Indice 
Resoconto integrale delle discussioni
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Martedì 5 aprile 2011 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 3. Conclusioni del Consiglio europeo (24-25 marzo 2011) (discussione)
 4. Turno di votazioni
  4.1. Mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione: Polonia - Podkarpackie - Fabbricazione di macchinari (A7-0059/2011, Barbara Matera) (votazione)
  4.2. Flussi migratori causati dall'instabilità: portata e ruolo della politica estera dell'UE (A7-0075/2011, Fiorello Provera) (votazione)
  4.3. Ruolo delle donne nell'agricoltura e nelle zone rurali (A7-0016/2011, Elisabeth Jeggle) (votazione)
  4.4. Finanziamenti dell'UE nell'ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri (A7-0054/2011, Marian-Jean Marinescu) (votazione)
  4.5. Mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione: Repubblica ceca - Unilever (A7-0060/2011, Barbara Matera) (votazione)
  4.6. Prodotti e tecnologie a duplice uso (A7-0028/2011, Jörg Leichtfried) (votazione)
  4.7. Crediti all'esportazione che beneficiano di sostegno pubblico (A7-0364/2010, Yannick Jadot) (votazione)
  4.8. Quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne (A7-0065/2011, Eva-Britt Svensson) (votazione)
 5. Dichiarazioni di voto
 6. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 7. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 8. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 9. Ora delle interrogazioni al Presidente della Commissione
 10. Quadro europeo di coordinamento delle strategie nazionali per l’integrazione dei rom (discussione)
 11. Stato di previsione delle entrate e delle spese per il 2012 - Sezione I - Parlamento (discussione)
 12. Tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea - Lotta contro la frode (discussione)
 13. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
 14. Statuto e finanziamento dei partiti politici a livello europeo (discussione)
 15. Accordo di pesca CE/Comore - Azione finanziaria della Comunità per l’attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare - Pesca - misure tecniche transitorie - Importazione di prodotti della pesca della Groenlandia (discussione)
 16. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 17. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. BUZEK
Presidente

 
1. Apertura della seduta
Video degli interventi
  

(La seduta inizia alle 09.05)

 

2. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

3. Conclusioni del Consiglio europeo (24-25 marzo 2011) (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente . − L’ordine del giorno reca la dichiarazione del Presidente del Consiglio europeo: Conclusioni del Consiglio europeo (24-25 marzo 2011). Il Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, prende la parola.

 
  
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  Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo. (EN) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione europea, onorevoli deputati, nello spazio di 49 giorni ho presieduto tre riunioni del Consiglio europeo e un vertice dei capi di Stato e di governo della zona euro. Tale circostanza basta a dimostrare quanto siano urgenti e vaste le sfide che la nostra Unione si trova ad affrontare, sia sul fronte economico che su quello diplomatico; e prova altresì che le riunioni del Consiglio europeo non sono eventi isolati, bensì elementi di un processo. Nella riunione di cui vi riferisco oggi (quella del 24 e 25 marzo) abbiamo approvato una serie di importanti misure economiche che erano state preparate e discusse nel corso dell’anno precedente, abbiamo impresso un salto di qualità alla nostra azione relativa alle attuali vicende della Libia e abbiamo avviato una risposta alla catastrofe che ha colpito il Giappone. Permettetemi di analizzare separatamente ciascuno di questi problemi.

Per quanto riguarda i problemi economici, abbiamo presentato un pacchetto di misure vasto e organico. Sfruttando l’impulso fornito da riunioni precedenti – tra cui il vertice informale della zona euro tenutosi l’11 marzo – siamo riusciti a unire in quest’impresa quasi tutte le forze. Ovviamente, approvare misure e procedure per affrontare la crisi non significa automaticamente uscire dalla crisi stessa; a tal fine sarà indispensabile uno sforzo tenace e intenso. Non elencherò nei dettagli tutte le decisioni prese, che potrete reperire nelle conclusioni; vorrei però sintetizzare sei punti chiave.

In primo luogo, abbiamo raggiunto un accordo sull’emendamento al trattato necessario per conferire piena certezza giuridica al meccanismo permanente di stabilità. Con la risoluzione del 15 dicembre il Parlamento ha chiesto di apportare al trattato una lieve modifica per fornire una base giuridica a tale meccanismo, anziché ricorrere a una radicale modifica del trattato. Abbiamo aderito a quest’approccio e ho accolto con grande soddisfazione la schiacciante maggioranza con cui il Parlamento, il 23 marzo, ha approvato la proposta di emendamento al trattato. Sono lieto soprattutto che siamo stati in grado di rassicurare il Parlamento in merito ad alcune preoccupazioni che erano emerse in tale contesto. Ringrazio i relatori, onorevoli Brok e Gualtieri, per la stretta collaborazione che hanno allacciato con me allo scopo di approdare a questo risultato.

In secondo luogo, abbiamo concluso un accordo dettagliato su dimensioni, raggio d’azione e modalità operative del futuro meccanismo di stabilità, oltre che sul perfezionamento dello strumento provvisorio.

In terzo luogo, abbiamo approvato la posizione del Consiglio in merito alle sei proposte legislative sulla vigilanza macroeconomica e di bilancio in vista dei negoziati con il Parlamento. So che state lavorando intensamente su questo tema; ho anzi già incontrato i vostri relatori e mi accingo a incontrare i vostri coordinatori questo pomeriggio. Tutte le parti interessate comprendono la necessità di giungere a una conclusione entro giugno.

In quarto luogo, abbiamo iniziato il semestre europeo. Si tratta di un processo grazie al quale seguiamo l’attuazione della strategia Europa 2020, del Patto di stabilità e di crescita e della vigilanza macroeconomica; il Consiglio europeo di giugno trarrà le indispensabili conclusioni. Eserciterò un controllo personale, per scongiurare il rischio che il semestre si impantani nella palude della burocrazia.

In quinto luogo, ci siamo accordati per sottoporre rapidamente le banche a credibili prove di stress. Il compito è duplice: le banche devono effettuare le prove e i governi dovranno agire tempestivamente sulla base dei risultati delle prove stesse.

In sesto luogo abbiamo elaborato un coordinamento economico di nuovo tipo, che abbiamo denominato Patto euro plus per due ragioni: anzitutto perché concerne gli impegni ulteriori che i paesi della zona euro sono disposti ad assumersi (essi condividono la stessa moneta e desiderano intraprendere uno sforzo supplementare, che vada ad aggiungersi ad accordi e impegni già esistenti in sede di Unione europea); e poi perché è aperto anche agli altri paesi. Per tale motivo sono lieto che sei paesi non appartenenti alla zona euro abbiano già annunciato l’intenzione di aderire al Patto: si tratta di Danimarca, Polonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria e Romania. Ciascuno dei quattro Stati membri rimanenti avrà la possibilità di aderire successivamente.

Consentitemi di ribadire che l’impegno politico del Patto euro plus va ad aggiungersi a tutte le altre misure contenute nel pacchetto destinato a migliorare le prestazioni economiche degli Stati membri: il Patto di stabilità e di crescita rafforzato sulla vigilanza fiscale, la nuova vigilanza macroeconomica e l’attuazione dell’essenziale strategia Europa 2020 imperniata sulle riforme strutturali per avviare la crescita economica. Gli impegni in materia di competitività, finanze pubbliche e pensioni, occupazione e così via vanno recepiti nei programmi nazionali per la stabilità e le riforme; essi inoltre verranno valutati al massimo livello a scadenza annuale.

Per quanto riguarda l’economia vorrei formulare un’ultima osservazione. Alcuni temono che la nostra azione punti a smantellare il welfare e la protezione sociale; non è affatto così. Come ho dichiarato alle parti sociali in occasione del Vertice sociale trilaterale, si tratta anzi di salvare questi aspetti fondamentali del modello europeo. Vogliamo garantire alle nostre economie una competitività che consenta di creare occupazione e di alimentare il benessere di tutti i cittadini: ecco lo scopo del nostro operato ed ecco gli elementi principali del pacchetto economico globale che ci aiuterà a superare la crisi. Come ho notato, tali elementi costituiscono il frutto di un lungo processo, non di un’unica riunione.

Il 25 marzo 2010 il Consiglio europeo ha deciso di migliorare la governance economica europea, istituendo la task-force che ho avuto l’onore di presiedere. A un anno di distanza, stiamo varando nuove norme, strumenti nuovi e politiche più ambiziose. È stato ed è uno sforzo comune di tutte le istituzioni e quindi anche del Parlamento europeo e degli Stati membri. Si è trattato di un compito non sempre facile e non privo di risvolti drammatici, ma la volontà politica è rimasta inflessibile, la meta è chiaramente segnata e risultati significativi sono già arrivati.

Non tutti i problemi sono risolti; essi derivano dall’intreccio tra errori passati e carenza di adeguati strumenti, a livello sia nazionale che europeo. Ora però abbiamo tutte le possibilità di riparare gli errori commessi e di non ripeterli più.

Passo ora a esaminare la situazione in Libia, di cui abbiamo ovviamente discusso il 24 e 25 marzo. Abbiamo dato prova di determinazione comune; so che alcuni di voi nutrivano dei dubbi, ma abbiamo lavorato intensamente per ottenere risultati concreti. Due settimane prima, in occasione della riunione straordinaria del Consiglio europeo tenuta l’11 marzo, avevamo adottato una linea chiara in merito alla Libia; senza quella netta posizione europea, le azioni successive non sarebbero state possibili. Abbiamo deciso che gli Stati membri avrebbero preso in esame tutte le opzioni necessarie per salvaguardare la popolazione civile, purché esistessero uno stato di necessità dimostrabile, una chiara base giuridica e il sostegno degli Stati della regione.

Queste tre condizioni sono state presto soddisfatte. L’evidente stato di necessità è risultato ovvio allorché il regime ha intensificato le violenze contro la propria stessa popolazione. La base giuridica è giunta allorché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la storica risoluzione sulla Libia, pochi giorni dopo la riunione del Consiglio europeo. Il sostegno regionale è stato immediatamente offerto dalla Lega araba.

Le azioni intraprese da una coalizione di paesi europei, arabi e nordamericani per attuare la risoluzione delle Nazioni Unite hanno contribuito a proteggere la popolazione civile libica, scongiurando un bagno di sangue di enormi proporzioni e salvando migliaia di vite umane. È questo il risultato più importante, che merita porre nel massimo rilievo, al di là del processo decisionale: la foresta è più importante degli alberi.

Come tutti sappiamo, la decisione di dare il via a un’azione militare non è stata facile; sono sorti interrogativi ed esitazioni, com’è del tutto naturale. È perfettamente normale che ciò avvenga quando si discute della guerra e della pace, ma tutte le difficoltà che si sono presentate in merito a quest’aspetto della crisi libica non devono oscurare il fattivo dinamismo dimostrato dall’Unione europea. Fin dall’inizio della crisi l’Unione è stata in prima linea; è stata la prima a comminare sanzioni, la prima a imporre un divieto sugli spostamenti delle principali figure del regime, la prima a congelare i beni libici e la prima a riconoscere il Consiglio nazionale provvisorio di transizione come interlocutore, su richiesta di questo Parlamento. L’Unione ha pure coordinato l’opera di soccorso a favore dei propri cittadini e ha fornito – e continua a fornire – massicci aiuti umanitari.

Gli obiettivi politici fissati l’11 marzo rimangono immutati. Gheddafi se ne deve andare; vogliamo una transizione politica guidata dai libici stessi e basata su un vasto dialogo politico; siamo pronti ad aiutare la nuova Libia, sia dal punto di vista economico sia nella costruzione del nuovo edificio istituzionale.

Seguiamo da vicino anche gli avvenimenti che si dipanano nel resto della regione. Ben sapendo che le condizioni di ogni paese sono diverse, esprimiamo una preoccupazione particolarmente profonda per la situazione di Siria, Yemen e Bahrein. Condanniamo con forza l’intensificarsi delle violenze e siamo favorevoli a riforme politiche e sociali per i nostri vicini meridionali. Dobbiamo modificare la nostra politica, e di questo discuterò oggi stesso con numerosi deputati al Parlamento europeo responsabili per questa regione in seno alla commissione parlamentare per gli Affari esteri. Tra gli aspetti positivi va segnalato il felice svolgimento del referendum costituzionale tenuto due settimane fa in Egitto.

Consentitemi di dedicare qualche riflessione anche alla Costa d’Avorio; essa non figurava nell’ordine del giorno dell’ultimo Consiglio europeo, ma avevamo adottato alcune conclusioni in dicembre e da allora abbiamo seguito con attenzione le vicende di quel paese. In primo luogo condanniamo con la massima fermezza possibile le violenze – soprattutto quelle contro i civili – che devono cessare, da qualsiasi parte provengano. In secondo luogo l’attuale situazione deriva con ogni evidenza dal mancato rispetto della democrazia: democrazia non significa solo elezioni, ma anche rispetto per il risultato delle elezioni stesse. La comunità internazionale si è espressa nettamente in merito ai risultati delle elezioni presidenziali svoltesi in Costa d’Avorio l’anno scorso; dobbiamo mantenere la nostra posizione con coerenza.

Per quanto riguarda infine la serie di tragedie successive che si è abbattuta sul Giappone, il Consiglio europeo ha espresso partecipazione e solidarietà al popolo giapponese, insieme alle nostre condoglianze per le migliaia di vittime; non dobbiamo dimenticare queste persone, pur mentre altri aspetti del dramma di quel paese catturano la nostra attenzione. L’Unione è pronta a offrire ogni tipo possibile di assistenza e in questi giorni terribili, da amici sinceri del Giappone, vogliamo ribadire l’importanza strategica delle relazioni tra Giappone e Unione europea. Come sappiamo, gli effetti dell’attuale tragedia si ripercuotono al di là del Giappone e appunto per questo l’Unione europea ne sta traendo con attenzione estrema tutti gli insegnamenti del caso. Dedichiamo una scrupolosa riflessione alle conseguenze sull’economia globale e agli aspetti nucleari; si tratta di una priorità assoluta.

Abbiamo quindi stabilito la necessità di riesaminare con urgenza le condizioni di sicurezza di tutte le nostre centrali nucleari, svolgendo prove di stress relative alla sicurezza. La Commissione riferirà al Consiglio europeo sulle prove di stress prima della fine dell’anno; riesaminerà le norme dell’Unione europea vigenti in materia di sicurezza degli impianti nucleari e proporrà miglioramenti ovunque ciò si dimostri necessario. Vogliamo che in Europa gli standard di sicurezza nucleare siano elevatissimi, poiché l’attività tesa a garantire la sicurezza delle centrali nucleari non può arrestarsi alle frontiere; incoraggiamo i paesi vicini a effettuare analoghe prove di stress e intendiamo offrire loro l’opportuno sostegno. La soluzione migliore sarebbe quella di portare avanti una revisione degli impianti nucleari a livello mondiale.

Signor Presidente, onorevoli deputati, con queste osservazioni concludo la sintesi delle decisioni da noi prese in occasione della terza riunione di quest’anno del Consiglio europeo. In molti casi, si tratta di provvedimenti che aprono la strada a un ulteriore lavoro del vostro Parlamento, sotto forma di procedure legislative oppure del generale diritto di controllo che il Parlamento esercita sulla politica estera e di sicurezza comune. Ascolterò con grande interesse le vostre opinioni.

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione.(FR) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio europeo, onorevoli deputati, il Presidente del Consiglio europeo ci ha illustrato le decisioni adottate nel corso della riunione della settimana scorsa. Vorrei farvi partecipi della mia interpretazione di tali misure, e poi soffermarmi con voi, in particolare, sulle prossime fasi.

Mi sembra giusto rilevare che sono state adottate alcune importantissime decisioni strutturali a favore di una maggiore stabilità finanziaria nella zona euro e di un coordinamento economico più stretto. Ci troviamo quindi a una vera e propria svolta della governance economica europea, soprattutto se ci volgiamo a considerare il cammino che abbiamo percorso per giungere a questo punto.

Abbiamo finalmente gettato basi solide e adeguate per la componente economica della nostra Unione economica e monetaria; ora, ne sono convinto, avremo una base più stabile.

Disponiamo ora di un quadro che ci consentirà di rispondere insieme a qualunque crisi possa verificarsi. Ultima, ma non meno importante considerazione, nel valutare i risultati di questo Consiglio non dobbiamo trascurare il fatto che il quadro rispetta le disposizioni del trattato e si ispira a un approccio comunitario.

Come tutti sappiamo, non era questa una conclusione scontata. La Commissione ha svolto un ruolo di avanguardia nella risposta comune alla crisi economica e nel delineare una visione per l’Europa del 2020; in quest’opera ha potuto fruire dell’essenziale sostegno del Parlamento, per il quale vi ringrazio vivamente ancora una volta. Le prese di posizione che Parlamento e Commissione hanno adottato insieme a difesa dell’approccio comunitario sono state riconosciute e si sono rivelate assai importanti per giungere ai risultati in questione.

La nostra nuova architettura economica è quindi in gran parte già a punto; di per sé essa non rappresenta però una garanzia. Ora toccherà ai leader politici prendere alcune importanti decisioni per darle concretezza.

Il nuovo quadro ci impone di attuare in maniera rapida e decisa le priorità indispensabili alla crescita, in materia di consolidamento delle finanze pubbliche e riforme strutturali, che il Consiglio europeo ha già confermato, sulla base dell’analisi annuale della crescita della Commissione europea.

Confido che la nostra determinazione nelle settimane e nei mesi a venire non sarà inferiore – o anzi, spero, sarà ancor più vigorosa – di quella di cui abbiamo dato prova finora nell’articolare le varie componenti della risposta comune alla crisi in maniera compatta e coordinata: il semestre europeo, il Patto euro plus, il nuovo quadro per la governance economica rafforzata e le misure da noi adottate, in uno spirito di solidarietà e responsabilità, per conservare la stabilità finanziaria della zona euro.

Non vi nascondo che la Commissione avrebbe preferito un’azione più incisiva in svariati settori della governance economica, soprattutto per quanto riguarda il nuovo meccanismo di stabilità finanziaria della zona euro; per esempio, avremmo gradito maggiore flessibilità. Si può comunque affermare, a mio avviso, che siamo riusciti a elaborare un meccanismo ancorato al trattato, nel quale alla Commissione spetta un ruolo importante e su cui il Parlamento europeo esercita un controllo rigoroso. Abbiamo ottenuto un risultato notevole, cui ha contribuito l’approvazione dell’emendamento al trattato, votata a così vasta maggioranza dalla vostra Assemblea.

Onorevoli deputati, occorre a questo punto mettere in funzione le nuove strutture di governance per affrontare la situazione economica. In verità il clima è ancora difficile e la palla è passata ora nel campo degli Stati membri, i quali devono completare i rispettivi programmi nazionali di riforma nonché i programmi di stabilità o di convergenza.

La Commissione attenderà di ricevere da ciascuno Stato membro proposte concrete e ambiziose sulla base delle quali avanzare insieme verso i principali obiettivi della strategia Europa 2020: più occupazione, più investimenti in istruzione, formazione, ricerca e innovazione e un approccio più coraggioso alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale.

Attendiamo anche che gli Stati membri presentino le misure che andranno via via adottando per correggere i persistenti squilibri macroeconomici e migliorare la competitività e la crescita per l’occupazione.

Non appena avremo ricevuto questi documenti, saremo in grado di preparare i progetti di pareri e raccomandazioni per ciascun paese, che si potranno così adottare prima del Consiglio europeo di giugno, che segnerà la conclusione del primissimo semestre europeo.

Vorrei sottolineare che condividiamo tutti una responsabilità comune, per cui è importante che ciascuno si assuma la piena titolarità della strategia Europa 2020; tale strategia rimane il quadro fondamentale delle riforme europee per la crescita e l’occupazione. A tale proposito si può citare il paragrafo 6 delle conclusioni del Consiglio europeo, che afferma in maniera chiarissima: “Nell’attuazione di queste politiche, per ampliare la base di partecipazione si agirà in stretta cooperazione con il Parlamento europeo e le altre istituzioni e organi consultivi (CESE e CdR) dell’UE, coinvolgendo pienamente i parlamenti nazionali, le parti sociali, le regioni e gli altri soggetti interessati”. Insisto su questo punto perché, come sapete, una delle critiche rivolte con maggior frequenza alla strategia di Lisbona era appunto la mancanza di titolarità del programma europeo di riforme economiche. Mi auguro che questa volta trarremo profitto dagli insegnamenti che questo processo ci può offrire e lavoreremo in maniera veramente accanita verso l’obiettivo della crescita per l’occupazione, a livello sia nazionale che europeo.

Quanto poi alla riforma della governance economica, spetta ora al Parlamento procedere verso l’approvazione finale delle sei proposte contenute nel pacchetto legislativo e mi auguro che realizzeremo in tempi rapidi un risultato ambizioso. Si tratta di un passo essenziale per la messa a punto dell’intero sistema di governance.

Mi sembra quindi che abbiamo numerosi motivi per guardare con soddisfazione ai risultati dell’ultimo Consiglio europeo, ma altrettante ragioni per continuare in un lavoro intenso e tenace: il clima economico è infatti burrascoso e imprevedibile, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti sociali che destano in tutti noi profonda inquietudine.

Nel giro di qualche settimana la Commissione intende inoltre presentare le proposte relative all’Atto per il mercato unico. Sono lieto che il Consiglio abbia dedicato tanto tempo a discutere il futuro del mercato unico, sottolineando il ruolo essenziale che il mercato unico svolge per stimolare la crescita e l’occupazione e promuovere la competitività e mettendo tra l’altro in rilievo quanto sia importante alleggerire gli oneri burocratici che gravano in particolare sulle piccole e medie imprese.

Vogliamo liberare il potenziale di crescita del mercato unico; faccio notare, a questo punto, che il consolidamento delle finanze pubbliche non è un fine in sé, ma piuttosto un mezzo per stimolare una crescita equa e sostenibile e generare occupazione.

Dal momento che abbiamo toccato il tema della crescita equa, è importante notare che il Consiglio europeo ha emesso a sua volta una decisione sulla possibilità di tassare le transazioni finanziarie internazionali; ho confermato l’intenzione della Commissione di presentare alcune proposte relative alla tassazione del settore finanziario. Siamo convinti in effetti che tutti debbano fare la loro parte per affrontare e superare la crisi.

Onorevoli deputati, come sapete il Consiglio ha discusso pure la situazione del Mediterraneo meridionale e in particolare della Libia. Il Presidente del Consiglio europeo ce ne ha tracciato un quadro estremamente dettagliato. Mi limito a segnalare che ieri ho incontrato il Primo ministro di Tunisia, cui ho ribadito il nostro sostegno alla rivoluzione democratica e la nostra disponibilità ad aiutare il popolo tunisino nella lotta per la libertà, la giustizia e il progresso sociale. In tale contesto ho anche accennato alla questione dell’immigrazione, che Tunisia e Unione europea devono affrontare insieme con spirito costruttivo nel quadro di un sincero partenariato: infatti abbiamo proposto un partenariato per la democrazia e la prosperità comune, che è stato accolto con estremo favore dal Consiglio europeo.

Il Consiglio europeo si è occupato anche di un altro argomento ossia della crisi giapponese e in particolar modo della situazione nucleare.

Ieri ho avuto anche una conversazione telefonica ricca di contenuti con il Primo ministro giapponese, che ha ringraziato l’Unione europea per le sue iniziative. Gli ho ribadito la nostra solidarietà, assicurandogli che intendiamo rimanere a fianco del Giappone. Abbiamo anche discusso la questione nucleare; il Primo ministro Kan mi ha illustrato la situazione del Giappone, con gli ultimi sviluppi in materia di sicurezza, manifestandomi la disponibilità a cooperare con noi per la sicurezza nucleare in Europa e nel resto del mondo.

Il problema nucleare suscita, com’è ovvio, crescente ansietà nell’opinione pubblica. Dobbiamo affrontare tali ansietà e garantire il massimo grado di sicurezza nucleare, operando nel contempo con assoluta trasparenza. Nelle centrali nucleari europee si effettueranno perciò prove di stress, i cui risultati saranno resi pubblici. Il Consiglio ha chiesto alla Commissione e al gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare di stabilire portata e dettagli pratici di tali test, che verranno svolti da autorità nazionali indipendenti. La Commissione esaminerà pure il quadro normativo concernente la sicurezza delle centrali nucleari ed entro la fine dell’anno suggerirà i miglioramenti eventualmente necessari.

Signor Presidente, onorevoli deputati, non dobbiamo tradire le speranze riposte nella nostra capacità di agire insieme per il bene comune d’Europa. È in questo modo che la Commissione cerca di operare quotidianamente, consapevole di poter contare sul sostegno del Parlamento, e in questo modo continueremo a operare compiendo fino in fondo il nostro dovere.

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE.(FR) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio europeo, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, l’ultimo Consiglio europeo ha avviato i nostri paesi sulla strada giusta. Incrementando la capacità del Fondo di solidarietà e rendendolo permanente, i 27 hanno dimostrato ancora una volta il proprio impegno nei confronti dell’euro e l’importanza che annettono alla solidarietà fra i paesi finanziariamente più stabili e quelli che devono affrontare momentanee difficoltà.

Contemporaneamente, la decisione di siglare un patto dell’euro fra i paesi della zona euro, in modo da oltrepassare però i limiti della zona, testimonia della volontà politica dei leader europei di trarre un insegnamento dalla crisi finanziaria.

Il fatto di condividere la stessa moneta ci obbliga a compiere scelte economiche e sociali più coerenti. L’epoca in cui i vari paesi potevano stabilire aliquote fiscali atipiche o norme sociali particolari, senza consultare dapprima i propri partner, è tramontata da tempo. Il motivo è semplice: per tutti i paesi deve essere possibile fruire della solidarietà dei partner della zona euro.

I cittadini, però, sono disposti ad accettare tale solidarietà solo se hanno la sensazione che tutti amministrino le finanze pubbliche col medesimo rigore. Da questo punto di vista, il patto dell’euro segna un importante passo in avanti verso la convergenza delle nostre economie. Il mio gruppo lo sostiene con forza, signor Presidente, ma chiede – ed io personalmente continuerò a chiedere – che venga applicato nel contesto del metodo comunitario, sotto gli auspici della Commissione. Vi state muovendo nella direzione giusta e avete svolto un lavoro positivo, ma occorre procedere ancora con il metodo comunitario sotto gli auspici della Commissione: in questo modo costruiremo l’Europa. Onorevoli colleghi, conoscete la mia testarda tenacia; ripeterò questo concetto in Aula fino a quando sarà necessario, in modo che nessuno dimentichi.

Il modello dell’economia sociale di mercato distingue l’Europa dal resto del mondo; esso si basa sulla solidarietà e i nostri concittadini ne vanno giustamente orgogliosi, ma è difficile conservarlo di fronte alla globalizzazione. Si tratta allora di capire come sia possibile garantirgli un futuro sostenibile, imboccando una giusta via di mezzo tra lo Stato-bambinaia prediletto dai socialisti – che, come abbiamo visto, ci ha portato quasi alla bancarotta – e il liberismo eccessivo i cui rischi sono apparsi evidenti nel corso della crisi finanziaria.

Per realizzare quest’obiettivo si devono soddisfare tre condizioni. In primo luogo, tutti i nostri paesi devono ridurre il proprio deficit; in secondo luogo, devono adottare norme comparabili in campo sociale, fiscale e di bilancio; in terzo luogo, devono investire insieme nell’innovazione per stimolare la crescita, che adesso è palesemente insufficiente. In effetti, l’unico metodo per conservare e rafforzare il nostro modello è di investire nei settori in crescita: energia verde, nanotecnologie, biotecnologie e così via. Poiché dal punto di vista finanziario abbiamo uno spazio di manovra limitato, il modo migliore per rispondere alla sfida della crescita e realizzare economie di scala è per noi quello di mettere in comune le competenze oltre che i capitali. Senza massicci investimenti nell’innovazione, senza un autentico piano europeo, ci precludiamo la possibilità di tenere il passo con i nostri concorrenti.

Onorevoli colleghi, dieci giorni fa, mentre i nostri capi di Stato e di governo si riunivano, la centrale nucleare di Fukushima rimaneva fonte di inquietudine e timori a livello globale e in Libia gli insorti guardavano all’Europa, sperando in un’azione decisa. In merito a questi due problemi, i nostri paesi e l’Unione europea hanno dato prova di grande senso di responsabilità.

Abbiamo offerto al Giappone le nostre competenze in campo nucleare, in un frangente che è denso di gravi difficoltà e preoccupazioni per quel paese e per l’intera comunità internazionale. Senza dubbio dovremo distinguere tra un periodo pre-Fukushima e un periodo post-Fukushima. Anche se purtroppo non lo abbiamo ancora raggiunto, il mio gruppo desidera che il dopo Fukushima sia un periodo di riflessione e azione, che consenta in primo luogo di rendere notevolmente più severe le norme che regolano la sicurezza nucleare e poi di intensificare gli sforzi nel settore dell’energia verde. Approvo il suo approccio alla questione della Costa d’Avorio, signor Presidente.

Passando infine al Mediterraneo, mi rallegro che il Consiglio europeo abbia ripetutamente invitato il colonnello Gheddafi a lasciare il potere, in modo da aprire una nuova pagina nella storia del paese. Auspico che tutti i nostri paesi si riuniscano ora per discutere una politica di vicinato per il Sud, ambiziosa e ricca di risultati positivi come quella che è stato possibile varare per l’Est negli anni Novanta.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, a chi abbia ascoltato con attenzione gli interventi dei Presidenti Van Rompuy e Barroso, saranno certo tornate alla mente le parole di una famosa canzone tedesca che suonano all’incirca così: “Tutti in coperta sulla nave che affonda”. Non c’è problema, tutto va per il meglio: abbiamo risolto ogni difficoltà con completa soddisfazione di tutti.

Da parte mia, non riesco a seguire il senso delle vostre relazioni riguardanti il Consiglio europeo; comprendo benissimo che non desideriate presentarvi qui con una relazione negativa. Se fossi Presidente del Consiglio europeo probabilmente sarei anch’io ansioso di dipingere questo Congresso di Vienna permanente con i colori più brillanti e vivaci.

Avete ricordato la Libia, ma avete taciuto sulle profonde differenze che su questo tema separano i due maggiori governi europei: sulla questione libica non c’è accordo tra Francia e Germania. Le divergenze all’interno dell’Unione europea su un problema internazionale di cruciale importanza sono la spia di una situazione che non è del tutto sotto controllo. Presidente Van Rompuy, per noi sarebbe stato più utile avere a disposizione i risultati di questa riunione del Consiglio già nel 2010. Per scongiurare la spirale negativa verificatasi lo scorso anno, soprattutto nella zona euro, avremmo dovuto attuare già nella primavera del 2010 le misure che ci siamo decisi ad adottare solo oggi.

Dobbiamo chiederci perché mai queste misure non siano state varate nella primavera del 2010; la risposta è che in seno all’istituzione da lei presieduta, il Consiglio europeo, gli argomenti da discutere e le decisioni da approvare non sono determinati dal metodo comunitario, dallo spirito comunitario e da obiettivi comuni, ma piuttosto da interessi nazionali di natura tattica che in ultima analisi prevalgono sui comuni interessi europei. Ecco uno specifico problema europeo.

Da lei, Presidente Barroso, avrei gradito un intervento un po’ più articolato; magari avrebbe potuto spiegarci come mai il partito cui lei appartiene, che in passato ha guidato e che l’ha anche condotta alla carica di Primo ministro del Portogallo, abbia ora fatto cadere, nel suo paese, un governo che stava attuando precisamente le misure richieste da lei e dal Commissario che siede accanto a lei.

(Applausi)

Non possiamo ritenerla responsabile di questi fatti: dopo tutto lei non è più il capo di quel partito. Dal capo della Commissione mi sarei però atteso una ferma presa di posizione sulle manovre politiche ordite a livello nazionale che incidono negativamente sull’Unione europea; in fondo, il governo portoghese è caduto precisamente nel momento in cui ha deciso di prendere i provvedimenti che il quadro di stabilità esigeva. Non è questo il metodo per far progredire l’Europa.

C’è un particolare che desta in me forte inquietudine, ma che nessuno di voi due ha menzionato: prima di ogni riunione del Consiglio europeo ci troviamo sempre di fronte all’identico scenario. I capi di Stato e di governo, nel progetto di conclusioni del Consiglio, hanno appena concordato una misura per stabilizzare l’euro e un paese della zona euro, e già qualche agenzia di rating nella City di Londra o a New York declassa proprio quel paese, con l’invariabile risultato di innescare un’ondata di speculazioni contro l’euro. Quando avremo il coraggio di dire: “L’Europa non si farà più dominare da questi speculatori”?

(Applausi)

Che atteggiamento dobbiamo assumere nei confronti delle banche? Presidente Barroso, sono davvero felice di sentirle annunciare una proposta per una tassa sulle transazioni finanziarie. Attualmente la Banca centrale europea presta denaro, a un tasso dell’1 per cento, a quelle stesse banche che poi concedono prestiti agli Stati membri della zona euro al tasso del 10 per cento. Nulla cambia: i responsabili della crisi continuano a trarre dalla crisi il massimo vantaggio. Proprio per questo occorre una tassa sulle transazioni finanziarie, in modo che queste banche debbano assumersi una parte dei costi della crisi finanziaria.

Presidente Barroso, lei ha ricordato la strategia Europa 2020: più occupazione, più investimenti, più ricerca e formazione, più protezione ambientale. Sembra tutto meraviglioso, tranne il particolare che tutti questi obiettivi si dovrebbero raggiungere con una quantità sempre minore di investimenti pubblici. Di conseguenza, benché Europa 2020 e il processo di Lisbona costituiscano sviluppi estremamente positivi, saranno tuttavia condannati al fallimento se ci limitiamo a tagliare unilateralmente i bilanci nel contesto dello sviluppo economico europeo. Serve il coraggio di effettuare investimenti pubblici; consideriamo il livello degli investimenti nei paesi emergenti; consideriamo il livello degli investimenti pubblici in India; consideriamo il Brasile. Guardiamo agli altri continenti e ai fondi pubblici investiti in quella sede.

L’Europa sta effettuando tagli fatali e per questo motivo sarebbe opportuno indicare come base giuridica vincolante, nel pacchetto di sei proposte legislative sulla governance economica, un metodo per raggiungere i nostri obiettivi, quelli della strategia Europa 2020. I governi a quel punto si decideranno a fare quello che finora hanno chiassosamente promesso, limitandosi poi a ostacolare lo sviluppo con i tagli al bilancio, effettuati a loro volta con tagli al bilancio dell’Unione europea. Di conseguenza, Presidente Barroso, mi attendo che lei, e più in particolare il Commissario Lewandowski responsabile del bilancio, presentiate un progetto di bilancio dell’Unione europea che sia impegnativo e ambizioso e stimoli veramente lo sviluppo che auspica.

 
  
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  Guy Verhofstadt, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, ringrazio in primo luogo il Presidente Van Rompuy per la sua relazione sul Consiglio, ma dobbiamo essere sinceri: non credo che la crisi sia passata e non credo neppure che si possa superare con le misure che stiamo adottando ora. Alle nostre porte infuria una violenta bufera.

Finora l’Unione europea si è limitata a varare misure-tampone: provvedimenti forse anche necessari, ma certo non in grado di risolvere la crisi. Abbiamo concesso 110 miliardi di euro alla Grecia e altri 67 miliardi all’Irlanda, senza contare i 24 miliardi di euro che abbiamo appena deciso di fornire alle banche irlandesi. Per il momento abbiamo 76 miliardi di euro in obbligazioni governative acquistate dalla Banca centrale europea. Vi posso assicurare che continuerà a farlo, perché al fondo di emergenza non è consentito operare sui mercati secondari; ciò significa che continuerà a operare in questo modo. Per di più, la BCE ha accettato 100 miliardi di euro di collaterali per fornire liquidità alle banche europee. In totale, quindi, negli ultimi mesi abbiamo investito 400 miliardi di euro per superare questa crisi: tre volte il bilancio dell’Unione europea! E il peggio deve ancora venire: martedì vi sarà probabilmente l’aumento dei tassi d’interesse in Europa – dall’1 all’1,25 per cento – che potrebbe peggiorare le cose. È necessario combattere l’inflazione, ma d’altra parte questo provvedimento contribuisce a peggiorare il quadro generale.

Ecco dunque la situazione: abbiamo investito 400 miliardi di euro. Ma abbiamo risolto la crisi? No, non ci siamo riusciti. Si rende perciò necessario un approccio veramente coraggioso e approfondito che per il momento non abbiamo ancora elaborato. A questo proposito vorrei citare Nout Wellink, il Presidente della banca nazionale olandese, che pochi giorni fa ha pubblicato la sua relazione annuale. Egli formula tre osservazioni in merito agli effetti delle nostre decisioni e di quelle prese nelle scorse settimane dal Consiglio: a suo parere le norme di bilancio non sono abbastanza rigorose, il pacchetto di governance economica è troppo limitato e il patto per l’euro in realtà è troppo debole, poiché non esiste un meccanismo per applicarlo. Queste affermazioni non sono mie: sto citando Nout Wellink, il Presidente della Banca nazionale olandese, il quale a sua volta ripete esattamente le parole pronunciate la settimana scorsa dal Presidente Trichet. Il terzo elemento da lui ricordato è la base eccessivamente nazionale su cui si effettua la vigilanza finanziaria.

A mio avviso il Presidente Wellink ha ragione; possiamo anzi aggiungere una serie di altri elementi, tra cui in primo luogo lo strumento europeo per la stabilità finanziaria e il meccanismo europeo di stabilità. I fondi di soccorso permanente e provvisorio non possono funzionare perché devono rispettare la norma dell’unanimità. Se manteniamo questa norma, l’intera zona euro sarà d’ora in poi ostaggio di governi e partiti politici euroscettici.

Infine – ed è questo il messaggio che voglio inviare quest’oggi – dobbiamo ancora rimettere ordine tra le banche europee. Il problema non è stato risolto e la ripresa economica in Europa non potrà iniziare se prima non lo avremo affrontato. Le banche hanno ancora nei loro portafogli i vecchi prodotti legati alla crisi finanziaria e per di più possiedono anche una serie di obbligazioni di paesi problematici, il cui rating si abbassa ogni giorno, o almeno ogni settimana.

Chiedo quindi che il Presidente Barroso e il Presidente Trichet presentino al più presto una proposta per rispondere a questa crisi in maniera globale: in altre parole un Patto di stabilità più coraggioso – il Parlamento vi sta lavorando – e un progetto per la governance economica. Esiste un’autentica governance economica? Ciò di cui disponiamo ora è un approccio intergovernativo, sprovvisto di un meccanismo di sanzioni, che non può funzionare: non ha funzionato in passato e non funzionerà in futuro. Dobbiamo presentare una proposta per abolire la regola dell’unanimità nel fondo di soccorso, che così non può funzionare; in effetti, stiamo concedendo tutto il potere ai partiti e ai paesi che si oppongono al sistema.

Infine, dobbiamo presentare un progetto per il settore bancario europeo. Non ci sarà ripresa economica fino a quando non avremo proposto un meccanismo europeo per mettere ordine tra le banche. Sappiamo tutti che un’iniziativa del genere richiederà denaro. Ricapitalizzare le banche europee, finanziare gli investimenti in Europa – come ha chiesto l’onorevole Schulz – e contemporaneamente rimediare al cattivo stato delle finanze pubbliche di alcuni Stati membri: come fare? Dove trovare il denaro? L’unico modo per raccogliere il denaro sufficiente – lo sappiamo bene – consiste nel creare un vero mercato europeo delle obbligazioni: la creazione di un mercato europeo delle obbligazioni è l’unica via d’uscita dalla crisi.

Vorrei far notare al Presidente Barroso che ora, per lui, è giunto il momento di presentare risultati concreti: il tempo stringe e il patto per l’euro, da solo, non basterà a risolvere i nostri problemi.

 
  
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  Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE.(FR) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio europeo, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, l’onorevole Schulz ha citato al Presidente Van Rompuy una popolare canzonetta tedesca; in francese ce n’è una molto simile, le cui parole dicono “Tutto va ben, madama la marchesa”.

Devo confessare il mio sbalordimento per il modo in cui le cose sono state presentate in questa sede; suvvia, non ci prenda per sciocchi, Presidente Van Rompuy. Anche se siamo lietissimi di ascoltarla, di tanto in tanto leggiamo anche i giornali e quindi sappiamo come sono andate le cose in questa riunione del Consiglio; non venga a raccontarci storielle. Sappiamo quali sono i problemi e non siamo qui per perdere tempo.

Vorrei far notare un particolare a lei e al Presidente Barroso. Voi parlate continuamente di “stabilità, crescita, occupazione, competitività”; giustissimo. Ma sapete in che forma questo messaggio giunge ai cittadini? “Disuguaglianza, senso di ingiustizia, insicurezza”: ecco quel che essi vedono; ecco come tutto questo si traduce ai loro occhi. E se l’Unione europea non cambia metodo e non cerca di offrire una risposta convincente a questo senso di ingiustizia e disuguaglianza – anzi, alla realtà della disuguaglianza e dell’insicurezza – ebbene, allora i cittadini, quando sentiranno parlare di “competitività” continueranno a pensare “vogliono prendersela con noi ancora una volta”.

Ecco quindi qual è per noi il vero problema: agli occhi dei cittadini i meccanismi di salvataggio delle banche – che, aggiungo, sono comunque necessari – significano semplicemente “per le banche va tutto bene”. Guardate i profitti delle banche; guardate gli stipendi d’oro dei dirigenti. I cittadini concluderanno: “È una follia! Si spende tutto questo denaro e a rimetterci sono sempre i cittadini e i bilanci nazionali, dal momento che le disuguaglianze aumenteranno ancora”. Negli ultimi anni le statistiche segnalano costantemente l’aggravarsi delle disuguaglianze: se non riusciremo ad affrontare questo problema, i cittadini ci volteranno le spalle e andranno ad alimentare l’ondata dell’estrema destra antieuropea che sta montando in tutta Europa. E non avrebbero torto, data la nostra incapacità di rispondere a questa sensazione di disuguaglianza, ingiustizia e insicurezza. Quindi, se non sapremo trovare una risposta convincente, saremo condannati a fallire.

Per quanto riguarda poi le euroobbligazioni, cui ha accennato l’onorevole Verhofstadt, ciò che dobbiamo annunciare ai cittadini e poi mobilitare è un fondo di difesa; se però non abbiamo fondi d’investimento, se non riusciamo a dimostrare alcuna volontà di rimettere in moto il meccanismo – proprio per questo le euroobbligazioni devono servire non solo alla difesa ma anche agli investimenti – ebbene, se non seguiamo questa strada i cittadini non capiranno più nulla e sicuramente non capiranno questa politica.

Su alcuni punti è dunque opportuno essere espliciti: per quanto riguarda le disuguaglianze, come mai oggi in Europa non è possibile adottare alcune misure sociali che sarebbero veramente comprensibili per i cittadini? Per esempio, decidere di varare un salario minimo in tutta Europa; non necessariamente allo stesso livello, basterebbe introdurre l’idea di un salario minimo. È incredibile che in un paese come la Germania, in cui si parla tanto di riequilibrio economico, nessuno accenni mai a questo problema; ed è incredibile che la Germania, uno dei pochi paesi che oggi in Europa possano vantare un attivo, non sia capace di introdurre un salario minimo per i propri cittadini. È un tema che dovremmo sollevare nel contesto della governance sociale ed economica europea.

Passiamo ora alla Libia. Le osservazioni dell’onorevole Schulz sono ineccepibili, ancorché drammatiche. Un paese come la Germania si nasconde, mentre gli altri cercano di individuare soluzioni. Su questo punto sono d’accordo; solamente, quando discutiamo di politica di vicinato, vorrei che facessimo tesoro della quantità di errori e sciocchezze che in passato abbiamo commesso in questo campo. Quali erano i nostri rapporti con il colonnello Gheddafi prima che iniziassero i bombardamenti? Che rapporti avevano i paesi europei con Gheddafi, Ben Ali o Mubarak? Cerchiamo di valutare quale valore avevano per noi le clausole sui diritti umani inserite negli accordi di associazione: non contavano un fico secco! Se non intendiamo fare una valutazione in questo senso, smettiamo almeno di mentire a noi stessi. Forse che il Consiglio europeo ha dedicato cinque soli minuti a riflettere sulle passate omissioni della nostra politica per il Mediterraneo? Avete riflettuto su questo punto? Sui giornali non ho letto nulla; non ho udito il minimo cenno a vostre dichiarazioni in materia. Se solo il Consiglio europeo fosse capace di un minimo di autocritica per i suoi fallimenti passati!

Per concludere passo al Giappone; il problema è che la forma migliore di sicurezza nucleare è la chiusura graduale delle centrali. Nel campo dell’energia nucleare non esiste il rischio zero. Non è un obiettivo che si possa raggiungere dalla sera alla mattina, ma se non abbandoneremo il nucleare non avremo mai sicurezza. Il problema non ha nulla a che vedere con la prova di stress su un unico incidente. Si tratta invece – come ha affermato il direttore dell’Autorità francese per la sicurezza nucleare, Lacoste – dell’effetto cumulativo di più incidenti possibili: un aspetto che, incredibilmente, finora non è mai stato preso in considerazione. Proprio questo è avvenuto in Giappone: non un solo incidente, bensì l’accumularsi di quattro o cinque incidenti, cui si è aggiunto un errore umano, ha condotto a questa situazione.

Dal punto di vista matematico, non è possibile garantire tale sicurezza. Se noi europei non ci esprimiamo apertamente, non potremo uscire dal nucleare in maniera repentina, ma se non ne usciremo, dovremo smettere di parlare di sicurezza nucleare. La sicurezza nucleare non esiste.

 
  
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  Jan Zahradil, a nome del gruppo ECR. – (CS) Signor Presidente, il più importante argomento discusso in occasione del recente Consiglio europeo è stato l’economia, insieme alla stabilità della zona euro. Come ben sapete, gran parte dei deputati al Parlamento europeo, appartenenti al gruppo dei conservatori e riformisti europei, proviene da paesi che non appartengono alla zona euro e in gran parte da paesi che non hanno neppure aderito al patto per l’euro. Questo però non significa che noi desideriamo il fallimento della zona euro; al contrario, vogliamo un’Unione europea stabile e prospera, zona euro compresa. Vogliamo governi nazionali responsabili che pongano fine al debito, riformino la struttura della spesa pubblica e intraprendano riforme fiscali, in modo da ripristinare quella disciplina finanziaria che consideriamo corretta.

Non consideriamo invece corretto – e anzi desta in noi forte preoccupazione – il programma occulto portato avanti in questa sede da alcuni Stati membri e in parte dalla Commissione nonché da alcuni gruppi parlamentari. Si tratta del tentativo di sfruttare la crisi per attuare un ulteriore trasferimento di sovranità e di progredire ulteriormente verso l’armonizzazione fiscale; di avvicinarsi ancora, in altre parole, alla creazione di un’unione fiscale e quindi di una completa unione politica. A tale unione noi diciamo “no”; non siamo assolutamente favorevoli a un’unione di questo tipo.

Siedo in Parlamento dal 2004 e quando si profila un problema sento sempre risuonare la solita frase: “Occorre più Europa, occorre un approccio comunitario più deciso”. A mio parere le cose non stanno affatto così; è proprio il tentativo di risolvere ogni problema a livello europeo che ci ha cacciati in questo pasticcio e come pensiamo di uscirne? Ancora una volta a livello europeo. Vi chiedo di comprendere, una buona volta, che l’attuale modello di integrazione europea ha esaurito le forze. Uscite finalmente dal vecchio sogno cinquantennale dell’integrazione europea postbellica, che si trascina ancora dal secolo scorso; il paradigma europeo è mutato e prima alcuni di voi se ne renderanno conto, meglio sarà.

 
  
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  Lothar Bisky, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Commissione, il mio gruppo giudica insufficienti i risultati della riunione del Consiglio.

Partiamo da un esame della politica economica. Nel corso di un’audizione svoltasi una settimana fa abbiamo definito le nostre riflessioni sugli orientamenti approvati in materia di politica economica. Dobbiamo superare la prassi neoliberista tendente a fissare profitti e concorrenza, evidente nell’uso di termini come “flessicurezza”, adeguamento dell’età pensionabile e così via.

A nostro avviso è necessario introdurre una gestione della politica economica che tragga legittimazione dal controllo democratico e impedisca le pratiche di dumping fiscale, salariale e ambientale introducendo adeguati standard minimi comuni, tali da regolare efficacemente i mercati finanziari e vietare una privatizzazione dei profitti che scarichi i rischi sui comuni cittadini.

La mia seconda osservazione riguarda la nostra politica di vicinato meridionale e in particolare la Libia. Nell’Africa settentrionale, e soprattutto in Libia, gli Stati membri dell’Unione europea si sono invischiati in una situazione macabra: a questo proposito sono già state formulate alcune critiche, come abbiamo sentito. Mi limito a sottolineare un punto: il dittatore Gheddafi usa contro i dimostranti e i ribelli armi che ha acquistato da noi. Le truppe della NATO lo tempestano di fuoco apparentemente allo scopo di proteggere i combattenti per la libertà e la democrazia, i quali a loro volta usano armi europee e statunitensi.

Mi chiedo allora a che serva il codice d’onore vigente nel settore del commercio di armi, se poi si producono situazioni siffatte. Dov’è andato a finire il sostegno alla libertà, ai diritti umani e alla lotta contro l’ingiustizia sociale in casi specifici come quello di Lampedusa, isola in cui ogni giorno arrivano dall’Africa settentrionale centinaia di profughi? Temo che l’idea di vicinato appena messa insieme in fretta e furia risponda più agli interessi europei che a un’adeguata valutazione delle esigenze dei paesi partner.

La mia terza osservazione riguarda il Giappone; avremo ancora tempo per discutere del Giappone sia questo pomeriggio che domani. Neppure in questo caso si riesce a scorgere un approccio europeo comune, almeno per quanto riguarda i controlli di sicurezza, le cosiddette prove di stress. Non mi sorprende perciò che i cittadini chiedano con giustificato scetticismo quale sia precisamente la posizione dell’Unione europea su questo tema.

 
  
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  Godfrey Bloom, a nome del gruppo EFD. (EN) Signor Presidente, se mi è consentito vorrei tornare sulla questione della Libia.

Quand’è che la nostra classe politica e i grandi della terra si sono resi conto all’improvviso che il colonnello Gheddafi è un criminale? In quale momento, signor Presidente, dopo quella splendida fotografia che vi ritraeva abbracciati, lei ha improvvisamente capito che Gheddafi era un “cattivo”?

Le vittime della tragedia di Lockerbie in Scozia e le vittime delle atrocità dell’IRA nel mio paese sanno benissimo – ve lo posso assicurare – che razza di canaglia sia quest’individuo; ma è pieno di denaro e di petrolio e così avete chiuso gli occhi tutti quanti, non è vero?

Bene, le pecore sono tornate all’ovile. La figura più patetica di questa vicenda è il Primo ministro britannico, che continua ad agitare una pistola scarica dopo aver smantellato la Royal Navy e la RAF; pronuncia vane minacce da bordo campo, ma non ha portaerei né niente altro, e si proclama conservatore ma non è altro che uno studentello ripetente che fischietta nel buio per farsi coraggio.

Continuiamo a indignarci per la violenza contro le popolazioni e non facciamo che parlare di democrazia. Eppure da anni sopportiamo senza muovere un dito quello scimmione assassino che sta nello Zimbabwe, non è vero? Non ce ne importa niente perché lì non ci sono soldi e non c’è petrolio. Un atteggiamento tipico di questo posto: traboccante di ipocrisia e di stupidità.

 
  
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  Barry Madlener (NI) . – (NL) Signor Presidente, Presidente Barroso, lei otterrà ciò che desidera: verrà istituito un fondo di sostegno permanente per l’euro, un fondo che verrà in soccorso di quegli Stati membri che hanno sperperato le proprie finanze e trasferirà i rischi agli Stati membri che hanno tenuto ordine in casa propria.

Quasi tutti gli economisti concordano sul fatto che questo fondo non servirà a salvare l’euro, più di quanto siano servite le disposizioni del Patto di stabilità e di crescita. È un accordo indulgente, che ricompensa gli Stati membri deboli e fraudolenti, concedendo loro crediti a buon mercato. Dove troveremo questo denaro? In che modo verrà costituito il fondo? Sulla carta ogni Stato membro dovrà contribuirvi, compresi Portogallo, Grecia e Irlanda; però questi paesi denaro non ne hanno.

Tutto questo, in sostanza, significa che finiranno per pagare proprio gli Stati membri che hanno tenuto ordine in casa propria. I cittadini olandesi pagheranno il conto per gli Stati membri deboli come la Grecia e il Portogallo – il suo paese, Presidente Barroso! – e questo è inaccettabile, signor Presidente. Non si può parlare di solidarietà: si tratta di un premio per il comportamento scorretto di una serie di Stati membri deboli, elargito a spese dei laboriosi cittadini olandesi, belgi e tedeschi.

L’euro non si può salvare in questo modo; al contrario, i paesi in questione vanno espulsi dall’euro. La Grecia deve reintrodurre la dracma e il Portogallo deve tornare all’escudo. Alcuni paesi devono accettare la necessità di uscire dalla zona euro e rendersi conto che la responsabilità di questo esito ricade completamente sulle loro spalle.

 
  
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  Werner Langen (PPE) . – (DE) Signor Presidente, i risultati del Vertice hanno segnato un’importante tappa intermedia, ma la prova del fuoco deve ancora venire. Se questi risultati subiranno la sorte di tante altre misure precedenti – compreso il Patto di stabilità e di crescita – e se gli Stati membri non li rispettano, allora essi non varranno la carta su cui sono scritti. Per questo motivo non riesco a condividere l’ottimismo con cui i due Presidenti proclamano che la crisi è superata: a mio avviso solo in questo momento ci troviamo di fronte alla prova decisiva.

Dal crollo della Lehmann Brothers sono passati più di due anni e mezzo, e a che punto ci troviamo? Ci sono voluti due anni e mezzo per giungere a questo punto. Il Commissario responsabile ha respinto le proposte relative a una tassa sulle transazioni finanziarie l’ultima volta che sono state avanzate; vorrei vedere dei risultati. Ripensando all’ultima legislatura, ricordo che la nostra Assemblea aveva approvato 12 risoluzioni su misure concernenti i mercati finanziari e che il Commissario responsabile per il mercato interno – il quale per fortuna non è più in carica – le ha respinte tutte: ecco la realtà. La Commissione non ha certo assunto un ruolo guida nella ricerca di una soluzione per questo problema.

Abbiamo però compreso la necessità di sconfiggere gli egoismi nazionali anche a livello di Consiglio, insieme all’opportunità che il Parlamento dia man forte alla Commissione nell’opera di modifica della Costituzione. Non c’è assolutamente motivo di riposare sugli allori. Devo dichiararmi d’accordo con l’onorevole Verhofstadt: il consolidamento del bilancio non è abbastanza rigoroso, la governance non impone impegni sufficientemente vincolanti, il patto per l’euro è troppo debole e gli interessi nazionali ancora troppo forti. Se non abbiamo il coraggio di esigere dai governi nazionali un maggiore impegno a favore dell’Europa, allora non approderemo mai a una soluzione valida e durevole.

Presidente Barroso, ho criticato i colleghi greci del mio gruppo che hanno votato contro il programma per la Grecia e certo non sono d’accordo con l’onorevole Schulz. Se un Primo ministro socialista perde le elezioni e non viene riconfermato, questo di per sé è un fatto positivo. Nel caso del Portogallo, però, anche il suo partito ha votato contro il programma: episodi di questo genere non dovrebbero essere consentiti in Europa. Chiedo a tutti di fare la propria parte per stroncare in futuro quest’atteggiamento fazioso, in modo che non intralci più il nostro tentativo di risolvere questo problema.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROTH-BEHRENDT
Vicepresidente

 
  
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  Edite Estrela (S&D) . – (PT) Signora Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, onorevoli colleghi, l’opinione pubblica europea si pone una domanda: il Consiglio europeo effettuerà le scelte necessarie e corrette per farci uscire dalla crisi? Molti cittadini europei sospettano forse che le scelte fatte si muovano nella direzione giusta, ma siano troppo lente e non particolarmente ambiziose. Chi ha visto il documentario Inside Job sarà rimasto segnato per tanta avidità e mancanza di scrupoli e si chiederà: se le agenzie di rating operano in questa maniera, che fa l’Europa per istituire agenzie di rating indipendenti e attendibili?

Non molto tempo fa il Presidente Barroso ha dichiarato che, se uno Stato membro può evitare di ricorrere ad aiuti esterni, dovrebbe rinunciarvi senz’altro, poiché tali aiuti sono costosi. Il governo portoghese è dello stesso parere: il Portogallo non ha bisogno di aiuti esterni, ma solo di finanziamenti per la propria economia e le proprie famiglie a tassi d’interesse ragionevoli. Se però le agenzie di rating fanno gli interessi degli speculatori, i frutti degli enormi sacrifici che i cittadini portoghesi stanno compiendo finiranno direttamente nelle tasche degli speculatori stessi. È questa la giustizia europea? I centri di decisione politici non riescono a comprendere che stiamo attraversando una crisi della zona euro – ripeto: della zona euro – e che gli attacchi al debito sovrano di alcuni paesi possono minacciare l’euro e mettere a repentaglio la moneta unica e lo stesso progetto europeo? Siamo di fronte a un problema europeo, che richiede una soluzione europea.

Se vogliamo superare la crisi, ci occorre più Europa, non certo meno Europa; dobbiamo dimostrarci all’altezza del nostro passato e delle sfide del futuro; dobbiamo restituire fiducia e speranza ai cittadini europei, senza i quali nessun progetto europeo può sussistere.

