Storia dell'Unione economica e monetaria
L'Unione economica e monetaria (UEM) è il risultato dell'integrazione economica dell'Unione europea. Una moneta comune, l'euro, è stata messa in circolazione nella zona euro, che comprende attualmente 20 Stati membri dell'Unione. Tutti gli Stati membri dell'UE – ad eccezione della Danimarca – devono adottare l'euro una volta soddisfatti i criteri di convergenza. La politica monetaria unica è definita dall'Eurosistema, che comprende il comitato esecutivo della Banca centrale europea e i governatori delle banche centrali della zona euro.
Base giuridica
- Articolo 3 del trattato sull'Unione europea (TUE); articoli 3, 5, 119-144, 219 e 282-284 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
- Protocolli allegati ai trattati: protocollo n. 4 sullo statuto del sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea; protocollo n. 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi; protocollo n. 13 sui criteri di convergenza; protocollo n. 14 sull'Eurogruppo; protocollo n. 16 che contiene la clausola di non-partecipazione per la Danimarca;
- I trattati intergovernativi comprendono il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, il patto euro plus e il trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità (MES).
Obiettivi
L'UEM è stata concepita per promuovere una crescita economica sostenibile e un alto livello di occupazione attraverso idonee politiche economiche e monetarie. Ciò include tre ambiti principali:
- attuare una politica monetaria avente per fine la stabilità dei prezzi;
- evitare possibili effetti di ricaduta dovuti a finanze pubbliche non sostenibili, prevenire la comparsa di squilibri macroeconomici negli Stati membri e permettere a questi ultimi di coordinare tra loro, in una certa misura, le rispettive politiche economiche;
- assicurare la garanzia del buon funzionamento del mercato interno.
Risultati ottenuti
L'euro fa già parte della vita quotidiana in 20 Stati membri dell'Unione europea. La moneta unica presenta una serie di vantaggi, tra cui la riduzione dei costi delle transazioni finanziarie, la semplificazione degli spostamenti e il rafforzamento del ruolo dell'Europa a livello internazionale. Contribuisce a completare il mercato interno.
Storia dell'UEM
Nel 1969, in occasione del vertice dell'Aia, i capi di Stato definiscono un nuovo obiettivo dell'integrazione europea: l'Unione economica e monetaria (UEM). Un gruppo guidato dall'allora Primo Ministro lussemburghese Pierre Werner elabora una relazione che delinea la realizzazione di un'Unione economica e monetaria completa nell'arco di dieci anni. Il crollo del sistema di Bretton Woods produce un'ondata di instabilità delle valute estere che mette seriamente a repentaglio le parità fra le valute europee. Il progetto UEM subisce una brusca frenata.
Al vertice di Parigi del 1972 la Comunità tenta di dare nuovo impulso all'integrazione monetaria creando il cosiddetto "serpente nel tunnel": un meccanismo di fluttuazione concertata delle monete nazionali (il "serpente") entro margini di fluttuazione ristretti rispetto al dollaro statunitense (il "tunnel"). Tuttavia, destabilizzato dalle crisi petrolifere, dalla debolezza del dollaro e dalle divergenze tra le politiche economiche, il "serpente" monetario perde la maggior parte dei suoi membri in meno di due anni riducendosi a una sorta di "area del marco tedesco", comprendente la Germania, i paesi del Benelux e la Danimarca.
Gli sforzi per creare un'area di stabilità monetaria riprendono con il vertice di Bruxelles nel 1978 e la creazione del sistema monetario europeo (SME), basato sul concetto di tassi di cambio fissi ma aggiustabili. Le monete di tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno Unito, partecipano al meccanismo dei tassi di cambio noto come ERM I. I tassi di cambio sono basati su tassi centrali rispetto all'ECU (unità monetaria europea), ossia sull'unità di conto europea, che consisteva in una media ponderata delle monete partecipanti. Nell'arco di dieci anni lo SME contribuisce in ampia misura a ridurre la variabilità dei tassi di cambio: la flessibilità del sistema, unitamente alla volontà politica di conseguire la convergenza economica, conduce alla stabilità monetaria.
Con l'adozione del programma sul mercato unico nel 1985, diventa sempre più chiaro che il potenziale del mercato interno non può essere pienamente realizzato finché continuano a persistere costi di transazione relativamente alti, collegati alla conversione delle valute e alle incertezze causate dalle fluttuazioni del tasso di cambio, per quanto piccole.
