necessarie per raggiungere l’uguaglianza di genere negli ambiti in cui le donne si trovano in condizioni disagiate.
Per questo motivo sono pienamente a favore dell’introduzione del principio di uguaglianza di genere nella Politica agricola comune e l’Unione dovrà allineare le proprie azioni agli obiettivi prefissati. Non ho dubbi, peraltro, sulla necessità di coerenza tra gli obiettivi dell’Unione e l’impiego di fondi europei, in particolar modo nell’ambito dei diritti umani, compresi i diritti delle donne.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. − (DE) Ho votato a favore della relazione Jeggle, che sottolinea il determinante contributo delle donne negli ultimi anni allo sviluppo sostenibile delle zone rurali, alla diversificazione delle imprese agricole e al loro adattamento al mercato. Se intendiamo offrire realmente alle donne prospettive nel settore agricolo, la Politica agricola comune deve integrare disposizioni rivolte in maggiore misura alle donne, tra cui, come indicato nella relazione, lo sviluppo di opportunità di formazione e di consulenza specialistiche nonché di infrastrutture adeguate.
Artur Zasada (PPE), per iscritto. − (PL) Desidero congratularmi con l’onorevole Jeggle per la relazione che contribuisce sensibilmente alla discussione in merito alla Politica agricola comune. L’aumento del potenziale economico delle zone rurali è favorito significativamente dal coinvolgimento delle donne, sia negli organismi politici sia nelle organizzazioni agricole, anche attraverso l’attività autonoma. Ai fini della creazione di posti di lavoro è fondamentale la promozione tra le donne di modelli di imprenditoria elettronica quali l’e-commerce, che permette di essere economicamente attivi anche in zone remote. Dovremmo avvalerci in modo più efficace delle opportunità che contribuiscono allo sviluppo delle comunità nelle zone rurali attraverso la creazione e l’attuazione di programmi per promuovere la formazione indirizzata alle organizzazioni femminili.
Nell’ambito della promozione delle pari opportunità, è essenziale creare le infrastrutture adeguate per l’assistenza all’infanzia nelle zone rurali, dal momento che tali servizi, se adeguati, permettono alle donne di rientrare al lavoro più rapidamente e di essere più competitive sul mercato del lavoro. Desidero ringraziare ancora una volta l’onorevole Jeggle per aver considerato le mie proposte durante la stesura della relazione. Nel testo sono state inserite anche le richieste avanzate dalle donne che hanno partecipato alle consultazioni pubbliche da me organizzate nella regione della Terra di Lebus.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione sull’efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell’UE nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri. Si tratta di un documento molto importante per la Lituania, la Bulgaria e la Slovacchia, ai fini della disattivazione delle loro centrali nucleari. Si osserva con preoccupazione che alcuni progetti chiave nell’ambito della gestione delle infrastrutture per i rifiuti abbiano registrato ritardi in Lituania e che quindi il paese non sia in grado di assorbire i fondi europei in maniera tempestiva ed efficiente. È stato fatto notare che sono ancora necessari cospicui finanziamenti per la disattivazione e che i fondi nazionali non sono sufficienti a coprire i costi: nel Fondo nazionale di disattivazione della centrale nucleare di Ignalina, infatti, sono stati finora accantonati solo poco più di 100 milioni di euro (mentre i costi tecnici di disattivazione, da soli, si aggirano tra i 987 milioni e i 1 300 milioni di euro) Il Parlamento europeo chiede quindi agli Stati membri di adottare opportuni provvedimenti in merito. La disattivazione delle centrali nucleari prevede un procedimento molto complesso. I paesi non hanno maturato un’esperienza sufficiente per prevedere tutte le operazioni necessarie e per eseguirle in maniera efficiente. Il Parlamento europeo sta adottando questa risoluzione al momento giusto, in modo da incoraggiare Lituania, Bulgaria, Slovacchia e tutti gli Stati membri a mettere in atto il processo di disattivazione nel modo più efficiente possibile. Si tratta di un ambito molto importante che continuerà a ricevere molta attenzione da parte del Parlamento europeo.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore di questo importante documento. Quando sono entrate a far parte dell’Unione europea, la Lituania, la Slovacchia e la Bulgaria hanno sottoscritto complessi impegni politici ed economici per la disattivazione delle centrali nucleari e l’Unione europea si è impegnata a fornire un'adeguata assistenza finanziaria per la disattivazione, la costruzione di depositi per le scorie radioattive, lo stoccaggio dei combustibili esauriti e lo sviluppo di progetti energetici. Ritengo che il concetto europeo di solidarietà possa contribuire in modo efficace a contenere le conseguenze economiche negative nel settore energetico della chiusura anticipata, ma restano ancora irrisolte molte questioni importanti. L’attribuzione degli appalti non è del tutto chiara; ora sappiamo che gli attuali finanziamenti non saranno sufficienti per portare a compimento il processo di disattivazione in maniera tempestiva ed adeguata. Si teme che la mancanza di risorse finanziarie dedicate comporti un ritardo nella disattivazione delle centrali nucleari, con conseguenti rischi per l'ambiente e la salute dell'uomo. I piani di disattivazione dettagliati relativi ai tre programmi in oggetto non sono ancora stati messi a punto e che di conseguenza non esistono informazioni sufficienti circa i tempi, i costi e le fonti di finanziamento di determinati progetti. Concordo sul fatto che la Commissione europea debba svolgere un ruolo di maggior coordinamento con questi tre Stati membri, in modo da raggiungere un accordo per la presentazione di progetti dettagliati, per il completamento del lavoro entro i tempi previsti e per l’entità del finanziamento. La Commissione deve inoltre studiare eventuali soluzioni per modificare i metodi di finanziamento delle operazioni di disattivazione da parte dell'UE, alla luce delle strategie impiegate negli Stati membri e delle loro strutture amministrative nazionali, nonché per semplificare le norme sulla gestione dei fondi in maniera tale da non compromettere la sicurezza, sotto tutti gli aspetti, delle operazioni di disattivazione.
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Marinescu poiché, a mio avviso, la mancanza di risorse finanziarie dedicate per la disattivazione ritarderà il processo volto a fornire assistenza finanziaria ai tre Stati membri in questione (Lituania, Slovacchia e Bulgaria), con conseguenti rischi per l'ambiente e la salute dell'uomo. Nelle prossime valutazioni condotte dalla Commissione europea e dalla Corte dei conti europea, si dovranno chiarire i seguenti aspetti: l’assegnazione e l’utilizzo di fondi da parte dell’Unione europea per garantire una disattivazione sicura, uno stoccaggio sicuro dei rifiuti nucleari ed il coordinamento fra i tre programmi esistenti. A questo proposito, l’esperienza acquisita deve essere utilizzata in maniera efficace e deve essere utilizzato il modello basato su progetti definiti e finanziati in precedenza per ottenere una riduzione dei costi.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione del collega sulla fornitura dell’assistenza finanziaria richiesta da Lituania, Slovacchia e Bulgaria per chiudere le centrali nucleari. È palese che, se non forniamo risorse appropriate, potremmo trovarci di fronte a conseguenze molto gravi dal punto di vista ambientale e della salute dell’uomo. Ovviamente, le risorse stanziate devono essere gestite in maniera adeguata e trasparente. La mancanza di un gruppo di coordinatori ed esperti dell'UE per tutti e tre i progetti, incaricato di supervisionare la redazione di un piano e di un calendario chiaro, nonché l’utilizzo corretto dei finanziamenti già assegnati, e di stabilire cosa sia necessario per completare la chiusura in condizioni di sicurezza, rappresenta un problema serio.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) La parola chiave di questa relazione è “responsabilità”. Il settore dell’energia nucleare deve convincersi del fatto che non può più sfuggire alle proprie responsabilità in merito alla disattivazione delle centrali nucleari, come invece ha fatto così spesso in passato. La disattivazione delle centrali nucleari con standard di sicurezza generali insufficienti corrisponde all’impegno che il settore si era assunto all’epoca dei vari processi di adesione all’UE. Sfortunatamente, gli importi stanziati non sono stati utilizzati in modo corretto ed è ormai arrivato il momento di trarre da questa situazione tutte le debite conclusioni. Quanto detto vale per le centrali nucleari dei nuovi Stati membri, ma anche per tutti i paesi europei che hanno scelto questa tecnologia.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto. − (ES) Il disastro avvenuto in Giappone ci ha costretto a riflettere sulla sicurezza dell’energia nucleare. L’assistenza per la chiusura delle centrali in Lituania, Slovacchia e Bulgaria che utilizzavano una tecnologia obsoleta contribuisce a ridurre le conseguenze dell’enorme spesa legata alla loro chiusura dal 2013. L'assistenza era destinata a finanziare iniziative per il miglioramento ambientale, per l’ammodernamento dei nuovi sistemi elettrici e per l'accrescimento della sicurezza dell’approvvigionamento. Ho votato a favore di questa iniziativa perché questo deve essere il futuro anche per le altre centrali nucleari europee che utilizzano una tecnologia obsoleta.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Bene fa il Parlamento, con questa relazione, a fare pressione sulla Commissione perché tenga alta la sorveglianza e il controllo su come sono stati spesi e come saranno impiegati i cospicui finanziamenti di cui hanno beneficiato Slovacchia, Bulgaria e Lituania nell'ambito del programma di smantellamento e messa in sicurezza delle loro centrali atomiche di fabbricazione sovietica. Il catastrofico incidente giapponese di poche settimane fa dimostra, per chi non la avesse ancora capito, che con l'energia nucleare non si scherza: serve sempre il massimo rigore nell'applicazione dei criteri di sicurezza quando si ha a che fare con l'atomo, e la Commissione ha il dovere quindi di verificare come sono stati attuati i programmi di smantellamento delle vecchie centrali nei tre Paesi ex-comunisti.
Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore della relazione del collega Marinescu che pone l'accento su un problema oggi di grande attualità. Alla luce di quanto accaduto in Giappone, infatti, ci si interroga ora sulla sicurezza delle centrali nucleari esistenti e funzionanti anche in Europa.
L'impegno preso da Lituania, Bulgaria e Slovacchia in sede di negoziati di adesione all'UE, vale a dire smantellare i vecchi reattori nucleari per i quali non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti, deve essere un impegno sostenuto e coerente a fronte del quale l'Unione europea ha stabilito da tempo e assicurato programmi di sostegno e finanziamento. Auspico che i lavori di smantellamento procedano con sollecitudine e garantiscano la massima sicurezza per i cittadini e per l'ambiente. Mi auguro altresì che si riescano a recuperare i ritardi in parte cumulati e terminare le operazioni entro i termini stabiliti.
Mi preme infine sottolineare, al di là dei casi specifici, la necessità di provvedere a controlli di verifica anche per altri reattori presenti in Europa, responsabilizzando le istituzioni nella gestione della sicurezza sia per gli impianti esistenti sia per i nuovi, se in futuro se ne dovessero costruire.
Cristian Silviu Buşoi (ALDE), per iscritto. – (RO) La conformità agli standard di sicurezza nel campo dell’energia nucleare e la tutela della popolazione dal rischio nucleare sono aspetti molto importanti che giustificano il finanziamento concesso dall’Unione europea ai tre Stati membri per la disattivazione delle loro centrali nucleari, per le quali non era possibile un adeguamento ai più alti standard di sicurezza. Sostengo pienamente comunque il punto di vista espresso in questa risoluzione, dato che ritengo necessario supervisionare la modalità con cui vengono utilizzati i finanziamenti, in modo da garantire che forniscano un contributo efficace alla sicurezza del processo di disattivazione. Sfortunatamente, le strategie si sono dimostrate carenti dal punto di vista della chiarezza e non sono stati definiti massimali per i finanziamenti europei destinati alle attività di disattivazione. In futuro, si dovrà evitare di lavorare in questo modo e occorrerà elaborare un programma di ampio respiro che copra tutte le operazioni ammissibili al finanziamento. È fondamentale che le modalità di utilizzo dei fondi siano trasparenti, al fine di garantire che i fondi siano efficaci e, in ultima analisi, che il denaro dei contribuenti europei venga speso in maniera responsabile.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) È fondamentale disattivare i reattori nucleari in Slovacchia, Bulgaria e Lituania, dato che non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili . Questo non sarà possibile senza un contributo finanziario dell’UE volto ad affrontare le conseguenze della chiusura e della disattivazione di tali impianti e a finanziare iniziative per il miglioramento ambientale in linea con l'acquis, oltre che per l'ammodernamento della capacità di produzione convenzionale (al fine di sostituire quella della centrale). L’assistenza finanziaria europea è stata erogata sotto forma di contributi ai tre Fondi internazionali di sostegno alla disattivazione gestiti dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) L’Unione europea è preoccupata per le eventuali conseguenze sulla sicurezza derivanti dalla disattivazione delle vecchie centrali nucleari nei nuovi Stati membri e dall’eventuale gestione inadeguata dei rifiuti radioattivi prodotti dal loro smantellamento. Le operazioni necessarie sono, di norma, di portata esorbitante. Per questo motivo si riconosce l'importanza di una gestione sana e il più trasparente possibile delle risorse finanziarie, unita a un adeguato controllo esterno, finalizzata a garantire una concorrenza leale sul mercato dell'energia. Allo stesso tempo, l’Unione deve promuovere costantemente lo sviluppo di risorse energetiche alternative, a basse emissioni e competitive, in modo da ovviare alle conseguenze economiche e sociali negative derivanti dal processo di disattivazione delle vecchie centrali nucleari.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Dal 2007 tre centrali nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria sono in fase di disattivazione grazie ad un ingente supporto finanziario fornito dall’Unione europea. Alla luce dei ritardi e della cattiva gestione generale, il Parlamento alla invita la Commissione a istituire un gruppo di coordinamento con il compito di vigilare sull'elaborazione di un piano definitivo che contenga un preciso calendario, controllare l'utilizzo dei fondi finora stanziati e verificare l'ulteriore necessità di un intervento dell'Unione europea dopo il 2013. Il Parlamento ha richiesto, poi, che la Corte dei conti europea stili una relazione speciale su questi tre programmi di disattivazione entro la fine dell’anno, per verificare se i fondi impiegati abbiano effettivamente contribuito a migliorare la sicurezza. Dovendo fare i conti con le restrizioni di bilancio che gravano su tutti i paesi, il Parlamento acconsentirà a prorogare l’assistenza solo se i finanziamenti europei sono effettivamente serviti a migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, ammodernare le infrastrutture e a sviluppare i progetti per l’energia sostenibile. A seguito del disastro nucleare in Giappone, l’Unione europea è consapevole della portata della propria responsabilità e del fatto che non si può permettere di ignorare la sicurezza dei suoi impianti nucleari.
Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) La relazione sull’efficacia dei finanziamenti dell’UE nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri presenta un riassunto dei finanziamenti europei per la chiusura e la disattivazione delle centrali nucleari di Ignalina in Lituania, di Bohunice in Slovacchia e di Kozloduj in Bulgaria. Nel corso dei negoziati di adesione all’Unione europea, Lituania, Slovacchia e Bulgaria si sono impegnate a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori per i quali, secondo le negoziazioni in seno al G7, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili e che non rispettavano gli standard di sicurezza minimi. L’Unione europea si è impegnata a finanziare la chiusura e la disattivazione e sta fornendo il quadro finanziario. Accolgo con favore il fatto che l’UE sia in grado di sostenere questo tipo di attività. La disattivazione di centrali nucleari vetuste e non sicure in Europa è essenziale per tutelare la vita e la salute dei cittadini europei.
Mi auguro che anche le centrali nucleari più vecchie esistenti in Francia vengano chiuse e disattivate, così come ha deciso di fare la Germania subito dopo il disastro in Giappone. Voterò a favore dell’adozione della relazione, dato che è necessario portare a compimento il processo di chiusura e disattivazione delle centrali di Ignalina, Bohunice e Kozloduj, con un adeguato finanziamento da parte dell’UE.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione sul finanziamento europeo nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri. Ritengo che l’Unione europea debba sostenere la chiusura di tali impianti e investire in progetti su energie alternative, per garantire la sicurezza e tutelare la salute dei cittadini europei, per contenere la dipendenza energetica e ridurre al minimo gli eventuali costi sociali.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Prima dell’adesione, le norme relative all’energia nucleare e alle scorie radioattive vigenti nei paesi dell’Europa centrale ed orientale erano meno severe rispetto alle norme applicate nell’Unione europea nello stesso periodo. Alcuni di questi paesi hanno altresì mantenuto attivi vecchi reattori di progettazione sovietica, per i quali non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. Per questo motivo, al momento dell’adesione, Lituania, Slovacchia e Bulgaria si sono impegnate a disattivare i reattori per i quali non era possibile un adeguamento agli standard. Per tali operazioni sono stati chiesti l’intervento e l’assistenza finanziaria dell’Unione europea, che dovranno proseguire sino al 2013. In seguito ai tragici eventi accaduti in Giappone, ritengo che vi sia un bisogno urgente di portare a termine tutti i programmi di chiusura e disattivazione delle centrali nucleari dell’Europa centrale ed orientale, il cui funzionamento non è conforme agli standard di sicurezza europei.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno rispettato l'impegno a chiudere tempestivamente le rispettive unità delle tre centrali nucleari: le unità 1 e 2 della centrale nucleare di Ignalina sono state chiuse rispettivamente il 31 dicembre 2004 e il 31 dicembre 2009; le unità 1 e 2 della centrale nucleare di Bohunice V1 sono state chiuse rispettivamente il 31 dicembre 2006 e il 31 dicembre 2008; le unità 1 e 2 della centrale nucleare di Kozloduy sono state chiuse il 31 dicembre 2002 mentre le unità 3 e 4 non sono più operative dal 31 dicembre 2006. Esiste una base giuridica per la concessione dell’assistenza finanziaria; gli importi sono stabiliti ogni anno con decisione della Commissione, sulla base di singoli documenti annuali di programmazione combinata, al fine di poter esercitare un controllo sullo sviluppo e il finanziamento dei progetti approvati. L’obiettivo dell’assistenza europea è aiutare i tre Stati membri interessati a far fronte all’onere finanziario ed economico derivante dalla fissazione di date di chiusura anticipata tassative, coprire il costo di diverse importanti attività di disattivazione, investire in progetti nel settore dell’energia allo scopo di ridurre la dipendenza energetica e contribuire ad attenuare l’impatto sociale della disattivazione delle centrali.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Sappiamo che l’età media dei reattori attivi nelle centrali nucleari in quasi la metà degli Stati membri dell’Unione europea è relativamente alta, il che ha comportato la necessità di disattivare alcuni reattori per motivi di sicurezza, nonché di difesa e salvaguardia della salute pubblica e dell’ambiente.
È giusto che i nuovi Stati membri che devono far fronte alla richiesta di chiudere diverse si possano aspettare il sostegno dell’UE per portare a compimento in maniera adeguata e sicura i processi di disattivazione.
Questi processi devono comprendere le attività di manutenzione e sorveglianza necessarie in regime di sicurezza dopo la chiusura, il trattamento dei rifiuti, lo stoccaggio e la decontaminazione delle scorie e dei combustibili esauriti, nonché iniziative per il miglioramento ambientale degli impianti ed il sostegno necessario per la sostituzione della capacità di produzione delle unità chiuse, prestando particolare attenzione alla sostenibilità ambientale e all’efficienza energetica.
