RELAZIONE ANNUALE sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'Unione europea nel 1995

20 marzo 1997

Commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni
Relatrice: on. Claudia Roth

Con lettera del 9 luglio 1996 la commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni ha chiesto l'autorizzazione a presentare una relazione sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'Unione europea.

Nella seduta del 14 novembre 1996 il Presidente del Parlamento europeo ha comunicato che la commissione era stata autorizzata ad elaborare una relazione sull'argomento.

Nella riunione del 20 dicembre 1995 la commissione aveva nominato relatrice la on. Roth.

Nella riunione del 29 maggio 1996 la commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni ha deciso di includere nella sua relazione la proposta di risoluzione

- B4-0031/96, presentata dall'on. Newman, sull'incatenamento di detenute ospedalizzate, che era stata trasmessa alla commissione per le libertà pubbliche il 14 marzo 1996 per l'esame di merito e, per parere, alla commissione per i diritti della donna.

Nelle riunioni del 2 dicembre e 17 dicembre 1996, 27 gennaio, 4 febbraio, 10 marzo e 19 marzo 1997 la commissione ha esaminato il progetto di relazione.

Nell'ultima riunione indicata ha approvato la proposta di risoluzione con 16 voti favorevoli e 12 contrari.

Erano presenti al momento della votazione gli onn. d'Ancona, presidente; Wiebenga, vicepresidente; Roth, relatrice; Berthu (in sostituzione dell'on. De Villiers), Bontempi, Cederschiöld, Colombo Svevo, De Esteban Martin, Deprez, Brendan Donnelly (in sostituzione dell'on. Lucas Pires), Elliott, Ford, Lindeperg, Mohamed Ali, Nassauer, Pailler (in sostituzione dell'on. Vinci), Palacio Vallelersundi (in sostituzione della on. Reding), Pirker, Posselt, Pradier, Sauquillo Pérez del Arco (in sostituzione della on. Terron i Cusí), Schaffner, Schmid, Stewart-Clark, Tannert, (in sostituzione dell'on. Marinho, a norma dell'articolo 138, paragrafo 2 del regolamento), Telkämper (in sostituzione dell'on. Orlando, a norma dell'articolo 138, paragrafo 2 del regolamento), Van Lancker, (in sostituzione della on. Crawley) e Zimmermann.

Il parere della commissione per i diritti della donna sarà pubblicato separatamente.

La relazione è stata depositata il 21 marzo 1997.

Il termine per la presentazione degli emendamenti sarà indicato nel progetto di ordine del giorno della tornata nel corso della quale la relazione sarà esaminata.

A. PROPOSTA DI RISOLUZIONE

Risoluzione sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'Unione europea nel 1995

Il Parlamento europeo,

- vista la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo,

- visti il Patto internazionale sui diritti civili e politici nonché il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, unitamente ai relativi protocolli,

- vista la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale,

- vista la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna,

- visti la Convenzione di Ginevra del 1951 e i suoi protocolli nonché le raccomandazioni dell'UNHCR,

- vista la Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti del fanciullo,

- vista la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti del 1987,

- visti la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e i relativi protocolli,

- visti i trattati che istituiscono la Comunità europea,

- visto il trattato sull'Unione europea,

- vista la sua risoluzione del 12 aprile 1989 recante adozione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali[1],

- vista la sua risoluzione del 9 luglio 1991 sui diritti dell'uomo[2],

- vista la sua risoluzione del 12 marzo 1992 sulla pena di morte[3],

- vista la sua risoluzione dell'11 marzo 1993 sui diritti dell'uomo nella Comunità europea[4],

- vista la sua risoluzione del 19 gennaio 1994 sugli obiettori di coscienza negli Stati membri della Comunità[5],

- vista la sua risoluzione del 27 aprile 1995 sul razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo[6],

- vista la sua risoluzione del 18 gennaio 1996 sulle condizioni degradanti di detenzione nelle carceri dell'Unione europea[7],