Nel 1988 il Consiglio europeo di Hannover istituisce un comitato incaricato di studiare l'UEM, presieduto da Jacques Delors, l'allora presidente della Commissione europea. Il rapporto elaborato dal comitato (il "rapporto Delors"), presentato nel 1989, enuncia misure concrete per l'introduzione dell'UEM in tre fasi. In particolare, sottolinea la necessità di coordinare meglio le politiche economiche, di stabilire norme fiscali atte a fissare limiti per i disavanzi dei bilanci nazionali e di creare una nuova istituzione indipendente responsabile della politica monetaria dell'Unione: la Banca centrale europea (BCE). Sulla base del rapporto Delors, il Consiglio europeo di Madrid decide nel 1989 di lanciare la prima fase dell'UEM, ovvero la completa liberalizzazione dei movimenti di capitali entro il 1º luglio 1990.
Nel dicembre 1989 il Consiglio europeo di Strasburgo convoca una conferenza intergovernativa incaricata di individuare le modifiche da apportare al trattato per conseguire l'UEM. I lavori della Conferenza intergovernativa sfociano nel trattato sull'Unione europea, formalmente adottato nel Consiglio europeo di Maastricht del dicembre 1991 ed entrato in vigore il 1º novembre 1993.
Il trattato prevede l'introduzione dell'UEM in tre fasi (alcune date chiave vengono lasciate aperte per essere fissate in successivi vertici europei in funzione dell'evoluzione degli eventi):
- prima fase (dal 1º luglio 1990 al 31 dicembre 1993): introduzione della libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri;
- seconda fase (dal 1º gennaio 1994 al 31 dicembre 1998): convergenza delle politiche economiche degli Stati membri e rafforzamento della cooperazione fra le banche centrali degli Stati membri. Il coordinamento delle politiche monetarie viene istituzionalizzato con la creazione dell'Istituto monetario europeo (IME);
- terza fase (iniziata il 1º gennaio 1999): attuazione di una politica monetaria comune sotto l'egida dell'Eurosistema sin dal primo giorno e progressiva introduzione delle banconote e monete in euro in tutti gli Stati membri della zona euro. La transizione alla terza fase è subordinata al conseguimento di un elevato livello di convergenza duratura definito sulla base di un certo numero di criteri stabiliti dai trattati. Le norme di bilancio devono diventare vincolanti e ogni Stato membro che non le rispetta può incorrere in sanzioni. La politica monetaria per la zona euro è affidata all'Eurosistema, composto da sei membri del comitato esecutivo della BCE e dai governatori delle banche centrali nazionali della zona euro.
In linea di principio, aderendo ai trattati tutti gli Stati membri dell'UE convengono di adottare l'euro (articolo 3 TUE e articolo 119 TFUE). Tuttavia non viene fissata nessuna data limite e alcuni Stati membri non soddisfano ancora i criteri di convergenza. Questi Stati membri beneficiano di una deroga provvisoria. Il Regno Unito e la Danimarca notificano inoltre la loro intenzione di non partecipare alla terza fase dell'UEM e, dunque, di non adottare l'euro. Attualmente solo la Danimarca beneficia di un'esenzione per quanto riguarda la sua partecipazione alla terza fase dell'UEM, ma mantiene l'opzione di porre fine alla sua esenzione. Al momento della stesura della presente nota, 20 dei 27 Stati membri hanno adottato l'euro.
A seguito della crisi del debito sovrano in Europa nel 2009-2012, i leader dell'UE si impegnano a rafforzare l'UEM, anche migliorandone il quadro di governance. Una modifica del trattato, riguardante l'articolo 136 TFUE, consente la creazione di un meccanismo di sostegno permanente per gli Stati membri in difficoltà, a condizione che il meccanismo sia basato su un trattato intergovernativo, che sia minacciata la stabilità della zona euro nel suo complesso e che il sostegno finanziario sia legato a una rigorosa condizionalità. Ciò porta all'istituzione del meccanismo europeo di stabilità (MES) intergovernativo nell'ottobre 2012, che sostituisce diversi meccanismi ad hoc. Inoltre, il presidente della BCE Mario Draghi annuncia nel 2012 che "nell'ambito del nostro mandato, la BCE è pronta a fare tutto il necessario per preservare l'euro". A tal fine la BCE crea uno strumento per le operazioni definitive monetarie (OMT). L'OMT permette alla BCE di comprare le obbligazioni sovrane di uno Stato membro in difficoltà, a condizione che il paese firmi un memorandum d'intesa con il MES, subordinando indirettamente il sostegno della BCE a condizioni rigorose che solitamente comprendono una sostanziale riduzione delle spese dello Stato e l'obbligo di riforme strutturali profonde. Per evitare il ripetersi di una crisi del debito sovrano viene potenziata la legislazione secondaria dell'UEM. Viene istituito il semestre europeo, che rafforza il patto di stabilità e crescita (PSC), introduce la procedura per gli squilibri macroeconomici (PSM) e mira a rafforzare ulteriormente il coordinamento delle politiche economiche. Il miglioramento del quadro di governance economica viene integrato da trattati intergovernativi, come il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria ("patto di bilancio") e il patto euro plus.
