Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla dichiarazione della Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Ashton in merito alla situazione in Siria, Bahrein e Yemen.
Il Presidente in carica del Consiglio Németh rende la dichiarazione a nome della Vicepresidente Ashton.
Zsolt Németh, a nome del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (FR) Signor Presidente, oggi sono qui per presentare alcune osservazioni a nome dell’Alto rappresentante Ashton sulla situazione in Siria, Bahrein e Yemen.
In Siria, gli eventi hanno recentemente preso una piega drammatica; nello Yemen la situazione già di per sé difficile potrebbe peggiorare e l’atmosfera estremamente tesa che caratterizza ormai il Bahrein suscita serie preoccupazioni, nonostante lo spargimento di sangue qui sia stato minore. L’Unione europea ha seguito con molta attenzione il rapido evolversi degli avvenimenti nell’intera regione, come provano le numerose riunioni ad alto livello, le dichiarazioni formali e le conclusioni del Consiglio.
Inoltre, la baronessa Ashton è in contatto quotidiano con i principali partner e attori in questi paesi stessi, via telefono o attraverso i suoi rappresentanti negli Stati in questione, per asserire l’influenza dell’Unione europea ove possibile e ogni qualvolta possa essere di aiuto. La situazione di ogni paese è unica e richiede una reazione strategica accuratamente ponderata e ben mirata, ma quando gli eventi si sviluppano in modo così veloce risulta essenziale creare una politica sana incentrata su solidi principi fondamentali.
Desidero menzionare a tal proposito tre principi. Innanzi tutto, il rifiuto alla violenza: le proteste di massa devono sempre essere affrontate in maniera pacifica e nel pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. In secondo luogo, la promozione del dialogo: è necessario che le differenze e le rimostranze siano gestite in modo costruttivo dalle persone giuste disposte a parlare le une con le altre, accantonando i pregiudizi e le congetture. In terzo luogo, le principali riforme economiche e politiche devono nascere dai paesi stessi e l’Unione europea ha evidenziato chiaramente la propria disponibilità a fornire un rapido sostegno come e quando richiesto.
Permettetemi ora di spostare l’attenzione più nello specifico sui tre paesi in oggetto.
In Bahrein, nonostante il parziale ritorno alla normalità nelle strade, la situazione rimane tesa: gli arresti proseguono e le persone vengono in apparenza sequestrate semplicemente per aver esercitato il proprio diritto di libertà di espressione. Come nel resto della regione, l’Unione europea e lo stesso Alto rappresentante hanno condannato in modo categorico le violenze perpetrate in Bahrein, invitando le autorità e tutte le forze presenti a rispettare pienamente i diritti umani e le libertà fondamentali, nonché gli standard umanitari internazionali.
Abbiamo inoltre esortato ripetutamente le autorità del Bahrein e l’opposizione ad avviare un autentico dialogo nazionale e sulla questione l’Alto rappresentante ha parlato direttamente con il ministro degli Esteri. Se non si compiono passi concreti per raggiungere un dialogo tra le persone giuste senza esclusioni e congetture, si corre sempre più il rischio che prevalgano elementi radicali, con chiare e preoccupanti implicazioni per la stabilità regionale. Il modo migliore per salvaguardare e promuovere la stabilità rimane il dialogo e questo è il messaggio che l’Alto rappresentante trasmetterà durante il suo incontro con i ministri del Consiglio di cooperazione del Golfo, che si terrà a breve in questo mese,.
Da metà marzo le proteste popolari si sono diffuse anche alle città della Siria e la repressione brutale con la quale sono state affrontate è inaccettabile. L’Alto rappresentante e l’Unione europea hanno inviato numerosi appelli alle autorità siriane per porre fine alle violenze, rispettare il diritto degli individui a manifestare pacificamente e affinché ascoltino le loro legittime aspirazioni. I cittadini siriani meritano le riforme politiche a lungo attese, specialmente in relazione alle libertà di espressione, riunione, partecipazione politica e governance.
Nel suo discorso alla nazione del 30 marzo, il Presidente Assad non ha fornito né un chiaro piano di riforma né il calendario previsto per la sua attuazione. L’Unione europea continuerà a fare pressioni sulla Siria affinché le riforme siano attuate senza ritardi: queste devono essere concrete, politiche e socioeconomiche, serie (e non solo di facciata) e da attuarsi senza ulteriori indugi. Monitoreremo da vicino come il nuovo governo, che deve ancora essere formato, progredirà in materia di riforme. Auspichiamo che la creazione di un comitato giuridico porti alla stesura di una nuova legislazione che permetta la revoca dello stato di emergenza e garantisca i diritti umani e le libertà fondamentali.
L’Unione continuerò ad esortare la leadership siriana, in pubblico e in privato, ad astenersi dall’uso della forza contro i manifestanti. È importante trasmettere il messaggio che i responsabili della violenza e delle vittime risponderanno delle loro azioni e che tutti i prigionieri politici e i difensori dei diritti umani vengano rilasciati.
Nello Yemen la situazione continua a destare la massima preoccupazione. I messaggi inviati dall’Alto rappresentante in seguito al deplorevole episodio di violenza avvenuto il 18 marzo non hanno lasciato dubbi e le conclusioni del Consiglio “Affari esteri” del 21 marzo hanno ribadito la condanna da parte dell’Unione europea dell’uso della forza contro i manifestanti. L’UE ha altresì affermato inequivocabilmente che i responsabili di morti e feriti dovranno rispondere delle proprie azioni ed essere assicurati alla giustizia.
Sino ad ora i messaggi giunti dalla leadership yemenita non sono stati altrettanto chiari e per questo l’Alto rappresentante ha chiamato direttamente il Presidente Saleh il 30 marzo, invitandolo a fare quanto possibile per evitare ulteriori spargimenti di sangue. La Vicepresidente ha espresso il proprio punto di vista affermando che il modo migliore per garantire che questo avvenga sia di avviare una rapida transizione politica senza ritardi. Tale transizione costituzionale si deve basare su impegni importanti e costanti da portare a termine in modo appropriato.
Il tempo sta per scadere e le vittime saranno i cittadini yemeniti. Per questo l’Unione europea, di concerto con i partner internazionali, è stata coinvolta in modo attivo, e lo sarà anche in futuro, nella ricerca di una soluzione alla crisi nello Yemen.