Infine, vanno tenute in considerazione anche le conseguenze sociali di questi processi, garantendo – oltre alle condizioni di sicurezza, prima, durante e dopo la disattivazione – che vengano tutelati i posti di lavoro ed altri diritti.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Il paragrafo 7 della relazione Marinescu sottolinea che “è opportuno attribuire la massima priorità alla disattivazione delle centrali nucleari in questione [in Lituania, Slovacchia e Bulgaria], a tutela della sicurezza e della salute di tutti i cittadini europei”. Concordo pienamente con questa affermazione, aggiungendo però che l’abbandono totale dell’energia nucleare da parte di tutti gli Stati membri tutelerebbe la sicurezza e la salute dei nostri cittadini.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Come sapete, in Lituania, Slovacchia e Bulgaria, erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. Riconoscendo che la chiusura anticipata rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea, anche in nome della solidarietà, si è impegnata a fornire un’adeguata assistenza finanziaria per la disattivazione dei citati reattori fino alla fine del 2013. Tuttavia si osserva con preoccupazione che alcuni progetti chiave nell’ambito della gestione delle infrastrutture per i rifiuti (stoccaggio dei combustibili esauriti e depositi di scorie radioattive) hanno registrato notevoli ritardi. Il margine di ritardo del sistema è praticamente esaurito e qualunque rallentamento potrebbe d’ora in poi incidere sul “percorso critico” dell'intero piano di disattivazione, con un corrispondente aumento dei costi. Si invita quindi la Commissione a riferire in merito ai risultati del riesame della tempistica del progetto. Una parte consistente dei fondi è stata assegnata a progetti in ambito energetico, ma sono ancora necessari cospicui finanziamenti per la disattivazione e i fondi nazionali non sono sufficienti a coprire tali costi: nel Fondo nazionale di disattivazione della centrale nucleare di Ignalina, infatti, non sono stati accantonati fondi sufficienti (i costi tecnici di disattivazione, da soli, si aggirano tra i 987 milioni e i 1 300 milioni di euro). Gli Stati membri devono adottare opportuni provvedimenti in merito. Inoltre, per quanto riguarda la sicurezza nucleare, dobbiamo discutere delle nuove centrali nucleari previste ai confini dell’Unione europea, in Russia e in Bielorussia. Questi reattori possono rappresentare una nuova sfida per l’UE e potrebbero tradursi, in futuro, in una minaccia concreta per la salute dei nostri cittadini e del nostro ambiente.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. − (DE) I reattori nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria non possono essere ammodernati per rispettare gli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. Nel corso dei negoziati di adesione, questi tre paesi si sono impegnati a chiudere e disattivare i reattori nucleari secondo un calendario concordato. Per proseguire verso una chiusura efficiente, sono necessari un quadro finanziario chiaro e controlli efficaci tesi a garantire il corretto utilizzo dei fondi stanziati. Appoggio la relazione dell’onorevole Marinescu perché la sicurezza dei cittadini europei deve essere una delle nostre maggiori priorità.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, onorevoli colleghi, il tema dell'efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell'UE nell'ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri è più che mai attuale. I recenti avvenimenti che hanno coinvolto il Giappone hanno reso più che mai urgente l'esigenza di sicurezza. La relazione del collega Marinescu riguarda, più nello specifico, il tema della previsione di adeguate risorse finanziarie per garantire i processi di disattivazione di centrali nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria. Questi Stati, infatti, hanno sin dal loro ingresso nella "famiglia europea" assunto alcuni obblighi relativi alla disattivazione di impianti nucleari situati nel proprio territorio. A fronte di tali obblighi, l'UE si è impegnata ad offrire un adeguato sostegno finanziario. Credo infatti necessario che l'Unione europea proponga un'azione decisa in relazione ad alcune tematiche vicine ai cittadini, come quella della sicurezza degli impianti nucleari.
Agnès Le Brun (PPE), per iscritto. – (FR) Quando Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno aderito all’Unione europea, è stato elaborato un piano di chiusura e di disattivazione di una serie di vecchie centrali nucleari che non soddisfacevano gli standard europei. Grazie all’erogazione di ingenti stanziamenti, che raggiungeranno la cifra complessiva di 2 848 milioni di euro entro la fine del 2013, è stato possibile chiudere tutti gli impianti citati e garantire una parziale conversione ad altre fonti di energia per gli Stati membri interessati. Tuttavia, sembra che una serie di impegni assunti non siano stati rispettati e ci si può interrogare, quindi, sull’uso che è stato fatto dei finanziamenti erogati. Per questo motivo ho votato a favore di questa risoluzione del Parlamento europeo. Evidenziando il progresso pressoché inesistente sul fronte della disattivazione, malgrado questo sia l’obiettivo principale del programma, la risoluzione chiede alla Commissione di fornire l’assistenza finanziaria in modo più efficace, elaborando, ad esempio, una relazione annuale sui progressi realizzati. A tal fine, la Commissione può procedere sulla base dell’audit della Corte dei conti europea attualmente in corso. La Commissione, inoltre, dovrebbe istituire un gruppo di coordinatori ed esperti incaricati di seguire tutti e tre i progetti, ma – dettaglio piuttosto curioso – non si è ancora attivata in tal senso.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa relazione che si occupa dei tre paesi, Lituania, Slovacchia e Bulgaria, nel cui territorio erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale, in linea con il programma d’azione multilaterale del G7 adottato al vertice di Monaco del 1992, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. In sede di negoziati di adesione all’Unione europea i tre paesi si sono impegnati a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori nucleari entro determinati termini tassativi. Riconoscendo che la chiusura anticipata rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea, anche in nome della solidarietà, si è impegnata a fornire un'adeguata assistenza finanziaria per la disattivazione dei citati reattori fino alla fine del 2013.
Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Questa relazione ha per oggetto i finanziamenti dell’Unione europea nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri. Queste centrali rappresentano un pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente, non solo nel paese che le ospita, ma anche in tutta l’Europa e nel mondo. Per quanto riguarda l’oggetto della relazione, ho votato a favore del contributo alla disattivazione di queste vecchie centrali, ma ritengo che la politica nucleare europea debba spingersi oltre. Alla luce dei gravi rischi connessi all’utilizzo dell’energia nucleare, che ormai tutti ben conosciamo da tempo, e del recente disastro nucleare in Giappone, chiedo che venga predisposto immediatamente un piano europeo per abbandonare questo tipo di energia. L’Unione europea deve sospendere immediatamente il finanziamento e il sostegno alle nuove centrali nucleari.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Questa relazione si occupa della disattivazione di centrali nucleari vetuste che rappresentano una minaccia immediata per la salute di tutti i cittadini europei. Il testo chiama in causa solo in parte la cosiddetta componente “energetica” dell’assistenza finanziaria europea assegnata a questo programma di disattivazione.
Quest’Assemblea deve condannare apertamente il finanziamento di nuove centrali nucleari. Non lo sta facendo, né esige l’abbandono dell’energia nucleare, benché sia necessario. Alla luce del disastro di Fukushima, verificatosi solo pochi giorni fa, questo comportamento si dimostra vergognosamente miope. Chiedo l’adozione immediata di un programma europeo per la progressiva eliminazione dell’energia nucleare. Ho votato a favore della relazione, con particolare riferimento al finanziamento della disattivazione delle centrali nucleari contemplate in questa relazione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La sicurezza nucleare preoccupa tutti in Europa e il recente disastro in Giappone ha evidenziato i rischi legati all’utilizzo delle centrali nucleari. Gli Stati dell’Europa orientale che aspirano ad aderire all’UE possiedono centrali nucleari di progettazione sovietica attive da molti anni, che stanno per giungere al termine della propria vita utile. Alla luce degli ingenti costi di disattivazione, è del tutto naturale che l’UE fornisca un sostegno a tali paesi nel loro percorso verso la disattivazione, in modo da evitare che, in futuro, si possano verificare incidenti nucleari in territorio europeo, con le conseguenze, purtroppo, ben note a tutti.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. − (ES) Ho votato a favore della relazione sull’efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell’UE nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri, perché rileva la necessità di attribuire la massima priorità alla disattivazione delle centrali nucleari in questione a tutela della sicurezza e della salute di tutti i cittadini europei e perché esprime il timore che la mancanza di risorse finanziarie per le misure di disattivazione possa ritardare la chiusura delle centrali nucleari e minacciare l’ambiente e la salute dell’uomo. L’incidente verificatosi a Fukushima dimostra che l’energia nucleare è incontrollabile in caso di catastrofi e che la sua gestione non può essere lasciata nelle mani dei privati. Richiediamo quindi con urgenza una moratoria affinché non vengano più costruite nuove centrali nucleari e dobbiamo definire un calendario per la chiusura delle 143 centrali ancora operative in Europa. L’Unione europea deve orientarsi verso un futuro privo di centrali nucleari e basato su fonti di energia rinnovabili.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. − (EN) Questa risoluzione è incentrata sulla valutazione di alcuni piani per la disattivazione di centrali nucleari obsolete in tre paesi dell’Unione europea: Ignalina in Lituania, Bohunice in Slovacchia, Kozloduy in Bulgaria. La risoluzione prevede anche una stima dei costi e dei ritardi dell’eventuale finanziamento di progetti energetici indipendenti dalle operazioni di disattivazione. È giusto parlare di “eventuale finanziamento”. È necessario definire in maniera chiara, precisa ed esatta in che modo si provvederà alla sostituzione di queste potenti fonti energetiche, nonché dove e quando verranno costruite nuove centrali elettriche con le nostre risorse finanziarie. Ho votato a favore perché sono consapevole del rischio legato alle centrali nucleari, ma che senso ha disattivare la centrale di Ignalina, quando non sono ancora state costruite altre centrali nucleari nell’Unione europea? Non sarebbe forse meglio eseguire dei lavori di ricostruzione?
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) L’adeguamento di alcuni reattori nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria, volto a garantirne il rispetto degli standard di sicurezza minimi richiesti, è un’operazione impossibile o realizzabile solo ad un costo irragionevole dal punto di vista economico. Secondo quanto stabilito nell’ambito dei negoziati di adesione all’Unione europea, a favore di questi Stati dell’Europa centrale ed orientale è stato stanziato un finanziamento teso a contribuire alle operazioni di disattivazione dei reattori obsoleti. Sino al 2009, sono stati versati alla Lituania (Ignalina), alla Slovacchia (Bohunice V1) e alla Bulgaria (Kozloduy) circa 1 300 milioni di euro. L’Unione europea si è impegnata per ulteriori stanziamenti sino alla fine del 2013. Durante la crisi del gas russo-ucraina, la Slovacchia ha valutato l’ipotesi di riattivare la centrale nucleare di Bohunice, disattivata, al fine di colmare il deficit energetico causato dalla perdita di approvvigionamenti di gas dalla Russia. La tragedia in Giappone ci ha dimostrato quanto sia facile perdere il controllo di una centrale nucleare e ci ha fatto capire l’importanza di chiudere i reattori obsoleti, predisponendo nel contempo fonti di energia alternative, in modo da evitare eventuali casi di riattivazione. Ho pertanto votato a favore della relazione.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Non vi è alcun dubbio che, nell’interesse della sicurezza e della salute di tutti i cittadini europei, l’Unione europea e gli Stati membri debbano attribuire la massima priorità alla disattivazione delle centrali nucleari nei nuovi Stati membri. Deve essere prestata la medesima attenzione anche all’eliminazione dei pericoli presenti nelle immediate vicinanze dell’Unione europea. In questo senso, vorrei sottolineare la necessità di individuare e mobilitare i finanziamenti necessari per costruire un nuovo sarcofago intorno al reattore della centrale nucleare di Černobyl, esploso nel 1986.
Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. – (LT) Concordo con la risoluzione sull’efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell’UE nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria. Non dobbiamo lesinare sforzi, in particolare, per garantire che tutte le operazioni di disattivazione vengano completate nei tempi concordati, adottando correttamente tutte le misure di sicurezza necessarie ed evitando anche il minimo rischio per la salute dell’uomo e per l’ambiente. Se il nostro impegno per la disattivazione della centrale di Ignalina e di altre centrali nucleari è determinato, dobbiamo allora utilizzare tutte le risorse finanziarie stanziate per questo processo nel pieno rispetto del principio di trasparenza ed efficienza. Le autorità nazionali devono definire, con estrema urgenza, dettagliati programmi di disattivazione. Ritengo che i risultati dell’audit effettuato dalla Corte dei conti europea riveleranno le finalità dell’utilizzo dei fondi e la loro efficacia. Dobbiamo compiere tutti gli sforzi necessari per garantire che le attività di disattivazione e di trattamento dei rifiuti inizino già a partire dal 2013. Ritengo opportuno chiedere alla Commissione di fornire al Parlamento europeo una pianificazione finanziaria dettagliata e di definire le responsabilità per l’utilizzo dell’assistenza fornita dall’UE. Il previsto accantonamento nei rispettivi fondi nazionali degli importi non è sufficiente a coprire tutti i costi legati alla disattivazione degli impianti e diventa quindi opportuno che le strategie ed i programmi elaborati comprendano nuove azioni e prevedano ulteriori finanziamenti europei.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Cari colleghi, ho votato a favore del testo sui finanziamenti dell'UE per la disattivazione di centrali nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria perché visti i recenti accadimenti dopo il terremoto e la crisi nucleare in Giappone ritengo fondamentale e indispensabile per l'Unione europea una politica di controllo sulla sicurezza dei reattori nucleari che non lasci alcun margine di rischio. Nei territori dei Paesi in questione erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali si è tecnicamente ritenuto impossibile un rinnovamento per adeguarli agli standard di sicurezza internazionali attualmente obbligatori. Il finanziamento da parte dell'Unione è consequenziale all'onere economico supportato dai paesi per la chiusura degli impianti nucleari.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. − (PT) Nell’ambito dei negoziati di adesione all’Unione europea, Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno negoziato un sostegno per la disattivazione di vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale ed in linea con il programma d'azione multilaterale del G7 adottato al vertice di Monaco del 1992, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. In sede di negoziati di adesione, i tre paesi si sono impegnati a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori nucleari entro determinati termini tassativi. Riconoscendo che la chiusura anticipata rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea, anche in nome della solidarietà, si è impegnata a fornire un’adeguata assistenza finanziaria per le disattivazione dei citati reattori fino alla fine del 2013. Il programma di assistenza è stato periodicamente oggetto di audit e valutazioni. La Corte dei Conti è attualmente impegnata in un controllo di gestione relativo a tutti e tre i programmi ed è inoltre prevista una relazione speciale per l’autunno 2011. Si sarebbero potute creare sinergie fra i tre progetti, in modo tale da rendere più efficiente ed efficace l’azione svolta dall’Unione europea. Ho votato a favore di questa relazione, di cui vorrei sottolineare la raccomandazione della Commissione per l’armonizzazione dei metodi di finanziamento delle operazioni di disattivazione dei reattori nucleari.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Care colleghe e cari colleghi, la proposta di risoluzione del Parlamento europeo sull'efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell'UE nell'ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri, presentata il 14 marzo 2011, ha lo scopo di valutare i risultati ottenuti nel campo dello smantellamento di centrali nucleari obsolete sulla base delle esperienze della Lituania, della Bulgaria e della Slovacchia, che hanno beneficiato, a partire dal 1999, di assistenza finanziaria UE a questo scopo. La sicurezza dell'approvvigionamento energetico è una delle priorità fondamentali della strategia energetica UE. Secondo le attuali previsioni, i ritardi accusati dai programmi non impediranno di iniziare le attività di smantellamento e gestione dei rifiuti nonché l'esecuzione dei lavori da parte del personale delle centrali entro il 2013. Rimane, tuttavia, una forte preoccupazione per il fatto che i piani di disattivazione non siano stati ancora messi a punto e che siano necessari sforzi per il miglioramento della gestione delle risorse finanziare e del coordinamento con le autorità nazionali degli Stati membri interessati. Per questi motivi, esprimo il mio voto favorevole alla proposta di risoluzione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Lituania, Slovacchia e Bulgaria sono tre paesi nel cui territorio erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale, in linea con il programma d’azione multilaterale del G7 adottato al vertice di Monaco del 1992, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. In sede di negoziati di adesione all’Unione europea, i tre paesi si sono impegnati a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori nucleari entro determinati termini tassativi. Riconoscendo che la chiusura anticipata rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea, anche in nome della solidarietà, si è impegnata a fornire un’adeguata assistenza finanziaria necessaria per le disattivazione dei citati reattori fino alla fine del 2013.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo di importanza prioritaria mantenere alta l'attenzione sullo stato di disattivazione delle centrali nucleari di Lituania, Slovacchia e Bulgaria dove, al momento del loro ingresso nell'Unione europea, erano ancora attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica, per i quali non era possibile un adeguamento ai più recenti standard di sicurezza a costi sostenibili.
Dopo il recente disastro in Giappone, non è più possibile attardarsi su simili procedure per la sicurezza di tutti i cittadini europei e non solo, e anche gli eccezionali oneri finanziari da assolvere al riguardo non possono più essere una scusante per eventuali ritardi. Per questo motivo, l'Unione europea si è impegnata a fornire un'adeguata assistenza finanziaria per la disattivazione di questi reattori fino alla fine del 2013. Ogni ulteriore ritardo non potrà essere tollerato nell'interesse dell'intera Comunità europea e dovrà essere immediatamente denunciato in tutte le sedi più opportune.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − A seguito del disastro nucleare causato dalla centrale del Giappone, legato anche al mancato adeguamento a standard di sicurezza attuali, possiamo dire di aver fatto un'ottima scelta quando, in sede di negoziati di adesione, si erano fissate date di chiusura tassative per tre vecchie centrali nucleari di progettazione sovietica in Lituania, Slovacchia e Bulgaria.
La data di chiusura definitiva e della relativa messa in sicurezza era prevista per il 2013, con un importo di spese a carico dell'Unione europea di quasi tre miliardi di euro. La relazione invita la Commissione, a seguito dei ritardi e dell'aumento dei costi relativi la messa in sicurezza delle tre centrali, a una maggiore sorveglianza e a verificare quale sia la situazione attuale e quali siano le previsioni sull'attuazione delle diverse fasi del processo di disattivazione in base al calendario iniziale.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Lituania, Slovacchia e Bulgaria sono tre paesi nel cui territorio erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. In sede di negoziati di adesione i tre paesi si sono impegnati a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori nucleari entro determinati termini tassativi. A tal fine sono stati accantonati 2,7 miliardi di euro per il periodo 1999-2013. Alla fine del 2009, erano già stati assegnati 1,8 miliardi di euro, ma vi sono comunque stati notevoli ritardi nell’attuazione dei programmi di disattivazione. Il Parlamento europeo teme che questi ritardi possano comportare rischi per l’ambiente e la salute dell’uomo. Mi ritengo soddisfatto della relazione, anche perché quest’Assemblea ha appoggiato i miei emendamenti, presentati in seno alla Commissione per il controllo dei bilanci, che chiedevano la massima trasparenza nella gestione dei fondi e nell’utilizzo delle risorse.
Il Parlamento europeo ha anche approvato la mia richiesta alla Commissione di riferire al Parlamento con cadenza annuale in merito all’utilizzo dei fondi e alla probabilità che i fondi accantonati verranno assorbiti nell'arco dei prossimi tre anni. Questa relazione getta le basi per un’attenta supervisione del processo e questo è un elemento positivo sotto numerosi punti di vista.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione e appoggio la disattivazione graduale delle centrali nucleari.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. − (DE) Ho votato a favore della relazione. Lo smantellamento delle centrali di Ignalina, Bohunice e Kozloduy si sta prolungando più del dovuto e si richiede un maggiore impegno da parte degli operatori nazionali. È necessario che tutti gli Stati membri sollecitino con urgenza la definizione di standard comuni per lo smantellamento delle centrali e devono essere stabilite precise responsabilità. Nell’ambito dei negoziati di adesione all’Unione europea, i tre paesi, ovvero Lituania, Slovacchia e Bulgaria, hanno espresso la propria volontà di eliminare dalla rete queste tre centrali nucleari non sicure.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. − (LT) I tragici eventi verificatisi il mese scorso in Giappone e la preoccupazione nei confronti della sicurezza della centrale nucleare di Fukushima hanno generato un ampio dibattito sul tema della centrali nucleari. È molto importante tenere queste discussioni:; molti cittadini lituani ricordano fin troppo bene la tragedia di Černobyl. La chiusura della centrale nucleare lituana di Ignalina era una delle condizioni per l’adesione all’Unione europea, ma questa decisione è stata molto dolorosa. L’Unione europea ha fornito alla Lituania 837 milioni di euro in assistenza finanziaria per ovviare alle conseguenze della chiusura della centrale nucleare per il periodo 2007-2013, ma il finanziamento erogato dall’UE per la chiusura del reattore non è sufficiente. Una disattivazione sicura rappresenta un processo lungo e l’Unione europea deve sostenere la Lituania in ogni sua fase. Il sostegno deve essere di natura globale e comprendere il trattamento delle scorie radioattive e dei rifiuti.
Come ha affermato il relatore, il sostegno globale da parte dell’Unione europea è importante per contenere le conseguenze economiche e sociali derivanti dalla chiusura della centrale nucleare di Ignalina, che ha comportato l’esubero di molti lavoratori lituani ed ha danneggiato la nostra economia. L’Unione europea deve fornire ulteriore assistenza per i progetti nel settore energetico, al fine di ridurre le conseguenze economiche della chiusura della centrale nucleare di Ignalina, includendo anche la promozione del rinnovamento delle misure volte a incrementare la produzione di energia e l’efficienza energetica.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. − (DE) Ho votato a favore della relazione sulla disattivazione dei tre reattori nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria. Questi reattori nucleari non soddisfano gli standard di sicurezza minimi e il loro smantellamento era una delle condizioni concordate dai tre paesi in sede di negoziati di adesione; l’Unione europea si è altresì impegnata a coprire parte dei costi di disattivazione. In questo contesto, fa particolarmente piacere apprendere che la chiusura della centrale di Ignalina in Lituania ha coinciso con lo spegnimento dell’unica centrale nucleare esistente nel paese.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. – (PT) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato creato nel 2006 per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali e per assisterli nel reinserimento nel mercato del lavoro. A partire dal 1 maggio 2009, l’ambito di applicazione del FEG è stato ampliato e prevede un sostegno per i lavoratori in esubero a causa della crisi economica, finanziaria e sociale.
In questo periodo di profonda crisi, che ha causato portato tra l’altro a un aumento della disoccupazione, l’Unione europea deve mettere in campo tutti i mezzi a sua disposizione per reagire, fornendo, in particolare, un sostegno a quanti affrontano ogni giorno la realtà della disoccupazione. Per questo ho votato a favore della relazione per la mobilitazione del FEG per la Repubblica ceca, con l’obiettivo di sostenere i lavoratori in esubero dell’azienda Unilever ČR spol.s r.o.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto. − (ES) Gli aiuti riguardano 460 dei 664 lavoratori in esubero dall’azienda Unilever ČR, che operavano nel settore del commercio al dettaglio: il 52,4 per cento dei lavoratori colpiti sono donne, il 13 per cento ha più di 54 anni ed il 9,1 per cento ne ha meno di 24. Le misure a sostegno alla formazione dei lavoratori in esubero saranno cofinanziate dall’azienda, che non si sta sottraendo alle proprie responsabilità, e attuate dall'azienda o da appaltatori che operano per suo conto.
Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) È un successo per il Parlamento europeo il fatto che, per la prima volta il bilancio del 2011 presenti stanziamenti di pagamento pari a 47 608 950 euro alla linea di bilancio relativa al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Il FEG è stato creato quale strumento specifico e distinto, con obiettivi e scadenze proprie, ed è pertanto giustificata un’apposita dotazione che eviterà di procedere, come in passato, a storni da altre linee, un’operazione che potrebbe essere pregiudizievole per il conseguimento degli obiettivi delle varie politiche. A mio avviso, il FEG ha dato prova della sua validità e la mia unica preoccupazione è che i nuovi Stati membri non ne abbiano fatto granché uso. L’impressione che alla fine ne potrebbe derivare è che gli aiuti stanziati dal FEG vengano utilizzati dai vecchi Stati membri per ottenere le risorse di bilancio europee che erano soliti ricevere in precedenza nell’ambito, ad esempio, della politica di coesione. A mio parere, la prima richiesta della Repubblica ceca, nella storia, di concessione di un contribuito dal FEG non è che l’inizio; ne seguiranno altre, perché anche l’industria del paese è stata colpita dalla globalizzazione e dalla crisi finanziaria mondiale ed i lavoratori cechi che sono stati licenziati meritano l’assistenza europea a sostegno del loro impegno per rientrare in un mercato del lavoro competitivo.
Zuzana Brzobohatá (S&D), per iscritto. – (CS) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito nel 2006 come strumento flessibile per la fornitura rapida di un aiuto specifico, una tantum e limitato nel tempo, ai lavoratori in esubero a causa della globalizzazione e della crisi finanziaria ed economica. Si tratta della prima concessione di un contributo dal Fondo alla Repubblica ceca dallo scoppio della crisi economica e finanziaria globale, finalizzato, nello specifico, a contenere le conseguenze derivanti dal licenziamento di 634 lavoratori dell’azienda Unilever, che ha chiuso una fabbrica nel comune di Nelahozeves. Considerando che il 52,4 per cento degli esuberi è rappresentato da donne e che oltre 13 per cento ha più di 54 anni, ritengo che la concessione di questo contributo alla Repubblica ceca sia più che opportuna e ho quindi votato a favore della relazione.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Mi compiaccio del lavoro svolto sulla base del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) a sostegno dei lavoratori che risentono dei cambiamenti dei flussi commerciali mondiali. Analogamente appoggio la decisione di mobilitazione del FEG a favore della Repubblica ceca, che va a vantaggio dei lavoratori dell’azienda Unilever, interessata inaspettatamente da oltre 500 esuberi a causa della crisi economica e finanziaria mondiale. Questa decisione è molto importante, non solo per i lavoratori e le loro famiglie, ma anche per il distretto di Melník, dove era situata la fabbrica Unilever, la cui economia dipende in larga misura dall’industria della trasformazione alimentare, nonché dal settore chimico ed energetico.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione e dell’emendamento che chiede una revisione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Mi rammarico, infatti, che il FEG, nella sua versione attuale, non preveda una verifica della situazione finanziaria, dell’eventuale evasione fiscale o della situazione in materia di aiuti di Stato delle società multinazionali la cui ristrutturazione motiva l’intervento del FEG. Ritengo che tali aspetti debbano essere affrontati nell’imminente revisione del regolamento FEG, senza compromettere l’accesso dei lavoratori in esubero al FEG.
Lena Ek, Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. − (SV) Abbiamo deciso ancora una volta di appoggiare la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, in questo caso per aiutare circa 1 200 persone che hanno perso il lavoro in Polonia e nella Repubblica ceca, perché l’Europa sta ancora risentendo degli effetti della crisi economica e considerando che, per far fronte a situazioni straordinarie, sono necessarie misure straordinarie.
Tuttavia, riteniamo che in futuro si debbano utilizzare, invece, strumenti già esistenti (in particolare il Fondo sociale europeo) per migliorare le prospettive occupazionali di lavoratori licenziati o in esubero. Probabilmente non ci sarà bisogno del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione nel prossimo esercizio finanziario.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) La richiesta riguarda 634 esuberi dell’azienda Unilever ČR, attiva nel settore del commercio al dettaglio nella regione ceca di Střední Čechy. Come per la prima richiesta di quest’anno, relativa alla regione polacca di Podkarpackie, la commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha fornito una valutazione positiva della conformità di questo processo alle condizioni di ammissibilità. Non posso non notare, con dispiacere, la diffusione degli esuberi in tutta l’Unione, a dimostrazione del fatto che c’è ancora molto da fare per invertire il ciclo della crisi di cui siamo prigionieri. Appoggio la proposta della Commissione di mobilitare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) e mi auguro che i lavoratori in esubero riescano a trovare un nuovo lavoro il più presto possibile.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Questa relazione si basa su un progetto di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla mobilitazione di 323 820 euro dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per sostenere il reinserimento dei lavoratori cechi in esubero a causa dell’attuale crisi economica e finanziaria. Questa domanda, la seconda ad essere stata approvata nell’ambito del bilancio europeo del 2011, è stata presentata alla Commissione il 24 marzo 2010 e riguarda 634 lavoratori dell’azienda Unilever ČR, nella regione ceca di Střední Čechy, operativa nel settore del commercio al dettaglio. Dato che la domanda comporta l’attivazione di uno specifico strumento di bilancio e che la somma richiesta è accettabile dal punto di vista giuridico e conforme alle disposizioni del punto 28 dell’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea, ho votato a favore di questa proposta e mi auguro che contribuisca a ridurre le difficoltà economiche degli abitanti di questa regione e a rilanciare l’economia locale.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Un’altra mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), questa volta a sostegno dei lavoratori in esubero di una fabbrica della multinazionale Unilever nella Repubblica ceca.
Come negli altri casi, abbiamo votato a favore. Ciononostante, oltre alle riserve che formuliamo sempre in casi come questi, vi sono particolari aspetti di questo processo che vale la pena sottolineare. La Commissione europea si è limitata ad affermare che Unilever non ha ricevuto alcun aiuto di Stato o sostegno finanziario dai fondi europei per l’apertura della fabbrica nella Repubblica ceca, prima o dopo l’adesione del paese all’UE. Tuttavia, la Commissione non ha fornito informazioni, come invece avrebbe dovuto fare e come le era stato chiesto di fare, su quanto sta accadendo con altre fabbriche del gruppo, obiettando di non essere obbligata a procedere in tal senso secondo quanto previsto dal regolamento del FEG.
Oltre al caso specifico della Repubblica ceca, sarebbe interessante appurare e valutare il comportamento del gruppo Unilever a livello europeo. Lamentiamo quindi la mancanza di informazioni relative all’assistenza pubblica concessa a questo gruppo, e in generale alle società multinazionali, la cui ristrutturazione motiva l’intervento del FEG.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Stiamo discutendo di un’altra mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), che in questo caso vuole aiutare i lavoratori in esubero della fabbrica ceca della multinazionale Unilever. La posizione della Commissione europea in questo ambito si è rilevata molto controversa, poiché si è limitata a dichiarare che Unilever non ha ricevuto alcun aiuto di Stato o sostegno finanziario dai fondi europei per l’apertura della fabbrica nella Repubblica ceca, prima o dopo l’adesione del paese all’UE. Tuttavia, la Commissione non ha fornito informazioni, come invece avrebbe dovuto fare e come le era stato chiesto di fare, su quanto sta accadendo con le altre fabbriche del gruppo, obiettando di non essere obbligata a procedere in tal senso secondo quanto previsto dal regolamento del FEG.
Ho quindi voluto sottolineare, durante la discussione in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, che non sono state messe a disposizione informazioni su quanto sta accadendo al gruppo Unilever a livello europeo ed ho proposto che quest’argomento venga preso in considerazione al momento della revisione del regolamento, in modo tale che si possa effettuare una verifica della situazione finanziaria, compresi gli aiuti di Stato, delle società multinazionali la cui ristrutturazione motiva l’intervento del FEG, senza compromettere l’accesso da parte dei lavoratori in esubero al Fondo.
Abbiamo quindi votato a favore di queste proposte.
Estelle Grelier (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) a sostegno di un gruppo di lavoratori del settore alimentare (Unilever) nella Repubblica ceca. Vorrei sottolineare la necessità urgente di revisionare il regolamento del Fondo il prima possibile. Durante la votazione ho cofirmato e garantito l’adozione di un emendamento volto a precisare che va a scapito del regolamento non prevedere una verifica della solidità finanziaria, dell’eventuale evasione fiscale o della situazione in materia di aiuti di Stato delle società multinazionali che si avvalgono dell’intervento del FEG. In un momento in cui l’Unione europea fatica a finanziare i propri obiettivi ed è obbligata a scegliere tra politiche di pari priorità, il bilancio comunitario non può permettersi di finanziare le strategie di ingresso sul mercato e di delocalizzazione di grandi multinazionali il cui unico intento è incrementare i propri utili. Si tratta di un aspetto da tenere in considerazione nel prossimo regolamento, garantendo, garantendo al contempo che questo non comprometta l’accesso dei lavoratori in esubero al FEG.
Jiří Havel (S&D), per iscritto. – (CS) Raccomando di votare a favore della relazione Matera sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), nell’ambito del quale la Repubblica ceca ha presentato la sua prima richiesta di aiuto. È importante sottolineare l’obiettivo del Fondo, creato sotto l’egida del Commissario socialdemocratico ceco Vladimír Špidla. Il terremoto finanziario ed economico ha privato molte persone del proprio posto di lavoro in tutta Europa. Le risorse del FEG finanziano solo le misure volte ad agevolare il ricollocamento professionale dei lavoratori in esubero iscritti ai programmi di formazione professionale, con un’esperienza rispondente alle necessità del mercato del lavoro o che sono diventati lavoratori autonomi. In base alla relazione Matera, posso concludere che Unilever ha soddisfatto tutte le condizioni di ammissibilità. A causa della crisi economica Unilever ČR ha dovuto chiudere la sede di Nelahozeves e licenziare la maggior parte dei lavoratori.
Unilever ha offerto a quanti sono stati licenziati un programma di sostegno globale per trovare un nuovo lavoro e ha collaborato da vicino con l’ufficio di collocamento locale per gestire il programma. Concordo quindi con la concessione dei contributi in base alle informazioni contenute nella relazione e con la proposta della Commissione di versare alla Repubblica ceca 323 820 euro dal FEG.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato creato per fornire sostegno supplementare ai lavoratori in esubero che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali dovuti alla globalizzazione e per assisterli nel reinserimento nel mercato del lavoro. L’ambito di applicazione del FEG è stato ampliato a partire dal 1 maggio 2009 ed è possibile chiedere un sostegno per i lavoratori in esubero come conseguenza diretta della crisi economica e finanziaria mondiale. L’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 consente di mobilitare il FEG nei limiti di un importo annuo massimo di 500 milioni di euro. Il 24 marzo 2010, la Repubblica ceca ha presentato una domanda di mobilitazione del FEG, relativamente a 634 licenziamenti (tutti ammessi all’assistenza) nell’azienda Unilever ČR, spol.sr.o, operante nel settore del commercio al dettaglio (prodotti alimentari) e ha inviato ulteriori informazioni a completamento fino al 20 settembre 2010. La domanda è conforme ai requisiti per la determinazione dei contributi finanziari. La Commissione propone quindi di stanziare un importo pari a 323 820 euro. Sostengo la mobilitazione del FEG per la concessione di un contributo finanziario in risposta alla domanda presentata dalla Repubblica ceca. Ritengo che anche altri Stati membri debbano sfruttare maggiormente le opportunità offerte dai fondi europei.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, ho votato a favore della mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) a favore della Repubblica Ceca, perché ritengo tale strumento una valida risorsa di sostegno ai lavoratori in difficoltà a causa della crisi economica. La votazione odierna riguardava una richiesta di supporto per 634 lavoratori dell'azienda Unilever CZ, operante nel settore del commercio al dettaglio nella regione NUTS II di Střední Čechy, per un importo finanziato dal FEG di 323.820 euro. Infine, vorrei sottolineare l'importanza del FEG, rivelatosi in questi anni una risorsa utile ed efficace nella lotta alla disoccupazione come conseguenza della globalizzazione e della crisi economica.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore questa relazione che concede finanziamenti dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per sostenere i lavoratori in esubero nella Repubblica ceca. La domanda riguarda 634 esuberi a causa della chiusura di una fabbrica Unilever a Nelahozeves nell’ultimo trimestre del 2009. 460 lavoratori in esubero beneficeranno delle misure personalizzate finanziate dal FEG per un totale di 0,32 milioni di euro.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Non intervengo per rispetto ai lavoratori cechi che sono stati sacrificati sull’altare della globalizzazione. La situazione precaria in cui si trovano è la conseguenza delle politiche neoliberali europee che questo Fondo avalla e sostiene. Voto contro perché l’elemosina concessa alle vittime di queste politiche è derisoria a confronto degli utili che si stanno raccogliendo altrove.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea è un’area di solidarietà e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) ne fa parte. Questo aiuto è fondamentale per sostenere i disoccupati e le vittime delle delocalizzazioni societarie portate avanti in un contesto globalizzato. Sempre più aziende stanno delocalizzando, approfittando dei costi minori della manodopera in diversi paesi, tra cui Cina e India, con effetti dannosi per gli Stati che invece rispettano i diritti dei lavoratori. Il FEG ha lo scopo di aiutare i lavoratori vittime delle delocalizzazioni societarie ed è fondamentale per agevolare l’accesso a un nuovo posto di lavoro. Il FEG è stato utilizzato in passato da altri paesi dell’UE ed è quindi opportuno concedere oggi questo aiuto alla Repubblica ceca, che ha presentato domanda di assistenza per 634 esuberi (tutti ammessi all’assistenza) della società Unilever ČR, spol.sr.o, attiva nel settore del commercio al dettaglio nella regione NUTS II di Střední Čechy.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Anche se ho votato a favore di questa proposta volta a fornire assistenza ai lavoratori di Unilever nella Repubblica ceca, ritengo si tratti una misura analgesica e palliativa per le conseguenze del modello capitalista e che non comporti alcun progresso reale nella lotta contro le cause della crisi. Concordo con la mobilitazione delle risorse dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per gli esuberi dovuti ai cambiamenti strutturali nei flussi commerciali o come conseguenza diretta dell’attuale crisi economica e finanziaria. Ritengo che il FEG possa contribuire all’obiettivo finale di agevolare il reinserimento di questi lavoratori nel mercato del lavoro. Ho votato a favore anche perché sono convinto che quest’assistenza completi gli aiuti per gli esuberi previsti da tutte le legislazioni nazionali e dai contratti collettivi. La mobilitazione di fondi tratti dal FEG non può in nessun caso sostituire o annullare la responsabilità giuridica dei governi e delle società nei confronti dei lavoratori in esubero.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito per fornire sostegno ai lavoratori in esubero come conseguenza della crisi finanziaria ed economica mondiale. La Repubblica ceca ha presentato domanda di sostegno per 634 esuberi. È assolutamente giusto nonché opportuno offrire sostegno personale ai lavoratori in esubero come conseguenza della globalizzazione e della crisi economica, agevolando il loro reinserimento nel mercato del lavoro. Ho quindi votato a favore.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Cari colleghi, I Fondi europei di adeguamento alla globalizzazione sono fondi stanziati dall'Unione per supportare economicamente alcuni settori in difficoltà dei Paesi membri o settori in espansione verso gli standard medi dell'Unione, per questo mi sono espresso a favore della relazione della collega Matera. Per il 2011 la linea di bilancio dell'Unione per gli stanziamenti di fondi di questo tipo è stata incrementata di 50 milioni di euro, è quindi più facile la concessione di fondi per i settori più vari, nello specifico si tratta delle prime richieste di mobilizzazione per il 2011 per il settore della produzione e fabbricazione di macchinari fatte da Repubblica Ceca e Polonia. Il fondo (di quasi un milione di euro) andrà a supportare i lavoratori specializzati in commercio e produzione di macchinari.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato creato per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali. Il 15 febbraio 2011, la Commissione ha adottato una nuova proposta di decisione sulla mobilitazione del FEG a favore della Repubblica ceca al fine di sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori licenziati a causa della crisi economica e finanziaria mondiale. Questa è la seconda domanda esaminata nel quadro del bilancio 2011 e si riferisce alla mobilitazione del FEG per un importo totale di 323 820 euro. Essa riguarda l’esubero di 594 lavoratori (tutti ammessi all’assistenza) presso l’azienda Unilever ČR, spol.sr., attiva nel settore del commercio al dettaglio nella regione di Střední, durante il periodo di riferimento di quattro mesi, dal 16 settembre 2009 e il 16 gennaio 2010. Secondo le conclusioni della valutazione della Commissione, vi è un legame tra gli esuberi ed i grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali o la crisi finanziaria ed economica e gli esuberi erano di natura imprevista. La domanda soddisfa tutti i criteri di ammissibilità previsti dal regolamento del FEG, per cui ho votato a favore della mobilitazione del fondo.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) La domanda presentata dalla Repubblica ceca per la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) riguarda 634 esuberi relativi al periodo compreso tra il 16 settembre 2009 ed il 16 gennaio 2010 presso la società Unilever ČR, spol.sr.o, attiva nel settore del commercio al dettaglio nella regione NUTS II di Střední Čechy, e soddisfa tutti i criteri di ammissibilità previsti per legge. Ai sensi del regolamento (CE) n. 546/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che modifica il regolamento (CE) n. 1927/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, che istituisce il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, l’ambito di applicazione del FEG è stato temporaneamente ampliato affinché il suo intervento possa estendersi a situazioni come questa, in cui, come conseguenza diretta della crisi economica e finanziaria mondiale, vi sia “l’esubero di almeno 500 dipendenti, nell’arco di nove mesi, in particolare in piccole e medie imprese, di una divisione NACE 2, in una regione o in due regioni contigue di livello NUTS II”. Ho quindi votato a favore della risoluzione, nella speranza che la mobilitazione del FEG contribuisca ad un efficace reinserimento di questi lavoratori nel mercato del lavoro.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto. – (CS) Ho votato a favore della relazione sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione a favore della Repubblica ceca e, in particolare, degli ex dipendenti della società Unilever e sono lieta che la relazione sia stata approvata. Mi dispiace che i conservatori inglesi abbiano votato contro e che il presidente ceco dei Conservatori e Riformisti europei non sia riuscito a far cambiare loro idea, benché questa sia la prima volta che la Repubblica ceca fa uso delle risorse di questo Fondo.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Come accade di solito in questo genere di relazioni, il Parlamento europeo:
1. chiede alle istituzioni interessate di compiere gli sforzi necessari per accelerare la mobilitazione del FEG; apprezza a tale proposito la procedura perfezionata messa in atto dalla Commissione, dando seguito alla richiesta del Parlamento di accelerare la concessione dei contributi al fine di presentare all’autorità di bilancio la valutazione della Commissione sull’ammissibilità di una domanda FEG congiuntamente alla proposta di mobilitazione del Fondo; auspica l’attuazione di ulteriori miglioramenti procedurali nel quadro delle prossime revisioni del Fondo;
2. ricorda l’impegno delle istituzioni volto a garantire una procedura agevole e rapida per l’adozione delle decisioni relative alla mobilitazione del FEG, apportando un aiuto specifico, una tantum e limitato nel tempo, ai lavoratori in esubero a causa della globalizzazione e della crisi finanziaria ed economica; rileva che il ruolo che il FEG può svolgere ai fini del reinserimento dei lavoratori in esubero nel mercato del lavoro; chiede, tuttavia, una valutazione dell’integrazione a lungo termine di tali lavoratori nel mercato del lavoro, quale risultato diretto delle misure finanziate dal FEG.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Lo scorso 15 febbraio la Commissione ha adottato una proposta di decisione sulla mobilitazione del FEG a favore della Repubblica ceca, al fine di sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori licenziati a causa della crisi finanziaria ed economica globale. La domanda in esame riguarda 634 esuberi, tutti ammessi all'assistenza del Fondo, presso l'azienda Unilever operante nel settore del commercio al dettaglio nella regione NUTS II di Střední Čechy, durante il periodo di riferimento di quattro mesi che va dal 16 settembre 2009 al 16 gennaio 2010. Il mio voto positivo alla risoluzione odierna ribadisce il parere favorevole già espresso in sede di commissione per l'occupazione e gli affari sociali.