- vista la sua risoluzione del 17 settembre 1996 sui diritti dell'uomo nell'Unione[8],

- vista la sua risoluzione del 29 febbraio 1996 sulle sette in Europa [9],

- visto il parere (2-94) della Corte di giustizia delle Comunità europee del 28 marzo 1996 sull'adesione della Comunità europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,

- visti la Carta sociale europea adottata nel 1961 a Torino e il protocollo aggiuntivo adottato nel 1988 a Strasburgo,

- vista la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali,

- viste la dichiarazione finale e la piattaforma d'azione adottate a Pechino nel corso della IV Conferenza mondiale sulle donne,

- visti i principi del diritto internazionale ed europeo in materia di diritti dell'uomo,

- vista la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,

- vista la proposta di risoluzione presentata dall'on. Newman sull'incatenamento di detenute ospedalizzate (B4-0031/96),

- viste le petizioni:

a) n. 382/95, presentata dal sig. Johannes Pohl, cittadino tedesco, sulla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo,

b) n. 459/95, presentata dal sig. Norbert Schneider, cittadino tedesco, a nome dell'Unione tedesca per la tutela dei bambini, su alcune proposte per migliorare la situazione dei bambini nell'Unione europea,

c) n. 464/95, presentata dal sig. Manfred Bruns, cittadino tedesco, a nome dell'Associazione tedesca degli omosessuali (SVD), sulle difficoltà per la convivenza con partner omosessuali provenienti da paesi terzi,

d) n. 597/95, presentata dal sig. Leo Klein Lebbink, cittadino olandese, sull'adeguamento dello statuto dei funzionari delle Comunità europee,

e) n. 684/95, presentata dalla sig.ra Jutta Birnbickel, cittadina tedesca, sulla Convenzione dell'ONU per i diritti del fanciullo,

f) n. 741/95, presentata dalla sig.ra Helga Lechner, cittadina tedesca, concernente la creazione di un Ombudsman per i bambini in seno al Parlamento europeo,

g) n.793/95, presentata dal sig. Michael Becker, cittadino tedesco, sulla creazione di una commissione per i diritti del fanciullo in seno al Parlamento europeo,

h) n. 1029/95, presentata dal sig. Panayotis Karakolidis, cittadino greco, sull'iscrizione della fede religiosa nella sua carta di identità,

i) n. 1197/95, presentata dal sig. Russel J. Askew, cittadino britannico, a nome dell'associazione di genitori APART, e da altri 32.500 firmatari, concernente la legge britannica del 1991 relativa al sostegno dei bambini,

j) n. 1223/95, presentata dal sig. Ruben Urrutia, a nome di "Coordinamento europeo per il diritto degli stranieri a vivere in famiglia", su due proposte di emendamento al trattato sull'Unione europea,

k) n. 342/96, presentata dal sig. Mario Presa, cittadino italiano, sulla scarcerazione di obiettori di coscienza greci,

l) n. 490/96, presentata dal sig. Thanassis Reppas, cittadino greco, sulla scarcerazione di circa 300 obiettori di coscienza greci,

- visto l'articolo 148 del suo regolamento,

- visti la relazione della commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni e il parere della commissione per i diritti della donna (A4-0112/97),

A. considerando che il rispetto dei diritti dell'uomo si colloca alla base di ogni ordinamento democratico e rappresenta il fondamento dell'integrazione comunitaria,

B. considerando l'azione comunitaria e il compito specifico del Parlamento europeo a favore della promozione dei diritti dell'uomo nel mondo,

C. deplorando tuttavia che manchi una codificazione e un controllo specifico dei diritti fondamentali a livello comunitario tale da garantire la salvaguardia di detti diritti all'interno dell'ordinamento giuridico comunitario,

D. considerando che il Parlamento europeo è tenuto a promuovere i diritti e le libertà fondamentali e a contribuire a migliorarne la salvaguardia anche in seno all'Unione,