Un primo tentativo di elevare ulteriormente l'UEM viene proposto dalla Commissione nel suo piano per un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita nel 2012. L'obiettivo ultimo sarebbe l'istituzione di un'unione politica. Un'altra iniziativa del 2012, la meno ambiziosa "relazione dei quattro presidenti", non riesce ad avviare modifiche sostanziali al quadro di governance economica dell'UEM. Nel 2015, traendo ispirazione dal piano per un'UEM autentica e approfondita, i presidenti della Commissione, del Consiglio europeo, dell'Eurogruppo, della BCE e del Parlamento europeo pubblicano una relazione intitolata "Completare l'Unione economica e monetaria in Europa" (conosciuta come "relazione dei cinque presidenti"). La relazione delinea un piano di riforme volto a realizzare una reale unione economica, finanziaria, fiscale e politica in tre fasi (da portare a termine al più tardi entro il 2025). Tuttavia, per realizzare appieno i grandi progetti del piano o della "relazione dei cinque presidenti", sarebbe necessario modificare in modo sostanziale i trattati dell'UE. Poiché da allora non sono state apportate modifiche ai trattati, i progetti più ambiziosi non hanno potuto essere realizzati.
La crisi economica indotta dalla pandemia di COVID-19 mette le finanze pubbliche sotto pressione considerevole. Nel marzo 2020 il Consiglio attiva la clausola di salvaguardia generale del patto di stabilità e crescita per dare agli Stati membri un periodo di tempo limitato in cui possono aumentare il loro debito pubblico oltre i vincoli delle regole di bilancio. Ciò consente, tra l'altro, di superare temporaneamente il rapporto debito/PIL del 60 % senza rischiare sanzioni dell'UE. Tuttavia, agli Stati membri che presentano già un rapporto debito/PIL molto elevato è chiesto di usare estrema cautela nell'aumentare il loro debito. Anche con l'attivazione della clausola di salvaguardia generale, l'imposizione di sanzioni è ancora possibile nel quadro del patto di stabilità e crescita. Sempre nel marzo 2020 la BCE inizia il programma di acquisto per l'emergenza pandemica (PEPP), che comprende l'acquisto di grandi quantità di debito sovrano sui mercati secondari. Questo fornisce liquidità ai mercati ed è progettato per evitare l'emergere di ampi differenziali tra i Bund tedeschi e i titoli di Stato di una serie di Stati membri dell'UE altamente indebitati. Gli importi erogati sono ingenti ma il programma è limitato nel tempo.
Nell'estate del 2021 la BCE conduce una revisione strategica, la prima dal 2003, volta a conseguire un obiettivo di inflazione del 2 % nel medio termine, che consente un superamento temporaneo dell'obiettivo e la presa in considerazione dei cambiamenti climatici nelle decisioni dell'Eurosistema.
Tutti gli effetti combinati di anni di politica monetaria eccessivamente lassista, acuiti ulteriormente dalla situazione economica post-pandemia nonché dalle conseguenze della guerra in Ucraina, soprattutto sotto forma di forti aumenti dei prezzi dell'energia, sono risultati in un aumento storico dell'inflazione nella zona euro, che ha mostrato i primi segni nel 2022. Gli effetti di secondo impatto si sono concretizzati quando la drastica perdita di potere d'acquisto ha determinato una forte domanda di aumenti salariali, dando luogo a una possibile spirale tra salari e prezzi. L'Eurosistema fa un'inversione di rotta sulla sua politica monetaria, riducendo gli acquisti di attività e aumentando i tassi di interesse. In risposta ai timori di spread eccessivi per le obbligazioni sovrane dei paesi ad alto debito, nel luglio 2022 la BCE annuncia uno "strumento anti-frammentazione", lo strumento di protezione del meccanismo di trasmissione della politica monetaria (Transmission Protection Instrument, TPI).