Olga Sehnalová (S&D), per iscritto. – (CS) La concessione di un contributo dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione agevolerà il reinserimento di 460 lavoratori in esubero a causa della chiusura della società Unilever nel comune di Nelahozeves nella Boemia centrale, in Repubblica ceca. Alla luce del fatto che, in tal modo, si offrirà un notevole aiuto nella gestione dell’impatto sociale del licenziamento di massa in questa piccola comunità, ho votato a favore dell’adozione di questa relazione.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa relazione che offrirà un finanziamento a favore di misure personalizzate volte ad aiutare i lavoratori in esubero nella Repubblica ceca.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è un meccanismo controverso. Ufficialmente, il Fondo consente all’Unione europea di finanziare azioni concrete per compensare gli effetti della crisi. È utile tanto quanto mettere il gesso a una gamba di legno.
Questo meccanismo, tuttavia, viene utilizzato ad hoc e solo in determinati casi. In realtà lo si sta utilizzando per finanziare piani di esubero.
Oggi, il Parlamento europeo si è spinto ancora oltre con questa ipocrisia, assegnando una parte del Fondo ad Unilever, che ha appena chiuso le sue fabbriche in Repubblica ceca ed ha licenziato oltre 600 persone, mentre il suo utile netto è aumentato del 26 per cento, raggiungendo i 4,6 miliardi di euro.
Ho votato contro questa relazione, che solleva una questione più generale rispetto al caso Unilever. Come possono le istituzioni nazionali ed europee, alla luce della crisi occupazionale che stiamo affrontando, continuare ad utilizzare il denaro pubblico per sovvenzionare società multinazionali che licenziano dipendenti nonostante siano in attivo e che quindi pongono gli interessi dei loro azionisti davanti a quelli dei loro dipendenti?
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. − (DE) Posso solo appoggiare l’emendamento presentato dal gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo che richiede che una verifica complessiva di una società al momento della concessione di un contributo dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Ho presentato più volte una richiesta in tal senso in seno alla commissione per i bilanci. Non ho comunque potuto votare a favore della relazione nel suo complesso. La società ceca Unilever ČR spol.sr.o, attiva nel settore del commercio al dettaglio, ha licenziato 634 lavoratori ed ha richiesto misure di sostegno per quanti hanno perso il lavoro (le misure individuali, solitamente, sono necessarie solo per una parte della forza lavoro in esubero, per agevolarne il reinserimento nel mercato del lavoro). Come è stato sottolineato in tutte le relazioni in cui il Parlamento ha approvato la concessione di fondi dal FEG, le richieste relative ai Fondi strutturali non dovrebbero essere utilizzate in sostituzione delle misure di cui sono responsabili le imprese stesse ai sensi dei contratti collettivi.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione sui prodotti e le tecnologie a duplice uso, ovvero i beni che possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari. Il controllo dell’esportazione dei beni a duplice uso è fondamentale per contrastare la non proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. È quindi molto importante garantire che il regime comunitario relativo al duplice uso divenga più democratico e trasparente assicurandosi al contempo che sia sufficientemente rigoroso. Attualmente i requisiti prescritti per l’esportazione di beni e tecnologie a duplice uso variano in rigore mentre invece ritengo che l’UE dovrebbe cercare di introdurre regimi più severi possibile sulle esportazioni di qualsiasi genere di articoli da applicare in tutti gli Stati membri. La Commissione deve istituire un sistema efficace in questo settore in modo da agevolare la raccolta di dati attendibili sull’utilizzo finale dei prodotti a duplice uso esportati dall’Unione.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) Il controllo dell’esportazione dei beni a duplice uso (per scopi civili e militari) è fondamentale per contrastare la non proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. Da 15 anni l’Unione europea ha intensificato il controllo delle esportazioni di questi prodotti basandosi su misure preventive come l’imposizione di obblighi sulle licenze d’esportazione e di procedure per la registrazione doganale. A fronte dei continui cambiamenti tecnologici e del presentarsi di nuove minacce è tuttavia necessario aggiornare periodicamente gli elenchi dei prodotti a duplice uso da controllare in linea con i principali regimi internazionali di controllo delle esportazioni. Il compito principale dei suddetti regimi internazionali è quello di aggiornare gli elenchi dei beni da controllare. Fino ad ora questi elenchi venivano quasi automaticamente recepiti nella legislazione comunitaria senza alcuna partecipazione del Parlamento europeo ma oggi, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, la nostra approvazione è divenuta necessaria. Appoggio questa relazione e le proposte del Parlamento europeo volte a garantire maggiore democrazia e trasparenza nei regimi di controllo comunitari sui beni a duplice uso e ad assegnare un ruolo più importante alla Commissione per quanto concerne l’applicazione del presente regolamento negli Stati membri.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione perché il controllo delle esportazioni dei beni a duplice uso è fondamentale per contrastare la non proliferazione degli armamenti e, in particolare, delle armi di distruzione di massa. Considerato l’elevato volume di scambi commerciali transfrontalieri che avvengono nell’Unione europea l’applicazione dei controlli sulle esportazioni comunitarie di prodotti a duplice uso deve basarsi su misure preventive quali l’imposizione dell’obbligo di autorizzazione all’esportazione e di procedure di registrazione doganale. I controlli sulle esportazioni incidono notevolmente sulla politica commerciale dell’Unione europea in quanto possono riguardare più del 10 per cento delle esportazioni comunitarie complessive.
Sergio Berlato (PPE), per iscritto. − Il controllo delle esportazioni di prodotti a duplice uso, ovvero dei beni che possono essere utilizzati a scopi sia civili che militari, costituisce l’oggetto di azioni intraprese a livello di Unione da circa quindici anni.
Tale controllo incide notevolmente sulla politica commerciale europea, poiché può riguardare più del 10% di tutte le esportazioni dell’UE. A mio avviso, l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e la relativa precisazione delle competenze dell’UE nel settore del commercio internazionale offrono una preziosa occasione per riaffermare il ruolo dell’Unione e la responsabilità del Parlamento europeo nel quadro istituzionale dell’UE in merito all’assunzione di decisioni.
Il principale strumento di controllo delle esportazioni è il regolamento (CE) n. 428/2009 che ha apportato una serie di cambiamenti significativi riguardo all’ambito di applicazione dei controlli sulle esportazioni di prodotti a duplice uso nell’Unione europea. In particolare, ritengo che il regime dell’UE relativo al duplice uso dovrebbe essere organizzato in modo più trasparente.
A tal fine, concordo con il relatore nel ritenere che sarebbe decisiva la piena partecipazione del Parlamento europeo tramite l’attuazione degli obblighi previsti dal trattato di Lisbona e tramite l’adozione di una sua interpretazione congiunta da parte di Parlamento e Commissione nell’ambito del nuovo accordo quadro.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − La relazione del collega affronta in modo positivo l’importante argomento del controllo delle esportazioni UE per quanto riguarda i prodotti a duplice uso, cioè quei beni che possono essere utilizzati a scopi sia civili che militari. Il controllo di questo tipo di esportazioni, che riguardano più del 10% del totale delle esportazioni dell’UE, risulta di particolare importanza ai fini della non proliferazione degli armamenti. Il mio voto alla relazione è positivo perché essa intende istituire procedure di controllo più trasparenti nei confronti delle suddette esportazioni.
George Sabin Cutaş (S&D) , per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della proposta di modifica del regolamento poiché credo che i nuovi punti introdotti renderanno il regime comunitario sui prodotti a duplice uso più trasparente e democratico. La proposta consentirà al Parlamento europeo di partecipare all’aggiornamento degli elenchi di prodotti che i regimi internazionali dovranno controllare. Questi elenchi sono attualmente recepiti quasi automaticamente nella legislazione comunitaria senza che il Parlamento abbia voce in capitolo. È inoltre compito del gruppo di coordinamento sul duplice uso presentare una relazione annuale al Parlamento al fine di tenerlo pienamente informato sui progressi compiuti in materia di controllo dei prodotti e delle tecnologie utilizzabili sia a scopi civili che militari.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) I beni a duplice uso quali i prodotti chimici e i materiali tecnici da costruzione, ma anche il software e altre nuove tecnologie, possono avere scopi sia civili che militari. Spesso è difficile prevedere la vera destinazione dei prodotti esportati e quindi occorre che gli esportatori siano consapevoli delle loro responsabilità e abbiano l’obbligo di verificare il vero scopo di ciò che vendono all’estero. Anche se già esistono molti meccanismi informativi e di controllo abbiamo chiesto di aumentare la sicurezza in questo settore e per questo motivo abbiamo votato a favore degli emendamenti che chiedono una notifica ex ante delle esportazioni, controlli più severi e maggiore trasparenza in modo da fornire una garanzia supplementare contro l’abuso e la proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Diversi prodotti, compresi il software e le tecnologie che possono essere utilizzati per scopi sia civili che militari, sono considerati beni tecnologici a duplice uso e per questo motivo la loro esportazione deve essere monitorata con particolare attenzione per impedire la proliferazione degli armamenti e, soprattutto, delle armi di distruzione di massa. Come risulta con chiarezza a qualunque analista, ai fini della sicurezza internazionale è fondamentale sottoporre questi prodotti ad un controllo e fare in modo che i regolamenti che stabiliscono i meccanismi di verifica in materia vengano costantemente aggiornati in linea con gli sviluppi tecnologici. È anche evidente che, in base allo stato di diritto, tali controlli devono essere trasparenti e democratici, così come vuole la Commissione.
Credo infine che, come risulta dal parere espresso dalla commissione affari esteri, la Commissione europea deve essere consapevole del fatto che alcuni Stati membri dell’Unione hanno norme più restrittive e rigorose rispetto ad altri in materia di controllo delle esportazioni e di prodotti a duplice uso. Questo stato di cose è naturale e, a mio parere, dovrebbe essere preservato.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Questa relazione riguarda la necessità di controllare l’esportazione e la circolazione dei cosiddetti prodotti a duplice uso, cioè quelli utilizzabili non soltanto a scopi civili ma anche militari. Nel corso degli ultimi anni l’Unione europea ha adottato una serie di misure per impedire che questi prodotti vengano usati per la fabbricazione di armamenti e, in particolare, di armi di distruzione di massa. Il principale strumento comunitario di controllo è il regolamento (CE) n. 428/2009 del 5 maggio relativo alla vendita e al trasporto di questi materiali, una norma che dovrà essere modificata al fine di evitare che i vari Stati membri adottino approcci diversi. Condivido quindi le proposte contenute nella relazione in quanto mirano a rassicurare l’opinione pubblica europea sulla produzione e la circolazione di materiali a duplice uso e a rendere più trasparente e democratico il regime attuale.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) I controlli sulle esportazioni di prodotti a duplice uso sono soggetti a misure di livello comunitario. Il principale strumento di controllo delle esportazioni è il regolamento (CE) n. 428/2009 del 2009 che ha ampliato il campo di applicazione delle verifiche alla vendita e al trasporto. Sebbene la relazione cerchi di aumentare la trasparenza e i controlli democratici sussistono alcuni motivi fondamentali che ci impediscono di votare a favore.
Da quando è stato istituito, è il gruppo di coordinamento sul duplice uso, presieduto da un rappresentante della Commissione, ad essere responsabile del cosiddetto “elenco degli esportatori, degli intermediari e dei soggetti interessati che sono stati consultati” e sarà questo gruppo a decidere con quali paesi si potrà commerciare e a negare ad alcuni Stati membri questa possibilità rimettendo così in discussione la loro sovranità.
Un altro aspetto da considerare è l’inclusione di Israele nell’elenco dei paesi di destinazione per i prodotti a duplice uso. Desidero ricordarvi, per esempio, i progetti comuni di ricerca finanziati dal settimo programma quadro per la ricerca e in particolare quelli che hanno avuto luogo con la partecipazione dell’industria aerospaziale israeliana, produttrice di velivoli teleguidati che sono stati utilizzati durante l’attacco alla Striscia di Gaza nel 2008/2009 causando la morte di decine di persone.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Abbiamo votato a favore del rinvio di questa relazione alla commissione parlamentare competente per consentire il proseguimento dei negoziati con il Consiglio sulla base della proposta legislativa contenente le modifiche introdotte dal Parlamento.
Sappiamo che per l’utilizzo di prodotti e tecnologie civili a scopi militari manca un approccio che non sia legato al controllo delle esportazioni dei cosiddetti beni a duplice uso e servizi correlati.
Il controllo delle esportazioni è importante e deve essere effettuato con attenzione e senza pregiudicare l’accesso dei paesi in via di sviluppo ai prodotti e alle tecnologie necessarie al loro sviluppo ma occorre altresì aumentare la trasparenza dei processi coinvolti e consentire una verifica democratica.
Vorremmo anche evidenziare che è necessario che vi sia coerenza, in questo settore, tra altre politiche comunitarie e gli obiettivi di questo regolamento. Sono ben noti i progetti comuni di ricerca finanziati dal settimo programma quadro per la ricerca, e in particolare quelli che hanno avuto luogo con la partecipazione dell’industria aerospaziale israeliana produttrice dei velivoli teleguidati che sono stati usati durante l’attacco alla Striscia di Gaza nel 2008/2009 causando la morte di decine di persone.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, le nuove competenze dell’UE nel settore del commercio internazionale giunte ora con il Trattato di Lisbona forniscono una buona occasione per dare più trasparenza al mercato del duplice uso. Con le modifiche a questo regolamento, che disciplina prodotti a uso sia militare sia civile, si avrà un controllo più attento di questi prodotti. Questo è fondamentale ai fini della non proliferazione delle armi. Considerando anche l’iter in commissione si conferma il sostegno al collega.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Materiali chimici e radioattivi, centrifughe, attrezzature tecniche, software e altri componenti sono utilizzati non solo a scopi civili ma anche militari e, nelle mani sbagliate, possono diventare strumenti di tortura o armi di distruzione di massa. Ho votato a favore della relazione perché essa propone di migliorare il regime relativo al controllo delle esportazioni dei beni e le tecnologie a duplice uso o, in altre parole, di incrementare i controlli sull’esportazione di tali prodotti. Il documento estende inoltre l’elenco degli articoli per i quali è necessaria una licenza e dei quali occorre segnalare l’esportazione.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto − (DE) I prodotti e le tecnologie utilizzabili a scopo civile e potenzialmente anche militare dovrebbero essere soggetti alle stesse condizioni competitive in tutti gli Stati membri. Il punto è trovare un quadro normativo comune e, soprattutto, sicuro che consenta un utilizzo privo di rischi impedendo al contempo un calo artificiale dei prezzi di vendita dei prodotti comunitari esportati e rafforzando le piccole e medie imprese europee. Ho votato a favore della proposta di modifica al regolamento perché la trasparenza e la sicurezza devono essere priorità assolute per questi beni e per la tecnologia.
David Martin (S&D), per iscritto − (EN) Accolgo con favore questa relazione. Il controllo delle esportazioni dei prodotti a duplice uso, ovvero dei beni che possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari, sono oggetto di azioni comunitarie da circa 15 anni. Il controllo dell’esportazione dei beni a duplice uso è fondamentale per contrastare la non proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. Considerato l’elevato volume degli scambi commerciali che avvengono attraverso le frontiere dell’Unione europea, l’attuazione dei controlli sulle esportazioni UE di prodotti a duplice uso deve basarsi su misure preventive quali l’imposizione dell’obbligo di autorizzazione all’esportazione e di procedure di registrazione doganale.
I controlli sulle esportazioni incidono considerevolmente sulla politica commerciale dell’Unione europea in quanto possono riguardare più del 10 per cento delle esportazioni comunitarie complessive. Il principale strumento comunitario di controllo delle esportazioni è il regolamento sul duplice uso (CE) n. 428/2009 del 5 maggio 2009, entrato in vigore il 27 agosto 2009. Questo nuovo regolamento ha introdotto una serie di modifiche sostanziali in relazione ai controlli delle esportazioni dei prodotti a duplice uso all’interno dell’Unione europea, ivi inclusa l’introduzione di verifiche sulle attività di intermediazione e di transito dei suddetti prodotti. Il regolamento sul duplice uso prevede l’aggiornamento regolare degli elenchi di prodotti a duplice uso da controllare in linea con quelli dei principali regimi internazionali di controllo delle esportazioni.
Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Controllare la vendita dei beni a duplice uso è importante dato che diversi aspetti relativi alla sicurezza e al commercio non sarebbero sufficientemente efficaci e applicabili senza un flusso di informazioni condivise e una cooperazione internazionale flessibile. A questo riguardo desidero anche sottolineare il ruolo degli organi di controllo competenti, come ad esempio le autorità doganali, su cui grava una grande responsabilità in relazione al monitoraggio diretto delle esportazioni e al transito di beni a duplice uso. A mio parere dovremmo fornire assistenza a questi organi assicurando loro, ad esempio, la possibilità di accedere a moderne attrezzature di monitoraggio e di acquisire nuove competenze nello svolgimento delle procedure di controllo. Occorre inoltre sostenere, aspetto questo non meno importante, la formazione professionale e le visite per lo scambio di esperienze lavorative. Una politica di sicurezza sofisticata dovrebbe sempre prevedere un regime di esportazione per i beni a duplice uso di alto livello oltre ad applicare tutti gli impegni internazionali.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L’entrata in vigore del trattato di Lisbona e la precisazione relativa alle competenze dell’Unione europea nel settore del commercio internazionale forniscono una buona occasione per riaffermare il ruolo dell’UE in questo settore e il compito, il potere e la responsabilità del Parlamento europeo a livello decisionale all’interno del quadro istituzionale comunitario. Il regime comunitario sul duplice uso dovrebbe essere organizzato in modo più trasparente e democratico. Il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo, tramite l’applicazione degli obblighi del trattato di Lisbona e la sua interpretazione congiunta approvata dal Parlamento e della Commissione europea nell’ambito del nuovo accordo quadro, sarebbe fondamentale per raggiungere questo obiettivo.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. − (EN) I prodotti a duplice uso sono beni che possono essere utilizzati sia a scopi pacifici che militari e il controllo dell’esportazione di tali prodotti è fondamentale per contrastare la proliferazione delle armi. Considerato l’elevato volume degli scambi commerciali attraverso le frontiere dell’Unione europea, l’attuazione dei controlli sulle esportazioni comunitarie di prodotti a duplice uso si basa su misure preventive. Il controllo delle esportazioni ha un grande impatto sulla politica commerciale dell’Unione e sarebbe quindi auspicabile evitare che gli strumenti di controllo divengano un mezzo per combattere la concorrenza attraverso strutture commerciali. A tal fine sarà necessario creare un lungo elenco di prodotti a duplice uso ma questo è un tema che si dovrà trattare in un’altra relazione. Ho votato a favore.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) L’esportazione di beni e tecnologie a duplice uso è regolamentata con molta attenzione all’interno dell’UE. Il termine si riferisce in particolare a prodotti e tecnologie che possono anche essere utilizzati a scopo militare. Al fine di prevenire gli abusi nel settore delle esportazioni esistono quattro diversi tipi di autorizzazione: le autorizzazioni generali di esportazione della Comunità, quelle generali di esportazione nazionali rilasciate dagli Stati membri, quelle di esportazione globali e quelle individuali, e sono tutte applicate all’interno dell’UE.
Esistono inoltre regimi internazionali di controllo delle esportazioni sottoscritti dall’UE nei quali la Commissione cerca di migliorare la posizione dell’Unione europea. Tra questi vi sono il gruppo Australia, di cui la Commissione è membro a pieno titolo e che comprende tutti e 27 gli Stati membri oltre agli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia, il gruppo dei fornitori nucleari, del quale la Commissione è osservatore e che comprende l’Unione a 27, gli Stati Uniti e la Russia, l’accordo Wassenaar, nel quale la Commissione non ha alcuno status ma che comprende, come membri a pieno titolo, tutti gli Stati dell’Unione ad eccezione di Cipro, e il regime di controllo della tecnologia relativa ai missili, nel quale la Commissione non ha alcuno status e del quale sono membri a pieno titolo solo 19 degli Stati comunitari.
Ho quindi votato per non andare contro il principio di sussidiarietà.