Presidente. – Dal momento che l’onorevole Brok è seduto accanto all’onorevole Salafranca, vorrei cogliere l’opportunità per congratularmi con lui per il successo di ieri della sua squadra. Indossa la sciarpa dello Schalke 04 che ha conseguito una splendida vittoria, ma grazie all’aiuto di uno dei migliori giocatori del mondo, lo spagnolo Raúl. Ora che ci siamo congratulati con l’onorevole Brok, l’onorevole Salafranca ha la parola per un minuto e mezzo a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano).
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE. – (ES) Signor Presidente, condivido in pieno quanto appena affermato.
Signor Ministro Németh, signor Commissario, onorevoli colleghi, abbiamo seguito costantemente i costanti aggiornamenti da parte dell’Alto rappresentante Ashton sugli sviluppi in questi paesi e, a mio avviso, deve essere riconosciuto l’impegno profuso dalla Vicepresidente a nome dell’Unione europea a sostegno delle aspirazioni democratiche in Bahrein, Yemen e Siria. Il Parlamento adotterà domani una risoluzione in merito sostenuta da tutti i gruppi politici.
Desidero tuttavia avanzare un paio di domande, signor Presidente, e chiedere al ministro Németh di trasmetterle alla baronessa Ashton.
Innanzi tutto, in alcuni organismi dell’Unione e sicuramente anche al Parlamento si ha la sensazione che si stia indietreggiando nello sviluppo della politica europea comune in materia di sicurezza e difesa, retrocedendo ai tempi della cooperazione politica. Ovviamente questo non è il motivo per cui abbiamo adottato il trattato di Lisbona.
In secondo luogo, è emersa una contraddizione in merito alla crescente necessità di una maggiore presenza europea in questi paesi, senza tuttavia conoscere il risultato finale di tali processi di transizione. È ovvio che dobbiamo essere presenti e lo slogan utilizzato nella comunicazione della Vicepresidente Ashton è molto saggio: “more for more” (fare di più per avere di più).
La domanda che desidero porre, e con questo concludo, signor Presidente, è se gli Stati membri dell’Unione sono disposti a incrementare le risorse per soddisfare i bisogni in aumento di questi paesi.
Véronique De Keyser, a nome del gruppo S&D. – (FR) Signor Presidente, siamo a conoscenza dei considerevoli sforzi diplomatici compiuti dalla baronessa Ashton, e che ancora compie, nonché delle difficili situazioni che sta affrontando. La Siria, lo Yemen e il Bahrein sono paesi con cui abbiamo unicamente accordi di natura commerciale, che non comprendono ad esempio clausole sui diritti umani, e disponiamo di molte pochi punti su cui fare forza.
Desidero ciononostante presentare tre osservazioni. Innanzi tutto, in relazione alle aspirazioni dei cittadini e di quanti si trovano oggi nelle strade sotto il fuoco dei cecchini, non dobbiamo solamente sostenerli, ma assicurarci che si ponga fine alla violenza a tutti i costi. Oggi ho incontrato un dissidente siriano; ciò che loro richiedono non è altro che la conclusione della violenza per poter esprimere apertamente le proprie opinioni. Vorrei dire a tal riguardo che, sebbene non abbiamo un accordo con la Siria, dobbiamo comunque impiegare, se necessario, l’intero arsenale di sanzioni a nostra disposizione per far cessare la violenza.
Il secondo punto riguarda il fatto che in generale questi paesi (e questo vale sia per gli Stati del Golfo sia per la Libia) sono stati armati da noi, in realtà eccessivamente armati. A mio avviso, un requisito minimo consiste nel migliorare i controlli delle armi per evitare che tali Stati e governi diventino mine vaganti che si rivoltano contro i loro stessi cittadini.
Infine, la questione dei doppi parametri: siamo stati molto prudenti nei confronti del Bahrein e rigidi invece verso altri paesi. So che la situazione in Bahrein è particolarmente delicata, che l’Arabia Saudita vi ha inviato truppe e che, insieme al Consiglio di cooperazione del Golfo, quest’ultima ci sta aiutando contro la Libia, ma non vorremmo barattare il prezzo di un barile di petrolio e il sostegno nei nostri confronti contro il governo libico per il silenzio in merito agli sciiti, al momento oggetto di repressione da parte del governo del Bahrein.
Anneli Jäätteenmäki, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, sono arrabbiata: ieri durante la nostra riunione di gruppo abbiamo ascoltato tre testimonianze provenienti da Human Rights Watch e Amnesty International di persone che erano presenti in Bahrein, Yemen e Siria. Le loro storie erano spaventose.
Mi ha fatto arrabbiare. La lettera che abbiamo ricevuto dalla baronessa Ashton non rappresenta una strategia, ma di nuovo un’altra agenda. Dobbiamo smettere di inviare messaggi vuoti come abbiamo fatto a lungo con Tunisia, Egitto e Libia. È giunto il momento di agire.
Innanzi tutto, l’Unione europea deve richiedere la convocazione di una sessione speciale del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite a Ginevra. È necessario che le Nazioni Unite inviino una missione nei tre paesi in questione, affinché i rispettivi regimi rispondano delle proprie azioni in merito alla violazione dei diritti umani.
In secondo luogo, l’Unione deve esigere l’attuazione di un divieto sull’esportazione di armi dagli Stati membri verso questi tre paesi. È inaccettabile che gli Stati membri continuino a vendere armi a questi regimi.
Infine, bisogna che l’Unione chiarisca che, se i regimi politici in quei paesi costituiscono un ostacolo alla democratizzazione, è giunta l’ora che se ne vadano. Occorre al contempo introdurre sanzioni quali il congelamento dei beni e il divieto di viaggio.
Desidero ribadire che è giunto il momento di agire.
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, è una buona notizia sapere che le popolazioni iniziano ad agire per rivendicare le proprie libertà e i propri diritti, per cambiare il regime politico e per una maggiore democrazia: tutto questo è al centro della politica estera dell’Unione e del progetto europeo e non può che suscitare il nostro entusiasmo e sostegno.
La cattiva notizia invece riguarda il fatto che i cittadini sono divenuti protagonisti di una dura repressione, manifestando per le proprie aspirazioni e i propri valori a rischio della loro vita: questo è assolutamente inaccettabile. La necessità di proteggere queste popolazioni, che ha già condotto all’azione militare in Libia, deve assumere ora forme diverse per tutelare i manifestanti di in questi tre paesi.