E. considerando che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) è stata ratificata da tutti gli Stati membri dell'Unione europea,

F. prendendo atto del parere della Corte di giustizia (parere 2/94 del 28 marzo 1996), secondo cui nell'attuale situazione del diritto comunitario la Comunità non ha alcuna competenza per aderire alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo,

G. considerando che a norma dell'articolo F, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea l'Unione è tenuta al rispetto dei diritti fondamentali nei termini stabiliti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo,

H. considerando che nell'articolo K.2 del trattato sull'Unione europea vengono indicati espressamente i settori in cui gli Stati debbono rispettare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e la Convenzione di Ginevra del 1951; considerando che si tratta dei seguenti settori: la politica di asilo, l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, la politica di immigrazione, la libera circolazione all'interno del territorio degli Stati membri, la lotta contro il lavoro irregolare, la lotta contro il traffico illecito di droga, ecc,

I. considerando che il diritto internazionale, il diritto comunitario e le tradizioni giuridiche degli Stati membri sono congiuntamente alla base di norme il cui rispetto è vincolante per questi ultimi,

J. considerando che il rispetto e la difesa dei diritti di tutte le persone che si trovano nel territorio dell'Unione europea rappresenta un obbligo per gli Stati membri, da adempiere indipendentemente dalla razza, dal sesso, dall'identità sessuale, dalla cittadinanza, dalla confessione religiosa, dalle opinioni, dall'età o dalla menomazione dell'interessato,

K. esprimendo preoccupazione per le gravi e inammissibili violazioni dei diritti dell'uomo nell'UE,

L. esprimendo preoccupazione per l'esistenza di carenti condizioni di detenzione, sia durante la carcerazione preventiva che durante la reclusione dopo la condanna,

M. esprimendo preoccupazione per il numero dei detenuti in carcerazione preventiva nelle prigioni europee nonché per la mancanza di una normativa distinta, specifica e adeguata per tali casi,

N. esprimendo sgomento per l'ondata di razzismo, xenofobia e antisemitismo che nel 1995 ha portato soprattutto in Germania a numerose aggressioni violente contro ostelli di rifugiati e stranieri,

O. esprimendo preoccupazione per l'indebolimento dei diritti e delle libertà fondamentali in talune parti dell'UE,

P. considerando che gli atti terroristici violano vari diritti fondamentali, in particolare quello alla vita, all'integrità fisica e alla libertà personale, e che possono inoltre mettere parzialmente a repentaglio la pace interiore nonché le istituzioni democratiche e il loro funzionamento, come anche l'acquis dello Stato di diritto e i principi fondamentali che costituiscono la base delle tradizioni costituzionali e del corpo legislativo delle democrazie occidentali,

Q. profondamente preoccupato in relazione ai casi di tortura e di trattamento crudele, inumano o degradante da parte delle forze dell'ordine a danno di persone arrestate o detenute, che hanno talvolta provocato la morte di queste ultime,

R. considerando che nel 1995 la Corte europea di giustizia per i diritti dell'uomo ha condannato il Portogallo, la Francia, il Regno Unito, l'Austria, la Norvegia, l'Italia, la Grecia, i Paesi Bassi, la Danimarca e la Finlandia per violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, il quale sancisce il diritto di ogni persona a un processo giusto ed equo,

S. indignato dinanzi all'ampiezza e alla crudeltà delle violenze, dei maltrattamenti e degli abusi sessuali che possono subire i bambini,

T. considerando che il numero di richieste di asilo registrate nell'UE è diminuito della metà tra il 1993 e il 1995 in seguito all'inasprimento delle disposizioni legislative e alle difficoltà connesse all'avvio della procedura, malgrado nel mondo siano aumentate in misura preoccupante le persecuzioni,

U. considerando che l'interpretazione restrittiva del concetto di persecuzione, le difficoltà nell'avvio della procedura, le procedure sommarie per l'esame delle richieste, il ricorso abusivo alla formula "richiesta chiaramente immotivata" e le condizioni di detenzione in carcere prima dell'espulsione rappresentano altrettante violazioni dei diritti dell'uomo,