Paul Murphy (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa relazione dato che, anche se in modo limitato, essa rappresenta un passo avanti nell’affrontare i problemi dell’attuale mancanza di trasparenza dei crediti all’esportazione e del grande divario tra gli obiettivi dichiarati dell’Unione europea e il modo in cui i crediti all’esportazione vengono realmente utilizzati a livello comunitario. L’UE ama presentarsi come un’istituzione autorevole nei settori dei diritti umani e della tutela ambientale ma il ruolo delle agenzie di credito all’esportazione europee dimostra la falsità di questa affermazione. I crediti in questione vengono regolarmente utilizzati a sostegno di progetti e attività commerciali distruttivi nei confronti dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. Per ottenere una vera giustizia commerciale in questo settore le suddette agenzie, che sostengono circa il 10 per cento del commercio mondiale, dovrebbero essere di proprietà pubblica e democratica. Bisogna consentire finalmente ai lavoratori e a tutti gli interessati di vedere com’è stato realmente speso il denaro e di esercitare un controllo sul funzionamento di queste agenzie in modo che le loro ingenti risorse siano utilizzate a beneficio dei lavoratori, dei piccoli agricoltori e dell’ambiente.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore di questa relazione poiché credo che l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e la precisazione relativa alle competenze dell’Unione europea nel settore del commercio internazionale forniscano una buona occasione per riaffermare il ruolo dell’Unione europea in questo campo e il compito, il potere e le responsabilità decisionali del Parlamento europeo all’interno del quadro istituzionale comunitario. Il regime UE sul duplice uso dovrebbe essere organizzato in modo più trasparente e democratico. Il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo, tramite l’applicazione degli obblighi del trattato di Lisbona e la sua interpretazione congiunta, approvata dal Parlamento e della Commissione europea nell’ambito del nuovo accordo quadro, sarebbero fondamentali per raggiungere questo obiettivo. Si tratta di una riformulazione del regolamento (CE) n. 1334/2000 alla luce dell’attuale quadro internazionale. Di fatto l’ampliamento dell’ambito dei controlli all’esportazione di beni a duplice uso è fondamentale se si vuole coprire anche il transito, l’intermediazione e la penalizzazione dell’intermediazione illecita di questi prodotti legati, per esempio, a programmi di armi di distruzione di massa.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Care colleghe e cari colleghi, la proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1334/2000 che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso, presentata il 7 febbraio 2011, ha lo scopo di fornire all’Unione un sistema efficace di misure preventive volte a contrastare la proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. Il regolamento attualmente in vigore in questo ambito (CE n. 428/2009) pone in atto un sistema di controllo che consente all’Unione di adempiere pienamente agli impegni assunti nel quadro dei quattro regimi internazionali di controllo delle esportazioni di cui l’UE è membro. Tuttavia, la precisazione delle competenze dell’UE nel settore del commercio internazionale introdotta dal Trattato di Lisbona fornisce una buona occasione per aumentare il rilievo e rafforzare l’immagine dell’Unione in tali contesti internazionali e il ruolo, il potere e la responsabilità del Parlamento europeo nel quadro istituzionale dell’UE in merito all’assunzione di decisioni nell’ambito del commercio internazionale. Per tali motivi ritengo opportuno apportare al regolamento gli emendamenti necessari a permettere il raggiungimento di tali scopi ed esprimo quindi il mio voto favorevole alla proposta.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Alla commissione per gli affari esteri (AFET) e alla sottocommissione per la sicurezza e la difesa (SEDE) cui ho partecipato come eurodeputato verde e come relatore abbiamo conseguito un grande successo. La commissione e la sottocommissione hanno proposto di cancellare le autorizzazioni generali di esportazione della Comunità (AGEC) per le spedizioni di basso valore poiché ci sono stati forniti dati positivi a dimostrazione del fatto che non esiste una correlazione tra prezzo contenuto e basso rischio per la sicurezza, un presupposto su cui si basa l’AGEC. Alcuni prodotti a duplice uso molto economici potrebbero invece essere estremamente rischiosi se cadessero nelle mani sbagliate. Siamo anche riusciti a cancellare la parte sulla “sicurezza informatica” dei prodotti EU007 perché tra i possibili destinatari vi erano alcuni paesi non democratici. Abbiamo inoltre ottenuto un ampio consenso in sede AFET/SEDE su una formulazione forte della necessità di rispettare i diritti umani nel caso di esportazione di apparecchiature per le telecomunicazioni dal momento che fanno parte di questa nuova autorizzazione generale di esportazione della Comunità anche le tecnologie di intercettazione, i dispositivi digitali di trasferimento dei dati per il monitoraggio dei telefoni cellulari e così via.
Per quanto riguarda le possibili destinazioni delle singole autorizzazioni generali di esportazione della Comunità siamo riusciti ad escludere sia Israele che l’India per la loro riluttanza a diventare Stati parte nel trattato di non proliferazione. Ma la questione più controversa e importante ha riguardato l’opportunità che il controllo, la comunicazione e la registrazione possano avvenire dopo l’esportazione o se debbano invece precederla.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Il controllo delle esportazioni di prodotti a duplice uso, ossia dei beni che possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari, costituisce l’oggetto di azioni intraprese a livello europeo da circa quindici anni. Tale controllo è fondamentale per contrastare la proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. Considerato l’elevato volume di scambi commerciali attraverso le frontiere dell’Unione europea, l’attuazione dei controlli sulle esportazioni UE di prodotti a duplice uso deve basarsi su misure preventive quali l’imposizione dell’obbligo di autorizzazione all’esportazione e di procedure di registrazione doganale.
L’approvazione di questa risoluzione costituisce un ulteriore passo in questa direzione. Ho votato a favore di questa relazione perché l’entrata in vigore del trattato di Lisbona fornisce una buona occasione per riaffermare il ruolo dell’Europa e il potere e le responsabilità del Parlamento europeo nel quadro istituzionale dell’UE in merito all’assunzione di questo genere di decisioni. Il regime va riorganizzato in modo più trasparente, mediante l’attuazione degli obblighi previsti dal trattato e attraverso l’adozione di una sua interpretazione congiunta da parte di Parlamento e Commissione nell’ambito del nuovo accordo quadro.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Il controllo delle esportazioni dei beni a duplice uso, ovvero dei prodotti che possono essere utilizzati per scopi sia civili che militari, è molto importante in relazione alla non proliferazione degli armamenti. La posizione del Parlamento europeo riflette, come è giusto, il recepimento del trattato di Lisbona nella legislazione dell’UE. Il Parlamento, inoltre, intensifica il controllo democratico e la trasparenza e rafforza l’immagine dell’Unione in materia di regimi internazionali di controllo delle esportazioni. È positivo che la Commissione sia tenuta a fornire relazioni sul funzionamento del regolamento assieme ad una valutazione dell’impatto complessivo.
Ma il principale pomo della discordia tra il Consiglio, il Parlamento e la Commissione rimane la questione di quando sia opportuno effettuare il controllo sulla notifica e la registrazione delle esportazioni, se prima dell’esportazione stessa o dopo che è stata effettuata. Da parte mia ritengo sia fondamentale che questo controllo avvenga in anticipo perché, in pratica, i controlli ex post ci metterebbero sempre nella condizione di scoprire come si sono svolti i fatti solo dopo che si sono verificati. Il Parlamento ha appena deciso di optare per controlli ex post e per questo motivo alla fine ho votato contro la versione definitiva di questo documento.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore della risoluzione in oggetto sui crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico perché questi crediti sono uno strumento importante per sostenere le imprese dell’Unione europea. Anch’io ritengo che il sostegno dei crediti all’esportazione a medio e lungo termine sia un valido strumento che non è ancora pienamente sfruttato in tutti gli Stati membri e che va incoraggiato. Questi crediti possono contribuire a creare posti di lavoro garantendo il finanziamento di progetti che beneficerebbero altrimenti di un accesso più limitato ai capitali a causa della loro natura non di mercato. Va sottolineato, tuttavia, che attualmente non vi è abbastanza trasparenza per sapere quali finanziamenti le agenzie di credito all’esportazione eroghino o abbiano erogato in passato. La mancanza di trasparenza comporta enormi sforamenti di costi e di tempi oltre ad agevolare tangenti e corruzione. Sono quindi d’accordo con il relatore sulla proposta di istituire l’obbligo per gli Stati membri dell’UE di trasmettere su base annua alla Commissione una relazione sulle attività delle proprie agenzie di credito all’esportazione per quanto concerne il calcolo dei rischi e la pubblicazione degli strumenti fuori bilancio nonché di rendere obbligatoria la notifica del calcolo dei rischi sociali e ambientali.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) La maggior parte dei paesi industrializzati, compresi tutti gli Stati membri dell’Unione europea, hanno almeno un’agenzia di credito all’esportazione che beneficia di sostegno pubblico e tali agenzie nel loro insieme rappresentano la maggiore fonte mondiale di finanziamento ufficiale di progetti nel settore privato. Il volume complessivo delle garanzie fornite nel periodo 2004-2009 dalle agenzie di credito all’esportazione dei soli Stati membri dell’UE si aggira intorno a 468 miliardi di euro. Queste agenzie agevolano il commercio legittimo laddove il mercato di capitali privati è carente e, non dovendo pagare imposte né realizzare profitti, sono caratterizzare da una capacità di assorbimento del rischio molto maggiore rispetto a quella degli attori privati; esse beneficiano quindi di un margine di manovra più ampio rispetto alle banche private, anche sui crediti estesi. Per questo motivo le agenzie di credito all’esportazione potrebbero creare un’enorme distorsione del commercio se le loro operazioni di finanziamento non fossero disciplinate da norme comuni. Sebbene le agenzie in oggetto siano un importante strumento a sostegno del commercio e degli investimenti delle imprese europee è necessario assicurarsi che le operazioni che svolgono siano finanziariamente solide e che non ci sia bisogno di rivolgersi ai contribuenti per rifinanziarle. Sono favorevole alla relazione e all’obbligo di presentare su base annuale una relazione alla Commissione e al Parlamento europeo. Al momento, infatti, vi sono scarsissimi dati su quali finanziamenti le agenzie di credito all’esportazione eroghino o abbiano erogato in passato e alcune agenzie nazionali non redigono neppure un bilancio generale periodico delle loro operazioni annuali, in violazione dei principi di trasparenza.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Lo scopo del provvedimento proposto dalla Commissione europea è introdurre l’"Accordo sui crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico" negoziato dall’OCSE all’interno della legislazione europea per garantire norme comuni e trasparenza nelle operazioni delle agenzie di credito all’esportazione nazionali. Tale provvedimento, già di per sé positivo perché combatte i fenomeni di corruzione e la mancanza di trasparenza che determina grande sforamento dei costi e dei tempi, è migliorato dalla relazione dell’onorevole Jadot, che va nella direzione di aumentare ulteriormente la trasparenza e l’equità nell’introdurre nella legislazione comunitaria l’Accordo negoziato in seno all’OCSE.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. − (PT) Le agenzie di credito all’esportazione rappresentano la maggiore fonte mondiale di finanziamento pubblico per i progetti del settore privato. Si tratta di agenzie governative o di istituzioni finanziarie semi-ufficiali che forniscono crediti all’esportazione, prestiti, assicurazioni e garanzie agli investimenti alle imprese operanti in aree estere ad alto rischio, tra cui molti paesi in via di sviluppo.
Va sottolineato che il finanziamento di questi grandi progetti nei paesi in via di sviluppo rappresenta il finanziamento complessivo annuale di tutte le banche multilaterali per lo sviluppo moltiplicato per varie volte. Le agenzie di credito all’esportazione sono quindi strumenti che possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi di politica estera dell’Unione e, in particolare, alla riduzione della povertà e dei cambiamenti climatici. Credo che sia positivo apportare migliorie all’accordo in questione, soprattutto per quanto riguarda una maggiore trasparenza, e che si debba dire in modo esplicito che le agenzie in oggetto devono tenere conto e rispettare le politiche e gli obiettivi dell’UE così come i valori associati al consolidamento della democrazia, al rispetto dei diritti umani e alla coerenza con la politica di sviluppo. Mentre da un lato queste agenzie, in assenza di criteri e regole chiari e trasparenti, agevolano il commercio, dall’altro potrebbero causarne una distorsione.
Lara Comi (PPE), per iscritto. − Il commercio con l’estero è una delle leve politiche più rilevanti a nostra disposizione nei confronti dei paesi terzi. Almeno finché non si dovesse decidere diversamente, l’UE ha scelto di non avere un esercito proprio e di adottare, nelle relazioni internazionali, innanzitutto la politica commerciale come strumento negoziale, ottenendo non poche soddisfazioni. Gli investimenti diretti esteri delle nostre imprese, inoltre, rappresentano una fonte di sviluppo per i paesi terzi in cui creano lavoro e ha sicuramente senso stimolarli attraverso le agenzie per i crediti all’esportazione. Ciò che non possiamo più permettere, in un mercato interno con dogane uniche, è che questi investimenti possano essere orientati dai singoli Stati membri.
Questo non risponde al percorso che l’UE ha avviato e tenta di proporre al resto del mondo. Il trasferimento di tutte le competenze relative al commercio internazionale dal livello degli Stati a quello dell’Unione è un passo ulteriore nella costruzione di una politica industriale unitaria, in vista di una politica economica comune e, all’orizzonte, di ulteriori sinergie fra i nostri Stati.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Le attività delle agenzie di credito all’esportazione dovranno essere controllate meglio a livello europeo e condotte in modo più trasparente. Queste agenzie saranno tenute a pubblicare una relazione annuale sulle attività svolte al fine di consentire di verificare se i progetti sostenuti raggiungono gli obiettivi ambientali, sociali e di sviluppo dell’Unione europea. I deputati hanno chiesto di eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili per favorire la transizione ecologica, in linea con gli impegni nazionali ed europei in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Grazie a questo voto il Parlamento riafferma il proprio desiderio di vedere l’applicazione sistematica di criteri di trasparenza finanziaria e di misure volte ad includere la questione dei cambiamenti climatici in tutte le politiche dell’UE, comprese quelle relative al commercio e agli investimenti delle imprese europee.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sui crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico poiché credo che le agenzie di credito all’esportazione debbano essere più trasparenti e riferire sulle loro attività. È inoltre importante garantire una totale coerenza con le finalità di cui all’articolo 208 del trattato che si prefigge la riduzione e l’eliminazione della povertà come obiettivi principali della politica di cooperazione allo sviluppo dell’Unione.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) La Commissione e il Consiglio stanno attualmente riesaminando il quadro legislativo (chiamato “accordo relativo agli orientamenti per i crediti all’esportazione che beneficiano di un sostegno pubblico”) per la sua trasposizione nel diritto comunitario allo scopo di fornire maggiore certezza del diritto per le agenzie di credito all’esportazione degli Stati membri. I crediti all’esportazione sono strumenti efficaci per sostenere le imprese dell’Unione europea giacché possono contribuire a creare posti di lavoro e a realizzare progetti che altrimenti incontrerebbero difficoltà nell’ottenere finanziamenti. Il fatto che venga ricevuto un numero sempre maggiore di domande sottolinea la necessità che gli Stati membri introducano rapidamente l’accordo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Condivido il parere espresso dalla commissione per i problemi economici e monetari perché ritengo che “una vigilanza a livello europeo sui crediti all’esportazione dovrebbe essere introdotta in via eccezionale qualora si verifichi una distorsione della concorrenza nel mercato interno” e che “occorre rispettare il principio di sussidiarietà”.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Questa relazione riguarda la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’applicazione di alcuni orientamenti sulle modalità in base alle quali le aziende che beneficiano di sostegno pubblico possano ottenere crediti all’esportazione. In realtà le agenzie di credito all’esportazione sono presenti nella maggioranza degli Stati membri e svolgono un ruolo essenziale nel sostenere il commercio e gli investimenti delle imprese europee, per un totale pari a 468 miliardi nel periodo 2004-2009. Questo sostegno rientra nell’accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative (ASCM), anche chiamato “l’accordo”, che è stato negoziato tra i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ed è un esempio di strumento di finanziamento pubblico con il coinvolgimento dell’Unione europea. Dato che queste agenzie essenzialmente sostengono attività industriali nocive per l’ambiente, in particolare a causa delle emissioni di CO2, e che, secondo la Banca Mondiale, non concorrono in modo significativo alla riduzione della povertà, condivido la posizione del relatore secondo il quale le agenzie in oggetto dovrebbero contribuire alle politiche e agli obiettivi dell’UE e che quindi non è necessario rivedere l’accordo OCSE.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Riteniamo che sia necessario sorvegliare e controllare maggiormente le agenzie di credito all’esportazione sia per quanto concerne le esportazioni che gli investimenti e la finanza dato che la mancanza di trasparenza di questi organismi provoca danni enormi, incoraggiando tangenti e corruzione.
Le agenzie di credito all’esportazione sono strumenti pubblici largamente utilizzati dall’Unione europea per contribuire al finanziamento dei propri obiettivi internazionali e degli interessi economici e geostrategici che non possono essere separati da quelli relativi al dominio e al controllo di regioni e paesi e ciò porta alla creazione di veri e propri rapporti neocoloniali. Gli investimenti finanziati da queste agenzie spesso non apportano alcun beneficio ai paesi che dovrebbero avvalersi del sostegno.
La definizione di linee guida per i crediti all’esportazione è finalizzata ad eludere la scadenza annunciata degli aiuti diretti nel quadro degli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio che sta pressando i paesi in via di sviluppo ad accettare la firma dei negoziati di Doha. L’obiettivo principale dei crediti e degli aiuti diretti continua ad essere il controllo dei mercati e delle risorse naturali, lo sfruttamento dei lavoratori e l’uso di prodotti e investimenti per condizionare la sovranità dei paesi di destinazione e ciò è reso possibile dai finanziamenti delle agenzie di credito all’esportazione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) È necessario sorvegliare e controllare maggiormente le agenzie di credito all’esportazione sia per quanto concerne le esportazioni che gli investimenti e la finanza dato che la mancanza di trasparenza di questi organismi provoca danni enormi, incoraggiando tangenti e corruzione.
Le agenzie di credito all’esportazione sono strumenti pubblici largamente utilizzati dall’Unione europea per contribuire a finanziare i propri obiettivi internazionali, con particolare riguardo ai cambiamenti climatici e alla riduzione della povertà. A volte vengono usati per finanziare veri e propri esempi di neocolonialismo comunitario nei cosiddetti paesi in via di sviluppo.
La definizione di linee guida per i crediti all’esportazione è finalizzata ad eludere la scadenza annunciata degli aiuti diretti nel quadro degli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio che sta pressando i paesi in via di sviluppo ad accettare la firma dei negoziati di Doha che essi contestano.
L’obiettivo principale dei crediti e degli aiuti diretti continua ad essere il controllo dei mercati e delle risorse naturali, lo sfruttamento dei lavoratori e l’uso di prodotti e investimenti per condizionare la sovranità dei paesi di destinazione e ciò è reso possibile dai finanziamenti delle agenzie di credito all’esportazione.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Sarebbe sbagliato se i crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico non rispettassero alcuni principi, in particolare a livello di etica sociale, e non si attenessero alle linee guida in materia di politica estera e di aiuto allo sviluppo. È quindi necessario assicurare trasparenza in relazione all’utilizzo di questi fondi. Ma è la politica estera condotta dall’Unione che funge da riferimento e tale politica ha dimostrato, soprattutto negli ultimi mesi, di essere a dir poco inesistente, incoerente e divergente. L’Unione europea non rispetta i principi che essa stessa fissa: quand’è l’ultima volta in cui abbiamo visto la Commissione applicare realmente le clausole in materia sociale, ambientale e di diritti umani che dissemina in tutti i propri accordi commerciali?
Quand’è che ha protestato contro il finanziamento al di fuori dell’Europa, da parte della Banca europea per gli investimenti, di progetti che creano concorrenza sleale per le imprese europee o che sono discutibili a livello sociale e ambientale? Lo scopo di questa relazione è la trasposizione nel diritto europeo di un accordo negoziato all’interno di un’organizzazione globalista e ultraliberista, l’OCSE. Tale accordo crea di fatto un handicap per le imprese europee nei confronti dei concorrenti e in particolare della Cina. Quando si è trattato di prendere una decisione favorevole o contraria abbiamo quindi deciso di astenerci.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Com’è noto, è impossibile sapere quali finanziamenti le agenzie di credito all’esportazione eroghino o abbiano erogato in passato. Alcune di esse non redigono neppure un bilancio generale periodico delle loro operazioni annuali mentre molte altre non forniscono dati disaggregati circa la distribuzione settoriale o geografica dei prestiti erogati. Si tratta di una situazione che permane nonostante gli obblighi in materia di trasparenza stabiliti nell’accordo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico del 2005 cui hanno aderito tutti gli Stati membri dell’UE e che dovrà ora essere recepito nel diritto comunitario. L’accordo OCSE non contiene le disposizioni necessarie a garantire una corretta determinazione dei premi poiché non prevede alcuna norma in materia di trasparenza né standard minimi nell’applicazione del calcolo dei rischi sociali e ambientali. È stato proposto di fare chiarezza sugli obblighi in materia di trasparenza in relazione al calcolo dei rischi e sulla pubblicazione degli strumenti fuori bilancio nonché di rendere obbligatoria la notifica del calcolo dei rischi sociali e ambientali e di istituire l’obbligo per gli Stati membri dell’UE di riferire su base annua alla Commissione in merito alle attività svolte dalle loro agenzie di credito all’esportazione nei citati ambiti. Ho pertanto votato a favore di questo documento perché esso introdurrà una maggiore trasparenza e norme per l’applicazione dei calcoli di rischio sociale e ambientale.