A mio avviso, le dichiarazioni sono estremamente importanti (le dichiarazioni legittime e le aspirazioni di queste popolazioni), ma occorre anche agire. Parte della nostra azione deve consistere nel garantire che tutti i leader responsabili di aver utilizzato in modo sproporzionato la forza contro i propri cittadini non rimangano impuniti. Per fare questo la convocazione e l’attivazione diplomatica degli Stati membri del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite deve essere pienamente operativa per organizzare missioni, relazioni e risoluzioni, cosicché i politici responsabili sappiano con certezza che le loro violenze non rimarranno impunite.
Infine, a mio avviso, abbiamo senza dubbio i mezzi per aggirare l’oscuramento della stampa. I giornalisti nazionali e stranieri stanno affrontando notevoli difficoltà per documentare la situazione. Sappiamo cosa fare: disponiamo degli strumenti per superare questi ostacoli e dobbiamo assolutamente utilizzarli. Una volta poi che avremmo i mezzi per agire, dovremo trovare il modo per impiegarli.
Non è ovviamente il momento di inseguire il Presidente siriano per ottenere la sua firma su un accordo di riammissione, che potrebbe comunque essere previsto solo in base a determinate condizioni, inclusi un programma serio, efficace e pertinente, l’attuazione delle riforme in Siria e la liberazione di tutti i prigionieri di coscienza e dei manifestanti pacifici, non solo qui ma anche negli altri due paesi.
Sajjad Karim, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, vorrei rivolgere queste parole al signor Ministro: mi sono seduto ad ascoltare la sua dichiarazione ed ho ascoltato quello che aveva da dire, ma erano semplici parole, talvolta molto dolci, eppure sfortunatamente vuote. È stato completamente reazionario, non vi era nulla di proattivo nelle sue parole. Mentre ascoltavo, ho scritto il titolo “piano” sul foglio dove intendevo prendere appunti sulle informazioni da lei fornite in merito all’intervento dell’Unione europea. Il foglio davanti a me è ancora bianco. Non ha dato alcun contributo oggi.
Non vi era nulla di proattivo nell’agenda delineata. Le persone in Medio Oriente confidano che l’Europa si faccia avanti e li aiuti a conquistare i propri diritti e tutto ciò che lei ha per loro sono parole vuote.
Nell’ultimo piano di azione presentato, mancava del tutto un elemento principale e la stampa ha ampiamente dibattuto sul fatto che i leader in Medio Oriente fossero ancora in grado di prendere i soldi dai propri cittadini e portarli in Europa, senza che si facesse nulla per evitare il ripetersi della situazione in futuro.
Lei stesso ha detto che il tempo sta per scadere. Se questo è vero, come penso, allora perchè si è presentato oggi davanti a noi con un foglio bianco? Le chiedo cortesemente di avere maggiore rispetto per quest’Aula.
Marisa Matias, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signor Presidente, condividiamo con i cittadini di Yemen, Siria e Bahrein le aspirazioni alla libertà e alla democrazia, nonché siamo loro vicini nelle sanguinose repressioni nei confronti delle manifestazioni e delle proteste popolari. Dobbiamo essere chiari: innanzi tutto, richiedo di cessare immediatamente la vendita delle armi a questi paesi. L’Europa continua a vendere armi poi impiegate per uccidere i civili. In secondo luogo, è necessario schierarsi dalla parte dei cittadini e non dei regimi autoritari o dittatoriali.
Detto questo, secondo il principio di solidarietà, non dobbiamo dimenticare che stiamo ancora utilizzando doppi parametri: una serie di norme per soddisfare le aspirazioni democratiche dei cittadini e altre per seguire e gestire gli affari. In Libia il bombardamento è andato ben oltre la missione delle stesse Nazioni Unite, mentre in Bahrein non abbiamo fatto altro che protestare quando l’esercito dell’Arabia Saudita è entrato nel paese per salvare una cleptocrazia. Mentre i giovani fanno quanto in loro potere contro le truppe e la polizia mettendoci anima e corpo, noi ci limitiamo a scrivere note diplomatiche.
Desidero concludere, signor Presidente, affermando che è tanto sbagliato pensare che esistano soluzioni militari a problemi politici quanto ritenere che i cittadini arabi non si siano ancora resi conto della nostra ambiguità.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo EFD. – (NL) Signor Presidente, un cambiamento radicale di regime, nel senso di una presa di potere da parte delle forze islamiche radicali in Siria, Bahrein e Yemen, equivarrebbe ad un totale disastro, sia a livello nazionale che internazionale.
Il reale vincitore di questa situazione imprevista, almeno nella penisola arabica, sarebbe certamente il duo iraniano al potere Khamenei-Ahmadinejad, vanificando per il momento la già remota possibilità di una Primavera persiana. La situazione di crisi a Damasco, Manama e San'a' ha offerto all’Unione europea l’eccellente opportunità di imporre, in stretto coordinamento con gli Stati Uniti, condizioni chiare per continuare a sostenere questi regimi che si trovano in difficoltà: riforme politiche e socio-economiche.
Signor Presidente, qualche anno fa abbiamo visitato la Siria con una delegazione del Parlamento europeo. Dal 2003 questo Stato, l’unico laico nella regione, ha dato rifugio a centinaia di migliaia di cristiani iracheni, inviando un segnale d’allarme. L’Occidente deve fare quanto in suo potere per garantire che la guerra civile settaria ed estremamente cruenta in Iraq non si espanda anche in Siria.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, la rivolta dei gelsomini iniziata in Tunisia non sta, sfortunatamente, seguendo un corso altrettanto pacifico in Yemen, Siria e Bahrein. Un dialogo tra il governo e l’opposizione costituisce sena alcun dubbio il modo migliore per concordare una soluzione attiva ai problemi sociali ed economici, come auspicato dai cittadini, e avanzare verso una partecipazione più democratica. Se accordi di questo tipo verranno mantenuti o meno è tuttavia una questione completamente diversa. In fin dei conti, l’ondata di proteste è scaturita dalle promesse non mantenute di una riforma politica; abbiamo fatto sperare le persone troppo a lungo e ora è necessario agire. La duplice strategia di reprimere con violenza le manifestazioni dell’opposizione e al contempo promettere alcune piccole riforme senza introdurre di fatto un reale cambiamento politico potrebbe condurre, come ben sappiamo, ad una escalation della situazione in tutti e tre i paesi.
I disordini in corso in Siria sollevano la preoccupazione secondo cui le armi acquistate dal governo potrebbero essere vendute a organizzazioni terroristiche come Hezbollah. A mio avviso, in questi conflitti l’Unione europea deve essere un mediatore imparziale.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, intanto le partite si vincono con il doppio turno, quindi attendiamo il ritorno fra Inter e Schalke 04 per capire chi passerà il turno, mentre sono dello stesso suo avviso che Raul è un grandissimo calciatore.