V. considerando che sovente le pene inflitte per reati di lesioni personali sono troppo miti rispetto a quelle per reati contro la proprietà,

W. considerando che nell'UE la povertà e l'indigenza sociale possono portare a violazioni dei diritti dell'uomo,

Strumenti per rafforzare i diritti dell'uomo

1. ribadisce che nell'Unione i diritti dell'uomo devono essere tutelati integralmente onde poterne rivendicare il rispetto anche al di fuori dell'Unione;

2. ritiene che il processo di integrazione comunitaria renda sempre più necessario e urgente introdurre un sistema per tutelare i diritti dell'uomo a livello comunitario e verificarne il rispetto nella legislazione dell'Unione;

3. si impegna, in quanto unica istituzione comunitaria eletta democraticamente, a rendere pubbliche le violazioni dei diritti dell'uomo in seno all'Unione;

4. ribadisce l'auspicio che la Comunità europea aderisca alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, in vista di tale adesione, invita gli Stati membri ad apportare al diritto comunitario le modifiche necessarie allo scopo nell'ambito della Conferenza intergovernativa;

5. invita la Conferenza intergovernativa a dotare l'Unione europea della personalità giuridica che le consenta di aderire alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo;

6. riafferma che ogni individuo deve poter beneficiare di una tutela effettiva contro le violazioni dei suoi diritti fondamentali derivanti da direttive e regolamenti europei; sottolinea che oggi tale tutela è insufficiente a causa dei criteri stabiliti all'articolo 173 del trattato CEE in materia di ammissibilità di un ricorso individuale per annullamento e che tale facoltà di ricorso deve essere estesa nel quadro della Conferenza intergovernativa; suggerisce che il diritto d'azione contro decisioni comunitarie venga esteso alle persone giuridiche;

7. constata che i metodi di lavoro e l'equilibrio delle istituzioni dell'Unione europea accusano un deficit democratico e scarsa trasparenza; rileva che una simile struttura ostacola i controlli parlamentare e pubblico; auspica che il diritto di accesso ai documenti del Consiglio sia disciplinato da un accordo interistituzionale;

8. osserva che all'interno dell'Unione non sono state completamente eliminate tutte le discriminazioni sulla base della cittadinanza e esige la loro soppressione definitiva;

9. invita la Conferenza intergovernativa ad inserire nel trattato un nuovo articolo 6 A che consenta di estendere il concetto di divieto di discriminazione, attualmente previsto per discriminazioni sulla base della cittadinanza, alle discriminazioni a causa della razza, dell'appartenenza etnica, del colore della pelle, del sesso, dell'identità sessuale, dell'età, della confessione religiosa, delle opinioni politiche o filosofiche, dell'appartenenza a una minoranza o di una menomazione;

10. chiede che l'Unione europea proclami una dichiarazione europea dei diritti fondamentali, valida in quanto elemento integrante del trattato, nella quale siano delineati e sanciti i diritti individuali, compresi i diritti economici, sociali, culturali ed ecologici;

11. chiede che il Protocollo e l'Accordo sulla politica sociale, nonché la Carta dei diritti sociali fondamentali vengano inseriti nel trattato e che l'Unione europea aderisca alla Carta sociale del Consiglio d'Europa;

12. prende atto con soddisfazione del fatto che il 27 settembre 1995 l'Unione europea ha insediato un difensore civico europeo, ma deplora le limitazioni poste al suo ambito d'azione e alle sue competenze;

13. ribadisce che tutti gli accordi che l'Unione stipula con paesi terzi devono contenere clausole sui diritti dell'uomo tali da rendere possibili sanzioni adeguate, compreso eventualmente l'annullamento dell'accordo stesso in caso di gravi e continue violazioni dei diritti dell'uomo

o di interruzione del processo democratico;