Arturs Krišjānis Kariņš (PPE), per iscritto. – (LV) Ho sostenuto la risoluzione sul regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’applicazione di alcuni orientamenti in materia di crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico perché ritengo che sia necessario avere regole chiare per tutti gli Stati membri dell’Unione europea su come sostenere le imprese esportatrici. Le garanzie di credito all’esportazione sono un importante strumento per aiutare gli imprenditori ad acquisire nuovi mercati e a creare nuovi posti di lavoro. Non ho tuttavia sostenuto l’emendamento n. 22 che impone un onere supplementare per gli imprenditori e rende le imprese europee meno competitive di quelle di altri Stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. In un momento di crisi gli Stati membri dell’Unione europea devono ridurre gli oneri amministrativi per gli imprenditori e non crearne uno nuovo. Il Parlamento europeo deve dare l’esempio in questo settore invece di cercare nuovi motivi per imporre un onere supplementare agli imprenditori.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione poiché ritengo che i crediti all’esportazione siano uno strumento importante per sostenere le imprese dell’Unione europea. Alla luce della crescente domanda di crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico è della massima importanza che il nuovo regolamento dell’OCSE su questo strumento sia introdotto prima possibile negli Stati membri. Il sostegno dei crediti all’esportazione a medio e a lungo termine è uno strumento potente che non è ancora pienamente sfruttato in tutti gli Stati membri e che va incoraggiato. I crediti all’esportazione possono contribuire a creare posti di lavoro garantendo il finanziamento di progetti che beneficerebbero altrimenti di un accesso più limitato ai capitali a causa della loro natura non di mercato. Sono d’accordo con il relatore il quale osserva che qualsiasi nuova legislazione in questo settore deve evitare di creare nuovi oneri amministrativi o burocratici che andrebbero ad aggiungersi ai costi già esistenti. Una vigilanza a livello europeo sui crediti all’esportazione dovrebbe essere introdotta in via eccezionale qualora si verifichi una distorsione della concorrenza nel mercato interno. Occorre rispettare il principio di sussidiarietà.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La relazione chiede che la concessione di crediti e garanzie con il sostegno pubblico per le esportazioni del settore privato sia integrata da “valutazioni di impatto sociale e ambientale” e che i progetti mantengano inalterati gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Questo è il minimo.
Ciononostante voterò contro la relazione per esprimere il mio disappunto sul fatto che la commissione per il commercio internazionale non stia cercando di dotarsi dei mezzi per mantenere gli obiettivi sociali e ambientali degni di questo nome. La libera concorrenza, la lotta contro il protezionismo e gli ostacoli alla denuncia delle sovvenzioni alle esportazioni agricole sono alcune delle molte assurdità avvallate in questo testo.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Le agenzie di credito all’esportazione hanno avuto un ruolo sempre più importante nel sostenere investimenti di ogni tipo contribuendo in tal modo a ridurre l’impatto dell’attuale crisi economica e finanziaria attraverso la creazione di posti di lavoro e il sostegno al commercio e agli investimenti di aziende che altrimenti non avrebbero avuto accesso al credito nel settore privato. Le agenzie di credito all’esportazione sono diventate la principale fonte di finanziamento pubblico per i paesi in via di sviluppo. Un notevole numero di progetti di finanziamento tramite i crediti alle esportazioni nei paesi in via di sviluppo sono concentrati in settori quali i trasporti, il petrolio, il gas e le industrie estrattive, oltre a importanti progetti di infrastrutture come ad esempio le grandi dighe. È tuttavia importante che le attività delle agenzie di credito all’esportazione siano strettamente sorvegliate in modo da evitare problemi in futuro.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. − (EN) L’Unione europea è uno dei partecipanti all’accordo sugli orientamenti per i crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico concluso nell’ambito dell’OCSE. Sarebbe opportuno che il Parlamento europeo approvi gli emendamenti alla proposta della Commissione volti ad applicare ulteriori misure per assicurare trasparenza e obbligo di rendicontazione all’interno dell’Unione europea.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Le agenzie di credito all’esportazione che beneficiano del sostegno pubblico e ufficiale costituiscono importanti sostenitori per progetti di imprese private nei paesi in via di sviluppo. In un periodo di ristrettezza dei bilanci nazionali tali agenzie stanno acquisendo sempre maggiore importanza come fonte di investimento per le imprese europee dato che non sono costrette a rifinanziarsi con il denaro dei contribuenti. Poiché i criteri di valutazione del rischio per le agenzie di credito all’esportazione pubbliche sono molto diversi rispetto a quelli in cui il prestito proviene da una banca privata potrebbe crearsi una distorsione della concorrenza nel commercio internazionale come dimostra l’esempio cinese. Questo è il motivo per cui esiste tutta una serie di norme come gli accordi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e quello dell’Organizzazione mondiale del commercio che fissano le scadenze per il rimborso e un tasso di premio minimo. Ai fini della valutazione e per prevenire abusi ed evitare rifinanziamenti con il denaro dei contribuenti occorrono norme che garantiscano una maggiore trasparenza e introducano, per esempio, l’obbligo di rendicontazione annuale in tutta l’Unione europea. Resta da vedere se le misure proposte comporteranno una maggiore trasparenza. Mi sono quindi astenuto dal voto.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione poiché anch’io ritengo, come il relatore, che il credito all’esportazione costituisca uno strumento potente per sostenere le imprese dell’Unione europea. Dato il crescente numero di domande di accesso al credito all’esportazione che beneficia di sostegno pubblico è sempre più importante che l’accordo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico su questo strumento sia introdotto più rapidamente possibile dagli Stati membri. Il credito all’esportazione a medio e a lungo termine è uno strumento prezioso, non ancora pienamente sfruttato in tutti gli Stati membri e deve essere incoraggiato, soprattutto in un’economia debole come quella del Portogallo. Il credito all’esportazione agisce sicuramente come un motore per la creazione di posti di lavoro, garantendo il finanziamento di progetti che altrimenti avrebbero un accesso più limitato al capitale. Qualsiasi normativa in questo campo deve evitare di creare nuovi oneri amministrativi o burocratici che andrebbero ad aggiungersi ai costi già esistenti. Una vigilanza a livello europeo sui crediti all’esportazione dovrebbe essere introdotta in via eccezionale solo qualora si verifichi una distorsione della concorrenza nel mercato interno. Occorre rispettare scrupolosamente il principio di sussidiarietà in questo settore.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Cari colleghi, le agenzie di credito all’esportazione (ACE) rappresentano la principale fonte mondiale di finanziamento ufficiale a favore di progetti del settore privato. Tuttavia, esse possono creare anche un’enorme distorsione del commercio se le loro operazioni di finanziamento non sono disciplinate da norme comuni. Pertanto, è necessario procedere ad una revisione dell’accordo OCSE (Accordo sui crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico) per meglio monitorare la correttezza delle operazioni finanziarie delle ACE europee e per garantire la loro coerenza con le politiche e gli obiettivi dell’UE. Occorre, inoltre, fare chiarezza sugli obblighi in materia di trasparenza in relazione al calcolo dei rischi e sulla pubblicazione degli strumenti fuori bilancio. In sostanza, è fondamentale istituire l’obbligo per gli Stati membri dell’UE di riferire su base annua alla Commissione in merito alle attività delle loro ACE nei citati ambiti. Alla luce delle osservazioni che precedono, e considerato che le ACE possono essere degli strumenti efficaci per contribuire agli obiettivi esterni dell’Unione (in particolare il cambiamento climatico e la lotta alla povertà), esprimo il mio parere favorevole all’approvazione di tale risoluzione poiché ritengo che i crediti all’esportazione sono uno strumento importante per sostenere il commercio e gli investimenti delle imprese europee.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Come ha detto il relatore, l’onorevole Jadot, il voto di oggi rafforza la posizione del Parlamento europeo sulla questione e invia un segnale forte ad un Consiglio europeo eccessivamente timido. Le agenzie di credito all’esportazione sono uno strumento importante per l’Unione europea in termini di sostegno al commercio e agli investimenti per le imprese europee.
Era urgente affrontare il problema della mancanza di trasparenza e vigilanza da parte dell’UE – e in particolare da parte del Parlamento – in relazione alle attività svolte dalle agenzie in oggetto, soprattutto in considerazione del fatto che ogni anno, tramite queste agenzie, vengono erogate diverse centinaia di milioni di euro e che al momento i bilanci nazionali sono soggetti a forti limitazioni.
Anch’io sono lieto che i deputati abbiano ribadito il loro sostegno all’eliminazione graduale dei sussidi per i combustibili fossili incoraggiando in tal modo la transizione ecologica, in linea con gli impegni europei e nazionali sui cambiamenti climatici.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − La maggior parte dei paesi industrializzati dispone di un’agenzia di credito all’esportazione. Tali agenzie rappresentano, nel loro complesso, la principale fonte mondiale di finanziamento ufficiale a favore di progetti del settore privato. Il sostegno finanziario di progetti industriali e infrastrutturali di notevole entità nei paesi in via di sviluppo da parte delle agenzie di credito all’esportazione è notevolmente superiore al finanziamento annuale combinato di tutte le banche multilaterali di sviluppo. Le agenzie facilitano il commercio legale laddove il mercato dei capitali privati è carente. Non dovendo pagare imposte né realizzare profitti, esse hanno una capacità di assorbire i rischi molto più elevata rispetto agli attori privati e beneficiano quindi di un margine di manovra più ampio rispetto alle banche private, anche sui crediti estesi.
Tuttavia, per lo stesso motivo, esse possono creare un’enorme distorsione del commercio se le loro operazioni di finanziamento non sono disciplinate da norme comuni. Ho votato a favore di questa relazione perché i crediti all’esportazione devono essere soggetti a condizioni di rimborso entro un certo termine e all’addebito di un tasso di premio minimo per coprire il rischio di mancato rimborso degli stessi.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa importante risoluzione su un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne. La violenza contro le donne è un problema internazionale ed europeo. Nonostante da decenni si parli della questione della violenza contro le donne, la comunità internazionale non è riuscita a porre fine a questa forma di criminalità estremamente distruttiva. É fondamentale non lesinare gli sforzi per ridurre nella maggior misura possibile la violenza contro le donne e stabilire le condizioni per prevenirla, per perseguire i colpevoli e proteggere le vittime. Per raggiungere questi obiettivi, è necessario armonizzare il diritto penale a livello comunitario, creando un quadro giuridico che punisca i colpevoli e tuteli le vittime. Un’azione di questo tipo è fondamentale anche per la lotta contro la tratta di esseri umani. Il matrimonio coatto è un'altra forma di violenza di genere che rappresenta una grave violazione del diritto del singolo alla libertà e all'autodeterminazione. Le giovani donne devono essere protette da simili relazioni forzate. Spesso, in questo contesto, si parla anche della cosiddetta violenza d'onore. Per porre fine a ogni forma di violenza contro le donne, è fondamentale diffondere informazioni sulla parità di genere, informando la società in modo attivo, in particolare quei settori in cui le relazioni tra uomini e donne sono basate su rituali e tradizioni.
Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. − In Europa, una donna su quattro è vittima di almeno qualche forma di violenza nell'arco della sua vita. Il costo annuale della violenza si aggira intorno ai 33 miliardi di euro, un dato da non sottovalutare.
Il rispetto del principio della parità di genere è un valore che viene costantemente disatteso scontrandosi con un'ampia gamma di violazioni dei diritti umani che colpiscono le donne, penalizzandole nella loro salute fisica e psichica, nei loro diritti e nella loro posizione all'interno della società. I pochi dati a nostra disposizione non ci danno una visione globale del fenomeno, ma basta osservare il proprio ambito familiare o lavorativo per constatare come ancora non si riesca a proteggere le donne dalla violenza.
Apprezzo l'impegno assunto dalla Commissione a presentare nel 2011-2012 la "Comunicazione su una strategia di lotta alla violenza contro le donne, la violenza domestica e la mutilazione genitale femminile", che dovrà essere seguita da un piano di azione dell'UE, ma spero anche che venga adottato un approccio politico globale, fatto di azioni giuridiche, giudiziarie, esecutive e sanitarie che possano ridurre efficacemente questo tipo di violenza e le conseguenze che essa comporta, purtroppo anche nei confronti di quel 26% di bambini e dei giovani che hanno segnalato di aver subito violenze fisiche nella loro infanzia.
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. – (RO) I dati ufficiali sulla violenza contro le donne sono molto più contenuti se confrontati con la triste realtà di ogni Stato membro. Ufficialmente, tra il 2004 e il 2009, sono stati registrati circa 60 000 casi di violenza domestica, 800 dei quali hanno portato alla morte della vittima. Di tutte le donne che hanno subito violenze, soltanto il 30 per cento ha deciso di sporgere denuncia alla polizia, mentre il 70 per cento ha sopportato gli abusi in silenzio.
In questo contesto, sostengo la decisione di semplificare l’accesso a una tutela legale gratuita per le vittime. L’istituzione di un Anno europeo contro la violenza contro le donne ci consente di aumentare la consapevolezza del problema tra i cittadini europei, un problema che caratterizza la vita quotidiana di moltissime donne nell’Unione europea. Ho votato a favore della relazione perché sostengo la creazione di una Carta europea di servizi minimi di assistenza per le vittime della violenza contro le donne, al fine di ridurre la presenza di questo problema in tutti gli Stati membri.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) La presente relazione d’iniziativa è inserita nel quadro delle numerose proposte che la Commissione europea presenterà nel 2011 e 2012 per combattere la violenza contro le donne. Si tratta di un argomento che sta particolarmente a cuore a me e all’associazione Femmes au Centre (Donne al centro), che ha organizzato una conferenza sul tema alcune settimane fa a Parigi. La relazione propone un nuovo approccio politico globale contro la violenza di genere che comprende, in particolare, l'elaborazione di una Carta europea di servizi minimi di assistenza per le vittime della violenza contro le donne e uno strumento di diritto penale a livello europeo. Ho votato a favore della relazione.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) La comunità internazionale deve attuare un approccio transnazionale per eliminare la violenza contro le donne. La violenza contro le donne costituisce una violazione delle libertà e dei diritti fondamentali, quali il diritto alla sicurezza e alla dignità. Gli Stati membri devono attuare la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), che mira a garantire i diritti e le libertà della donna. Il trattato di Lisbona ha introdotto la possibilità per l'UE di attuare regole comuni in materia penale. Nel testo del trattato sono menzionati in particolare la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale delle donne e dei minori. Ho votato a favore della relazione poiché è giunto il momento che l’Unione affronti questo tema e dia il buon esempio attraverso la legislazione e il sostegno necessari per porre fine alla violenza contro le donne. É necessario adottare un approccio articolato per garantire l’efficacia delle misure politiche, sociali e giuridiche attuate.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. − (LT) La violenza contro le donne in tutte le sue forme è un problema internazionale ed europeo. È di fondamentale importanza una protezione legislativa europea completa e coerente dell'integrità delle donne. Alcuni paesi ancora non dispongono di una normativa che condanni la violenza domestica contro le donne, ma questa violenza non può essere considerata una questione privata. Gli Stati membri devono garantire che la questione sia una priorità per le autorità e che i responsabili siano consegnati alla giustizia.
Dominique Baudis (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione, che esprime la ferma posizione del Parlamento europeo: esortiamo la Commissione a combattere la violenza contro le donne. Tutti gli Stati membri dispongono ovviamente dei meccanismi giuridici preventivi e repressivi. Anche l’Europa ha la responsabilità di occuparsi di questo tema, che rientra nelle sue competenze. Non possiamo accettare che le donne siano quotidianamente soggette a bullismo e violenza fisica o psicologica.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione perché la violenza contro le donne è un problema globale ed europeo. La relazione presenta un pacchetto di misure assolutamente necessarie a garantire una vita decorosa alle donne europee. È di fondamentale importanza una protezione legislativa completa e coerente dell'integrità delle donne. Le normative europee devono prestare particolare attenzione all'estrema vulnerabilità delle donne e dei bambini che subiscono violenza domestica. Non basta però inserire o approvare una serie di disposizioni penali a tutela delle donne; anche l’azione penale deve essere resa più efficace.
Un settore fondamentale al quale dedicare maggiori risorse è quello della formazione delle forze di polizia in Europa. Le forze di polizia sono la prima istanza giudiziaria con cui entrano in contatto le donne vittime di violenza. Una misura concreta che può essere adottata è l'attivazione di un numero d'emergenza per le vittime della violenza di genere negli Stati membri. Le donne che subiscono violenza possono chiamare questo numero per ricevere un aiuto immediato.
Sergio Berlato (PPE), per iscritto. − La parità tra i sessi è un principio fondamentale dell'Unione europea. Nonostante si parli da decenni della questione della violenza contro le donne, la comunità internazionale non è ancora riuscita a porre fine a questa grave forma di criminalità. La violenza di genere provoca seri danni alla salute psicofisica della persona, mentre per la società ciò si traduce in costi elevati perché, trattandosi di un problema sociale, comporta delle spese di ordine giuridico e sanitario. Secondo le stime, i costi sociali della violenza di genere, sotto forma di spese nel settore della sanità, della giustizia e dei servizi sociali, nell'insieme degli Stati membri dell'UE ammonterebbero a due milioni di euro l'ora.
A mio avviso, un settore importante in cui è richiesta una forte tutela giuridica dell'integrità psicofisica delle donne è quello delle mutilazioni genitali. Ritengo infatti che gli atti che ledono gravemente la salute delle donne non possano essere legittimati da motivazioni culturali.
È inoltre indispensabile una maggiore conoscenza dell'entità della violenza di genere in Europa, affinché l'opinione pubblica abbia una maggiore consapevolezza su questa problematica. Pertanto, accolgo con favore le azioni volte a incoraggiare gli Stati membri a elaborare piani d'azione nazionali per contrastare la violenza di genere.
Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) La presente relazione sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne presenta numerose proposte interessanti. Per questo motivo, ha ottenuto il mio sostegno. A mio avviso, però, non dovrebbe essere una direttiva che ciascuno Stato membro è obbligato a inserire nel proprio ordinamento normativo. I meccanismi che semplificano l’accesso alla tutela legale e che consentono alle vittime di far valere i propri diritti in ogni parte dell’Unione europea non possono e non devono essere forniti gratuitamente. Sono a favore della predisposizione di un quadro giuridico che accordi alle donne migranti il diritto di possedere personalmente il proprio passaporto e il proprio permesso di soggiorno e che consenta di ritenere penalmente responsabile chiunque s'impadronisca di tali documenti.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. Da una relazione che tratta della violenza contro le donne mi aspetto, oggi, che metta in risalto come emergenza assoluta la violenza crescente contro le donne all'interno delle comunità musulmane in Europa. Il fenomeno è in continua crescita, e a dirlo sono le associazioni che in Europa si occupano di diritti della donna e di violenza di genere. La cosa è sotto gli occhi di tutti, ma sembra che ci sia una certa ritrosia ad ammettere il problema nei termini corretti. Nella relazione si parla, ad esempio, di matrimoni forzati e mutilazioni genitali femminili, ma questi fenomeni in aumento esponenziale nelle nostre città, vengono affrontati come problemi di matrice culturale. La verità è che sono legati alla presenza massiccia di immigrati che portano in Europa una concezione fondamentalista della religione, quella islamica, di cui oggi fanno le spese le donne che a quelle comunità appartengono, ma che domani potrebbe colpire le nostre donne e la società occidentale nel suo cuore. Su questo, e non sulla violenza di matrice "culturale", che nulla vuol dire, l'UE deve mettere in campo politiche adeguate e mirate, per combattere oggi un fenomeno in forte espansione, che domani di questo passo diventerà impossibile da gestire.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione perché dobbiamo porre fine con urgenza alla violenza contro le donne. Desidero portare alla vostra attenzione il fatto che, in Europa, una donna su dieci è stata vittima di violenza, una delle cause più frequenti di morte violenta fra le donne. Nonostante si discuta da anni sul tema della violenza contro le donne, mi duole notare che ancora non siamo in grado di fornire un’adeguata tutela. É fondamentale che la Commissione europea elabori una direttiva ad hoc per tutti i tipi di violenza contro le donne (fisica, sessuale o psicologica) e sulla relativa lotta. La violenza di genere spazia dagli abusi sessuali alla tratta di esseri umani, al matrimonio coatto, alla mutilazione genitale e ad altri tipi di abusi. Crimini così violenti hanno un forte impatto sulla salute fisica e mentale di una donna e causano spesso danni irreparabili; gli Stati membri devono quindi garantire una migliore assistenza sanitaria alle vittime di abusi. Esorto il Commissario per gli affari interni Malmström a non ridurre l’assistenza finanziaria destinata alle organizzazioni non governative (ONG) che combattono la violenza contro le donne. Nel corso dell’attuale crisi economica e finanziaria si stanno verificando sempre più atti di violenza e non possiamo ridurre i finanziamenti a questo settore proprio ora.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) In passato, il Parlamento europeo ha già avviato una risoluzione sull'eliminazione della violenza contro le donne nella quale evidenziava l'esigenza di "creare uno strumento giuridico globale per la lotta contro tutte le forme di violenza nei confronti delle donne" . La Commissione ha preso importanti decisioni di principio in tal senso, elaborando un nuovo piano d’azione sull’uguaglianza di genere, nel quale si riconosce che la violenza di genere è uno dei problemi principali da risolvere. La Commissione ha inoltre comunicato che nel 2011 sarà proposto un piano strategico contro la violenza di genere, che provoca gravi danni alla salute psicofisica delle persone. Per la società, ciò si traduce in costi esorbitanti perché si tratta di un problema sociale, e comporta anche spese di ordine giuridico e sanitario.
I costi sociali della violenza di genere sono calcolati sotto forma di spese nel settore della sanità, della giustizia e dei servizi sociali. La violenza di genere rappresenta anche un grave problema per la democrazia, poiché il semplice fatto di essere così esposte alla violenza, limita le possibilità che le donne hanno di partecipare alla vita sociale e lavorativa.
