Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 sulla situazione in Bangladesh (2013/2561(RSP))
Il Parlamento europeo,
– viste le sue precedenti risoluzioni sul Bangladesh, in particolare quelle del 17 gennaio 2013(1), del 6 settembre 2007(2) e del 10 luglio 2008(3),
– visto l'accordo di cooperazione tra la Comunità europea e la Repubblica popolare del Bangladesh sul partenariato e sullo sviluppo,(4)
– vista la legge relativa al Tribunale penale internazionale, adottata dal parlamento bangladese nel 1973 al fine di disporre la detenzione, il perseguimento penale e la condanna di persone per genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e altri reati a norma del diritto internazionale,
– viste le dichiarazioni rese dal portavoce dell'Alto rappresentante Catherine Ashton il 22 gennaio 2013 sulla sentenza di morte pronunciata dal Tribunale penale internazionale del Bangladesh e il 2 marzo 2013 sugli episodi di violenza in Bangladesh,
– vista la dichiarazione comune resa il 7 febbraio 2013 dal relatore speciale delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie e dal relatore speciale delle Nazioni Unite sull'indipendenza dei giudici e degli avvocati,
– visti i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla Dichiarazione di Vienna e dal programma d'azione della Conferenza mondiale sui diritti umani del 1993 nonché dalla Dichiarazione di Copenaghen sullo sviluppo sociale e dal relativo programma d'azione del 1995,
– visto il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici,
– visti l'articolo 122, paragrafo 5, e l'articolo 110, paragrafo 4, del suo regolamento,
A. considerando che l'Unione europea intrattiene da tempo buone relazioni con il Bangladesh, anche attraverso l'accordo di cooperazione sul partenariato e sullo sviluppo;
B. considerando che, per tenere fede a una promessa centrale della sua campagna elettorale, il governo della lega Awami, capeggiato dal primo ministro Sheik Hasina, ha istituito un tribunale per i crimini di guerra al fine di indagare sui massacri perpetrati durante i nove mesi di guerra di secessione, nel 1971, fra il Pakistan orientale e il Pakistan occidentale, in cui sono state uccise fra 300 000 e tre milioni di persone e sono state stuprate circa 200 000 donne;
C. considerando che, quarant'anni dopo, il trauma provocato da uno dei più gravi eccidi della storia turba ancora l'esistenza di numerosi bangladesi, ai quali i procedimenti giudiziari intendono offrire un'importante occasione di riconoscimento e risarcimento delle sofferenze subite;
D. considerando che il 21 gennaio 2013 il Tribunale penale internazionale (TPI) ha pronunciato il suo verdetto nei confronti di Abdul Kalam Azad per crimini contro l'umanità commessi durante la guerra d'indipendenza del 1971, condannandolo alla pena di morte dopo averlo processato in contumacia;
E. considerando che il 5 febbraio 2013 il TPI ha condannato Abdul Qader Mollah all'ergastolo scatenando una protesta caratterizzata da grande partecipazione emotiva, ma in larga misura pacifica e in prevalenza di giovani, che hanno manifestato all'incrocio di Shahbagh a Dacca; che il cosiddetto «movimento di Shahbagh» chiedeva l'applicazione della pena di morte nella sentenza, come pure una società e una politica libere dall'estremismo religioso;
F. considerando che, all'indomani delle proteste, il governo ha modificato la legge del 1973 relativa al TPI, introducendo una disposizione che consente di presentare un ricorso contro un verdetto emesso dal Tribunale; che la sentenza del Tribunale nei confronti di Abdul Qader Mollah può quindi essere trasformata in una sentenza di morte; che questo tipo di legislazione retroattiva viola le norme in materia di giusto processo, compromette la legittimità dell'attività del TPI e trasgredisce al divieto di doppia condanna (ne bis in idem) del diritto internazionale, un principio che è inoltre sancito dall'articolo 14, paragrafo 7, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, di cui il Bangladesh è parte;
G. considerando che diversi leader del partito governativo della Lega Awami, tra cui il ministro dell'Interno, hanno sostenuto le richieste del movimento di Shahbagh, proponendo di bandire il partito Jamaat-e-Islami e di far chiudere i canali di diffusione dei mezzi d'informazione collegati a tale partito;
H. considerando che il 28 febbraio 2013 il TPI ha comunicato la decisione di condannare a morte Delwar Hossain Sayeedim, vicepresidente del partito Jamaat-e-Islami, per accuse che includono la persecuzione della minoranza indù;
I. considerando che la situazione si è ulteriormente aggravata a seguito di quest'ultimo verdetto, che ha scatenato violente proteste fra i sostenitori del partito Jamaat-e-Islami, culminate nella morte di oltre 60 persone; che, in base a informazioni fornite da ONG, la polizia ha reagito alle aggressioni di membri e sostenitori del partito Jamaat-e-Islami anche utilizzando munizioni cariche;