Quello che sta accadendo in Siria, nello Yemen e nel Bahrein non è dissimile rispetto a quanto sta accadendo in altre parti del mondo. Se generalmente sono ragioni di natura economica a provocare questi rivolgimenti, vi è dappertutto una profonda aspirazione di libertà. Facebook e Internet hanno rotto l'isolamento di tante, troppe, finte democrazie che albergavano da tempo in molte regioni del mondo.
C'è un nuovo protagonismo, una nuova idea di politica che rispecchia i sogni di tanti giovani. C'è un desiderio di cittadinanza, soprattutto del mondo giovanile laddove lo stesso è più consapevole e colto. Nei giorni scorsi è stata liberata la dissidente Suhayr al-Atassi ed è un segnale seppur timido nella direzione della formazione della libertà di pensiero e di orientamento politico. Le stesse fibrillazioni vi sono nello Yemen, dove monta la protesta contro il Presidente Saleh, e allo stesso modo nel Bahrein. Bisogna intervenire con forza per rimuovere questa violenza. Il percorso di democratizzazione va assistito, non possiamo farci trovare ancora una volta in ritardo.
Quello che sta accadendo nel Mediterraneo è sicuramente un segnale molto difficile da comprendere, per questo l'Europa deve battere un colpo e deve farlo con quella solidarietà d'intervento che probabilmente dovrebbe aiutare in questo momento le regioni per esempio esposte a maggiore pressione migratoria nel Mediterraneo.
Richard Howitt (S&D). – (EN) Signor Presidente, sia che si tratti dell’attacco coordinato da parte dei cecchini o del campo di protesta a San'a' nello Yemen il 15 marzo, sia che si tratti della repressione delle proteste da parte di 100 000 persone a Dar'a in Siria il 17 marzo, sia che si tratti del sesto piano dell’ospedale Salmaniya in Bahrein, dove i manifestanti feriti vengono portati da uomini con passamontagna e pistola, per non ritornare più, e dove i feriti sono costretti a recarsi perché vi è l’unica banca del sangue del paese, in ogni caso dobbiamo mostrare che, anche se i media si concentrano su uno Stato alla volta, questo Parlamento lotterà per i diritti umani ovunque vengano messi in pericolo.
Oggi dobbiamo esortare il consiglio “Affari esteri” ad riconoscere la chiara responsabilità di tutti i soggetti colpevoli degli atti di violenza, garantendo indagini indipendenti e nessuna impunità: questo è il principale avvertimento per evitare che si ricorra nuovamente alla violenza contro i manifestanti.
In secondo luogo, quando sentiamo che si presume che le forze di sicurezza del Bahrein abbiano sparato pallottole non letali ad una distanza inferiore di un metro, spaccando letteralmente a metà la testa dei manifestanti e uccidendoli, dobbiamo sospendere l’autorizzazione, il rifornimento e trasferimento di tutte le armi nella regione.
Infine, è necessario tenere in debita considerazione i principi contenuti nella comunicazione del Commissario Füle sul vicinato meridionale nel nostro approccio sul processo volto a ricercare un accordo di associazione con la Siria. Dobbiamo cominciare esigendo un accesso totale degli osservatori internazionali dei diritti umani. Con la rivoluzione dei gelsomini il mondo arabo è cambiato e dobbiamo dimostrare che anche noi siamo cambiati con lui.
Alexander Graf Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la primavera è arrivata nel Mediterraneo, ma nel Golfo e nella Siria regna ancora l’inverno. Le immagini di violenza che vediamo sono terribili, centinaia di persone sono state uccise e le relazioni di Amnesty International e le Nazioni Unite sono allarmanti.
Gli appelli inviati dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per L’Europa sono chiari: vogliamo una sessione speciale del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite a Ginevra il prima possibile. Il Consiglio d’Europa e gli Stati membri rappresentati nel Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite devono rispondere a questa istanza. Il Consiglio agisce sempre velocemente quando occorre schierarsi da una parte o dall’altra nel conflitto in Medio Oriente ed è il momento che affronti la vera sfida rappresentata da queste gravi violazioni dei diritti umani. Abbiamo bisogno di riforme, di una transizione verso la democrazia e di un embargo sulle armi: tutti questi punti sono già stati menzionati.
Ho guardato il discorso pronunciato in diretta dal Presidente siriano Assad: stiamo parlando di una dittatura di stampo medievale che utilizza le agenzie di pubbliche relazioni occidentali affinché i loro rappresentanti appaiano nelle riviste patinate come influenze pseudo-modernizzanti. Le agenzie e le riviste dovrebbero chiedersi se questa è realmente la cosa giusta da fare.
Ora passiamo allo Yemen. A mio avviso, qui esiste il pericolo maggiore: il rischio di una divisione tra nord e sud, una cellula attiva di Al-Qaeda e il pericolo di uno Stato fallito. In Somalia abbiamo già un fallimento statale di questo tipo e la nostra missione Atalanta è operativa nel Golfo di Aden. L’Europa ha un interesse diretto in quest’area e vogliamo sentire qualcosa di più rispetto a quanto ha detto qui oggi il rappresentante del Consiglio.
Frieda Brepoels (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, devo essere onesta nel dire che mi sono stupita quando ho visto i tre principi proposti dal ministro: il rifiuto della violenza, la promozione del dialogo per appianare le differenze d’opinioni e per affrontare le ingiustizie, nonché ovviamente le riforme politiche necessarie.
Ora, la semplice richiesta di dialogo non farebbe alcuna differenza al momento e non sarebbe davvero credibile:l’Unione europea deve intraprendere azioni più forti per attuare simili riforme democratiche. Abbiamo sentito che l’Alto rappresentante ha numerosi contatti ufficiali, ma cosa sta facendo per rimanere in contatto con la società civile e ascoltarla?
I precedenti oratori lo hanno già precisato: l’Unione europea deve smettere immediatamente di fornire armi alla regione. Quando vedo, ad esempio, che non meno di otto Stati membri hanno venduto allo Yemen armi per un valore di oltre 100 milioni di euro solo lo scorso anno, mi chiedo se la posizione comune europea sull’esportazione delle armi abbia in realtà qualche valore. Non dobbiamo forse agire con urgenza in merito?