Dopo due anni di aumenti ricorrenti dei tassi di interesse, nel 2023 l'inflazione nella zona euro ha iniziato a diminuire. Tuttavia, al momento della pubblicazione della presente nota, l'inflazione rimane al di sopra dell'obiettivo del 2 %. Nel 2024 i tassi di interesse potrebbero essere ridotti, sebbene la BCE stia monitorando attentamente la possibilità di effetti di secondo impatto dovuti agli aumenti salariali. Nell'estate del 2022 all'interno dell'Eurosistema e tra gli Stati membri della zona euro prende slancio un dibattito su eventuali modifiche al patto di stabilità e crescita. Nonostante la netta divergenza fra le posizioni degli Stati membri, emerge comunque un consenso per concedere più tempo ai paesi con un debito elevato per ridurre il rapporto debito-PIL entro il limite massimo del 60 %. Vi è inoltre consenso per semplificare, ove possibile, le procedure di applicazione troppo complicate del PSC, mentre vengono mantenute le attuali soglie del 60 % e del 3 % per il debito e il deficit. La clausola di salvaguardia generale è stata disattivata alla fine del 2023.
Nell'aprile 2023 la Commissione presenta proposte legislative per modificare il PSC. In base alla posizione concordata il 10 febbraio 2024 tra il Parlamento e il Consiglio, i paesi il cui debito pubblico supera il 60 % del PIL e/o il cui disavanzo pubblico è superiore al 3 % del PIL dispongono di un periodo di tempo compreso tra i quattro a i sette anni per fare in modo che il debito pubblico segua una traiettoria di riduzione plausibile o rimanga a livelli prudenti nel medio termine. Nell'aprile 2024 il Parlamento e il Consiglio adottano formalmente la riforma delle norme di bilancio. Si decide di combinare la flessibilità con l'obbligo di attuare le riforme strutturali e di introdurre misure di salvaguardia volte a creare riserve di bilancio e ad aumentare la resilienza. Le nuove norme trasferiscono importanti poteri decisionali dal Consiglio alla Commissione (che, secondo i trattati, non ha sostanzialmente alcun potere in questo campo), consentendo alla Commissione di influenzare direttamente il percorso di aggiustamento di bilancio dei singoli Stati membri della zona euro. Inoltre, ciò consentirebbe alla Commissione di esercitare di fatto un'influenza sulle politiche economiche di ciascuno Stato membro della zona euro attraverso il controllo delle riforme e degli investimenti nazionali.
Ruolo del Parlamento europeo
Dall'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Parlamento europeo partecipa, in qualità di colegislatore, alla definizione della maggior parte delle norme dettagliate che definiscono il quadro di governance economica (basate, tra l'altro, sugli articoli 121, 126 e 136 TFUE). Tuttavia, per alcuni fascicoli, comprendenti tra l'altro la parte preventiva del patto di stabilità e crescita nonché la sorveglianza macroeconomica, il trattato prevede solo un ruolo consultivo per il Parlamento. Inoltre, il Parlamento europeo è consultato sui seguenti temi:
- accordi sui tassi di cambio tra l'euro e le valute dei paesi terzi;
- paesi ammissibili all'adesione alla moneta unica;
- nomina del presidente, del vicepresidente e dei quattro membri del comitato esecutivo della BCE;
- parte della normativa che attua la procedura per i disavanzi eccessivi.
Ogni anno la BCE presenta la sua relazione annuale, che il presidente della BCE illustra poi in Aula. Il Parlamento di consuetudine risponde alla relazione approvando una relazione di iniziativa. Il Parlamento non dispone di poteri decisionali per le diverse fasi del semestre europeo, ma è regolarmente aggiornato dalla Commissione e dal Consiglio, che detengono i poteri esecutivi. Il ruolo del Parlamento nella governance economica dell'UE è stato in qualche modo rafforzato dal semestre europeo, in particolare attraverso l'istituzione di un "dialogo economico" che coinvolge il Parlamento, le pertinenti formazioni del Consiglio e la Commissione. Il Parlamento può accompagnare il semestre adottando relazioni di iniziativa.
Per sua natura il Parlamento non è formalmente coinvolto nell'elaborazione di trattati intergovernativi (ad esempio il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria), né nell'istituzione e nella gestione di meccanismi intergovernativi (ad esempio il MES), anche se comunque stabilisce numerosi contatti e partecipa a scambi di opinioni.
Per maggiori informazioni sull'argomento, si rimanda al sito web della commissione per i problemi economici e monetari.
Christian Scheinert