Tanja Fajon: “Se perdiamo Schengen, perderemo il progetto Europa”

Da più di quattro anni sono in vigore i controlli temporanei alle frontiere nell’area Schengen. Gli eurodeputati sono a favore di condizioni più chiare e del loro uso come ultima risorsa

Intervista con Tanja Fajon, deputata slovena
Intervista con Tania Fajon

In cinque stati dell'area Schengen dal 2015 sono in vigore i controlli alle frontiere interne a causa di circostanze eccezionali, nonostante il limite attuale previsto sia di massimo due anni. Il Parlamento ha successivamente confermato la sua posizione sulla reintroduzione temporanea dei controlli di frontiera solo come ultima risorsa.

Gli europarlamentari chiedono che le norme vigenti vengano aggiornate a fine di ridurre il periodo iniziale dei controlli alla frontiera da sei a due mesi e di limitare la proroga di tale periodo da due anni a un anno.

Il Parlamento ha ribadito la propria posizione sulla revisione delle regole su Schengen nella risoluzione del 4 aprile 2019, ma i negoziati con i paesi membri non sono terminati entro la fine della legislatura. In seguito alle elezioni europee di maggio 2019 il Parlamento ha dovuto considerare se confermare questa posizione. La conferma da parte della commissione Libertà civili è avvenuta il 24 settembre 2019. Adesso tocca al Parlamento in seduta plenaria confermare o meno il via libera ai negoziati con gli stati membri.

Scopri di più nella nostra intervista con la responsabile della relazione, la deputata slovena Tanja Fajon, membro dei Socialisti e democratici.

La sospensione temporanea delle regole Schengen è stata applicata in alcuni paesi europei per oltre tre anni, nonostante il limite di due. Com’è stato possibile?

Sei paesi nell’area Schengen hanno effettuato i controlli dei confini interni per oltre tre anni. Hanno fatto ricorso a delle basi giuridiche per estendere la durata dei controlli in quanto ci sono, direi, alcune zone grigie nella legislazione attuale.

C’è un’evidente ambiguità nelle norme vigenti. Secondo Lei qual è la parte del codice di frontiere Schengen che più necessita di essere rivista e perché?

Quello che viene detto nella nostra relazione è che abbiamo bisogno di chiarire le condizioni per cui si possono temporaneamente reintrodurre i controlli di frontiera. Abbiamo inoltre bisogno di un rigoroso meccanismo di vigilanza per assicurare che questi controlli vengano effettivamente utilizzati come ultima risorsa.

Quali sono le circostanze che potrebbero giustificare i controlli alle frontiere interne?

Le situazioni straordinarie, come un grande evento sportivo o grandi flussi migratori, com’è già successo anni fa. Al giorno d’oggi, non ci sono minacce serie e imminenti tali da giustificare i controlli alle frontiere interne, contrariamente a quanto affermato da alcuni governi europei.

I 6 paesi dello spazio Schengen - Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia e Francia - che hanno applicato i controlli alle frontiere interne hanno affermato che le estenderanno, è una decisione giustificata?

Questi prolungamenti non sono giustificati e non c’è alcuna prova che dimostri il contrario. In questi ultimi anni, i governi nazionali hanno oltrepassato i limiti delle norme vigenti, estendendo i controlli per i loro scopi politici piuttosto che per un’effettiva necessità.

Quali sono le aree di maggiore disaccordo tra il Consiglio e la Commissione?

Il Consiglio non ha mostrato flessibilità nei negoziati e non ha mostrato interesse nel raggiungere un compromesso. Penso che alcuni paesi dell’area Schengen non vogliano modificare le norme perché traggono beneficio dallo status quo. E questo può essere molto pericoloso.

Se perdiamo Schengen, perderemo il progetto europeo. La situazione attuale danneggia le nostre economie e rende più scomode le nostre vite.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta a novembre 2018 e aggiornato a settembre 2019.