La politica comune della pesca: nascita ed evoluzione

La politica comune della pesca (PCP) ha fatto molta strada dalla sua prima formulazione nel trattato di Roma. Collegata inizialmente alla politica agricola comune, ha gradualmente sviluppato un'identità distinta. Il nucleo della PCP, ossia la conservazione e la gestione degli stock ittici, è stato introdotto nel 1983. La politica è stata riformata nel 1992, 2002 e 2013. Il quadro attuale, frutto della riforma del 2013, mira a garantire la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle attività di pesca dell'UE.

Base giuridica

Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), articoli 3, 4, 38, 44 e 218.

Regolamento (UE) n. 1380/2013, dell'11 dicembre 2013, relativo alla politica comune della pesca ("regolamento di base").

Regolamento (UE) n. 1379/2013, dell'11 dicembre 2013, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura (regolamento OCM).

Obiettivi

L'obiettivo generale della PCP è garantire che le attività di pesca e di acquacoltura siano sostenibili dal punto di vista ambientale nel lungo termine, siano gestite in modo coerente con il conseguimento di benefici a livello economico, sociale e occupazionale e contribuiscano alla disponibilità dell'approvvigionamento alimentare. Per garantire uno sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche, la PCP deve applicare un approccio precauzionale alla gestione della pesca. Deve inoltre applicare un approccio ecosistemico alla gestione della pesca al fine di garantire che gli impatti negativi delle attività di pesca sull'ecosistema marino siano ridotti al minimo e che le attività di acquacoltura e pesca evitino di degradare l'ambiente marino.

Contesto

La politica della pesca è stata introdotta nel diritto dell'UE nel 1958, con il trattato di Roma, anche se solo nel quadro della politica agricola comune e seguendo gli obiettivi di quest'ultima. I primi elementi di una politica della pesca distinta sono stati introdotti nel 1970, con l'adozione di una legislazione che istituiva un'organizzazione comune dei mercati per i prodotti della pesca e una politica strutturale relativa alla pesca. Sempre nel 1970 la Comunità ha adottato il principio fondamentale della parità di accesso degli Stati membri alle risorse alieutiche nelle rispettive acque, che all'epoca si estendeva per 12 miglia nautiche dalla costa.

La pesca ha svolto un ruolo importante nei negoziati che hanno portato all'adesione del Regno Unito, dell'Irlanda e della Danimarca nel 1973. I negoziati hanno concesso una deroga temporanea di 10 anni al principio della parità di accesso, riservando le acque di uno Stato membro, entro le 12 miglia, alla flotta peschereccia locale. Alcuni anni dopo, gli Stati membri hanno concordato un'estensione della loro giurisdizione lungo le coste atlantiche e del Mare del Nord della Comunità e, nel 1977, hanno dichiarato una zona economica esclusiva (ZEE) di 200 miglia nautiche. L'istituzione della ZEE ha riconosciuto agli Stati membri la giurisdizione sulle nuove risorse di pesca, aperte a tutti gli Stati membri in base al principio della parità di accesso. È nata così l'esigenza di gestire tali risorse comuni e di individuare un criterio per distribuire i diritti di pesca tra gli Stati membri.

Nel 1983, dopo diversi anni di difficili negoziati, il Consiglio ha adottato il regolamento (CEE) n. 170/83, che stabilisce i principi per la gestione delle risorse comuni, e il regolamento (CEE) n. 171/83, che stabilisce misure tecniche per la loro conservazione. Ciò ha segnato la creazione del nucleo centrale della PCP: la conservazione e la gestione della pesca comune. La PCP si basava su un sistema di limiti di cattura (denominati "totali ammissibili di catture" o TAC), che doveva essere deciso annualmente dal Consiglio. I TAC sono stati ripartiti tra gli Stati membri sotto forma di contingenti, secondo una formula di percentuali fisse, stabili nel tempo, nota come "stabilità relativa". La PCP ha integrato la deroga al principio della parità di accesso alle acque costiere nella zona delle 12 miglia per un periodo di 10 anni, consentendo agli Stati costieri di riservare ai propri cittadini l'accesso alle prime 6 miglia e consentendo il proseguimento delle attività di pesca da parte di altri Stati membri nella zona compresa tra 6 e 12 miglia. Da allora la deroga è stata mantenuta e sistematicamente rinnovata ogni 10 anni.