Fiorello Provera (EFD). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi riferisco al Bahrein. Questo piccolo paese si trova in una posizione strategica per gli equilibri del Golfo e gli approvvigionamenti energetici. È nota la presenza di un'importantissima raffineria che opera sul greggio saudita.
Vorrei richiamare l'attenzione su un aspetto di questa situazione che mi sembra particolarmente preoccupante. Fonti accreditate hanno accertato l'influenza iraniana su una parte della componente sciita della popolazione del Bahrein. Questo elemento si aggiunge alle legittime aspirazioni verso riforme più accentuate nel governo di quel paese. Risulta difficile distinguere quanto l'influenza esterna pesi sui recenti avvenimenti in Bahrein, ma il rischio è quello di una destabilizzazione dell'area che potrebbe estendersi fino alle regioni orientali dell'Arabia Saudita dove vive un'altra consistente parte di popolazione sciita. L'Iran finanzia Hamas, sostiene Hezbollah in Libano e influenza la politica interna dell'Iraq, dove la componente sciita è predominante al governo. Se riuscisse ad estendersi anche nel Golfo lo sconvolgimento degli equilibri sarebbe evidente e potrebbe ripercuotersi a livello globale.
È necessario quindi essere molto prudenti nel valutare quanto accade nel Medio Oriente e distinguere le legittime aspirazioni dei popoli a una maggiore democrazia rispetto alle influenze esterne che hanno ambizioni strategiche nell'area.
Ria Oomen-Ruijten (PPE). – (NL) Signor Presidente, stiamo parlando oggi di tre paesi davvero diversi e con situazioni locali molto specifiche: nello Yemen la rivolta ha assunto proporzioni di massa, nonostante la brutale violenza usata dalla polizia e dall’esercito; in Bahrein si corre il grave rischio che l’intera regione possa destabilizzarsi a causa del coinvolgimento dell’Arabia Saudita e dell’Iran; in Siria, infine, l’opposizione non ha di fatto spazio di manovra e il regime sembra disposto a fare tutto il necessario per reprimere le proteste.
Sulla base di tali specifiche circostanze, a mio avviso, l’Unione europea deve avviare relazioni bilaterali con questi paesi. Vi sono inoltre un paio di principi che occorre difendere. Ovviamente, ogni cittadino ha il diritto di manifestare e di esprimere liberamente la propria opinione, ma come intervenire nelle proteste pacifiche dove i cittadini stessi diventano vittime della repressione a seguito dell’intervento della polizia e dell’esercito? Abbiamo intenzione di condurre indagini a livello internazionale in merito? Che cosa fa l’Unione europea per promuovere queste indagini?
In secondo luogo, il governo ha l’obbligo di intraprendere un dialogo con l’opposizione e con le organizzazioni della società civile poiché la violenza e l’oppressione non sono mai la risposta. Che cosa sta facendo l’Unione europea nello specifico per promuovere tale dialogo? E se i regimi in Siria, in Bahrein e anche in Yemen non fossero comunque ancora in grado o disposti ad ascoltare i propri cittadini, quali sarebbero le conseguenze sulle nostre relazioni con questi paesi?
Signor Presidente, è necessario fornire un aiuto concreto, come già menzionato molte volte, ma questo aiuto deve avere una reale sostanza. Come intendiamo raggiungere quest’obiettivo? Oggi avrei desiderato sentire un piano su come agiremo in merito.
Vorrei inoltre rivolgere un commento al signor Commissario. Ritengo che, nel caso specifico della Siria e della Turchia, dovremmo chiedere di esercitare pressioni come parte dei piani che sembra saranno redatti nei prossimi giorni.
Un ultimo commento finale. La nostra delegazione per le relazioni con i paesi del Mashrek può svolgere un lavoro eccellente in questo contesto e dobbiamo fare quanto possibile per permetterglielo.
Ana Gomes (S&D). – (PT) Signor Presidente, l’Unione europea deve essere coerente nelle proprie dichiarazioni e azioni in merito alle rivolte popolari in Yemen, Siria, Bahrein e in altri paesi del mondo arabo. È in gioco più della sua semplice credibilità: l’efficacia del messaggio che sta inviando alle dittature, oggetto delle proteste insieme agli uomini e alle donne che stanno mettendo a repentaglio le proprie vite per scendere in strada a rivendicare i diritti umani, la giustizia e la democrazia.
L’Unione europea è stata molto ambigua in particolare per quanto riguarda il Bahrein: quest’ambiguità è il riflesso delle contraddizioni presenti in una politica estera con doppi parametri, preoccupata per il petrolio e il rifornimento di armi da parte degli Stati membri non solo al Bahrein, ma anche all’Arabia Saudita, in violazione della posizione comune sull’esportazione di equipaggiamento militare.
Il Parlamento richiede la cessazione immediata della vendita di armi e l’Alto rappresentante invita fermamente le autorità del Bahrein a rendere conto delle persone morte o scomparse durante la repressione delle proteste pacifiche e a porre fine immediatamente alle misure di oscuramento dei media.
Edward McMillan-Scott (ALDE). – (EN) Signor Presidente, ieri sera ho aiutato ad organizzare un’audizione di esperti provenienti dalla regione che ci ha riferito che sino ad ora le vittime in Bahrein per mano delle forze di sicurezza sono almeno 23, in Siria 132 e in Yemen come minimo 63. Si potrebbe quindi chiedere: che cosa può fare l’Unione europea? La risoluzione che verrà adottata domani fornisce alcuni suggerimenti.
Devo tuttavia dire che nei mesi passati il Parlamento europeo ha adottato risoluzioni su Tunisia, Egitto e Libia: il mio ufficio ha confrontato queste risoluzioni con le azioni della Commissione, il suo progetto per il cambiamento, e i risultati non sono incoraggianti. Stiamo sprecando le nostre parole se la Commissione e il Consiglio continuano a non ascoltarci.
Pubblicherò questa analisi nel mio sito web. Il trattato di Lisbona ha conferito al Parlamento europeo maggiori responsabilità e il Parlamento deve essere preso sul serio dagli altri elementi nella politica estera dell’Unione. Specialmente in un periodo di notevoli cambiamenti nel mondo arabo è necessario lavorare insieme.
Pino Arlacchi (S&D). – (EN) Signor Presidente, Siria, Bahrein e Yemen rappresentano tre tirannie che sono state sfidate dai loro stessi cittadini, i quali meritano il nostro sostegno incondizionato. Sino ad ora l’azione dell’Unione europea di fronte all’ondata di democratizzazione nella regione è risultata incerta, senza forza né credibilità. Se vogliamo accrescere entrambi questi elementi, dobbiamo cominciare a eliminare i doppi parametri impiegati in passato.