 
  
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  Sylvie Goulard (ALDE) . – (FR) Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio europeo, signor Presidente della Commissione, avete tracciato un quadro alquanto roseo di questi dibattiti; vi sono certo alcuni aspetti positivi, sui quali tuttavia non ho bisogno di soffermarmi. Nutro però una preoccupazione che va al di là dei dettagli tecnici e del contenuto dei vostri interventi: alludo alla frattura Nord-Sud che divide l’Unione europea in maniera sempre più profonda. Com’è successo anche pochi minuti fa, abbiamo sentito discorsi in cui si afferma che gli uni hanno ragione e gli altri hanno torto, in cui si dividono in maniera manichea i buoni dai cattivi, dimenticando del tutto l’interdipendenza: è un fenomeno grave.

Peggio ancora, rifiutando di affrontare il problema delle banche, che è stato ricordato dall’onorevole Verhofstadt, molti paesi del Nord, che danno volentieri lezioni ai paesi del Sud, sembrano agli occhi di gran parte dell’opinione pubblica rifiutarsi di ammettere le proprie responsabilità. A mio avviso, quindi, se c’è un compito che spetta a lei, Presidente Van Rompuy, e anche a lei, Presidente Barroso, è proprio quello di impedire a tutti i costi che questa frattura si aggravi e si cronicizzi. Abbiamo bisogno di soluzioni accettabili per tutti; dobbiamo far sì che ognuno si assuma le proprie responsabilità.

Un’ultima osservazione: l’attenzione del Consiglio europeo mi sembra rivolta esclusivamente all’interno. Tutta questa discussione si è svolta come se l’euro non fosse un elemento di importanza globale; non si è minimamente accennato alla rappresentanza esterna della zona euro in seno al FMI. La Francia, che presiede attualmente il G20, intende promuovere l’idea di una riforma monetaria globale, ma non vi è alcuna proposta – come quella delle euroobbligazioni che noi stiamo cercando di portare avanti – che tenti di fare dell’euro una moneta veramente globale.

 
  
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  Philippe Lamberts (Verts/ALE) . – (FR) Presidente Van Rompuy, rispetto profondamente lei e il suo lavoro, ma devo dichiarare che il suo intervento non mi ha veramente convinto.

Lei afferma che i lavoratori non hanno motivo di preoccuparsi, perché noi stiamo operando a loro favore. Da parte mia, quando leggo la sezione sulla competitività del Patto euro plus, come lei lo ha definito, vedo che si parla di tagli ai salari, di aumentare la flessibilità e di diminuire la sicurezza; nessun cenno alla produttività delle nostre risorse; nessun cenno alla produttività dell’energia.

Faccio notare che non vinceremo mai la corsa contro la Cina sul piano della manodopera a buon mercato; all’opposto, la Cina è sulla buona strada per superarci sul piano dell’efficienza energetica o dell’efficienza delle risorse. Quale spazio può restare all’Europa in termini di competitività, se non riusciamo a competere in questi due settori?

Lei afferma che i percettori di benefici sociali non hanno motivo di preoccuparsi. Tuttavia quando si tratta di riequilibrare le finanze pubbliche – obiettivo peraltro ragionevole – lei afferma anche che è necessario operare dei tagli; il 40 per cento della spesa pubblica riguarda il welfare e voi venite a dirci che non dobbiamo preoccuparci. Ancora, lei afferma che avete affrontato il tema delle entrate; parliamo allora delle entrate. La base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) è un’autentica barzelletta. Lei ne parla al condizionale e aggiunge che dovrebbe trattarsi in ogni caso di un provvedimento neutrale dal punto di vista delle entrate. Non frutterà perciò neppure un euro supplementare e per di più le imprese avranno in ogni caso la possibilità di scegliere. Non mi risulta che mai nessuno abbia scelto l’opzione fiscale più costosa.

D’altra parte, se c’è qualcuno che non ha il minimo bisogno di preoccuparsi sono proprio gli azionisti e i creditori delle banche. Lei ci ha parlato delle prove di stress; quelle dell’anno scorso erano una barzelletta e non so se anche quest’anno ci verrà riproposta una barzelletta altrettanto insipida. Di una cosa però possiamo essere sicuri, ossia di quale sarà la provenienza dei fondi da destinare alle banche: verranno dagli azionisti o da noi contribuenti? Suvvia, siamo seri! È chiaro comunque che costoro non hanno nulla da temere.

Nulla infine è stato detto dell’elefante che ingombra il nostro salotto, ossia dell’assoluta insostenibilità del debito di Grecia e Irlanda. Comunque si cerchi di rigirare la questione, si sa benissimo che non esiste la minima possibilità che quei paesi ripaghino il debito. E più si ritarda la ristrutturazione, più doloroso sarà l’intervento. Non sarà in nessun caso un intervento indolore, ma se aspettiamo ci costerà veramente caro.

(Applausi)

 
  
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  Martin Callanan (ECR) . (EN) Signora Presidente, ogniqualvolta l’Unione europea deve confrontarsi con un problema specifico, cade nella trappola di escogitare una soluzione complicata, burocratica e maldestra, spesso completamente sproporzionata rispetto alla gravità del problema. È questo l’errore che stiamo commettendo ora per quanto riguarda la crisi finanziaria: è un problema serio, che esige una risposta, ma molte delle soluzioni proposte avranno effetti vasti e a mio avviso pesantemente negativi sul futuro dell’Europa nel lungo periodo.

Molti stanno cogliendo l’opportunità per varare piani di governance economica permanente, basati sui principi guida dell’intervento e del controllo. La soluzione, ci vien detto, consiste in primo luogo in un uso distorto di norme vigenti come l’articolo 122 del trattato, che non era stato concepito per finanziare i salvataggi per cui è servito – mi auguro che qualche paese abbia il coraggio di contestare quest’iniziativa di fronte alle Corti europee – e di imporre limitazioni più severe agli Stati membri, cosa che in realtà restringe la possibilità di scelta democratica di molti elettorati.

Se consideriamo il caso dell’Irlanda, quel paese ha fatto del suo meglio per stabilizzare il proprio sistema bancario – una stabilizzazione, per inciso, che sarebbe assolutamente necessaria per banche e istituzioni di altri Stati membri, che altrimenti dovrebbero far fronte a un’esposizione spaventosa – ma come ricompensa per questo sforzo, ora altri Stati membri chiedono all’Irlanda di incrementare l’aliquota della propria imposta sulle società per competere con le insoddisfacenti e confuse condizioni di altri paesi. È una situazione ingiusta e antidemocratica.

 
  
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  Bairbre de Brún (GUE/NGL) . – (GA) Signora Presidente, quale ragionamento induce il Consiglio e la Commissione a supporre che le politiche imposte all’Irlanda non aumenteranno il debito, o che questo non sia piuttosto il risultato dell’attuazione di politiche identiche o simili in tutta l’Unione europea?

Le misure approvate al Vertice imprigioneranno tutti gli Stati membri in una logica economica dannosa per i cittadini: una logica per cui i tagli sono necessari e che toglie agli Stati membri la capacità di promuovere la crescita.

Le politiche imposte all’Irlanda dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale si traducono in tagli selvaggi, disoccupazione e pesante riduzione dei servizi pubblici. L’onere del debito irlandese non è sostenibile: se non si impone ai detentori di obbligazioni di accollarsi una parte dell’onere del deficit, il futuro fallimento dell’Irlanda è inevitabile.

 
  
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  Niki Tzavela (EFD) . (EN) Signora Presidente, il Patto euro plus intende rafforzare e promuovere la competitività europea, ma com’è possibile offrire all’economia un valore aggiunto europeo se il nostro mercato del lavoro viene violato dall’immigrazione illegale e i prodotti europei sono scacciati da prodotti di contrabbando importati da paesi orientali usi allo sfruttamento intensivo della manodopera?

Prima giungeremo a identificare e tutelare i prodotti geografici ed economici dell’Unione europea, tanto meglio sarà. Propongo quindi di inserire nel patto per l’euro l’identificazione e la tutela delle frontiere economiche e geografiche d’Europa; in caso contrario non potremo avere un’Europa competitiva in un’economia globale in cui infuria una concorrenza di estrema aggressività.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI) . – (NL) Signora Presidente, dalla crisi libica emerge con chiarezza un elemento: la totale assenza di una seria strategia geopolitica europea che salvaguardi gli interessi europei. Dobbiamo riconoscere un’amara verità: il nostro intervento in quel paese è essenzialmente il risultato di un programma politico interno del Presidente Sarkozy, il quale si è concesso il lusso di un’avventura stile Falkland.

È singolare comunque che proprio alcuni di coloro che oggi si scagliano con appassionata indignazione contro il male assoluto incarnato dal colonnello Gheddafi – tra questi vi sono anche alcuni colleghi – fossero ben felici, fino a poco tempo fa, di farsi fotografare sorridenti a fianco del dittatore libico, che ricevevano con gli onori militari. Mi limito a osservare che oggi è assai più facile sparare su Gheddafi che trovare una risposta agli enormi problemi che si vanno profilando.

Per ricordare solo uno di tali interrogativi, intendiamo continuare a fornire armi ai ribelli – termine collettivo che designa una massa variegata di persone, alcune delle quali hanno ancora, secondo gli standard europei, una mentalità medievale – e in caso affermativo, quale garanzia abbiamo che tali armi non verranno utilizzate per gettare il paese in un caos ancor più profondo, come avvenne in Iran dopo la cacciata dello scià?

Personalmente, sarei più soddisfatto se questa esibizione di forza europea si rendesse più visibile nella vigilanza militare alle nostre frontiere esterne, ove in questo momento si combatte una guerra silenziosa, terribile preannuncio di un’invasione di immigrati ignorata da tutti. L’Europa deve dare una dimostrazione di forza anche nell’affrontare questo problema.

 
  
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  Corien Wortmann-Kool (PPE) . – (NL) Signora Presidente, nel corso dell’ultimo Consiglio europeo sono state prese decisioni che erano impensabili appena un anno fa; vorrei quindi porgere un sincero ringraziamento ai Presidenti Van Rompuy e Barroso.

Si tratta di un passo importante, compiuto lungo un cammino arduo e impervio che dovremo percorrere fino in fondo per ripristinare la fiducia nell’euro e nella nostra economia e uscire quindi dalla crisi promuovendo la crescita economica e l’occupazione. La nostra Assemblea – come avete notato – ha la funzione di colegislatore per il pacchetto legislativo mirante a rafforzare la governance economica. Auspichiamo un pacchetto più ambizioso, e nel prossimo futuro dovreste avviare discussioni con il Parlamento a tal proposito. A nostro avviso è necessario un sostegno finanziario più robusto e ambizioso, fondato sulle proposte della Commissione. Avete già sentito numerosi colleghi affermare la nostra volontà di mettere a punto un Patto di stabilità e crescita più robusto, con un meccanismo di voto opposto.

In secondo luogo, occorre un coordinamento socioeconomico assai più saldo e rigoroso. Ciò comporta iniziative assai più vaste rispetto agli “impegni” del Patto euro plus, in quanto i principi della nostra economia sociale di mercato sono radicati nella strategia Europa 2020. Occorre impegnarsi più intensamente per sviluppare tali principi e promuovere la crescita e l’occupazione per i cittadini. Vogliamo radicare tali obiettivi nei programmi nazionali di riforme – ho ascoltato le riflessioni del Presidente Barroso su questo punto – e quindi dobbiamo presentare proposte in tal senso.

Lei ha esposto e anzi sottolineato tali osservazioni, nella prospettiva di concludere un accordo su questi punti in giugno. Per quanto ci riguarda lei può già mettersi all’opera per attivare il Consiglio, almeno su questi punti, cosa che renderebbe possibile la conclusione di un accordo entro giugno.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D) . (EN) Signora Presidente, vorrei porre alcune domande con franchezza al quartetto europeo – cioè alla troika più il Consiglio. Avete seriamente l’intenzione di salvare la zona euro e il progetto europeo?

Le prove di stress per le banche si sono appena concluse, sulla base degli scenari più pessimistici per quanto riguarda l’Irlanda. Il nuovo governo irlandese ha posto un limite alla catastrofe bancaria del paese; con grande sorpresa di tutti i cittadini, ha deciso che i principali detentori di obbligazioni della Allied Irish Bank e della Bank of Ireland non subiranno tosature.

Ma qual è l’equivoco europeo? Per quale motivo la Banca centrale europea tace sugli essenziali finanziamenti a medio termine per le banche irlandesi? Perché il Presidente Sarkozy e il Cancelliere, signora Merkel, insistono a volere la distruzione della base industriale irlandese in cambio di un taglio al tasso d’interessi dell’operazione di salvataggio? Perché alcuni Stati membri bloccano i progressi sulla strada della imposta europea sulle transazioni finanziarie e sulle euroobbligazioni? Perché si taglia il bilancio europeo?

Una breve risposta indica la ragione nei calcoli elettorali a breve termine e in una concezione dottrinaria dell’economia. La crisi economica irlandese è parte integrante della crisi europea; il fallimento dell’economia irlandese non sarebbe solo un fallimento per l’Europa, sarebbe il fallimento dell’Europa.

La sostenibilità del debito irlandese è un punto critico per l’Irlanda e l’Europa e il quartetto deve affrontare concretamente questo problema; c’è bisogno che il quartetto dia prova di creatività e lungimiranza negli attuali negoziati con l’Irlanda.

Ricordate le mie parole. L’Irlanda è una democrazia, proprio come la Francia, la Germania o la Finlandia: il nostro governo segue la volontà del popolo. Gli elettori irlandesi hanno accettato severe misure di austerità a denti stretti e reprimendo la collera. È necessario che essi scorgano lealtà da parte dell’Europa, poiché altrimenti quella finestra di tolleranza di cui fruisce ora il governo irlandese si chiuderà di botto.

 
  
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  Carl Haglund (ALDE) . – (SV) Signora Presidente, mi consenta di iniziare da un aspetto positivo. Potrei concentrare l’attenzione sui problemi che deriveranno dalle decisioni che avete preso in sede di Consiglio – certamente quelle decisioni comporteranno parecchi problemi – ma un aspetto positivo comunque c’è: avete compiuto dei progressi in materia di governance economica e dal punto di vista macroeconomico. Il collega irlandese ha appena ricordato l’inquietudine che attanaglia i suoi concittadini; i problemi dell’Irlanda dipendono dal fatto che, finora, non vi è stata alcuna valutazione dell’aspetto macroeconomico. Questo però sarà possibile in futuro, grazie all’odierno pacchetto per la governance economica. Da questo punto di vista, mi sembra, il Consiglio si è mosso nella direzione giusta.

Giudico tuttavia preoccupante che il Consiglio, a quanto sembra, non abbia la volontà di trasformare la propria cultura decisionale. Vuole mantenere la possibilità di avvalersi di vari tipi di accordi politici, con un sistema che potremmo definire del mercato di cavalli. Se però non trasformate la vostra cultura decisionale, in futuro, temo, non sarete in grado di prendere le decisioni necessarie in situazioni difficili, sulla base delle raccomandazioni che la Commissione – a mio avviso – sarà comunque in grado di presentare. Si tratta di una sfida che il Consiglio deve considerare con estrema serietà e poi raccogliere. Un chiaro esempio di questo stato di cose è emerso durante l’ultima riunione del Consiglio, allorché proprio lo Stato membro da cui provengo, la Finlandia, ha assunto un atteggiamento inopportuno su un altro argomento – in questo caso i meccanismi di stabilità. Da finlandese, me ne dolgo. Non tutti i finlandesi condividono questa posizione, ma l’episodio dimostra chiaramente la necessità di cambiare la cultura decisionale vigente in seno al Consiglio.

 
  
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  Konrad Szymański (ECR) . – (PL) Signora Presidente, la nuova struttura delle finanze pubbliche dell’Unione europea si basa da un lato sul tentativo di rafforzare una spesa pubblica e norme finanziarie sane, e dall’altro sulla volontà assolutamente malsana di limitare la sovranità fiscale degli Stati membri. Dubito fortemente che i paesi del Patto euro plus, insieme, siano in grado di darsi norme rigorose in materia di spesa pubblica, dal momento che non sono stati capaci di farlo individualmente.

D’altra parte, mi sembra chiaro che la standardizzazione della base fiscale costituisca un deciso passo in avanti verso l’unione fiscale, che a sua volta ha un unico obiettivo: l’eliminazione della concorrenza fiscale all’interno dell’Unione europea. In Francia, il Presidente Sarkozy e il ministro signora Lagarde hanno svelato le proprie autentiche intenzioni insistendo per settimane sull’aumento delle aliquote fiscali in Irlanda, con il pretesto di combattere la crisi. Aumentare le aliquote fiscali in tutta Europa fino a raggiungere livelli standard, indipendentemente dalla situazione dei singoli Stati membri, è un metodo per prolungare la crisi, non per alleviarla.

 
  
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  Presidente . Vi ringrazio vivamente. Ai colleghi che desiderano ricorrere alla procedura catch the eye ricordo che abbiamo già venti interventi e quindi non credo che vi sia tempo sufficiente prima del voto. Comunque, avete tutto il diritto di provare.

 
  
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  Paul Murphy (GUE/NGL) . (EN) Signora Presidente, il 19 gennaio, rispondendo all’onorevole Higgins, il Presidente Barroso ha dichiarato in quest’Aula che l’Europa sta cercando di sostenere l’Irlanda. L’ignobile resa del nuovo governo irlandese – formato da Fine Gael e laburisti –, di fronte agli interessi dei detentori di obbligazioni, dimostra chiaramente che questo sostegno non proviene né dal Consiglio né dalla Commissione, bensì dalla classe operaia d’Irlanda e d’Europa, che è obbligata a sostenere banche e speculatori europei ripianando le loro perdite.

Le proposte relative alla governance economica rappresentano il tentativo di consolidare i tagli ai salari e ai servizi. Il quadro per l’austerità e le proposte di sanzioni per centinaia di milioni di euro servono semplicemente a far sì – nonostante l’opposizione di massa – che siano i lavoratori a pagare il prezzo della crisi. Questa terapia d’urto europea sarà agevolata da una modifica dei trattati, su cui la classe dominante in Irlanda e in Europa è determinata a evitare un referendum; ma in Irlanda il partito socialista e la sinistra chiederanno un referendum su questa proposta di austerità permanente.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, questo Consiglio ha toccato tre temi di grande importanza: la catastrofe ambientale e nucleare che ha colpito il Giappone, la crisi finanziaria che sta attraversando l'Europa e la situazione del Maghreb.

Sul primo punto, pur essendo vicini alla popolazione così duramente colpita, non possiamo accettare una revisione degli accordi commerciali a scapito delle nostre imprese. Siamo invece favorevoli a un intervento umanitario con mezzi, uomini e soldi.

Pensare invece che la crisi finanziaria sia passata è pura utopia. È indispensabile predisporre un pacchetto di interventi per aiutare i paesi membri ad uscire dall'attuale situazione, assicurando stabilità all'intera area dell'euro. Siamo anche favorevoli alla riduzione degli oneri normativi e della burocrazia e a promuovere scambi con i paesi terzi, a condizione di vantaggi reciproci.

Sul Maghreb riteniamo che l'Unione europea abbia fatto una pessima figura, in quanto ogni paese membro si è mosso autonomamente e l'Alto rappresentante, la baronessa Ashton, non ha saputo gestire la crisi. In particolare, l'Unione europea ha abbandonato l'Italia a un'invasione incontrollata di clandestini.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI) . – (DE) Signora Presidente, i cittadini europei sono in preda a un’ansia sempre più profonda. Due questioni causano preoccupazioni particolarmente acute: il primo è la persistente incoerenza con cui continuiamo ad affrontare la crisi economica e le difficoltà dell’euro. È poi innegabile che il Consiglio e la Commissione non riescono a tenere il passo degli eventi.

Dobbiamo essere realistici: è necessario un taglio del debito, sicuramente in Grecia e probabilmente anche in Portogallo; è una necessità inesorabile. Più tardiamo ad affrontare questa situazione, più saliranno i costi, in termini non solo finanziari ma anche di credibilità generale del progetto europeo. Gli avvenimenti che si verificano in Grecia serviranno a rinfocolare le emozioni. Abbiamo fatto parte di una delegazione speciale che ha visitato quel paese: l’atteggiamento di fondo attribuisce all’Unione europea la responsabilità dei problemi greci per l’assenza di una comunicazione chiara e perché non si adottano le misure necessarie, che peraltro sono già ovvie.

Il secondo tema è l’energia nucleare. Le cosiddette prove di stress, attualmente in via di preparazione, avranno un senso e la fiducia in un’Europa coesa tornerà a prevalere solo qualora le prove stesse vengano effettuate secondo criteri severi e non in base a quelli poco rigorosi dell’IAO, se si consulteranno esperti veramente indipendenti e se gli eventi e l’intero processo verranno presentati all’opinione pubblica in maniera adeguata e comprensibile.

 
  
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  Mario Mauro (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Commissione, nella mia visione della politica è doveroso cercare di mettere insieme gli ideali con gli interessi. In una visione forse un po' schematica e fanciullesca delle Istituzioni europee, io credo che le Istituzioni europee rappresentino i nostri ideali e che i nostri governi, per tante ragioni, rappresentino i nostri interessi.

C'è una partita da giocare, quindi. Ciò che mi colpisce è che mi sembra che in alcune circostanze i giocatori della partita degli ideali rinuncino a giocare la partita. Alcune settimane fa la signora Ashton, qui, quando il Parlamento ha fatto la proposta di riconoscere, o meglio che la Commissione proponesse al Consiglio di riconoscere, il Consiglio provvisorio della Libia, ha detto che quello non era il suo mandato.

Ieri, dopo una bellissima esposizione, il Commissario Malmström, quando è arrivata al dunque di fare la proposta al Consiglio di una strategia che renda europea la crisi legata ai flussi migratori, ha detto che rinunciava, perché pensa che in Consiglio non ci sia la maggioranza.

Come fa la squadra degli ideali a vincere la partita se i nostri giocatori rinunciano a tirare in porta magari perché pensano che il portiere sia troppo bravo? Credo che sia questo un punto essenziale per comprendere storicamente il compito cui siamo chiamati.

Mi permetto di fare questa osservazione: chi sono i giocatori dell'attacco? Sono le Istituzioni europee: il Parlamento, la Commissione e anche lei, signor Presidente Van Rompuy, perché credo che lei non rappresenti il Consiglio nel senso che ne difende gli interessi, ma che sia l'uomo che può far capire al Consiglio gli ideali sui cui puntare.

Vi chiedo allora semplicemente: se siete i giocatori del nostro attacco, passatevi la palla, giocate all'attacco, fate goal e come si dice in questo tipo di partite, fateci sognare.

 
  
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  Roberto Gualtieri (S&D). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, non c'è dubbio che l'istituzione di un meccanismo di stabilità permanente rappresenti un risultato importante, che dà fondamento a quell'impegno politico di difendere a ogni costo la moneta comune. Per questo, nonostante non poche riserve sul metodo e sulla natura intergovernativa del fondo, il Parlamento ha sostenuto questo sbocco e si è concentrato sull'obiettivo di garantire un solido legame tra l'ESM e le istituzioni dell'Unione.

In questo senso, il riferimento nelle conclusioni del Consiglio europeo a un regolamento per stabilire le procedure che definiranno le condizionalità è importante e ora ci aspettiamo che la Commissione elabori una proposta adeguata.

È tuttavia difficile considerare questo risultato, pur positivo, adeguato. Il problema è l'indirizzo di fondo della governance economica europea. Ci si ostina a curare i sintomi della malattia e non le cause. I deficit sono l'effetto e non la causa della crisi e pensare di risolvere la malattia limitandosi a tagliare i deficit con una mano e rifinanziare le banche con l'altra è illusorio e rischia di aggravare la crisi e di rendere insostenibile lo stesso compito del meccanismo di stabilità permanente.

Se si vuole curare la malattia e non solo i sintomi, occorre aggredire alcuni nodi di fondo. Si parla di rafforzare la competitività dell'Europa. È giusto, ma quale modello di competitività perseguiamo? Non si può inseguire il modello di una ripresa trainata unicamente dalle esportazioni all'esterno dell'Europa, perché quel modello accentuerà gli squilibri. Per essere più competitivi verso l'esterno bisogna anche attivare una domanda interna di qualità.

Dobbiamo quindi affrontare il nodo delle banche e del sistema del credito all'economia per indirizzare il risparmio europeo verso investimenti a lungo termine. Occorre dotarsi di strumenti, quali gli Eurobond, la tassa sulle transazioni finanziarie e un bilancio degno di questo nome per grandi investimenti pubblici a livello europeo che fungano da volano a quelli privati e, infine, occorre considerare il modello sociale europeo non come un peso, ma come una risorsa.

 
  
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  Sharon Bowles (ALDE) . (EN) Signora Presidente, il Patto euro plus potrebbe essere utile, ma non può servire da giustificazione per la debolezza del pacchetto legislativo. Un forte impegno a favore del mercato unico è essenziale per la competitività nell’Unione europea e quindi nella zona euro. Ottimo, ma le iniziative per il mercato unico rimangono nel quadro del trattato e dei 27.

Lo strumento del meccanismo europeo di stabilità, temo, manca di flessibilità ed è insostenibile per la ripresa con un premio di rischio compreso fra il due e mezzo e il tre per cento. Comprendo l’esigenza di disciplina e di remunerazione del rischio, ma questi meccanismi di soccorso non servono a produrre profitti, soprattutto quando esiste un interesse egoistico al di là della stabilità della zona euro, come il fatto che le banche di parecchi Stati membri vengano sostenute dai contribuenti irlandesi, cosa che è già stata ricordata.

Non abbiamo risolto la crisi bancaria, né ci riusciremo con l’indulgenza. Neppure la Germania ha ricapitalizzato le proprie banche, né riconosciuto le attività deteriorate e conta sull’indulgenza di tutti – nell’Unione europea e nel resto del mondo – per consentire la partecipazione delle azioni senza diritto di voto come capitale di base, altrimenti le prove di stress non saranno superate.

Così, signor Presidente della Commissione, signor Presidente del Consiglio, cerchiamo di dimostrare lungimiranza, umiltà, una giusta concezione di noi stessi. Il meno che possiate fare è di trattare i premi di rischio come collaterali e restituirli quando il pericolo sarà scomparso. Una mentalità ristretta non salverà l’euro, e i mercati lo sanno.

 
  
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  Gerald Häfner (Verts/ALE) . – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, non è compito dei rappresentanti politici usare il denaro dei contribuenti per salvare le banche o fornire agli Stati liquidità artificiale. La vera funzione della politica è di definire un quadro giuridico che impedisca il prodursi di situazioni siffatte. Ora siete costretti a prendere iniziative sbagliate, perché per decenni non avete adottato le misure corrette. Ora finalmente intendete affrontare il problema alla radice, intenzione che apprezziamo. Per quanto si può prevedere, sembra che stiate lavorando ancora una volta al livello sbagliato con le risorse sbagliate e in un quadro sbagliato, poiché cercate di affrontare il problema al di fuori dei trattati.

Fortunatamente siamo riusciti a far rientrare parte delle trattative nell’ambito del metodo comunitario, anche se non in maniera sufficiente nell’ambito di una classica politica diretta dall’alto verso il basso. In questo settore, più che in qualunque altro, è necessario discutere, legittimare e controllare democraticamente ogni politica. Usate gli strumenti sbagliati perché prendete il denaro dei contribuenti per aiutare le banche e coloro che speculano con le banche e altri prodotti finanziari. Non siete ancora riusciti a prendere misure adeguate nei confronti di coloro che da molto tempo approfittano di questa situazione: in altre parole, continuate ad alimentare uno squilibrio nella società europea che indebolisce, anziché rafforzare, l’appoggio dei cittadini a questa politica. Da un lato infliggete un onere a bilanci e finanze pubbliche, e dall’altro proteggete le attività private; tutto questo non serve assolutamente a risolvere i problemi reali, ma allevia semplicemente alcuni sintomi.

 
  
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  Peter van Dalen (ECR) . – (NL) Signora Presidente, per anni molti Stati membri hanno portato avanti una politica di bilancio che sembrava troppo bella per essere vera. Indebitarsi non era considerato un problema, poiché si pensava che la crescita economica avrebbe dissolto i debiti come neve al sole.

Anche molti privati cittadini condividevano quest’opinione e hanno perciò acquistato case assai più costose di quanto potevano permettersi. Il valore crescente di quelle proprietà avrebbe dovuto salvarli, ma alla fine questo castello di carte è crollato. Alla crisi del debito si fa fronte contraendo nuovi debiti; la banca centrale europea ha acquistato titoli di Stato per un valore di miliardi di euro da Portogallo, Irlanda e Grecia. Le economie di questi paesi andranno ora messe alla frusta e dovranno conseguire costantemente una crescita vertiginosa, per parecchi anni di seguito, se vorranno uscire da questa situazione. Non accadrà, signora Presidente; queste economie registrano una stasi allarmante. L’attuale politica conduce infallibilmente al fallimento.

È quindi giunto il momento di varare una seconda strategia contro la crisi. Dobbiamo consentire ai paesi che stanno fallendo di tornare alle loro antiche valute, contestualmente a una drastica svalutazione e a una parziale cancellazione del debito. La situazione si potrebbe poi riesaminare fra un anno, o magari fra dieci.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL) . – (PT) Signora Presidente, è sconcertante – ma anche rivelatore della strada su cui si è incamminata l’Unione europea – che i principali portavoce del Consiglio e della Commissione abbiano ignorato la grave crisi sociale in cui si dibattono numerosi paesi dell’Unione europea, in particolare nella zona euro. Quali risposte si pensa di dare ai quasi 100 milioni di persone che vivono in povertà nell’Unione, tra cui oltre 20 milioni di lavoratori che percepiscono bassi salari per lavori malsicuri, contribuendo in tal modo ai profitti scandalosamente alti delle grandi imprese e della finanza? E quali risposte riceveranno i quasi 25 milioni di disoccupati, in maggioranza donne e giovani, cui si nega un presente dignitoso nonché la possibilità di costruire un futuro che assicuri lo sviluppo dei nostri paesi?

Eppure, le decisioni del Consiglio si sono preoccupate unicamente di difendere gli interessi delle grandi imprese e della finanza, accentuando la centralizzazione del potere politico per agevolare la concentrazione e l’ulteriore accumulo del potere economico. E tutto questo per rimettere in discussione, col pretesto della crisi, i diritti sociali e del lavoro, intensificare lo sfruttamento dei lavoratori e inasprire la dipendenza dei paesi dall’economia più fragile, come il Portogallo.

 
  
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  John Bufton (EFD) . (EN) Signora Presidente, il Consiglio ritiene che la regolamentazione centralizzata dei programmi nazionali di bilancio sia essenziale per contribuire alla ripresa economica: penso in particolare alla proposta di piani di consolidamento pluriennali concernenti il deficit, le entrate e gli obiettivi di spesa, da raggiungere entro limiti di tempo prefissati e completi di sanzioni nel caso che non si rispettino gli obblighi.

Il deficit del Regno Unito è in gran parte strutturale e va affrontato sul piano interno. Sono fermamente contrario a qualsiasi ingerenza di Bruxelles negli affari del mio paese, anche in considerazione dei guai combinati in Grecia e Irlanda, paesi che probabilmente avranno bisogno di un altro intervento di salvataggio. Il Portogallo, poi, preferirebbe rivolgersi al Brasile, per la riluttanza di Lisbona a trasformarsi in un protettorato economico oppresso da misure di austerità che soffocherebbero la crescita.

Il Consiglio afferma che il consolidamento va accelerato negli Stati membri che lamentano deficit di grandi dimensioni. Cosa impedirebbe allora ai cittadini di emigrare verso le economie più forti dell’Unione, in base alle leggi che l’Unione stessa ha promulgato?

Il Consiglio propone di ridurre gli oneri normativi; questa indicazione riguarda forse anche i provvedimenti legislativi di cui l’Unione è artefice da decenni, come la direttiva sull’orario di lavoro e l’estensione dell’indennità di maternità?

L’elemento essenziale del benessere economico è l’esistenza di mercati decentrati e più liberi, non certo una pesante cappa di regolamentazioni punitive.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI) . – (DE) Signora Presidente, come sappiamo tre argomenti scottanti sono stati affrontati nel corso della riunione del Consiglio europeo, alla fine della quale l’Unione ha adottato decisioni caratterizzate, a mio avviso, dall’ostinazione e dall’incapacità di comprendere la realtà.

Da un lato, il pacchetto di soccorso da 700 miliardi di euro sarà presto esaurito e porterà forse alla rovina i contribuenti netti dell’Unione; anziché ammettere il fallimento del meccanismo di stabilità, nell’interesse di una gestione efficiente della crisi, l’Unione europea ha semplicemente moltiplicato i rischi per tutti.

Dall’altro, è dubbio che un’opposizione formata da ex ministri di Gheddafi sia veramente interessata alla democrazia. Giudico assai inquietante il fatto che il comandante dei ribelli libici sia stato identificato come un veterano della CIA.

Infine, le prove di stress sulle centrali nucleari – che si svolgeranno su base volontaria e non avranno conseguenze – sono un ulteriore esempio del divorzio dalla realtà di cui soffre Bruxelles. Riesumando un regolamento vecchio di vent’anni senza adeguare i limiti di contaminazione radioattiva degli alimenti, la Commissione ha veramente perso il treno.

 
  
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  Alain Lamassoure (PPE) . – (FR) Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio europeo, signor Presidente della Commissione, per quanto riguarda l’Unione economica e monetaria il risultato del Consiglio europeo è notevolissimo. Ottimo! Dobbiamo comprendere però che da tale esito scaturirà un nuovo ed enorme problema, ossia la disponibilità politica ad accettare le decisioni prese, a due livelli.

Il primo livello è quello dei rapporti fra gli Stati membri. Sin dal suo esordio, il processo del Patto euro plus si è fondato su un consenso puramente intergovernativo, su iniziativa dello Stato membro più importante: metodo accettabile se non diventa un’abitudine. Se però continuassimo sullo stesso percorso politico per parecchi anni consecutivi, rischieremmo di inasprire le tensioni nazionali; la signora Merkel, il Cancelliere tedesco, è già stata fischiata nelle strade di Atene e di Dublino. Occorre perciò trasformare gradualmente questa procedura intergovernativa in una procedura autenticamente europea, che riguardi non solo l’Unione europea, bensì l’Europa intera. È questo il senso degli emendamenti adottati dal Parlamento e dobbiamo congratulazioni e ringraziamenti al Presidente Juncker e a lei, Presidente Van Rompuy, per averli recepiti.

Il secondo livello è il consenso dell’opinione pubblica in ciascuno Stato membro. Quale sarebbe la reazione dei partiti di opposizione nei nostri paesi, se si trovassero impegnati da orientamenti politici su cui nessuno li avesse mai consultati? Meditiamo su ciò che è avvenuto ieri nelle elezioni irlandesi; consideriamo l’odierno dibattito elettorale in Portogallo. L’unico metodo per conferire legittimazione politica a queste raccomandazioni è di coinvolgere i parlamenti nazionali fin dall’inizio e poi per tutto il processo del semestre europeo; eppure, le conclusioni del Consiglio menzionano questi parlamenti solo di sfuggita, in una categoria generica che comprende anche regioni, parti sociali e ONG. La posta in palio è infinitamente più importante. Le decisioni adottate ci obbligano a esplorare una nuova dimensione della democrazia europea.

(Applausi)

 
  
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  Udo Bullmann (S&D) . – (DE) Signora Presidente, il Consiglio e la Commissione hanno perfettamente ragione, quando esortano a consolidare i bilanci pubblici europei. Se però riflettiamo sul modo in cui tale consolidamento avviene e continuerà ad avvenire in futuro, risulta evidente che esso colpisce le persone sbagliate. Si chiudono le scuole, gli insegnanti perdono il lavoro, i ricercatori si trovano in mezzo alla strada e gli investimenti pubblici subiscono tagli o ristagnano.

Vorrei chiedere ai Presidenti Van Rompuy e Barroso: è questo che volete? Naturalmente voi risponderete di no e che i tagli sono destinati ad altri settori. Allora la mia domanda è: dove effettuare i tagli? La mia domanda essenziale è allora questa: perché mai – se veramente ritenete che i tagli si debbano effettuare altrove – il progetto di processo decisionale che proponete nel pacchetto di sei proposte legislative sulla governance economica non distingue il caso di un paese che acquisti carri armati o armi da guerra dagli investimenti a favore di un’economia nazionale in affanno, o dagli investimenti nel proprio futuro? O magari dagli investimenti in un moderno sistema di approvvigionamento energetico e nell’istruzione e nella formazione dei giovani? L’ex Presidente della Commissione europea Romano Prodi ebbe a osservare, in una memorabile occasione, che questi piani sono stupidi; le sue parole sono valide ancor oggi, poiché non si può operare questa distinzione fra investimenti buoni e cattivi. Non abbiamo altra scelta che migliorare questi progetti, perché è impossibile governare l’Europa in maniera saggia se tali distinzioni non sono alla nostra portata.

Ed ecco la mia ultima domanda: dove trovare le entrate che ci consentano di uscire dalla crisi? Dopo tutto, non possiamo risolvere il problema semplicemente risparmiando. Presidente Barroso, attendiamo la sua proposta sulla tassazione delle transazioni finanziarie in Europa, cui la nostra Assemblea ha concesso l’appoggio di una vasta maggioranza. Offra un’opportunità all’Europa e non sprechi più tempo in belle parole.

 
  
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  Wolf Klinz (ALDE) . – (DE) Signora Presidente, Presidente Barroso, Presidente Van Rompuy, chi vi ascolti attentamente trae l’impressione che tutto vada per il meglio: l’euro è in buona salute, abbiamo un nuovo Patto di stabilità e di crescita, un meccanismo europeo di stabilità e perfino un Patto euro plus.

Voglio dichiararlo con grande chiarezza: ho udito il messaggio, ma non sono sicuro di crederci. Non dobbiamo perdere di vista il punto di partenza di tutte queste deliberazioni e misure, ossia il debito galoppante di alcuni Stati membri della zona euro, la perdita di competitività, le distorsioni economiche, e di conseguenza un crescente disavanzo delle partite correnti che è necessario finanziare.

È già chiaro che molti Stati membri non saranno in grado, neanche con la migliore volontà del mondo, di soddisfare le condizioni del nuovo Patto di stabilità e di crescita. Il meccanismo europeo di stabilità non contribuirà al superamento delle distorsioni economiche, perché nessuno ha preso seriamente in considerazione l’ipotesi che uno Stato membro della zona euro possa diventare insolvente, e poi perché la prospettiva di ricevere aiuti finanziari dal meccanismo europeo di stabilità indurrà a diminuire ulteriormente il rigore.

In pratica, le cosiddette norme severe si dimostreranno relativamente miti. La necessità di giungere a decisioni unanimi sta già favorendo quel mercato del bestiame che era una caratteristica familiare del passato. Infine, il patto per l’euro è troppo poco impegnativo per costringere i paesi poveri ad applicare concrete riforme economiche di ampio respiro.

In generale, quindi, temo che non riusciremo a risolvere il problema alla radice. Avremo uno strumento di indebitamento permanente, i cui parametri di credito si dovranno incrementare a intervalli regolari: questo meccanismo si trasformerà in un pozzo senza fondo e i cittadini degli Stati che dovranno saldare il conto si accorgeranno di essere stati truffati ancora una volta. Di conseguenza, la fiducia dell’opinione pubblica nell’Europa diminuirà ulteriormente.

 
  
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  Derk Jan Eppink (ECR) . – (NL) Signora Presidente, ho una domanda personale per il Presidente Van Rompuy. La guerra in Libia continua. Come abbiamo potuto constatare, in passato i rapporti tra il leader libico e quelli europei erano particolarmente calorosi, tanto che sembravano tutti amici che giocavano insieme.

L’ultima volta ho mostrato a tutti una serie di fotografie, alcune delle quali ritraevano anche lei, Presidente van Rompuy. Sono convinto che lei sia una persona integra e onesta, anche in politica; lei è coerente e per questo motivo non ho insistito con quelle fotografie. A Lockerbie sono state uccise centinaia di persone, molte delle quali erano europee; e poi abbiamo visto leader europei incontrarsi con quest’assassino. Quando ho visto anche la sua foto, perciò, ho provato una viva delusione. Forse il motivo era proprio il fatto che anche lei fa questo lavoro, tra Primi ministri, Presidenti e altri personaggi di alto rango. Vorrei suggerirle, però, di tenere i piedi a terra.

L’Europa deve schierarsi dalla parte della libertà; l’essenza del nostro progetto è la libertà, un aspetto che lei e il Presidente Barroso – altro grande amico di Gheddafi – avete trascurato ed è questa la causa della mia delusione.

 
  
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  Gunnar Hökmark (PPE) . (EN) Signora Presidente, finora ci siamo occupati della crisi, ma ora dobbiamo pensare ai problemi di fondo che hanno provocato la crisi – ossia gli enormi deficit e la debolezza delle finanze pubbliche.

Ecco il motivo per cui la riforma del Patto di stabilità e di crescita è così importante: non si tratta solo di realizzare scopi e obiettivi, ma anche di diffondere credibilità nelle economie europee. Dobbiamo anche affrontare il problema della mancanza di competitività e della fiacca crescita economica. Ecco il nodo principale che dobbiamo sciogliere per combattere la povertà e creare occupazione, ma anche per garantire la prosperità.

Naturalmente, gli Stati membri hanno in questo campo una responsabilità cruciale: devono ristrutturare i bilanci e dare priorità alla sicurezza sociale e agli investimenti a favore della crescita contemporaneamente al processo di riduzione del deficit. Devono riformare i mercati, compresi i mercato del lavoro e altre opportunità per le piccole e medie imprese.

Ecco dunque qual è il dovere degli Stati membri – insieme a molti altri compiti – ma dobbiamo anche mettere in rilievo quello che è il dovere dell’Unione europea in quanto tale. Dobbiamo essere disposti a ristrutturare il bilancio dell’Unione europea con prontezza non inferiore a quella che esigiamo dagli Stati membri, privilegiando la crescita e gli investimenti, la ricerca e la scienza e l’apertura dei mercati.

Dobbiamo anche riformare il mercato europeo. Il settanta per cento dell’economia europea si colloca nel settore dei servizi, ma la direttiva servizi è piuttosto limitata da questo punto di vista. Il futuro dell’economia europea è nel settore dei servizi e nell’economia della conoscenza. La Commissione ha ricevuto la pressante richiesta di presentare proposte che amplino il mercato interno all’intera economia della conoscenza. Ecco il nodo essenziale per fare dell’Europa l’economia della conoscenza più avanzata nel mondo.

 
  
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  Pervenche Berès (S&D) . – (FR) Signora Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, in seguito a questa crisi, qual è l’arma più potente di cui dispone l’Unione europea nel campo della concorrenza globale? L’avete indicata voi stessi: la strategia Europa 2020.

Se però guardo alla vostra azione in materia di governance economica, ne ricavo l’impressione di una contraddizione totale. Se si considera il Patto di stabilità e la governance economica, in questo campo state scivolando da una strategia di coordinamento a una strategia di vigilanza, per cui il consenso di Washington si trasforma in un consenso di Bruxelles. Quando parlate di riforme strutturali, parlate in realtà di tagli ai salari e innalzamento dell’età pensionabile.

Da parte mia, vorrei parlarvi delle reali riforme strutturali di cui abbiamo bisogno; abbiamo bisogno di investimenti pubblici, in primo luogo nel settore dell’istruzione. Lo sapevate che durante l’intero periodo della strategia di Lisbona, metà degli Stati membri hanno ridotto il bilancio dell’istruzione? Avete comminato loro sanzioni per questo? Vi rendete conto che l’Unione europea non applicherà mai la strategia per il 2020 se non mettiamo in comune gli investimenti, se in sede di valutazione delle spese pubbliche degli Stati membri l’unica spesa che trattate diversamente, prendendone in considerazione la qualità, è l’introduzione, da parte degli Stati membri, di riforme pensionistiche fondate sulla capitalizzazione, mentre ignorate coloro i cui sforzi riguardano il campo dell’istruzione?

Se passo a considerare l’attuale situazione irlandese, un particolare mi colpisce: quasi ogni giorno decidete di salvare qualche banca, ma nel frattempo gli irlandesi rischiano il naufragio. Non è questa l’Unione europea che vogliamo: preferirei che noi “salvassimo” il popolo irlandese piuttosto che le banche irlandesi. Peggio ancora, per salvare le banche avete inventato le prove di stress. Ora ho il sospetto che, ogni volta che ci scontriamo con un problema, tiriamo fuori le prove di stress, che sono una specie di fiera delle chiacchiere inutili: c’è la prova di stress per l’energia nucleare e quella per le banche; forse un giorno ci sarà anche la prova di stress per la Commissione (magari lo suggeriremo). Personalmente, tuttavia, preferirei che la Commissione prendesse l’iniziativa e si facesse trovare al posto giusto.

Se invece mi soffermo sui pareri emessi oggi dalla Banca centrale europea, mi vien da pensare che essa si preoccupi maggiormente di ciò che non rientra nel suo mandato – ossia i livelli salariali – che della vitalità del nostro sistema bancario e dell’efficacia con cui esso può produrre gli investimenti pubblici di cui abbiamo bisogno. Il nostro Parlamento ha presentato proposte per la tassazione delle transazioni finanziarie e le euroobbligazioni, ma voi vi rifiutate di prenderle in considerazione.

Presidenti Van Rompuy e Barroso, è giunto il momento per voi di ascoltare le proposte provenienti da questo Parlamento, così da garantire il successo alla strategia che voi stessi avete adottato.

 
  
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  Lena Ek (ALDE).(SV) Signora Presidente, nella sua recente riunione il Consiglio ha discusso anche il problema della sicurezza delle centrali nucleari e dei reattori europei. Si tratta di un tema che in questo momento è oggetto di negoziati in seno al Parlamento. Presenteremo una risoluzione che sarà messa ai voti giovedì.

A mio avviso, gran parte dei cittadini europei erano convinti che le prove di stress rientrassero ormai da decenni nelle consuete misure di sicurezza previste per le centrali nucleari: non è così. La proposta adottata dal Consiglio nelle sue conclusioni è di gran lunga troppo debole. Dobbiamo mettere alla prova non solo la tecnologia e la geografia ma anche la cultura della sicurezza e i rischi multipli; dobbiamo garantire apertura e trasparenza. È assolutamente inaccettabile che in questo campo governi e autorità nazionali controllino se stessi; occorrono ovviamente controlli indipendenti, i dati di fatto vanno resi pubblici e infine bisogna instaurare una piena trasparenza sotto il controllo della Commissione. È l’unico modo per rendere credibile questa tecnologia in futuro. Ancora, è necessario rinegoziare la struttura istituzionale, che ha la stessa età dell’Unione europea e va quindi aggiornata. Dobbiamo introdurre standard di sicurezza europei nell’ambito del sistema e infine indurre anche il Consiglio a presentare proposte – corredate da un calendario – in materia di efficienza energetica e fonti di energia alternative.

 
  
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  Vicky Ford (ECR) . (EN) Signora Presidente, la conclusione più importante uscita dalla riunione del Consiglio non si prestava a titoli sensazionali: affermava semplicemente che il mercato unico svolge un ruolo essenziale nella produzione di ricchezza.

Forse sono solo parole? Per quanto riguarda la governance economica, vedo già che alcuni colleghi tentano di indebolire il Patto di stabilità; se poi si parla di sostegno alle imprese le cose non vanno molto meglio.

I deputati al Parlamento europeo si affrettano a firmare campagne a favore dei ciclisti e del benessere dei cavalli, ma quando si è trattato di battersi per la riduzione degli oneri burocratici che gravano sulle piccole imprese, solo un terzo di noi ha aderito e dai laburisti del Regno Unito è giunta un’unica firma. La Commissione ha promesso di liberare il capitale di rischio: intenzione encomiabile ma pressoché comica, dal momento che lo scorso anno la Commissione stessa non ha risparmiato gli sforzi per varare leggi che cacciassero questo capitale dal mercato.

È tempo di agire. Nove capi di Stato hanno firmato una lettera che prevede azioni specifiche per le imprese, il commercio, l’innovazione e gli investimenti. Essi ci invitano a scegliere la crescita: accolgo l’invito senza esitazioni.

 
  
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  Jaime Mayor Oreja (PPE) . – (ES) Signora Presidente, il Consiglio europeo ha adottato una serie di misure in materia di governance, razionalizzazione del bilancio, competitività e altro, che a mio avviso vanno tutte nella giusta direzione.

I 16 punti del Consiglio europeo sono in larga parte il risultato del lavoro del Presidente Van Rompuy e del Presidente Barroso, a cui vorrei porgere le mie congratulazioni dal momento che apprezzo – come in generale alcuni di noi apprezzano – il lavoro che avete svolto nel vostro ruolo di leader delle istituzioni.

Il problema non si riduce alla crisi finanziaria che ci ha colpito; l’Europa infatti e tutte le nazioni europee stanno attraversando una crisi di fiducia e una crisi politica. Non si tratta solo di valutare l’effettivo contenuto economico e tecnico del Consiglio europeo. Mentre si tengono le riunioni del Consiglio europeo, si svolgono elezioni a livello europeo, nazionale e regionale che confermano le nostre apprensioni. Si adottano posizioni estremiste, alcune delle quali sfociano nel nazionalismo. Quindi non si tratta soltanto di affrontare la crisi, ma anche di far fronte alle conseguenze politiche e sociali di tale crisi.

Non è semplicemente un periodo caratterizzato, come ha giustamente osservato un collega nel suo intervento, da una crisi Nord-Sud dell’Unione europea. Sono tempi nuovi, il cui tratto distintivo è proprio l’insorgere e il proliferare di crisi che rimangono irrisolte e si manifestano all’improvviso, all’interno e all’esterno dell’Unione. Questi tempi nuovi inoltre richiedono nuovi modi di pensare sia a livello individuale che istituzionale: è questa la principale sfida politica che ci sta di fronte.

Qualsiasi mutamento nel modo di pensare di una persona comincia dalla persona stessa. Innanzi tutto, se questa persona è un deputato di quest’Assemblea, dovrà chiarire in che modo il Parlamento deve cambiare se vuole far fronte ai tempi nuovi. Lo stesso vale per i membri della Commissione e del Consiglio; ognuno di noi deve essere in grado di affrontare la questione.

In ogni caso, la cosa più importante è mantenere la rotta, perché la direzione che avete preso è quella giusta.

 
  
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  Antolín Sánchez Presedo (S&D) . – (ES) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, questa è la prima crisi che colpisce la zona euro e fin dalla sua comparsa è stato evidente che l’Unione europea non era preparata ad affrontarla.

Ci sono stati problemi di programmazione, che si sono manifestati per esempio nella carente preparazione dell’assistenza finanziaria ai paesi della zona euro, nello scarso rispetto degli impegni assunti in materia di finanze pubbliche e competitività, nell’incremento della divergenza e degli squilibri macroeconomici all’interno della zona euro.

Abbiamo constatato che le iniziative intraprese per parlare con una sola voce europea nei settori della politica estera e della sicurezza non sono state accompagnate da iniziative complementari nel settore dell’economia, nonostante le pressioni della globalizzazione. Purtroppo non è stato possibile trasformare il nostro potenziale economico in una concreta leadership a livello mondiale, e lo squilibrio tra il pilastro della moneta unica e i pilastri economici intergovernativi è diventato sempre più evidente.

Se vogliamo fornire una risposta adeguata, dobbiamo realizzare progressi effettivi in materia di integrazione. Non esiste una soluzione nazionale alla crisi, a meno che qualcuno non pensi di essere in un altro secolo; per questo motivo, il 24 e il 25 marzo il Consiglio europeo ha adottato misure importanti – oserei dire spettacolari – nella giusta direzione. L’attuazione del semestre europeo, l’adozione del meccanismo di stabilità permanente, insieme agli impegni assunti dinanzi al Parlamento – tra cui il pacchetto legislativo che il Parlamento dovrà mettere a punto – sono passi nella giusta direzione. Il Patto euro plus rappresenta senza dubbio un passo avanti ma molto rimane ancora da fare. La crisi è ancora incombente, si contano 23 milioni di disoccupati e grevi nubi si profilano all’orizzonte, mentre rimangono da affrontare problemi di grande rilevanza.

Per questo abbiamo bisogno di un patto tridimensionale con i cittadini europei, poiché le politiche di austerità hanno i loro limiti e dobbiamo promuovere una politica della crescita e dell’occupazione attraverso gli investimenti per ridefinire il nostro modello economico e rispettare gli obiettivi della Strategia Europa 2020.

Una politica di sostenibilità fiscale e finanziaria ha bisogno di un contesto europeo, sia nell’ambito del debito sovrano che nella ricapitalizzazione degli enti finanziari; è altrettanto necessario un vero patto sociale europeo che introduca una maggiore produttività, insieme a standard sociali, progressi in materia fiscale e ammodernamento dello Stato sociale.

 
  
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  Ivo Strejček (ECR) . – (CS) Signora Presidente, la riunione del Consiglio europeo svoltasi il 24 e 25 marzo 2011 e il contenuto del testo adottato in quell’occasione riflettono il processo di introduzione dell’unità fiscale, che è stato tutt’altro che trasparente. L’adozione dell’euro come moneta unica e la vita di questa valuta descrivono una storia di ignoranza delle leggi economiche, di norme violate, di menzogne sull’entità dei deficit pubblici e di inganni celati nelle statistiche nazionali. Il Patto di stabilità e di crescita è stato adottato come ultima occasione per far fronte alla tristemente nota questione della violazione delle norme ed è stato ripetutamente violato negli anni. Come potrebbe essere diversa la sorte del Patto euro plus, date le differenze che sussistono tra le economie nazionali, i diversi tassi di inflazione e i diversi livelli di disoccupazione? La proposta di armonizzare le basi dell’imposta sulle società mi sembra particolarmente inadeguata.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE) . – (PT) Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Commissione, in primo luogo mi compiaccio per i risultati della riunione del Consiglio del 24 e 25 marzo, e in particolare per il consolidamento del semestre europeo, ma soprattutto per l’istituzionalizzazione del meccanismo europeo di stabilità e per il Patto euro plus che è stato definito l’11 marzo in occasione del vertice della zona euro.

Mi sembrano risultati molto positivi per l’Europa ed è un peccato che questo processo non si sia interamente concluso il 24 e 25 marzo. Se avessimo dato questo segnale, se gli Stati membri avessero dato questo segnale al Consiglio, portando a termine il pacchetto di riforma dei fondi, oggi ci troveremmo in una posizione più forte per affrontare i prossimi tre o quattro mesi e in parte avremmo alleviato gli effetti della crisi che si è abbattuta sul mio paese, il Portogallo, e di cui vorrei parlare. Nel Partido Social Democrata (PSD), che è del tutto integrato nel gruppo del Partito popolare europeo (Democratico Cristiano), c’è un’assoluta e totale disponibilità ad adempiere tutti i requisiti e gli obblighi previsti per far parte dell’Europa. È questo che abbiamo fatto e che continuiamo a fare anche adesso, in un momento in cui si registrano difficoltà per il finanziamento di breve periodo. A differenza dell’atteggiamento assunto dal governo guidato dal Partido Social (PS), il PSD ha sempre mostrato una totale disponibilità a offrire all’Europa le garanzie necessarie nell’ambito di questa crisi. Quindi, senza portare la politica interna nel Parlamento europeo, vorrei segnalare l’impegno del PSD a garantire il pieno rispetto della rigorosa agenda a cui il paese dovrà tener fede dopo le elezioni del 5 giugno.

 
  
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  Edit Herczog (S&D) . – (HU) Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente del Consiglio europeo, l’accordo raggiunto durante il Vertice europeo è stato il primo grande successo politico dell’attuale Presidenza ungherese. È innanzi tutto un successo dei conservatori e la sua applicazione dipende dall’unità; per questo motivo è deprecabile che quattro paesi guidati da governi conservatori non abbiano accettato il Patto euro plus e sarebbe opportuno spiegare i motivi di tale atteggiamento. È un segno di deprecabile opportunismo raccomandare agli altri qualcosa che noi, come Presidenza, non riteniamo accettabile per noi stessi: chi sta fuori è destinato alla sconfitta. Un paese che non miri al progresso basato sulla conoscenza e la competitività, ma si limiti ad applicare bassi salari e a vincere la concorrenza fiscale finirà per diventare l’ospizio dell’Unione europea, anche nel medio periodo. Dal momento che ho menzionato la concorrenza fiscale, signor Presidente della Commissione, signor Presidente del Consiglio, come spiegate il fatto che il Consiglio non abbia discusso la questione dei paradisi fiscali? Credete che questo non sia un problema per i cittadini europei? Vi sbagliate! Ci aspettiamo progressi più decisi da parte del Consiglio e della Commissione.

Consentitemi adesso di affrontare la questione della catastrofe naturale che si è abbattuta sul Giappone e del conseguente disastro industriale. Attualmente si contano 12 000 vittime e 17 000 dispersi, centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza casa e milioni di cittadini sono senza lavoro. L’Unione europea ritiene che la solidarietà sia un valore importante, quindi deve offrire il proprio aiuto. Questa catastrofe ha scosso violentemente i mercati mondiali dell’energia e delle materie prime ed eserciterà un’influenza determinante sull’ambiente politico ed economico per molto tempo. È essenziale rafforzare la sicurezza nucleare in tutto il mondo, elaborando norme che rendano possibile tale salto di qualità; è perciò fondamentale sviluppare gli investimenti a favore di ricerca e sviluppo, favorendo la diversificazione della politica energetica in Europa. Signor Presidente della Commissione, signor Presidente del Consiglio, questi obiettivi figurano già tra quelli della Strategia 2020. Spetta al Consiglio e alla Commissione indicare la direzione da seguire per raggiungerli e generare le risorse necessarie. Vi auguriamo di riuscire in questo intento.