14. ritiene che le convenzioni internazionali ratificate dalla Comunità e/o dai suoi Stati membri siano vincolanti e non possano quindi essere oggetto di un'interpretazione restrittiva da parte del Consiglio;

Il diritto a vivere e a morire in dignità

15. invita il Regno Unito, la Grecia e il Belgio, che hanno già sottoscritto il protocollo n. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e abolito la pena di morte dai rispettivi codici penali sospendendone l'applicazione, a completare tale abolizione ratificando il protocollo suddetto;

16. invita gli Stati membri a non estradare individui in Stati in cui il delitto per il quale si richiede l'estradizione sia punito con la pena di morte;

17. ribadisce che il diritto alla vita comprende il diritto alla salute e quindi alle cure sanitarie e che tale diritto deve essere garantito a tutti gli esseri umani indipendentemente dalla situazione, dallo stato di salute, dal sesso, dalla razza, dall'appartenenza etnica, dal colore della pelle, dall'età, dalla confessione religiosa o dalle convinzioni;

18. chiede il divieto dell'eutanasia attiva a danno dei minorati, dei pazienti in coma prolungato, dei neonati minorati e degli anziani; invita gli Stati membri a dare priorità alla creazione di strutture per la medicina palliativa affinché i malati terminali possano essere assistiti degnamente nell'ultima fase della loro vita;

19. afferma che il fatto di poter vivere senza timore per la propria sicurezza personale costituisce un'esigenza delle persone che vivono nell'Unione;

20. condanna categoricamente qualsiasi ricorso alla violenza o minaccia di ricorso alla violenza in quanto grave e ingiustificabile attentato ai diritti fondamentali dei cittadini;

21. ritiene che l'esistenza e lo sviluppo di organizzazioni criminali costituiscano una grave minaccia per la credibilità dello Stato di diritto, per il mantenimento dell'ordine democratico e per il rispetto dei diritti dell'uomo nell'Unione europea;

22. invita la CIG a gettare le basi di un autentico spazio giudiziario europeo, garante della sicurezza delle persone nell'Unione, prevedendo in particolare la trasmissione diretta delle commissioni rogatorie internazionali e dell'esito delle indagini tra giudici, senza interferenza del potere esecutivo e senza ricorso alla via diplomatica;

23. ritiene che la violazione di taluni diritti fondamentali derivante da deviazioni settarie debba essere combattuta attraverso un'informazione attenta e l'applicazione delle leggi vigenti;

24. esprime viva preoccupazione di fronte alle attività di natura illecita o criminale di cui si rendono colpevoli certe sette, nonché di fronte agli attentati all'integrità psichica delle persone che talune di esse praticano nei confronti dei loro aderenti, attentati tanto più gravi in quanto colpiscono talvolta minorenni;

25. invita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie, nel rispetto dei principi dello Stato di diritto, per combattere le violazioni dei diritti fondamentali delle persone di cui si rendono colpevoli certe sette, prevedendone anche l'interdizione, qualora ciò sia giuridicamente fondato e giudiziariamente motivato;

26. afferma che la libertà religiosa comporta l'eliminazione di tutte le discriminazioni tra religioni, riti e culti e ribadisce la sua richiesta ai governi degli Stati membri di non accordare sistematicamente lo statuto di organizzazione religiosa e di prevedere la possibilità di privare le sette che si dedicano ad attività clandestine o criminali di tale statuto che garantisce loro vantaggi fiscali e una certa protezione giuridica;

Il diritto all'incolumità fisica

27. condanna fermamente il ricorso a violenza, prassi di tortura e pene o trattamenti disumani, crudeli o degradanti, cui sono esposti individui arrestati o detenuti da parte delle forze dell'ordine o delle guardie penitenziarie; condanna il carattere spesso razzista di simili comportamenti;