Abbiamo già sostenuto queste autocrazie in diversi modi: noi europei, insieme alla Russia e agli Stati Uniti, abbiamo venduto loro quasi ogni tipo di armamento e ora ci lamentiamo delle conseguenze derivanti dal nostro commercio di armi con le autocrazie del Golfo in termini di vittime, vittime innocenti delle armi che noi stessi abbiamo venduto loro.
Se vogliamo essere credibili, è necessario rescindere tutti i contratti di armamenti con questi paesi e con il Consiglio di cooperazione del Golfo e richiedere un embargo sulle armi in tutta la regione dell’Africa del Nord e il Medio Oriente. La riduzione nel bilancio militare costituirà un dividendo da investire in un fondo per la transizione democratica.
María Muñiz De Urquiza (S&D). – (ES) Signor Presidente, il cammino storico e irreversibile verso la democrazia nei paesi arabi non è terminato con la ancora fragile transizione avvenuta in Egitto e Tunisia e nemmeno con il sostegno, anch’esso storico, della comunità internazionale per l’attivazione del principio di responsabilità a proteggere la popolazione libica.
La transizione sta continuando in Siria, Yemen e Bahrein e l’Unione europea deve essere presente, imparare dal passato e assumere la leadership nella risposta internazionale attraverso misure di ampia portata, Commissario Füle, quali ad esempio una Politica europea di vicinato ben definita, e tramite misure concrete e immediate. In questo modo la popolazione di questi paesi e i cittadini europei sapranno che non esiste alcuna incrinatura nell’impegno dell’Unione europea per la libertà, la dignità, la democrazia e i diritti umani.
Le autorità di Siria, Yemen e Bahrein devono ricordare che l’uso della violenza da parte dello Stato contro i propri cittadini ha ripercussioni immediate. Devono realizzare che non è sufficiente attuare cambiamenti superficiali nei governi autocratici, ma occorre avviare un dialogo con i movimenti dell’opposizione e la società civile, rilasciare i prigionieri politici, i giornalisti e i difensori dei diritti umani, ponendo subito fine allo stato di emergenza.
Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (EN) Signor Presidente, non dobbiamo distogliere lo sguardo dalle evidenti violazioni dei diritti umani avvenute nei tre paesi in oggetto.
La situazione in Siria è molto grave e la sua posta in gioco è la più alta. In questo paese gli insegnanti, gli attivisti dell’opposizione, i giornalisti e i blogger sono presi come obiettivo; molte persone sono state uccise, molte altre detenute, i giornalisti stranieri sono stati espulsi dal paese, è stato attuato un blocco delle informazioni e non esiste assolutamente alcuna stampa indipendente. Dobbiamo quindi prendere in considerazione l’idea di imporre sanzioni alla Siria.
È necessario valutare azioni di politica in Yemen e in Bahrein: nel primo caso, abbiamo un accordo permanente con il paese sulle esportazioni di armi e dobbiamo contemplarne un’eventuale sospensione.
Discutendo sulla situazione in questi tre paesi, dobbiamo innanzi tutto richiedere una presa di responsabilità; in secondo luogo, occorre convocare sessioni speciali nel Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite a Ginevra…
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Rosario Crocetta (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho vissuto tre anni in Bahrein, dal 1987 e dal 1990. Allora il Bahrein era considerato uno dei paesi più democratici del Golfo e ancora in questi anni lo è stato considerato. Allora uno dice, immaginatevi quello che succede negli altri paesi, visto che l'Arabia Saudita esegue un qualche centinaio di esecuzioni capitali l'anno, visto che in Iran avvengono i peggiori massacri, visto che in tutto il Golfo si uccide regolarmente e c'è la negazione completa della stampa.
Abbiamo fatto oggi la risoluzione su Siria, Yemen e Bahrein, ma quando prepareremo una risoluzione per l'Arabia Saudita, per l'Algeria, per la Cina e per altri paesi che violano i diritti umani nel mondo? Il problema è che io vedo qui nell'Occidente una strana cosa che, da un lato ...
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Marielle De Sarnez (ALDE). – (FR) Signor Presidente, che ruolo deve svolgere l’Europa in paesi dove i cittadini affrontano i regimi e, nonostante ciò, i leader rimangono sordi alle ripetute richieste di maggiore democrazia, vere e proprie riforme strutturali e uno sviluppo più giusto? Questa è la domanda che ci è stata rivolta.
A mio avviso, esiste una prima ed urgente risposta: l’Unione europea deve mostri la propria forza utilizzando l’intero arsenale di sanzioni a sua disposizione per mettere fine alla repressione e ottenere l’immediato rilascio dei prigionieri politici e dei giornalisti, sostenendo al contempo la costituzione di una commissione d’inchiesta indipendente per fare luce sulle violenze perpetrate e la richiesta di una sessione speciale del Consiglio dei diritti umani.
A medio termine, occorre analizzare in modo approfondito le nostre relazioni con questi paesi. L’Unione europea, da ora in poi, deve dimostrare fermamente di essere dalla parte dell’opinione pubblica, dei cittadini e non delle persone al potere.
Per questo, si rende necessario per l’Unione europea creare e condurre un dialogo permanente con tutte le forze della società civile, con quanti vogliono sostenere la democrazia, nonché con i leader dei movimenti di opposizione. Si tratta quindi di un cambiamento profondo…
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Heidi Hautala (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, abbiamo sentito che il Parlamento è seriamente intenzionato ad affrontare le gravi violazioni dei diritti umani nei seguenti tre paesi: Bahrein, Yemen e Siria. Dobbiamo ora apprendere dal servizio europeo per l’azione esterna e dalla Commissione come dimostrare che non stiamo più lavorando sulla base di doppi parametri.
Ci è stato riferito di molte misure concrete, ma abbiamo bisogno di sapere come procedono le operazioni in seno al Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite. L’Unione europea condivide l’esigenza di istituire sessioni speciali su Siria, Bahrein e Yemen?
È stato detto che è giunto il momento di cessare l’esportazione di armi verso questi paesi.
Non possiamo più aspettare: che cosa intendono fare la Commissione e il servizio europeo per l’azione esterna?