 
  
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  Anni Podimata (S&D).(EL) Signora Presidente, senza voler sottovalutare l’importanza delle recenti decisioni adottate dal Consiglio europeo, il tratto distintivo delle decisioni europee dell’ultimo anno è stato quello di realizzare troppo poco e troppo tardi. Non perché non siano state intraprese iniziative importanti, ma perché oggi non possiamo usare come parametro il passato e ciò che abbiamo già fatto per stabilizzare e rafforzare la zona euro; il nostro parametro odierno deve essere l’efficienza con cui affrontiamo la crisi. Purtroppo non siamo efficienti in relazione ai mercati – basti pensare al sensibile aumento dei costi del credito che si è registrato negli ultimi giorni in alcuni paesi della regione, soprattutto in Portogallo – né siamo efficienti o persuasivi, purtroppo, nei confronti dell’opinione pubblica europea, che è sempre più convinta del fatto che l’Europa rappresenti una parte del problema e non una parte della soluzione.

Il Parlamento europeo, in due risoluzioni recenti, e preminenti figure delle varie forze politiche hanno sottolineato che, se vogliamo dare una risposta globale ed efficace alla crisi del debito, dobbiamo considerare seriamente la possibilità di un sistema che consenta di emettere euroobbligazioni. Al contempo, la maggioranza del Consiglio europeo ci dice che tale ipotesi non è praticabile, perché nei momenti di crisi rappresenterebbe un rischio morale per i paesi con solidi sistemi fiscali. Mentre sbandierano il rischio morale per opporsi alle euroobbligazioni, costoro stanno in realtà generando un rischio morale a spese dei paesi con difficoltà finanziarie, avanzando ufficialmente e senza esitazioni la proposta di una bancarotta controllata e della partecipazione dei privati a un sistema di condivisione dei costi: in questo modo il costo del credito, mantenuto a livelli inutilmente alti, perpetua la crisi.

Se vogliamo davvero la partecipazione dei privati e una più equa condivisione dei costi, dobbiamo considerare seriamente la questione di un’imposta sulle transazioni finanziarie come una priorità, per utilizzare parte degli introiti come finanziamento del meccanismo permanente.

 
  
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  Andrey Kovatchev (PPE) . – (BG) Signora Presidente, Presidente Barroso, Presidente Van Rompuy, la crisi che stiamo attraversando conferma la necessità di persone lungimiranti in Europa, non solo nell’ambito dei centri decisionali ma anche tra i semplici cittadini.

È una triste verità. Negli anni della crescita economica abbiamo sprecato molto tempo e sono andate perdute numerose occasioni. L’istituzione della moneta unica è certamente stata un successo, ma è come una bella casa con il tetto danneggiato. Siamo venuti ad abitarci quando il tempo era buono, ma adesso sono giunte le piogge, che cadono sulla zona euro sotto forma di un alto deficit, un eccessivo livello di debito e una bassa affidabilità creditizia.

Il Patto euro plus e le decisioni adottate dal Consiglio segnano un passo nella giusta direzione; il semestre economico è una misura che garantirà alle nostre economie e ai nostri bilanci maggiore coordinamento e resistenza alle crisi finanziarie.

Ne sono lieto e ritengo che l’adesione al Patto sia la decisione giusta per 60 paesi all’esterno della zona euro (tra cui il mio paese, la Bulgaria); in questo modo essi potranno partecipare attivamente al processo decisionale in materia di politiche economiche, consentendo all’Europa di abbandonare standard e principi diversi.

Sono certo che le politiche economiche europee presto o tardi dovranno basarsi su un metodo comunitario piuttosto che su un metodo intergovernativo, come avviene adesso. Forse non è lontano il giorno in cui ci sarà una nuova conferenza intergovernativa o una convenzione sulla governance politica ed economica in Europa.

Condivido le conclusioni del Consiglio sulla situazione in Libia. L’Unione europea deve impegnarsi attivamente a favore della democrazia fino alla fine del conflitto e collaborare con il popolo libico per la creazione di uno Stato costituzionale e di una società civile. In questo modo si invierà un segnale anche ad altri paesi della regione, dimostrando che l’Europa sostiene le legittime rivendicazioni dei cittadini.

L’Europa deve trarre importanti insegnamenti dalla crisi che ha investito la Libia e l’intero mondo arabo e chiedersi che cos’altro possiamo fare per i nostri vicini del Mediterraneo meridionale. È ugualmente opportuno domandarsi in che modo possiamo sfruttare nella regione del Mediterraneo l’esperienza acquisita con il partenariato orientale.

Per concludere, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, la Commissione ha bisogno di forze operative di reazione rapida che possano compiere missioni sotto la bandiera dell’Unione europea. Per raggiungere questo obiettivo servono maggiori capacità e una più forte integrazione in termini di sicurezza e difesa, senza ovviamente duplicare o sostituire la NATO.

 
  
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  Frédéric Daerden (S&D) . – (FR) Signora Presidente, Presidente Van Rompuy, nelle sue conclusioni c’è una cosa sulla quale evidentemente siamo tutti d’accordo: una governance rigorosa. Nessuno può opporsi su questo punto. Il rigore però non deve comportare necessariamente deficit zero o austerità, ma piuttosto un approccio intelligente alla spesa.

La competitività dell’Unione è un elemento necessario che deve essere migliorato, questo è evidente, ma il taglio dei salari e della spesa sociale non può essere l’unica variabile suscettibile di adeguamenti. La competitività si acquisisce investendo nella qualificazione, nella ricerca, nell’eccellenza e nelle grandi infrastrutture.

Tutti sono d’accordo sul fatto che l’Unione e l’euro sono giunti a un punto di svolta: si tratta di scegliere tra un modello che ci porterebbe a ripiegarci su noi stessi, nel quale ognuno confronta la propria competitività con quella dello Stato membro vicino, esamina la propria credibilità sui mercati finanziari e cerca di offrire il più basso contributo possibile al bilancio europeo da un lato, e dall’altro un modello improntato alla solidarietà – l’unico accettabile – nel quale gli standard sociali vengono elevati nel rispetto del dialogo sociale e dei sindacati, fissando requisiti sociali minimi validi in tutta Europa e meccanismi di indicizzazione dei salari protetti, in cui la solidarietà tra le generazioni è assicurata da un sistema pensionistico che garantisca un livello di vita decoroso, come ha affermato recentemente lo stesso Parlamento.

È necessario affrancare gli Stati membri dalle pressioni dei mercati finanziari, rafforzando il ruolo della Banca centrale europea e regolamentando con maggiore efficacia le agenzie di rating; sarebbe ugualmente opportuno realizzare un modello improntato alla solidarietà che garantisca una vera coesione sociale e territoriale in Europa, soprattutto mediante un bilancio europeo rafforzato, con una riforma profonda delle risorse proprie e l’introduzione – finalmente – dell’imposta sulle transazioni finanziarie.

Le sue conclusioni si fondano su una specifica ideologia nella quale debito e deficit sono indicati come i responsabili della recessione, mentre la vera causa sta nell’irresponsabilità dei soggetti finanziari. Se non cambieremo il prisma ideologico in seno al Consiglio, non usciremo dalla recessione, né potremo ripristinare la fiducia dei cittadini. Oggi siamo davanti a un grave deficit democratico e, se il Consiglio e la Commissione continueranno a presentare proposte che ignorano il parere del Parlamento, i cittadini si opporranno ancora di più al nostro progetto.

 
  
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  Marianne Thyssen (PPE) . – (NL) Signora Presidente, l’anno scorso il nostro Parlamento è stato impegnato in un’attività intensa che ha dato avvio a una serie di riforme per garantire che, anche in futuro, l’Unione europea offra ai propri cittadini la possibilità di vivere e lavorare in una società serena ed equa. Sostengo quindi senza riserve gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, elogiando la Presidenza del Consiglio europeo.

Partendo dalle dichiarazioni di altri deputati, vorrei fare tre osservazioni. La prima riguarda il costo del lavoro – uno dei fattori che fanno parte della politica in materia di concorrenza. Nel corso della crisi finanziaria il Presidente della Commissione europea e il Presidente del Consiglio si sono espressi a favore degli stabilizzatori automatici. Invece di un’economia caratterizzata da picchi e minimi, ne avremmo una più stabile che riuscirebbe a tutelare meglio l’occupazione, perfettamente adatta all’economia sociale di mercato che vogliamo realizzare. Qualcuno però teme che un’eccessiva insistenza sul costo del lavoro nell’ambito del Patto euro plus possa limitare il margine d’azione di questi stabilizzatori automatici. Presidente Van Rompuy, cosa pensa a riguardo?

Ho una seconda riserva in relazione al costo del lavoro. I sindacati continuano a ripetere che, nel campo della contrattazione salariale, l’autonomia degli Stati membri e delle parti sociali è messa in pericolo e che ci stiamo avviando verso una flagrante violazione della regolamentazione delle competenze ai sensi del trattato. Mi chiedo quindi: stiamo veramente camminando su un campo minato, o si tratta di timori infondati? Mi piacerebbe sentire la sua analisi, Presidente Van Rompuy, perché se questo duplice timore risultasse infondato, dovremmo davvero metterlo a tacere.

Infine, ho una domanda sul quadro comune per il calcolo della base imponibile per le società. Nelle conclusioni del Vertice di primavera, ho trovato soltanto una frase su questo punto, che peraltro non prevede alcun impegno a riguardo da parte del Consiglio europeo. Devo perciò desumere che non vi è ancora alcuna prospettiva di un consenso generale sull’introduzione del quadro comune per il calcolo della base imponibile per le società e che, per quanto riguarda l’opportunità di rafforzare la cooperazione in materia, siamo ancora allo stadio dei sogni? La ringrazio in anticipo per le risposte che vorrà darmi.

 
  
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  Kriton Arsenis (S&D) . – (EL) Signora Presidente, l’onorevole Podimata ha già affrontato la questione finanziaria, quindi mi occuperò di un’altra importante questione: l’energia nucleare. Che cosa ci ha insegnato il Giappone? Due cose: in primo luogo, che nessuno può essere adeguatamente preparato per affrontare una calamità naturale, o una combinazione di calamità naturali, e in secondo luogo che l’energia nucleare non è mai del tutto sicura.

E noi che cosa facciamo? Accusiamo il Giappone di negligenza, dicendo che il problema non è l’energia nucleare, ma il carente sistema di sicurezza giapponese. Diciamo altresì che intendiamo ispezionare le centrali nucleari, per decidere quali sono sicure e quali non lo sono, e poi procederemo al loro ulteriore sviluppo. Ciò significa che non abbiamo imparato niente dall’esperienza del Giappone. Non possiamo vantare neanche lo stesso livello di preparazione del Giappone per le calamità; il nostro sistema di protezione civile per eventi transfrontalieri come un incidente nucleare è ancora in divenire.

Non dobbiamo chiedere la costruzione di nuove centrali nucleari; invece di investire nello sviluppo dell’energia nucleare, dobbiamo sviluppare l’efficienza dell’energia fotovoltaica e di altre fonti di energia rinnovabile. L’energia nucleare ha un impatto transfrontaliero e l’Unione europea ne è responsabile; per questo motivo, Presidente Barroso, Presidente Van Rompuy, sarete voi i responsabili se l’Europa non adotterà le precauzioni necessarie in previsione di un altro incidente.

 
  
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  Jacek Saryusz-Wolski (PPE) . (EN) Signora Presidente, intendo affrontare tre questioni. Innanzi tutto, credo che dall’incontro al vertice del Consiglio siano scaturiti risultati molto importanti e positivi, data la difficoltà della situazione e del contesto. Apprezzo l’idea di un Patto euro plus inclusivo, aperto a tutti coloro che non fanno ancora parte della zona euro, come ha detto il Presidente del Consiglio Van Rompuy.

Al contempo, stiamo creando una rete di sicurezza per il meccanismo europeo di stabilità. Sarebbe forse opportuno tenerne conto in entrambi i meccanismi del Patto euro plus, che consiste in un impegno obbligatorio a rispettare alcune norme di comportamento in politica macroeconomica e macrofinanziaria, oltre che nell’ambito dell’ESM. La rete di sicurezza deve essere aperta affinché convergenza e solidarietà, elementi fondanti dell’ESM, possano essere inclusivi e non esclusivi.

La mia seconda osservazione riguarda la politica di vicinato, che apparentemente è corso di rielaborazione. La spinta viene dal Sud, ma è importante per l’intera nostra politica di vicinato. A giudicare dai documenti redatti dalla baronessa Ashton e dal Commissario Füle, mi auguro che tale politica sarà più orientata alla società, più generosa con i cittadini e più esigente e rigorosa con le autorità e i governi. Dobbiamo abbandonare gli interessi economici di breve respiro e basare la nostra politica sui diritti umani e sulla democrazia, per passare da una politica dello status quo a una politica di transizione. Ma il nuovo paradigma che stiamo realizzando dovrà essere applicabile anche a est. La nostra azione deve fondarsi sul rispetto dei diritti umani e della democrazia e privilegiare i cittadini rispetto alle autorità.

La mia terza osservazione riguarda i rapporti tra Unione europea e NATO. In Libia la cooperazione tra l’Unione e la NATO ha assunto una forma nuova, che ancora non comprendiamo appieno. L’esperienza fatta in Afghanistan non è stata sempre positiva. Certo si tratta di un rapporto importante; ci auguriamo quindi che questa volta abbia successo.

 
  
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  Arturs Krišjānis Kariņš (PPE) . (LV) Signora Presidente, onorevoli colleghi, credo che sia necessario sancire una netta separazione tra passato e futuro. Per quanto riguarda il passato, dobbiamo trovare una soluzione diversa per i casi della Grecia e dell’Irlanda. Le relative perdite devono essere coperte mediante un piano articolato, affinché i cittadini di questi due paesi possano rimettersi in piedi. Non è giusto continuare a punire i contribuenti di questi paesi per errori commessi dal settore privato, in particolare dalle banche. Per quanto riguarda il futuro, dobbiamo considerare il nostro vero obiettivo per l’Europa: garantire una crescita stabile. Ma per raggiungere questo scopo, come risulta dalle discussioni in seno al Consiglio, è necessario garantire bassi livelli di debito pubblico.

Quali saranno i risultati di un debito pubblico di lieve entità? Prima di tutto si riporterà la fiducia nei mercati finanziari di questi paesi, che di conseguenza potranno godere di bassi tassi di interesse, mentre le aziende di tali paesi conosceranno una nuova fase di crescita e sviluppo. Quando le aziende crescono, arrivano gli investimenti. E con gli investimenti arrivano i posti di lavoro, che sono essenziali per noi europei. Peraltro questo processo di riduzione della spesa pubblica, che mira a tenere basso il livello del debito, non esclude gli investimenti.

Molti colleghi hanno ricordato l’importanza degli investimenti, affermando che non si può uscire dalla crisi semplicemente a forza di risparmi, e quindi è necessario investire. Posso menzionare l’esempio della mia Lettonia, che non solo ha adottato significative misure di risparmio negli ultimi due anni, ma nel 2011 ha stanziato un terzo del bilancio nazionale per realizzare investimenti nel settore pubblico: quindi investire è possibile. In futuro questa sarà la strada da percorrere per evitare di ritrovarsi nella situazione odierna. Vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Marian-Jean Marinescu (PPE) . – (RO) Signora Presidente, con la decisione di modificare il trattato sul funzionamento dell’Unione europea il Consiglio europeo ha adottato una misura significativa per realizzare il meccanismo europeo di stabilità.

In futuro questo meccanismo garantirà una risposta stabile e coerente a qualsiasi situazione di destabilizzazione della zona euro. Un simile meccanismo offre quindi uno strumento eccellente, ma è preferibile evitare situazioni simili; quindi le misure disciplinari previste in materia di governance economica devono essere applicate in maniera coerente. Tutti gli Stati membri devono contribuire al mantenimento della stabilità, indipendentemente dal fatto che facciano parte della zona euro o no. Per questo la creazione del Patto euro plus, a cui hanno aderito anche paesi che non sono membri della zona euro (tra cui la Romania) rappresenta uno sviluppo estremamente positivo.

L’attuazione del semestre europeo contribuirà a coordinare la politica economica europea migliorando la competitività, riducendo la burocrazia, investendo nell’istruzione e facendo crescere la forza lavoro. Ma queste priorità vanno rapidamente convertite in misure interne specifiche.

Il successo delle nuove riforme strutturali europee è strettamente legato al rafforzamento del mercato unico. L’Unione ha bisogno di una strategia che favorisca la creazione di occupazione e riduca le carenze di cui soffre il mercato del lavoro dell’Unione europea.

Condivido la proposta della Commissione di presentare l’Atto per il mercato unico, che dovrebbe essere adottato entro la fine del 2012. Devo dire purtroppo che le misure prioritarie che daranno nuovo impulso al mercato unico e alla competitività non menzionano affatto la necessità di garantire la libera circolazione di tutti i lavoratori europei, limitandosi a sottolineare l’importanza della libera circolazione dei servizi.

 
  
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  Simon Busuttil (PPE) . (MT) Signora Presidente, i profughi che fuggono dalla guerra in Libia stanno arrivando in Europa, soprattutto a Lampedusa e a Malta. I cittadini del mio paese nutrono essenzialmente due preoccupazioni.

In primo luogo, non sanno quante persone arriveranno. In questo momento non è possibile alleviare i loro timori, perché non sappiamo quante persone tenteranno la traversata. In secondo luogo, si nutrono profonde preoccupazioni poiché si ignorano le intenzioni dell’Europa: sarà disposta questa volta a offrire il proprio aiuto? Questo è un timore a cui possiamo e dobbiamo rispondere perché nella nostra legislazione, e in particolare nella direttiva n. 55 del 2001, esiste già un meccanismo di solidarietà. Spetta a noi utilizzarlo.

Apparentemente la Commissione ha fornito due spiegazioni per giustificare la mancata applicazione della direttiva. Prima di tutto, nel Consiglio dei ministri non è stata raggiunta la maggioranza. Presidente Barroso, questa non mi sembra una giustificazione valida. La Commissione deve dimostrare capacità di leadership politica e prendere l’iniziativa di presentare una proposta in modo da attivare questo meccanismo.

La Commissione poi ha dichiarato che il numero dei profughi non è ancora rilevante, ma credo che si imponga una certa cautela; il numero è forse poco rilevante in rapporto all’intera Europa, ma senz’altro considerevole per un unico paese che debba accogliere i profughi senza alcun aiuto.

Mi rivolgo quindi direttamente al Presidente Barroso e lo invito ad attivare il meccanismo di solidarietà; chiedo poi al Presidente Van Rompuy di esortare il Consiglio dei ministri a dar prova di concreta solidarietà.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE) . – (EN) Signora Presidente, i risultati del Consiglio europeo possono essere considerati soddisfacenti sia a livello istituzionale che politico, ma il messaggio che giunge dal dibattito odierno è che la crisi non è ancora finita. Il Presidente della Commissione Barroso ha dichiarato che la situazione economica rimane difficile e incerta, l’onorevole Verhofstadt ha confermato che stiamo tappando i buchi, ma che la crisi non è ancora stata risolta, e secondo il Presidente del Consiglio Van Rompuy rimangono ancora vari problemi da risolvere.

Questo è il risultato degli errori del passato e della carenza di strumenti adeguati. Dobbiamo cercare di capire in che modo siano stati commessi questi errori e come siano stati raggiunti gli spaventosi livelli di debito e deficit attuali. Che cosa non ha funzionato nelle politiche degli Stati membri e nelle istituzioni dell’Unione europea? Senza un’approfondita analisi e in mancanza di valide conclusioni – a questo scopo dovrebbero impegnarsi tutte le parti in causa – non potremo che ripetere gli stessi errori. Il nodo centrale rimane il consolidamento della competitività. Mi auguro che il nuovo Atto per il mercato unico della Commissione sia veramente ambizioso. Se non altro, la questione del mercato unico digitale ha segnato una svolta nelle priorità dell’Unione.

Ultimo ma non meno importante elemento, vorrei segnalare che questa settimana il nuovo governo estone verrà confermato. Alle ultime elezioni, gli elettori estoni hanno manifestato tendenze antieuropeiste, dando al governo in carica una maggioranza ancora più forte, nonostante i pesanti tagli apportati al bilancio…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE) . – (EN) Signora Presidente, le conclusioni del Consiglio sono indubbiamente lodevoli in una prospettiva futura, forse meno se analizziamo la situazione presente e passata.

Sono rimasta colpita dal commento di Catherine Day, funzionario di alto grado della Commissione, che la settimana scorsa in Irlanda ha dichiarato che la luce ha abbandonato il cuore dell’Irlanda. Mi auguro che non si riferisse a noi personalmente e che, visti i risultati delle prove di stress e la decisa azione del nuovo governo, la luce torni a illuminare l’Irlanda. Mi auguro altresì che torni a illuminare il cuore della nostra gente, ormai depressa e delusa, oppressa dalla convinzione di pagare lo scotto per l’intera Unione europea.

A coloro che puntano il dito con rabbia contro gli errori che avrebbero commesso alcuni paesi e cittadini, vorrei ricordare che anche altri hanno partecipato alla festa; mi riferisco alle banche europee, che hanno cercato di trarre profitto dal boom non solo in Irlanda ma anche altrove.

Ma un raggio di speranza brillava sui media irlandesi questa mattina. Una volta che i risultati delle prove di stress sono stati divulgati, i giganti della finanza mondiale hanno deciso di sostenere la nostra economia; spero che si rendano conto che gli irlandesi hanno risolto un problema per il resto dell’Europa e che ci offrano la dovuta solidarietà in termini di tassi di interesse.

 
  
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  Jörg Leichtfried (S&D) . – (DE) Signora Presidente, Presidente Barroso, Presidente Van Rompuy, vorrei porre alcune domande. È certamente positivo che sia stato raggiunto un accordo; l’economia europea e la moneta europea adesso godranno di maggiore tutela. Ma questa tutela è sufficiente da sola? Non sarebbe forse opportuno spingersi oltre? Non sarebbe più opportuno stimolare la ripresa, per conservare quello che stiamo proteggendo? A mio avviso stiamo facendo troppo poco, adottando peraltro la strategia sbagliata.

Perché l’Unione europea investe nelle esportazioni di cetrioli, banane e bestiame invece che nelle università, nei centri di formazione e nelle scuole? Mi sembra una questione da considerare con attenzione. Quando dite che non abbiamo il denaro per farlo, forse potremmo prendere in considerazione l’opportunità di riorganizzare il sistema. Dobbiamo cercare di capire se servono nuove fonti di reddito, nel qual caso basta guardare a quanti hanno sempre approfittato di questa deprecabile situazione.

Presidente Barroso, qual è il vero motivo per cui la Commissione si oppone a un’imposta sulle transazioni finanziarie? Risponda a questa domanda, la prego. Una volta per tutte, dovete decidere se schierarvi con i grandi gruppi finanziari o con i cittadini.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE) . – (FR) Signora Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, ringrazio i presidenti dei gruppi politici per aver cancellato la riunione della Conferenza dei presidenti in modo da tenere questa discussione in Assemblea plenaria conformemente all’articolo 15.

Per quanto riguarda il meccanismo di stabilità vorrei riprendere la questione del controllo politico, sollevata dall’onorevole Lamassoure, e in particolare il problema della regolamentazione di tale meccanismo, per capire chi concederà il discarico di bilancio per questo strumento finanziario.

Concluderò il mio intervento chiedendomi se non sia giunto il momento che la Commissione ci presenti una relazione globale sul sostegno pubblico alle istituzioni creditizie, e in particolare sull’insieme dei flussi finanziari e sul debito sovrano.

Infine propongo di considerare la possibilità di istituire un’agenzia di rating pubblica europea, in considerazione dei gravi problemi che dobbiamo affrontare con le agenzie private, dal momento che il rating di un paese è qualcosa di molto diverso da quello di un’impresa privata.

 
  
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  Enrique Guerrero Salom (S&D) . – (ES) Signora Presidente, all’inizio del suo intervento il Presidente del Consiglio Van Rompuy ha sottolineato che in 49 giorni ci sono stati tre Consigli europei che hanno preso importanti decisioni e un vertice. In altre parole, quello che in precedenza era un evento trimestrale o semestrale adesso è diventato il modo abituale di governare l’Unione per fornire una risposta immediata a problemi immediati.

Ma al di là di questi problemi immediati ci sono le prospettive future dell’Unione, e tali prospettive dipendono dalla nostra capacità di competere. Di quali risorse disponiamo, attualmente, per generare conoscenza? Poche università che raggiungono l’eccellenza a livello mondiale, una quota di investimenti a favore della ricerca e dello sviluppo inferiore a quella dei paesi emergenti e dei paesi sviluppati e, al contempo, una scarsa partecipazione delle nostre aziende alle attività di ricerca.

Dobbiamo acquisire una dimensione europea promuovendo il coordinamento delle università europee e programmi di studio che favoriscano l’eccellenza e la cooperazione.

 
  
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  Graham Watson (ALDE) . – (EN) Signora Presidente, il Presidente del Consiglio e quello della Commissione hanno parlato del Patto euro plus e del mercato unico. Ho una domanda su ognuna delle due questioni.

Siete d’accordo con il Presidente della Banca centrale europea quando dice che sarà necessario un meccanismo europeo di stabilità assai più ampio? In caso contrario, il vostro disaccordo è dovuto forse al fatto che i veri professionisti raramente ammettono in pubblico ciò che non hanno esitazione a riconoscere in privato?

L’unico membro del mercato unico che attui le norme integralmente è la Norvegia. Signor Presidente della Commissione, signor Presidente del Consiglio, dal momento che l’unica vera prova di stress che dovremo affrontare in questa crisi non sarà quella di una banca o di una centrale nucleare, ma quella della solidarietà degli Stati membri dell’Unione europea, ritenete che vi siano buone prospettive di assistere a una maggiore solidarietà di quella che abbiamo visto in passato?

 
  
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  Jaroslav Paška (EFD) . – (SK) Signora Presidente, uno dei temi dei negoziati in seno al Consiglio dell’Unione europea è stato la definizione del nuovo meccanismo anticrisi della zona euro. Benché i leader dei governi che hanno partecipato abbiano raggiunto un accordo sulla creazione di un’euroobbligazione fissa, a quanto pare essi dovranno discutere ulteriormente con gli esperti dei propri paesi per definirne la forma definitiva. Quando il Primo ministro slovacco, signora Radičová, è tornata in patria da Bruxelles, ha scoperto di non godere del sostegno sufficiente in seno al parlamento nazionale per la posizione che aveva assunto durante i negoziati del Consiglio.

Senza una definizione adeguata e precisa del meccanismo di regolamentazione della bancarotta dei paesi insolventi, attivato nel quadro della zona euro, il meccanismo permanente che è stato proposto diverrà in effetti uno strumento permanente dell’indebitamento europeo. Questo è il motivo per cui nessun parlamento nazionale responsabile può accettarlo in questa forma. Signor Presidente del Consiglio, la prego quindi di tenere maggior conto, nelle proposte politiche, dei pareri espressi da esperti qualificati.

 
  
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  Andrew Henry William Brons (NI) . – (EN) Signora Presidente, nel paragrafo 5 della relazione redatta nel corso della riunione si legge che si presenteranno misure politiche per correggere gli squilibri macroeconomici dannosi e persistenti e migliorare la competitività, ma nell’introduzione si parla di promuovere gli scambi con i paesi terzi.

Le importazioni dai paesi terzi, in particolare dalle cosiddette economie emergenti, sono la principale causa degli squilibri commerciali e dell’incapacità di competere. Sarebbe impossibile per le economie sviluppate competere con le importazioni di manufatti da questi paesi senza ridurre i nostri salari ai loro livelli.

Nella sezione a pagina 16, “stimolare la competitività”, si fa riferimento alla questione. Si legge infatti: “[…] saranno valutati in funzione dell’evoluzione delle retribuzioni e della produttività e delle esigenze di adeguamento della competitività”. Ma che cosa significa?

Questa frase può avere un unico significato. I salari devono essere adeguati al ribasso affinché i nostri prodotti possano competere con quelli delle economie emergenti. Mentre i principi del libero scambio sono sacrosanti, gli interessi economici dei lavoratori europei, apparentemente, si possono ignorare.

 
  
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  Seán Kelly (PPE) . – (EN) Signora Presidente, non mi piacere seguire al traino, né avere degli obblighi nei confronti di nessuno, e lo stesso vale per il popolo irlandese, che si distingue per lo spirito indipendente. Per questo motivo il recente salvataggio sancito dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale ha colpito gravemente il popolo irlandese. Non credo però che la colpa di tutto questo sia da attribuire all’Europa. La responsabilità è da ricercarsi essenzialmente tra le banche per azioni irlandesi, il regolatore e il governo, non certo nel popolo irlandese – eppure è il popolo irlandese che adesso deve pagare uno scotto fin troppo oneroso.

Chiedo quindi due cose: in primo luogo, è necessario ridurre il tasso di interesse, e ringrazio il Commissario Rehn e il Presidente Barroso per le loro riflessioni a riguardo. In secondo luogo ritengo che i detentori di obbligazioni debbano pagare le conseguenze – se non del tutto, almeno in parte. Nessuno può sperare di fare investimenti garantiti senza interessi e questo deve valere anche per i detentori di obbligazioni. Se queste mie due richieste si concretizzassero, potremmo fare qualche progresso.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D) . – (FR) Signora Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, onorevoli colleghi, le conclusioni del Consiglio sulla politica economica e sul Patto euro plus aprono un autentico vaso di Pandora europeo da cui usciranno soltanto problemi che i cittadini europei dovranno affrontare. La messa in discussione delle garanzie sociali e dell’indicizzazione dei salari, il rapporto tra produttività e salari, la riduzione del potere d’acquisto, l’aumento dell’età pensionabile sono soltanto alcuni esempi della crisi di austerità che ci attende. Constato con sgomento che il Consiglio non è stato in grado di trarre alcun insegnamento dalla crisi.

Siamo tutti d’accordo sulla necessità di una politica improntata al rigore e alla responsabilità in materia di bilancio, ma non dobbiamo scaricare tutte le conseguenze sui cittadini, che costituiscono la nostra unica occasione di uscire da questa crisi con il pieno controllo della situazione. Né possiamo dimenticare con tanta facilità il settore finanziario e bancario, che deve fare la sua parte e assumere le proprie responsabilità.

Quando avremo finalmente un’imposta sulle transazioni finanziarie? Mentre 16 milioni di europei sono disoccupati, si registra una fiammata dei prezzi e le scosse speculative fanno tremare il continente, il Consiglio scarica l’onere dei sacrifici sul lavoro e sui lavoratori, non sul capitale, e questo è inaccettabile.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (S&D) . – (HU) Signora Presidente, il Presidente del Consiglio Van Rompuy ha dichiarato che il Patto euro plus rappresenta una nuova fase del futuro coordinamento economico e questo è effettivamente un periodo del tutto nuovo nell’ambito del coordinamento macroeconomico. Il Primo ministro Viktor Orbán, Presidente in carica del Consiglio dell’Unione europea, ha espresso un parere simile, descrivendolo come un pilastro del futuro sistema economico europeo. Purtroppo l’Ungheria non compare nell’elenco dei paesi nominati dal Presidente Van Rompuy, dal momento che non ha aderito al Patto euro plus. Molti cittadini ed economisti ungheresi non capiscono il motivo di questa decisione del loro governo, dal momento che l’Ungheria è un piccolo paese con un’economia aperta; la giustificazione per cui il Patto avrebbe impedito la concorrenza fiscale non ha senso, dal momento che esso riguarda soltanto l’armonizzazione della base imponibile per le società. È un peccato che l’Ungheria abbia perso quest’occasione.

 
  
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  Franz Obermayr (NI) . – (DE) Signora Presidente, l’Unione europea è un campione nell’arte della proroga. Per decenni Gheddafi è stato trattato come un partner credibile, per decenni i pericoli dell’energia nucleare sono stati nascosti e adesso stiamo pompando denaro in una rete di sicurezza che evidentemente non funziona. Perché non è evidente a tutti che la crisi dell’euro non si può risolvere con la rete di sicurezza? Prima la Grecia e ora il Portogallo sono stati declassati dalle agenzie di rating statunitensi e il pacchetto di salvataggio finanziario andrà unicamente a beneficio delle banche e degli speculatori che scommettono sulla bancarotta degli Stati membri della zona euro.

Per questo credo sia giunto il momento di eliminare la rete di sicurezza e porre fine ai piani per le euroobbligazioni. Se gli Stati in bancarotta rimangono nella zona euro sarà la fine dell’euro. Per questo motivo, faremmo meglio a utilizzare i miliardi stanziati per i pacchetti di salvataggio per arginare il flusso dei profughi dal Nord Africa con progetti locali sostenibili, o per garantirci una vera indipendenza dall’energia nucleare. Sarebbe senz’altro un valido investimento; sempre meglio che sperperare il denaro nei casinò delle agenzie internazionali di rating.

 
  
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  Ana Gomes (S&D) . – (PT) Signora Presidente, coloro che stanno cercando di convincere il Portogallo ad accettare questi presunti aiuti, in realtà non vogliono aiutarci, ma fare soldi, affondandoci e affondando l’euro. In un’Europa in cui solidarietà, coesione e metodo comunitario hanno perso il loro vero significato, questi presunti aiuti serviranno soltanto a pagare quelle stesse banche che ci hanno spinto nel vortice del debito che adesso ci sta risucchiando sott’acqua, a spese dei contribuenti, con le misure neo-liberiste del Patto euro plus, senza alcun investimento per rilanciare la crescita e l’occupazione, nessuna euroobbligazione, nessuna imposta sulle transazioni finanziarie e nessuna misura per affrontare gli squilibri macroeconomici che stanno distruggendo l’euro.

In questa Europa, in cui ci sono banche troppo grandi per fallire, ma si permette il fallimento di Stati e individui, soltanto la cecità o gli interessi acquisiti possono giustificare il fatto che la Commissione e il Consiglio abbiano rinunciato ad agire contro i paradisi fiscali. Pensate davvero che sia possibile ripulire, regolamentare e supervisionare il sistema finanziario, senza sfiorare in alcun modo quei buchi neri che sono strumenti fondamentali per la corruzione, la frode e l’evasione fiscale e la criminalità organizzata?

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D) . – (SK) Signora Presidente, per cominciare vorrei attirare l’attenzione sull’inesattezza delle conclusioni tratte dal Consiglio, ossia che nonostante la crescita economica è necessario risparmiare. L’ossessione del consolidamento fiscale in un periodo di crisi potrebbe rivelarsi fatale per noi. La nostra vera priorità deve essere quella di promuovere l’occupazione e la crescita economica sostenibile.

Onorevoli colleghi, sono i cittadini a sopportare gli oneri maggiori della crisi. Da un lato perdono il lavoro e vengono colpiti dai draconiani tagli della spesa pubblica; dall’altro c’è il rischio che il denaro necessario per le euroobbligazioni provenga esclusivamente dalle loro imposte. Devono essere gli attori del settore finanziario ad assumere il ruolo principale nel progetto delle euroobbligazioni.

Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, ciò di cui l’Unione ha bisogno adesso è il coordinamento delle politiche economiche e sociali al fine di stimolare l’occupazione e uscire dalla crisi. Abbiamo anche bisogno di un consenso ben definito per quanto riguarda la protezione dell’euro e in questo il settore privato ha un ruolo da svolgere.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI) . – (DE) Signora Presidente, la revisione del trattato ha portato alla nascita del meccanismo europeo di stabilità. Invito ancora una volta tutti voi a rispettare i criteri pertinenti. Dopo tutto, alla luce della continua e prevalente crisi strutturale, mi sembra irresponsabile mettere un altro Stato membro e i suoi cittadini in prima linea. Il meccanismo europeo di stabilità è giustificato soltanto se tutti gli Stati rispettano i propri obblighi di bilancio e acconsentono a realizzare incrementi di efficienza in termini di costi.

La crisi in Giappone ci ha mostrato il livello di “sicurezza” di una centrale nucleare. La natura è troppo forte per poter essere imbrigliata dall’uomo. Ricordando l’esempio di Chernobyl, possiamo solo sperare che l’approccio alle prove di stress sarà improntato a una maggiore cautela rispetto ai limiti che sono stati imposti la settimana scorsa. È ormai tempo di finirla con l’energia nucleare e di concentrarsi sulle energie rinnovabili; per esempio, il progetto NorGer che prevede l’installazione di cavi elettrici sottomarini potrebbe sostituire 60 centrali nucleari.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D) . – (LT) Signora Presidente, il Consiglio europeo è riuscito a raggiungere un accordo su alcune questioni che rivestono particolare importanza per l’Europa e me ne compiaccio. Vorrei sottolineare che il tema del semestre europeo e l’importanza che esso riveste rappresentano una priorità; e prioritario deve essere il ripristino di bilanci credibili, giustizia sociale e sostenibilità fiscale negli Stati membri, per creare condizioni di stabilità affinché le economie nazionali possano procedere più speditamente attraverso una fase di ripresa economica. È essenziale che gli sforzi di consolidamento sostengano le riforme strutturali, soprattutto nell’attuazione delle priorità fissate dalla strategia Europa 2020 nell’Unione europea. Un ruolo fondamentale lo avrà la Commissione, che deve monitorare, con senso di responsabilità, le azioni degli Stati membri e seguire l’attuazione di misure specifiche nel rispetto della stabilità nazionale e dei programmi di convergenza. Inoltre, si nutrono ancora profonde preoccupazioni sull’atteggiamento della Banca centrale europea, del Consiglio e della Commissione europea rispetto alla situazione delle banche commerciali e alle azioni delle agenzie di rating straniere.

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, per quanto riguarda la valutazione dell’ultimo Consiglio europeo credo che l’analisi da me presentata fosse ben equilibrata e abbastanza ragionevole.

Mi sembra giusto riconoscere che abbiamo realizzato progressi importanti per quanto riguarda la struttura. Se confrontiamo quello di cui disponiamo adesso con ciò che non avevamo prima, abbiamo certamente compiuto un importante passo avanti. Per esempio è stato istituito un meccanismo permanente di stabilità, che non era neanche previsto dal trattato. Questo Parlamento inoltre, con una schiacciante maggioranza, ha sostenuto una riforma limitata del trattato per creare un nuovo strumento, uno strumento che prima non esisteva neppure.

Quindi, cerchiamo di essere intellettualmente onesti nella nostra valutazione. Credo che ci siano stati alcuni progressi importanti in termini di reazione alla crisi, in termini di insegnamenti tratti in rapporto alle carenze osservate in passato, sia a livello di strumenti, sia a livello delle politiche. Ma allo stesso tempo, come ho affermato con estrema chiarezza, tutto ciò potrebbe non essere sufficiente. Una cosa è disporre della struttura, dell’architettura, un’altra disporre delle politiche necessarie ad applicarla. In effetti, la vera prova del successo starà nel vedere, successivamente, ciò che i governi e le nostre istituzioni riusciranno a fare in termini di sostanza. La sostanza infatti è più importante degli strumenti.

Allo stesso tempo però, vi ho detto, con grande trasparenza credo, che quando si parla di ambizione la Commissione avrebbe preferito spingersi oltre in alcuni settori. Per esempio noi abbiamo sottolineato che, per quanto riguarda il meccanismo di stabilità permanente, eravamo favorevoli a una maggiore flessibilità. Purtroppo, a questo livello più elevato di ambizione non è stato possibile raggiungere un consenso. Detto questo, credo che sarebbe un errore respingere le conquiste fatte.

Per quanto riguarda l’ambizione, d’altro canto, vorrei sottolineare questo aspetto importante, perché alcuni hanno invitato la Commissione a presentare altre proposte. In pratica tutto ciò che avete suggerito è già stato proposto dalla Commissione. Il 9 maggio 2010 la Commissione – il Commissario Rehn ed io – abbiamo presentato una proposta legislativa concernente un approccio interamente comunitario al meccanismo di stabilità.

Per esempio abbiamo proposto la mutualizzazione della gestione del debito, che è nota in inglese come joint and several guarantees, ma essa è stata respinta dagli Stati membri. Non da voi, ma ottenere l’approvazione degli Stati membri è essenziale, onorevole Verhofstadt. Abbiamo presentato il testo al vertice della zona euro, ma è stato respinto da un’ampia maggioranza di Stati membri. Questa è la realtà!

Sulla questione concreta dell’unanimità o della regola della maggioranza per il meccanismo di stabilità permanente, io stesso ho proposto la seconda alternativa e ho insistito in presenza del Presidente del Consiglio europeo, con alcuni capi di Stato e di governo, affinché essi accettassero una regola di maggioranza qualificata. Ma la proposta è stata respinta!

Quindi, è sempre possibile insistere, ma è necessario che le clausole siano chiare e bisogna sapere esattamente a chi si devono porre le domande. La Commissione ha presentato alcune proposte ambiziose, per esempio in materia di prove di stress; sono state la Commissione europea e la Banca centrale europea a proporre prove credibili e trasparenti per la Banca europea.

Per quanto riguarda le euroobbligazioni, sono almeno trent’anni che la Commissione parla di euroobbligazioni, ma l’idea è stata respinta da alcuni Stati membri. Io stesso ho proposto in questa sede – e vi annuncio che farò altrettanto per le prospettive finanziarie – la possibilità di avere almeno alcune obbligazioni per il finanziamento di progetti, in modo da finanziare gli investimenti a livello di progetto di bilancio europeo. A quel punto vedremo chi sarà disposto a sostenere questo approccio a favore degli investimenti europei. E forse in quell’occasione alcuni di voi ci potranno convincere, con i rispettivi partiti europei, a sostenere questo approccio più ambizioso in materia di prospettive finanziarie. Potrebbe essere l’occasione di realizzare una cooperazione ancora più intensa. Questo è tutto sulla questione relativa all’ambizione sul piano europeo.

(Applausi)

Anche per quanto riguarda la questione sociale, di cui vorrei parlarvi, la Commissione si è battuta per garantire che, nella strategia 2020, si metta l’accento sugli aspetti sociali e sull’istruzione; ma non è stato facile. Alcuni governi dicevano che, sulla base del principio di sussidiarietà, non spettava all’Europa né all’Unione europea intervenire direttamente sugli aspetti sociali e sull’istruzione.

Cerchiamo adesso, nel quadro della strategia 2020 – nell’ambito della quale si è riusciti a raggiungere un certo consenso per includere, per esempio, la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale –, di sviluppare questa politica e di favorire gli investimenti, soprattutto nell’istruzione e nell’innovazione.

Ma a questo proposito, devo informarvi di un aspetto di cui forse non siete al corrente. La Commissione ha proposto, già da qualche tempo (forse due anni fa) lo stanziamento di aiuti alimentari d’urgenza per alcuni cittadini europei, poiché adesso anche in Europa vi sono persone che non hanno i mezzi per nutrirsi. Recentemente, insieme al presidente del gruppo PPE, onorevole Daul, ho visitato il Banco alimentare ubicato nel Basso Reno. In Europa ci sono effettivamente problemi di povertà. Ebbene, sapevate che due governi hanno portato la Commissione davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea perché la Commissione aveva istituito un meccanismo di aiuti per gli europei più poveri? Questa è la situazione!

Cerchiamo di essere assolutamente chiari. La Commissione è favorevole a un’Europa più ambiziosa in materia di governance, crescita equa e maggiore giustizia sociale sul piano europeo. Ma allo stesso tempo, abbiamo bisogno del sostegno del Parlamento e degli Stati membri; e per questo bisogna lottare. A mio avviso quindi prendersela con la Commissione quando questa è in prima linea nella lotta per un’Europa più sociale, più giusta, più equa e per una governance molto più seria, equivarrebbe a mancare totalmente il bersaglio.

Allo stesso tempo, dobbiamo essere estremamente chiari anche su questo punto. Non mi sembra che si aiuti l’Europa dicendo che il problema attuale è il problema dell’Europa, come se i responsabili non fossero alcuni governi, che hanno permesso al debito di raggiungere livelli insostenibili, e alle banche di registrare una crescita di parecchie volte superiore a quella del prodotto interno lordo. C’è anche una responsabilità dei governi ed è una responsabilità essenziale. Per questo adesso dobbiamo trovare soluzioni basate sulla solidarietà, ma anche sulla responsabilità. Per questo sono fiero del fatto che la Commissione e io stesso abbiamo sostenuto la proposta volta a diminuire i tassi d’interesse per la Grecia e stiamo per fare la stessa cosa per l’Irlanda. Ci è sembrata la cosa giusta da fare, non solo per non imporre costi eccessivamente pesanti ai nostri concittadini greci o irlandesi, ma anche per garantire la sostenibilità del debito. E quindi, in questo spirito di solidarietà e di responsabilità potremo trovare risposte comuni che consentiranno anche, mi auguro, di evitare un problema che alcuni di voi hanno menzionato e che mi preoccupa, ossia il problema di una certa frattura in Europa, in particolare una frattura tra Nord e Sud, tra centro e periferia. L’Europa che vogliamo costruire è un’Europa della solidarietà, non un’Europa divisa in prima e seconda classe, ma un’Europa in cui tutti gli europei possano riconoscersi.

(EN) In sede di G20, a nome dell’Unione europea, ho già difeso, e non solo a parole, l’imposta sulle transazioni finanziarie, che è stata respinta da un gran numero dei nostri partner del G20.

Adesso stiamo discutendo della possibilità di avere, a livello europeo, un’imposta sulle transazioni finanziarie. Ancora una volta, dobbiamo essere onesti. Molti Stati membri sono radicalmente contrari a quest’idea e si rifiutano di accettarla. All’ultimo Consiglio europeo ho dichiarato che la Commissione sta effettuando valutazioni d’impatto per le diverse opzioni del settore finanziario e presto presenterà alcune proposte. È stato importante che la Commissione lo annunciasse in occasione del Consiglio europeo, perché almeno nelle conclusioni del Consiglio europeo c’è l’impegno di considerare le proposte che la Commissione presenterà per l’imposizione finanziaria. In termini di giustizia, è importante che anche il settore finanziario – e almeno alcuni comportamenti del settore finanziario sono stati in larga misura all’origine di questa crisi – offra il proprio contributo alla soluzione della crisi. Mi sembra fondamentale se vogliamo parlare di equità. Questa è la mia posizione e, ne sono sicuro, la posizione della Commissione. Presenterò alcune proposte in materia.

Lo stesso vale per la base imponibile consolidata comune per le società (CCCTB). In seno al Consiglio si registra una certa opposizione, ma la Commissione ha presentato una proposta e ci batteremo per farla approvare, giacché riteniamo che la CCCTB sia importante per il completamento del mercato unico. Questo è l’approccio che intendiamo sostenere.

Da molto tempo discutiamo di processi e strumenti. È giunto il momento di mettere processi e strumenti al servizio della sostanza. Processi e strumenti sono importanti ma sono al servizio della sostanza e non possono sostituirsi a essa. La sfida che dobbiamo risolvere è il nostro rinnovamento economico. In verità, per favorire gli investimenti serve la fiducia. La fiducia dipende dalla nostra capacità di ammodernare, di innovare e di diventare più sostenibili e più competitivi. Non dobbiamo confondere causa ed effetto. Potremo attrarre gli investimenti se realizziamo l’Europa 2020 rapidamente e con decisione, e se perseguiamo gli obiettivi di un’Europa sostenibile e competitiva nello spirito della solidarietà e in solidarietà con tutti gli Stati membri, tra cui il Portogallo.

(FR) Onorevole Schulz, lei sa bene che nella mia veste di Presidente della Commissione non posso interferire nella politica interna portoghese. Se un giorno lei non sarà più presidente del gruppo socialista al Parlamento europeo e avrà altre funzioni, sono certo che eserciterà queste nuove funzioni in piena indipendenza e non interferirà nelle questioni interne del gruppo.

Allo stesso tempo però devo dirle che la crisi politica portoghese non ha reso le cose più facili, dal momento che in Portogallo c’era già una situazione molto difficile. Ma bisogna che noi, le istituzioni europee, rispettiamo anche la democrazia nazionale, le decisioni dei parlamenti nazionali e ci auguriamo che il Portogallo riesca a trovare la soluzione migliore.

In ogni caso, la Commissione è al fianco del Portogallo per trovare le soluzioni migliori, pur nel rispetto degli impegni assunti da quel paese e di alcune responsabilità del Portogallo nei confronti dei partner europei. Credo che in questo spirito di solidarietà attiva e di responsabilità potremo reagire alla crisi.

Oggi ho percepito un certo pessimismo tra voi. D’altro canto, in qualità di rappresentanti eletti dai cittadini europei, voi riflettete il sentimento dominante in Europa. Certamente è naturale essere preoccupati, ma credo che dobbiamo avere il coraggio politico e la lungimiranza necessaria per mostrare fiducia nel nostro progetto europeo, giacché non è con il pessimismo che ridaremo la fiducia all’Europa. La Commissione è pronta a lavorare ancora con entusiasmo, insieme a voi, al Consiglio europeo, al Consiglio e a tutte le istituzioni, per un’Europa più forte, più sostenibile, più equa, più giusta e più competitiva.

(Applausi)

 
  
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  Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo.(FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, sono lieto di poter parlare davanti a un’Assemblea così numerosa, la più numerosa da quando sono diventato Presidente del Consiglio,

(Applausi)

ma ho l’impressione che voi non siate venuti qui soltanto per ascoltare me.

In primo luogo, vi ringrazio per tutti i vostri commenti, positivi e negativi. Sono rimasto tanto più colpito perché, in seno al Consiglio europeo, è necessaria l’unanimità e cerchiamo di raggiungere l’unanimità tra tutti i vostri colleghi, di tutti i partiti, Primi ministri e capi di Stato. Ci sono socialisti, cristiano-democratici, conservatori e liberali; tutti appartengono alle vostre famiglie politiche e ogni volta cerchiamo di favorire un accordo tra loro.

Qualcuno mi ha definito l’idealista di turno, il sognatore. Non credo che questo sia il mio ruolo, ma quello che cerco di fare, ogniqualvolta sia possibile – e il Presidente della Commissione può confermarlo – è di agire in maniera da raggiungere una convergenza tra le proposte della Commissione e l’esito del Consiglio europeo. Pensate per esempio alla task-force, in cui le proposte della Commissione erano la base della task-force sulla governance economica e l’esito è stato molto simile alle proposte della Commissione. Cercherò, insieme al Parlamento, di migliorare ulteriormente queste proposte. Il mio ruolo è di cercare un consenso che sia basato il più possibile sulla Comunità e credo di aver raggiunto tale obiettivo in alcuni settori cruciali.

E adesso passiamo al Patto euro plus, il breve rapporto che è servito da punto di partenza per le nostre discussioni, e poi al documento finale sul Patto euro plus; molti di voi, anche coloro che appartengono a gruppi politici scettici, hanno dichiarato che il proprio paese dovrebbe aderire al Patto euro plus: probabilmente perché, dopo tutto, non è così male. Siamo riusciti a raggiungere un compromesso tra obiettivi ambiziosi, affinché le economie rimangano competitive e le finanze pubbliche rimangano sostenibili e l’attuazione a livello nazionale, perché in molti casi le decisioni che dobbiamo adottare sono nazionali.

La mia seconda osservazione riguarda in qualche modo la metodologia. Molte critiche rivolte all’Europa sono giustificate in termini di sostanza, ma non sono in linea con il trattato. Per esempio, l’intera politica nucleare, il mix energetico, rientra nella giurisdizione nazionale e non c’è niente che possa fare per modificare questo aspetto. Anche la sicurezza delle centrali nucleari rientra in gran parte nella giurisdizione nazionale. Ci sono competenze comunitarie, competenze europee, e nelle conclusioni del Consiglio europeo abbiamo cercato di promuoverle per quanto possibile. Non credo che la Commissione abbia mai svolto un ruolo così importante nella sicurezza nucleare come quello che ha avuto dall’ultimo Consiglio europeo tenutosi qualche giorno fa. Ma dobbiamo ancora lavorare nel contesto del trattato.

Si è parlato di salari minimi in alcuni paesi, ma questo fa parte delle competenze nazionali. Si è parlato di disuguaglianze, di insicurezza del posto del lavoro, di ingiustizia, eppure nella maggior parte dei casi queste misure fanno parte di un quadro nazionale. Ma, devo aggiungere, molte misure che si devono adottare ora, in materia di competitività e finanze pubbliche, sono misure che i governi nazionali avrebbero dovuto prendere anche senza subire le pressioni europee. L’Europa sta esercitando ulteriori pressioni perché c’è, almeno per 17 paesi, una valuta comunitaria che dev’essere difesa. In gran parte dei paesi, tuttavia, le misure richieste si devono adottare nell’interesse del paese stesso, dei suoi cittadini, del suo futuro. E l’Europa continua a esercitare pressioni sempre più forti.

Quindi non rivolgiamo critiche infondate all’Unione europea. Le nostre misure di governance sono troppo deboli? Bene, il Consiglio si impegna a collaborare con il Parlamento europeo per migliorare la governance economica e, come in altri casi, sono certo che riusciremo a trovare dei compromessi. Forse il governatore della banca centrale di uno dei 17 paesi ha alcune critiche da fare alla governance economica, ma posso citare altri governatori o direttori di banca di paesi vicini ai Paesi Bassi che hanno opinioni del tutto diverse. Se necessario, posso citare i nomi e le dichiarazioni esatte; è il modo più semplice di lavorare.

Quanto alla crisi attuale, onorevoli deputati, c’è il futuro e ci sono strumenti sui quali sono state adottate decisioni importanti, ma ovviamente c’è il passato. Come ho già detto è necessario fare i conti con il passato. Anche con i migliori strumenti a nostra disposizione – lo strumento europeo per la stabilità finanziaria , il meccanismo di stabilità, la modifica del trattato, la governance economica, il patto – non risolveremo i problemi dei paesi che devono far fronte a gravi difficoltà, né risolveremo i problemi delle banche che sono ancora sotto pressione. Quindi dobbiamo guardare al futuro senza dimenticare il passato.

Per quanto riguarda il passato, in alcuni Stati membri e a livello europeo la politica si è mostrata carente. Qui dobbiamo fare autocritica. Dobbiamo evitare – ed eviteremo, dal momento che abbiamo già adottato le misure necessarie – che questa crisi si verifichi nuovamente in futuro. Ma dobbiamo far fronte, come ho già detto, all’eredità del passato, sia per alcuni paesi che conoscete e che sono coperti da questo programma – come la Grecia e l’Irlanda – sia per altri paesi nei quali si adottano misure specifiche per evitare che finiscano nel programma. Avremmo potuto prendere le stesse misure un anno fa? Certamente no! Ci sono stati errori fondamentali in passato? Sette od otto anni fa abbiamo messo a rischio il Patto di stabilità e di crescita; se non l’avessimo fatto, avremmo avuto strumenti assai più efficaci e sarebbe stato possibile evitare molte crisi.

Onorevoli deputati, a partire dal 2010 abbiamo registrato una crescita economica media del 2 per cento, pari alla media del decennio tra il 1999 e il 2008. Il 2010 è stato un anno di crescita economica, che nel 2011 si è assestata in media sul 2 per cento. Dobbiamo fare di più? Ovviamente sì. Gli investimenti pubblici sono l’unico strumento possibile? Ovviamente no. Il mercato interno, il mercato unico è un elemento molto importante, che va approfondito. La Commissione ha presentato alcune proposte, di cui si riparlerà tra qualche settimana, in occasione del Consiglio europeo di giugno, e lo stesso tema verrà ripreso in autunno.

Infine, per quanto riguarda la Libia, possiamo certamente essere oggetto di molte critiche. Ma senza l’Europa, senza la leadership europea, in Libia ci sarebbe stato un vero bagno di sangue. Senza l’Europa, ci sarebbero stati massacri. Alcuni di voi sono stati molto critici nei confronti dell’Unione europea; eppure, abbiamo agito in tempo. E senza l’Europa non si sarebbe fatto niente a livello mondiale, né a livello di Nazioni Unite. Dopo tutte le critiche che sono state espresse, abbiamo il diritto – credo – di sapere la verità. Abbiamo fatto qualche errore in passato o abbiamo adottato le politiche più adeguate? No! Abbiamo corretto i nostri errori? Sì. E il merito di quest’azione correttiva spetta all’Unione europea.

(Applausi)

Vorrei fare un’ultima osservazione nella mia lingua.

(NL) Ho appena ascoltato l’intervento dell’onorevole Eppink, che ha dichiarato di aver provato una viva delusione. Anch’io sono deluso da tanta disonestà intellettuale. Non intendo proseguire nella questione, ma devo dire che sono veramente molto deluso dall’atteggiamento dell’onorevole Eppink, che ha deciso di mostrare quelle foto sapendo benissimo che io ero presente unicamente in veste ufficiale e che non stavo assolutamente esprimendo la mia posizione personale; il suo atteggiamento mi addolora profondamente.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT
Vicepresidente

 
  
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  Martin Schulz (S&D) . – (DE) Signor Presidente, vorrei fare un’osservazione di carattere personale alla fine della discussione. Non parlo solo a titolo personale, ma a nome di molti miei colleghi che erano presenti in Aula e hanno seguito l’intera discussione. Raramente, da quando sono diventato deputato al Parlamento europeo, mi sono sentito maltrattato come oggi nello scambio di battute tra lei e il Presidente della Commissione Barroso. Cercherò di essere chiaro su questo punto. Presidente Barroso, lei ci ha detto: “Le iniziative possibili, che godono peraltro di un ampio sostegno in seno a quest’Assemblea, falliscono per la mancata approvazione degli Stati membri”. Vorrei darle un consiglio: proponga le iniziative auspicate sotto forma di proposte legislative. In tal modo otterrà la maggioranza di quest’Assemblea e il Consiglio non potrà più addurre alcun pretesto.

(Applausi)

La prego quindi di non usare più il Consiglio come alibi.