Cristian Silviu Buşoi (ALDE), per iscritto. – (RO) In qualità di eurodeputato liberale, non posso che sostenere la relazione, poiché gli Stati membri necessitano di una nuova strategia per la lotta alla violenza contro le donne, che ha gravi ripercussioni sulla loro salute fisica e mentale e costituisce una violazione a un diritto fondamentale. La violenza contro le donne ha conseguenze negative sia sulle vittime, sia sui minori che crescono in un ambiente non idoneo al loro sviluppo personale. La parità di genere è uno dei valori fondamentali nell’Unione e riveste particolare importanza per i liberali. La società moderna, basata su parità di diritti e sull’uguaglianza di fronte alla legge, non può tollerare questi fatti, nemmeno quando sono giustificati da motivi religiosi o culturali.
L’Unione europea deve usare ogni strumento in suo possesso per lottare contro la violenza ai danni delle donne. Sostengo l’idea di una direttiva che stabilisca sanzioni penali per i responsabili di violenze contro le donne e che deve però essere accompagnata dalla creazione di un numero adeguato di centri di accoglienza per le vittime e da una formazione adeguata per chi vi entra in contatto, quali funzionari di polizia, giudici, medici e altri.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Sono lieta dell’interesse dimostrato a livello europeo per la lotta alla violenza contro le donne. Ritengo fondamentale per la lotta a questo problema europeo e internazionale che gli Stati membri si assumano responsabilità, adottando le normative necessarie. Ho quindi votato a favore del nuovo quadro politico comunitario per la lotta alla violenza contro le donne, poiché ritengo che costituisca un progresso nel combattere le violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali, quali il diritto alla sicurezza e alla dignità.
Nessa Childers (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione perché la situazione irlandese rispecchia il problema comune a tutta l’Europa. Nel 2005, il National Crime Council ha stimato che in Irlanda una donna su sette ha subito gravi comportamenti aggressivi di natura fisica, sessuale o emotiva da parte di un partner nel corso della propria vita. Non possiamo sottovalutare le conseguenze delle violenze domestiche fisiche e/o sessuali, poiché causano seri danni alla salute mentale e fisica delle vittime, portando a gravi depressioni e, in alcuni casi, anche al suicidio. La relazione del Parlamento presenta i costi sociali della violenza di genere, che, secondo le stime, sotto forma di spese nel settore della sanità, della giustizia e dei servizi sociali, nell'insieme degli Stati membri dell'UE ammonterebbero a due milioni di euro l'ora.
Nel 2009 ho avuto il privilegio di diventare la prima ambasciatrice dell’associazione Rape Crisis North East, con sede a Dundalk. Questo servizio di sostegno e assistenza è uno dei numerosi esempi presenti nell’Irlanda orientale di ONG che offrono un sostegno fondamentale alle vittime di violenza domestica e sessuale, ma che devono affrontare una situazione molto difficile per quanto concerne i finanziamenti . Mi auguro che la presente relazione dia un nuovo impulso alla lotta contro la violenza domestica in Europa.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. − (PT) Condanno fermamente ogni forma di violenza contro uomini, donne e bambini e sostengo ogni iniziativa che consenta di prevenire e lottare questo flagello, tutelando le vittime. I dati presentati da alcuni studi sulla violenza in Europa sono inaccettabili: il 26 per cento dei bambini e dei giovani segnalano di aver subito violenze fisiche, dal 20 al 25 per cento della popolazione femminile ha subito atti di violenza fisica almeno una volta nel corso della propria vita adulta e oltre il 10 per cento delle donne ha subito violenze sessuali che comportano l'uso della forza.
Il numero di donne vittime di violenza è allarmante e le enormi diversità di politiche e legislazioni nei vari Stati membri non riducono il divario, sicché le donne non usufruiscono di un pari livello di tutela in Europa. La normativa europea deve garantire una tutela coerente e completa a tutte le donne, attraverso l’adozione di strumenti giuridici che consentano di lottare contro ogni forma di violenza ai danni delle donne, unitamente a una serie di provvedimenti in ambito politico, sociale e giuridico.
Anna Maria Corazza Bildt, Christofer Fjellner e Gunnar Hökmark (PPE), per iscritto. − (SV) Noi conservatori svedesi concordiamo con la descrizione del problema presentata nella relazione. Il programma di Stoccolma, al quale abbiamo dato un contributo fondamentale, considera la lotta alla violenza contro le donne una priorità. Nel suo Piano di azione che attua il Programma di Stoccolma, la Commissione si impegna a presentare nel 2011-2012 una “Comunicazione su una strategia di lotta alla violenza contro le donne, la violenza domestica e la mutilazione genitale femminile”. Inoltre, l’articolo 8 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce che l’Unione deve compiere ogni sforzo per combattere qualsiasi tipo di violenza domestica e che gli Stati membri devono attuare ogni provvedimento necessario per punire questi atti criminali e tutelare le vittime. Il diritto penale è di competenza degli Stati membri e per questo abbiamo votato contro il paragrafo relativo all’introduzione di una direttiva a livello comunitario. Abbiamo votato invece a favore della relazione poiché riteniamo che gli Stati membri debbano adottare provvedimenti per garantire la sicurezza delle donne.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) A livello comunitario, gli Stati membri devono aumentare gli sforzi per raccogliere dati statistici nazionali più esaustivi in ambito di violenza contro le donne, indipendentemente dalla forma che essa assume: stupro, tratta a scopo di sfruttamento sessuale, matrimoni coatti, morte, prostituzione coatta e violenza in ambito familiare o da parte di ex partner. L’obiettivo è anche quello di migliorare la raccolta dei dati in quest’ambito al fine di stabilire le soluzioni più adeguate per punire i colpevoli.
Mário David (PPE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione perché la ritengo importante per una società che mira ad essere sempre più equa e giusta. Questo fenomeno è presente in tutte le società, in diverse forme, nella sfera pubblica, privata o semipubblica, ma i dati effettivi o le diverse manifestazioni sono spesso sconosciuti. Ritengo quindi che, come espresso dalla relazione, sia necessaria un’analisi approfondita, unitamente alla creazione di processi investigativi migliori per lottare contro questo problema a livello internazionale. La relazione propone un nuovo approccio alla violenza di genere, nonché il consolidamento dei provvedimenti tra Stati membri in materia di prevenzione, sentenze penali e misure di assistenza alle vittime. Inoltre, pone quesiti rilevanti sulle conseguenze della violenza fisica, psicologica e sessuale contro le donne nei vari ambiti della società. Ritengo necessario un ruolo attivo da parte di Commissione, Parlamento e Stati membri per la creazione di provvedimenti per combattere questo problema, che si ripercuote su numerose persone e varie generazioni.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. − (EN) La violenza contro le donne da parte degli uomini è una violazione dei diritti umani delle donne, che riflette e potenzia le disuguaglianze tra uomini e donne. Studi effettuati sulla violenza di genere stimano che dal 20 al 25 per cento delle donne europee ha subito atti di violenza fisica almeno una volta nella propria vita adulta. La violenza contro le donne non conosce confini geografici, limiti di età, differenze culturali, di razza o di classe, ma rimane invisibile e le vittime sono messe a tacere. Sono a favore della relazione che propone un nuovo approccio politico globale contro la violenza di genere che comprenda: uno strumento di diritto penale sotto forma di una direttiva contro la violenza di genere; la formazione dei funzionari che possono trovarsi a trattare casi di violenza contro le donne; requisiti per gli Stati membri affinché diano prova di due diligence e registrino e indaghino su tutte le tipologie di reato legate alla violenza di genere; la richiesta di sostegno finanziario alle ONG che lavorano per assistere le vittime di violenze. Inoltre, presenta piani per la messa a punto di linee guida sul metodo e la realizzazione di nuove campagne per la raccolta di dati, al fine di ottenere dati statistici raffrontabili sulla violenza di genere, al fine di identificare l’estensione del problema e fornire una base per modificare l’azione nei confronti del problema.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) In Europa, una donna su quattro subirà violenze fisiche nel corso della sua vita e oltre una su dieci sarà vittima di violenze sessuali che comportano l’uso della forza. Di fronte a tali stime si rende necessaria un’azione urgente. La Commissione deve stabilire un nuovo quadro politico comunitario per combattere la violenza contro le donne. Ogni forma di violenza contro le donne (stupro, prostituzione, violenza sessuale eccetera) deve essere oggetto di procedimenti penali in tutti i paesi dell’Unione europea. Ogni Stato membro ha il compito di fornire alle vittime accesso all’assistenza giuridica gratuita e a strutture di accoglienza per costruire una vita migliore per sé e i propri figli. Il riconoscimento a livello europeo della violenza contro le donne quale reato penale è fondamentale.
Karima Delli (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Martedì 5 aprile 2011, il Parlamento europeo ha approvato la relazione in materia di lotta alla violenza contro le donne. Il testo evidenzia la natura specifica della violenza inflitta da uomini a donne e ragazze, che costituisce certamente uno degli ostacoli più comuni e pericolosi alla parità di genere. La relazione consentirà di attuare uno strumento di diritto penale sotto forma di direttiva europea per lottare contro la violenza di genere. Il testo elabora una carta europea di diritti, che garantirà un livello base di assistenza, che includa il diritto all'assistenza legale gratuita e servizi di assistenza psicologica urgenti. Inoltre, i membri del Parlamento europeo esortano la Commissione a creare un osservatorio sulla violenza contro le donne. Grazie al gruppo verde/Alleanza libera europea è stato approvato un emendamento che invita gli Stati membri a riconoscere quali reati la violenza sessuale e lo stupro all’interno del matrimonio o di relazioni intime.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) La violenza contro le donne è una questione europea e globale. Violenza domestica, prostituzione, tratta di esseri umani: purtroppo, non siamo ancora in grado di proteggere le donne dalla violenza nelle nostre società. La violenza di genere costituisce una violazione delle libertà e dei diritti fondamentali, quali il diritto alla sicurezza e alla dignità. Si tratta di proteggere l'integrità delle vittime, ma anche di salvaguardare importanti interessi sociali comuni, quali la libertà e la democrazia. L'Unione europea deve assumersi le proprie responsabilità e attuare i provvedimenti legislativi necessari per porre fine a queste violenze.
Ho votato a favore dell’introduzione di misure quali meccanismi atti a facilitare l'accesso all'assistenza giuridica gratuita e un regime di assistenza economica che promuova l'autonomia delle vittime e faciliti il ritorno a una vita normale e al mondo del lavoro. Il rispetto dei diritti umani è un valore fondamentale custodito dal trattato sull’Unione europea. Rispettiamo anche i diritti delle donne.
Lena Ek, Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. − (SV) Il Parlamento europeo ha votato a favore del quadro politico per la lotta alla violenza contro le donne. Accogliamo con favore la decisione e abbiamo votato a favore della proposta nella sua interezza. La decisione risulta particolarmente importante poiché invita la Commissione a mantenere le precedenti promesse di presentare una proposta legislativa ad hoc volta a combattere la violenza contro le donne.
La proposta, però, contiene alcune diciture in materia di surrogazione di maternità che giudichiamo troppo semplicistiche nel loro atteggiamento negativo verso questo fenomeno e verso le adozioni internazionali. Non siamo ingenui e conosciamo i problemi relativi alla surrogazione di maternità, ma non vogliamo attaccare un tema sulla scorta di questi problemi, poiché la surrogazione può essere un’esperienza positiva per entrambe le parti in causa. Per questo motivo abbiamo votato contro le disposizioni in materia di surrogazione di maternità, posizione adottata dal nostro gruppo, il gruppo dell'Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa, anche nel voto in seno alla commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) La violenza nei confronti delle donne comprende un’ampia gamma di violazioni dei diritti umani: abusi sessuali, attacchi all’integrità fisica e violenza domestica, violenza psicologica, molestie o coercizione, tratta di donne e sfruttamento della prostituzione sono alcuni degli esempi delle violenze che devono essere combattute in modo risoluto dagli Stati membri. Condanno ogni tipo di violenza, particolarmente quella rivolta a chi si trova in una posizione più vulnerabile (dal punto di vista fisico, sociale, economico o emotivo), come donne e bambini. Per questo motivo, gli Stati membri devono eliminare ogni forma di violenza contro le donne, in particolare la tratta per lo sfruttamento della prostituzione, la violazione del diritto all’autodeterminazione sessuale e gli attacchi all’integrità fisica.
Il rispetto per la vita e la dignità umana non può coesistere con i crimini di cui sono vittime numerose donne europee; sono pertanto necessarie politiche dure sulla prevenzione della violenza e la punizione dei responsabili.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) La comunità internazionale da anni discute il tema della violenza contro le donne, che continuano comunque a essere vittime di violenza: un quinto delle donne europee ha subito almeno un atto di violenza. L’Unione europea deve dotarsi di una legislazione che le consenta di porre fine a questa tragedia. Sebbene la Commissione europea abbia presentato numerose iniziative per eliminare questo crimine che colpisce milioni di donne in tutto il mondo, anche presentando un nuovo Piano d’azione sulla parità di genere (2010-2015), l’Unione non può comunque stare a guardare quando la violazione dei diritti fondamentali delle donne rimane impunita, soprattutto per quanto concerne: abusi sessuali, mutilazione genitale femminile e matrimoni coatti, tratta degli esseri umani e prostituzione, mancanza di tutela legale, eccetera. Concordo sulla necessità di ulteriori studi in materia, per disporre di dati scientifici quanto più dettagliati possibile. Non possiamo rimanere inerti. Accolgo con favore le proposte della relatrice, particolarmente in merito alla creazione di centri di accoglienza per le vittime, di un numero di emergenza e di un Anno europeo per la lotta alla violenza contro le donne.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La violenza contro le donne, nelle sue molteplici forme (violenza domestica e sessuale, prostituzione, tratta di donne, molestie sessuali e psicologiche e violenza contro le donne sul posto di lavoro), costituisce una grave violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sia a livello individuale sia collettivo, con conseguenze sociali molto negative. La prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne devono essere obiettivi strategici, strettamente collegati all’aspirazione al progresso che la nostra civiltà persegue.
Secondo alcuni studi sulla violenza di genere dal 20 al 25 per cento della popolazione femminile europea è stato vittima di atti di violenza fisica almeno una volta nel corso della propria vita adulta e circa il 10 per cento ha subito violenza sessuale. Inoltre, circa il 26 per cento dei bambini e dei giovani subisce violenza fisica nel corso di infanzia e adolescenza, un dato particolarmente allarmante se teniamo in considerazione le premesse dell’apprendimento sociale, secondo cui la vittima di oggi potrebbe diventare l’aggressore di domani.
É importante mettere in pratica gli orientamenti contenuti nella presente relazione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Accogliamo con soddisfazione l’adozione della relazione presentata da un membro del nostro gruppo, l’onorevole Svensson, che è anche presidente della commissione parlamentare per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere.
La violenza contro le donne, che comporta conseguenze sociali molto gravi, costituisce una grave violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, a livello individuale e collettivo,; queste violenze e comprende un’ampia gamma di violazioni dei diritti umani, che includono violenza domestica, violenza sessuale, prostituzione, tratta di donne, molestie sessuali e psicologiche e violenza contro le donne sul luogo di lavoro.
La prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne sono obiettivi strategici fondamentali, strettamente collegati all’aspirazione al progresso che la nostra civiltà persegue.
Secondo alcuni studi sulla violenza di genere dal 20 al 25 per cento della popolazione femminile europea è stato vittima di atti di violenza fisica almeno una volta nel corso della propria vita adulta e circa il 10 per cento hanno subito violenza sessuale. Circa il 26 per cento dei bambini e dei giovani subisce violenza fisica nel corso di infanzia e adolescenza, un dato particolarmente allarmante se teniamo in considerazione le premesse dell’apprendimento sociale…
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 170 del regolamento)
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la violenza contro le donne è un male della nostra società che dobbiamo combattere ad ogni costo. Questa risoluzione però non può trovare il mio sostegno vista l'eccesiva attenzione che a mio avviso viene data alla donne migranti. Quest'attenzione, soprattutto in questo periodo, dovrebbe essere realmente visibile da parte dell'UE e dei suoi governanti e non dovrebbe limitarsi a belle diciture di sostegno nei progetti europei.
Catherine Grèze (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Il mio gruppo è diviso sulla questione. Ho votato a favore dell’emendamento n. 19 e del considerando J alla voce “prostituzione” perché ritengo che la prostituzione sia senza alcun dubbio un atto di violenza contro le donne.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Troppo spesso la violenza contro le donne è ignorata: dal 20 al 25 per cento delle donne europee sarà soggetto a violenza fisica almeno una volta nel corso della propria vita adulta. La scorsa settimana, il Parlamento europeo ha adottato una relazione sul tema e sulla necessità di creare un quadro politico in quest’ambito, e ne sono lieta. La nostra relazione invita tutti gli Stati membri a considerare la violenza contro le donne come un crimine e a creare quindi uno strumento di diritto penale per combatterla. Ho votato a favore dell’introduzione di un meccanismo che semplifichi l’accesso a una tutela legale gratuita e della creazione di servizi di sostegno psicologico urgente e gratuito per le vittime. Sostengo anche gli emendamenti che riconoscono il “grave problema della prostituzione” e che considerano il fenomeno come parte della violenza contro le donne. Ho votato a favore del riconoscimento di stupro e violenza sessuale quali reati penali, anche se commessi all’interno del matrimonio o di una relazione intima.
Roberto Gualtieri (S&D), per iscritto. − Un quadro normativo europeo per la lotta alla violenza contro le donne rappresenta un passo in avanti indispensabile all'interno di una strategia globale. Soltanto un insieme di azioni di tipo giuridico, sociale, economico e di prevenzione potranno aiutare a risolvere un problema non così lontano dalle nostre realtà, dal momento che nell'Unione europea oltre un quarto delle donne ha subito violenze nel corso della sua vita. La violenza contro le donne non conosce differenze di età, di origine etnica o culturale, e resta un problema invisibile che tuttavia ha costi umani, sociali ed economici molto elevati.
L'Unione europea deve affermare il suo ruolo attivo nel combattere le discriminazioni verso le donne ed è per questo che la relazione Svensson sostiene la Commissione europea nei suoi sforzi di elaborare un quadro normativo chiaro e omogeneo nel contesto del Programma di Stoccolma.
Accolgo quindi con favore la richiesta di uno strumento di diritto penale che definisca la violenza contro le donne come un vero e proprio crimine, attraverso l'elaborazione di una direttiva contro la violenza di genere, da associare alle molteplici iniziative di formazione, prevenzione e sensibilizzazione per combattere tutte le forme di abusi contro le donne.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione, perché nel XXI secolo lo stupro deve essere considerato un reato penale in tutta Europa e i responsabili devono affrontare un’azione penale e scontare una pena. Non è accettabile che oggi, a seconda del paese in cui vivono, non tutte le vittime di questo orribile reato abbiano le stesse possibilità di ottenere giustizia e i danni per la violenza subita. Ora è il turno di Consiglio e Commissione, che certamente non ostacoleranno questo passo fondamentale per aiutare le donne vittime di violenza a ottenere un risarcimento per le proprie sofferenze.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore della relazione perché dobbiamo porre fine a tutte le violazioni dei diritti umani alle violenze contro le donne. Secondo il Piano d’azione che attua il Programma di Stoccolma approvato lo scorso anno, la Commissione deve preparare urgentemente una strategia sulla lotta alla violenza contro le donne. Nel contempo, gli Stati membri devono garantire che personale sanitario, operatori sociali, forze dell’ordine e altre istituzioni si perfezionino per rispondere tempestivamente e con professionalità ai casi di violenza contro le donne.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. − (PL) Indubbiamente la dignità umana e il diritto alla sicurezza sono valori fondamentali che devono essere tutelati. La stessa parola “violenza” è così fortemente connotata di sentimenti negativi che molte persone cercano di cambiare discorso quando si parla di violenza di genere. Il nostro lavoro, però, consiste nell’affrontare questioni difficili e intervenire cui qualora si debba indirizzare la società nella giusta direzione nell’ambito di questioni politiche e giuridiche. Non possiamo dimenticare che la violenza contro le donne, che include la violazione della dignità, abusi sessuali, matrimoni coatti e mutilazioni, non è soltanto un problema delle donne, ma è un problema dell’intera società che contribuisce in larga misura alla sua diffusa disgregazione. I costi totali sono sottovalutati.