J. considerando che, in base alle segnalazioni, alcuni attivisti del partito Jamaat-e-Islami e sostenitori del partito nazionalista bangladese hanno recentemente compiuto attacchi contro più di 40 templi, abitazioni e negozi indù in tutto il Bangladesh, lasciando centinaia di persone senza casa; che le minoranze, indù e non, del Bangladesh (come ad esempio la comunità Ahmadiyya) hanno subito a più riprese periodi di violenze e persecuzioni, in particolare durante la guerra d'indipendenza del 1971 e in seguito alle elezioni del 2001, e che ciò ha portato circa 900 000 indù a lasciare il paese fra il 2001 e il 2011;
K. considerando che il TPI sta svolgendo procedimenti giudiziari relativi a diverse altre cause e che gli imputati rischiano seriamente di essere dichiarati colpevoli e condannati a morte;
L. considerando che il relatore speciale delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie e il relatore speciale delle Nazioni Unite sull'indipendenza dei giudici e degli avvocati, come pure organizzazioni per i diritti umani, hanno manifestato preoccupazione sulle presunte carenze del tribunale per quanto concerne i principi del giusto processo e del rispetto delle procedure, con particolare riferimento al fatto che uno dei processi è stato celebrato in contumacia;
1. è profondamente preoccupato per la recente esplosione di violenza in Bangladesh a seguito delle sentenze del TPI ed esprime il suo cordoglio per le vittime;
2. porge le condoglianze ai familiari e conoscenti di quanti sono stati uccisi e feriti come conseguenza delle violenze;
3. riconosce il bisogno di riconciliazione, giustizia e assunzione di responsabilità per i reati commessi durante la guerra d'indipendenza del 1971; sottolinea il ruolo importante del TPI al riguardo;
4. ribadisce tuttavia la sua ferma opposizione alla pena di morte, in tutti i casi e in ogni circostanza;
5. invita le autorità bangladesi a convertire tutte le sentenze di morte, a proseguire la tendenza positiva del 2012, anno in cui non vi sono state esecuzioni, e a introdurre una moratoria ufficiale sulle esecuzioni come primo passo verso l'abolizione della pena capitale;
6. deplora le supposte irregolarità nel funzionamento del TPI, come le presunte intimidazioni, le molestie e le sparizioni forzate di testimoni, nonché le prove di collaborazione illecita fra i giudici, i pubblici ministeri e il governo; insiste, in particolare, sulla necessità che le autorità preposte all'applicazione della legge rafforzino le misure intese a garantire una protezione efficace ai testimoni;
7. invita il governo bangladese a garantire che il TPI aderisca rigorosamente alle norme giudiziarie nazionali e internazionali; sottolinea, a tale proposito, la garanzia di processi liberi, equi e trasparenti e il diritto di protezione, verità, giustizia e risarcimento che spetta alle vittime;
8. invita il governo bangladese a raddoppiare gli sforzi per applicare lo Stato di diritto e l'ordine pubblico; ricorda l'obbligo di rispettare gli impegni internazionali assunti in materia di diritti umani;
9. condanna strenuamente le violenze commesse dai sostenitori del partito Jamaat-e-Islami e di partiti ad esso affiliati contro funzionari delle forze dell'ordine, contro quanti sostengono le sentenze del TPI e contro minoranze religiose ed etniche; condanna con vigore qualsiasi violenza indiscriminata rivolta ai comuni cittadini;
10. esprime la sua preoccupazione per l'elevato numero di vittime; invita il governo a ordinare alle forze di sicurezza di rispettare rigorosamente l'obbligo di osservare la massima moderazione ed evitare l'uso letale della forza, nonché a indagare sulla morte di tutti coloro che sono stati uccisi durante le manifestazioni;
11. sollecita le autorità bangladesi a garantire che sia condotta un'indagine imparziale per tutte le denunce relative a torture e maltrattamenti e che i responsabili vengano assicurati alla giustizia;
12. esorta tutti i leader politici del paese a disinnescare le tensioni politiche onde evitare ulteriori violenze e a richiamare all'ordine i propri sostenitori affinché si astengano dal partecipare a episodi di violenza; invita tutti i partiti politici del Bangladesh ad avviare un dialogo reciproco;
13. invita la stampa ad astenersi dall'incitazione allo scontro e alla violenza; esorta il governo a garantire che giornalisti ed editori siano in grado di esprimere le loro opinioni pacificamente senza dover subire molestie, intimidazioni, detenzioni o torture;
14. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al Servizio europeo per l'azione esterna, al Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Rappresentante speciale dell'Unione europea per i diritti umani nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, al Segretario generale delle Nazioni Unite, al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e al governo e al parlamento del Bangladesh.