A lei, Presidente Van Rompuy, dirò quanto segue: ci ha detto che è riuscito a raggiungere alcuni compromessi tra socialisti, liberali, conservatori e cristiano-democratici a livello di Consiglio. Il Consiglio è formato da ministri sovrani e da Primi ministri. Qui abbiamo un Presidente del Consiglio che sta cercando di rigirare come un guanto il trattato di Lisbona. Il risultato del trattato di Lisbona è che il Consiglio dei capi di Stato e di governo sta assumendo sempre maggiori poteri e al contempo dichiara: “Le nostre decisioni vengono adottate all’unanimità.” Non era questa l’essenza del trattato di Lisbona. Lisbona prevedeva che le decisioni a maggioranza fossero la norma nell’Unione europea. Lei sta interpretando il trattato di Lisbona in modo scorretto.

(Applausi)

Per questo motivo è giunto il momento che il Parlamento europeo assuma il controllo della situazione e difenda il metodo comunitario.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Ivo Belet (PPE), per iscritto. – (NL) Nelle ultime settimane, l’Unione europea ha fatto un salto di qualità per quanto riguarda l’integrazione economica. Il Patto euro plus ci orienta verso una cooperazione rafforzata, conservando il rispetto per le tradizioni della consultazione sociale che sopravvivono negli Stati membri. Naturalmente il lavoro in questo campo deve continuare. Dobbiamo passare alla fase 2 rapidamente e spianare la strada ai progetti di investimento europei che ci consentiranno anche di fare dell’agenda Europa 2020 una realtà.

Il Presidente della Commissione Barroso ci ha promesso che presenterà una proposta sull’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie. Dobbiamo sfruttare questi fondi per realizzare gli indispensabili investimenti transfrontalieri, soprattutto nelle infrastrutture energetiche, sostenuti da obbligazioni per il finanziamento di progetti e dai fondi per i partenariati tra pubblico e privato. È l’unico modo per convincere i cittadini che l’Europa, oggi più che mai, rappresenta per loro la garanzia di un futuro di prosperità.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) L’ultima riunione del Consiglio europeo, tenuta il 24 e il 25 marzo, è stata dedicata in particolare alle principali sfide economiche e diplomatiche che l’Unione europea deve affrontare: la Libia e il Giappone. Benché vi siano i segni di una ripresa economica, la situazione rimane difficile e la fine della crisi economica sembra ancora molto lontana. Questo risulta evidente dal caso del Portogallo, che purtroppo si è unito all’Irlanda e alla Grecia nel richiedere aiuti economici e finanziari. È perciò importante adottare le necessarie misure economiche e finanziarie per affrontare la crisi, per scongiurare il ripetersi di casi di indebitamento come quelli della Grecia, dell’Irlanda e del Portogallo e per rafforzare la governance economica nell’Unione europea, assicurando la creazione di posti di lavoro. È stato adottato un pacchetto di sei misure, che fin dall’inizio mi è sembrato positivo e ambizioso; penso per esempio all’istituzione del meccanismo europeo di stabilità, al Patto euro plus e così via. Mi auguro che queste misure si possano attuare il prima possibile e comincino a produrre i risultati necessari e auspicati.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Il Patto euro plus e il meccanismo europeo di stabilità offriranno agli Stati membri l’assistenza necessaria, chiedendo in cambio un coordinamento più stretto delle politiche economiche. Le due proposte costituiscono perciò una coppia di misure costruttiva, soprattutto per quanto riguarda la proposta relativa al coordinamento delle politiche fiscali, che per un’Unione di Stati che ambiscono a condividere la stessa moneta rappresenta una riforma essenziale. Inoltre, il meccanismo europeo di stabilità, grazie al suo strumento d’intervento da 500 miliardi di euro, opera come un Fondo monetario europeo, autorizzato a prendere a prestito denaro e ad acquistare obbligazioni direttamente dagli Stati, combattendo contemporaneamente la speculazione finanziaria.

Alcune proposte contenute nel Patto sono però impraticabili. L’austerità fiscale e la flessibilizzazione estrema del mercato del lavoro ritarderanno la crescita economica, manterranno la disoccupazione a livelli elevati e provocheranno instabilità nel campo del lavoro. A mio avviso per gettare le basi di una sana crescita economica occorrono un graduale consolidamento fiscale e un’opera di tutela del modello sociale europeo.

 
  
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  Diane Dodds (NI), per iscritto. (EN) In questa seduta plenaria molti interventi sono stati dedicati all’effetto del pacchetto di soccorso sulla Repubblica d’Irlanda. Non bisogna però dimenticare che questa crisi esercita un rilevante effetto domino sul mio collegio elettorale dell’Irlanda del Nord, che confina con la Repubblica. Si registra una forte circolazione transfrontaliera di operazioni finanziarie, servizi e persone che si spostano per motivi di lavoro. Anche le istituzioni bancarie della Repubblica d’Irlanda hanno considerevoli interessi in Irlanda del Nord; di conseguenza, i problemi di liquidità che affliggono attualmente queste banche si riflettono direttamente sulle imprese nordirlandesi – e particolarmente sulle piccole e medie imprese – in termini di accesso al finanziamento. In un momento in cui le PMI sono già costrette a lottare per sopravvivere a una congiuntura economica quanto mai ostile, questo aspetto non fa che aggravare una situazione già difficilissima. Attualmente, il 30 per cento dell’intera produzione nordirlandese prende la strada del mercato della Repubblica d’Irlanda; la debolezza del mercato della Repubblica ha perciò gravi e dirette ripercussioni sulle imprese e l’occupazione nel mio collegio elettorale. Invito quindi il Presidente Barroso a tener conto di questo serio problema e a utilizzare la task-force per esplorare soluzioni che ci consentano di migliorare l’attuale stato di cose.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’ultima riunione del Consiglio europeo ha adottato una serie di decisioni che, se verranno attuate, rappresenteranno un attacco violento, pericoloso e senza precedenti ai lavoratori e ai popoli d’Europa, concretizzato in quello che ha assunto il nuovo nome di Patto euro plus. Il nuovo nome serve sicuramente a celare i veri autori del documento – Germania e Francia – poiché la denominazione precedente, “patto di competitività”, li avrebbe subito traditi. Insieme alla cosiddetta “governance economica”, il patto costituisce un attacco agli Stati membri più vulnerabili dal punto di vista economico e sociale, contro i quali emette un’autentica e inesorabile sentenza di arretratezza e dipendenza economica.

I due strumenti sono collegati all’annunciata modifica – che si avvale della procedura semplificata e non prevede alcun referendum – al trattato di Lisbona, nell’intento di introdurre la cosiddetta “condizionalità” connessa con il meccanismo europeo di stabilità. Secondo le conclusioni del Consiglio, si tratta di una “rigorosa condizionalità politica nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico”. Tale processo verrà sviluppato e attuato di comune accordo dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale.

In sostanza, stiamo attraversando un processo di concentrazione di potere politico ed economico, ora non solo nelle mani di un direttorato di poteri al servizio della finanza e delle grandi imprese, ma anche nelle mani delle stesse istituzioni del capitale internazionale.

 
  
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  Ildikó Gáll-Pelcz (PPE), per iscritto. – (HU) Nell’ardua e critica congiuntura che l’Europa intera si trova oggi a vivere, è importante valutare gli obiettivi che dobbiamo raggiungere e i progressi positivi che abbiamo compiuto insieme. L’attuale Presidenza ungherese ha colto un secondo brillantissimo successo nei settori della governance economica, del meccanismo di stabilità e del semestre europeo. Nei colloqui svoltisi durante la sua ultima riunione alla fine di marzo, il Consiglio europeo è riuscito anche a raggiungere un accordo sulla limitata modifica del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, allo scopo di favorire la stabilità dell’euro e della zona euro. In occasione della riunione del Consiglio la Presidenza ungherese ha votato a favore di una politica economica razionale e responsabile che sia possibile rispettare e – a parte l’istituzionalizzazione del semestre europeo – ha anche rafforzato il meccanismo di stabilità. Bisogna comunque sottolineare che gli elementi della governance economica non vanno confusi assolutamente con il Patto euro plus, che nella fase attuale rimane un accordo intergovernativo. È possibile che il Patto sia uno strumento positivo, ma il mercato interno unico non può essere regolato da accordi intergovernativi non contrattuali. Dal momento che il Patto non chiarisce adeguatamente un aspetto relativo all’armonizzazione fiscale, l’Ungheria per il momento non intende applicare integralmente l’accordo, poiché abbiamo interesse a migliorare il nostro vantaggio competitivo, creando in tal modo reale crescita economica e occupazione nel lungo periodo.

 
  
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  Sandra Kalniete (PPE) , per iscritto. – (LV) Sono felice che 23 Stati membri dell’Unione europea siano riusciti a concordare un pacchetto di misure per salvaguardare la stabilità finanziaria e stimolare la crescita: il Patto euro plus. È importante pure l’accordo raggiunto in materia di riforme strutturali e consolidamento fiscale, insieme alla risoluzione finale sugli emendamenti da apportare al trattato di Lisbona per istituire il meccanismo europeo di stabilità. Tutti i paesi devono attuare misure di consolidamento fiscale, insieme ad altre misure miranti a prevenire squilibri macroeconomici; si devono anche varare riforme strutturali per promuovere l’occupazione e l’inclusione sociale, che andranno definite in base alla situazione specifica di ciascun paese. La partecipazione di 23 paesi europei a questo patto ci induce a sperare che le misure in questione incoraggeranno la crescita economica; si tratta di un passo nella direzione giusta e di una risposta saggia alle sfide economiche che incombono. Il patto si armonizza perfettamente con il lavoro del Parlamento e della Commissione sui miglioramenti al mercato unico e con le tre relazioni che il Parlamento si accinge ad approvare questa settimana. Dobbiamo adottare decisioni ancora più coraggiose. I governi degli Stati membri non devono approfittare del pretesto del ciclo elettorale per rimandare decisioni importanti ma impopolari.

 
  
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  Vilja Savisaar-Toomast (ALDE), per iscritto.(ET) Il Consiglio europeo che si è svolto il 24 e 25 marzo ha adottato una serie di decisioni che giudico importanti e che erano comunque improcrastinabili. A mio avviso la decisione più importante per la politica economica europea è il Patto euro plus, che offre un programma e obiettivi comuni. I quattro obiettivi principali sono i seguenti: promuovere la competitività, promuovere l’occupazione, migliorare la sostenibilità del finanziamento del settore pubblico e ripristinare la stabilità finanziaria. Grazie a questo patto, parecchi altri Stati membri hanno aderito alla zona euro: per esempio Lettonia, Lituania, Polonia, Danimarca, Romania e Bulgaria. In questo momento mi sembra importantissimo concludere accordi comuni che prevedano l’applicazione di norme uniformi oltre che meccanismi comuni per realizzare gli obiettivi auspicati. Desidero sottolineare soprattutto la partecipazione di quegli Stati membri che non appartengono alla zona euro ma hanno comunque aderito al patto. È augurabile che all’applicazione di norme comuni si accompagnerà l’armonizzazione delle percezioni nazionali, e questa considerazione riguarda in particolare la sostenibilità del finanziamento del settore pubblico, allo scopo di impedire il futuro ripetersi delle situazioni in cui sono incappate Grecia e Irlanda. Ma allo stesso tempo non possiamo limitarci a queste decisioni, che produrranno unicamente risultati di breve periodo. È necessario sviluppare soluzioni che consentano di effettuare investimenti in futuro, tramite euroobbligazioni o altri metodi. Vi ringrazio.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) Il recente Vertice del Consiglio europeo segna l’apertura di una nuova fase: una fase di più stretto coordinamento economico e di maggior convergenza nell’Unione europea e nella zona euro. Il Patto euro plus adottato dai capi di Stato e di governo, con la partecipazione dei paesi della zona euro e di Bulgaria, Danimarca, Lituania, Lettonia Polonia e Romania, ci offre la concreta occasione di realizzare gli obiettivi che il patto stesso indica: in altre parole stimolare la competitività, l’occupazione, la stabilità delle finanze pubbliche e la stabilità finanziaria in generale. Vale la pena di sottolineare che il Patto non precisa le misure politiche ed economiche da usare per raggiungere gli obiettivi: ciò significa che spetta ancora ai singoli Stati membri la scelta dei mezzi più adeguati per raggiungere lo scopo. Non c’è dubbio: il successo o il fallimento del Patto dipenderanno dalla concreta partecipazione degli Stati membri e dall’efficacia con cui verranno monitorati i loro progressi. In fatto di coordinamento economico, l’Unione non può più permettersi un fallimento come quello subito dal Patto di stabilità e di crescita. Il Vertice ha approvato inoltre l’inclusione nel trattato di un provvedimento che istituisce un meccanismo europeo di stabilità permanente, mobilitato con l’accordo congiunto degli Stati membri nel caso che si dimostri necessario garantire la stabilità della zona euro nel suo complesso. Si tratta di una decisione importantissima, soprattutto alla luce dei problemi che alcuni paesi della zona euro hanno dovuto affrontare di recente. Un meccanismo permanente inserito nel trattato fungerà da solida garanzia qualora problemi simili si ripresentassero in futuro, riducendo in tal modo il rischio di attacchi speculativi contro la moneta europea. Noto inoltre con soddisfazione che il meccanismo è stato aperto agli Stati membri che non appartengono alla zona euro.

 
  
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  Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto. – (PL) Riusciremo a contrastare efficacemente la crisi solo se lavoreremo insieme, evitando qualsiasi divisione tra i paesi che appartengono alla zona euro e quelli che rimangono al di fuori di essa. È difficile immaginare che un’Unione europea più competitiva possa sorgere senza la partecipazione di paesi come il Regno Unito, la Svezia o la Polonia, e quindi mi rallegro per l’adozione del Patto euro plus. Per cominciare, abbiamo avuto l’impressione che la zona euro intendesse non solo riformare se stessa, ma soprattutto introdurre riforme al di fuori delle strutture dell’Unione europea: quest’eventualità ha suscitato qualche inquietudine tra i deputati al Parlamento europeo. Tali timori sono stati però definitivamente fugati, con una netta presa di posizione a nome del Parlamento. L’unico motivo di rammarico è il fatto che gli Stati membri non l’hanno adottato integralmente, soprattutto per quanto riguarda il meccanismo europeo di stabilità, che a nostro avviso si sarebbe dovuto aprire fin dall’inizio ai paesi non appartenenti alla zona euro.

 

4. Turno di votazioni
Video degli interventi
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)

 

4.1. Mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione: Polonia - Podkarpackie - Fabbricazione di macchinari (A7-0059/2011, Barbara Matera) (votazione)

4.2. Flussi migratori causati dall'instabilità: portata e ruolo della politica estera dell'UE (A7-0075/2011, Fiorello Provera) (votazione)

4.3. Ruolo delle donne nell'agricoltura e nelle zone rurali (A7-0016/2011, Elisabeth Jeggle) (votazione)

4.4. Finanziamenti dell'UE nell'ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri (A7-0054/2011, Marian-Jean Marinescu) (votazione)

4.5. Mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione: Repubblica ceca - Unilever (A7-0060/2011, Barbara Matera) (votazione)

4.6. Prodotti e tecnologie a duplice uso (A7-0028/2011, Jörg Leichtfried) (votazione)
  

– Prima della votazione finale:

 
  
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  Jörg Leichtfried, relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dalla votazione è emerso un risultato che potrebbe essere oggetto di discussione, tuttavia la posizione dell’Assemblea è ora molto vicina alla posizione del Consiglio. Con il consenso dei relatori ombra, chiedo che la votazione finale sia rinviata dal momento che vi sono buone probabilità di raggiungere il pieno accordo con il Consiglio.

 
  
 

(La votazione finale è stata rinviata)

 

4.7. Crediti all'esportazione che beneficiano di sostegno pubblico (A7-0364/2010, Yannick Jadot) (votazione)
 

– Prima della votazione sull’emendamento n. 10:

 
  
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  Helmut Scholz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EN) Signor Presidente, vorrei annunciare che il gruppo GUE/NGL desidera ritirare la votazione per appello nominale in merito alle due sezioni dell’emendamento n. 10.

 
  
 

– Prima della votazione finale:

 
  
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  Yannick Jadot, relatore.(FR) Signor presidente, dal momento che nel precedente turno di votazioni i relatori ombra e il sottoscritto avevamo deciso di non sottoporre la risoluzione legislativa alla votazione del Parlamento al fine di proseguire i negoziati con il Consiglio, auspichiamo che la votazione da parte del Parlamento si tenga oggi.

 
  
 

(La votazione finale è stata rinviata)

 

4.8. Quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne (A7-0065/2011, Eva-Britt Svensson) (votazione)
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  Presidente. − La votazione è conclusa.

 

5. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
 

Dichiarazioni orali di voto

 
  
  

Relazione Provera (A7-0075/2011)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, le ultime tensioni interne e i disordini in Tunisia, Egitto, Libia e in altri paesi arabi hanno causato ingenti flussi migratori che rappresentano, di conseguenza, una sfida e l’Europa deve essere pronta ad affrontarla. Dobbiamo individuare le modalità per far fronte, con un’azione concertata, ai flussi migratori e alle situazioni che si presentano, rispondendo, in uno spirito solidale, alle sfide determinate dalla pressione esterna sul sistema comune.

Sono lieto che il Parlamento abbia adottato oggi una politica per affrontare la questione dei flussi migratori causati dall’instabilità. È con particolare piacere che noto che nella risoluzione del Parlamento si pone particolare l’accento sul potenziamento del ruolo di Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne. Si tratta di un aspetto per cui da tempo si batte il partito liberale danese. Frontex si è rivelata uno strumento di notevole importanza nell’affrontare i flussi migratori dal Nord Africa durante l’attuale crisi della regione. È importante ora che Frontex possa intervenire tempestivamente laddove richiesto.

 
  
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  Pino Arlacchi (S&D). - (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dal momento che rappresenta il primo passo verso una politica dell’Unione europea sui flussi migratori causati dall’instabilità. A tal proposito è fondamentale che il Parlamento si pronunci contro l’idea assurda di un’incombente invasione di immigrati e richiedenti asilo provenienti dal Sud.

Non verremo invasi da milioni di persone che fuggono dalla tirannia e dalle privazioni politiche. Molti cittadini temono l’arrivo di numerosi richiedenti asilo che potrebbero mettere a dura prova i nostri sistemi di assistenza sociale già instabili. È un timore che certo può aiutare a ottenere voti e a raccogliere il consenso per dure politiche sull’immigrazione, ma non corrisponde alla realtà. Secondo le nuove cifre delle Nazioni Unite, il numero totale di richiedenti asilo nei paesi occidentali ha registrato una flessione di oltre il 40 per cento nell’ultimo decennio.

 
  
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  Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io ho sostenuto e votato questo dossier del collega Provera perché ritengo sia un passo avanti concreto e incisivo nell'auspicata direzione della solidarietà, prevista peraltro dall'articolo 80 con riferimento alla solidarietà all'interno degli Stati membri dell'Unione europea, e con uno sguardo chiaro e definito nei confronti di chi si trova in una posizione di grande difficoltà, come in questa fase in particolare il Nord Africa.

Rispetto dei diritti umani, cooperazione internazionale, rapporti bilaterali ma, nel contempo, organizzazioni regionali quali la Lega araba e l'Unione africana che possono dare un valore aggiunto in un processo di pacificazione stabile e duraturo. Confidiamo che i passi avanti siano impostati anche attraverso interventi su aree omogenee che valorizzino sotto il profilo dell'economia realtà che hanno bisogno di essere sostenute e assistite in un percorso di crescita costante e continuo.

 
  
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  Mitro Repo (S&D). - (FI) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall’instabilità rappresentano una sfida reale per l’Unione europea. Riguarda il destino di ogni essere umano e ciascun individuo ha la propria storia; i migranti sono spinti dalla disperazione, ma sono uniti dalla speranza in un destino migliore.

L’Europa deve dimostrare comprensione e deve essere pronta a fornire aiuto. L’integrazione europea è un progetto comune di successo che ha portato prosperità, stabilità e sicurezza, creando una sorta di isola di benessere. Rispondere all’onda di migranti che busserà alla nostra porta sarà difficile e costoso.

L’esempio di Lampedusa dimostra come questioni di sicurezza nell’ambito della politica estera possano diventare improvvisamente questioni di politica internazionale e per questo la sola cooperazione allo sviluppo non è più sufficiente.

L’Europa necessita di un piano preventivo di ampia portata che tratti gli aspetti legati a sicurezza, cooperazione regionale, politica commerciale, cambiamento climatico, tutela dei diritti umani e sviluppo della democrazia. È questa l’azione che dobbiamo intraprendere.

 
  
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  Carlo Fidanza (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel dibattito europeo sui flussi migratori spesso ci si sente dire: "Quale problema può avere un paese di quasi sessanta milioni di abitanti come l'Italia ad accogliere poche decine di migliaia di immigrati?".

In questa domanda si prescinde, spesso strumentalmente, da due dati. Primo, gran parte di questi immigrati vogliono raggiungere altri paesi dell'Unione europea. Secondo, negli ultimi due anni sono sbarcate sulle coste italiane meno di 4.000 persone, grazie agli accordi bilaterali con la Libia e la Tunisia. Negli ultimi due mesi, dopo la crisi politica, siamo già a 22.000 persone.

Oggi l'Italia è una pentola a pressione. Da un lato il flusso dal Nord Africa, in particolare il flusso di migranti economici dalla Tunisia, non si arresta. Dall'altro, la Francia, a Ventimiglia, respinge i migranti perché senza permesso di soggiorno.

Se la solidarietà europea esiste è il momento di dimostrarlo, stabilendo insieme a livello comunitario come affrontare questi flussi, sia nell'emergenza che nel lungo periodo, quali strumenti attuare nei confronti di chi arriva in Europa e quali misure adottare nei paesi di provenienza. Questo testo è un primo passo in questa direzione e per questa ragione ho votato a favore.

 
  
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  Nicole Sinclaire (NI). - (EN) Signor Presidente, un richiamo al regolamento: il dialogo è l’anima di quest’Assemblea e ovviamente siamo chiamati a dimostrare reciproco rispetto. Nel momento in cui due capigruppo intrattengono conversazioni private mentre altri onorevoli colleghi hanno la parola, quale messaggio viene dato all’Assemblea?

 
  
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  Presidente. − Onorevole Daul e onorevole Schulz, vi prego di essere d’esempio a quest’Assemblea.

 
  
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  Giommaria Uggias (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che abbiamo votato oggi fa un po' di chiarezza sul fenomeno dei flussi migratori ed esalta l'azione di Frontex. Credo che questo debba essere considerato positivamente e, in tal senso, anche il voto.

Credo però che questa posizione debba essere accompagnata da una eguale chiarezza da parte degli Stati membri, perché questa è una sfida che riguarda le Istituzioni europee ma riguarda anche la politica degli Stati membri.

Devo dire, però, che questa chiarezza non è stata attuata e praticata finora da tutti gli Stati membri, a iniziare dalla politica del governo italiano, che ha affrontato in maniera molto criticabile e discutibile la situazione di Lampedusa, dove migliaia di migranti sono stati sostanzialmente abbandonati a se stessi laddove una solidarietà – più che giuridica, umana – avrebbe comportato un'attenzione immediata e sicuramente maggiore rispetto a quella che c'è stata, salvo il fatto, poi, di dover affrontare, così come abbiamo fatto in questa sede, il problema giuridico.

 
  
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  Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, se è vero che molti flussi migratori sono causati dall'instabilità, è con un certo pudore che usiamo a sproposito questo termine, perché l'instabilità in effetti è la guerra, il genocidio, la violenza incontrollata, le insurrezioni, la miseria alla quale sono stati condannati questi popoli, anche con il silenzio dell'Unione europea. Poi c'è il desiderio della libertà. La risoluzione che abbiamo votato invoca una politica a Est dell'Unione e i suoi strumenti più appropriati per intervenire sui vari aspetti che determinano questa instabilità.

Mi chiedo quale credibilità potrà avere questa politica estera, dato che le vicende libiche e del Nord Africa hanno dimostrato l'inesistenza di una politica estera dell'Unione. I governi degli Stati sono andati ciascuno per conto proprio, offrendo un desolante spettacolo al mondo e ai popoli che dovremmo aiutare. L'Unione non è stata in grado di offrire una politica d'accoglienza per i profughi se non in misura limitata rispetto alle necessità. All'isola di Lampedusa e all'Italia non è stata data risposta. Pertanto, votiamo certamente a favore di questo provvedimento, ma invitiamo l'Unione a darsi finalmente una politica estera degna di questo nome.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, mi sono astenuto dal voto sulla relazione Provera, principalmente perché ritengo manchi di chiarezza. Contiene molte affermazioni e proposte, alcune anche sensate, aspetto insolito per questo Parlamento. Purtroppo la relazione è un esempio di correttezza politica che non osa trattare – in nessun punto, in nessun paragrafo – la questione di una nuova ondata di immigrazione di massa in Europa, un continente già sovrappopolato. È questione che riguarda principalmente quei paesi che un tempo venivano definiti parte dell’Europa occidentale, ma è comunque una questione di fondamentale importanza.

Le Fiandre, regione da cui provengo, sono una delle zone a più alta densità di popolazione di tutta l’Unione europea. La maggioranza dei fiamminghi non vuole accogliere una nuova ondata di immigrati, tantomeno da paesi con culture e religioni che promuovono valori completamente in disaccordo con i nostri. È giunto il momento che il Parlamento europeo ascolti per una volta i propri cittadini.

 
  
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  Anna Maria Corazza Bildt (PPE). - (EN) Signor Presidente, concordo sulla necessità di adottare misure nel breve termine per far fronte alla crisi umanitaria nel Mediterraneo, assicurando il rispetto della dignità delle persone coinvolte attraverso strumenti quali Frontex. È necessario però sviluppare anche una strategia a lungo termine per affrontare i problemi relativi ai flussi migratori e per creare posti di lavoro nei paesi di origine di queste persone.

Uno degli strumenti chiave a disposizione dell’Unione europea è la politica commerciale ed è ora il momento opportuno per migliorare l’apertura dei nostri mercati, a partire da paesi quali l’Egitto e la Tunisia. Vi è anche la necessità di stabilire un dialogo, rafforzando, al contempo, le relazioni regionali in ambito commerciale.

Possiamo guardare all’esempio della Turchia, al successo che il paese ha ottenuto con l’unione doganale e l’attuazione delle riforme democratiche necessarie. Dobbiamo avere il coraggio di pensare a unioni doganali e accordi di libero scambio con i paesi del Mediterraneo che hanno avviato un percorso di riforme e intrapreso il cammino verso la democrazia.

Desidero concludere appellandomi al Consiglio affinché adotti prontamente la convenzione regionale sulle norme di origine preferenziali paneuromediterranee.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR). - (EN) Signor Presidente, la premessa della relazione non è corretta. L’idea che l’emigrazione sia causata da povertà e disperazione, sebbene possa sembrare plausibile, è in realtà ingannevole. Come dimostra la storia, l’emigrazione è più spesso determinata dall’aumento della ricchezza e delle aspirazioni; proprio di recente abbiamo assistito a un incremento nei flussi migratori dalla Turchia dopo il restauro della democrazia e la fine della dittatura.

La vera causa che spinge le persone ad abbandonare il proprio paese e compiere un viaggio di centinaia di chilometri alla ricerca di una vita migliore è il desiderio di avere nuove opportunità. In realtà, nell’Unione europea abbiamo creato una situazione in cui vi è una forte disoccupazione strutturale, ma siamo obbligati a importare manodopera. Nel mio paese, il Regno Unito, sono 4 milioni i cittadini disoccupati o che percepiscono l’assegno per invalidità; ciononostante ogni mese accettiamo persone provenienti da tutto il mondo per occupare quelle posizioni che i cittadini nati nel Regno Unito non accattano. È un sistema che intrappola milioni di persone nello squallore della dipendenza: si trovano in una situazione in cui il lavoro non è più una possibilità. Se intendiamo sollevarli da questa infelice condizione, non dobbiamo ricercare la soluzione nella politica estera bensì nella riforma allo stato sociale, per poter così restituire la dignità e l’indipendenza ai nostri cittadini.

 
  
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  Syed Kamall (ECR). - (EN) Signor Presidente, un aspetto che, di frequente, non viene trattato nelle discussioni sull’immigrazione è la difficoltà per i migranti di spostarsi da un paese all’altro, spesso in condizioni difficili. Pensiamo a cosa possa significare lasciare la propria famiglia, il proprio villaggio, la propria città, la propria vita sociale, gli amici, senza sapere se e quando li potremo rivedere. Come ha detto l’onorevole collega che mi ha preceduto, cosa li spinge a lasciare il proprio paese alla ricerca di nuove opportunità nei paesi occidentali? Spesso fuggono da una condizione, da un governo in cui non hanno più fiducia.

Da un certo punto di vista li possiamo aiutare. Consideriamo alcune politiche che abbiamo creato: la Politica comune della pesca, che incoraggia i grandi pescherecci a saccheggiare le acque dei paesi africani poveri, facendo perdere il lavoro ai pescatori locali e abbandonandoli ad una condizione disperata. E quale altra scelta rimane loro se non cercare di migrare? Pensiamo poi alla politica di aiuto, che mantiene al potere governi corrotti, rendendo meno allettante per i cittadini l’opzione di rimanere nel proprio Stato d'origine. Questo spinge le persone a migrare e giungere da noi.

Deve essere chiaro a tutti noi. Dobbiamo comprendere quanto sia difficile per i migranti lasciare il proprio paese e fare in modo che le nostre politiche li aiutino a rimanere nella loro terra.

 
  
  

Relazione Jeggle (A7-0016/2011)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, il gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa ritiene importante garantire la parità di diritti e opportunità non solo per le donne ma anche per gli uomini nelle zone rurali rispetto a chi vive in città. Se l’Europa intende mantenere un settore agricolo forte, in grado di fornire prodotti di buona qualità a tutti i paesi europei, deve garantire l’attrattività del settore sia per i lavoratori sia per le loro famiglie. Si deve quindi mirare a creare possibilità di crescita, di innovazione, posti di lavoro e opportunità di sviluppo nelle zone rurali. L’imposizione di quote o di ripartizioni innaturali del lavoro in base al sesso non porta ad alcun risultato.

Ritengo positivo che il Parlamento abbia adottato oggi la relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali, lanciando un segnale chiaro sul ruolo decisivo che le donne rivestono anche in questo settore.

 
  
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  Mario Pirillo (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel settore agricolo e rurale le donne hanno sempre avuto un ruolo importante. Sono infatti il 42% della forza lavoro su un totale di circa 27 milioni di lavoratori.

Nonostante questa elevata percentuale, le donne non sono ben rappresentate nelle organizzazioni di settore e sono discriminate nel processo decisionale. Sono tanti i settori in cui migliorare la condizione delle donne, come il riconoscimento di un'adeguata copertura sociale.

Le Istituzioni europee dovrebbero quindi agire per colmare questa diseguaglianza, monitorando il settore magari attraverso un osservatorio per l'imprenditoria femminile nell'agricoltura, già attivo in Calabria e in altre regioni italiane.

La relazione votata oggi, che ho sostenuto, prende bene in esame anche il problema dell'esodo dalla campagna. Per favorire il mantenimento dell'occupazione occorrono politiche di sostegno e strategie volte alla costruzione di infrastrutture e alla creazione di servizi adeguati alle esigenze della vita moderna da attivare nelle zone rurali.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, la vita e il lavoro nelle zone rurali sono cambiati radicalmente in seguito alle trasformazioni della società, ai mutamenti della struttura sociale e al drammatico cambiamento demografico.

Se l’obiettivo è di evitare l’esodo dalle campagne delle donne di tutte le generazioni o comunque di incentivare la scelta di vivere in zone rurali, è fondamentale che le loro esigenze e condizioni trovino un riscontro più forte nelle politiche di sviluppo. A tale proposito è opportuno ricordare che negli ultimi decenni la realtà delle donne nelle aree rurali si è evoluta e che è ormai fortemente variegata. Si tratta di un'evoluzione che le stesse donne, singolarmente o attraverso i propri movimenti politici, hanno contribuito ad avviare e strutturare.

La relatrice, l’onorevole Jeggle, ha sottolineato correttamente questo aspetto, presentando una relazione significativa. Se miriamo allo sviluppo delle zone rurali, dobbiamo non solo indirizzare le nostre azioni verso la costruzione di infrastrutture e la creazione di un ambiente adatto al turismo, ma dobbiamo anche assicurare che le famiglie, coinvolgendo uomini e donne in ugual misura, facciano ritorno alla vita di campagna.

 
  
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  Janusz Wojciechowski (ECR).(PL) Signor Presidente, ho appoggiato la relazione Jeggle, anche in virtù del fatto che raccomanda di garantire un adeguato stanziamento dei fondi per la politica agricola dell’Unione europea. La tendenza al risparmio che caratterizza la determinazione del bilancio dell’UE è corretta, ma non deve interessare la Politica agricola comune. Se l’Unione europea non riserva l’adeguata assistenza alle zone rurali e all’agricoltura, sarà difficile sia migliorare il ruolo delle donne nelle zone rurali ed incoraggiarle a vivere in campagna in condizioni disagiate, sia perseguire gli obiettivi di questa fondamentale politica, quali la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente e l’equilibrio territoriale. Desidero cogliere l’occasione offerta dalla discussione sulla relazione presentata dall’onorevole Jeggle per ricordare e ribadire che i tagli in Unione europea non devono andarea discapito della Politica agricola comune.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE).(ES) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dal momento che contribuisce a dare visibilità al lavoro e al ruolo delle donne nelle zone rurali.

Senza il contributo fornito dalla relazione, non sarebbe mai stato possibile mantenere popolate le zone non urbane e garantire l’occupazione nelle stesse. La maggiore visibilità dell’operato delle donne nelle campagne porterà a un maggiore riconoscimento sociale, favorendo al contempo la fornitura di prestazioni adeguate. Occorre prestare attenzione alle diverse necessità di uomini e donne nei programmi d’aiuto contemplati nella Politica agricola comune, promuovendo iniziative specifiche volte ad incentivare l’imprenditoria femminile. Nella PAC vanno previsti, inoltre, fondi a favore di servizi quali l’accesso a Internet nelle zone rurali, aspetto che promuove la parità delle condizioni di vita tra i cittadini che vivono nelle città e chi abita in campagna.

Gli Stati membri, in quest’ambito, sono chiamati a riconoscere il lavoro delle donne nei sistemi di sicurezza sociale, dal punto di vista sia della produzione sia dell’assistenza con particolare attenzione alla cura delle persone non autonome e dei bambini.

 
  
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  Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nonostante la presenza del 42% di donne su 26-27 milioni di addetti e il fatto che il 29% delle imprese agricole è gestito da donne, la loro rappresentanza a livello di categoria è quasi nulla e non corrisponde al loro peso.

Ciò non è giusto e non è normale, per cui è necessario che l'Unione dia maggiore spazio alle donne proprio nel settore rurale e trovi adeguate soluzioni per l'insieme delle attività economiche che esse svolgono. Parità di genere, uguaglianza di trattamento, protezione sociale per le madri e riconoscimento del ruolo specifico che le donne portano in agricoltura.

Favorire perciò la formazione continua è uno dei punti fermi sui quali non possiamo più transigere. Condividiamo le proposte della relatrice sull'appoggio a una migliore rappresentazione delle donne in tutti gli organi politici, economici e sociali del settore agricolo, sul sostegno a iniziative di protezione sociale per le coltivatrici dirette, le salariate agricole e le allevatrici stagionali.

Le donne devono trovare un riconoscimento proprio nella riforma della PAC, altrimenti questa riforma sarà inutile e non potremo certo immaginare un futuro sereno con nuovi tagli in agricoltura.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR). - (EN) Signor Presidente, forse ricorda la famosa serie televisiva britannica Life on Mars, in cui il personaggio principale, un agente di polizia, si ritrova catapultato agli inizi del 1970.

Mi sono sentito esattamente come lui stamattina quando ho letto la lista di voto programmata per la giornata odierna. Sono elencate proposte politiche dell’Unione europea in ambiti quali le donne nell’agricoltura, i crediti all’esportazione per aziende privilegiate, le sovvenzioni speciali per Unilever nella Repubblica ceca e per i produttori di macchine utensili in Polonia.

Gli inizi degli anni ‘70 furono un periodo duro per l’Europa in generale e per il Regno Unito in particolare: un periodo segnato da stagflazione, disoccupazione, bancarotta nazionale. La causa però non erano forze naturali al di fuori del nostro controllo, bensì una politica errata, basata principalmente sull’idea che i governi avessero il potere di determinare i vincitori, controllare l’economia e stabilire il corso degli eventi ridistribuendo le risorse.

I 27 Stati membri hanno fatto pregressi, a differenza dell’Unione europea, che continua ad utilizzare i contributi dei cittadini a vantaggio di alcuni gruppi.

Il motivo? Bè, se l’Unione europea non agisse in questo modo, cos’altro potrebbe fare? Come disse una volta Upton Sinclair, è difficile far notare ad una persona ciò che il suo lavoro gli impone di non vedere.

 
  
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  Anna Záborská (PPE). – (SK) Signor Presidente, l’obiettivo della relazione di migliorare la condizione delle donne nelle zone rurali è giusto e adeguato. Purtroppo la relazione considera le donne solamente come lavoratrici e imprenditrici e non come madri, trascurando il valore della loro attività informale e di conseguenza non retribuita. Anche il lavoro delle donne in casa e l’assistenza ai familiari a carico rappresentano un contributo significativo per il benessere della società.

Nonostante questo tipo di attività costituisca un terzo del PIL nei paesi europei, continuiamo a fingere che non esista e, al posto di riconoscerne il valore, facciamo pressione affinché le donne trovino un posto di lavoro ed entrino nel mondo degli affari. Il riconoscimento del valore dell’attività delle donne potrebbe, invece, migliorare la qualità della vita delle famiglie e delle comunità, in special modo nell’agricoltura e nelle zone rurali.

 
  
  

Relazione Marinescu (A7-0054/2011)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, gli Stati membri dovrebbero poter decidere autonomamente la composizione del mix energetico nazionale. Di conseguenza, i costi determinati dalla graduale esclusione di un componente del mix energetico sono di competenza dei singoli paesi. In Lituania, Slovacchia e Bulgaria, tuttavia, erano presenti centrali nucleari risalenti all’epoca sovietica che non soddisfacevano minimamente i requisiti di sicurezza in vigore nell’Unione europea. Fornire il nostro sostegno alla disattivazione delle centrali risulta in tal caso necessario e opportuno.

La pianificazione per il processo di disattivazione, o piuttosto la mancanza di pianificazione, è un problema da evitare in futuro. Nonostante gli ingenti costi, che entro la fine del 2013 ammonteranno a 3 miliardi di euro, le centrali non sono ancora state disattivate. Si tratta di una chiara dimostrazione della mancanza di pianificazione. La Commissione è chiamata ad analizzare nel dettaglio l’efficienza finanziaria dei progetti, dal momento che gli aiuti futuri dipenderanno dalla capacità che i singoli paesi dimostreranno nella gestione adeguata degli attuali fondi.

 
  
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  Sergej Kozlík (ALDE). – (SK) Signor Presidente, la relazione sui finanziamenti nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari presenta un chiaro quadro della situazione attuale. Concordo pienamente con una delle conclusioni chiave della relazione, che afferma la necessità di finanziamenti europei dopo il 2013 a favore dei paesi nei quali si trovano le centrali da disattivare, paesi che non sono in grado di finanziare il processo autonomamente.

La Slovacchia, per esempio, sotto la pressione esercitata dall’Unione europea, ha disattivato due unità della centrale nucleare di Jaslovské Bohunice nel 2006 e nel 2008, soddisfacendo tutti i requisiti di sicurezza come attestato dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica. I costi del processo sono considerevoli e verranno ulteriormente incrementati dalle spese a lungo termine necessarie per la completa disattivazione dei reattori. L’Unione europea deve prevedere di protrarre l’assistenza per la disattivazione delle centrali nucleari anche nella prospettiva finanziaria per il periodo 2013-2020.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE).(PL) Signor Presidente, la politica energetica, e in particolar modo la sicurezza energetica nel senso più ampio del termine, è un tema che suscita accese discussioni in tutto il mondo in seguito ai recenti eventi in Giappone. Il disastro della centrale nucleare di Fukushima ha dimostrato la portata dell’impegno necessario per creare un sistema di fornitura energetica efficiente, ecocompatibile e soprattutto sicuro. Il problema non riguarda solamente l’Asia, ma tutto il mondo. Se esistono centrali nucleari che, per ragioni di sicurezza, devono essere chiuse, è necessaria un’azione concertata per garantirne la disattivazione nel rispetto dei criteri di efficienza. Dobbiamo sostenere le misure volte a creare nuove fonti energetiche sicure. Nel processo decisionale, inoltre, la sicurezza pubblica deve essere la priorità assoluta. Molte grazie.

 
  
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  Salvatore Iacolino (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, non v'è dubbio che un dossier come quello presentato dall'on. Marinescu non poteva non essere sostenuto e condiviso in un contesto seppure caratterizzato ancora oggi dall'ondata emotiva dei fatti di Fukushima. L'approccio del relatore al documento, assolutamente equilibrato e cauto, mi ha spinto tuttavia al sostegno.

Non v'è dubbio, inoltre, che l'impegno nei confronti di Lituania, Slovacchia e Bulgaria debba essere un impegno sostenuto e coerente, ma che nel contempo una serie di altre attività, quelle chiamate più semplicemente "stress test" ma anche tutte quelle improntate alla cautela, debbano garantire sicurezza al nucleare. Non c'è margine di errore che può essere commesso per le ragioni note a tutti quanti noi.

I programmi di finanziamento erano già previsti da tempo e sono stati assicurati. Confidiamo nell'esito concreto e positivo dell'intera operazione che segna un passo avanti nella direzione auspicata da tutti quanti noi.

 
  
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  Paolo Bartolozzi (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'argomento della previsione di adeguate risorse finanziarie per garantire i processi di disattivazione degli impianti nucleari è un problema già affrontato dalla legislazione dell'Unione europea sulla sicurezza del settore nucleare ed è oggi di grande attualità, ovviamente alla luce dei recenti avvenimenti internazionali e delle conseguenti decisioni dei governi dell'Unione in proposito.

Il lavoro dell'onorevole Marinescu, al quale abbiamo espresso il nostro appoggio, affronta i casi specifici di alcuni paesi che, al momento della loro adesione, hanno assunto particolari obblighi in materia di disattivazione degli impianti nucleari e che hanno ricevuto proprio per questa attività un sostegno speciale dall'Unione europea.

Al di là dei casi specifici, da questo argomento è doveroso stabilire un effettivo controllo di verifica nonché di esame delle centrali nucleari presenti nel territorio dell'Unione. Alto sembra infatti essere il numero di reattori che si stima dovranno essere disattivati nel prossimo futuro in territorio comunitario.

Sarà quindi essenziale assicurare meccanismi di garanzia, anche e soprattutto in questi casi, per l'accantonamento di adeguate risorse finanziarie necessarie a far fronte alle necessità, sia ordinarie che straordinarie.

 
  
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  Giommaria Uggias (ALDE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sostenuto questo dossier da antinuclearista convinto, non solo perché credo che la dismissione di queste centrali sia un vantaggio per l'intera collettività, ma anche perché mi auguro che non ci possano essere altre realizzazioni.

Noi oggi ci troviamo davanti a una polveriera in tutta l'Europa. La gestione delle centrali nucleari per finalità civili è una gestione che riposa oramai su protocolli ingegneristici superati, anacronistici. Possiamo dire che questa è una sicurezza sempre più teorica e tutto va bene finché non succede qualcosa. Infatti, ci troviamo di fronte a protocolli di cinquant'anni fa che non trovano nella realtà tutela rispetto a eventi che possono essere sempre più imprevedibili. Non erano prevedibili gli attacchi terroristici e non erano prevedibili gli eventi naturali e calamitosi – e non si tratta solo di terremoti – che sempre più spesso, purtroppo, si manifestano nel nostro mondo disastrato.

 
  
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  Alajos Mészáros (PPE).(HU) Signor Presidente, ho espresso il mio voto a favore della relazione, che interessa direttamente, tra gli altri, anche il mio paese, la Slovacchia. Nel 2004, in sede di negoziati di adesione, i governi di Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno concordato, nell'ambito dei rispettivi trattati di adesione, di chiudere alcuni dei reattori nucleari. Riconoscendo che la chiusura costi rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea si è impegnata a fornire assistenza finanziaria per la disattivazione dei citati reattori entro la fine del 2013, nonostante la limitata esperienza in simili processi. La chiusura delle centrali nucleari potrebbe influire sull’approvvigionamento energetico dei paesi interessati e degli Stati membri vicini.

Per contrastare le conseguenze negative, è necessario fornire alternative e promuovere fonti energetiche competitive e a bassa emissione di carbonio. L’Unione europea, allo stesso tempo, deve fornire adeguate risorse finanziarie al fine di garantire che le operazioni di disattivazione si svolgano in sicurezza. L'Unione europea nel suo insieme potrà trarre beneficio dall’esperienza acquisita in sede di dismissione di reattori al termine del loro ciclo economico. Guardando al 2013, è legittimo supporre che, sulla base dei risultati ad oggi conseguiti, alcuni progetti di investimento saranno conclusi e che le nuove strutture organizzative e gestionali per la disattivazione saranno completate e operative. Molte grazie.

 
  
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  Michail Tremopoulos (Verts/ALE).(EL) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione Marinescu dal momento che nell’Europa orientale e sudorientale, in paesi quali Bulgaria, Romania e Slovacchia, sono attivi reattori nucleari vetusti estremamente pericolosi. In questi anni, tuttavia, si sono spesi miliardi di euro dei contribuenti europei per finanziarne il processo di ammodernamento e prolungamento della vita delle centrali. Stiamo sovvenzionando sostanzialmente la lobby nucleare che lotta per riaffermarsi. Fukushima ha dimostrato ancora una volta la necessità di chiudere i reattori nucleari, ma nelle disposizioni finanziarie non sono comunque stati inseriti i costi per le operazioni di disattivazione. Si tratti di un’enorme e scandalosa sovvenzione a favore di un modo pericoloso, costoso e inquinante di produrre energia. Ora abbiamo la possibilità di invertire questa volontà politica e trasformare i finanziamenti per il ripristino di reattori non sicuri in finanziamenti per la loro disattivazione. Blocchiamo i progetti di nuovi reattori; convertiamo le risorse volte a finanziare Euratom e il progetto ITER; destiniamo le risorse originalmente stanziate per la progettazione e la realizzazione di nuovi reattori a favore di un’economia completamente basata sulle fonti energetiche rinnovabili entro il 2050. Ci troviamo in una situazione di emergenza ed è necessario reagire.

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE).(LT) Signor Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Marinescu per la relazione, piuttosto dura ma per vari aspetti molto reale. Vorrei richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto che Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno rispettato l'impegno assunto con il trattato di adesione, di chiudere gli obsoleti reattori nucleari sovietici nei termini previsti. I progetti relativi alla chiusura della centrale di Ignalina sono per la maggior parte in fase di attuazione o sono già stati realizzati. L’Unione europea auspica che, una volta che entreranno in carica il nuovo governo lituano e il nuovo consiglio della centrale nucleare di Ignalina, verranno avviati procedimenti contro chi non ha organizzato adeguatamente i lavori e che verrà rivisto l’accordo per la costruzione di siti di stoccaggio dei combustibili esauriti al fine di migliorare le condizioni attuali. Concordo sulla necessità di gestire i fondi e di utilizzare le risorse in completa trasparenza, garantendo in tal modo la sicurezza nucleare. Tuttavia, dal momento che stiamo discutendo di nuove centrali nucleari, desidero cogliere l’occasione per richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi circa i progetti di Russia e Bielorussia, paesi confinanti con l’UE, di costruire centrali elettriche con reattori sperimentali. Vi invito a concentrare la nostra attenzione su tali progetti.

 
  
  

Relazione Matera (A7-0060/2011)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, non mi ero reso conto che avremmo avuto la possibilità di presentare una dichiarazione di voto in merito alla risoluzione, ma dal momento che si presenta l’occasione vorrei intervenire brevemente. Il partito liberale danese si oppone essenzialmente al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Tuttavia, dal momento che è stato deciso di costituire il Fondo e che sono state inviate domande conformi ai requisiti previsti dal Fondo stesso, siamo chiamati a concedere i finanziamenti richiesti. Per questo motivo abbiamo votato a favore della relazione.

 
  
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  Nicole Sinclaire (NI). - (EN) Signor Presidente, ho espresso voto contrario per le relazioni Matera concernenti la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per la Repubblica ceca e per la Polonia ma non perché io sia contro questi paesi. Tengo semplicemente in considerazione i miei elettori delle West Midlands e i loro contributi, che rientrano nei 48 milioni di sterline che il Regno Unito versa ogni giorno all’Unione europea.

Permettetemi di spendere qualche parola in merito alla regione delle West Midlands: la disoccupazione tra i giovani è la più alta e le industrie automobilistiche sono state decimate. La colpa è in parte dovuta ai fondi che l’Unione europea ha erogato a favore della creazione di posti di lavoro in Slovacchia, a discapito di posizioni chiave nello stabilimento di Ryton.

Nel 2004 è stato chiaramente il Regno Unito a sostenere l’impatto dell’allargamento dell’Unione europea dal momento che è stato l’unico paese a non imporre barriere, con un conseguente incremento del costo dei servizi pubblici. Un ulteriore esempio di costi sostenuti dai miei elettori sono le sovvenzioni per l’indennità per i figli nell’Europa orientale. I cittadini di questa regione giungono nel Regno Unito, lavorano nel nostro paese e richiedono sussidi per i figli residenti nei paesi di origine.

La nostra intenzione e il nostro desiderio è di mantenere nel Regno Unito i 48 milioni di sterline pagati giornalmente all’UE per dedicarli a servizi pubblici nazionali essenziali, anziché distribuirli negli altri Stati membri, considerando anche che i conti dell’UE non sono stati soggetti a revisione negli ultimi 14 anni.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(GA) Signor Presidente, ho espresso con piacere il mio sostegno alle proposte dell’onorevole de Brún e rivolgo i miei auguri ai lavoratori della Repubblica ceca e della Polonia. Temo tuttavia che rimarranno disgustati e scoraggiati come è accaduto nella mia circoscrizione, in particolare alla Dell a Limerick e alla Waterford Crystal a Waterford.

(EN) Il FEAOG è uno splendido progetto, ma purtroppo non è abbastanza flessibile e quindi una parte dei finanziamenti ritorna all’Unione europea. Suggerisco che, laddove i fondi non vengono utilizzati, gli Stati membri interessati presentino a nome dei lavoratori proposte per impiegarli nel modo migliore.

(GA) Se la procedura sopra indicata verrà adottata, si fornirà un grande aiuto ai cittadini disoccupati, migliorando al contempo l’immagine dell’Unione europea.

 
  
  

Relazione Svensson (A7-0065/2011)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, la violenza contro le donne è un problema mondiale ed è importante prendere posizione in merito, dal punto di vista sia personale che politico. Anche a livello europeo è necessario individuare l’approccio da adottare. Nel momento in cui viene discusso il tema, anziché proporre iniziative non correlate tra loro, dovremmo coinvolgere la Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere per considerare in modo più approfondito le iniziative che meritano l’attenzione dell’Unione europea. Promuovendo la parità in altri ambiti, daremo maggiore peso alle nostre azioni, rendendole più efficaci a vantaggio delle donne interessate. Ne beneficerebbe, inoltre, la credibilità delle iniziative proposte in Parlamento.

 
  
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  Anna Maria Corazza Bildt (PPE). - (EN) Signor Presidente, la violenza contro le donne non è una questione privata; è un reato che va perseguito. Dobbiamo spezzare il silenzio. Rispettare la cultura e la religione di ogni cittadino è importante, ma non deve mai rappresentare una onorare giustificazione per omicidi, mutilazioni genitali, tratta di esseri umani, violenza domestica e matrimoni forzati. Il programma di Stoccolma fornisce un nuovo quadro politico per migliorare la lotta alla violenza contro le donne e richiede l’attuazione di azioni concrete. Esorto la Commissione a presentare una strategia che preveda soluzioni concrete.

Ho votato a favore della relazione poiché credo nell’unione delle forze tra gli attori politici al fine di denunciare e combattere tutte le forme di violenza contro le donne. Appoggio il principio e la maggioranza delle proposte della relazione, ma ritengo necessario adottare misure giuridiche e penali a livello nazionale. È questa la linea adottata in Svezia. La lotta alla violenza è il fulcro dell’azione dell’organizzazione femminile del mio partito, che attraverso interventi concreti e azioni di sensibilizzazione mira a proteggere le donne, a dare loro maggiori poteri e a sviluppare una cultura di rispetto per la dignità femminile. Ho dato avvio a una campagna mediatica sulla violenza contro le donne a cui tutti possono partecipare.

 
  
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  Silvia Costa (S&D). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che votando a favore di questa relazione dell'onorevole Svensson – com'è stato detto anche da altre colleghe – noi ci impegniamo perché sia rispettato l'impegno preso dalla Commissione europea di adottare, entro il 2011, una comunicazione per avviare una strategia e un piano d'azione europeo contro la violenza nei confronti delle donne, che abbiano approccio complessivo, cioè che comprendano tutte le fattispecie, dalla violenza sessuale alla violenza domestica e alle mutilazioni genitali femminili, ma anche – io mi auguro – tutte le nuove forme di violenza. Penso alla vera e propria induzione alla violenza, che spesso è perpetrata da certa pubblicità e dai media, e penso anche alle forme di vero e proprio ricatto e violazione dei diritti umani delle donne sul luogo di lavoro laddove intendano diventare madri o quando sono lavoratrici e madri.

Dopo l'attuazione e l'approvazione della direttiva sulla tratta degli esseri umani, che ha visto il Parlamento europeo molto impegnato, e di quella sull'ordine di protezione europeo, credo che sarebbe importante una vera e propria direttiva nel nuovo quadro giuridico creato da Lisbona e dal programma di Stoccolma su questo tema.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, finché qualsiasi forma di violenza contro le donne non sarà completamente eliminata, non potremo mai dire di avere una società moderna finalmente democratica. Ancora una volta il Parlamento europeo rivolge l'attenzione a questo brutale fenomeno che, purtroppo, rimane drammaticamente attuale.

I dati parlano chiaro: almeno una donna su cinque subisce violenze fisiche o sessuali nel corso della sua vita e addirittura, per le donne tra i 15 e i 44 anni, la violenza è la prima causa di morte e di invalidità, ancora più del cancro o degli incidenti stradali.

Per questo motivo è necessaria una vera e propria mobilitazione permanente che porti alla creazione di uno strumento giuridico globale per la lotta contro tutte le forme di violenza nei confronti delle donne. Oggi deve partire un segnale forte. L'obiettivo finale è uno solo: questo virus letale non deve più trovare terreno fertile.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE).(ES) Signor Presidente, la violenza contro le donne è una conseguenza diretta della discriminazione e per questo è necessaria una politica multidisciplinare che rivolga particolare attenzione ai figli delle donne vittime di abusi.

Queste donne devono avere a disposizione assistenza giuridica gratuita e sostegno psicologico, centri di accoglienza e aiuti economici per essere indipendenti. Vanno elaborate procedure di attuazione delle normative specifiche e corsi di formazione ad hoc per gli operatori in ambito sanitario, legale e della polizia. Al fine di ottenere una prospettiva generale chiara del problema e applicare le politiche più appropriate a livello europeo, sono necessari dati e statistiche aggiornate.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, mi sono astenuto dalla votazione finale in merito alla relazione Svensson. Desidero cogliere l’occasione della dichiarazione di voto per affermare che considero la violenza contro le donne un atto terribile e completamente inaccettabile.

Mi sono astenuto dalla votazione finale poiché penso che la relazione violi ripetutamente il principio di sussidiarietà, principio che tengo in grande considerazione. Non ritengo appropriato incrementare ulteriormente la burocrazia europea, creando nuovi osservatori o istituzioni. Mi disturba anche la correttezza politica della relazione: la parola Islam non viene citata nemmeno una volta nel testo. Questa religione, però, impregnata di principi e standard arretrati, gioca un ruolo cruciale nella discriminazione e nella violenza contro le donne nel mondo islamico, e, purtroppo, anche nei nostri paesi. Non temiamo di affermare che l’Islam, allo stato attuale, è arretrato e misogino.

 
  
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  Anna Záborská (PPE). – (SK) Signor Presidente, accolgo con favore la relazione dell’onorevole Svensson poiché promuove la discussione in merito ai diritti delle donne. Nel condannare la violenza contro le donne in gravidanza, nella relazione si afferma che l'autore del reato nuoce a più di una parte. Sto lottando da anni affinché i diritti delle donne non contrastino con i diritti dei bambini non nati, e sfortunatamente la relazione Svensson non riesce ad evitare questa opposizione.

La restrizione dei diritti delle donne in materia di riproduzione, principalmente il diritto di aborto, ad oggi è considerata una forma di violenza contro le donne. Se consideriamo i bambini non nati come esseri umani, allora l’aborto artificiale rappresenta un atto di violenza contro il feto.

Nella fase di elaborazione di una strategia volta a contrastare tutte le forme di violenza, la Commissione deve armonizzare i diritti delle donne e dei bambini non nati. La nuova strategia deve proteggere le donne e prevedere, allo stesso tempo, meccanismi volti a tutelare i bambini non nati. Da un’attenta lettura della relazione Svensson, emerge la stessa conclusione.

 
  
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  Nicole Sinclaire (NI). - (EN) Signor Presidente, ho espresso voto contrario alla relazione Svensson. Mi oppongo apertamente alla violenza, in particolar modo alla violenza contro le donne, e quindi, qual è la motivazione del mio voto contrario? Ho votato contro la relazione poiché, come ha affermato l’onorevole collega poco fa, rappresenta quasi un salto temporale, tentando ingenuamente di intraprendere nuovamente le lotte agli anni 70, ricercando la correttezza politica di quel tempo.