Charles Tannock (ECR). – (EN) Signor Presidente, in Siria le forze di sicurezza hanno risposto in modo brutale alle manifestazioni sulle legittime rimostranze mediante un ricorso letale della forza. La belligeranza del Presidente Assad, la sua retorica nei confronti del nostro alleato Israele, il sostegno che offre ai terroristi quali Hezbollah e l’amicizia con l’Iran lo rendono a mio avviso un pericoloso autocrate.
Il Bahrein, al contrario, è una monarchia costituzionale relativamente moderna e progressista. Sfortunatamente, gli estremisti sciiti, ispirati e sostenuti dall’Iran, continuano ad alimentare tensioni settarie e a diffondere una propaganda contro il governo e il re. Quest’ultimo si è impegnato pazientemente ad ascoltare le preoccupazioni dei dimostranti e ad instaurare un dialogo, ma è necessario condannare tutte le uccisioni di manifestanti disarmati.
Sembra infine che nello Yemen il Presidente Saleh, attraverso un uso esagerato della forza, abbia allontanato i principali sostenitori, compresi gli Stati Uniti, nonostante la loro risoluta azione svolta negli anni per estirpare i terroristi di Al-Qaeda. Revocare il sostegno dell’Unione europea nei suoi confronti, senza conoscere quello che succederà dopo, è una strategia ad alto rischio.
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Andrew Henry William Brons (NI). – (EN) Signor Presidente, dobbiamo chiederci cosa sia necessario per ridurre l’impasse politica e alleviare le sofferenze dei cittadini di questi paesi, ma questo presuppone tre elementi: innanzi tutto che sia nelle nostre capacità intervenire, in secondo luogo che sia il nostro ruolo e infine che la situazione attuale non sia ascrivibile in alcun modo alla nostra ingerenza.
Mentre parliamo, il pessimo governo britannico sta consegnando lettere di licenziamento al personale militare del Regno Unito, anche a chi è in servizio attivo. Sarebbe quindi assurdo aspettarsi che altri militari vengano assegnati a ulteriori missioni.
Gli Stati sottoscrivono, spesso tacitamente, un patto solenne con le proprie truppe: inviarli in battaglia e mettere a rischio la loro vita solo qualora gli interessi vitali della nazione o dei cittadini siano a repentaglio. Non abbiamo alcun interesse vitale in questi paesi e vi è ogni ragione per credere che forze esterne associate agli Stati Uniti e ai suoi alleati siano fortemente interessate a destabilizzare la Siria. Non ho alcune istruzioni per il regime ba'athista…
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Paul Rübig (PPE). – (DE) Signor Presidente, a mio avviso, molti giovani che vivono in questi paesi aspirano alla democrazia, alla modernizzazione e alla libertà; dobbiamo tenere in considerazione questo aspetto. Occorre inoltre creare rapporti di amicizia nella regione e non esprimere giudizi generalizzati, ma identificare chi non segue le regole di una società moderna. Per questo è necessario organizzare programmi di scambio per le piccole e medie imprese, gli insegnanti, i professori universitari e i giornalisti. Il nostro compito è di creare amicizie in questi paesi e mi auguro che compiremo presto simili azioni.
Diane Dodds (NI). – (EN) Signor Presidente, signor Ministro, come molti membri di quest’Aula, condivido il senso di orrore per le violenze perpetrate e le violazioni dei diritti umani a cui abbiamo assistito nell’intera regione. Desidero tuttavia cogliere l’occasione per dire, in particolare a lei, signor Ministro, che la sua dichiarazione di oggi a nome dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza dimostra abilmente, e forse meglio di come avremmo mai potuto fare noi, l’insensatezza di questa funzione e i milioni di euro che abbiamo speso per questo.
Il suo messaggio di oggi è giusto: da una parte il rifiuto alla violenza, dall’altra la promozione del dialogo e delle riforme all’interno dei paesi in questione. Francamente, però, in queste situazioni si tratta solo di parole rassicuranti: occorre molto di più di occasionali telefonate e di una dichiarazione che inviti a fare questo, quello e quell’altro. Ritengo che i cittadini in Medio Oriente...
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Zsolt Németh, a nome del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (HU) Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per i vostri interventi. (L’intervento continua in inglese.)
(EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto rispondere nello specifico ad alcune domande in merito al Bahrein.
È stata sollevata la questione dell’ingerenza iraniana negli affari interni del paese, ma non esiste ancora alcuna prova concreta che dimostri l’intromissione dell’Iran nella situazione del paese provocando la radicalizzazione. Chiaramente questo è un rischio e una ragione in più per avviare quanto prima un dialogo nazionale nello Stato per evitare tale possibilità.
Per quanto riguarda l’invasione saudita in Bahrein, vorrei evidenziare che i sei Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) dispongono di un accordo collettivo sulla sicurezza. La presenza dell’Arabia Saudita e di altre forze del Golfo nel Bahrein è stata richiesta nel quadro di tale accordo e messa in atto da più di uno Stato membro del CCG. Questa non è una semplice considerazione legalistica: dobbiamo tenere presente la dimensione regionale nel valutare gli sviluppi in quest’area.
In merito allo Yemen, desidero sottolineare che l’Unione europea ha in parte sospeso la propria assistenza, ad esempio quella rivolta alle attività civili antiterroristiche, perché abbiamo ritenuto necessario un approccio differenziato a tal proposito.
Permettetemi ora di parlare in ungherese per rispondere ad alcune domande.
(HU) L’onorevole Salafranca ha sollevato la questione relativa al risultato della transizione. Desidero evidenziare che non conosciamo ancora quale sarà l’esito della Primavera araba, nessuno lo sa e sino a qualche mese fa, non sapevamo neppure che potesse verificarsi una simile reazione a catena. Al momento l’esito definitivo della Primavera araba non è definito e dipenderà in gran parte da noi. Vorrei rispondere così all’onorevole Salafranca: il risultato finale della Primavera araba dipenderà in gran parte anche da noi.
Le proposte avanzate sono molto utili e i rappresentanti qui presenti della Commissione, del Consiglio e del servizio per l’azione esterna hanno con piacere sostenuto tutte le proposte formulate. Stiamo per rivedere la Politica europea di vicinato e tutte le proposte presentate qui verranno integrate nel riesame della PEV. È stato, quindi, un caso fortuito che non avrà luogo il vertice sul partneriato orientale a Budapest, che avrebbe dovuto tenersi tra un paio di settimane, poiché in questo modo avremo abbastanza tempo per integrare le proposte avanzate nella revisione della Politica europea di vicinato.