La PCP è stata avviata nelle circostanze che caratterizzavano l'inizio degli anni '80: una Comunità di soli 10 Stati membri, con acque comuni meno estese rispetto ad oggi e stock ittici relativamente abbondanti. Molte cose sono cambiate nel corso del tempo. Lo stato di molti stock si è deteriorato, le dimensioni e la struttura del settore della pesca sono cambiate, le questioni ambientali hanno assunto particolare importanza e i concetti di buona governance si sono evoluti, sommandosi all'impatto di importanti eventi politici come le successive ondate di allargamento e, più recentemente, il recesso del Regno Unito. La PCP ha dovuto adattarsi a una serie di eventi che hanno avuto un impatto significativo sul settore della pesca dell'UE.

Le riforme

Dalla sua istituzione, la PCP è stata riformata tre volte, nel 1992, nel 2002 e nel 2013.

1. La riforma del 1992

La prima revisione, espressa nel regolamento (CEE) n. 3760/92, ha cambiato relativamente poco le modalità di gestione della PCP. Tuttavia, ha introdotto concetti quali la regolamentazione dello sforzo di pesca e la gestione pluriennale, che sono stati applicati successivamente, diventando componenti importanti del sistema di gestione. L'accesso alle risorse era previsto anche tramite un efficace sistema di concessione delle licenze.

Sebbene la riforma non riguardasse la gestione della flotta peschereccia, il graduale riconoscimento del grave squilibrio tra la capacità della flotta e il potenziale di cattura (noto come sovraccapacità) ha portato ad affrontare il problema, riducendo le flotte degli Stati membri attraverso piani di orientamento pluriennali.

2. La riforma del 2002

La riforma del 2002 può essere vista come una transizione da una fase iniziale di sviluppo della politica basata su elementi relativamente eterogenei a una forma più coerente di gestione integrata. Il regolamento (CE) n. 2371/2002 ha posto nuovamente l'accento sulla gestione della pesca a lungo termine, introducendo piani di ricostituzione pluriennali per gli stock scesi al di sotto del limite biologico di sicurezza e piani di gestione pluriennali per gli altri stock. Attraverso la creazione di consigli consultivi regionali, ha dato ai pescatori e ad altri gruppi interessati dalla PCP (come esperti scientifici, rappresentanti di altri settori legati alla pesca e all'acquacoltura, autorità regionali e nazionali, gruppi ambientalisti e consumatori) maggiore voce in capitolo nelle decisioni che li riguardano. Inoltre, il regolamento (CE) n. 2369/2002 ha sospeso gli aiuti alla flotta per la costruzione di nuovi pescherecci, modificando le norme in materia di assistenza strutturale al settore. La riforma ha inoltre posto fine ai piani di orientamento pluriennali e li ha sostituiti con l'obbligo per gli Stati membri di adattare la capacità di pesca delle loro flotte per allinearle alle possibilità di pesca.

Tuttavia, i risultati della riforma del 2002 sono stati deludenti dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Non si sono registrati progressi concreti nella ricostituzione degli stock ittici. Le catture hanno continuato a diminuire mentre la capacità di pesca è aumentata, amplificando la fragilità economica del settore. Il settore è stato colpito anche dall'aumento delle importazioni, dalla volatilità dei prezzi dei carburanti e dalla crisi finanziaria. Allo stesso tempo, alcuni problemi significativi, come la questione dei rigetti, non sono stati esaminati in modo adeguato.