Sono un po’ preoccupata anche per l’impostazione criminale che la relazione intende dare. D’altro canto è questo che fa l’Unione europea, giusto? Si intromette in una questione in cui vige già il consenso – ossia che la violenza contro le donne è terribile – chiarisce la situazione e chiama in causa il diritto penale. Prima di rendercene conto, lo stesso avviene in sempre più ambiti.

L’Unione europea dovrebbe vergognarsi di aver scelto un simile argomento. Nonostante si tratti di una relazione di iniziativa, è questo il punto di partenza. È da qui che ha inizio la vergognosa presa di potere da parte dell’UE. Una vera reazione per contrastare la violenza contro le donne a livello di Stati membri, è questo quello che serve. L’Unione farebbe meglio a lasciare le cose come stanno e a non trattare più la questione.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

Relazione Matera (A7-0059/2011)

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato istituito nel 2006 per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali internazionali e per assisterli nel reinserimento nel mercato del lavoro. Dall’1° maggio 2009, l’ambito di applicazione del FEG è stato ampliato per includere il sostegno per i lavoratori in esubero come conseguenza diretta della crisi economica, finanziaria e sociale.

In questo periodo di profonda crisi, che ha portato a un aumento della disoccupazione, l’Unione europea dovrebbe ricorrere a tutti i mezzi a propria disposizione per reagire, in particolare per quanto riguarda il sostegno a chi si trova a vivere quotidianamente la realtà della disoccupazione. Per questo ho votato a favore della presente relazione relativa alla mobilitazione del FEG a beneficio della Repubblica ceca, con l’obiettivo di sostenere i lavoratori in esubero in tre imprese che operano nella divisione 28 della classificazione statistica delle attività economiche della comunità europea (NACE) rev. 2, fabbricazione di macchinari e apparecchiature.

 
  
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  Adam Bielan (ECR), per iscritto. − (PL) Signor Presidente, la crisi economica mondiale ha peggiorato la situazione finanziaria di numerose imprese polacche. I problemi associati ai ridotti livelli di produzione hanno l’impatto maggiore sulle persone comuni che lavorano per le aziende coinvolte. Al fine di salvaguardare il sostegno ai lavoratori in esubero in seguito ai cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali dovuti alla globalizzazione, si è istituito il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, il cui obiettivo principale è assistere le persone licenziate nel loro reinserimento nel mercato del lavoro. L’attuale richiesta di mobilitazione del Fondo a favore dei lavoratori delle imprese polacche nella regione di Podkarpackie è la prima dell’anno in corso. In qualità di rappresentante degli interessi polacchi al Parlamento europeo, accolgo con favore la decisione della Commissione di mobilitare il Fondo per perseguire gli obiettivi illustrati nella richiesta. Grazie a questa decisione, i lavoratori in esubero di tre imprese nel settore dei macchinari nella regione di Podkarpackie ricevono un sostegno finanziario pari a quasi 500 000 euro. Con il mio voto a favore della risoluzione, mi auguro anche che la Commissione accolga richieste simili in futuro.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto.(ES) Signor Presidente, la richiesta è conforme ai requisiti del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione e riguarda 200 dei 594 lavoratori licenziati nell’arco di nove mesi in tre imprese polacche che si occupano della fabbricazione di macchinari e apparecchiature e che hanno ridotto le proprie esportazioni del 58 per cento. Il 20 per cento dei lavoratori ha più di 54 anni e il 10 per cento ne ha più di 64. L’assistenza consentirà di migliorare la formazione dei lavoratori in esubero, preparandoli a nuove occupazioni in futuro.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, mi compiaccio del lavoro compiuto sulla base del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), in particolare per quanto riguarda il sostegno ai lavoratori colpiti ai cambiamenti nei flussi commerciali mondiali. Sostengo la decisione di mobilitare il FEG a favore della Polonia, a vantaggio di lavoratori nel settore della fabbricazione di macchinari e apparecchiature licenziati a causa della crisi economica e finanziaria mondiale. Si tratta di una misura estremamente tempestiva, considerando il notevole calo delle esportazioni registrato nel settore, accompagnato da un tasso di disoccupazione altrettanto preoccupante.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, la domanda riguarda 594 esuberi in tre imprese operanti nella regione di Podkarpackie, in Polonia, nel settore della fabbricazione di macchinari e apparecchiature. Si tratta della prima richiesta che va esaminata nel quadro del bilancio 2011 e si basa sul criterio di intervento di cui all'articolo 2, lettera b), del regolamento FEG, che prevede l'esubero di almeno 500 dipendenti, nell'arco di nove mesi, in imprese operanti in una regione o in due regioni contigue di livello NUTS II.

La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha valutato positivamente le condizioni di ammissibilità pertinenti. Il FEG è stato istituito nel 2006 per fornire sostegno supplementare ai lavoratori in esubero che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali dovuti alla globalizzazione e per assisterli nel reinserimento nel mercato del lavoro. In seguito alla revisione del regolamento FEG nel 2009, l’ambito di applicazione del Fondo è stato ampliato per includere il sostegno per i lavoratori in esubero come conseguenza diretta della crisi economica e finanziaria mondiale. Il bilancio annuo disponibile per il FEG ammonta a 500 milioni di euro. Ritengo opportuno impegnarsi nella misura del necessario per velocizzare la mobilitazione di questo strumento, permettendo così agli aiuti di raggiungere più rapidamente i lavoratori che ne hanno bisogno.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, la relazione riguarda un progetto di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilitazione di 453 570 euro dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) al fine di sostenere il reinserimento di lavoratori polacchi licenziati a seguito dell’attuale crisi economica e finanziaria. La domanda in esame, la prima nel quadro del bilancio 2011, è stata presentata dalla Polonia il 27 aprile e riguarda 594 lavoratori della regione di Podkarpackie, impiegati nel settore della fabbricazione di macchinari e apparecchiature. Dal momento che si ricorre a uno strumento di bilancio specifico e che l’importo richiesto è giuridicamente ammissibile e conforme alle disposizioni dell’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea, in particolare il punto 28, ho votato a favore della proposta, che spero contribuisca a ridurre le difficoltà economiche degli abitanti della regione in questione, nonché a rilanciare l’economia locale.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Signor Presidente, la situazione agricola e i problemi che il mondo rurale si trova ad affrontare non possono essere analizzati distintamente dalla profonda crisi del sistema o dalla politica attuale, ad esempio la Politica agricola comune (PAC), che detiene la maggior parte della responsabilità del continuo declino dell’agricoltura in alcuni Stati membri: tutto gira intorno agli interessi degli agricoltori più grandi e dell’industria agroalimentare nordeuropea, distruggendo in questo modo l’agricoltura familiare e compromettendo la sopravvivenza delle aziende agricole di piccole e medie dimensioni.

Il ruolo delle donne nell’agricoltura e nello sviluppo delle aree rurali è estremamente importante; le donne infatti rappresentano quasi il 42 per cento dei lavoratori agricoli e sono fondamentali per l’attività delle aziende agricole, assicurando al contempo un’efficace lotta alla desertificazione nelle zone rurali.

Nonostante manchino critiche realistiche alla PAC, la relazione approvata è in linea di massima positiva nel suo approccio e nel modo di riconoscere il ruolo delle donne. Afferma che “la promozione dell’uguaglianza di genere è un obiettivo fondamentale dell’Unione europea e dei suoi Stati membri”, oltre alla creazione di migliori condizioni di vita nelle aree rurali e alla desertificazione a questo scopo è essenziale tutelare“adeguate infrastrutture di trasporto” e migliorare l’“accesso ai trasporti per tutti” al fine di contrastare “l’esclusione sociale e le disparità nella società, principalmente per le donne”.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Signor Presidente la relazione permette la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per Podkarpackie Machinery, in Polonia. Va ricordato che la Polonia ha richiesto assistenza per 594 lavoratori in esubero in tre imprese della divisione fabbricazione di macchinari e apparecchiature nella regione NUTS II di Podkarpackie.

Gli esuberi sono legati all’impatto della crisi economica e finanziaria, che ha causato un calo del 47 per cento delle esportazioni di Huta Stalowa Wola SA, , un calo del 34 per cento di HSW-ZZN e un calo del 58 per cento delle esportazioni di DEZAMET; le imprese soddisfano quindi i criteri di ammissibilità stabiliti dal regolamento FEG. La Commissione europea propone quindi di stanziare un importo pari a 453 570 euro. Questa situazione ha determinato un rilevante calo nella produzione complessiva di macchinari e apparecchiature, a dimostrazione degli effetti negativi della crisi sulle imprese del settore nel paese.

I 594 licenziamenti hanno gravi ripercussioni sulle condizioni di vita, l’occupazione e l’economia locale e per questo la mobilitazione del FEG è di fondamentale per il sostegno dei lavoratori interessati. Per questi motivi abbiamo votato a favore, sebbene riteniamo più importante evitare che le imprese falliscano e che si perdano posti di lavoro.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. − (LT) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali. La domanda della Polonia, FEG/2010/013 PL/Podkarpackie Machinery, è stata presentata alla Commissione il 27 aprile 2010 e integrata con informazioni aggiuntive fino al 4 agosto 2010. Si basa sul criterio d'intervento di cui all'articolo 2, lettera b), del regolamento FEG, che prevede l'esubero di almeno 500 dipendenti, nell'arco di nove mesi, in imprese operanti nella stessa divisione NACE Rev. 2, in una regione o in due regioni contigue di livello NUTS II in uno Stato membro, ed è stata presentata entro il termine di 10 settimane (articolo 5 del medesimo regolamento). In base alla valutazione della Commissione, la domanda soddisfa i criteri di ammissibilità stabiliti dal regolamento FEG e l’istituzione raccomanda all'autorità di bilancio di approvare le domande. Ho quindi votato a favore del documento, che ritengo contribuirà a evitare conseguenze sociali negative. Credo, inoltre, che anche gli altri Stati membri debbano trarre maggiori benefici dalle opportunità offerte dai fondi europei.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, cari colleghi, ho votato a favore della mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) a favore della Polonia perché credo che questo strumento rappresenti una valida risorsa di sostegno ai lavoratori in difficoltà a causa della crisi economica. Come più volte ribadito, dal 2006 il FEG fornisce un aiuto concreto per quei lavoratori europei che subiscono un licenziamento per cause legate alla delocalizzazione delle relative aziende o, a seguito della deroga introdotta nel 2009, anche a causa della crisi economica, al fine di provvedere al loro reinserimento nel mercato del lavoro. La votazione odierna riguardava una richiesta di supporto relativa a 594 esuberi, di cui 200 ammessi all'assistenza, in 3 imprese operanti nella divisione 28 NACE Rev. 2 nella regione NUTS II Podkarpackie. L'importo totale finanziato dal FEG ammonta a 453.570 euro. Concludo accogliendo con favore l'approvazione della relazione, che dimostra come il FEG sia una risorsa utile ed efficace nella lotta alla disoccupazione come conseguenza della globalizzazione e della crisi economica.

 
  
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  Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto. − (PL) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato istituito per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali. Oggi, il Parlamento europeo ha votato una richiesta per approvare la concessione di oltre 450 000 euro per i lavoratori in esubero di tre imprese operanti nella regione di Podkarpackie. Vorrei sottolineare che il sostegno dell’Unione europea costituisce un incentivo fondamentale per la regione che rappresento, poiché permetterà ai lavoratori licenziati di reinserirsi nel mercato del lavoro e verranno stanziati fondi per la formazione, la riqualificazione, le nuove attrezzature e la consulenza per diventare liberi professionisti. La regione di Podkarpackie è una tra le più povere in Polonia e sono quindi estremamente soddisfatto che riceverà assistenza dall’UE. Vorrei ringraziare quanti hanno votato a favore della concessione di sostegno finanziario.

 
  
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  Barbara Matera (PPE), per iscritto. – Mi compiaccio per l'approvazione dello stanziamento di 453.000 euro provenienti dal fondo FEG a favore dei lavoratori polacchi licenziati nel settore della costruzione di macchinari. A seguito delle raccomandazioni della commissione per i bilanci, la Commissione europea ha iscritto circa 50 milioni di euro in stanziamenti di pagamento alla linea di bilancio relativa al FEG nel bilancio 2011. Questo ci consente di approvare uno stanziamento dei fondi necessari, senza intaccare altre linee di bilancio già dedicate al finanziamento di azioni importanti rispetto agli obiettivi e ai programmi dell'Unione.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione che fornisce sostegno attraverso il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione a 594 lavoratori in esubero in Polonia. I 450 000 euro saranno usati per la riqualificazione e l’assistenza ai lavoratori in questa difficile transizione.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Signor Presidente, ancora una volta siamo costretti a votare a favore di una pietosa elemosina dall’Unione europea alle vittime delle sue politiche di delocalizzazione. La logica alla base del Fondo europeo di globalizzazione è intollerabile. Mi astengo dal voto soltanto per riguardo verso i lavoratori polacchi il cui dolore potrà essere lievemente lenito da questo ipocrita aiuto.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, l’Unione europea è un’area di solidarietà e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) si inscrive in questa logica. Si tratta di un aiuto essenziale per assistere i disoccupati e le vittime della delocalizzazione di imprese in un contesto globalizzato. Sempre più imprese spostano la produzione, traendo vantaggio dai costi inferiori della manodopera in numerosi paesi, in particolare Cina e India, con effetti negativi sui paesi che rispettano i diritti dei lavoratori. Il FEG ha l’obiettivo di assistere i lavoratori vittime delle delocalizzazioni di imprese ed è essenziale per facilitare il loro accesso a una nuova occupazione. Il FEG è stato usato in passato da altri Stati membri ed è quindi opportuno concedere ora assistenza alla Polonia, che ha presentato domanda per 594 esuberi (di cui 200 ammessi all'assistenza) in tre imprese operanti nella divisione 28 NACE Rev. 2, fabbricazione di macchinari e apparecchiature, nella regione NUTS II di Podkarpackie, in Polonia.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Signor Presidente, sebbene abbia votato a favore della proposta di fornire assistenza ai lavoratori del settore dei macchinari di Podkarpackie, in Polonia, ritengo si tratti di una misura analgesica e palliativa alle conseguenze del modello capitalista, che non costituisce alcun passo in avanti nella lotta contro le cause fondamentali della crisi. Sostengo la mobilitazione di risorse dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per i lavoratori in esubero a causa dei cambiamenti strutturali nei flussi commerciali o come conseguenza diretta dell’attuale crisi economica e finanziaria. Ritengo che il FEG possa contribuire all’obiettivo prioritario, ovvero agevolare il reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro. Ho votato a favore anche perché sono convinto che quest’assistenza completi gli aiuti agli esuberi previsti dalle legislazioni nazionali e dagli accordi collettivi. La mobilitazione di denaro dal FEG non può in nessun caso sostituire o annullare le responsabilità giuridiche dei governi e delle imprese nei confronti dei dipendenti in esubero.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) Signor Presidente, considerando che la Polonia ha richiesto assistenza in relazione a 594 esuberi (di cui 200 ammessi all'assistenza del Fondo) in tre imprese operanti nella fabbricazione di macchinari e apparecchiature nella regione di Podkarpackie, in Polonia, durante il periodo di riferimento dal 1° giugno 2009 al 1° marzo 2010, approvo e sostengo pienamente una posizione così attiva da parte del governo polacco e i pareri dei colleghi del mio gruppo S&D. Purtroppo, il governo del mio paese, la Lettonia, non risponde a nessuna delle richieste e delle lettere che ho inviato, e quindi non ricorre all'aiuto del Fondo di stabilizzazione per superare la crisi finanziaria.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito per tutelare i lavoratori licenziati a causa della crisi economica e finanziaria globale. La Polonia ha richiesto assistenza per 594 esuberi nella regione di Podkarpackie. È giusto e opportuno offrire assistenza personale ai lavoratori in esubero in seguito alla globalizzazione e alla crisi economica, agevolando il loro reinserimento nel mercato del lavoro. Ho pertanto votato a favore della relazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato istituito per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali. Il 15 febbraio 2011 la Commissione ha adottato una nuova proposta di decisione sulla mobilitazione del FEG a favore della Polonia al fine di sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori licenziati a causa della crisi finanziaria ed economica globale. La domanda riguarda 594 esuberi (di cui 200 ammessi all’assistenza) in tre imprese che fabbricano macchinari e apparecchiature nella regione di Podkarpackie, in Polonia, durante il periodo di riferimento di nove mesi, tra il 1° giugno 2009 e il 1° marzo 2010. La domanda in esame, la prima nel quadro del bilancio 2011, si riferisce alla mobilitazione del FEG per un importo totale di 453 570 euro. La valutazione della Commissione constata l’esistenza di un legame tra gli esuberi e i grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali o la crisi finanziaria ed economica, nonché la natura imprevista degli esuberi. La richiesta soddisfa tutti i criteri di ammissibilità stabiliti nel regolamento FEG e per questo ho votato a favore della mobilitazione del Fondo.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, la domanda della Polonia relativa all’intervento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) riguarda 594 esuberi (di cui 200 ammessi all’assistenza) in tre imprese operanti nella divisione 28 NACE rev. 2, fabbricazione di macchinari e apparecchiature, nella regione NUTS II di Podkarpackie. In base alla valutazione della Commissione, la domanda soddisfa tutti i criteri di ammissibilità definiti giuridicamente. Ai sensi del regolamento (CE) n. 546/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009 che modifica il regolamento (CE) n. 1927/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, l’ambito di applicazione del FEG è stato temporaneamente ampliato a coprire interventi in situazioni come questa, in cui, come conseguenza diretta della crisi finanziaria ed economica mondiale, vi è “l’esubero di almeno 500 dipendenti, nell’arco di nove mesi, in particolare in piccole e medie imprese, di una divisione NACE 2, in una regione o in due regioni contigue di livello NUTS II”. Ho pertanto votato a favore della risoluzione nella speranza che la mobilitazione del FEG contribuisca all’effettivo reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Signor Presidente, come sempre in questi casi, abbiamo chiesto alle istituzioni interessate di compiere gli sforzi necessari per accelerare la mobilitazione del FEG.

Il Parlamento apprezza a tale proposito la procedura perfezionata messa in atto dalla Commissione, dando seguito alla sua richiesta di accelerare la concessione dei contributi al fine di presentare all’autorità di bilancio la valutazione della Commissione sull’ammissibilità di una domanda FEG congiuntamente alla proposta di mobilitazione del Fondo, e auspica l’attuazione di ulteriori miglioramenti procedurali nel quadro delle prossime revisioni del Fondo.

Ciononostante, il Parlamento ricorda l’impegno delle istituzioni volto a garantire una procedura agevole e rapida per l’adozione delle decisioni relative alla mobilitazione del FEG, apportando un aiuto specifico, una tantum e limitato nel tempo, ai lavoratori in esubero a causa della globalizzazione e della crisi finanziaria ed economica; rileva il ruolo che il FEG può svolgere ai fini del reinserimento dei lavoratori in esubero nel mercato del lavoro; tuttavia, chiede una valutazione dell’integrazione a lungo termine di tali lavoratori nel mercato del lavoro, quale risultato diretto delle misure finanziate dal FEG.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto – Signor Presidente, lo scorso 15 febbraio la Commissione ha adottato una proposta di decisione sulla mobilitazione del FEG a favore della Polonia, con l'obiettivo di sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori licenziati a causa della crisi finanziaria ed economica globale. La domanda riguarda 594 esuberi (di cui 200 ammessi all'assistenza) in tre imprese operanti nella divisione 28 NACE Rev. 2 (confezione di articoli d'abbigliamento) nella regione NUTS II Podkarpackie, durante il periodo di riferimento di nove mesi dal 1° giugno 2009 al 1° marzo 2010. Il mio voto positivo alla risoluzione odierna ribadisce il parere favorevole già espresso in sede di commissione per l'occupazione e gli affari sociali.

 
  
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  Peter Skinner (S&D), per iscritto. (EN) Signor Presidente, mentre votiamo questa relazione, trovo ironico che esista questo Fondo ma che non tutti gli Stati membri lo utilizzino. La percentuale di Fondo rimanente a fine anno è versata agli Stati membri come parte del loro “rimborso”, eppure, il fatto che alcuni paesi, come il Regno Unito, non ricorrano al Fondo in casi come la chiusura delle piantagioni di tè Twining ad Andover nonostante ne abbiano il diritto, solleva alcune domande. Chi finge di comprendere i vantaggi e gli svantaggi del rimborso si chiede se forse non sarebbe più corretto ed efficiente che i paesi utilizzassero direttamente i fondi del FEG a livello locale.

Il secondo aspetto ironico riguarda la partecipazione politica ed economica, l’impegno a qualsiasi livello UE di valore aggiunto. Che il Regno Unito eserciti il diritto di non partecipare ai fondi gestiti a livello comunitario perché in futuro potrebbero non esserci più benefici è, in questo caso, un approccio dubbio e forse anche del tutto errato.

Il Regno Unito rinuncia all’accesso al finanziamento sulla base del principio che prevede la non presentazione di domande per il Fondo per poi ricevere un rimborso. Vi sono poche giustificazioni per rispondere “no” a chi è alla ricerca di assistenza per il reinserimento nel mondo del lavoro (a Sandwich, Kent e Andover, Hampshire),: si tratta di un’altra delusione del governo del Regno Unito.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione che finanzierà misure di assistenza personalizzate per i lavoratori in esubero in Polonia.

 
  
  

Relazione Provera (A7-0075/2011)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Signor Presidente, ho votato a favore dell’importante risoluzione in oggetto sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE. L'instabilità politica, sociale ed economica, la mancanza di sicurezza, la repressione politica e i regimi autoritari sono le forze principali alla base della migrazione, in quanto privano le comunità colpite di prospettive e di redditi locali sostenibili e, di conseguenza, del diritto di scegliere se migrare o meno, mettendo così costantemente a rischio le loro vite e offrendo loro, come unica opzione, la migrazione. I recenti avvenimenti drammatici verificatisi in Egitto e in altri paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente hanno chiaramente portato a un aumento del flusso di migranti sia legali sia illegali verso l'Europa. L’Unione europea, pertanto, deve essere pronta a resistere ai flussi migratori e può farlo soltanto sviluppando una politica in materia di immigrazione efficiente e sensata, simile a quella attuata in Canada, Australia o Nuova Zelanda. Concordo con il parere del relatore sulla necessità di esortare la Commissione ad assicurare che qualunque accordo di riammissione firmato dall'UE e dai suoi Stati membri rispetti pienamente i diritti umani e il principio di non respingimento e non metta a rischio persone bisognose di protezione internazionale. L’Unione europea, così, dimostrerà ancora una volta che i valori e il rispetto dei diritti dell’uomo costituiscono il bene più prezioso e inalienabile e chi cerca asilo si sentirà rispettato e al sicuro.

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, l'instabilità politica, sociale ed economica, la mancanza di sicurezza e la repressione politica dei regimi autoritari sono i fattori principali alla base della migrazione e delle ondate migratorie che si riversano senza sosta su alcuni paesi del bacino del Mediterraneo, mettendoli nelle condizioni di non riuscire a gestire le numerose difficoltà che comportano le emergenze umanitarie.

In queste ultime settimane è impossibile ignorare le migliaia di migranti che hanno raggiunto Lampedusa a seguito dei disordini nei paesi del Nord Africa. Il 90% di queste persone sono giovani di età compresa tra i 15 e i 35 anni, che rischiano la vita con la speranza di trovare opportunità migliori. Nonostante gli sforzi straordinari del governo italiano, delle amministrazioni locali e della Croce Rossa Italiana, la situazione sull'isola è emergenziale: gli sbarchi non accennano a fermarsi e si sconta il ritardo dell'UE che ha tempi burocratici inconciliabili con la situazione.

Oggi, l'UE ha il dovere di sviluppare una politica efficiente e globale in materia di migrazione che preveda la realizzazione di un sistema europeo di asilo, l'attuazione di un programma di reinserimento su base obbligatoria, capace di realizzare un'equa distribuzione delle responsabilità, e accordi con gli Stati per incoraggiare lo sviluppo.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. – I recenti avvenimenti che hanno avuto luogo e che stanno accadendo tuttora sulle sponde opposte del Mediterraneo testimoniano come l'instabilità di questa regione e i conseguenti flussi migratori rappresentino per l'Unione europea una sfida da dover affrontare.

Il fenomeno migratorio è preoccupante per gli sviluppi e le tensioni che può provocare, sia nelle relazioni tra i paesi d'origine e i paesi di destinazione dei migranti, ma anche tra i paesi d'origine e i paesi di transito degli stessi. È necessario rafforzare la politica di prevenzione, ottimizzando le risorse finanziarie e migliorando le esistenti strutture istituzionali. Dobbiamo circoscrivere l'immigrazione illegale e, in tal senso, ritengo che l'estensione degli accordi di migrazione costituisca un rimedio efficace per ottenere dei risultati nel breve termine e ridurre l'instabilità dei flussi migratori.

Condivido l'analisi contenuta nella relazione e, in particolare, sono d'accordo sul fatto di inserire, nella preparazione post 2013 degli strumenti delle relazioni esterne, un meccanismo bilaterale che consenta un monitoraggio attivo dello stato della protezione delle minoranze, ovvero di altri gruppi che possano essere oggetto di violazioni e soffrire di una dimensione di instabilità. Per questo ho dato il mio voto favorevole a questa relazione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione. I recenti avvenimenti drammatici verificatisi in Egitto e in altri paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente hanno portato a un aumento del flusso di migranti sia legali sia illegali verso l'Europa. Gli Stati membri dell’Unione europea si trovano ad affrontare migrazioni forzate, causate dalla recessione economica, dall’impoverimento, dalle violazioni dei diritti umani, dal degrado ambientale, dal crescente divario fra i paesi ricchi e quelli poveri, dalle guerre civili e dalle persecuzioni politiche. La gestione dei flussi migratori costituisce un’enorme sfida per l’Unione europea, che deve attivarsi per elaborare una politica migratoria comune in grado di contribuire a una riduzione dell’immigrazione clandestina. Concordo con la necessità di adottare misure preventive in tutti gli accordi commerciali bilaterali dell’UE, incluse clausole sui diritti umani, e bisogna prendere in considerazione l’applicazione di sanzioni appropriate per i paesi che non rispettano tali clausole.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, l’Europa si trova ad affrontare una vera sfida, ovvero l’aumento dei flussi migratori che deriva dall’instabilità caratteristica di molti paesi. Simili fenomeni migratori potrebbero generare tensioni non solo tra i paesi di origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi di origine e quelli di transito dei migranti.

La strategia dell’Unione europea dovrebbe affiancare alla dimensione della cooperazione allo sviluppo una visione più globale e politica che investa gli aspetti della sicurezza, della cooperazione regionale e degli accordi bilaterali. La relazione identifica in quest’ambito le possibili aree di azione seguenti: incoraggiare i paesi di transito e d'origine a realizzare condizioni di maggiore stabilità economica ed istituzionale; intensificare i propri sforzi nella mediazione e prevenzione dei conflitti, in cooperazione con le organizzazioni regionali; negoziare accordi bilaterali sull'immigrazione con altri paesi di transito; elaborare un'agenda economica dotata di specifiche misure per aumentare i livelli di occupazione nei paesi partner dell’UE. La Commissione deve migliorare le sinergie tra il pilastro dello sviluppo e quello della stabilità e della sicurezza, creando nuovi strumenti di azione esterna per il periodo successivo al 2013. Per tutti i motivi elencati, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Dominique Baudis (PPE), per iscritto.(FR) Signor Presidente, ho votato a favore di questo documento sui flussi migratori. In effetti gli avvenimenti che stanno avendo luogo nel nostro vicinato meridionale hanno portato a elevati livelli di migrazione verso le coste europee. Ora più che mai è necessario coordinare le nostre politiche estere e migratorie. La questione è di natura puramente europea e non è questo il momento di cedere all’egoismo nazionale. Gli Stati membri sul Mediterraneo non devono affrontare da soli i massicci flussi di immigrati clandestini in ingresso: si tratta di un impegno che va condiviso con tutti i paesi dell’UE.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto. (ES) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché, stabilendo obiettivi a medio e lungo termine, adotta un approccio realistico nei confronti dei problemi derivanti dal divario tra i paesi sviluppati e quelli che non lo sono e dalle violazioni dei diritti dell’uomo in molte regioni del mondo.

La relazione suggerisce alcune procedure per prevenire l’immigrazione clandestina e mira a coinvolgere nell’approccio globale al problema sia i paesi emergenti sia tutti i paesi interessati: di origine, di transito e di accoglienza. È particolarmente positiva la proposta di concentrarsi sull’idea di vincolare la politica di cooperazione al livello del rispetto dei diritti dell’uomo, così come sono interessanti i riferimenti alla tutela dei gruppi maggiormente svantaggiati, quali le donne o i minori non accompagnati.

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché i flussi migratori causati dall’instabilità in un paese costituiscono una minaccia per l’intera Unione europea. La risoluzione fa un primo passo verso la creazione di una politica comune europea in materia di gestione della migrazione, che dovrà avere anche un effetto deterrente. A tale scopo, deve combinare ogni possibile strumento di cooperazione dell’Unione europea nel settore dello sviluppo economico e sociale, esercitando così un’influenza diretta sulle cause d’instabilità nei paesi di origine dei flussi migratori.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione. Come già sottolineato, la migrazione è una questione particolarmente attuale dal momento che, a causa dei recenti avvenimenti in Africa settentrionale, l’Unione europea, in qualità di regione vicina, è stata costretta ad accogliere ingenti flussi migratori. La relazione richiama l’attenzione sulle molteplici cause alla base dei flussi migratori, quali i fattori economici e sociali, l’instabilità economica e il cambiamento climatico, che ancora oggi non vengono presi sufficientemente in considerazione quando si esaminano le cause della migrazione di massa. Alla luce di queste motivazioni, si sottolinea che l’Unione europea necessita di un approccio più efficace alla migrazione, a completamento degli strumenti di politica estera che contribuirebbero così ad affrontare le cause d’instabilità nei paesi d’origine e, quindi, della migrazione in massa verso paesi vicini più stabili. La relazione, inoltre, esorta la Commissione a elaborare proposte in materia di migrazione legale, di più semplice gestione, anche in vista della promozione del progresso economico e sociale nei paesi di origine, , transito e accoglienza. Nella relazione si afferma che le peggiori violazioni dei diritti dell’uomo e le attività criminali, spesso veri e propri affari per chi li organizza, sono strettamente collegate all’immigrazione clandestina. Si sottolinea, infine, la necessità di valutare la situazione demografica nell’Unione europea per calcolare con esattezza quante persone possono essere accolte dall’Europa.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) Signor Presidente, l’Unione europea deve affrontare flussi migratori causati da guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni dei diritti umani e disastri naturali nei paesi terzi. L’Unione deve rispondere a questa sfida in modo efficace, adottando misure preventive e mettendo in campo gli strumenti di politica estera più appropriati per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità. Una politica europea di governo dei fenomeni migratori dovrebbe affiancare alla dimensione della cooperazione allo sviluppo una visione più globale e politica che investa gli aspetti della sicurezza, della cooperazione regionale, degli accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito, della tutela dei diritti umani e della democratizzazione.

La politica estera europea dovrebbe completare ed essere sinergica alla propria politica sull'immigrazione, concentrandosi sulle fonti dell'instabilità e sulle difficoltà strutturali nei paesi d'origine. Occorre altresì instaurare un dialogo costante con i paesi di transito, in modo da governare i flussi migratori e permettere un'applicazione uniforme degli standard internazionali sui diritti umani in materia d'immigrazione.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore della relazione del collega Provera perché ritengo sia un passo avanti nell'auspicata direzione della solidarietà fra gli Stati.

Nelle ultime settimane, in particolare, l'Italia è la meta di migliaia di migranti in fuga dai paesi del Nord Africa. Di fronte a una così difficile situazione l'UE non può lasciare solo il mio paese, ma deve adoperarsi affinché si rispettino i trattati e in particolare l'articolo 80 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Al contempo, è necessario ottimizzare le risorse finanziarie e le strutture esistenti. Il ruolo dell'agenzia per le frontiere Frontex, ad esempio, va rafforzato e maggiormente finanziato. Protezione dei diritti umani, accresciute risorse finanziarie, sviluppo delle democrazie, Stato di diritto e accordi bilaterali sono strumenti che, se opportunamente applicati, possono contribuire certamente a prevenire le migrazioni di massa.

 
  
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  Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) Signor Presidente, condivido la necessità di elaborare una strategia integrata a lungo termine per gli Stati instabili che affronti le cause alla base dei flussi migratori. Ciononostante, non condivido la richiesta al Consiglio di presentare un piano d’azione con oneri ripartiti sulla base della clausola di solidarietà di cui all’articolo 80 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il reinsediamento dei rifugiati della regione deve essere responsabilità degli Stati di destinazione e se l’afflusso diventa insostenibile bisognare rendere più rigide le politiche europee in materia di asilo e immigrazione. In questo contesto, nutro timori in merito all’invito a istituire un regime comune europeo in materia di asilo e un programma comune di reinsediamento. Lo sviluppo di un approccio globale della Commissione nei confronti della migrazione legale è una buona idea, ma non va collegato alle esigenze del mercato del lavoro europeo o alla capacità di ogni Stato membro di ricevere e integrare migranti. La gestione dei flussi migratori deve rimanere fondamentalmente di competenza degli Stati membri.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, accolgo con favore l’impegno dell’Unione europea per rispondere alle sfide generate dall’instabilità e dai flussi migratori, che riguardano non solo i paesi d’origine ma anche quelli di transito, in diversi settori connessi alla violenza, alle violazioni dei diritti umani e così via. Sostengo una politica attiva che cerchi di risolvere gli iniziali fattori destabilizzanti nei paesi d’origine, quale la mancanza di strutture economiche e democratiche. Si tratta dell’unico modo per superare le conseguenze negative della migrazione, che dovrebbe essere invece positiva e produttiva e non una via di fuga. Questa politica deve tradursi in una cooperazione tra i paesi d’origine e quelli di transito sulla base di un dialogo teso a raggiungere risultati solidi, efficaci e duraturi.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL)

Signor Presidente, ho votato contro la relazione sui flussi migratori perché, sebbene contenga un’analisi relativamente accurata ed equilibrata delle principali cause che spingono le persone a lasciare il proprio paese, essa non presenta le necessarie conclusioni o proposte. Da un lato, insiste sull’approccio della divisione tra migranti legali e clandestini e sulla percezione utilitarista di migranti “utili” e non utili, collegando in questo modo i loro diritti alle diverse “quote” applicate dall’Unione e dagli Stati membri. Dall’altro, la relazione collega il fenomeno dell’immigrazione a questioni di sicurezza, creando confusione e mettendo sullo stesso piano gli immigrati e le attività criminose o “terroristiche”, consolidando in questo modo le pratiche e le ideologie che le criminalizzano.

In questo contesto, la relazione rafforza ulteriormente il ruolo “paternalistico” dell’Unione, al punto che propone di collegare il pilastro relativo agli aiuti allo sviluppo dell’UE per i paesi terzi con il pilastro “sicurezza”, modificando del tutto la natura e l’obiettivo dell’aiuto in questione.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) Signor Presidente, siccome le precedenti conferenze ONU si sono concentrate sui principi, mi auguro che la quarta edizione che si terrà a Istanbul sia orientata ai risultati e all’elaborazione di chiari indicatori per dimezzare il numero di paesi meno sviluppati entro il 2020. Dei 51 paesi sottosviluppati, dove il 78 per cento della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno, solo tre sono usciti da questa categoria negli ultimi anni. La situazione è preoccupante, dal momento che i paesi in questione sono i più vulnerabili a tragedie, come le crisi finanziarie e alimentari e il cambiamento climatico, e si trovano nel contempo a far fronte a povertà estrema, mancanza di infrastrutture e aumento della disoccupazione. Questa realtà sottolinea il fallimento della comunità internazionale nel tener fede agli impegni assunti con il programma d’azione di Bruxelles. Spero che durante la conferenza, dove rappresenterò il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, ci concentreremo sul raggiungimento della coerenza in termini di politiche e metodologie per lo sviluppo volte a mettere in atto meccanismi di finanziamento innovativi, per fornire un’assistenza più efficace ai paesi che devono essere incoraggiati ad applicare politiche adeguate.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, stiamo discutendo di una questione estremamente importante e dobbiamo tenere ben presente la sua complessa natura. La relazione esamina l’importanza di portare avanti i trattati di cooperazione in materia di Politica europea di vicinato (PEV). Il fenomeno della migrazione causata da situazioni di crisi e instabilità ha implicazioni negative per i paesi di destinazione e per le popolazioni sfollate stesse. Questo fenomeno va contrastato affinché la migrazione in queste circostanze non costituisca più l’ultima risorsa, una fuga da una situazione di insicurezza, di debole sviluppo economico, di instabilità o paura. Nella mia dichiarazione di voto desidero ribadire la necessità di adottare misure che garantiscano e promuovano la stabilità e la sicurezza nei paesi d’origine. L’approccio alla riduzione dei flussi migratori che hanno origine dall’instabilità e dalla crisi deve basarsi sulla prevenzione. La politica estera europea, e specificatamente la PEV, deve fornire aiuti a queste regioni, promuovendo la sicurezza, la stabilità e la tutela dei diritti umani nell’ambito di un processo di sviluppo ampliato, come ho già affermato nella mia relazione sulla revisione della PEV – dimensione meridionale, al voto questa settimana.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto.(FR) Signor Presidente, alcuni Stati membri si trovano ad affrontare un massiccio afflusso di persone alla ricerca di protezione dalla sponda meridionale del Mediterraneo, ma non riescono ad affrontare da soli questa emergenza umanitaria e migratoria. Le risorse umane, materiali e anche finanziarie di Frontex vanno incrementate, affinché sia un grado di fornire maggiore sostegno a operazioni come Hermes e Poseidon. I deputati al Parlamento europeo esortano il Consiglio europeo a mettere a punto un piano d’azione per il reinsediamento dei rifugiati, ai sensi della clausola di solidarietà tra Stati membri. In effetti, l’articolo 80 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce il principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri per quanto concerne le politiche relative alla gestione dei controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione. Nel medio e lungo termine, dobbiamo creare legami di cooperazione con i paesi d’origine dei migranti futuri e istituire partenariati di mobilità che permettano ai cittadini di questi paesi di lavorare, studiare e viaggiare legalmente sulle due sponde del Mediterraneo.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE. L’instabilità politica, sociale ed economica, la mancanza di sicurezza, la repressione politica e il cambiamento climatico spingono le comunità a migrare; l’UE deve pertanto elaborare una politica comune in materia d’immigrazione, in vista della promozione del progresso economico e sociale nei paesi di accoglienza, d’origine e di transito e per aumentare la coesione sociale tramite una migliore integrazione dei migranti.

 
  
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  Göran Färm, Anna Hedh, Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog e Åsa Westlund (S&D), per iscritto. (SV) Signor Presidente, i socialdemocratici svedesi concordano sul fatto che i flussi migratori causati dall’instabilità costituiscono una sfida per l’Unione europea e sulla necessità di intensificare l’impegno per affrontare le cause dell’instabilità e i problemi strutturali nei paesi d’origine. Ciononostante, riteniamo importante che l’Unione europea si assuma seriamente la responsabilità per i migranti che si recano qui e non la scarichi invece sui paesi vicini, come proposto al paragrafo 9. Sosteniamo l’esortazione relativa alla chiara inclusione della dimensione “diritti umani” nelle attività di Frontex, specialmente per quanto riguarda il diritto di una persona di lasciare il proprio paese, il divieto di non respingimento e il diritto di chiedere asilo. Riteniamo vi siano problemi con alcune delle attività portate avanti da Frontex finora e non sosteniamo il paragrafo nel quale il Parlamento europeo plaude alle attività completate con successo da Frontex.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, è ormai chiara la relazione tra centri di instabilità sociale, economica o politica e i flussi migratori verso l’Unione europea. La politica estera dell’Unione non solo non può ignorare questo fenomeno, ma deve cercare di comprenderlo e monitorarlo il più possibile. In realtà, l’Unione europea deve adottare misure che ottimizzino l’uso delle proprie risorse finanziarie e strutture istituzionali e gestire con efficacia i flussi migratori generati dall’instabilità presente al momento in diverse regioni del mondo.

Una politica di prevenzione che ricorra agli strumenti di politica estera più appropriati per affrontare e contrastare le cause dell’instabilità potrebbe contribuire a trasformare l’attuale “drammatica necessità” di migrare in una “opportunità”. Lo stato di diritto va promosso, i diritti umani tutelati e lo sviluppo della democrazia e dell’economia incoraggiato. Senza quest’impegno comune per lo sviluppo nei paesi interessati e senza una cooperazione con i loro cittadini e le strutture sociali, non sarà possibile contribuire in modo efficace alla riduzione dell’instabilità.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, la relazione si concentra sui flussi migratori causati dall’instabilità politica caratteristica di alcune regioni del mondo, in particolare l’Africa settentrionale e il Mediterraneo meridionale. Questa situazione, che colpisce i paesi dell’Europa meridionale e in particolare l’Italia – stiamo tutti seguendo la situazione sull’isola di Lampedusa, dove sono sbarcati oltre 20 000 immigrati – e Malta, ha portato in Europa oltre 400 000 rifugiati. Per risolvere la situazione, non dobbiamo solamente mobilitare il Fondo europeo per i rifugiati, ma è essenziale anche che l’Unione europea metta in atto un piano più ampio di assistenza umanitaria e soddisfi quanto prima le esigenze di base delle persone interessate. È necessario predisporre un programma regionale per i rifugiati provenienti da Egitto, Tunisia e Libia che riguardi sia la loro tutela sia l’asilo, per prevenire la tratta di esseri umani e preparare il loro rientro nei paesi d’origine. Accolgo con favore l’adozione della relazione, poiché indica che l’Unione europea affronterà, attraverso la propria politica di cooperazione esterna e senza alcun preconcetto, le cause strutturali dei problemi derivanti dai flussi migratori.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Signor Presidente, i flussi migratori hanno numerose cause, ma le principali sono guerre e conflitti armati, violazioni sistematiche dei diritti umani, conflitti religiosi ed etnici e repressione. Anche i disastri naturali e la povertà risultante dalla mancanza di strutture economiche e democratiche adeguate rientrano tra le motivazioni più frequenti alla base dei flussi migratori.

Gli effetti della crisi del capitalismo mondiale e le conseguenze del suo sviluppo irregolare e asimmetrico stanno inasprendo la situazione economica e sociale in molti paesi. Anche le rivolte nel mondo arabo sono un’espressione di questo fenomeno, con il conseguente aumento dei flussi migratori. L’approccio dell’Unione europea in merito è spesso ipocrita, in quanto si applicano due pesi e due misure: da un lato, la nostra politica afferma di difendere i diritti umani nei paesi terzi, adottando però un punto di vista utilitarista quando si tratta di attaccare uno di questi paesi Stati; dall’altro si rende complice del protrarsi di situazioni gravi, come l’attuale a Lampedusa, in Italia.

La prevenzione dei flussi migratori in questione richiede misura basate su un’onesta politica di cooperazione, di aiuti allo sviluppo e di solidarietà e promozione della pace, inclusa la risoluzione pacifica dei conflitti, non ancora raggiunta.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Signor Presidente, le guerre e i conflitti armati, le tensioni etniche, le violazioni sistematiche dei diritti dell’uomo, l'impossibilità di praticare la propria religione, i disastri naturali e l'assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali dei flussi migratori.

La prospettiva attuale è un peggioramento della situazione, alla luce della crisi di cui il capitalismo è vittima e delle sue conseguenze sociali, incluse le rivolte nei paesi arabi.

L’Unione europea non può quindi continuare con la propria politica ipocrita che prevede due pesi e due misure, dal momento che sostiene di tutelare i diritti umani nei paesi terzi, ma permette il perdurare di situazioni gravi come quella a Lampedusa.

Abbiamo bisogno di una politica di prevenzione e di misure di cooperazione allo sviluppo, con una visione politica più globale, che includa in particolare la solidarietà e la salvaguardia dei diritti umani, situazione ben diversa dalla realtà attuale.

In generale, la Commissione europea e lo stesso Parlamento europeo accordano la priorità ai loro interessi economici e geostrategici, dimenticandosi della solidarietà e degli obiettivi di sviluppo del Millennio, adottando direttive vergognose come quella sul rimpatrio.

Per questi motivi abbiamo votato contro la relazione, sebbene includa uno o due punti positivi.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto.(FR) Signor Presidente, vorrei esprimere il mio sostegno agli abitanti di Lampedusa, che si trovano a far fronte a sovraffollamento, insicurezza, problemi di approvvigionamento e probabilmente rischi sanitari, ma che, agli occhi del Parlamento, vengono dopo le decine di migliaia di immigrati clandestini che sbarcano sulle loro coste. Vorrei anche dire alle autorità italiane che le barche noleggiate devono rimpatriare questi clandestini in Africa, non in Europa. La maggior parte degli immigrati proviene dalla Tunisia, un paese in cui pare si stia svolgendo una straordinaria avventura democratica, alla quale hanno il dovere di partecipare. Non possiamo continuare ad accogliere chiunque non si sente a proprio agio nel suo paese d’origine, perché piove o c’è il sole, perché c’è una dittatura o non ce n’è più una, perché è sottosviluppato o perché è in via di sviluppo. La motivazione principale di questi migranti è puramente economica.

Le nostre politiche per lo sviluppo devono incoraggiare le persone a rimanere nel proprio paese e devono essere subordinate a questo principio e al rimpatrio dei cittadini. Contrariamente a quanto afferma il relatore, non vi è alcun “diritto” di emigrare; al contrario, i popoli europei, che devono essere la vostra prima priorità, hanno il diritto assoluto di dire “STOP” ed essere ascoltati.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto.(FR) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE e vorrei concentrarmi su diversi aspetti menzionati. Dalla caduta del Presidente Ben Ali, circa 24 000 tunisini sono sbarcati sull’isola di Lampedusa e sulle coste italiane e migliaia di libici sono fuggiti dal loro paese, da febbraio devastato dalla guerra. Abbiamo estrema necessità di una risposta europea e di solidarietà europea di fronte al dramma umanitario in corso. La nostra relazione chiede un sistema di solidarietà relativo al reinsediamento dei rifugiati dall’Africa settentrionale, nonché l’applicazione della “clausola di solidarietà” tra gli Stati membri per quanto riguarda le politiche relative ai controlli alle frontiere, l’asilo e l’immigrazione. La relazione chiede, inoltre, che il bilancio post-2013 includa una disposizione in materia di fondi di emergenza per una risposta rapida all’immigrazione e all’asilo in Europa. Tutti questi aspetti sono necessari in una politica europea genuina in materia d’asilo, che chiediamo da tempo e che deve basarsi sui principi di coerenza, responsabilità, solidarietà e rispetto dei diritti dell’uomo.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto.(FR) Signor Presidente, ho votato a favore di questa relazione d’iniziativa perché sottolinea le reali cause dei flussi migratori, ovvero l’instabilità politica, sociale ed economica, la mancanza di sicurezza, la repressione politica, le violazioni dei diritti umani nonché il cambiamento climatico. La relazione, inoltre, sottolinea l’importanza di dotare i paesi d’origine di strategie sostenibili nell’ambito della Politica europea di vicinato (PEV) e della Politica europea di cooperazione allo sviluppo. Così facendo, mette in dubbio il mito dell’immigrazione zero, ricordandoci come questo fenomeno non possa essere fermato e la necessità dell’Unione europea di un’immigrazione forte ma controllata, per compensare l’invecchiamento della propria popolazione e affrontare le altre sfide economiche e sociali.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Signor Presidente, la relazione Provera affronta diverse questioni importanti relative all’immigrazione e sottolinea l’importanza dei diritti dell’uomo, che sono stati al centro di campagne in Scozia e Regno Unito per fermare la detenzione di bambini che chiedono asilo. Il governo britannico ha promesso di porre fine a tale oscenità, ma per il momento alle parole non sono seguiti i fatti.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Signor Presidente, ho votato a favore di questo documento perché i flussi migratori causati dall’instabilità costituiscono una minaccia per l’Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori. Tale fenomeno è particolarmente preoccupante perché può generare o amplificare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Per rispondere in maniera efficace a questa sfida l'Unione europea deve attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo gli strumenti di politica estera più appropriati per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità. È pertanto urgente aprire un dibattito per meglio conoscere ogni aspetto dei fenomeni migratori e delle loro cause strutturali e che permetterà all'Unione europea di delineare una politica coerente ed efficace sul fenomeno dei flussi provenienti dai paesi d'origine e di transito; in questo modo sarà possibile decidere quanto e come investire in questi paesi per compensare le tensioni interne demografiche e sociali, contribuendo così a creare condizioni di stabilità.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di risoluzione sottoposta oggi al voto dell'aula pone un'importante questione: definire il ruolo della politica estera dell'UE di fronte al problema, insieme tragico e delicato, dei flussi migratori. La sfida che l'Unione europea deve affrontare è determinata dalle evidenti instabilità di cui l'Africa del nord ed il Medio Oriente sono protagonisti. L'Europa deve saper cogliere questa sfida, al fine di evitare conseguenze negative, attraverso la previsione e la messa in campo di una politica di prevenzione, che intervenga sulle cause di instabilità economica e politica di questi paesi, proponendo soluzioni condivise che possano evitare o perlomeno attenuare la consistenza del fenomeno. Le risorse necessarie a questo fine sono però ingenti, motivo per il quale sarà necessario coinvolgere e coordinarsi con le altre grandi potenze. Quanto detto non può però prescindere dal dare pieno rispetto al principio di solidarietà. Con questa prospettiva l'Europa ha il dovere di rispondere in modo compatto e coeso, dimostrando in tal modo la scelta di attenzionare questa politica più che altre. Per questi motivi, perché convinto dell'importante segnale politico che l'Europa ha l'obbligo morale di dare nei confronti di questo problema, evitando di lasciare soli gli Stati, ho sostenuto mediante il mio voto la suddetta risoluzione..

 
  
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  Agnès Le Brun (PPE), per iscritto.(FR) Signor Presidente, dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, l’Unione europea dispone di poteri molto ampi per quanto riguarda il controllo dei flussi migratori. Tali poteri vengono ora invocati per gestire il recente afflusso di rifugiati in fuga dai problemi nell’Africa settentrionale, in particolare in Libia. La “Primavera araba” è un potente simbolo di libertà, ma cela anche una realtà più tragica che spinge molti civili a mettersi in viaggio, via mare in questo caso, alla ricerca di asilo. La risoluzione esorta l’UE e le istituzioni internazionali a fare il punto della situazione sulle conseguenze derivanti da massicci movimenti della popolazione. L’ho sostenuta perché i singoli Stati membri non possono far fronte a questa situazione autonomamente: la gestione deve essere orientata alla cooperazione e alla condivisione. La nuova architettura della politica estera dell’Unione introdotta dal trattato di Lisbona, e in particolare la creazione del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), deve permettere di coordinare con maggiore efficacia l’azione degli Stati membri.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione, che accoglie con favore le recenti proposte della Commissione sulla migrazione legale delle persone che non richiedono asilo e la invita a sviluppare ulteriori strumenti per creare una politica comune in materia di immigrazione, per gestire la migrazione economica in vista della promozione del progresso economico e sociale nei paesi di origine, di transito e di accoglienza e per aumentare la coesione sociale tramite una migliore integrazione dei migranti. Sottolinea la necessità di informazioni adeguate sulle possibilità di immigrare legalmente nell'UE, onde prevenire la migrazione illegale, fare un uso migliore dei regimi dell'UE per l'immigrazione legale, chiarire le prospettive e le opportunità attuali nell'UE e screditare le false promesse date dai trafficanti, riducendo in tal modo i profitti che la criminalità organizzata e la tratta degli esseri umani traggono sfruttando il bisogno delle persone di spostarsi. Invita la Commissione a promuovere misure di protezione per i gruppi e le persone vulnerabili (in particolare donne e bambini), che spesso divengono vittime della tratta di esseri umani e dello sfruttamento sessuale e la esorta a istituire nei paesi terzi centri di informazione sulle possibilità di migrazione nell'UE. Esorta, tuttavia, ad adottare un approccio equilibrato tra la promozione della migrazione legale nell'UE e la garanzia che quest'ultima sia in grado di accogliere e di integrare con successo i migranti.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Signor Presidente, la relazione non riesce a nascondere la verità, nonostante la profusione di buoni sentimenti. L’Unione europea è preoccupata a causa della caduta dei dittatori che sosteneva in cambio della gestione dei “flussi migratori” alle sue frontiere. L’idea di un afflusso massiccio di rifugiati, vittime del sistema dittatoriale, non la preoccupa, e a ragione; è l’arrivo della democrazia a suscitare i suoi timori.

Eppure tra oggi e il 2030 l’Europa avrà bisogno di 230 milioni di immigrati: lo ha affermato la Commissione stessa. Il testo, inoltre, raccomanda l’applicazione di sanzioni ai paesi che non rispettano i principi sanciti negli accordi di libero scambio e quelli difesi dal Fondo monetario internazionale (FMI). Le rivoluzioni arabe si sono a malapena liberate dal giogo dei propri despoti e ora i tiranni stranieri mandano i loro ossequi. La relazione è arrogante e brutale. Esprimo voto contrario.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall'instabilità rappresentano una sfida per l'Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori. Tale fenomeno è particolarmente preoccupante perché può generare o amplificare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Per rispondere in maniera efficace a questa sfida l'Unione europea deve attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo gli strumenti di politica estera più appropriati per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Provera sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE, perché non condivido la politica dell’Unione europea in materia di migrazione; la politica della “fortezza Europa”, con frontiere corazzate per le persone, ma inesistenti per i capitali. La relazione incoraggia una politica migratoria europea che non riconosce che l’emigrazione è un diritto e non un reato e che non garantisce il sacro principio della richiesta di asilo. L’ipocrisia dell’Unione europea è abominevole: criminalizza gli immigrati privi di documenti. Gli immigrati clandestini sono utilizzati come forza lavoro nel processo per accumulare rapidamente capitale, in un attacco diretto alla natura universale dei diritti umani. L’Unione europea, che può esistere solo grazie all’immigrazione economica, mostra un grande cinismo. Quanto succede nell’Africa settentrionale è una dimostrazione della “fortezza Europa”. L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex) non ha niente a che vedere con la solidarietà o con la cooperazione al fine di aiutare i popoli a lottare contro le dittature come quella di Ben Ali, Mubarak o Gheddafi: quando migliaia di africani fuggono da repressione e guerra, l’Unione europea li mette in carcere.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall'instabilità rappresentano una sfida per l'Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori. Tale fenomeno è particolarmente preoccupante perché può generare o amplificare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Per rispondere in maniera efficace a questa sfida l'Unione europea deve attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo tutti gli strumenti di politica estera appropriati ad affrontare le cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una necessità. A lungo termine, L’Unione europea deve intraprendere azioni efficaci sul lungo termine per ottimizzare l’impiego dei propri strumenti finanziari e delle strutture istituzionali esistenti. Le misure proposte nella relazione non sono sufficienti e sono troppo teoriche: abbiamo bisogno di un piano economico e finanziario preciso e specifico, altrimenti l’Europa soffocherà in seguito all’ondata di immigrazione clandestina. La relazione, che è un primo passo verso la risoluzione del problema, è molto utile.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Signor Presidente, alla luce del continuo afflusso di migranti verso l’Europa sembra sempre più importante prendere posizione contro la legalizzazione dei migranti economici. È fondamentale fornire la nostra assistenza ai paesi in via di sviluppo, in modo tale da incoraggiare le loro popolazioni a non abbandonarli. Non ha senso permettere ai cittadini dei paesi in via di sviluppo di entrare nel mercato del lavoro, soprattutto perché il tasso di disoccupazione della zona euro si attesta al momento al 9,9 per cento. La relazione originale dell’onorevole Provera era ottima e ben equilibrata, ma è stata, purtroppo, modificata nella direzione sbagliata da molti emendamenti e per questo motivo ho espresso voto negativo.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione perché, a seguito alle rivolte nei paesi arabi che hanno portato a una notevole intensificazione dei flussi migratori, è importante che l’Unione europea disponga di una politica comune in materia di migrazione. Non è possibile fermare la migrazione e la politica estera deve quindi svolgere un ruolo cruciale in quest’ambito. I paesi alle frontiere esterne dell’Unione europea sono i più colpiti dall’aumento dei flussi migratori e il nostro impegno deve quindi garantire la creazione a livello europeo di una politica migratoria comune, per un controllo e una gestione ottimale dei flussi di migranti. Soltanto attraverso un impegno congiunto potremo salvaguardare la crescita economica, la sostenibilità del mercato del lavoro e le possibilità di sviluppo dalle conseguenze negative nei paesi che fanno fronte ai flussi più ingenti di immigrati. Si tratterà di uno strumento efficace per contrastare l’immigrazione clandestina, la criminalità organizzata e la tratta di esseri umani. L’Unione europea deve impegnarsi il più possibile per garantire la promozione della migrazione legale e una lotta efficace alla migrazione clandestina. È fondamentale istituire un sistema di migrazione legale, che prenda in considerazione le necessità del mercato del lavoro europeo e la capacità di ogni Stato membro di accogliere e integrare immigrati.