Considero fondamentale l’unificazione di questa Politica europea di vicinato, che deve comprendere la sia dimensione orientale sia quella meridionale. Solo se saremo capaci di creare una politica di vicinato unificata, coerente e ben elaborata all’interno dell’Unione europea, potremo essere credibili agli occhi dei nostri vicini meridionali, particolarmente attenti alle nostre parole. Le proposte formulate in merito alla PEV (ad esempio dagli ultimi oratori, gli onorevoli Dodds e Rübig) sottolineano le relazioni civili. Il trattamento prioritario delle relazioni civili, dei rapporti con i cittadini ed in particolare con i giovani figura tra le idee della nostra Politica europea di vicinato.
L’istituzione di nuovi fondi e, se necessario, di fondi di diverso importo deve costituire parte fondamentale della revisione, senza però dimenticare che ogni aspetto richiede un approccio individuale. Vi sono paesi dove l’introduzione di sanzioni o embarghi sulle armi e, in alcuni casi, la mobilitazione di un’azione militare sono già chiaramente inevitabili. Come ben sapete, la Libia non è l’unico Stato nel nostro vicinato meridionale dove è in corso un intervento armato: alcuni giorni fa ve ne è stato uno anche nella Costa d’Avorio. Questo argomento costituisce un tema separato questa sera in quest’Aula, che discuteremo proprio a breve.
Ritengo che i paesi dove l’intervento militare è diventato inevitabile a causa della guerra civile non si debbano confondere con gli Stati oggetto della discussione attuale, sebbene si tratti di paesi autoritari e repressivi che stanno facendo uso della violenza. A mio avviso, l’Alto rappresentante ha inviato un messaggio risoluto a questi Stati in merito al loro atteggiamento violento. L’azione militare in Libia e in Costa d’Avorio deve inviare un messaggio forte a tutti e tre i paesi. Nelle scorse settimane la comunità europea e internazionale ha elaborato una filosofia molto chiara.
Il diritto e la responsabilità di proteggere sono nuovi principi applicati di recente dalla comunità internazionale e devono rappresentare un segnale d’allarme per lo Yemen, il Bahrein e per tutti i regimi autoritari nella regione. Quanto sta ora accadendo, ovvero gli interventi militari, non costituisce un’analogia con l’Iraq, ma piuttosto con il Ruanda o il Kosovo, dove la comunità internazionale è stata costretta ad intervenire per proteggere i cittadini. La comunità internazionale convogliando il messaggio con molta forza a quei paesi che impiegano la violenza contro i propri cittadini.
Onorevoli deputati del Parlamento europeo permettetemi di rispondere brevemente a qualche altra proposta specifica. Trasmetterò la vostra unanime e generale richiesta di convocare una sessione speciale del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite all’Alto rappresentante. Questa proposta costituisce senza dubbio un elemento fondamentale della discussione odierna che merita la nostra considerazione. Comunicherò inoltre all’Alto rappresentante la altrettanto chiara e consensuale opinione sull’esportazione delle armi, espressa oggi in questa sede. Ritengo necessario creare un adeguato equilibrio tra la cooperazione e le sanzioni in relazione a questi tre gruppi di Stati.
Si tratta certamente di un compito particolare quando non si tratta dell’applicazione di sanzioni e dell’intervento militare, ma piuttosto della cooperazione e, se necessario, di qualche sanzione nei confronti di un gruppo di paesi. Ritengo inoltre importanti le affermazioni dell’onorevole Oomen-Ruijten secondo cui un’Unione europea forte deve poter contare fermamente sulla Turchia nella elaborazione della propria politica sulla regione. Vi ringrazio per le discussioni, i commenti, gli interventi e le domande.
Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 110, paragrafo 2, del regolamento.(1)
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Dominique Baudis (PPE), per iscritto. – (FR) La risoluzione sulla situazione in Siria, Bahrein e Yemen denuncia giustamente la brutale e criminale repressione perpetrata, le cui vittime sono proprio i manifestanti di questi tre paesi. I leader di Siria, Bahrein e Yemen stanno impartendo l’ordine di sparare contro i propri cittadini che legittimamente richiedono libertà politica, dignità umana ed equità sociale. Con la presente risoluzione, il Parlamento europeo esprime fermamente la propria solidarietà nei confronti dei cittadini di Siria, Bahrein e Yemen, che stanno dando prova di grande coraggio manifestando le loro aspirazioni e affrontando le forze governative che aprono il fuoco su civili disarmati.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Oltre alla fede islamica, Siria, Bahrein e Yemen sono accomunati da un altro elemento: un regime autoritario, indipendentemente dal fatto che il leader sia un re, un presidente o il clan Assad. In termini occidentali, questi sono indubbiamente sistemi non democratici. Crescenti tendenze rivoluzionarie, come quelle in Egitto o in Tunisia, vengono bloccate sul nascere e la democrazia e i diritti umani sono completamente ignorati. In Yemen, ad esempio, il 37 per cento delle ragazze minorenni sono obbligate a sposarsi, attestando il paese al secondo posto nel mondo dopo la Somalia. I governi dei tre Stati devono dimostrare che stanno lavorando per i propri cittadini e non contro di loro. Per decenni l’Unione europea ha sostenuto e corteggiato paesi di questo tipo per il proprio tornaconto economico e geopolitico. È necessario che l’Unione europea combatta più fermamente in favore della democrazia e dei diritti umani, opponendosi al contempo al processo di islamizzazione radicale in questi luoghi.
Kristiina Ojuland (ALDE), per iscritto. – (EN) Sebbene la situazione in Siria, Bahrein e Yemen richieda un intervento urgente, desidero richiamare la vostra attenzione sulle allarmanti circostanze in Libano, dove sette cittadini estoni sono tenuti prigionieri. Vorrei ringraziare la baronessa Ashton per la pronta risposta e la rassicurazione di due settimane fa sul fatto che la questione verrà trattata al livello più alto possibile nell’Unione europea. Ci è giunta ora notizia che i rapitori, che rivendicano di essere membri del “movimento per la rinascita e le riforme”, hanno consegnato una oscura lettera di riscatto nella quale affermano che annunceranno in seguito le loro richieste. I sette cittadini estoni, si dice, sono vivi. Desidero inviare un appello alla baronessa Ashton affinché si adoperi per la risoluzione della crisi degli ostaggi in qualità di Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Sono in gioco le vite di cittadini europei e questo richiede l’immediata attenzione del servizio europeo per l’azione esterna, rappresentando al contempo una opportunità per la baronessa Ashton di dimostrare la pasta di cui è fatta.