3. La riforma del 2013

La più recente riforma della PCP, che ha plasmato il quadro attuale con il regolamento (UE) n. 1380/2013, è stata adottata nel dicembre 2013. Il suo obiettivo era garantire che le attività di pesca dell'UE siano sostenibili dal punto di vista ambientale a lungo termine e che la loro gestione sia coerente con il conseguimento di benefici economici, sociali e occupazionali. La riforma del 2013 ha introdotto l'obiettivo di conseguire lo sfruttamento di tutti gli stock a livelli sostenibili. Ciò significa che gli stock ittici dovranno essere ricostituiti e mantenuti al di sopra dei livelli in grado di produrre il rendimento massimo sostenibile (MSY), ossia la quantità massima di pesce che può essere prelevata da uno stock senza incidere sul processo di riproduzione. La riforma del 2013 ha fornito diversi strumenti importanti per conseguire tale obiettivo. I piani pluriennali sono diventati uno strumento di conservazione prioritario. Essi definiscono il quadro per la gestione a lungo termine degli stock, per tipo di pesca e bacino marittimo, e comprendono obiettivi quantificabili (come i tassi di mortalità per pesca e la biomassa riproduttiva), oltre a misure di salvaguardia per garantire il conseguimento degli obiettivi quantificabili. La riforma ha introdotto inoltre l'obbligo di sbarco per tutte le catture, concepito per porre fine agli sprechi derivanti dalla dannosa pratica di rigettare in mare le catture accidentali, composte di solito da esemplari morti. Un altro aspetto della riforma del 2013 è la regionalizzazione del processo decisionale, con la possibilità di adottare misure di conservazione in uno specifico bacino marittimo, sulla base di raccomandazioni comuni degli Stati membri interessati. Quanto alla capacità della flotta, gli Stati membri sono tenuti ad adattare le loro capacità di pesca mediante piani nazionali, affinché siano equilibrate rispetto alle loro possibilità di pesca.

Adottato nello stesso periodo, il regolamento (UE) n. 1379/2013 ha stabilito le norme relative all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura. Il regolamento ha attribuito al settore una maggiore responsabilità nella gestione della fornitura di prodotti della pesca e si concentra sui piani di produzione e di commercializzazione delle organizzazioni di produttori riconosciute. Mirava inoltre a migliorare l'etichettatura per aiutare i consumatori a compiere scelte migliori quando acquistano prodotti della pesca. Ciò significa che gli attuali requisiti per l'etichettatura di tali prodotti sono più severi di quelli previsti per altri prodotti alimentari.

La tendenza a riformare la PCP ogni dieci anni è stata modificata quando la deroga sulla parità di accesso alle acque costiere, che scadeva alla fine del 2022, è stata rinnovata per altri 10 anni in assenza di una riforma della PCP. Il 21 febbraio 2023 la Commissione ha pubblicato una relazione di attuazione sulla PCP, nell'ambito di un più ampio "pacchetto pesca e oceani", che comprendeva anche una relazione di attuazione sull'organizzazione comune dei mercati, un "piano d'azione per gli ecosistemi marini" volto a conciliare la protezione dell'ambiente marino e la pesca e un piano d'azione sulla transizione energetica del settore della pesca e dell'acquacoltura dell'UE. La relazione sulla PCP ritiene che l'attuale regolamento di base sia adatto allo scopo e propone miglioramenti in diverse aree della sua attuazione, come una migliore considerazione della dimensione sociale della PCP, l'applicazione di un approccio ecosistemico più ampio per passare alla definizione di TAC pluriennali e una maggiore trasparenza dei criteri utilizzati dagli Stati membri per l'assegnazione dei contingenti.

Ruolo del Parlamento europeo

Il trattato di Lisbona ha introdotto un radicale cambiamento nel processo decisionale della PCP: la codecisione tra il Consiglio e il Parlamento è diventata la procedura legislativa ordinaria ai sensi dell'articolo 43, paragrafo 2, TFUE, sostituendo la precedente procedura di consultazione (regolamento del Consiglio con parere non vincolante del Parlamento). L'unica eccezione alla procedura legislativa ordinaria per la conservazione delle risorse della pesca riguarda la fissazione e la ripartizione delle possibilità di pesca (vale a dire i TAC e i contingenti) che, ai sensi dell'articolo 43, paragrafo 3, TFUE rimangono di competenza del Consiglio. Il trattato di Lisbona stabilisce inoltre che occorre ottenere l'approvazione del Parlamento per l'adozione di accordi di pesca dell'UE con paesi terzi o organizzazioni internazionali (articolo 218 TFUE).

Poco dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, i maggiori poteri legislativi del Parlamento gli hanno permesso di svolgere un ruolo importante nella definizione della riforma della PCP. Nell'ultimo decennio il Parlamento ha supervisionato l'attuazione della riforma e ha contribuito alla definizione delle norme che disciplinano le attività dei settori della pesca e dell'acquacoltura dell'UE.

Il Parlamento ha regolarmente preso posizione su un'ampia gamma di aspetti dell'attuale PCP, in particolare in una serie di recenti risoluzioni:

Tra le ricerche condotte di recente per la commissione per la pesca in relazione agli sviluppi della PCP in corso figurano i seguenti studi:

 

Rudolfs Verdins / Irina Popescu