Gli immigrati legali negli Stati membri devono godere degli stessi diritti e degli stessi obblighi degli altri lavoratori. Al fine di ridurre in ogni paese la fuga dei cervelli e di specialisti qualificati, è fondamentale introdurre programmi di rimpatrio assistito, promuovere la migrazione circolare, regolamentare le pratiche di assunzione e sostenere l’ampliamento delle capacità.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Cari colleghi, ho votato a favore della relazione del collega Provera in rispetto ad uno dei principi fondanti dell'Unione, il principio di solidarietà tra i popoli. La situazione attuale, viste le crisi politiche nel nord Africa e la lenta o del tutto assente risposta della politica europea sui flussi migratori, è grave e problematica tanto che ritengo vada affrontata con tempestività. La richiesta al Consiglio, con l'approvazione di questo testo, di dare piena attuazione alla clausola di solidarietà con un piano d'azione concreto e oneri ripartiti tra gli Stati membri non può e non deve essere ignorata. Il testo nello specifico auspica norme minime per la concessione della protezione temporanea degli immigrati e misure dirette a dividere responsabilità e sforzi tra gli Stati membri che, come l'Italia, accolgono gli immigrati responsabilmente subendone unilateralmente le conseguenze.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Signor Presidente, a livello europeo stiamo collegando l’aumento della pressione dei flussi migratori alla politica estera europea e si tratta di un passo molto importante. Le iniziative europee possono aiutare i paesi politicamente instabili dell’Africa settentrionale, paesi di origine di ingenti flussi di immigrati clandestini, e per questo strumenti come i programmi di aiuti allo sviluppo e cooperazione e gli accordi di riammissione possono e devono essere sfruttati pienamente. Si tratta, chiaramente, di questioni che diverranno cruciali nell’immediato futuro, sia per la Grecia sia per il resto d’Europa, e per questo motivo ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall'instabilità rappresentano al momento una grande sfida per l'Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori. Tale fenomeno è in crescita e può generare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito. La relazione presenta un insieme di raccomandazioni tese a permettere all’Unione europea di rispondere in maniera efficace a questa sfida. Tra le misure proposte desidero sottolineare l’adozione di una politica di prevenzione per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità, e l’integrazione della cooperazione allo sviluppo con una visione più globale e politica che investa gli aspetti della sicurezza, della cooperazione regionale e degli accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito. Questi traguardi vanno perseguiti parallelamente agli obiettivi di sviluppo del Millennio, strettamente collegati alla stabilità politica, e devono inquadrare l’intero processo.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Care colleghe e cari colleghi, i flussi migratori causati dall'instabilità sono la conseguenza indiretta di violazioni dei diritti umani, di disastri ambientali e della mancanza di strutture economiche e sociali in grado di assicurare il benessere di ampi strati della società. Essi rappresentano una sfida per l'UE, per gli sforzi che essi richiamano sia in termini di cooperazione allo sviluppo che in termini di prevenzione di tensioni sociali, le quali vengono spesso a crearsi non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Tale sfida necessita di risposte concrete dell'UE, volte ad affrontare, oltre alla dimensione della cooperazione allo sviluppo, anche quella della politica estera, mettendo in campo, sia al livello regionale che globale, misure di carattere preventivo nell'ambito della sicurezza, della cooperazione regionale, degli accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito, della tutela dei diritti umani e della democratizzazione, che facciano uso di tutti gli strumenti di politica estera a disposizione. Essendo fermamente convinto dell'importanza per l'UE di intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, e di farlo migliorando l'utilizzo degli strumenti a disposizione, non posso che esprimere il mio voto favorevole alla proposta..

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Signor Presidente, i flussi migratori causati dall'instabilità rappresentano una sfida per l'Unione europea. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani – come l'impossibilità di praticare la propria religione – disastri naturali e assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questo tipo di flussi migratori.

Tale fenomeno è particolarmente preoccupante perché può generare o amplificare tensioni non solo tra i paesi d'origine e quelli di destinazione, ma anche tra i paesi d'origine e quelli di transito dei migranti. Per rispondere in maniera efficace a questa sfida l'Unione europea deve attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo gli strumenti di politica estera più appropriati per intervenire direttamente sulle cause delle instabilità, in modo che l'emigrazione divenga un'opportunità, anziché una drammatica necessità.

Una politica europea di governo dei fenomeni migratori dovrebbe affiancare alla dimensione della cooperazione allo sviluppo una visione più globale e politica che investa gli aspetti della sicurezza, della cooperazione regionale, degli accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito, della tutela dei diritti umani e della democratizzazione.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – La gestione dei flussi migratori causati dall'instabilità politica rappresenta una sfida fondamentale per l'UE. Guerre e conflitti armati, tensioni etniche, violazioni sistematiche dei diritti umani, disastri naturali e l'assenza di valide strutture economiche e democratiche sono le cause principali di questi flussi.

Ritengo necessario fin d'ora attuare una politica di prevenzione, mettendo in campo gli strumenti più appropriati per intervenire sulle cause delle instabilità. La politica estera europea dovrebbe concentrarsi sulle fonti dell'instabilità e sulle difficoltà strutturali nei paesi d'origine. Ritengo che questo testo rappresenti per l'UE uno strumento in più per delineare una politica coerente ed efficace sul fenomeno dei flussi migratori, indirizzando le scelte sulla strada più opportuna per ricostituire condizioni di stabilità politica, economica e sociale.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. – Sulla relazione in oggetto la mia posizione è fortemente contraria. Il motto "Uniti nella diversità" prevede che ognuno sia padrone a casa propria e non può e non deve essere l'UE che ci impone di accettare ospiti sgraditi. Vedersi negare il diritto di respingere al paese di origine i clandestini va contro ogni regola di buon senso. Se non si rispetta la legalità, si rischia l'invasione di milioni di disperati in fuga. Bisogna aiutare chi soffre ma a casa loro, impedendo il traffico di esseri umani.

Rigetto fortemente l'accusa all'Europa di razzismo e xenofobia perché sono stanco di assistere agli scioperi dei tunisini illegali perché non vengono dati loro i soldi per comperare le sigarette, al rifiuto di mangiare cibo contenente tonno perché sa di pesce, alla pretesa di ricevere, una volta sbarcati in Italia, casa e lavoro, ovviamente gratis, alla faccia dei disoccupati e dei poveri che nel nostro paese vivono da sempre.

Si sprecano i complimenti all'Alto rappresentante baronessa Ashton che in realtà non ha saputo minimamente gestire l'attuale situazione di crisi del Maghreb. Ciliegina sulla torta, il considerare perseguitati o con pochi diritti, e quindi degni di particolari attenzioni, lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. (EL) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dell’onorevole Provera perché ritengo che affronti il problema in modo realistico e che la ripartizione degli oneri proposta per l’immigrazione sia estremamente necessaria. Il problema dell’immigrazione è di difficile risoluzione, ma possiamo gestirlo agendo in modo corretto. Non possono essere soltanto la Grecia, l’Italia e la Spagna a sobbarcarsi questo problema. Da gennaio, 23 000 immigrati sono sbarcati in Italia. Alla luce degli sviluppi nell’Africa settentrionale e nel mondo arabo, dobbiamo trovare una strategia europea per affrontare il problema e non abbandonare gli Stati membri al proprio destino, garantendo al contempo che non ci si approfitti degli sfortunati cittadini costretti a emigrare né dei cittadini europei che ne sopportano gli oneri.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Signor Presidente, la risoluzione ha il merito di intensificare la discussione sulla politica migratoria dell’Unione, anche se avrebbe potuto essere più specifica e utilizzare formulazioni più incisive. Al momento, proprio mentre la situazione nell’Africa settentrionale sta portando a ingenti flussi di migranti, l’Unione europea non riesce a colpire nel segno, poiché non si assume in modo chiaro alcuna responsabilità. Frontex non può essere l’unico strumento coinvolto nella gestione della crisi dei rifugiati. L’Europa necessita urgentemente di un piano d’azione con oneri ripartiti per sostenere il reinsediamento dei rifugiati dalla regione e offrire sostegno ai senzatetto. È deplorevole che, nella situazione attuale, il rinvio di un accordo in merito alla cooperazione tra Unione europea e Libia sia apparentemente l’unica opzione possibile. In accordi simili, la preoccupazione principale non deve essere una maggiore rigorosità dei controlli alle frontiere dell’Unione, ma il monitoraggio della ratifica della convenzione di Ginevra, nonché il suo rispetto. Spero che la presente risoluzione rappresenti un primo passo verso un approccio più globale alla questione dei rifugiati, affinché si trattino le persone in modo più umano.

 
  
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  Michèle Striffler (PPE), per iscritto.(FR) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dell’onorevole Provera sui flussi migratori causati dall’instabilità: portata e ruolo della politica estera dell’UE. Il coordinamento tra politica estera e politica migratoria è fondamentale. Dobbiamo concentrarci sulle cause radicate dell’instabilità in alcune regioni del mondo e gestire con efficacia i flussi migratori. Le politiche di gestione migratoria devono essere efficacemente combinate con la politica europea di cooperazione allo sviluppo e prendere in considerazione gli aspetti di sicurezza, cooperazione regionale nei paesi meridionali e accordi bilaterali con i paesi d'origine e di transito. Per quanto riguarda il ruolo centrale di alcuni paesi nell’ambito di tale politica, sono convinta che la firma di accordi di cooperazione tra questi paesi e l’Unione europea sia essenziale per contrastare l’immigrazione clandestina. In quest’ambito, l’accordo di cooperazione tra Libia e Unione europea, al momento sospeso, va ripristinato.

 
  
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  Niki Tzavela (EFD), per iscritto. (EL) Signor Presidente, la recessione e l’instabilità politica presenti in numerosi paesi hanno contribuito all’intensificazione dei flussi migratori, che costituiscono una sfida per l’Unione europea. Le misure proposte nella relazione contribuiranno alla risoluzione del problema, che spaventa direttamente i paesi situati alle frontiere europee e indirettamente l’intera Unione. Una di queste misure è la creazione di un sistema di monitoraggio permanente e stabile per tutte le attività e le operazioni di Frontex legate alla gestione dei flussi migratori; per questo motivo ho votato a favore della relazione Provera.

 
  
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  Dominique Vlasto (PPE), per iscritto.(FR) Signor Presidente, accolgo con favore l’adozione di questa equilibrata risoluzione che avanza proposte per rispondere alle sfide poste dalle pressioni migratorie cui l’Europa fa fronte. Ritengo essenziale che la politica migratoria e la politica in materia di aiuti allo sviluppo vadano di pari passo. Il fenomeno migratorio nasconde drammi umani e parte della soluzione risiede nelle politiche di aiuti per i paesi terzi, che contribuiranno al loro sviluppo e alla loro stabilità. Si tratta di una problematica che anche la Politica europea di vicinato (PEV) deve prendere in considerazione. è urgente offrire una risposta paneuropea ed esorto gli Stati membri e la Commissione a mobilitare le risorse e gli strumenti necessari. Potremo farlo rafforzando il ruolo e le risorse dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex)nonché fornendo adeguata assistenza alle regioni e alle città lungo le sponde del Mediterraneo; queste aree dovranno affrontare l’emergenza umanitaria generata dall’afflusso di immigrati, garantire il mantenimento dell’ordine e incoraggiare l’integrazione dei migranti legali. A mio parere, la solidarietà europea tra Stati membri e paesi terzi deve scendere pienamente in campo.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione. Come viene sottolineato, l’attuale flusso di migranti è alla base di grandi tensioni tra i paesi d’origine, d’accoglienza e di transito, nonché in seno agli stessi paesi d’accoglienza. Come misura preventiva, l’onorevole Provera propone di intervenire sulla causa alla radice della migrazione e di affrontare nella politica estera europea la mancanza di stabilità economica e democratica nei paesi di destinazione. Il Parlamento europeo ha elaborato diverse relazioni sul settore delle politiche allo sviluppo per esortare la Commissione, e in particolare la baronessa Ashton, a includere la situazione dei diritti umani in tutti i negoziati, a fornire assistenza e a facilitare il commercio in questo contesto. Desidero cogliere quest’opportunità per ribadire tale richiesta.

 
  
  

Relazione Jeggle (A7-0016/2011)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho espresso voto favorevole alla relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali dal momento che nella società moderna le donne assumono un ruolo multifunzionale sulla base del loro personale retaggio familiare e professionale e che proprio in questa molteplicità di ruoli possono fornire un contributo essenziale al progresso e all'innovazione a tutti i livelli sociali come pure al miglioramento della qualità della vita, in particolare nelle zone rurali. Sfortunatamente assistiamo a un calo della presenza femminile nelle zone rurali. Per mantenere stabile la situazione dei cittadini che lavorano nel settore primario, la politica di aiuto alle zone rurali dovrebbe prendere maggiormente in considerazione condizioni di vita e di lavoro innovative e sostenibili. Condivido la posizione dell’onorevole Jeggle in merito alla necessità di incoraggiare l’imprenditorialità e le iniziative delle donne, in particolare attraverso la promozione della titolarità femminile, le reti di imprenditrici e l'accesso agevolato al credito nel settore finanziario per le donne che gestiscono un’attività nelle zone rurali, comprese le lavoratrici autonome, le lavoratrici a tempo parziale a basso reddito e le giovani donne, affinché esse possano operare meglio sul mercato e crearsi una solida posizione economica. È importante anche sostenere gli sforzi politici miranti a promuovere il ruolo delle donne in agricoltura onde facilitare loro l’esercizio di un’attività imprenditoriale agricola. È necessario migliorare l’accesso alla terra e al credito per le donne, così da incoraggiarne l'insediamento nelle zone rurali e di operare attivamente nel settore primario.

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, sostengo con piacere la relazione della collega Jeggle, in quanto focalizza l'attenzione su quel 42% di donne che vivono nelle zone rurali e che svolgono una funzione indispensabile ai fini dello sviluppo di queste aree, nonché alla loro stabilizzazione e modernizzazione, sviluppando nuove forme imprenditoriali. Grazie al loro impegno, queste donne hanno dimostrato di poter contribuire all'evoluzione dei tradizionali modi di vivere e produrre nelle campagne, creando delle attività economiche capaci di offrire occupazione e che consentono di conciliare gli obblighi familiari con l'attività lavorativa.

Con l'obiettivo di garantire condizioni di vita equivalenti in tutte le regioni e di evitare lo sviluppo unilaterale dei centri urbani, è necessario dotare tutto lo spazio rurale delle più moderne infrastrutture IT, con un accesso adeguato alla banda larga, e sviluppare imprese elettroniche come l'e-business che consentano di gestire l'attività economica a prescindere dalla distanza dai centri urbani.

Si dovrà altresì migliorare la formazione delle donne e l'accesso agevolato al credito a sostegno dell' imprenditorialità femminile. Le politiche di protezione sociale che verranno intraprese, dovranno anche tener conto delle condizioni di vita delle donne migranti impiegate come lavoratrici stagionali nelle aziende agricole, con particolare riferimento alla necessità di garantire ad esse un alloggio adeguato, l'assicurazione medica e adeguati servizi sanitari

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO)

Il principio dell'uguaglianza di genere è un requisito essenziale nel quadro della strategia Europa 2020, nonché un concetto da promuovere al fine di aumentare la partecipazione attiva delle donne alle attività economiche e sociali e garantire il rispetto dei diritti umani, con particolare attenzione al rispetto della parità di diritti tra uomini e donne nel settore agricolo. Ritengo implorante mettere in luce il ruolo svolto dalle donne nelle aziende agricole e nelle campagne. È fondamentale che le esigenze e le condizioni delle donne nelle zone rurali trovino un riscontro più che mai forte nelle politiche di sostegno. Esorto gli Stati membri a stanziare finanziamenti a favore delle zone rurali, promuovendo l’azione delle donne produttrici e imprenditrici e sostenendo il loro coinvolgimento negli organi direttivi delle istituzioni per favorire la parità dei ruoli tra uomini e donne.

Ho espresso voto favorevole al testo, che mi auguro aiuti a contrastare l’esclusione sociale nelle zone non urbane. L’obiettivo principale delle politiche di aiuto alle zone rurali è garantire la parità di diritti tra uomini e donne e condizioni di vita equivalenti in tutte le regioni, evitando lo sviluppo unilaterale dei centri urbani e prevenendo un esodo di massa dalle campagne.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto. (GA) Il 42 per cento delle persone occupate nell’agricoltura è costituito da donne e questo rispecchia il valore del loro ruolo nelle zone rurali e nella aziende agricole.

Appoggio la relazione Jeggle, un testo importante che offre sostegno alle donne e riconosce il loro contributo all’agricoltura e alla vita nelle campagne. Le future politiche agricole dell’Unione europea dovranno riservare un riconoscimento adeguato al ruolo delle donne. Concordo con la posizione della relazione in merito all’eccellente lavoro delle reti di donne nel rendere vivaci le comunità rurali e nel promuovere l’uguaglianza e l’inclusione sociale nelle campagne. Queste reti devono ricevere maggiore sostegno politico a livello locale, nazionale ed europeo. In Irlanda, per esempio, l’ICA è un’organizzazione rilevante e influente nelle zone rurali, che ha di recente celebrato il centesimo anniversario dalla sua fondazione; conta attualmente circa 11 000 membri e da tempo appoggia l’attività delle donne nelle campagne. Le organizzazioni locali hanno bisogno di essere sostenute e tenute in considerazione nelle future politiche agricole dell’Unione europea.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Le donne rivestono un ruolo sempre più importante nel settore agricolo e nelle zone rurali. Negli ultimi anni, hanno fatto notevoli progressi grazie al sostegno fornito ai loro progetti, con una conseguente evoluzione della società rurale in generale.

Le donne hanno contribuito al progresso dei modelli economici tradizionali e della vita nelle zone rurali, apportando miglioramenti anche alla stabilità e alla modernizzazione dei modi di produzione, nonché allo sviluppo sostenibile nelle campagne. Anche le donne che vivono nelle aree non urbane hanno aspirazioni quali, ad esempio, realizzare il proprio progetto di vita, rendersi economicamente indipendenti e far fronte alle responsabilità familiari.

La relazione, alla quale ho espresso voto favorevole, sostiene la necessità di dare maggiore rilievo alle molteplici competenze professionali delle donne oltre che ai loro variegati interessi e alle diverse prestazioni che offrono, in modo che i posti di lavoro nell'agricoltura restino attrattivi anche per le donne. Garantire il successo e buone prospettive di vita a uomini e donne nelle zone rurali deve essere l’obiettivo principale delle strategie europee di sostegno alle aree agricole.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) La situazione delle donne nelle zone rurali è un tema molto attuale per l’Unione europea, ma diventa una questione seria ed urgente per alcuni Stati membri, come la Romania, dove la percentuale di aree non urbane è molto elevata e il tasso di occupazione è estremamente basso. Adottando un approccio sostenibile, finanziato in futuro dalla PAC, si potranno creare condizioni di vita migliori e rendere queste zone attrattive. Appoggio l’idea proposta dall’onorevole Jeggle di creare una rete europea di donne sostenuta anche dalle misure del secondo pilastro della PAC. Ritengo che, come riportato nella relazione, nel quadro della prossima riforma della PAC, si debba dare priorità all’accesso delle donne a determinati servizi e aiuti, in linea con le esigenze di ogni Stato membro.

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione oggi in discussione è di particolare importanza in quanto si focalizza sui principali punti su cui lavorare al fine di ottenere un efficiente contributo delle donne allo sviluppo delle aree rurali, mirando nel contempo a favorire prospettive occupazionali nel contesto della nuova politica agricola comune.

A mio avviso, il ruolo svolto dalle donne nelle imprese agricole e negli ambienti rurali rappresenta un fattore di rilievo nell'ambito delle politiche di sviluppo territoriali. Infatti, uno dei principali obiettivi della politica europea per le aree rurali è di garantire condizioni di vita equivalenti in tutte le regioni in modo tale che, anche nelle campagne, donne e uomini abbiano la possibilità di cogliere delle opportunità di realizzazione.

Nella fase attuale di elaborazione della PAC diviene fondamentale tenere in considerazione le necessità delle donne che vivono nelle aree rurali e, allo stesso tempo, impiegare le loro potenzialità. Ritengo che, nell'ottica di una visione proiettata al futuro, occorrerà impegnarsi maggiormente nella direzione di un utilizzo sostenibile delle zone rurali che sia efficiente sotto il duplice profilo energetico e della qualità. Inoltre, sarà necessario un maggiore impegno da parte di tutti gli attori coinvolti nel processo di riforma della politica agricola.

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) L’obiettivo della Politica agricola comune è promuovere lo sviluppo sostenibile e di qualità nelle zone rurali. Ho votato a favore del testo presentato dall’onorevole Jeggle poiché credo che le donne rivestano un ruolo importante nella società moderna. Negli ultimi anni, sarebbe stato impossibile realizzare molti dei progetti condotti nelle aree agricole, senza la partecipazione attiva delle donne. Sono del parere che le condizioni di vita nelle zone rurali devono essere migliorate, per esempio, garantendo maggiore accesso a infrastrutture, strutture e servizi legati alla vita quotidiana. Le comunità rurali devono essere preservate e alle donne deve essere offerta la possibilità di conciliare vita lavorativa e privata, di accedere a servizi di sostegno, istituzioni e strutture. Nel processo decisionale, inoltre, devono avere maggior peso.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. Tenuto conto che il rischio di esclusione sociale nelle zone rurali è maggiore per le donne rispetto agli uomini e valutata l´importanza dell'argomento, sostengo con entusiasmo ed un voto favorevole questa risoluzione che, concentrandosi sul ruolo delle donne nell´agricoltura, chiede non soltanto che si tenga maggiormente conto delle competenze professionali, agricole ed extra agricole, delle donne nel contesto delle strategie di sviluppo aziendali e regionali, ma anche che si prevedano incentivi per la promozione del loro coinvolgimento nel mercato, eliminando ogni tipo di discriminazione e migliorandone la formazione e l'accesso a corsi post-laurea e specialistici.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione in quanto ritengo che lo sviluppo regionale sia un tema sempre più importante, alla luce del continuo calo della popolazione nelle zone rurali in ragione delle trasformazioni sociali, dell'evoluzione delle strutture sociali, del profondo cambio dei valori e di una marcata individualizzazione. Concordo sul fatto che la creazione di condizioni di vita e di lavoro sostenibili nelle aree non urbane sia una delle soluzioni centrali per contrastare l’attuale l’urbanizzazione. L’esperienza insegna che aspetti come la qualità della vita e il potere economico sono strettamente legati, soprattutto nelle regioni rurali, alla presenza delle donne e al ruolo che rivestono nel settore primario. Di conseguenza, le misure proposte nel testo possono consentire alle donne di realizzare il proprio progetto di vita, rendendosi economicamente indipendenti e affrontando con successo le responsabilità familiari proprio come avviene già oggigiorno nelle zone urbane. Tra le misure indicate nella relazione vi sono: progetti di formazione e consulenza, destinati specificatamente alle donne in ambito rurale; sostegno costante da parte dell’UE all’agricoltura e alle attività imprenditoriali nelle campagne; il potenziamento delle infrastrutture fondamentali e informatiche e la possibilità di godere di misure quali il pensionamento anticipato.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. Mi complimento con la collega e relatrice Jeggle per il lavoro svolto, attraverso cui è stato possibile apprezzare pubblicamente in quest'Aula il ruolo "multifunzionale" della donna nel settore agricolo. Questo ruolo non è ancora adeguatamente riconosciuto, nonostante il 42% di circa 27 milioni di lavoratori impiegati nel settore sia rappresentato da donne e quasi il 29% delle aziende agricole sia gestito da una donna.

Ho votato a favore di questo documento perché condivido la necessità di riconoscere il ruolo specifico che le donne svolgono in agricoltura. Ritengo altresì doveroso che si individuino le esigenze specifiche delle donne nelle zone rurali e che a loro vadano adeguate le strategie future a partire dalla prossima riforma della PAC. L'Unione europea non può trascurare le aspirazioni professionali, familiari e sociali delle donne che vivono in ambienti rurali. Per permettere ciò è però opportuno, da parte delle Istituzioni europee, garantire adeguati servizi di sostegno e un'offerta innovativa che non sia orientata esclusivamente al mercato.

Condivido infine le proposte della relatrice sopratutto in merito a una migliore rappresentanza femminile negli organismi politici, economici e sociali del mondo agricolo.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Sono lieta che la Commissione abbia rivolto particolare attenzione al ruolo multifunzionale delle donne nel processo di sviluppo delle aree rurali negli ultimi anni, che merita la nostra considerazione dal punto di vista sia economico che sociale. Ciò è tanto più vero se parliamo di agricoltura; negli ultimi anni le donne hanno contribuito in maniera determinante alla diversificazione delle imprese del settore e al loro adattamento al mercato. Ne consegue che, conformemente agli obiettivi della Politica agricola comune di incoraggiare un uso più sostenibile delle zone rurali, è necessario avviare iniziative volte a realizzare le aspirazioni e a soddisfare le necessità delle donne che abitano in queste aree. Al contempo vanno mantenute e sviluppate infrastrutture di sostegno, riservando particolare attenzione all’istruzione.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) Plaudo all’impegno dimostrato nella giornata odierna dal Parlamento europeo al fine di sostenere e incentivare il contributo femminile in un settore vitale per l’Europa: l’agricoltura. La relazione sulle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali è stata presentata al momento giusto e ha goduto dell’appoggio dalla maggioranza degli onorevoli parlamentari. Non molti sanno che il 42 per cento delle persone regolarmente occupate nell’agricoltura è costituito da donne. Accolgo con favore la relazione Jeggle.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Il principio dell’uguaglianza di genere è promosso dalla legislazione europea ed è uno dei requisiti fondamentali della strategia Europa 2020. Ritengo quindi opportuna la sua inclusione nella Politica agricola comune assieme a strumenti innovativi volti a promuoverlo. Sono dell’avviso che la futura Politica agricola comune dovrà essere una politica giusta, anche dal punto di vista delle donne.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione poiché afferma che la promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne è un obiettivo fondamentale per l’Unione europea e propone l’inserimento di questo principio anche nella Politica agricola comune (PAC). È essenziale che le donne possano accedere facilmente alle attività e ai crediti agricoli. La relazione contribuisce anche alla crescita economica e allo sviluppo rurale nel rispetto dei criteri di sostenibilità.

 
  
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  Göran Färm, Anna Hedh, Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog e Åsa Westlund (S&D), per iscritto. (SV) Abbiamo votato a favore della relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali poiché riteniamo fondamentale contrastare la mancanza di uguaglianza nella società. Nella relazione viene messa in luce l’importanza di infrastrutture ben funzionanti e di servizi accessibili quali la banda larga e l’assistenza per i bambini, anche nelle zone rurali. Desideriamo però sottolineare che non riteniamo opportuno che all’agricoltura venga assegnata la stessa quota di bilancio per il prossimo periodo finanziario, ma ne proponiamo una significativa riduzione .

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Se intendiamo impegnarci realmente a favore dell’agricoltura, come è mia intenzione, e fare in modo che lavorare in campagna possa diventare una scelta di vita per le famiglie, dobbiamo garantire che quanti seguono questa strada possano godere di condizioni di vita pari a quelle dei centri urbani in termini di assistenza sanitaria, istruzione e strutture di aiuto alle famiglie.

Per promuovere lo sviluppo e la coesione sociale, deve esserci armonia tra zone rurali e urbane, garantendo che le campagne ricevano la debita attenzione e vengano considerate attrattive. Le donne e la loro funzione attiva nelle comunità agricole possono agevolare il processo. Non ho una visione romantica e bucolica della “fuga in campagna”; so bene che è uno stile di vita che ha un prezzo e che spesso comporta difficoltà in termini di accesso alle infrastrutture proprie della vita moderna. Sono dell’avviso che i timori espressi nella relazione siano di stimolo per impegnarci nel promuovere la creazione di infrastrutture di qualità per l’assistenza alle famiglie, l’istruzione, la sanità e i trasporti anche nelle zone non urbane.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La promozione dell'uguaglianza di genere è un obiettivo fondamentale dell'Unione europea e dei suoi Stati membri e questo principio deve essere integrato nella Politica agricola comune (PAC), in modo da favorire la crescita economica sostenibile e lo sviluppo rurale. Le aziende agricole, il turismo rurale, la commercializzazione diretta e i servizi sociali rappresentano i pilastri dell’insieme dei servizi in ambiente rurale e devono quindi beneficiare di un aiuto costante da parte della PAC. Si tratta di servizi che devono essere promossi attraverso la PAC, aprendo così nuove prospettive e opportunità di impiego retribuito per le donne e contribuendo notevolmente alla conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari. È necessario avviare iniziative volte a contrastare l’invecchiamento della popolazione nelle zone rurali. A tal fine devono essere create le condizioni affinché le persone scelgano di vivere in campagna, poiché è importante avere un contesto rurale vitale e dinamico caratterizzato dalla diversità demografica. Desidero sottolineare, a tale proposito, l'importanza di adeguate opportunità di sviluppo nonché di sfide per le giovani donne. È necessario sostenere e rilanciare il mondo rurale, promuovendo l’immagine di un ambiente completo e diversificato in cui vivere e lavorare, sfruttando soprattutto le conoscenze specifiche e le capacità delle donne.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La relazione si pone in contrasto con l’adozione del progetto di regolamento proposto dalla Commissione concernente l’autorizzazione e il rifiuto dell’autorizzazione di determinate indicazioni sulla salute, riportate sui prodotti alimentari, che si riferiscono allo sviluppo e alla salute dei bambini, nonché con gli obiettivi e i contenuti del regolamento riguardante le indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari. L’acido decosaesaenoico (DHA) è presente anche nel latte materno e contribuisce al normale sviluppo della vista nei bambini nei primi 12 mesi di vita. Dal momento che la comunità scientifica non ha ancora chiarito gli effetti sui bambini dei prodotti contenenti DHA diversi dal latte materno, che si tratti di latte artificiale o di altri alimenti, siamo dell’avviso che sia preferibile adottare una posizione preventiva e cautelare.

L’adozione del progetto di regolamento in esame è per noi fonte di preoccupazione dal momento che non soddisfa i requisiti previsti dal Regolamento (CE) n. 1924/2006, nel quale si afferma in particolare che “le indicazioni nutrizionali e sulla salute sono basate su dati scientifici generalmente accettati".

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Le politiche dell’Unione europea e degli Stati membri devono promuovere l’uguaglianza di genere e prestare debita attenzione ai diritti delle donne, contrastando al contempo la discriminazione fondata sul sesso. Emerge quindi la necessità di tenere in particolare considerazione la situazione delle donne nelle zone rurali e nell’agricoltura, che vivono in prima persona la profonda crisi del mondo rurale causata dalle politiche attuali, come la Politica agricola comune (PAC).

Le donne, che costituiscono circa il 42 per cento dei 26,7 milioni di persone occupate nel settore agricolo, risentono del fallimento di centinaia di migliaia di piccole e medie aziende agricole e del processo di distruzione delle attività familiari causati dalle continue riforme della PAC. Come in altri settori, le donne sono vittime della disoccupazione, dell’instabilità dei posti di lavoro, di salari bassi e povertà, fattori ulteriormente aggravati da politiche antisociali attuate con il pretesto della crisi.

Anziché continuare a parlare inutilmente, dobbiamo agire e mettere un freno alle politiche che hanno determinato la situazione attuale. Diamo valore al ruolo delle donne, ai loro diritti, alla parità e ai servizi pubblici nelle zone rurali in ambito sanitario, culturale, sociale, dell’istruzione e del tempo libero...

(Dichiarazione di voto abbreviata ai sensi dell’articolo 170 del regolamento)

 
  
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  Mathieu Grosch (PPE), per iscritto. (DE) La relazione merita il nostro pieno appoggio in quanto richiama l’attenzione sulla particolare funzione delle donne nelle attività agricole e nelle zone rurali, fornendo al contempo, soluzioni alle sfide attuali che potrebbero incrementare l’attrattività della vita nelle campagne per le donne. Tra le soluzioni viene contemplato il ricorso a servizi di sostegno, a istituzioni e strutture, quali asili, ambulatori e altre infrastrutture necessarie, che devono essere abbordabili ed accessibili. Viene avanzata, inoltre, la proposta di stanziare fondi europei per migliorare la qualità di vita nel mondo rurale.

Un migliore accesso a scuole, corsi di formazione professionale di alto livello, università e il miglioramento della condizione sociale femminile nelle zone rurali sono altri elementi essenziali. Ne trarranno vantaggio non solo delle donne ma le aree rurali in generale, che, attraverso uno sviluppo sostenibile, diventeranno luoghi in grado di favore l’integrazione e dove vivere e lavorare.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione poiché è importante porre l'accento sul ruolo svolto dalle donne nelle aziende agricole e negli ambienti rurali, tenendo conto, in modo particolare, del loro ruolo multifunzionale. Uno dei principali obiettivi della politica europea per le zone rurali rimane quello di garantire condizioni di vita equivalenti in tutte le regioni e di evitare lo sviluppo unilaterale dei centri urbani, in modo che uomini e donne abbiano la possibilità di costruirsi prospettive di vita e di riuscita anche nelle campagne. Se l'obiettivo è quello di evitare l'esodo dalle campagne delle donne di tutte le generazioni o comunque di incentivare il ritorno di queste ultime alla vita rurale, è fondamentale che le loro esigenze e condizioni trovino un riscontro più che mai forte nelle politiche di sostegno. Si tratta di obiettivi che, nella società moderna, non è possibile raggiungere in assenza di servizi di sostegno nonché di organismi e strutture di pubblica utilità economicamente e geograficamente accessibili. La realizzazione e lo sviluppo a misura di donna di tale struttura di sostegno deve essere al centro delle strategie di promozione europee. Da questo punto di vista occorre elaborare nuovi approcci fin dalla fase di pianificazione degli interventi (ad esempio la costruzione di un asilo, la realizzazione di un ambulatorio o lo sviluppo dei trasporti pubblici) coinvolgendo nelle decisioni le donne di tutte le età. Uno dei capisaldi della qualità della vita e del lavoro nelle aree rurali rimane la formazione (intesa come istruzione e formazione continua) a livello sia di scuole che di istituti professionali e di università.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. − (FI) La vita delle donne nelle zone rurali è cambiata notevolmente, soprattutto negli ultimi cinquant’anni. Si è assistito a una diminuzione dei posti di lavoro tradizionali in queste regioni e alla nascita di nuovi stili di vita, sensibilmente diversi per quanto concerne la formazione personale, l’istruzione e la condizione delle donne nel mercato del lavoro. Le politiche di sostegno dell’Unione europea devono riflettere in maggior misura questi cambiamenti per permettere alle donne che vivono in campagna di conciliare la vita lavorativa e familiare.

Negli ultimi anni le donne, con la loro personale formazione e con la loro professionalità, hanno promosso lo sviluppo dell’economia rurale tradizionale. La struttura economica rurale ha sperimentato un rinnovamento grazie ad attività rurali innovative di ogni genere, imperniate ad esempio sui servizi e sull’agriturismo. In una prospettiva futura, devono essere favoriti la creazione e lo sviluppo di attività rurali innovative.

Per concludere, desidero ricordare che la promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne è un obiettivo fondamentale dell’Unione europea e dei suoi Stati membri e tale principio deve essere integrato nella Politica agricola comune.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) Con la relazione Jeggle il Parlamento europeo esprime la propria volontà di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle donne che abitano nelle zone rurali e di creare migliori opportunità per il loro sviluppo in queste regioni. Al centro delle proposte contenute nella relazione vi è l’ulteriore ampliamento delle infrastrutture nelle regioni non urbane al fine di offrire alle donne nuove prospettive e opportunità di lavoro. Il problema di conciliare il lavoro con le necessità familiari interessa anche a quanti lavorano nel settore agricolo. Ritengo che, come sostenuto dalla relatrice, una campagna volta a sostenere attivamente le zone rurali sia l’unica soluzione per impedire che le donne si trasferiscano in città. Questo comporterebbe la presenza di servizi di custodia dei bambini e di infrastrutture adeguate per le famiglie operanti nel settore agricolo, nonché l’accesso a Internet ed altre tecnologie di comunicazione. In una prospettiva futura, per l’attuazione di misure fondamentali nelle zone rurali, avremo bisogno di finanziamenti adeguati a favore dell’agricoltura e dello sviluppo delle aree non urbane. Condivido l’invito della relatrice a evitare di ridurre ulteriormente l’incidenza della spesa agricola sul bilancio complessivo dell’UE, in sede di negoziati sul prossimo quadro finanziario pluriennale.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho fortemente sostenuto questa relazione della collega Jeggle perché in essa ritrovo dei principi importanti che è necessario rimarcare e sostenere in futuro. Su un totale di circa 27 milioni di persone regolarmente occupate nell'agricoltura nell'UE, circa il 42% è rappresentato da donne mentre, secondo statistiche ufficiali, risulta che un'azienda agricola su cinque (intorno al 29%) è gestita direttamente da una donna. Su questi dati Vi invito a riflettere circa il grande contributo apportato dalle donne allo sviluppo di molte comunità locali, cui spesso segue una loro non proporzionata partecipazione ai processi decisionali. Questo è un limite da superare attraverso una politica di servizi che proprio attraverso la nuova Politica Agricola Comune (PAC) possa agevolare i processi di sviluppo e di animazione nel tessuto rurale di molte aree. Penso, in particolare, alla formazione, alla consulenza e alle iniziative di creazione di imprese che, nel quadro del secondo pilastro della PAC, potrebbero ancora essere potenziate e costituire il cardine per un significativo miglioramento delle condizioni di vita e delle donne, ma anche degli uomini, nelle zone rurali. Ritengo ciò alquanto strategico, anche in vista della realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020, con particolare riferimento alle iniziative che puntano su innovazione, ricerca e sviluppo.

 
  
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  Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto. − (PL) Oggi, qui a Strasburgo, votiamo in merito alla relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali. Io provengo da una regione agricola, vivo in campagna e un tempo ho lavorato duramente nell’azienda agricola dei miei genitori. Posso affermare con convinzione che le donne nelle zone rurali non solo influiscono sullo sviluppo e sul processo di modernizzazione delle aziende agricole, ma stimolano anche l’intera comunità rurale con il loro duro lavoro e la loro determinazione. Dobbiamo sostenere le donne e mettere in luce il valore della loro azione, alla luce delle attività che svolgono nelle associazioni rurali, degli sforzi che compiono per preservare le tradizioni e le usanze familiari e della loro capacità di integrare con successo soluzioni innovative nella gestione delle aziende agricole. Desidero ringraziare tutte le donne che vivono nelle zone non urbane in Polonia e nell’intera Unione europea per il duro lavoro che svolgono e per il contributo che apportano allo sviluppo regionale. Desidero inoltre dichiarare il mio voto favorevole per la relazione Jeggle. Grazie.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Plaudo al riconoscimento che la relazione concede al ruolo femminile nella produzione agricola, alla necessità di adeguare alcune politiche e condizioni al fine di assistere le donne. Non ritengo tuttavia che questo giustifichi un aumento dell’importo destinato alla PAC.

 
  
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  Barbara Matera (PPE), per iscritto. Ho espresso il mio voto favorevole in quanto credo fortemente che si debba recuperare la centralità della donna lì dove il suo operato è fondamentale all'andamento o al recupero di quella economia locale che concorre alla crescita generale dei nostri paesi.

Il ruolo delle donne nel settore agricolo, infatti, ha subito forti cambiamenti negli ultimi decenni, divenendo sempre più multifunzionale. Per questo motivo, è necessario un intervento delle Istituzioni europee volto a evitare l'esodo delle donne dalle campagne o comunque volto a incentivare il ritorno di queste ultime alla vita rurale. Un sostegno alle donne e ai loro progetti permetterebbe di compiere passi avanti per lo sviluppo delle comunità rurali nel loro insieme.

Occorre offrire alle donne che operano nel settore agricolo la possibilità di realizzare i propri progetti di vita, rendendosi economicamente indipendenti, anche per far fronte alle responsabilità familiari. I posti di lavoro nell'agricoltura devono restare attrattivi per le donne in modo che possano inserirsi per eseguire le loro molteplici competenze professionali. In questo periodo di crisi finanziaria ed economica, risulta fondamentale offrire condizioni di lavoro equivalenti sia nelle campagne che nelle città, in modo tale da ripopolare territori che possano rappresentare un volano della ripresa economica di una determinata regione europea.

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE), per iscritto.(FR) I profondi mutamenti nelle zone rurali europee rappresentano una sfida dal punto di vista demografico, occupazionale, ambientale e dei servizi. È nostro compito mettere in evidenza l’impatto che la presenza e la partecipazione delle donne hanno sulla qualità di vita e sull’economia delle zone rurali. Le donne rappresentano un grande potenziale per l’Unione europea nel processo di sviluppo e potenziamento dell’economia rurale europea. I finanziamenti comunitari possono contribuire a migliorare la qualità della vita e del lavoro nelle zone rurali attraverso stipendi più alti e la formazione (intesa come istruzione e formazione continua) a livello sia di scuole che di istituti professionali e di università .

Il futuro del settore agricolo è legato alla capacità di diversificare, mentre il potenziale dei servizi che le aziende agricole offrono, oltre alla produzione di alimenti, dipende dalla creatività degli attori agricoli, e le donne da questo punto di vista hanno già fornito un contributo significativo. Le opportunità per creare servizi locali sono innumerevoli e coinvolgere le donne è una garanzia di successo dei progetti.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La nuova Politica agricola comune (PAC) deve tenere in debita considerazione il ruolo sempre più importante delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali al fine di promuovere l’uguaglianza di genere. È questa la strada da intraprendere per promuovere la crescita economica e lo sviluppo rurale nel rispetto dei criteri di sostenibilità. Nelle regioni rurali dobbiamo creare buone condizioni di vita pari a quelle dei centri urbani così da incentivare le donne e le loro famiglie a non abbandonare le campagne.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato a favore della relazione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali poiché sono dell’avviso che la loro funzione sia cruciale nell’agricoltura, settore occupati che occupa 14,6 milioni di donne, ovvero il 41 per cento. Il secondo pilastro della Politica agricola comune sostiene i progetti relativi alle condizioni di vita delle donne nelle zone rurali. Ritengo sia comunque necessario analizzare i progetti in corso al fine di individuare esempi di buone prassi e migliorare la condizione delle donne, le quali risentono particolarmente delle conseguenze dell’attuale crisi strutturale del sistema capitalista nelle aree rurali. I livelli della disoccupazione femminile ne sono una chiara prova. La situazione è aggravata dal fatto che le donne non partecipano attivamente al mercato del lavoro, ovvero non sono iscritte alle liste di collocamento e non risultano nelle statistiche relative alla disoccupazione. Sono del parere che sia indispensabile garantire la protezione sociale delle donne attive nel settore agricolo a vantaggio dello sviluppo delle zone rurali. La relazione rappresenta un passo nella giusta direzione e per questo ho votato a favore.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) La relazione mira ad evidenziare il principio di uguaglianza tra uomini e donne nella Politica agricola comune, come ribadito in precedenza, in modo da favorire la crescita economica sostenibile e lo sviluppo rurale. L’Unione europea deve reindirizzare le strategie di sostegno verso uno sviluppo delle zone rurali a misura di donna. Tra i punti chiave individuati che hanno incontrato il consenso dei diversi gruppi politici, vi sono: la promozione dell’imprenditorialità e le competenze delle donne nell’agricoltura; corsi di formazione specifici per le donne migliori e più accessibili; infrastrutture IT più moderne per le zone rurali; maggiore riconoscimento e sostegno per l’azione delle reti europee di donne; infrastrutture e servizi migliori e più accessibili; sicurezza sociale per le donne che operano nell’agricoltura; proprietà congiunta delle aziende agricole e una particolare attenzione alle donne immigrate. Chi contrari osi opporrebbe mai a queste proposte? In realtà, la relazione non è altro che un testo impreciso e populista! Sembra che la relatrice volesse semplicemente dimostrarsi gentile nei confronti delle donne che lavorano nell’agricoltura. Non si fa alcun accenno ai figli o all’assistenza sanitaria né alla mancanza di un’assistenza sanitaria efficiente, che, unitamente alla mancanza dell’istruzione prescolare nelle zone rurali, è tra le maggiori preoccupazioni delle donne in Estonia, Lettonia e Lituania. Ho votato però a favore della relazione, nonostante il testo sia grezzo e non professionale.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Nel settore agricolo la donna riveste ancora un ruolo di secondo piano. Come affermato nella relazione, è necessario rivolgere maggiore attenzione ai bisogni delle donne, soprattutto nelle aree non urbane. Dovrebbero essere create maggiori opportunità di istruzione e formazione nonché di accesso all’assistenza. Le donne impiegate nell’agricoltura contribuiscono sempre più alla diversificazione delle imprese e al loro adattamento al mercato, concretizzando in tal modo la multifunzionalità dell'agricoltura. Le donne devono avere la possibilità di partecipare maggiormente ai processi decisionali nei comitati e nelle associazioni, al fine di mantenere attrattiva dell’agricoltura come fonte di impiego e stile di vita. Rendere più sicura la posizione femminile, inoltre, può rappresentare un incentivo a non abbandonare il settore. Ho espresso voto favorevole alla relazione poiché dobbiamo porre un freno al declino dell’agricoltura con tutti gli strumenti a nostra disposizione.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione Jeggle, e la condividi in quanto provengo dalla Romania, un paese in cui l’agricoltura offre lavoro a un ingente numero di persone. Desidero sottolineare, tuttavia, che la relazione avrebbe dovuto rivolgere maggiore attenzione alle condizioni di vita nelle campagne. Per ridurre il divario tra zone urbane e rurali è necessario un Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale sostenuto da ingenti finanziamenti, che miri principalmente a investire nelle attività di ammodernamento delle infrastrutture di base. Sarebbe stato utile, inoltre, considerare maggiormente gli effetti dell’invecchiamento della popolazione rurale e l’importanza di regimi di pensionamento anticipato per gli agricoltori e i lavoratori agricoli e l’insediamento dei giovani.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Le donne costituiscono la colonna portante del settore agricolo europeo per diversi aspetti. Creando condizioni favorevoli per un’economia agricola sostenibile, ecocompatibile e responsabile basata sulle piccole aziende agricole, contribuiamo ad affermare il crescente ruolo delle donne nel settore e proprio per questo è importante che la società riconosce e rispetti in misura maggiore il lavoro delle donne nel settore agricolo. In una prospettiva futura, dobbiamo intraprendere più azioni volte a soddisfare le necessità delle donne nell’agricoltura e ad attirare i giovani. Per i motivi citati ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. − (PL) Il Parlamento europeo ha approvato oggi una proposta di risoluzione sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali. Negli ultimi decenni, l’esperienza ha dimostrato che il crescente coinvolgimento delle donne, con le loro conoscenze, esperienza e professionalità, è un fattore fondamentale per lo sviluppo in tutti gli ambiti economici. Per questo ed altri motivi, sono dell’avviso che incrementare l’attrattività delle zone rurali e rivolgere particolare attenzione al ruolo e alle necessità delle donne debbano essere obiettivi al centro della Politica agricola comune. Dobbiamo permettere alle donne di realizzare le proprie ambizioni e conciliare la carriera con la vita familiare. A tal fine, è essenziale garantire l’accesso a tutti i servizi necessari, alle infrastrutture e alle opportunità di sviluppo delle capacità professionali e personali anche nelle zone rurali. Dobbiamo intraprendere azioni mirate per sostenere l’imprenditorialità delle donne e contrastare tutte le forme di discriminazione di genere. La nostra attenzione deve essere rivolta anche a garantire una maggiore assistenza politica e finanziaria, migliorando, ad esempio, l’accesso a prestiti e investimenti. Sono certo che tali misure permetteranno di utilizzare al meglio il potenziale delle donne a favore dello sviluppo del settore agricolo, delle comunità locali e di intere regioni.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione Jeggle che si propone di migliorare il ruolo delle donne nel settore agricolo e la loro condizione nelle zone rurali, di fornire maggiori garanzie sociali e di promuovere l’occupazione e l’imprenditorialità. Dobbiamo impegnarci al massimo per garantire il buon funzionamento del sistema di protezione sociale che permette il pensionamento anticipato e gli assegni di maternità. Dotare tutto lo spazio rurale delle più moderne infrastrutture IT è una prerogativa importante per la creazione di un ambiente favorevole alla promozione dell’imprenditorialità. La crescita delle piccole e medie imprese nelle aree rurali non sarebbe possibile senza un accesso adeguato alla banda larga. L’impegno dell’Unione europea deve essere rivolto anche alla tutela delle comunità rurali e alla creazione di opportunità per conciliare la vita lavorativa con le responsabilità familiari. Dobbiamo offrire a quanti vivono nelle aree rurali elevati standard di assistenza sanitaria, istruzione, assistenza ai bambini ed altri servizi necessari per la vita quotidiana per creare condizioni di vita più favorevoli e ridurre l’esclusione sociale.

Gli Stati membri che ricevono finanziamenti da Fondi strutturali devono elaborare e attuare azioni volte a promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ridurre le disuguaglianze sociali e affrontare i problemi relativi ai trasporti. È necessario rivolgere maggiore attenzione alle organizzazioni degli agricoltori e creare reti europee di donne occupate nel settore agricolo, contribuendo in tal modo alla realizzazione completa dei programmi di sviluppo.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. La nuova politica agricola comunitaria (PAC) concentra il suo lavoro anche su questioni sociali come il ruolo della donna all'interno delle aree rurali. L'obiettivo comune è di evitare lo sviluppo esclusivamente nei centri abitati e, di conseguenza, evitare discriminazioni di sesso e o provenienza geografica dei cittadini residenti in luoghi di campagna. Concordando con questi propositi ho votato a favore della relazione che sottolinea l'importanza del ruolo della donna nelle aziende agricole e negli ambienti rurali e quanto questo ruolo sia importante per le politiche di sviluppo territoriali. La relazione indica gli argomenti su cui lavorare per una maggiore integrazione delle donne, per sfruttarne al meglio le potenzialità occupazionali dando migliori prospettive di vita attraverso una maggiore efficienza ecologica ed energetica delle zone rurali.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho espresso voto favorevole alla relazione poiché concordo con la maggioranza delle proposte contenute, in particolar modo la promozione della multifunzionalità delle attività svolte nelle zone rurali, zone dove vivere, lavorare, dove mantenere le comunità e creare condizioni di dinamicità. Le zone rurali sono particolarmente colpite dell’invecchiamento della popolazione, dalla scarsa densità demografica e, in alcune zone, dallo spopolamento, sfide che la Politica agricola comune (PAC deve affrontare. In una prospettiva storica, il lavoro delle donne in agricoltura è sempre stato sottovalutato, spesso non retribuito o ricompensato con salari più bassi rispetto a quelli degli uomini a parità di lavoro. Nell’affrontare la questione, non possiamo ignorare questo aspetto e soprattutto dobbiamo creare condizioni di lavoro paritarie per lavori di pari valore; questo problema perderà comunque rilevanza nel momento in cui l’uguaglianza di genere nel settore agricolo diverrà realtà.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE) , per iscritto. Care colleghe e cari colleghi, le donne sono la spina dorsale del settore agricolo nelle aree rurali. È dunque importante porre l'accento sul ruolo svolto da queste ultime nelle aziende agricole e negli ambienti rurali. A tal riguardo, è necessario tener conto dei loro bisogni e avvalersi delle loro potenzialità, poiché aspetti come la qualità della vita ed il potere economico sono legati, soprattutto nelle regioni rurali, alla presenza e all'impegno delle donne su più fronti. Pertanto, è fondamentale che le loro esigenze e condizioni trovino un riscontro più che mai forte nelle politiche di sostegno europee, in modo da evitare l'esodo dalle campagne delle donne di tutte le generazioni o comunque di incentivare il ritorno di queste ultime alla vita rurale. Da questo punto di vista gli aiuti dell'UE possono contribuire a migliorare la qualità della vita nelle aree rurali, sia per quanto concerne le donne che gestiscono un'attività imprenditoriale o forniscono servizi, sia in relazione alle consumatrici di beni e servizi. Poiché le donne svolgono una funzione indispensabile ai fini dello sviluppo sostenibile delle zone rurali, esprimo il mio voto favorevole in modo da garantire un sostegno concreto a favore delle donne in tale settore.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (EN) Le donne sono la spina dorsale del settore agricolo nelle aree rurali. La loro presenza assume un peso sempre maggiore. È pertanto importante porre l'accento sul ruolo svolto dalle donne nelle aziende agricole e negli ambienti rurali, tenendo conto, in modo particolare, del loro ruolo multifunzionale. Se l'obiettivo è quello di evitare l'esodo dalle campagne delle donne di tutte le generazioni o comunque di incentivare il ritorno di queste ultime alla vita rurale, è fondamentale che le loro esigenze e condizioni trovino un riscontro più che mai forte nelle politiche di sostegno. Anche le donne che vivono nelle campagne hanno aspirazioni quali, ad esempio, quelle di realizzare il proprio progetto di vita, rendersi economicamente indipendenti e far fronte alle responsabilità familiari.

La Commissione europea dovrebbe incrementare gli stanziamenti per il Fondo sociale europeo affinché vi siano le risorse finanziarie necessarie a migliorare l’istruzione e la formazione, favorendo di conseguenza l’accesso al mercato del lavoro e contrastando la disoccupazione. Vanno sostenute misure e attività previste nella strategia per l’inclusione sociale e nell’iniziativa faro Europa 2020 per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale a favore delle persone più svantaggiate e vulnerabili, soprattutto donne e lavoratori precari o con contratti atipici. Il contributo degli Stati membri dovrebbe essere rivolto soprattutto a migliorare stabilmente la condizione delle donne nel settore agricolo europeo.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto.(FR) Cosa accadrebbe se le donne agricoltrici fossero il futuro della Politica agricola comune? L’ipotesi, sebbene possa risultare controversa, è del tutto verosimile se consideriamo l’importanza delle donne nella vita di campagna e nelle aziende agricole. In base alle statistiche, le agricoltrici costituiscono il 43 per cento della forza lavoro dell’agricoltura europea e gestiscono il 20 per cento delle aziende agricole, stime che non includono le mogli degli agricoltori, il cui lavoro spesso non viene preso in considerazione.

In un periodo in cui le aziende agricole stanno diventando più specializzate, la creatività delle donne rappresenta chiaramente un vantaggio che, se combinato al loro interesse per la sostenibilità ambientale e la qualità, merita riconoscimento e sostegno a livello europeo. È questa la scelta che ha operato il Parlamento europeo oggi con l’adozione della relazione presentata dall’onorevole Jeggle, scelta che mette in risalto il futuro ruolo centrale delle donne nel potenziare le aree rurali. La relatrice ha opportunamente affermato nella motivazione: “L'esperienza insegna che aspetti come la qualità della vita e il potere economico sono legati, soprattutto nelle regioni rurali, alla presenza delle donne e al loro impegno su più fronti”. Da questo passaggio emerge una nuova immagine, semplice e moderna, dell’attività agricola.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Le donne sono la spina dorsale del settore agricolo nelle aree rurali. La loro presenza assume un peso sempre maggiore. È pertanto importante porre l'accento sul ruolo svolto dalle donne nelle aziende agricole e negli ambienti rurali, tenendo conto soprattutto del loro ruolo multifunzionale. Un'opportunità da questo punto di vista è costituita dal sostegno concreto a favore delle donne nell'agricoltura. Occorre dare maggiore rilievo alle loro molteplici competenze professionali oltre che ai loro variegati interessi e alle diverse prestazioni che offrono, in modo che i posti di lavoro nell'agricoltura restino attrattivi per le donne. A tale scopo è necessario che le donne possano usufruire pienamente delle risorse offerte dalla vita e dal lavoro in ambiente agricolo. Le donne impegnate nell'agricoltura devono condividere i diritti e i doveri connessi con la posizione che occupano nell'ambito delle rispettive aziende agricole, ad esempio la rappresentanza all'interno degli organismi agricoli e la partecipazione al reddito aziendale.

Inoltre, ai fini di un'agricoltura moderna e sostenibile è indispensabile un'adeguata copertura sociale delle lavoratrici. Occorre prendere in considerazione le esperienze a livello di previdenza agricola fatte nei vari Stati membri in modo da contribuire, nel medio termine, a un netto miglioramento della condizione sociale delle donne nell'ambito dell'agricoltura europea.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. In Europa lo sviluppo sostenibile delle zone rurali è da sempre considerato una priorità, al fine di garantire condizioni di vita ottimali per uomini e donne che decidono di intraprendere questa specifica attività.

Attualmente, nell'Unione europea 26,7 milioni di persone sono occupate nel settore agricolo. Tra questi il 42% è costituito da donne e almeno un'azienda agricola su cinque è diretta da una donna. Da questi semplici dati emerge una realtà femminile rurale radicalmente diversa da quella degli scorsi decenni, dove le donne hanno giocato un ruolo da protagoniste in questi mutamenti, con situazioni sociali ed economiche molto diverse tra gli Stati.

Condivido quindi il testo di questa relazione, in quanto evidenzia la necessità di pianificare strategie europee di sostegno per le aree rurali "a misura di donna", in modo da contribuire nel medio termine a un miglioramento della loro condizione sociale e lavorativa.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. La relazione sul ruolo delle donne nell'agricoltura e nelle zone rurali non può che vederci favorevoli perché noi crediamo ancora nell'agricoltore professionale che vive del reddito derivante dalla propria azienda.

Le donne, per le loro tipicità legate alla maternità e al ruolo abituale di assistenza agli altri membri della famiglia, sono indubbiamente soggetti svantaggiati in un ambito agricolo. I tempi dell'agricoltura non sono scanditi da orari fissi ma devono tenere conto delle esigenze stagionali, dei periodi vegetativi e dell'eventuale presenza di animali di allevamento. Ci sono periodi in cui i giorni lavorativi saranno di 12-13 ore comprensivi di festività e altri più tranquilli. È evidente che una donna imprenditrice agricola, ad esempio in maternità, non può rinunciare a lavorare il terreno se quel periodo lo richiede, perché altrimenti non disporrebbe di un reddito per tutto l'anno.