Tutti noi partecipiamo alle spese risultanti da simili violenze: spese di assistenza sanitaria, cure psicologiche, processi e assistenza sociale. Spesso le vittime non sono in grado di mantenere il proprio lavoro. Gli Stati membri devono prendere in considerazione la possibilità di elaborare un piano per lottare contro la violenza di genere.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, onorevoli colleghi, il Parlamento europeo ha approvato la proposta di risoluzione relativa alla definizione di un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne. Ho sostenuto con forza e convinzione la risoluzione in quanto ritengo necessario che la risposta a questa piaga sociale debba essere data unitariamente dall'Unione europea, mediante la previsione di un'azione politica congiunta ed efficace. La violenza sulle donne, sia essa fisica, psicologica o sessuale è un'espressione di inciviltà che l'Europa deve ripudiare, una piaga produttrice di traumi che si ripercuotono, influenzandola inesorabilmente, sulla vita sociale delle donne. Le statistiche in nostro possesso disegnano un quadro triste e desolante. Una donna europea su quattro è stata vittima, almeno una volta nella vita, di violenza. Pertanto, credo che l'individuazione di strumenti giuridici unitari, la possibilità di fruire del patrocinio gratuito, la creazione di centri di accoglienza in grado di fornire sostegno psicologico e morale e l'attivazione di un numero di emergenza unico in tutta Europa, siano le priorità che l'UE deve perseguire con la sua azione.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione. La violenza di genere è innanzi tutto una questione di diritto penale. La società civile deve reagire con pene proporzionate alla gravità del reato. Quando si stabiliscono le priorità di utilizzo delle risorse pubbliche è importante non perdere di vista la prospettiva delle vittime, in quanto sono loro che oggi necessitano di tutela specifica. Ciò non toglie che ci si possa preoccupare anche dei colpevoli, ad esempio attraverso la terapia della parola o altri metodi atti a contrastare un atteggiamento violento. Questa forma di trattamento alternativo diretto ai responsabili di gravi abusi nei confronti delle donne non deve comunque mai sostituire la sanzione prevista dalle sentenze penali. La terapia della parola o altri tipi di trattamento analoghi possono soltanto integrare altre pene, quali la detenzione.
La violenza è per molti versi conseguenza di una relazione di potere iniqua tra uomini e donne ed è l'espressione del rapporto di dominanza e sottomissione tra l’aggressore e la vittima. Una terapia della parola cui partecipino entrambe le parti in causa non può quindi essere prevista per questi reati, dal momento che per loro stessa natura impediscono un confronto delle parti su base paritaria ed egualitaria.
Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della risoluzione poiché la violenza contro le donne continua ad affliggere l’Europa e il mondo, nonostante le campagne che la comunità internazionale porta avanti da decenni. Simili reati colpiscono le vittime dirette in primo luogo, ma si ripercuotono anche su libertà e democrazia. Ho votato a favore della relazione perché stabilisce una serie di provvedimenti immediati necessari per garantire una vita dignitosa alle donne, sebbene siano chiaramente necessarie anche misure politiche, giuridiche e sociali a lungo termine per eliminare la violenza di genere.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) Ogni forma di violenza deve essere condannata, soprattutto quella che colpisce chi non è in grado di difendersi, ovvero bambini, anziani e donne. In questo caso, è responsabilità del Parlamento presentare un insieme di azioni infrastrutturali, giuridiche, giudiziarie, esecutive, didattiche, sanitarie e interventi di altro genere nel settore dei servizi che potranno ridurre in modo significativo questo tipo di violenza e le sue conseguenze.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. − (ES) Ho votato a favore della relazione Svensson sul nuovo quadro politico dell’UE in materia di lotta alla violenza contro le donne perché è un argomento che mi preoccupa molto. Dal 20 al 25 per cento delle donne europee ha subito violenze fisiche almeno una volta nel corso della propria vita adulta e oltre il 10 per cento ha subito abusi sessuali. Ritengo sia giunto il momento di porre fine a simili violenze e questo sarà possibile soltanto raggiungendo una vera parità fra uomini e donne. Inoltre, sono convinto che lo stupro debba essere considerato un reato penale in tutta l’Unione europea e i responsabili debbano essere processati. La relazione presenta anche una nuova forma di lotta contro questo male della società, non solo attraverso processi penali, ma anche attraverso la tutela e la prevenzione da posti di lavoro non sicuri, dalla disoccupazione e dalla povertà che portano le donne a situazioni di dipendenza, rendendo loro impossibile una libera scelta sul proprio futuro. È quindi necessaria una direttiva europea contro la violenza di genere e gli Stati membri devono adottare provvedimenti a tal fine quanto prima.
Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. − (EN) La violenza maschile contro le donne costituisce una violazione strutturale dei diritti umani delle donne della quale il 45 per cento delle donne europee è stato vittima. Si stima che il costo totale della violenza domestica all’interno dei 27 Stati membri sfiori i 16 miliardi di euro. La violenza contro le donne non conosce confini geografici, limiti di età, differenze culturali o di classe, ma rimane invisibile e le vittime sono messe a tacere. Nel 2008, ho presentato alcune modifiche al codice penale della Repubblica lettone in materia di violenza domestica, che sono state purtroppo rifiutate dal parlamento lettone. Ho votato a favore della presente relazione.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Sebbene negli ultimi decenni vi siano stati progressi in materia di lotta alla violenza contro donne e bambini, abbiamo ancora molta strada da percorrere. L’apatia e lo pseudomoralismo della società devono farci riflettere. Le prime fasi della violenza, quali invadenza, commenti osceni e molestie, che molti immigrati rivolgono alle donne occidentali quotidianamente, sono sempre più spesso considerati normali. L’indifferenza nei confronti delle donne ha raggiunto il picco quando un giudice tedesco ha fatto riferimento al diritto del marito di utilizzare punizioni corporali sancito dal Corano quale fattore decisivo in un caso di divorzio musulmano.
Consentendo l’immigrazione, l’Unione europea ha importato problemi da ogni parte del mondo, tra cui delitti d’onore, matrimoni coatti e violenza domestica all’interno di strutture familiari patriarcali. La cultura, la religione e le tradizioni non devono essere utilizzate per giustificare gli atti di violenza. L’iniziativa proposta include numerose buone idee, ma rimane piuttosto superficiale e per questo motivo ho deciso di astenermi dal voto.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) La relazione evidenzia numerosi casi di violenza contro le donne, quali abusi sessuali, violenza fisica all’interno della famiglia, prostituzione, matrimoni coatti, mutilazioni genitali. Purtroppo, questi atti orribili hanno luogo anche nelle nostre società dell’Unione europea. La relazione lo sottolinea, ma non riesce a giungere alla radice del problema, che spesso si trova in società parallele, strutture islamiche arcaiche o gruppi organizzati di trafficanti. Dobbiamo aumentare gli sforzi in questo settore e per questo mi sono astenuto dal voto.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione sulla violenza contro le donne, un’iniziativa che consentirà di aiutare le donne in Europa a condurre una vita decorosa. Secondo i dati, circa un quinto delle donne europee è stato vittima di violenza e il 20 per cento ha subito violenze da persone vicine. Le disposizioni presentate nella relazione per la lotta alla violenza contro le donne sono importanti in quanto il testo: esorta gli Stati membri a punire i colpevoli in funzione della gravità del crimine perpetrato (abuso sessuale, tratta di esseri umani, matrimoni coatti, mutilazioni genitali); fornisce le risorse necessarie ad aiutare le vittime della violenza, quali tutela legale e centri di accoglienza; fornisce assistenza legale alle vittime e richiede che ogni forma di violenza di genere sia soggetta a pubblica accusa; stabilisce la necessità di una maggiore informazione alle giovani donne attraverso un’educazione adeguata ai rischi che corrono. Ho comunque votato contro la proposta di aumentare il numero di tribunali specificamente preposti a trattare i casi di violenza di genere perché una proposta di questo tipo crea discriminazioni inaccettabili in conflitto con il principio di uguaglianza di genere.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. − (PT) Dobbiamo rompere il silenzio che circonda tutti i reati, in questo caso quelli basati sul genere. Crimini quali violenza domestica, abusi sessuali, tratta di esseri umani, mutilazione genitale e altre forme di violazione dell’integrità delle donne e in particolare delle ragazze, devono essere resi pubblici e contrastati in modo più efficace. Una maggiore consapevolezza della violenza di genere permetterebbe una maggiore sensibilizzazione della società al problema. La presente relazione d’iniziativa del Parlamento europeo mira a riunire una serie di provvedimenti necessari a garantire una vita decorosa alle donne europee. Nonostante da decenni si parli della questione della violenza contro le donne, la comunità internazionale non è riuscita a porre fine a questa forma di criminalità estremamente distruttiva. L’Unione europea deve adottare la legislazione necessaria a porre fine a questa violenza e gli Stati membri devono elaborare piani d’azione nazionali per combattere la violenza di genere. Per questi motivi ho votato a favore della relazione.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Care colleghe e cari colleghi, la violenza contro le donne è un problema internazionale ed europeo. Per violenza di genere si intendono violazioni sotto forma di violenza nelle relazioni familiari, abusi sessuali, tratta degli esseri umani e prostituzione, matrimoni coatti, mutilazioni genitali e altre forme di violazione dell'integrità personale che colpiscono in particolare le donne e le ragazze. A tal proposito, è necessario adottare una serie di misure di natura politica, sociale e giuridica per poter garantire alle donne europee una vita decorosa. Nella sua relazione d'iniziativa, il Parlamento europeo sottolinea che è possibile eliminare tale violenza innanzitutto garantendo una protezione legislativa completa e coerente della loro integrità. È altresì necessario registrare la portata di questo tipo di criminalità; sensibilizzare i tribunali in merito alle implicazioni dell'abuso sessuale; individuare questo tipo di violenza precocemente, attraverso un lavoro attivo e preventivo; assicurare certezza giuridica dell'indagine e del processo; istituire nuovi centri di accoglienza ed un numero di emergenza per le vittime; sostenere la ricerca in tale ambito. Sulla base delle osservazioni che precedono, esprimo il mio voto favorevole al fine di attuare concretamente tutti i provvedimenti necessari per contrastare questo tipo di violenza ed elaborare piani d'azione efficaci per contrastarla.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. − (EN) Nonostante da decenni si parli della questione della violenza contro le donne, la comunità internazionale non è riuscita a porre fine a questa forma di criminalità estremamente distruttiva. Si tratta di un problema complesso che richiede di proteggere l'integrità delle vittime ma anche di salvaguardare importanti interessi sociali comuni, quali la libertà e la democrazia.
Devono essere istituiti centri di accoglienza per le donne al fine di aiutare le donne e i bambini a vivere una vita autodeterminata e libera dalla violenza e dalla povertà. Questi centri devono offrire servizi specializzati, cure mediche, assistenza legale, consulenza psicosociale e terapeutica, un aiuto legale durante i procedimenti giudiziari, un sostegno ai bambini vittime della violenza, e così via. Gli Stati membri devono garantire finanziamenti adeguati affinché i centri di accoglienza possano rispettare gli standard internazionali per quanto concerne il lavoro con donne che hanno subito violenze e i loro figli.
Gli Stati membri devono fornire i mezzi necessari alle organizzazioni delle donne e alle ONG per proteggerle e tutelarle dalla violenza e dalla povertà, garantendone i diritti sociali ed economici affinché non dipendano finanziariamente da un marito o partner e promuovendone l’inserimento nel mercato del lavoro.
Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della risoluzione poiché la violenza contro le donne continua ad affliggere l’Europa e il mondo, nonostante le campagne che la comunità internazionale porta avanti da decenni. Simili reati colpiscono le vittime dirette in primo luogo, ma si ripercuotono anche su libertà e democrazia. Ho votato a favore della relazione perché stabilisce una serie di provvedimenti immediati necessari per garantire una vita dignitosa alle donne, sebbene siano chiaramente necessarie anche misure politiche, giuridiche e sociali a lungo termine per eliminare la violenza di genere.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) In Europa, una donna su quattro ha subito violenze fisiche nel corso della propria vita adulta e oltre una su dieci è stata vittima di violenze sessuali che comportano l’uso della forza. Di fronte a questi dati dobbiamo agire con urgenza e combattere la violenza contro le donne nell’Unione europea. Sostengo quindi la relazione dell’onorevole Svensson. Lo stupro, che ancora in numerosi Stati membri non è riconosciuto quale reato penale, e altre forme di violenza sessuale contro le donne devono essere considerati reati in tutti i paesi dell’Unione e i responsabili devono essere giudicati. Per tutelare le donne migranti e richiedenti asilo, chiedo la predisposizione di un quadro giuridico che accordi alle donne migranti il diritto di possedere personalmente il proprio passaporto e il proprio permesso di soggiorno e che consenta di ritenere penalmente responsabile chiunque s'impadronisca di tali documenti. Inoltre, , per consentire alle vittime di far valere i propri diritti, chiedo la semplificazione dell’accesso all’assistenza legale, che deve essere gratuita. Avrei preferito che questo punto fosse espresso chiaramente nella relazione.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto. – (CS) É importante combattere la violenza contro le donne, che può assumere molte forme e lascia segni indelebili sul corpo e sulla mente, spesso portando le vittime al suicidio. Sono soddisfatta della creazione di un nuovo quadro per la lotta dell’Unione contro questo fenomeno inaccettabile e sono lieta di votare a favore della relazione. Non ho potuto, però, votare le parti della relazione che sostenevano l’interruzione artificiale della gravidanza poiché non concordo: anche gli esseri umani non ancora nati hanno diritto alla vita.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) La violenza contro le donne è un problema internazionale ed europeo. Nonostante da decenni si parli della questione della violenza contro le donne, la comunità internazionale non è riuscita a porre fine a questa forma di criminalità estremamente distruttiva. È doloroso constatare come ancora non si riesca a proteggere le donne dalla violenza. Si tratta di proteggere l'integrità delle vittime ma anche di salvaguardare importanti interessi sociali comuni, quali la libertà e la democrazia.
L'Unione europea deve assumersi la propria responsabilità e attuare i provvedimenti legislativi necessari per porre fine a questa violenza. Nella presente relazione strategica, la relatrice riunisce una serie di misure indispensabili per garantire alle donne europee una vita decorosa. Eppure, poiché il considerando J definisce la prostituzione una violazione dei diritti umani, e ricordando il nostro impegno per regolamentare questo settore, alcuni membri del nostro gruppo si sono astenuti.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − La relazione sulla lotta alla violenza contro le donne è un testo sul quale avrei voluto esprimere un voto favorevole perché l'intento era quello di predisporre un intervento globale per proteggere le donne vittime della violenza. Si affrontano in modo chiaro gli abusi sessuali, la prostituzione, la mutilazione genitale femminile, lo stalking, la tratta di esseri umani e le violenze domestiche, insomma una serie di violazione dei diritti delle donne.
Il problema, come spesso accade al Parlamento europeo, è che ogni testo va bene per inserire argomenti che invece dovrebbero essere trattati esclusivamente in testi autonomi. In questo caso, si interviene sui diritti delle donne migranti e delle rifugiate costituendo di fatto una categoria privilegiata di donne rispetto alle cittadine europee. Per questo semplice motivo il mio voto è di astensione perché, pur condividendo l'articolato, non posso accettare la strumentalizzazione politica.
Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della presente risoluzione perché introduce un quadro per una nuova politica europea di lotta alla violenza contro le donne. Il testo propone una serie di misure politiche precise per la lotta alla violenza contro le donne, tra cui azioni contro la tratta degli esseri umani, a mio avviso particolarmente importanti alla luce del preoccupante aumento di questo fenomeno nell’Unione, in particolare ai danni di donne e bambini. Questo traffico può essere contrastato attraverso una cooperazione transnazionale tra Unione europea, ovvero la destinazione finale degli scambi, e i paesi di origine, ovvero il punto di partenza. Invito la Commissione ad agire in questa direzione.
Brian Simpson (S&D), per iscritto. − (EN) Darò il mio sostegno alla relazione Svensson perché evidenzia il problema della violenza contro le donne. Non è un tema nuovo, ma è una questione costantemente ignorata, nascosta sotto il tappeto, tenuta in famiglia. Dobbiamo porre fine a questo atteggiamento non solo sollevando il problema, ma anche presentando misure che lo affrontino e garantiscano alle donne la tutela di cui hanno diritto.
Concordo sulla necessità di garantire l’accesso all’assistenza legale alle donne vittime di violenza, ma sarà impossibile raggiungere questo traguardo se gli Stati membri continuano a ridurre i finanziamenti alla tutela legale. Concordo anche sulla necessità di formazione dei giudici per i casi particolarmente difficili legati alla violenza contro le donne. Come possiamo riuscirci con i continui tagli ai finanziamenti?
Gli Stati membri devono fare di questo tema in una priorità politica, stabilendo i requisiti e gli obblighi minimi per le vittime di abusi. La presente relazione ci fornisce un quadro e merita il nostro pieno sostegno, ma è anche necessario intervenire in merito attraverso c un’azione da parte degli Stati membri.
Laurence J.A.J. Stassen (NI), per iscritto. – (NL) La violenza contro le donne è riprovevole e deve essere affrontata con determinazione. Il Partij Voor de Vrijheid (PVV) concorda pienamente con la relazione. Ciononostante, il testo non menziona mai il ruolo dell’Islam; si fa riferimento a “pratiche tradizionali o religiose” soltanto una volta e in modo molto generico al paragrafo 3, sebbene è risaputo che, soprattutto nel mondo islamico, la violenza contro le donne è all’ordine del giorno. Del resto, l’oppressione delle donne è parte intrinseca dell’Islam.
Il PVV auspica che la violenza contro le donne sia affrontata, ma vota contro la presente relazione perché non menziona i moventi e il background dei responsabili. Non citando esplicitamente l’Islam tra le cause del problema, perdiamo una grande opportunità di affrontare questa forma specifica di violenza contro le donne.
Catherine Stihler (S&D), per iscritto. − (EN) Ho dato il mio sostegno alla relazione che avanza proposte per affrontare la violenza contro le donne in tutta Europa ed esorta gli Stati membri a rendere questo tema una priorità.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. − (PT) Il problema della violenza in generale e della violenza contro le donne in particolare è una questione globale che coinvolge tutti i paesi del mondo. Non esiste una definizione internazionale di violenza di genere e i dati disponibili sono molto diversificati e non forniscono un’indicazione della reale portata del problema. Secondo alcuni studi sulla violenza di genere dal 20 al 25 per cento della popolazione femminile europea è stato vittima di atti di violenza fisica almeno una volta nel corso della propria vita adulta. La violenza contro le donne assume un’ampia gamma di forme. Le dimensioni storiche e strutturali del fenomeno richiedono misure a livello europeo e internazionale. è quindi necessario agire in tutti i settori della vita pubblica per aumentare sensibilizzare i cittadini attraverso le sei “P”: politica, prevenzione, protezione, procedimenti giudiziari, provvedimenti e partenariato. Ho votato a favore della presente relazione d'iniziativa del Parlamento, perché ritengo che ogni tipo di violenza debba essere soggetto a sanzioni penali e sociali.
La normativa europea, sotto forma di direttiva, basata sull’educazione, sull’effettiva tutela delle vittime, sulla cooperazione con le organizzazioni non governative (ONG) e sull’istituzione di un Anno europeo contro la violenza contro le donne, è un esempio delle misure da adottare per combattere questa piaga sociale, che ha conseguenze negative su tutta la società europea.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. − (EN) Gli appelli per rendere le violenze sessuali e domestiche contro le donne un reato penale in tutti gli Stati membri hanno il mio pieno sostegno. Esorto la Commissione a presentare urgentemente proposte per l’attuazione di misure solide contro la violenza di genere e a tutela delle vittime in tutta l’Unione. Le diversità attualmente esistenti tra Stati membri devono essere appianate con l’introduzione di leggi nazionali coerenti. Mi auguro che la presente risoluzione rappresenti un passo in avanti verso una direttiva europea per combattere la violenza di genere.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione presentata dall’onorevole Svensson, deputata svedese del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica e presidente della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere. Lo stupro e tutte le altre forme di violenza sessuale devono essere riconosciute quali reati in tutti i paesi dell’Unione e i responsabili devono essere automaticamente perseguiti.
Concordo con l’amica e collega, l’onorevole Svensson, quando afferma che le donne sono vittime della violenza di genere; non dobbiamo però considerare le donne, incluse quelle che hanno subito violenze, semplicemente delle vittime. Il ruolo delle istituzioni è di aiutarle a ritrovare la propria autostima e a costruirsi una nuova vita migliore, per se stesse e per i figli. Dobbiamo evidenziare le cause di questa violenza, a partire da una valutazione degli stereotipi di genere che colpiscono uomini e donne, fin dalla giovane età.
La risoluzione invita a predisporre un quadro giuridico che accordi alle donne migranti il diritto di possedere personalmente il proprio passaporto e il proprio permesso di soggiorno e che consenta di ritenere penalmente responsabile chiunque s'impadronisca di tali documenti.
Ora attendiamo proposte per una strategia e un piano d’azione da parte della Commissione: dobbiamo agire.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. − (DE) Ho votato a favore della presente relazione perché la violenza contro le donne è un problema globale che la comunità mondiale non è ancora riuscita a risolvere. La violenza contro le donne si trova a tutti i livelli della società e non è riconducibile a una specifica cultura, livello di istruzione, età o reddito. Le donne corrono i rischi maggiori all’interno delle proprie case; la violenza domestica è infatti la principale causa di lesioni alle donne, più comune dell’unione di incidenti stradali e tumori. Le vittime subiscono conseguenze negative sulla salute, sulla propria autostima e sulla sicurezza e non riescono più a prendere parte alla vita pubblica o al mercato del lavoro. I responsabili di simili violenze causano sofferenze permanenti a donne e bambini e costituiscono un problema sociale perché i costi conseguenti in ambito di sanità e giustizia ammontano a diversi miliardi di euro. I colpevoli devono quindi essere giudicati per le proprie azioni e soggetti alla pubblica accusa. La violenza contro le donne deve essere finalmente portata alla luce ed eliminata.