Le necessità di una donna agricoltore sono quindi diverse da quelle di un'altra lavoratrice, per cui è fondamentale che siano loro garantiti servizi adeguati e dedicati, conto tenendo del fatto che quasi sempre le aziende agricole sono localizzate lontano dai servizi pubblici, siano questi di trasporto, di assistenza o sociali..

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. (EL) Ho votato a favore della proposta di risoluzione poiché sono dell’avviso che le donne giochino un ruolo fondamentale e diano un contributo essenziale allo sviluppo rurale e agricolo. Sostenere le donne e le loro iniziative imprenditoriali nel settore rurale significa promuovere il progresso di tutta la comunità locale. Nel vivo della crisi economica e in un periodo con tassi di disoccupazione in rapida crescita, dobbiamo incentivare le donne a rimanere in campagna, sostenere la loro imprenditorialità e investire nella formazione, promuovendo così lo sviluppo e l’innovazione del settore agricolo.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. (RO) Desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Jeggle per l’eccellente relazione che mette in luce il ruolo importante delle donne in agricoltura. So per certo che a molti di noi sta a cuore il fatto che donne di tutte le età continuino a vivere o siano incoraggiate a trasferirsi in campagna così da garantire un futuro alle zone rurali e all’agricoltura europea. A questo scopo, dobbiamo migliorare l’accesso alle donne non solamente all’istruzione e alla formazione specifica per il settore agricolo, ma anche ai pagamenti diretti. Dobbiamo garantire pensioni decenti e assicurazione sociale.

In Romania, per esempio, alcune donne che vivono in campagna non hanno diritto alla pensione da agricoltore e incontrano serie difficoltà nell’avviare un’impresa nel settore agricolo. La nostra attenzione deve essere quindi incentrata sulle donne che lavorano in aziende agricole di famiglia o di sussistenza e garantire loro una posizione economica decente e pensioni adeguate.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. − (PL) Desidero esprimere il mio sostegno a favore della relazione sulle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali. Sono favorevole, in particolar modo, alle soluzioni volte a incrementare il tasso di occupazione delle donne nelle aree non urbane. In Polonia, la disoccupazione è soprattutto femminile, sopratutto nelle zone rurali; il problema interessa in particolar modo le donne al di sotto dei 34 anni, che nella maggior parte dei casi hanno un’istruzione, ma non riescono a trovare un impiego adeguato alle proprie qualifiche. La tendenza è allarmante, dal momento che proprio i giovani dovrebbero avere maggiori possibilità di affermarsi nel mercato del lavoro. In una prospettiva a lungo termine, la disoccupazione nelle zone rurali potrebbe assumere carattere femminile con il conseguente aumento della povertà tra le giovani donne; molte sceglieranno quindi di cercare lavoro in città, con gravi conseguenze per il mondo rurale quali l’invecchiamento della popolazione, il crollo del naturale tasso di crescita e un generale deterioramento delle condizioni di vita.

Con riferimento ai problemi citati, sono a favore della proposta di prevedere misure specifiche a sostegno delle donne da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) per il periodo di programmazione 2014-2020, misure che produrrebbero un impatto positivo sull'occupazione femminile nelle zone rurali. Concordo inoltre sulla necessità di garantire alle donne nelle aree rurali rimborsi adeguati nel quadro dei sistemi di previdenza sociale, che tengano in considerazione la loro minore capacità di rendimento e, quindi, i loro minori diritti pensionistici.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. − (PL) In seguito all’evoluzione sociale e demografica, al profondo cambio dei valori e alla maggiore possibilità di scelta, la struttura delle zone rurali sta mutando, così come il ruolo delle donne. L’Unione europea deve ora garantire che la politica europea di sostegno rifletta appieno le necessità delle donne al fine non solo di evitare l’esodo femminile dalle campagne, ma di incoraggiarle anche a scegliere di vivere nelle zone rurali. Dobbiamo favorire la visibilità delle donne nelle aree non urbane, in particolar modo in ambito economico e finanziario, e predisporre gli strumenti atti a raggiungere questi obiettivi.

Dobbiamo garantire alle donne la possibilità di conciliare vita lavorativa e responsabilità familiari, considerando che ancora abbandonano il lavoro per occuparsi dei bambini, dei malati e degli anziani. A questo scopo possiamo creare le infrastrutture necessarie, come gli asili, e offrire diverse opportunità in ambito culturale ed educativo. Includere le donne di tutte le generazioni nei processi decisionali risulta quindi indispensabile.

È molto importante, inoltre, migliorare l’accesso ai servizi sanitari e ai programmi di controllo per la prevenzione del cancro. Dobbiamo incentivare e potenziare l’agriturismo quale attività economica a basso rischio che promuove la creazione di posti di lavoro, consente di conciliare vita lavorativa e familiare e incoraggia i modelli di imprenditoria elettronica, quali l’e-commerce, che permettono di essere economicamente attivi indipendentemente dalla distanza dai centri urbani.

 
  
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  Brian Simpson (S&D), per iscritto. (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo appoggia l’obiettivo della relazione Jeggle sul ruolo delle donne nell’agricoltura e nelle zone rurali di individuare le problematiche specifiche affrontate dalle donne che lavorano nell’agricoltura e molte delle misure volte a rafforzare la loro posizione. La relazione affronta le necessità specifiche delle donne nell’agricoltura e propone una serie di raccomandazioni che tengono conto non solo delle condizioni di vita bensì anche del ruolo e del contributo che offrono allo sviluppo dell’economia rurale. Il nostro partito, tuttavia, non concorda con il paragrafo 4, ovvero con la richiesta di evitare di ridurre ulteriormente l'incidenza della spesa agricola sul bilancio complessivo. Chiediamo quindi che vengano riviste le priorità del prossimo quadro finanziario pluriennale per un finanziamento completo degli obiettivi della strategia Europa 2020 che hanno maggiore impatto sull’aumento dell’occupazione e dei livelli di crescita.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione Jeggle che sottolinea l’importanza dell’uguaglianza di genere nella promozione della crescita economica sostenibile e dello sviluppo rurale. Sono dell’avviso che, al fine di garantire la partecipazione su base equa delle donne nell’agricoltura, è importante la rappresentanza femminile in tutti gli organismi politici, sociali ed economici del settore agricolo.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D), per iscritto.(FR) Sono lieto che la relazione Jeggle, a cui ho contribuito personalmente, sia stata adottata. La Politica agricola comune ha un valore sociale in quanto riconosce il ruolo delle donne nel garantire il futuro delle comunità rurali e la prosperità nelle aree non urbane (alla luce del fatto che il 41 per cento dei 14,6 milioni di persone attive nel settore agricolo europeo è costituito da donne).

L’obiettivo principale è la promozione dell’imprenditorialità e delle competenze agricole femminili; la creazione di infrastrutture moderne nelle zone rurali per permettere alle donne di conciliare il lavoro e la famiglia (attraverso, per esempio, la costruzione di asili); una maggiore rappresentanza delle donne negli organismi politici, economici e sociali nel settore agricolo (mirando alla parità assoluta); una copertura sociale adeguata per le donne che lavorano nel settore agricolo e la promozione della proprietà congiunta delle aziende agricole. Se uguaglianza è sinonimo di giustizia, allora dobbiamo innanzi tutto riconoscere il ruolo delle donne in agricoltura.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. − (DE) Ho espresso voto favorevole alla relazione. È necessaria una politica di sostegno per le zone rurali che miri ad offrire alle donne migliori prospettive e opportunità di lavoro. Le agricoltrici qualificate hanno bisogno di una formazione ad ampio spettro e di poter operare e pensare in un’ottica imprenditoriale. Servono quindi infrastrutture di qualità nelle zone rurali in termini di istruzione, formazione, scuole e assistenza all’infanzia, nonché un accesso senza vincoli alle moderne tecnologie informatiche. Vanno inoltre ampliate le reti europee di donne e l’accesso per le imprenditrici alle opportunità di credito e di investimento.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Ho votato a favore della relazione che richiede il miglioramento della situazione, il loro riconoscimento e il mantenimento dei sussidi in ambito agricolo.

La relazione individua la necessità di garantire adeguati livelli di previdenza sociale per le mogli degli agricoltori che percepiscono un reddito e per i lavoratori stagionali o migranti. Si tratta di disposizioni ovvie, non soltanto per il settore agricolo, ma anche nel contesto più ampio delle professioni autonome, e necessarie per raggiungere l’uguaglianza di genere negli ambiti in cui le donne si trovano in condizioni disagiate.

Per questo motivo sono pienamente a favore dell’introduzione del principio di uguaglianza di genere nella Politica agricola comune e l’Unione dovrà allineare le proprie azioni agli obiettivi prefissati. Non ho dubbi, peraltro, sulla necessità di coerenza tra gli obiettivi dell’Unione e l’impiego di fondi europei, in particolar modo nell’ambito dei diritti umani, compresi i diritti delle donne.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione Jeggle, che sottolinea il determinante contributo delle donne negli ultimi anni allo sviluppo sostenibile delle zone rurali, alla diversificazione delle imprese agricole e al loro adattamento al mercato. Se intendiamo offrire realmente alle donne prospettive nel settore agricolo, la Politica agricola comune deve integrare disposizioni rivolte in maggiore misura alle donne, tra cui, come indicato nella relazione, lo sviluppo di opportunità di formazione e di consulenza specialistiche nonché di infrastrutture adeguate.

 
  
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  Artur Zasada (PPE), per iscritto. − (PL) Desidero congratularmi con l’onorevole Jeggle per la relazione che contribuisce sensibilmente alla discussione in merito alla Politica agricola comune. L’aumento del potenziale economico delle zone rurali è favorito significativamente dal coinvolgimento delle donne, sia negli organismi politici sia nelle organizzazioni agricole, anche attraverso l’attività autonoma. Ai fini della creazione di posti di lavoro è fondamentale la promozione tra le donne di modelli di imprenditoria elettronica quali l’e-commerce, che permette di essere economicamente attivi anche in zone remote. Dovremmo avvalerci in modo più efficace delle opportunità che contribuiscono allo sviluppo delle comunità nelle zone rurali attraverso la creazione e l’attuazione di programmi per promuovere la formazione indirizzata alle organizzazioni femminili.

Nell’ambito della promozione delle pari opportunità, è essenziale creare le infrastrutture adeguate per l’assistenza all’infanzia nelle zone rurali, dal momento che tali servizi, se adeguati, permettono alle donne di rientrare al lavoro più rapidamente e di essere più competitive sul mercato del lavoro. Desidero ringraziare ancora una volta l’onorevole Jeggle per aver considerato le mie proposte durante la stesura della relazione. Nel testo sono state inserite anche le richieste avanzate dalle donne che hanno partecipato alle consultazioni pubbliche da me organizzate nella regione della Terra di Lebus.

 
  
  

Relazione Marinescu (A7-0054/2011)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione sull’efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell’UE nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri. Si tratta di un documento molto importante per la Lituania, la Bulgaria e la Slovacchia, ai fini della disattivazione delle loro centrali nucleari. Si osserva con preoccupazione che alcuni progetti chiave nell’ambito della gestione delle infrastrutture per i rifiuti abbiano registrato ritardi in Lituania e che quindi il paese non sia in grado di assorbire i fondi europei in maniera tempestiva ed efficiente. È stato fatto notare che sono ancora necessari cospicui finanziamenti per la disattivazione e che i fondi nazionali non sono sufficienti a coprire i costi: nel Fondo nazionale di disattivazione della centrale nucleare di Ignalina, infatti, sono stati finora accantonati solo poco più di 100 milioni di euro (mentre i costi tecnici di disattivazione, da soli, si aggirano tra i 987 milioni e i 1 300 milioni di euro) Il Parlamento europeo chiede quindi agli Stati membri di adottare opportuni provvedimenti in merito. La disattivazione delle centrali nucleari prevede un procedimento molto complesso. I paesi non hanno maturato un’esperienza sufficiente per prevedere tutte le operazioni necessarie e per eseguirle in maniera efficiente. Il Parlamento europeo sta adottando questa risoluzione al momento giusto, in modo da incoraggiare Lituania, Bulgaria, Slovacchia e tutti gli Stati membri a mettere in atto il processo di disattivazione nel modo più efficiente possibile. Si tratta di un ambito molto importante che continuerà a ricevere molta attenzione da parte del Parlamento europeo.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo importante documento. Quando sono entrate a far parte dell’Unione europea, la Lituania, la Slovacchia e la Bulgaria hanno sottoscritto complessi impegni politici ed economici per la disattivazione delle centrali nucleari e l’Unione europea si è impegnata a fornire un'adeguata assistenza finanziaria per la disattivazione, la costruzione di depositi per le scorie radioattive, lo stoccaggio dei combustibili esauriti e lo sviluppo di progetti energetici. Ritengo che il concetto europeo di solidarietà possa contribuire in modo efficace a contenere le conseguenze economiche negative nel settore energetico della chiusura anticipata, ma restano ancora irrisolte molte questioni importanti. L’attribuzione degli appalti non è del tutto chiara; ora sappiamo che gli attuali finanziamenti non saranno sufficienti per portare a compimento il processo di disattivazione in maniera tempestiva ed adeguata. Si teme che la mancanza di risorse finanziarie dedicate comporti un ritardo nella disattivazione delle centrali nucleari, con conseguenti rischi per l'ambiente e la salute dell'uomo. I piani di disattivazione dettagliati relativi ai tre programmi in oggetto non sono ancora stati messi a punto e che di conseguenza non esistono informazioni sufficienti circa i tempi, i costi e le fonti di finanziamento di determinati progetti. Concordo sul fatto che la Commissione europea debba svolgere un ruolo di maggior coordinamento con questi tre Stati membri, in modo da raggiungere un accordo per la presentazione di progetti dettagliati, per il completamento del lavoro entro i tempi previsti e per l’entità del finanziamento. La Commissione deve inoltre studiare eventuali soluzioni per modificare i metodi di finanziamento delle operazioni di disattivazione da parte dell'UE, alla luce delle strategie impiegate negli Stati membri e delle loro strutture amministrative nazionali, nonché per semplificare le norme sulla gestione dei fondi in maniera tale da non compromettere la sicurezza, sotto tutti gli aspetti, delle operazioni di disattivazione.

 
  
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  Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Marinescu poiché, a mio avviso, la mancanza di risorse finanziarie dedicate per la disattivazione ritarderà il processo volto a fornire assistenza finanziaria ai tre Stati membri in questione (Lituania, Slovacchia e Bulgaria), con conseguenti rischi per l'ambiente e la salute dell'uomo. Nelle prossime valutazioni condotte dalla Commissione europea e dalla Corte dei conti europea, si dovranno chiarire i seguenti aspetti: l’assegnazione e l’utilizzo di fondi da parte dell’Unione europea per garantire una disattivazione sicura, uno stoccaggio sicuro dei rifiuti nucleari ed il coordinamento fra i tre programmi esistenti. A questo proposito, l’esperienza acquisita deve essere utilizzata in maniera efficace e deve essere utilizzato il modello basato su progetti definiti e finanziati in precedenza per ottenere una riduzione dei costi.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della relazione del collega sulla fornitura dell’assistenza finanziaria richiesta da Lituania, Slovacchia e Bulgaria per chiudere le centrali nucleari. È palese che, se non forniamo risorse appropriate, potremmo trovarci di fronte a conseguenze molto gravi dal punto di vista ambientale e della salute dell’uomo. Ovviamente, le risorse stanziate devono essere gestite in maniera adeguata e trasparente. La mancanza di un gruppo di coordinatori ed esperti dell'UE per tutti e tre i progetti, incaricato di supervisionare la redazione di un piano e di un calendario chiaro, nonché l’utilizzo corretto dei finanziamenti già assegnati, e di stabilire cosa sia necessario per completare la chiusura in condizioni di sicurezza, rappresenta un problema serio.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto.(FR) La parola chiave di questa relazione è “responsabilità”. Il settore dell’energia nucleare deve convincersi del fatto che non può più sfuggire alle proprie responsabilità in merito alla disattivazione delle centrali nucleari, come invece ha fatto così spesso in passato. La disattivazione delle centrali nucleari con standard di sicurezza generali insufficienti corrisponde all’impegno che il settore si era assunto all’epoca dei vari processi di adesione all’UE. Sfortunatamente, gli importi stanziati non sono stati utilizzati in modo corretto ed è ormai arrivato il momento di trarre da questa situazione tutte le debite conclusioni. Quanto detto vale per le centrali nucleari dei nuovi Stati membri, ma anche per tutti i paesi europei che hanno scelto questa tecnologia.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto. (ES) Il disastro avvenuto in Giappone ci ha costretto a riflettere sulla sicurezza dell’energia nucleare. L’assistenza per la chiusura delle centrali in Lituania, Slovacchia e Bulgaria che utilizzavano una tecnologia obsoleta contribuisce a ridurre le conseguenze dell’enorme spesa legata alla loro chiusura dal 2013. L'assistenza era destinata a finanziare iniziative per il miglioramento ambientale, per l’ammodernamento dei nuovi sistemi elettrici e per l'accrescimento della sicurezza dell’approvvigionamento. Ho votato a favore di questa iniziativa perché questo deve essere il futuro anche per le altre centrali nucleari europee che utilizzano una tecnologia obsoleta.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Bene fa il Parlamento, con questa relazione, a fare pressione sulla Commissione perché tenga alta la sorveglianza e il controllo su come sono stati spesi e come saranno impiegati i cospicui finanziamenti di cui hanno beneficiato Slovacchia, Bulgaria e Lituania nell'ambito del programma di smantellamento e messa in sicurezza delle loro centrali atomiche di fabbricazione sovietica. Il catastrofico incidente giapponese di poche settimane fa dimostra, per chi non la avesse ancora capito, che con l'energia nucleare non si scherza: serve sempre il massimo rigore nell'applicazione dei criteri di sicurezza quando si ha a che fare con l'atomo, e la Commissione ha il dovere quindi di verificare come sono stati attuati i programmi di smantellamento delle vecchie centrali nei tre Paesi ex-comunisti.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore della relazione del collega Marinescu che pone l'accento su un problema oggi di grande attualità. Alla luce di quanto accaduto in Giappone, infatti, ci si interroga ora sulla sicurezza delle centrali nucleari esistenti e funzionanti anche in Europa.

L'impegno preso da Lituania, Bulgaria e Slovacchia in sede di negoziati di adesione all'UE, vale a dire smantellare i vecchi reattori nucleari per i quali non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti, deve essere un impegno sostenuto e coerente a fronte del quale l'Unione europea ha stabilito da tempo e assicurato programmi di sostegno e finanziamento. Auspico che i lavori di smantellamento procedano con sollecitudine e garantiscano la massima sicurezza per i cittadini e per l'ambiente. Mi auguro altresì che si riescano a recuperare i ritardi in parte cumulati e terminare le operazioni entro i termini stabiliti.

Mi preme infine sottolineare, al di là dei casi specifici, la necessità di provvedere a controlli di verifica anche per altri reattori presenti in Europa, responsabilizzando le istituzioni nella gestione della sicurezza sia per gli impianti esistenti sia per i nuovi, se in futuro se ne dovessero costruire.

 
  
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  Cristian Silviu Buşoi (ALDE), per iscritto. (RO) La conformità agli standard di sicurezza nel campo dell’energia nucleare e la tutela della popolazione dal rischio nucleare sono aspetti molto importanti che giustificano il finanziamento concesso dall’Unione europea ai tre Stati membri per la disattivazione delle loro centrali nucleari, per le quali non era possibile un adeguamento ai più alti standard di sicurezza. Sostengo pienamente comunque il punto di vista espresso in questa risoluzione, dato che ritengo necessario supervisionare la modalità con cui vengono utilizzati i finanziamenti, in modo da garantire che forniscano un contributo efficace alla sicurezza del processo di disattivazione. Sfortunatamente, le strategie si sono dimostrate carenti dal punto di vista della chiarezza e non sono stati definiti massimali per i finanziamenti europei destinati alle attività di disattivazione. In futuro, si dovrà evitare di lavorare in questo modo e occorrerà elaborare un programma di ampio respiro che copra tutte le operazioni ammissibili al finanziamento. È fondamentale che le modalità di utilizzo dei fondi siano trasparenti, al fine di garantire che i fondi siano efficaci e, in ultima analisi, che il denaro dei contribuenti europei venga speso in maniera responsabile.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) È fondamentale disattivare i reattori nucleari in Slovacchia, Bulgaria e Lituania, dato che non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili . Questo non sarà possibile senza un contributo finanziario dell’UE volto ad affrontare le conseguenze della chiusura e della disattivazione di tali impianti e a finanziare iniziative per il miglioramento ambientale in linea con l'acquis, oltre che per l'ammodernamento della capacità di produzione convenzionale (al fine di sostituire quella della centrale). L’assistenza finanziaria europea è stata erogata sotto forma di contributi ai tre Fondi internazionali di sostegno alla disattivazione gestiti dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) L’Unione europea è preoccupata per le eventuali conseguenze sulla sicurezza derivanti dalla disattivazione delle vecchie centrali nucleari nei nuovi Stati membri e dall’eventuale gestione inadeguata dei rifiuti radioattivi prodotti dal loro smantellamento. Le operazioni necessarie sono, di norma, di portata esorbitante. Per questo motivo si riconosce l'importanza di una gestione sana e il più trasparente possibile delle risorse finanziarie, unita a un adeguato controllo esterno, finalizzata a garantire una concorrenza leale sul mercato dell'energia. Allo stesso tempo, l’Unione deve promuovere costantemente lo sviluppo di risorse energetiche alternative, a basse emissioni e competitive, in modo da ovviare alle conseguenze economiche e sociali negative derivanti dal processo di disattivazione delle vecchie centrali nucleari.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto.(FR) Dal 2007 tre centrali nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria sono in fase di disattivazione grazie ad un ingente supporto finanziario fornito dall’Unione europea. Alla luce dei ritardi e della cattiva gestione generale, il Parlamento alla invita la Commissione a istituire un gruppo di coordinamento con il compito di vigilare sull'elaborazione di un piano definitivo che contenga un preciso calendario, controllare l'utilizzo dei fondi finora stanziati e verificare l'ulteriore necessità di un intervento dell'Unione europea dopo il 2013. Il Parlamento ha richiesto, poi, che la Corte dei conti europea stili una relazione speciale su questi tre programmi di disattivazione entro la fine dell’anno, per verificare se i fondi impiegati abbiano effettivamente contribuito a migliorare la sicurezza. Dovendo fare i conti con le restrizioni di bilancio che gravano su tutti i paesi, il Parlamento acconsentirà a prorogare l’assistenza solo se i finanziamenti europei sono effettivamente serviti a migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, ammodernare le infrastrutture e a sviluppare i progetti per l’energia sostenibile. A seguito del disastro nucleare in Giappone, l’Unione europea è consapevole della portata della propria responsabilità e del fatto che non si può permettere di ignorare la sicurezza dei suoi impianti nucleari.

 
  
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  Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) La relazione sull’efficacia dei finanziamenti dell’UE nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri presenta un riassunto dei finanziamenti europei per la chiusura e la disattivazione delle centrali nucleari di Ignalina in Lituania, di Bohunice in Slovacchia e di Kozloduj in Bulgaria. Nel corso dei negoziati di adesione all’Unione europea, Lituania, Slovacchia e Bulgaria si sono impegnate a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori per i quali, secondo le negoziazioni in seno al G7, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili e che non rispettavano gli standard di sicurezza minimi. L’Unione europea si è impegnata a finanziare la chiusura e la disattivazione e sta fornendo il quadro finanziario. Accolgo con favore il fatto che l’UE sia in grado di sostenere questo tipo di attività. La disattivazione di centrali nucleari vetuste e non sicure in Europa è essenziale per tutelare la vita e la salute dei cittadini europei.

Mi auguro che anche le centrali nucleari più vecchie esistenti in Francia vengano chiuse e disattivate, così come ha deciso di fare la Germania subito dopo il disastro in Giappone. Voterò a favore dell’adozione della relazione, dato che è necessario portare a compimento il processo di chiusura e disattivazione delle centrali di Ignalina, Bohunice e Kozloduj, con un adeguato finanziamento da parte dell’UE.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sul finanziamento europeo nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri. Ritengo che l’Unione europea debba sostenere la chiusura di tali impianti e investire in progetti su energie alternative, per garantire la sicurezza e tutelare la salute dei cittadini europei, per contenere la dipendenza energetica e ridurre al minimo gli eventuali costi sociali.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Prima dell’adesione, le norme relative all’energia nucleare e alle scorie radioattive vigenti nei paesi dell’Europa centrale ed orientale erano meno severe rispetto alle norme applicate nell’Unione europea nello stesso periodo. Alcuni di questi paesi hanno altresì mantenuto attivi vecchi reattori di progettazione sovietica, per i quali non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. Per questo motivo, al momento dell’adesione, Lituania, Slovacchia e Bulgaria si sono impegnate a disattivare i reattori per i quali non era possibile un adeguamento agli standard. Per tali operazioni sono stati chiesti l’intervento e l’assistenza finanziaria dell’Unione europea, che dovranno proseguire sino al 2013. In seguito ai tragici eventi accaduti in Giappone, ritengo che vi sia un bisogno urgente di portare a termine tutti i programmi di chiusura e disattivazione delle centrali nucleari dell’Europa centrale ed orientale, il cui funzionamento non è conforme agli standard di sicurezza europei.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno rispettato l'impegno a chiudere tempestivamente le rispettive unità delle tre centrali nucleari: le unità 1 e 2 della centrale nucleare di Ignalina sono state chiuse rispettivamente il 31 dicembre 2004 e il 31 dicembre 2009; le unità 1 e 2 della centrale nucleare di Bohunice V1 sono state chiuse rispettivamente il 31 dicembre 2006 e il 31 dicembre 2008; le unità 1 e 2 della centrale nucleare di Kozloduy sono state chiuse il 31 dicembre 2002 mentre le unità 3 e 4 non sono più operative dal 31 dicembre 2006. Esiste una base giuridica per la concessione dell’assistenza finanziaria; gli importi sono stabiliti ogni anno con decisione della Commissione, sulla base di singoli documenti annuali di programmazione combinata, al fine di poter esercitare un controllo sullo sviluppo e il finanziamento dei progetti approvati. L’obiettivo dell’assistenza europea è aiutare i tre Stati membri interessati a far fronte all’onere finanziario ed economico derivante dalla fissazione di date di chiusura anticipata tassative, coprire il costo di diverse importanti attività di disattivazione, investire in progetti nel settore dell’energia allo scopo di ridurre la dipendenza energetica e contribuire ad attenuare l’impatto sociale della disattivazione delle centrali.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Sappiamo che l’età media dei reattori attivi nelle centrali nucleari in quasi la metà degli Stati membri dell’Unione europea è relativamente alta, il che ha comportato la necessità di disattivare alcuni reattori per motivi di sicurezza, nonché di difesa e salvaguardia della salute pubblica e dell’ambiente.

È giusto che i nuovi Stati membri che devono far fronte alla richiesta di chiudere diverse si possano aspettare il sostegno dell’UE per portare a compimento in maniera adeguata e sicura i processi di disattivazione.

Questi processi devono comprendere le attività di manutenzione e sorveglianza necessarie in regime di sicurezza dopo la chiusura, il trattamento dei rifiuti, lo stoccaggio e la decontaminazione delle scorie e dei combustibili esauriti, nonché iniziative per il miglioramento ambientale degli impianti ed il sostegno necessario per la sostituzione della capacità di produzione delle unità chiuse, prestando particolare attenzione alla sostenibilità ambientale e all’efficienza energetica.

Infine, vanno tenute in considerazione anche le conseguenze sociali di questi processi, garantendo – oltre alle condizioni di sicurezza, prima, durante e dopo la disattivazione – che vengano tutelati i posti di lavoro ed altri diritti.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Il paragrafo 7 della relazione Marinescu sottolinea che “è opportuno attribuire la massima priorità alla disattivazione delle centrali nucleari in questione [in Lituania, Slovacchia e Bulgaria], a tutela della sicurezza e della salute di tutti i cittadini europei”. Concordo pienamente con questa affermazione, aggiungendo però che l’abbandono totale dell’energia nucleare da parte di tutti gli Stati membri tutelerebbe la sicurezza e la salute dei nostri cittadini.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Come sapete, in Lituania, Slovacchia e Bulgaria, erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. Riconoscendo che la chiusura anticipata rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea, anche in nome della solidarietà, si è impegnata a fornire un’adeguata assistenza finanziaria per la disattivazione dei citati reattori fino alla fine del 2013. Tuttavia si osserva con preoccupazione che alcuni progetti chiave nell’ambito della gestione delle infrastrutture per i rifiuti (stoccaggio dei combustibili esauriti e depositi di scorie radioattive) hanno registrato notevoli ritardi. Il margine di ritardo del sistema è praticamente esaurito e qualunque rallentamento potrebbe d’ora in poi incidere sul “percorso critico” dell'intero piano di disattivazione, con un corrispondente aumento dei costi. Si invita quindi la Commissione a riferire in merito ai risultati del riesame della tempistica del progetto. Una parte consistente dei fondi è stata assegnata a progetti in ambito energetico, ma sono ancora necessari cospicui finanziamenti per la disattivazione e i fondi nazionali non sono sufficienti a coprire tali costi: nel Fondo nazionale di disattivazione della centrale nucleare di Ignalina, infatti, non sono stati accantonati fondi sufficienti (i costi tecnici di disattivazione, da soli, si aggirano tra i 987 milioni e i 1 300 milioni di euro). Gli Stati membri devono adottare opportuni provvedimenti in merito. Inoltre, per quanto riguarda la sicurezza nucleare, dobbiamo discutere delle nuove centrali nucleari previste ai confini dell’Unione europea, in Russia e in Bielorussia. Questi reattori possono rappresentare una nuova sfida per l’UE e potrebbero tradursi, in futuro, in una minaccia concreta per la salute dei nostri cittadini e del nostro ambiente.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) I reattori nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria non possono essere ammodernati per rispettare gli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. Nel corso dei negoziati di adesione, questi tre paesi si sono impegnati a chiudere e disattivare i reattori nucleari secondo un calendario concordato. Per proseguire verso una chiusura efficiente, sono necessari un quadro finanziario chiaro e controlli efficaci tesi a garantire il corretto utilizzo dei fondi stanziati. Appoggio la relazione dell’onorevole Marinescu perché la sicurezza dei cittadini europei deve essere una delle nostre maggiori priorità.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, onorevoli colleghi, il tema dell'efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell'UE nell'ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri è più che mai attuale. I recenti avvenimenti che hanno coinvolto il Giappone hanno reso più che mai urgente l'esigenza di sicurezza. La relazione del collega Marinescu riguarda, più nello specifico, il tema della previsione di adeguate risorse finanziarie per garantire i processi di disattivazione di centrali nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria. Questi Stati, infatti, hanno sin dal loro ingresso nella "famiglia europea" assunto alcuni obblighi relativi alla disattivazione di impianti nucleari situati nel proprio territorio. A fronte di tali obblighi, l'UE si è impegnata ad offrire un adeguato sostegno finanziario. Credo infatti necessario che l'Unione europea proponga un'azione decisa in relazione ad alcune tematiche vicine ai cittadini, come quella della sicurezza degli impianti nucleari.

 
  
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  Agnès Le Brun (PPE), per iscritto.(FR) Quando Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno aderito all’Unione europea, è stato elaborato un piano di chiusura e di disattivazione di una serie di vecchie centrali nucleari che non soddisfacevano gli standard europei. Grazie all’erogazione di ingenti stanziamenti, che raggiungeranno la cifra complessiva di 2 848 milioni di euro entro la fine del 2013, è stato possibile chiudere tutti gli impianti citati e garantire una parziale conversione ad altre fonti di energia per gli Stati membri interessati. Tuttavia, sembra che una serie di impegni assunti non siano stati rispettati e ci si può interrogare, quindi, sull’uso che è stato fatto dei finanziamenti erogati. Per questo motivo ho votato a favore di questa risoluzione del Parlamento europeo. Evidenziando il progresso pressoché inesistente sul fronte della disattivazione, malgrado questo sia l’obiettivo principale del programma, la risoluzione chiede alla Commissione di fornire l’assistenza finanziaria in modo più efficace, elaborando, ad esempio, una relazione annuale sui progressi realizzati. A tal fine, la Commissione può procedere sulla base dell’audit della Corte dei conti europea attualmente in corso. La Commissione, inoltre, dovrebbe istituire un gruppo di coordinatori ed esperti incaricati di seguire tutti e tre i progetti, ma – dettaglio piuttosto curioso – non si è ancora attivata in tal senso.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione che si occupa dei tre paesi, Lituania, Slovacchia e Bulgaria, nel cui territorio erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale, in linea con il programma d’azione multilaterale del G7 adottato al vertice di Monaco del 1992, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. In sede di negoziati di adesione all’Unione europea i tre paesi si sono impegnati a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori nucleari entro determinati termini tassativi. Riconoscendo che la chiusura anticipata rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea, anche in nome della solidarietà, si è impegnata a fornire un'adeguata assistenza finanziaria per la disattivazione dei citati reattori fino alla fine del 2013.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa relazione ha per oggetto i finanziamenti dell’Unione europea nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri. Queste centrali rappresentano un pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente, non solo nel paese che le ospita, ma anche in tutta l’Europa e nel mondo. Per quanto riguarda l’oggetto della relazione, ho votato a favore del contributo alla disattivazione di queste vecchie centrali, ma ritengo che la politica nucleare europea debba spingersi oltre. Alla luce dei gravi rischi connessi all’utilizzo dell’energia nucleare, che ormai tutti ben conosciamo da tempo, e del recente disastro nucleare in Giappone, chiedo che venga predisposto immediatamente un piano europeo per abbandonare questo tipo di energia. L’Unione europea deve sospendere immediatamente il finanziamento e il sostegno alle nuove centrali nucleari.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Questa relazione si occupa della disattivazione di centrali nucleari vetuste che rappresentano una minaccia immediata per la salute di tutti i cittadini europei. Il testo chiama in causa solo in parte la cosiddetta componente “energetica” dell’assistenza finanziaria europea assegnata a questo programma di disattivazione.

Quest’Assemblea deve condannare apertamente il finanziamento di nuove centrali nucleari. Non lo sta facendo, né esige l’abbandono dell’energia nucleare, benché sia necessario. Alla luce del disastro di Fukushima, verificatosi solo pochi giorni fa, questo comportamento si dimostra vergognosamente miope. Chiedo l’adozione immediata di un programma europeo per la progressiva eliminazione dell’energia nucleare. Ho votato a favore della relazione, con particolare riferimento al finanziamento della disattivazione delle centrali nucleari contemplate in questa relazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La sicurezza nucleare preoccupa tutti in Europa e il recente disastro in Giappone ha evidenziato i rischi legati all’utilizzo delle centrali nucleari. Gli Stati dell’Europa orientale che aspirano ad aderire all’UE possiedono centrali nucleari di progettazione sovietica attive da molti anni, che stanno per giungere al termine della propria vita utile. Alla luce degli ingenti costi di disattivazione, è del tutto naturale che l’UE fornisca un sostegno a tali paesi nel loro percorso verso la disattivazione, in modo da evitare che, in futuro, si possano verificare incidenti nucleari in territorio europeo, con le conseguenze, purtroppo, ben note a tutti.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato a favore della relazione sull’efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell’UE nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri, perché rileva la necessità di attribuire la massima priorità alla disattivazione delle centrali nucleari in questione a tutela della sicurezza e della salute di tutti i cittadini europei e perché esprime il timore che la mancanza di risorse finanziarie per le misure di disattivazione possa ritardare la chiusura delle centrali nucleari e minacciare l’ambiente e la salute dell’uomo. L’incidente verificatosi a Fukushima dimostra che l’energia nucleare è incontrollabile in caso di catastrofi e che la sua gestione non può essere lasciata nelle mani dei privati. Richiediamo quindi con urgenza una moratoria affinché non vengano più costruite nuove centrali nucleari e dobbiamo definire un calendario per la chiusura delle 143 centrali ancora operative in Europa. L’Unione europea deve orientarsi verso un futuro privo di centrali nucleari e basato su fonti di energia rinnovabili.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) Questa risoluzione è incentrata sulla valutazione di alcuni piani per la disattivazione di centrali nucleari obsolete in tre paesi dell’Unione europea: Ignalina in Lituania, Bohunice in Slovacchia, Kozloduy in Bulgaria. La risoluzione prevede anche una stima dei costi e dei ritardi dell’eventuale finanziamento di progetti energetici indipendenti dalle operazioni di disattivazione. È giusto parlare di “eventuale finanziamento”. È necessario definire in maniera chiara, precisa ed esatta in che modo si provvederà alla sostituzione di queste potenti fonti energetiche, nonché dove e quando verranno costruite nuove centrali elettriche con le nostre risorse finanziarie. Ho votato a favore perché sono consapevole del rischio legato alle centrali nucleari, ma che senso ha disattivare la centrale di Ignalina, quando non sono ancora state costruite altre centrali nucleari nell’Unione europea? Non sarebbe forse meglio eseguire dei lavori di ricostruzione?

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) L’adeguamento di alcuni reattori nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria, volto a garantirne il rispetto degli standard di sicurezza minimi richiesti, è un’operazione impossibile o realizzabile solo ad un costo irragionevole dal punto di vista economico. Secondo quanto stabilito nell’ambito dei negoziati di adesione all’Unione europea, a favore di questi Stati dell’Europa centrale ed orientale è stato stanziato un finanziamento teso a contribuire alle operazioni di disattivazione dei reattori obsoleti. Sino al 2009, sono stati versati alla Lituania (Ignalina), alla Slovacchia (Bohunice V1) e alla Bulgaria (Kozloduy) circa 1 300 milioni di euro. L’Unione europea si è impegnata per ulteriori stanziamenti sino alla fine del 2013. Durante la crisi del gas russo-ucraina, la Slovacchia ha valutato l’ipotesi di riattivare la centrale nucleare di Bohunice, disattivata, al fine di colmare il deficit energetico causato dalla perdita di approvvigionamenti di gas dalla Russia. La tragedia in Giappone ci ha dimostrato quanto sia facile perdere il controllo di una centrale nucleare e ci ha fatto capire l’importanza di chiudere i reattori obsoleti, predisponendo nel contempo fonti di energia alternative, in modo da evitare eventuali casi di riattivazione. Ho pertanto votato a favore della relazione.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Non vi è alcun dubbio che, nell’interesse della sicurezza e della salute di tutti i cittadini europei, l’Unione europea e gli Stati membri debbano attribuire la massima priorità alla disattivazione delle centrali nucleari nei nuovi Stati membri. Deve essere prestata la medesima attenzione anche all’eliminazione dei pericoli presenti nelle immediate vicinanze dell’Unione europea. In questo senso, vorrei sottolineare la necessità di individuare e mobilitare i finanziamenti necessari per costruire un nuovo sarcofago intorno al reattore della centrale nucleare di Černobyl, esploso nel 1986.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Concordo con la risoluzione sull’efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell’UE nell’ambito della disattivazione di centrali nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria. Non dobbiamo lesinare sforzi, in particolare, per garantire che tutte le operazioni di disattivazione vengano completate nei tempi concordati, adottando correttamente tutte le misure di sicurezza necessarie ed evitando anche il minimo rischio per la salute dell’uomo e per l’ambiente. Se il nostro impegno per la disattivazione della centrale di Ignalina e di altre centrali nucleari è determinato, dobbiamo allora utilizzare tutte le risorse finanziarie stanziate per questo processo nel pieno rispetto del principio di trasparenza ed efficienza. Le autorità nazionali devono definire, con estrema urgenza, dettagliati programmi di disattivazione. Ritengo che i risultati dell’audit effettuato dalla Corte dei conti europea riveleranno le finalità dell’utilizzo dei fondi e la loro efficacia. Dobbiamo compiere tutti gli sforzi necessari per garantire che le attività di disattivazione e di trattamento dei rifiuti inizino già a partire dal 2013. Ritengo opportuno chiedere alla Commissione di fornire al Parlamento europeo una pianificazione finanziaria dettagliata e di definire le responsabilità per l’utilizzo dell’assistenza fornita dall’UE. Il previsto accantonamento nei rispettivi fondi nazionali degli importi non è sufficiente a coprire tutti i costi legati alla disattivazione degli impianti e diventa quindi opportuno che le strategie ed i programmi elaborati comprendano nuove azioni e prevedano ulteriori finanziamenti europei.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Cari colleghi, ho votato a favore del testo sui finanziamenti dell'UE per la disattivazione di centrali nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria perché visti i recenti accadimenti dopo il terremoto e la crisi nucleare in Giappone ritengo fondamentale e indispensabile per l'Unione europea una politica di controllo sulla sicurezza dei reattori nucleari che non lasci alcun margine di rischio. Nei territori dei Paesi in questione erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali si è tecnicamente ritenuto impossibile un rinnovamento per adeguarli agli standard di sicurezza internazionali attualmente obbligatori. Il finanziamento da parte dell'Unione è consequenziale all'onere economico supportato dai paesi per la chiusura degli impianti nucleari.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Nell’ambito dei negoziati di adesione all’Unione europea, Lituania, Slovacchia e Bulgaria hanno negoziato un sostegno per la disattivazione di vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale ed in linea con il programma d'azione multilaterale del G7 adottato al vertice di Monaco del 1992, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. In sede di negoziati di adesione, i tre paesi si sono impegnati a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori nucleari entro determinati termini tassativi. Riconoscendo che la chiusura anticipata rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea, anche in nome della solidarietà, si è impegnata a fornire un’adeguata assistenza finanziaria per le disattivazione dei citati reattori fino alla fine del 2013. Il programma di assistenza è stato periodicamente oggetto di audit e valutazioni. La Corte dei Conti è attualmente impegnata in un controllo di gestione relativo a tutti e tre i programmi ed è inoltre prevista una relazione speciale per l’autunno 2011. Si sarebbero potute creare sinergie fra i tre progetti, in modo tale da rendere più efficiente ed efficace l’azione svolta dall’Unione europea. Ho votato a favore di questa relazione, di cui vorrei sottolineare la raccomandazione della Commissione per l’armonizzazione dei metodi di finanziamento delle operazioni di disattivazione dei reattori nucleari.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Care colleghe e cari colleghi, la proposta di risoluzione del Parlamento europeo sull'efficienza ed efficacia dei finanziamenti dell'UE nell'ambito della disattivazione di centrali nucleari nei nuovi Stati membri, presentata il 14 marzo 2011, ha lo scopo di valutare i risultati ottenuti nel campo dello smantellamento di centrali nucleari obsolete sulla base delle esperienze della Lituania, della Bulgaria e della Slovacchia, che hanno beneficiato, a partire dal 1999, di assistenza finanziaria UE a questo scopo. La sicurezza dell'approvvigionamento energetico è una delle priorità fondamentali della strategia energetica UE. Secondo le attuali previsioni, i ritardi accusati dai programmi non impediranno di iniziare le attività di smantellamento e gestione dei rifiuti nonché l'esecuzione dei lavori da parte del personale delle centrali entro il 2013. Rimane, tuttavia, una forte preoccupazione per il fatto che i piani di disattivazione non siano stati ancora messi a punto e che siano necessari sforzi per il miglioramento della gestione delle risorse finanziare e del coordinamento con le autorità nazionali degli Stati membri interessati. Per questi motivi, esprimo il mio voto favorevole alla proposta di risoluzione.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Lituania, Slovacchia e Bulgaria sono tre paesi nel cui territorio erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale, in linea con il programma d’azione multilaterale del G7 adottato al vertice di Monaco del 1992, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. In sede di negoziati di adesione all’Unione europea, i tre paesi si sono impegnati a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori nucleari entro determinati termini tassativi. Riconoscendo che la chiusura anticipata rappresentava un onere finanziario di portata eccezionale, l’Unione europea, anche in nome della solidarietà, si è impegnata a fornire un’adeguata assistenza finanziaria necessaria per le disattivazione dei citati reattori fino alla fine del 2013.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo di importanza prioritaria mantenere alta l'attenzione sullo stato di disattivazione delle centrali nucleari di Lituania, Slovacchia e Bulgaria dove, al momento del loro ingresso nell'Unione europea, erano ancora attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica, per i quali non era possibile un adeguamento ai più recenti standard di sicurezza a costi sostenibili.

Dopo il recente disastro in Giappone, non è più possibile attardarsi su simili procedure per la sicurezza di tutti i cittadini europei e non solo, e anche gli eccezionali oneri finanziari da assolvere al riguardo non possono più essere una scusante per eventuali ritardi. Per questo motivo, l'Unione europea si è impegnata a fornire un'adeguata assistenza finanziaria per la disattivazione di questi reattori fino alla fine del 2013. Ogni ulteriore ritardo non potrà essere tollerato nell'interesse dell'intera Comunità europea e dovrà essere immediatamente denunciato in tutte le sedi più opportune.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. A seguito del disastro nucleare causato dalla centrale del Giappone, legato anche al mancato adeguamento a standard di sicurezza attuali, possiamo dire di aver fatto un'ottima scelta quando, in sede di negoziati di adesione, si erano fissate date di chiusura tassative per tre vecchie centrali nucleari di progettazione sovietica in Lituania, Slovacchia e Bulgaria.

La data di chiusura definitiva e della relativa messa in sicurezza era prevista per il 2013, con un importo di spese a carico dell'Unione europea di quasi tre miliardi di euro. La relazione invita la Commissione, a seguito dei ritardi e dell'aumento dei costi relativi la messa in sicurezza delle tre centrali, a una maggiore sorveglianza e a verificare quale sia la situazione attuale e quali siano le previsioni sull'attuazione delle diverse fasi del processo di disattivazione in base al calendario iniziale.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Lituania, Slovacchia e Bulgaria sono tre paesi nel cui territorio erano attivi vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica per i quali, secondo la comunità internazionale, non era possibile un adeguamento agli standard di sicurezza minimi richiesti a costi economicamente sostenibili. In sede di negoziati di adesione i tre paesi si sono impegnati a chiudere e successivamente disattivare i citati reattori nucleari entro determinati termini tassativi. A tal fine sono stati accantonati 2,7 miliardi di euro per il periodo 1999-2013. Alla fine del 2009, erano già stati assegnati 1,8 miliardi di euro, ma vi sono comunque stati notevoli ritardi nell’attuazione dei programmi di disattivazione. Il Parlamento europeo teme che questi ritardi possano comportare rischi per l’ambiente e la salute dell’uomo. Mi ritengo soddisfatto della relazione, anche perché quest’Assemblea ha appoggiato i miei emendamenti, presentati in seno alla Commissione per il controllo dei bilanci, che chiedevano la massima trasparenza nella gestione dei fondi e nell’utilizzo delle risorse.

Il Parlamento europeo ha anche approvato la mia richiesta alla Commissione di riferire al Parlamento con cadenza annuale in merito all’utilizzo dei fondi e alla probabilità che i fondi accantonati verranno assorbiti nell'arco dei prossimi tre anni. Questa relazione getta le basi per un’attenta supervisione del processo e questo è un elemento positivo sotto numerosi punti di vista.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione e appoggio la disattivazione graduale delle centrali nucleari.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. − (DE) Ho votato a favore della relazione. Lo smantellamento delle centrali di Ignalina, Bohunice e Kozloduy si sta prolungando più del dovuto e si richiede un maggiore impegno da parte degli operatori nazionali. È necessario che tutti gli Stati membri sollecitino con urgenza la definizione di standard comuni per lo smantellamento delle centrali e devono essere stabilite precise responsabilità. Nell’ambito dei negoziati di adesione all’Unione europea, i tre paesi, ovvero Lituania, Slovacchia e Bulgaria, hanno espresso la propria volontà di eliminare dalla rete queste tre centrali nucleari non sicure.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. (LT) I tragici eventi verificatisi il mese scorso in Giappone e la preoccupazione nei confronti della sicurezza della centrale nucleare di Fukushima hanno generato un ampio dibattito sul tema della centrali nucleari. È molto importante tenere queste discussioni:; molti cittadini lituani ricordano fin troppo bene la tragedia di Černobyl. La chiusura della centrale nucleare lituana di Ignalina era una delle condizioni per l’adesione all’Unione europea, ma questa decisione è stata molto dolorosa. L’Unione europea ha fornito alla Lituania 837 milioni di euro in assistenza finanziaria per ovviare alle conseguenze della chiusura della centrale nucleare per il periodo 2007-2013, ma il finanziamento erogato dall’UE per la chiusura del reattore non è sufficiente. Una disattivazione sicura rappresenta un processo lungo e l’Unione europea deve sostenere la Lituania in ogni sua fase. Il sostegno deve essere di natura globale e comprendere il trattamento delle scorie radioattive e dei rifiuti.

Come ha affermato il relatore, il sostegno globale da parte dell’Unione europea è importante per contenere le conseguenze economiche e sociali derivanti dalla chiusura della centrale nucleare di Ignalina, che ha comportato l’esubero di molti lavoratori lituani ed ha danneggiato la nostra economia. L’Unione europea deve fornire ulteriore assistenza per i progetti nel settore energetico, al fine di ridurre le conseguenze economiche della chiusura della centrale nucleare di Ignalina, includendo anche la promozione del rinnovamento delle misure volte a incrementare la produzione di energia e l’efficienza energetica.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione sulla disattivazione dei tre reattori nucleari in Lituania, Slovacchia e Bulgaria. Questi reattori nucleari non soddisfano gli standard di sicurezza minimi e il loro smantellamento era una delle condizioni concordate dai tre paesi in sede di negoziati di adesione; l’Unione europea si è altresì impegnata a coprire parte dei costi di disattivazione. In questo contesto, fa particolarmente piacere apprendere che la chiusura della centrale di Ignalina in Lituania ha coinciso con lo spegnimento dell’unica centrale nucleare esistente nel paese.

 
  
  

Relazione Matera (A7-0060/2011)

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato creato nel 2006 per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali e per assisterli nel reinserimento nel mercato del lavoro. A partire dal 1 maggio 2009, l’ambito di applicazione del FEG è stato ampliato e prevede un sostegno per i lavoratori in esubero a causa della crisi economica, finanziaria e sociale.

In questo periodo di profonda crisi, che ha causato portato tra l’altro a un aumento della disoccupazione, l’Unione europea deve mettere in campo tutti i mezzi a sua disposizione per reagire, fornendo, in particolare, un sostegno a quanti affrontano ogni giorno la realtà della disoccupazione. Per questo ho votato a favore della relazione per la mobilitazione del FEG per la Repubblica ceca, con l’obiettivo di sostenere i lavoratori in esubero dell’azienda Unilever ČR spol.s r.o.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto. (ES) Gli aiuti riguardano 460 dei 664 lavoratori in esubero dall’azienda Unilever ČR, che operavano nel settore del commercio al dettaglio: il 52,4 per cento dei lavoratori colpiti sono donne, il 13 per cento ha più di 54 anni ed il 9,1 per cento ne ha meno di 24. Le misure a sostegno alla formazione dei lavoratori in esubero saranno cofinanziate dall’azienda, che non si sta sottraendo alle proprie responsabilità, e attuate dall'azienda o da appaltatori che operano per suo conto.

 
  
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  Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) È un successo per il Parlamento europeo il fatto che, per la prima volta il bilancio del 2011 presenti stanziamenti di pagamento pari a 47 608 950 euro alla linea di bilancio relativa al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Il FEG è stato creato quale strumento specifico e distinto, con obiettivi e scadenze proprie, ed è pertanto giustificata un’apposita dotazione che eviterà di procedere, come in passato, a storni da altre linee, un’operazione che potrebbe essere pregiudizievole per il conseguimento degli obiettivi delle varie politiche. A mio avviso, il FEG ha dato prova della sua validità e la mia unica preoccupazione è che i nuovi Stati membri non ne abbiano fatto granché uso. L’impressione che alla fine ne potrebbe derivare è che gli aiuti stanziati dal FEG vengano utilizzati dai vecchi Stati membri per ottenere le risorse di bilancio europee che erano soliti ricevere in precedenza nell’ambito, ad esempio, della politica di coesione. A mio parere, la prima richiesta della Repubblica ceca, nella storia, di concessione di un contribuito dal FEG non è che l’inizio; ne seguiranno altre, perché anche l’industria del paese è stata colpita dalla globalizzazione e dalla crisi finanziaria mondiale ed i lavoratori cechi che sono stati licenziati meritano l’assistenza europea a sostegno del loro impegno per rientrare in un mercato del lavoro competitivo.

 
  
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  Zuzana Brzobohatá (S&D), per iscritto. – (CS) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito nel 2006 come strumento flessibile per la fornitura rapida di un aiuto specifico, una tantum e limitato nel tempo, ai lavoratori in esubero a causa della globalizzazione e della crisi finanziaria ed economica. Si tratta della prima concessione di un contributo dal Fondo alla Repubblica ceca dallo scoppio della crisi economica e finanziaria globale, finalizzato, nello specifico, a contenere le conseguenze derivanti dal licenziamento di 634 lavoratori dell’azienda Unilever, che ha chiuso una fabbrica nel comune di Nelahozeves. Considerando che il 52,4 per cento degli esuberi è rappresentato da donne e che oltre 13 per cento ha più di 54 anni, ritengo che la concessione di questo contributo alla Repubblica ceca sia più che opportuna e ho quindi votato a favore della relazione.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Mi compiaccio del lavoro svolto sulla base del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) a sostegno dei lavoratori che risentono dei cambiamenti dei flussi commerciali mondiali. Analogamente appoggio la decisione di mobilitazione del FEG a favore della Repubblica ceca, che va a vantaggio dei lavoratori dell’azienda Unilever, interessata inaspettatamente da oltre 500 esuberi a causa della crisi economica e finanziaria mondiale. Questa decisione è molto importante, non solo per i lavoratori e le loro famiglie, ma anche per il distretto di Melník, dove era situata la fabbrica Unilever, la cui economia dipende in larga misura dall’industria della trasformazione alimentare, nonché dal settore chimico ed energetico.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto.(FR) Ho votato a favore della relazione e dell’emendamento che chiede una revisione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Mi rammarico, infatti, che il FEG, nella sua versione attuale, non preveda una verifica della situazione finanziaria, dell’eventuale evasione fiscale o della situazione in materia di aiuti di Stato delle società multinazionali la cui ristrutturazione motiva l’intervento del FEG. Ritengo che tali aspetti debbano essere affrontati nell’imminente revisione del regolamento FEG, senza compromettere l’accesso dei lavoratori in esubero al FEG.

 
  
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  Lena Ek, Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. (SV) Abbiamo deciso ancora una volta di appoggiare la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, in questo caso per aiutare circa 1 200 persone che hanno perso il lavoro in Polonia e nella Repubblica ceca, perché l’Europa sta ancora risentendo degli effetti della crisi economica e considerando che, per far fronte a situazioni straordinarie, sono necessarie misure straordinarie.

Tuttavia, riteniamo che in futuro si debbano utilizzare, invece, strumenti già esistenti (in particolare il Fondo sociale europeo) per migliorare le prospettive occupazionali di lavoratori licenziati o in esubero. Probabilmente non ci sarà bisogno del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione nel prossimo esercizio finanziario.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La richiesta riguarda 634 esuberi dell’azienda Unilever ČR, attiva nel settore del commercio al dettaglio nella regione ceca di Střední Čechy. Come per la prima richiesta di quest’anno, relativa alla regione polacca di Podkarpackie, la commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha fornito una valutazione positiva della conformità di questo processo alle condizioni di ammissibilità. Non posso non notare, con dispiacere, la diffusione degli esuberi in tutta l’Unione, a dimostrazione del fatto che c’è ancora molto da fare per invertire il ciclo della crisi di cui siamo prigionieri. Appoggio la proposta della Commissione di mobilitare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) e mi auguro che i lavoratori in esubero riescano a trovare un nuovo lavoro il più presto possibile.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Questa relazione si basa su un progetto di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla mobilitazione di 323 820 euro dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per sostenere il reinserimento dei lavoratori cechi in esubero a causa dell’attuale crisi economica e finanziaria. Questa domanda, la seconda ad essere stata approvata nell’ambito del bilancio europeo del 2011, è stata presentata alla Commissione il 24 marzo 2010 e riguarda 634 lavoratori dell’azienda Unilever ČR, nella regione ceca di Střední Čechy, operativa nel settore del commercio al dettaglio. Dato che la domanda comporta l’attivazione di uno specifico strumento di bilancio e che la somma richiesta è accettabile dal punto di vista giuridico e conforme alle disposizioni del punto 28 dell’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea, ho votato a favore di questa proposta e mi auguro che contribuisca a ridurre le difficoltà economiche degli abitanti di questa regione e a rilanciare l’economia locale.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Un’altra mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), questa volta a sostegno dei lavoratori in esubero di una fabbrica della multinazionale Unilever nella Repubblica ceca.

Come negli altri casi, abbiamo votato a favore. Ciononostante, oltre alle riserve che formuliamo sempre in casi come questi, vi sono particolari aspetti di questo processo che vale la pena sottolineare. La Commissione europea si è limitata ad affermare che Unilever non ha ricevuto alcun aiuto di Stato o sostegno finanziario dai fondi europei per l’apertura della fabbrica nella Repubblica ceca, prima o dopo l’adesione del paese all’UE. Tuttavia, la Commissione non ha fornito informazioni, come invece avrebbe dovuto fare e come le era stato chiesto di fare, su quanto sta accadendo con altre fabbriche del gruppo, obiettando di non essere obbligata a procedere in tal senso secondo quanto previsto dal regolamento del FEG.

Oltre al caso specifico della Repubblica ceca, sarebbe interessante appurare e valutare il comportamento del gruppo Unilever a livello europeo. Lamentiamo quindi la mancanza di informazioni relative all’assistenza pubblica concessa a questo gruppo, e in generale alle società multinazionali, la cui ristrutturazione motiva l’intervento del FEG.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Stiamo discutendo di un’altra mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), che in questo caso vuole aiutare i lavoratori in esubero della fabbrica ceca della multinazionale Unilever. La posizione della Commissione europea in questo ambito si è rilevata molto controversa, poiché si è limitata a dichiarare che Unilever non ha ricevuto alcun aiuto di Stato o sostegno finanziario dai fondi europei per l’apertura della fabbrica nella Repubblica ceca, prima o dopo l’adesione del paese all’UE. Tuttavia, la Commissione non ha fornito informazioni, come invece avrebbe dovuto fare e come le era stato chiesto di fare, su quanto sta accadendo con le altre fabbriche del gruppo, obiettando di non essere obbligata a procedere in tal senso secondo quanto previsto dal regolamento del FEG.

Ho quindi voluto sottolineare, durante la discussione in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, che non sono state messe a disposizione informazioni su quanto sta accadendo al gruppo Unilever a livello europeo ed ho proposto che quest’argomento venga preso in considerazione al momento della revisione del regolamento, in modo tale che si possa effettuare una verifica della situazione finanziaria, compresi gli aiuti di Stato, delle società multinazionali la cui ristrutturazione motiva l’intervento del FEG, senza compromettere l’accesso da parte dei lavoratori in esubero al Fondo.

Abbiamo quindi votato a favore di queste proposte.

 
  
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  Estelle Grelier (S&D), per iscritto.(FR) Ho votato a favore della relazione sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) a sostegno di un gruppo di lavoratori del settore alimentare (Unilever) nella Repubblica ceca. Vorrei sottolineare la necessità urgente di revisionare il regolamento del Fondo il prima possibile. Durante la votazione ho cofirmato e garantito l’adozione di un emendamento volto a precisare che va a scapito del regolamento non prevedere una verifica della solidità finanziaria, dell’eventuale evasione fiscale o della situazione in materia di aiuti di Stato delle società multinazionali che si avvalgono dell’intervento del FEG. In un momento in cui l’Unione europea fatica a finanziare i propri obiettivi ed è obbligata a scegliere tra politiche di pari priorità, il bilancio comunitario non può permettersi di finanziare le strategie di ingresso sul mercato e di delocalizzazione di grandi multinazionali il cui unico intento è incrementare i propri utili. Si tratta di un aspetto da tenere in considerazione nel prossimo regolamento, garantendo, garantendo al contempo che questo non comprometta l’accesso dei lavoratori in esubero al FEG.

 
  
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  Jiří Havel (S&D), per iscritto. (CS) Raccomando di votare a favore della relazione Matera sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), nell’ambito del quale la Repubblica ceca ha presentato la sua prima richiesta di aiuto. È importante sottolineare l’obiettivo del Fondo, creato sotto l’egida del Commissario socialdemocratico ceco Vladimír Špidla. Il terremoto finanziario ed economico ha privato molte persone del proprio posto di lavoro in tutta Europa. Le risorse del FEG finanziano solo le misure volte ad agevolare il ricollocamento professionale dei lavoratori in esubero iscritti ai programmi di formazione professionale, con un’esperienza rispondente alle necessità del mercato del lavoro o che sono diventati lavoratori autonomi. In base alla relazione Matera, posso concludere che Unilever ha soddisfatto tutte le condizioni di ammissibilità. A causa della crisi economica Unilever ČR ha dovuto chiudere la sede di Nelahozeves e licenziare la maggior parte dei lavoratori.

Unilever ha offerto a quanti sono stati licenziati un programma di sostegno globale per trovare un nuovo lavoro e ha collaborato da vicino con l’ufficio di collocamento locale per gestire il programma. Concordo quindi con la concessione dei contributi in base alle informazioni contenute nella relazione e con la proposta della Commissione di versare alla Repubblica ceca 323 820 euro dal FEG.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato creato per fornire sostegno supplementare ai lavoratori in esubero che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali dovuti alla globalizzazione e per assisterli nel reinserimento nel mercato del lavoro. L’ambito di applicazione del FEG è stato ampliato a partire dal 1 maggio 2009 ed è possibile chiedere un sostegno per i lavoratori in esubero come conseguenza diretta della crisi economica e finanziaria mondiale. L’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 consente di mobilitare il FEG nei limiti di un importo annuo massimo di 500 milioni di euro. Il 24 marzo 2010, la Repubblica ceca ha presentato una domanda di mobilitazione del FEG, relativamente a 634 licenziamenti (tutti ammessi all’assistenza) nell’azienda Unilever ČR, spol.sr.o, operante nel settore del commercio al dettaglio (prodotti alimentari) e ha inviato ulteriori informazioni a completamento fino al 20 settembre 2010. La domanda è conforme ai requisiti per la determinazione dei contributi finanziari. La Commissione propone quindi di stanziare un importo pari a 323 820 euro. Sostengo la mobilitazione del FEG per la concessione di un contributo finanziario in risposta alla domanda presentata dalla Repubblica ceca. Ritengo che anche altri Stati membri debbano sfruttare maggiormente le opportunità offerte dai fondi europei.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, ho votato a favore della mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) a favore della Repubblica Ceca, perché ritengo tale strumento una valida risorsa di sostegno ai lavoratori in difficoltà a causa della crisi economica. La votazione odierna riguardava una richiesta di supporto per 634 lavoratori dell'azienda Unilever CZ, operante nel settore del commercio al dettaglio nella regione NUTS II di Střední Čechy, per un importo finanziato dal FEG di 323.820 euro. Infine, vorrei sottolineare l'importanza del FEG, rivelatosi in questi anni una risorsa utile ed efficace nella lotta alla disoccupazione come conseguenza della globalizzazione e della crisi economica.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore questa relazione che concede finanziamenti dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per sostenere i lavoratori in esubero nella Repubblica ceca. La domanda riguarda 634 esuberi a causa della chiusura di una fabbrica Unilever a Nelahozeves nell’ultimo trimestre del 2009. 460 lavoratori in esubero beneficeranno delle misure personalizzate finanziate dal FEG per un totale di 0,32 milioni di euro.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Non intervengo per rispetto ai lavoratori cechi che sono stati sacrificati sull’altare della globalizzazione. La situazione precaria in cui si trovano è la conseguenza delle politiche neoliberali europee che questo Fondo avalla e sostiene. Voto contro perché l’elemosina concessa alle vittime di queste politiche è derisoria a confronto degli utili che si stanno raccogliendo altrove.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea è un’area di solidarietà e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) ne fa parte. Questo aiuto è fondamentale per sostenere i disoccupati e le vittime delle delocalizzazioni societarie portate avanti in un contesto globalizzato. Sempre più aziende stanno delocalizzando, approfittando dei costi minori della manodopera in diversi paesi, tra cui Cina e India, con effetti dannosi per gli Stati che invece rispettano i diritti dei lavoratori. Il FEG ha lo scopo di aiutare i lavoratori vittime delle delocalizzazioni societarie ed è fondamentale per agevolare l’accesso a un nuovo posto di lavoro. Il FEG è stato utilizzato in passato da altri paesi dell’UE ed è quindi opportuno concedere oggi questo aiuto alla Repubblica ceca, che ha presentato domanda di assistenza per 634 esuberi (tutti ammessi all’assistenza) della società Unilever ČR, spol.sr.o, attiva nel settore del commercio al dettaglio nella regione NUTS II di Střední Čechy.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Anche se ho votato a favore di questa proposta volta a fornire assistenza ai lavoratori di Unilever nella Repubblica ceca, ritengo si tratti una misura analgesica e palliativa per le conseguenze del modello capitalista e che non comporti alcun progresso reale nella lotta contro le cause della crisi. Concordo con la mobilitazione delle risorse dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) per gli esuberi dovuti ai cambiamenti strutturali nei flussi commerciali o come conseguenza diretta dell’attuale crisi economica e finanziaria. Ritengo che il FEG possa contribuire all’obiettivo finale di agevolare il reinserimento di questi lavoratori nel mercato del lavoro. Ho votato a favore anche perché sono convinto che quest’assistenza completi gli aiuti per gli esuberi previsti da tutte le legislazioni nazionali e dai contratti collettivi. La mobilitazione di fondi tratti dal FEG non può in nessun caso sostituire o annullare la responsabilità giuridica dei governi e delle società nei confronti dei lavoratori in esubero.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito per fornire sostegno ai lavoratori in esubero come conseguenza della crisi finanziaria ed economica mondiale. La Repubblica ceca ha presentato domanda di sostegno per 634 esuberi. È assolutamente giusto nonché opportuno offrire sostegno personale ai lavoratori in esubero come conseguenza della globalizzazione e della crisi economica, agevolando il loro reinserimento nel mercato del lavoro. Ho quindi votato a favore.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. Cari colleghi, I Fondi europei di adeguamento alla globalizzazione sono fondi stanziati dall'Unione per supportare economicamente alcuni settori in difficoltà dei Paesi membri o settori in espansione verso gli standard medi dell'Unione, per questo mi sono espresso a favore della relazione della collega Matera. Per il 2011 la linea di bilancio dell'Unione per gli stanziamenti di fondi di questo tipo è stata incrementata di 50 milioni di euro, è quindi più facile la concessione di fondi per i settori più vari, nello specifico si tratta delle prime richieste di mobilizzazione per il 2011 per il settore della produzione e fabbricazione di macchinari fatte da Repubblica Ceca e Polonia. Il fondo (di quasi un milione di euro) andrà a supportare i lavoratori specializzati in commercio e produzione di macchinari.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato creato per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali. Il 15 febbraio 2011, la Commissione ha adottato una nuova proposta di decisione sulla mobilitazione del FEG a favore della Repubblica ceca al fine di sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori licenziati a causa della crisi economica e finanziaria mondiale. Questa è la seconda domanda esaminata nel quadro del bilancio 2011 e si riferisce alla mobilitazione del FEG per un importo totale di 323 820 euro. Essa riguarda l’esubero di 594 lavoratori (tutti ammessi all’assistenza) presso l’azienda Unilever ČR, spol.sr., attiva nel settore del commercio al dettaglio nella regione di Střední, durante il periodo di riferimento di quattro mesi, dal 16 settembre 2009 e il 16 gennaio 2010. Secondo le conclusioni della valutazione della Commissione, vi è un legame tra gli esuberi ed i grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali o la crisi finanziaria ed economica e gli esuberi erano di natura imprevista. La domanda soddisfa tutti i criteri di ammissibilità previsti dal regolamento del FEG, per cui ho votato a favore della mobilitazione del fondo.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) La domanda presentata dalla Repubblica ceca per la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) riguarda 634 esuberi relativi al periodo compreso tra il 16 settembre 2009 ed il 16 gennaio 2010 presso la società Unilever ČR, spol.sr.o, attiva nel settore del commercio al dettaglio nella regione NUTS II di Střední Čechy, e soddisfa tutti i criteri di ammissibilità previsti per legge. Ai sensi del regolamento (CE) n. 546/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che modifica il regolamento (CE) n. 1927/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, che istituisce il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, l’ambito di applicazione del FEG è stato temporaneamente ampliato affinché il suo intervento possa estendersi a situazioni come questa, in cui, come conseguenza diretta della crisi economica e finanziaria mondiale, vi sia “l’esubero di almeno 500 dipendenti, nell’arco di nove mesi, in particolare in piccole e medie imprese, di una divisione NACE 2, in una regione o in due regioni contigue di livello NUTS II”. Ho quindi votato a favore della risoluzione, nella speranza che la mobilitazione del FEG contribuisca ad un efficace reinserimento di questi lavoratori nel mercato del lavoro.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE) , per iscritto. – (CS) Ho votato a favore della relazione sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione a favore della Repubblica ceca e, in particolare, degli ex dipendenti della società Unilever e sono lieta che la relazione sia stata approvata. Mi dispiace che i conservatori inglesi abbiano votato contro e che il presidente ceco dei Conservatori e Riformisti europei non sia riuscito a far cambiare loro idea, benché questa sia la prima volta che la Repubblica ceca fa uso delle risorse di questo Fondo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Come accade di solito in questo genere di relazioni, il Parlamento europeo:

1. chiede alle istituzioni interessate di compiere gli sforzi necessari per accelerare la mobilitazione del FEG; apprezza a tale proposito la procedura perfezionata messa in atto dalla Commissione, dando seguito alla richiesta del Parlamento di accelerare la concessione dei contributi al fine di presentare all’autorità di bilancio la valutazione della Commissione sull’ammissibilità di una domanda FEG congiuntamente alla proposta di mobilitazione del Fondo; auspica l’attuazione di ulteriori miglioramenti procedurali nel quadro delle prossime revisioni del Fondo;

2. ricorda l’impegno delle istituzioni volto a garantire una procedura agevole e rapida per l’adozione delle decisioni relative alla mobilitazione del FEG, apportando un aiuto specifico, una tantum e limitato nel tempo, ai lavoratori in esubero a causa della globalizzazione e della crisi finanziaria ed economica; rileva che il ruolo che il FEG può svolgere ai fini del reinserimento dei lavoratori in esubero nel mercato del lavoro; chiede, tuttavia, una valutazione dell’integrazione a lungo termine di tali lavoratori nel mercato del lavoro, quale risultato diretto delle misure finanziate dal FEG.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. Lo scorso 15 febbraio la Commissione ha adottato una proposta di decisione sulla mobilitazione del FEG a favore della Repubblica ceca, al fine di sostenere il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori licenziati a causa della crisi finanziaria ed economica globale. La domanda in esame riguarda 634 esuberi, tutti ammessi all'assistenza del Fondo, presso l'azienda Unilever operante nel settore del commercio al dettaglio nella regione NUTS II di Střední Čechy, durante il periodo di riferimento di quattro mesi che va dal 16 settembre 2009 al 16 gennaio 2010. Il mio voto positivo alla risoluzione odierna ribadisce il parere favorevole già espresso in sede di commissione per l'occupazione e gli affari sociali.

 
  
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  Olga Sehnalová (S&D), per iscritto. – (CS) La concessione di un contributo dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione agevolerà il reinserimento di 460 lavoratori in esubero a causa della chiusura della società Unilever nel comune di Nelahozeves nella Boemia centrale, in Repubblica ceca. Alla luce del fatto che, in tal modo, si offrirà un notevole aiuto nella gestione dell’impatto sociale del licenziamento di massa in questa piccola comunità, ho votato a favore dell’adozione di questa relazione.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione che offrirà un finanziamento a favore di misure personalizzate volte ad aiutare i lavoratori in esubero nella Repubblica ceca.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è un meccanismo controverso. Ufficialmente, il Fondo consente all’Unione europea di finanziare azioni concrete per compensare gli effetti della crisi. È utile tanto quanto mettere il gesso a una gamba di legno.

Questo meccanismo, tuttavia, viene utilizzato ad hoc e solo in determinati casi. In realtà lo si sta utilizzando per finanziare piani di esubero.

Oggi, il Parlamento europeo si è spinto ancora oltre con questa ipocrisia, assegnando una parte del Fondo ad Unilever, che ha appena chiuso le sue fabbriche in Repubblica ceca ed ha licenziato oltre 600 persone, mentre il suo utile netto è aumentato del 26 per cento, raggiungendo i 4,6 miliardi di euro.

Ho votato contro questa relazione, che solleva una questione più generale rispetto al caso Unilever. Come possono le istituzioni nazionali ed europee, alla luce della crisi occupazionale che stiamo affrontando, continuare ad utilizzare il denaro pubblico per sovvenzionare società multinazionali che licenziano dipendenti nonostante siano in attivo e che quindi pongono gli interessi dei loro azionisti davanti a quelli dei loro dipendenti?

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Posso solo appoggiare l’emendamento presentato dal gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo che richiede che una verifica complessiva di una società al momento della concessione di un contributo dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Ho presentato più volte una richiesta in tal senso in seno alla commissione per i bilanci. Non ho comunque potuto votare a favore della relazione nel suo complesso. La società ceca Unilever ČR spol.sr.o, attiva nel settore del commercio al dettaglio, ha licenziato 634 lavoratori ed ha richiesto misure di sostegno per quanti hanno perso il lavoro (le misure individuali, solitamente, sono necessarie solo per una parte della forza lavoro in esubero, per agevolarne il reinserimento nel mercato del lavoro). Come è stato sottolineato in tutte le relazioni in cui il Parlamento ha approvato la concessione di fondi dal FEG, le richieste relative ai Fondi strutturali non dovrebbero essere utilizzate in sostituzione delle misure di cui sono responsabili le imprese stesse ai sensi dei contratti collettivi.

 
  
  

Relazione Leichtfried (A7-0028/2011)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione sui prodotti e le tecnologie a duplice uso, ovvero i beni che possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari. Il controllo dell’esportazione dei beni a duplice uso è fondamentale per contrastare la non proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. È quindi molto importante garantire che il regime comunitario relativo al duplice uso divenga più democratico e trasparente assicurandosi al contempo che sia sufficientemente rigoroso. Attualmente i requisiti prescritti per l’esportazione di beni e tecnologie a duplice uso variano in rigore mentre invece ritengo che l’UE dovrebbe cercare di introdurre regimi più severi possibile sulle esportazioni di qualsiasi genere di articoli da applicare in tutti gli Stati membri. La Commissione deve istituire un sistema efficace in questo settore in modo da agevolare la raccolta di dati attendibili sull’utilizzo finale dei prodotti a duplice uso esportati dall’Unione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Il controllo dell’esportazione dei beni a duplice uso (per scopi civili e militari) è fondamentale per contrastare la non proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. Da 15 anni l’Unione europea ha intensificato il controllo delle esportazioni di questi prodotti basandosi su misure preventive come l’imposizione di obblighi sulle licenze d’esportazione e di procedure per la registrazione doganale. A fronte dei continui cambiamenti tecnologici e del presentarsi di nuove minacce è tuttavia necessario aggiornare periodicamente gli elenchi dei prodotti a duplice uso da controllare in linea con i principali regimi internazionali di controllo delle esportazioni. Il compito principale dei suddetti regimi internazionali è quello di aggiornare gli elenchi dei beni da controllare. Fino ad ora questi elenchi venivano quasi automaticamente recepiti nella legislazione comunitaria senza alcuna partecipazione del Parlamento europeo ma oggi, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, la nostra approvazione è divenuta necessaria. Appoggio questa relazione e le proposte del Parlamento europeo volte a garantire maggiore democrazia e trasparenza nei regimi di controllo comunitari sui beni a duplice uso e ad assegnare un ruolo più importante alla Commissione per quanto concerne l’applicazione del presente regolamento negli Stati membri.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della relazione perché il controllo delle esportazioni dei beni a duplice uso è fondamentale per contrastare la non proliferazione degli armamenti e, in particolare, delle armi di distruzione di massa. Considerato l’elevato volume di scambi commerciali transfrontalieri che avvengono nell’Unione europea l’applicazione dei controlli sulle esportazioni comunitarie di prodotti a duplice uso deve basarsi su misure preventive quali l’imposizione dell’obbligo di autorizzazione all’esportazione e di procedure di registrazione doganale. I controlli sulle esportazioni incidono notevolmente sulla politica commerciale dell’Unione europea in quanto possono riguardare più del 10 per cento delle esportazioni comunitarie complessive.

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. − Il controllo delle esportazioni di prodotti a duplice uso, ovvero dei beni che possono essere utilizzati a scopi sia civili che militari, costituisce l’oggetto di azioni intraprese a livello di Unione da circa quindici anni.

Tale controllo incide notevolmente sulla politica commerciale europea, poiché può riguardare più del 10% di tutte le esportazioni dell’UE. A mio avviso, l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e la relativa precisazione delle competenze dell’UE nel settore del commercio internazionale offrono una preziosa occasione per riaffermare il ruolo dell’Unione e la responsabilità del Parlamento europeo nel quadro istituzionale dell’UE in merito all’assunzione di decisioni.

Il principale strumento di controllo delle esportazioni è il regolamento (CE) n. 428/2009 che ha apportato una serie di cambiamenti significativi riguardo all’ambito di applicazione dei controlli sulle esportazioni di prodotti a duplice uso nell’Unione europea. In particolare, ritengo che il regime dell’UE relativo al duplice uso dovrebbe essere organizzato in modo più trasparente.

A tal fine, concordo con il relatore nel ritenere che sarebbe decisiva la piena partecipazione del Parlamento europeo tramite l’attuazione degli obblighi previsti dal trattato di Lisbona e tramite l’adozione di una sua interpretazione congiunta da parte di Parlamento e Commissione nell’ambito del nuovo accordo quadro.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − La relazione del collega affronta in modo positivo l’importante argomento del controllo delle esportazioni UE per quanto riguarda i prodotti a duplice uso, cioè quei beni che possono essere utilizzati a scopi sia civili che militari. Il controllo di questo tipo di esportazioni, che riguardano più del 10% del totale delle esportazioni dell’UE, risulta di particolare importanza ai fini della non proliferazione degli armamenti. Il mio voto alla relazione è positivo perché essa intende istituire procedure di controllo più trasparenti nei confronti delle suddette esportazioni.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D) , per iscritto. (RO) Ho votato a favore della proposta di modifica del regolamento poiché credo che i nuovi punti introdotti renderanno il regime comunitario sui prodotti a duplice uso più trasparente e democratico. La proposta consentirà al Parlamento europeo di partecipare all’aggiornamento degli elenchi di prodotti che i regimi internazionali dovranno controllare. Questi elenchi sono attualmente recepiti quasi automaticamente nella legislazione comunitaria senza che il Parlamento abbia voce in capitolo. È inoltre compito del gruppo di coordinamento sul duplice uso presentare una relazione annuale al Parlamento al fine di tenerlo pienamente informato sui progressi compiuti in materia di controllo dei prodotti e delle tecnologie utilizzabili sia a scopi civili che militari.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto.(FR) I beni a duplice uso quali i prodotti chimici e i materiali tecnici da costruzione, ma anche il software e altre nuove tecnologie, possono avere scopi sia civili che militari. Spesso è difficile prevedere la vera destinazione dei prodotti esportati e quindi occorre che gli esportatori siano consapevoli delle loro responsabilità e abbiano l’obbligo di verificare il vero scopo di ciò che vendono all’estero. Anche se già esistono molti meccanismi informativi e di controllo abbiamo chiesto di aumentare la sicurezza in questo settore e per questo motivo abbiamo votato a favore degli emendamenti che chiedono una notifica ex ante delle esportazioni, controlli più severi e maggiore trasparenza in modo da fornire una garanzia supplementare contro l’abuso e la proliferazione delle armi di distruzione di massa.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Diversi prodotti, compresi il software e le tecnologie che possono essere utilizzati per scopi sia civili che militari, sono considerati beni tecnologici a duplice uso e per questo motivo la loro esportazione deve essere monitorata con particolare attenzione per impedire la proliferazione degli armamenti e, soprattutto, delle armi di distruzione di massa. Come risulta con chiarezza a qualunque analista, ai fini della sicurezza internazionale è fondamentale sottoporre questi prodotti ad un controllo e fare in modo che i regolamenti che stabiliscono i meccanismi di verifica in materia vengano costantemente aggiornati in linea con gli sviluppi tecnologici. È anche evidente che, in base allo stato di diritto, tali controlli devono essere trasparenti e democratici, così come vuole la Commissione.

Credo infine che, come risulta dal parere espresso dalla commissione affari esteri, la Commissione europea deve essere consapevole del fatto che alcuni Stati membri dell’Unione hanno norme più restrittive e rigorose rispetto ad altri in materia di controllo delle esportazioni e di prodotti a duplice uso. Questo stato di cose è naturale e, a mio parere, dovrebbe essere preservato.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Questa relazione riguarda la necessità di controllare l’esportazione e la circolazione dei cosiddetti prodotti a duplice uso, cioè quelli utilizzabili non soltanto a scopi civili ma anche militari. Nel corso degli ultimi anni l’Unione europea ha adottato una serie di misure per impedire che questi prodotti vengano usati per la fabbricazione di armamenti e, in particolare, di armi di distruzione di massa. Il principale strumento comunitario di controllo è il regolamento (CE) n. 428/2009 del 5 maggio relativo alla vendita e al trasporto di questi materiali, una norma che dovrà essere modificata al fine di evitare che i vari Stati membri adottino approcci diversi. Condivido quindi le proposte contenute nella relazione in quanto mirano a rassicurare l’opinione pubblica europea sulla produzione e la circolazione di materiali a duplice uso e a rendere più trasparente e democratico il regime attuale.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) I controlli sulle esportazioni di prodotti a duplice uso sono soggetti a misure di livello comunitario. Il principale strumento di controllo delle esportazioni è il regolamento (CE) n. 428/2009 del 2009 che ha ampliato il campo di applicazione delle verifiche alla vendita e al trasporto. Sebbene la relazione cerchi di aumentare la trasparenza e i controlli democratici sussistono alcuni motivi fondamentali che ci impediscono di votare a favore.

Da quando è stato istituito, è il gruppo di coordinamento sul duplice uso, presieduto da un rappresentante della Commissione, ad essere responsabile del cosiddetto “elenco degli esportatori, degli intermediari e dei soggetti interessati che sono stati consultati” e sarà questo gruppo a decidere con quali paesi si potrà commerciare e a negare ad alcuni Stati membri questa possibilità rimettendo così in discussione la loro sovranità.

Un altro aspetto da considerare è l’inclusione di Israele nell’elenco dei paesi di destinazione per i prodotti a duplice uso. Desidero ricordarvi, per esempio, i progetti comuni di ricerca finanziati dal settimo programma quadro per la ricerca e in particolare quelli che hanno avuto luogo con la partecipazione dell’industria aerospaziale israeliana, produttrice di velivoli teleguidati che sono stati utilizzati durante l’attacco alla Striscia di Gaza nel 2008/2009 causando la morte di decine di persone.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato a favore del rinvio di questa relazione alla commissione parlamentare competente per consentire il proseguimento dei negoziati con il Consiglio sulla base della proposta legislativa contenente le modifiche introdotte dal Parlamento.

Sappiamo che per l’utilizzo di prodotti e tecnologie civili a scopi militari manca un approccio che non sia legato al controllo delle esportazioni dei cosiddetti beni a duplice uso e servizi correlati.

Il controllo delle esportazioni è importante e deve essere effettuato con attenzione e senza pregiudicare l’accesso dei paesi in via di sviluppo ai prodotti e alle tecnologie necessarie al loro sviluppo ma occorre altresì aumentare la trasparenza dei processi coinvolti e consentire una verifica democratica.

Vorremmo anche evidenziare che è necessario che vi sia coerenza, in questo settore, tra altre politiche comunitarie e gli obiettivi di questo regolamento. Sono ben noti i progetti comuni di ricerca finanziati dal settimo programma quadro per la ricerca, e in particolare quelli che hanno avuto luogo con la partecipazione dell’industria aerospaziale israeliana produttrice dei velivoli teleguidati che sono stati usati durante l’attacco alla Striscia di Gaza nel 2008/2009 causando la morte di decine di persone.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, le nuove competenze dell’UE nel settore del commercio internazionale giunte ora con il Trattato di Lisbona forniscono una buona occasione per dare più trasparenza al mercato del duplice uso. Con le modifiche a questo regolamento, che disciplina prodotti a uso sia militare sia civile, si avrà un controllo più attento di questi prodotti. Questo è fondamentale ai fini della non proliferazione delle armi. Considerando anche l’iter in commissione si conferma il sostegno al collega.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Materiali chimici e radioattivi, centrifughe, attrezzature tecniche, software e altri componenti sono utilizzati non solo a scopi civili ma anche militari e, nelle mani sbagliate, possono diventare strumenti di tortura o armi di distruzione di massa. Ho votato a favore della relazione perché essa propone di migliorare il regime relativo al controllo delle esportazioni dei beni e le tecnologie a duplice uso o, in altre parole, di incrementare i controlli sull’esportazione di tali prodotti. Il documento estende inoltre l’elenco degli articoli per i quali è necessaria una licenza e dei quali occorre segnalare l’esportazione.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto (DE) I prodotti e le tecnologie utilizzabili a scopo civile e potenzialmente anche militare dovrebbero essere soggetti alle stesse condizioni competitive in tutti gli Stati membri. Il punto è trovare un quadro normativo comune e, soprattutto, sicuro che consenta un utilizzo privo di rischi impedendo al contempo un calo artificiale dei prezzi di vendita dei prodotti comunitari esportati e rafforzando le piccole e medie imprese europee. Ho votato a favore della proposta di modifica al regolamento perché la trasparenza e la sicurezza devono essere priorità assolute per questi beni e per la tecnologia.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto (EN) Accolgo con favore questa relazione. Il controllo delle esportazioni dei prodotti a duplice uso, ovvero dei beni che possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari, sono oggetto di azioni comunitarie da circa 15 anni. Il controllo dell’esportazione dei beni a duplice uso è fondamentale per contrastare la non proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. Considerato l’elevato volume degli scambi commerciali che avvengono attraverso le frontiere dell’Unione europea, l’attuazione dei controlli sulle esportazioni UE di prodotti a duplice uso deve basarsi su misure preventive quali l’imposizione dell’obbligo di autorizzazione all’esportazione e di procedure di registrazione doganale.

I controlli sulle esportazioni incidono considerevolmente sulla politica commerciale dell’Unione europea in quanto possono riguardare più del 10 per cento delle esportazioni comunitarie complessive. Il principale strumento comunitario di controllo delle esportazioni è il regolamento sul duplice uso (CE) n. 428/2009 del 5 maggio 2009, entrato in vigore il 27 agosto 2009. Questo nuovo regolamento ha introdotto una serie di modifiche sostanziali in relazione ai controlli delle esportazioni dei prodotti a duplice uso all’interno dell’Unione europea, ivi inclusa l’introduzione di verifiche sulle attività di intermediazione e di transito dei suddetti prodotti. Il regolamento sul duplice uso prevede l’aggiornamento regolare degli elenchi di prodotti a duplice uso da controllare in linea con quelli dei principali regimi internazionali di controllo delle esportazioni.

 
  
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  Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Controllare la vendita dei beni a duplice uso è importante dato che diversi aspetti relativi alla sicurezza e al commercio non sarebbero sufficientemente efficaci e applicabili senza un flusso di informazioni condivise e una cooperazione internazionale flessibile. A questo riguardo desidero anche sottolineare il ruolo degli organi di controllo competenti, come ad esempio le autorità doganali, su cui grava una grande responsabilità in relazione al monitoraggio diretto delle esportazioni e al transito di beni a duplice uso. A mio parere dovremmo fornire assistenza a questi organi assicurando loro, ad esempio, la possibilità di accedere a moderne attrezzature di monitoraggio e di acquisire nuove competenze nello svolgimento delle procedure di controllo. Occorre inoltre sostenere, aspetto questo non meno importante, la formazione professionale e le visite per lo scambio di esperienze lavorative. Una politica di sicurezza sofisticata dovrebbe sempre prevedere un regime di esportazione per i beni a duplice uso di alto livello oltre ad applicare tutti gli impegni internazionali.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) L’entrata in vigore del trattato di Lisbona e la precisazione relativa alle competenze dell’Unione europea nel settore del commercio internazionale forniscono una buona occasione per riaffermare il ruolo dell’UE in questo settore e il compito, il potere e la responsabilità del Parlamento europeo a livello decisionale all’interno del quadro istituzionale comunitario. Il regime comunitario sul duplice uso dovrebbe essere organizzato in modo più trasparente e democratico. Il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo, tramite l’applicazione degli obblighi del trattato di Lisbona e la sua interpretazione congiunta approvata dal Parlamento e della Commissione europea nell’ambito del nuovo accordo quadro, sarebbe fondamentale per raggiungere questo obiettivo.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) I prodotti a duplice uso sono beni che possono essere utilizzati sia a scopi pacifici che militari e il controllo dell’esportazione di tali prodotti è fondamentale per contrastare la proliferazione delle armi. Considerato l’elevato volume degli scambi commerciali attraverso le frontiere dell’Unione europea, l’attuazione dei controlli sulle esportazioni comunitarie di prodotti a duplice uso si basa su misure preventive. Il controllo delle esportazioni ha un grande impatto sulla politica commerciale dell’Unione e sarebbe quindi auspicabile evitare che gli strumenti di controllo divengano un mezzo per combattere la concorrenza attraverso strutture commerciali. A tal fine sarà necessario creare un lungo elenco di prodotti a duplice uso ma questo è un tema che si dovrà trattare in un’altra relazione. Ho votato a favore.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) L’esportazione di beni e tecnologie a duplice uso è regolamentata con molta attenzione all’interno dell’UE. Il termine si riferisce in particolare a prodotti e tecnologie che possono anche essere utilizzati a scopo militare. Al fine di prevenire gli abusi nel settore delle esportazioni esistono quattro diversi tipi di autorizzazione: le autorizzazioni generali di esportazione della Comunità, quelle generali di esportazione nazionali rilasciate dagli Stati membri, quelle di esportazione globali e quelle individuali, e sono tutte applicate all’interno dell’UE.

Esistono inoltre regimi internazionali di controllo delle esportazioni sottoscritti dall’UE nei quali la Commissione cerca di migliorare la posizione dell’Unione europea. Tra questi vi sono il gruppo Australia, di cui la Commissione è membro a pieno titolo e che comprende tutti e 27 gli Stati membri oltre agli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia, il gruppo dei fornitori nucleari, del quale la Commissione è osservatore e che comprende l’Unione a 27, gli Stati Uniti e la Russia, l’accordo Wassenaar, nel quale la Commissione non ha alcuno status ma che comprende, come membri a pieno titolo, tutti gli Stati dell’Unione ad eccezione di Cipro, e il regime di controllo della tecnologia relativa ai missili, nel quale la Commissione non ha alcuno status e del quale sono membri a pieno titolo solo 19 degli Stati comunitari.

Ho quindi votato per non andare contro il principio di sussidiarietà.

 
  
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  Paul Murphy (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione dato che, anche se in modo limitato, essa rappresenta un passo avanti nell’affrontare i problemi dell’attuale mancanza di trasparenza dei crediti all’esportazione e del grande divario tra gli obiettivi dichiarati dell’Unione europea e il modo in cui i crediti all’esportazione vengono realmente utilizzati a livello comunitario. L’UE ama presentarsi come un’istituzione autorevole nei settori dei diritti umani e della tutela ambientale ma il ruolo delle agenzie di credito all’esportazione europee dimostra la falsità di questa affermazione. I crediti in questione vengono regolarmente utilizzati a sostegno di progetti e attività commerciali distruttivi nei confronti dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. Per ottenere una vera giustizia commerciale in questo settore le suddette agenzie, che sostengono circa il 10 per cento del commercio mondiale, dovrebbero essere di proprietà pubblica e democratica. Bisogna consentire finalmente ai lavoratori e a tutti gli interessati di vedere com’è stato realmente speso il denaro e di esercitare un controllo sul funzionamento di queste agenzie in modo che le loro ingenti risorse siano utilizzate a beneficio dei lavoratori, dei piccoli agricoltori e dell’ambiente.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa relazione poiché credo che l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e la precisazione relativa alle competenze dell’Unione europea nel settore del commercio internazionale forniscano una buona occasione per riaffermare il ruolo dell’Unione europea in questo campo e il compito, il potere e le responsabilità decisionali del Parlamento europeo all’interno del quadro istituzionale comunitario. Il regime UE sul duplice uso dovrebbe essere organizzato in modo più trasparente e democratico. Il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo, tramite l’applicazione degli obblighi del trattato di Lisbona e la sua interpretazione congiunta, approvata dal Parlamento e della Commissione europea nell’ambito del nuovo accordo quadro, sarebbero fondamentali per raggiungere questo obiettivo. Si tratta di una riformulazione del regolamento (CE) n. 1334/2000 alla luce dell’attuale quadro internazionale. Di fatto l’ampliamento dell’ambito dei controlli all’esportazione di beni a duplice uso è fondamentale se si vuole coprire anche il transito, l’intermediazione e la penalizzazione dell’intermediazione illecita di questi prodotti legati, per esempio, a programmi di armi di distruzione di massa.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Care colleghe e cari colleghi, la proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1334/2000 che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso, presentata il 7 febbraio 2011, ha lo scopo di fornire all’Unione un sistema efficace di misure preventive volte a contrastare la proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. Il regolamento attualmente in vigore in questo ambito (CE n. 428/2009) pone in atto un sistema di controllo che consente all’Unione di adempiere pienamente agli impegni assunti nel quadro dei quattro regimi internazionali di controllo delle esportazioni di cui l’UE è membro. Tuttavia, la precisazione delle competenze dell’UE nel settore del commercio internazionale introdotta dal Trattato di Lisbona fornisce una buona occasione per aumentare il rilievo e rafforzare l’immagine dell’Unione in tali contesti internazionali e il ruolo, il potere e la responsabilità del Parlamento europeo nel quadro istituzionale dell’UE in merito all’assunzione di decisioni nell’ambito del commercio internazionale. Per tali motivi ritengo opportuno apportare al regolamento gli emendamenti necessari a permettere il raggiungimento di tali scopi ed esprimo quindi il mio voto favorevole alla proposta.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Alla commissione per gli affari esteri (AFET) e alla sottocommissione per la sicurezza e la difesa (SEDE) cui ho partecipato come eurodeputato verde e come relatore abbiamo conseguito un grande successo. La commissione e la sottocommissione hanno proposto di cancellare le autorizzazioni generali di esportazione della Comunità (AGEC) per le spedizioni di basso valore poiché ci sono stati forniti dati positivi a dimostrazione del fatto che non esiste una correlazione tra prezzo contenuto e basso rischio per la sicurezza, un presupposto su cui si basa l’AGEC. Alcuni prodotti a duplice uso molto economici potrebbero invece essere estremamente rischiosi se cadessero nelle mani sbagliate. Siamo anche riusciti a cancellare la parte sulla “sicurezza informatica” dei prodotti EU007 perché tra i possibili destinatari vi erano alcuni paesi non democratici. Abbiamo inoltre ottenuto un ampio consenso in sede AFET/SEDE su una formulazione forte della necessità di rispettare i diritti umani nel caso di esportazione di apparecchiature per le telecomunicazioni dal momento che fanno parte di questa nuova autorizzazione generale di esportazione della Comunità anche le tecnologie di intercettazione, i dispositivi digitali di trasferimento dei dati per il monitoraggio dei telefoni cellulari e così via.

Per quanto riguarda le possibili destinazioni delle singole autorizzazioni generali di esportazione della Comunità siamo riusciti ad escludere sia Israele che l’India per la loro riluttanza a diventare Stati parte nel trattato di non proliferazione. Ma la questione più controversa e importante ha riguardato l’opportunità che il controllo, la comunicazione e la registrazione possano avvenire dopo l’esportazione o se debbano invece precederla.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Il controllo delle esportazioni di prodotti a duplice uso, ossia dei beni che possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari, costituisce l’oggetto di azioni intraprese a livello europeo da circa quindici anni. Tale controllo è fondamentale per contrastare la proliferazione degli armamenti, comprese le armi di distruzione di massa. Considerato l’elevato volume di scambi commerciali attraverso le frontiere dell’Unione europea, l’attuazione dei controlli sulle esportazioni UE di prodotti a duplice uso deve basarsi su misure preventive quali l’imposizione dell’obbligo di autorizzazione all’esportazione e di procedure di registrazione doganale.

L’approvazione di questa risoluzione costituisce un ulteriore passo in questa direzione. Ho votato a favore di questa relazione perché l’entrata in vigore del trattato di Lisbona fornisce una buona occasione per riaffermare il ruolo dell’Europa e il potere e le responsabilità del Parlamento europeo nel quadro istituzionale dell’UE in merito all’assunzione di questo genere di decisioni. Il regime va riorganizzato in modo più trasparente, mediante l’attuazione degli obblighi previsti dal trattato e attraverso l’adozione di una sua interpretazione congiunta da parte di Parlamento e Commissione nell’ambito del nuovo accordo quadro.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. (NL) Il controllo delle esportazioni dei beni a duplice uso, ovvero dei prodotti che possono essere utilizzati per scopi sia civili che militari, è molto importante in relazione alla non proliferazione degli armamenti. La posizione del Parlamento europeo riflette, come è giusto, il recepimento del trattato di Lisbona nella legislazione dell’UE. Il Parlamento, inoltre, intensifica il controllo democratico e la trasparenza e rafforza l’immagine dell’Unione in materia di regimi internazionali di controllo delle esportazioni. È positivo che la Commissione sia tenuta a fornire relazioni sul funzionamento del regolamento assieme ad una valutazione dell’impatto complessivo.

Ma il principale pomo della discordia tra il Consiglio, il Parlamento e la Commissione rimane la questione di quando sia opportuno effettuare il controllo sulla notifica e la registrazione delle esportazioni, se prima dell’esportazione stessa o dopo che è stata effettuata. Da parte mia ritengo sia fondamentale che questo controllo avvenga in anticipo perché, in pratica, i controlli ex post ci metterebbero sempre nella condizione di scoprire come si sono svolti i fatti solo dopo che si sono verificati. Il Parlamento ha appena deciso di optare per controlli ex post e per questo motivo alla fine ho votato contro la versione definitiva di questo documento.

 
  
  

Relazione Jadot (A7-0364/2010)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della risoluzione in oggetto sui crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico perché questi crediti sono uno strumento importante per sostenere le imprese dell’Unione europea. Anch’io ritengo che il sostegno dei crediti all’esportazione a medio e lungo termine sia un valido strumento che non è ancora pienamente sfruttato in tutti gli Stati membri e che va incoraggiato. Questi crediti possono contribuire a creare posti di lavoro garantendo il finanziamento di progetti che beneficerebbero altrimenti di un accesso più limitato ai capitali a causa della loro natura non di mercato. Va sottolineato, tuttavia, che attualmente non vi è abbastanza trasparenza per sapere quali finanziamenti le agenzie di credito all’esportazione eroghino o abbiano erogato in passato. La mancanza di trasparenza comporta enormi sforamenti di costi e di tempi oltre ad agevolare tangenti e corruzione. Sono quindi d’accordo con il relatore sulla proposta di istituire l’obbligo per gli Stati membri dell’UE di trasmettere su base annua alla Commissione una relazione sulle attività delle proprie agenzie di credito all’esportazione per quanto concerne il calcolo dei rischi e la pubblicazione degli strumenti fuori bilancio nonché di rendere obbligatoria la notifica del calcolo dei rischi sociali e ambientali.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) La maggior parte dei paesi industrializzati, compresi tutti gli Stati membri dell’Unione europea, hanno almeno un’agenzia di credito all’esportazione che beneficia di sostegno pubblico e tali agenzie nel loro insieme rappresentano la maggiore fonte mondiale di finanziamento ufficiale di progetti nel settore privato. Il volume complessivo delle garanzie fornite nel periodo 2004-2009 dalle agenzie di credito all’esportazione dei soli Stati membri dell’UE si aggira intorno a 468 miliardi di euro. Queste agenzie agevolano il commercio legittimo laddove il mercato di capitali privati è carente e, non dovendo pagare imposte né realizzare profitti, sono caratterizzare da una capacità di assorbimento del rischio molto maggiore rispetto a quella degli attori privati; esse beneficiano quindi di un margine di manovra più ampio rispetto alle banche private, anche sui crediti estesi. Per questo motivo le agenzie di credito all’esportazione potrebbero creare un’enorme distorsione del commercio se le loro operazioni di finanziamento non fossero disciplinate da norme comuni. Sebbene le agenzie in oggetto siano un importante strumento a sostegno del commercio e degli investimenti delle imprese europee è necessario assicurarsi che le operazioni che svolgono siano finanziariamente solide e che non ci sia bisogno di rivolgersi ai contribuenti per rifinanziarle. Sono favorevole alla relazione e all’obbligo di presentare su base annuale una relazione alla Commissione e al Parlamento europeo. Al momento, infatti, vi sono scarsissimi dati su quali finanziamenti le agenzie di credito all’esportazione eroghino o abbiano erogato in passato e alcune agenzie nazionali non redigono neppure un bilancio generale periodico delle loro operazioni annuali, in violazione dei principi di trasparenza.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Lo scopo del provvedimento proposto dalla Commissione europea è introdurre l’"Accordo sui crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico" negoziato dall’OCSE all’interno della legislazione europea per garantire norme comuni e trasparenza nelle operazioni delle agenzie di credito all’esportazione nazionali. Tale provvedimento, già di per sé positivo perché combatte i fenomeni di corruzione e la mancanza di trasparenza che determina grande sforamento dei costi e dei tempi, è migliorato dalla relazione dell’onorevole Jadot, che va nella direzione di aumentare ulteriormente la trasparenza e l’equità nell’introdurre nella legislazione comunitaria l’Accordo negoziato in seno all’OCSE.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Le agenzie di credito all’esportazione rappresentano la maggiore fonte mondiale di finanziamento pubblico per i progetti del settore privato. Si tratta di agenzie governative o di istituzioni finanziarie semi-ufficiali che forniscono crediti all’esportazione, prestiti, assicurazioni e garanzie agli investimenti alle imprese operanti in aree estere ad alto rischio, tra cui molti paesi in via di sviluppo.

Va sottolineato che il finanziamento di questi grandi progetti nei paesi in via di sviluppo rappresenta il finanziamento complessivo annuale di tutte le banche multilaterali per lo sviluppo moltiplicato per varie volte. Le agenzie di credito all’esportazione sono quindi strumenti che possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi di politica estera dell’Unione e, in particolare, alla riduzione della povertà e dei cambiamenti climatici. Credo che sia positivo apportare migliorie all’accordo in questione, soprattutto per quanto riguarda una maggiore trasparenza, e che si debba dire in modo esplicito che le agenzie in oggetto devono tenere conto e rispettare le politiche e gli obiettivi dell’UE così come i valori associati al consolidamento della democrazia, al rispetto dei diritti umani e alla coerenza con la politica di sviluppo. Mentre da un lato queste agenzie, in assenza di criteri e regole chiari e trasparenti, agevolano il commercio, dall’altro potrebbero causarne una distorsione.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. − Il commercio con l’estero è una delle leve politiche più rilevanti a nostra disposizione nei confronti dei paesi terzi. Almeno finché non si dovesse decidere diversamente, l’UE ha scelto di non avere un esercito proprio e di adottare, nelle relazioni internazionali, innanzitutto la politica commerciale come strumento negoziale, ottenendo non poche soddisfazioni. Gli investimenti diretti esteri delle nostre imprese, inoltre, rappresentano una fonte di sviluppo per i paesi terzi in cui creano lavoro e ha sicuramente senso stimolarli attraverso le agenzie per i crediti all’esportazione. Ciò che non possiamo più permettere, in un mercato interno con dogane uniche, è che questi investimenti possano essere orientati dai singoli Stati membri.

Questo non risponde al percorso che l’UE ha avviato e tenta di proporre al resto del mondo. Il trasferimento di tutte le competenze relative al commercio internazionale dal livello degli Stati a quello dell’Unione è un passo ulteriore nella costruzione di una politica industriale unitaria, in vista di una politica economica comune e, all’orizzonte, di ulteriori sinergie fra i nostri Stati.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto.(FR) Le attività delle agenzie di credito all’esportazione dovranno essere controllate meglio a livello europeo e condotte in modo più trasparente. Queste agenzie saranno tenute a pubblicare una relazione annuale sulle attività svolte al fine di consentire di verificare se i progetti sostenuti raggiungono gli obiettivi ambientali, sociali e di sviluppo dell’Unione europea. I deputati hanno chiesto di eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili per favorire la transizione ecologica, in linea con gli impegni nazionali ed europei in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Grazie a questo voto il Parlamento riafferma il proprio desiderio di vedere l’applicazione sistematica di criteri di trasparenza finanziaria e di misure volte ad includere la questione dei cambiamenti climatici in tutte le politiche dell’UE, comprese quelle relative al commercio e agli investimenti delle imprese europee.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sui crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico poiché credo che le agenzie di credito all’esportazione debbano essere più trasparenti e riferire sulle loro attività. È inoltre importante garantire una totale coerenza con le finalità di cui all’articolo 208 del trattato che si prefigge la riduzione e l’eliminazione della povertà come obiettivi principali della politica di cooperazione allo sviluppo dell’Unione.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La Commissione e il Consiglio stanno attualmente riesaminando il quadro legislativo (chiamato “accordo relativo agli orientamenti per i crediti all’esportazione che beneficiano di un sostegno pubblico”) per la sua trasposizione nel diritto comunitario allo scopo di fornire maggiore certezza del diritto per le agenzie di credito all’esportazione degli Stati membri. I crediti all’esportazione sono strumenti efficaci per sostenere le imprese dell’Unione europea giacché possono contribuire a creare posti di lavoro e a realizzare progetti che altrimenti incontrerebbero difficoltà nell’ottenere finanziamenti. Il fatto che venga ricevuto un numero sempre maggiore di domande sottolinea la necessità che gli Stati membri introducano rapidamente l’accordo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Condivido il parere espresso dalla commissione per i problemi economici e monetari perché ritengo che “una vigilanza a livello europeo sui crediti all’esportazione dovrebbe essere introdotta in via eccezionale qualora si verifichi una distorsione della concorrenza nel mercato interno” e che “occorre rispettare il principio di sussidiarietà”.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Questa relazione riguarda la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’applicazione di alcuni orientamenti sulle modalità in base alle quali le aziende che beneficiano di sostegno pubblico possano ottenere crediti all’esportazione. In realtà le agenzie di credito all’esportazione sono presenti nella maggioranza degli Stati membri e svolgono un ruolo essenziale nel sostenere il commercio e gli investimenti delle imprese europee, per un totale pari a 468 miliardi nel periodo 2004-2009. Questo sostegno rientra nell’accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative (ASCM), anche chiamato “l’accordo”, che è stato negoziato tra i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ed è un esempio di strumento di finanziamento pubblico con il coinvolgimento dell’Unione europea. Dato che queste agenzie essenzialmente sostengono attività industriali nocive per l’ambiente, in particolare a causa delle emissioni di CO2, e che, secondo la Banca Mondiale, non concorrono in modo significativo alla riduzione della povertà, condivido la posizione del relatore secondo il quale le agenzie in oggetto dovrebbero contribuire alle politiche e agli obiettivi dell’UE e che quindi non è necessario rivedere l’accordo OCSE.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Riteniamo che sia necessario sorvegliare e controllare maggiormente le agenzie di credito all’esportazione sia per quanto concerne le esportazioni che gli investimenti e la finanza dato che la mancanza di trasparenza di questi organismi provoca danni enormi, incoraggiando tangenti e corruzione.

Le agenzie di credito all’esportazione sono strumenti pubblici largamente utilizzati dall’Unione europea per contribuire al finanziamento dei propri obiettivi internazionali e degli interessi economici e geostrategici che non possono essere separati da quelli relativi al dominio e al controllo di regioni e paesi e ciò porta alla creazione di veri e propri rapporti neocoloniali. Gli investimenti finanziati da queste agenzie spesso non apportano alcun beneficio ai paesi che dovrebbero avvalersi del sostegno.

La definizione di linee guida per i crediti all’esportazione è finalizzata ad eludere la scadenza annunciata degli aiuti diretti nel quadro degli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio che sta pressando i paesi in via di sviluppo ad accettare la firma dei negoziati di Doha. L’obiettivo principale dei crediti e degli aiuti diretti continua ad essere il controllo dei mercati e delle risorse naturali, lo sfruttamento dei lavoratori e l’uso di prodotti e investimenti per condizionare la sovranità dei paesi di destinazione e ciò è reso possibile dai finanziamenti delle agenzie di credito all’esportazione.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) È necessario sorvegliare e controllare maggiormente le agenzie di credito all’esportazione sia per quanto concerne le esportazioni che gli investimenti e la finanza dato che la mancanza di trasparenza di questi organismi provoca danni enormi, incoraggiando tangenti e corruzione.

Le agenzie di credito all’esportazione sono strumenti pubblici largamente utilizzati dall’Unione europea per contribuire a finanziare i propri obiettivi internazionali, con particolare riguardo ai cambiamenti climatici e alla riduzione della povertà. A volte vengono usati per finanziare veri e propri esempi di neocolonialismo comunitario nei cosiddetti paesi in via di sviluppo.

La definizione di linee guida per i crediti all’esportazione è finalizzata ad eludere la scadenza annunciata degli aiuti diretti nel quadro degli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio che sta pressando i paesi in via di sviluppo ad accettare la firma dei negoziati di Doha che essi contestano.

L’obiettivo principale dei crediti e degli aiuti diretti continua ad essere il controllo dei mercati e delle risorse naturali, lo sfruttamento dei lavoratori e l’uso di prodotti e investimenti per condizionare la sovranità dei paesi di destinazione e ciò è reso possibile dai finanziamenti delle agenzie di credito all’esportazione.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto.(FR) Sarebbe sbagliato se i crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico non rispettassero alcuni principi, in particolare a livello di etica sociale, e non si attenessero alle linee guida in materia di politica estera e di aiuto allo sviluppo. È quindi necessario assicurare trasparenza in relazione all’utilizzo di questi fondi. Ma è la politica estera condotta dall’Unione che funge da riferimento e tale politica ha dimostrato, soprattutto negli ultimi mesi, di essere a dir poco inesistente, incoerente e divergente. L’Unione europea non rispetta i principi che essa stessa fissa: quand’è l’ultima volta in cui abbiamo visto la Commissione applicare realmente le clausole in materia sociale, ambientale e di diritti umani che dissemina in tutti i propri accordi commerciali?

Quand’è che ha protestato contro il finanziamento al di fuori dell’Europa, da parte della Banca europea per gli investimenti, di progetti che creano concorrenza sleale per le imprese europee o che sono discutibili a livello sociale e ambientale? Lo scopo di questa relazione è la trasposizione nel diritto europeo di un accordo negoziato all’interno di un’organizzazione globalista e ultraliberista, l’OCSE. Tale accordo crea di fatto un handicap per le imprese europee nei confronti dei concorrenti e in particolare della Cina. Quando si è trattato di prendere una decisione favorevole o contraria abbiamo quindi deciso di astenerci.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Com’è noto, è impossibile sapere quali finanziamenti le agenzie di credito all’esportazione eroghino o abbiano erogato in passato. Alcune di esse non redigono neppure un bilancio generale periodico delle loro operazioni annuali mentre molte altre non forniscono dati disaggregati circa la distribuzione settoriale o geografica dei prestiti erogati. Si tratta di una situazione che permane nonostante gli obblighi in materia di trasparenza stabiliti nell’accordo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico del 2005 cui hanno aderito tutti gli Stati membri dell’UE e che dovrà ora essere recepito nel diritto comunitario. L’accordo OCSE non contiene le disposizioni necessarie a garantire una corretta determinazione dei premi poiché non prevede alcuna norma in materia di trasparenza né standard minimi nell’applicazione del calcolo dei rischi sociali e ambientali. È stato proposto di fare chiarezza sugli obblighi in materia di trasparenza in relazione al calcolo dei rischi e sulla pubblicazione degli strumenti fuori bilancio nonché di rendere obbligatoria la notifica del calcolo dei rischi sociali e ambientali e di istituire l’obbligo per gli Stati membri dell’UE di riferire su base annua alla Commissione in merito alle attività svolte dalle loro agenzie di credito all’esportazione nei citati ambiti. Ho pertanto votato a favore di questo documento perché esso introdurrà una maggiore trasparenza e norme per l’applicazione dei calcoli di rischio sociale e ambientale.

 
  
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  Arturs Krišjānis Kariņš (PPE), per iscritto. – (LV) Ho sostenuto la risoluzione sul regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’applicazione di alcuni orientamenti in materia di crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico perché ritengo che sia necessario avere regole chiare per tutti gli Stati membri dell’Unione europea su come sostenere le imprese esportatrici. Le garanzie di credito all’esportazione sono un importante strumento per aiutare gli imprenditori ad acquisire nuovi mercati e a creare nuovi posti di lavoro. Non ho tuttavia sostenuto l’emendamento n. 22 che impone un onere supplementare per gli imprenditori e rende le imprese europee meno competitive di quelle di altri Stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. In un momento di crisi gli Stati membri dell’Unione europea devono ridurre gli oneri amministrativi per gli imprenditori e non crearne uno nuovo. Il Parlamento europeo deve dare l’esempio in questo settore invece di cercare nuovi motivi per imporre un onere supplementare agli imprenditori.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione poiché ritengo che i crediti all’esportazione siano uno strumento importante per sostenere le imprese dell’Unione europea. Alla luce della crescente domanda di crediti all’esportazione che beneficiano di sostegno pubblico è della massima importanza che il nuovo regolamento dell’OCSE su questo strumento sia introdotto prima possibile negli Stati membri. Il sostegno dei crediti all’esportazione a medio e a lungo termine è uno strumento potente che non è ancora pienamente sfruttato in tutti gli Stati membri e che va incoraggiato. I crediti all’esportazione possono contribuire a creare posti di lavoro garantendo il finanziamento di progetti che beneficerebbero altrimenti di un accesso più limitato ai capitali a causa della loro natura non di mercato. Sono d’accordo con il relatore il quale osserva che qualsiasi nuova legislazione in questo settore deve evitare di creare nuovi oneri amministrativi o burocratici che andrebbero ad aggiungersi ai costi già esistenti. Una vigilanza a livello europeo sui crediti all’esportazione dovrebbe essere introdotta in via eccezionale qualora si verifichi una distorsione della concorrenza nel mercato interno. Occorre rispettare il principio di sussidiarietà.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) La relazione chiede che la concessione di crediti e garanzie con il sostegno pubblico per le esportazioni del settore privato sia integrata da “valutazioni di impatto sociale e ambientale” e che i progetti mantengano inalterati gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Questo è il minimo.

Ciononostante voterò contro la relazione per esprimere il mio disappunto sul fatto che la commissione per il commercio internazionale non stia cercando di dotarsi dei mezzi per mantenere gli obiettivi sociali e ambientali degni di questo nome. La libera concorrenza, la lotta contro il protezionismo e gli ostacoli alla denuncia delle sovvenzioni alle esportazioni agricole sono alcune delle molte assurdità avvallate in questo testo.