28. sollecita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie ad effettuare inchieste esaustive a seguito di denunce fondate di maltrattamenti e ad esaminare con il massimo rigore possibile eventuali sevizie nonché a fornire una formazione iniziale e continua ai funzionari di polizia e alle guardie carcerarie, onde contribuire alla prevenzione di maltrattementi nei confronti dei detenuti;

29. conferma che vanno considerate come torture o trattamento disumano o degradante non solo le aggressioni corporali, ma anche le minacce, le intimidazioni, la violenza verbale e le offese sessuali o razziste, e chiede che si ponga fine a tali prassi;

30. invita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie a far sì che i responsabili di tali azioni non restino impuniti;

31. invita gli Stati membri a limitare la possibilità per le autorità di polizia di presentare una denuncia per "resistenza a pubblico ufficiale" al fine di contrastare la denuncia di una vittima per aggressione da parte di organi statali;

32. ritiene che le conclusioni del Comitato europeo contro la tortura vadano effettivamente attuate e chiede agli Stati membri di autorizzare la pubblicazione di tutti i rapporti di detto comitato e di sopprimere ogni ostacolo all'espletamento della sua missione;

33. si rallegra che la Danimarca abbia emanato disposizioni legislative volte a introdurre un nuovo sistema per l'esame delle denunce contro la polizia; invita tuttavia la Danimarca a inserire nella sua legislazione nazionale gli impegni connessi alla Convenzione per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti crudeli, inumani o degradanti;

34. chiede a tutti gli Stati membri di introdurre e garantire quanto prima procedure efficaci di ricorso per i detenuti;

35. chiede che gli arrestati siano informati in una lingua a loro comprensibile sui loro diritti, compreso il diritto di presentare denuncia per maltrattamento, che abbiano il diritto di comunicare immediatamente a un terzo la notizia del loro arresto, che possano consultare un medico di loro fiducia e che agli interrogatori sia presente un avvocato;

I diritti fondamentali di libertà

36. afferma che la libertà di pensiero, di coscienza e di religione nonché la libertà di associazione costituiscono diritti fondamentali dei cittadini dell'Unione;

37. ribadisce che l'obiezione di coscienza al servizio militare, alla produzione e distribuzione di certi materiali, a specifiche forme di esercizio della medicina e a talune forme di ricerca scientifica e militare è una componente fondamentale della libertà di pensiero, di coscienza e di religione e invita gli Stati che non tutelano tale diritto a garantirlo; auspica inoltre l'eliminazione di ogni discriminazione tra cittadini europei connessa al servizio militare;

38. conferma la sua risoluzione del 19 gennaio 1994[10] sull'obiezione di coscienza negli Stati membri e ricorda che in detta risoluzione si chiedeva a questi ultimi di introdurre immediatamente un servizio civile di durata pari a quello militare;

39. invita ancora una volta la Grecia ad astenersi da procedimenti contro gli obiettori di coscienza, a liberare immediatamente tutti gli obiettori di coscienza detenuti, a emanare leggi sul riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza e nello stesso tempo ad istituire un servizio civile non discriminatorio; sollecita altresì la Grecia ad amnistiare gli obiettori di coscienza detenuti e condannati, a sopprimere tutte le discriminazioni professionali o di altro tipo e a garantire loro la libera circolazione all'interno dell'Unione;

40. invita gli Stati membri a vietare qualsiasi discriminazione per motivi religiosi, di rito e di culto, segnatamente nel rapporto tra Stato e cittadino; dichiara fermamente che il diritto alla libertà di religione comporta il diritto di praticare e di esprimere liberamente le proprie convinzioni religiose;

41. invita gli Stati membri a non obbligare i propri cittadini ad indicare la propria confessione religiosa sulla carta di identità;

42. condanna con decisione le tendenze volte a limitare la libertà di stampa nonché le pressioni o le intimidazioni cui talvolta sono esposti i giornalisti;

43. condanna la limitazione della libertà di espressione in Irlanda, dove una legge proibisce ogni tipo di pubblicazione a favore dell'interruzione volontaria della gravidanza;

44. ribadisce che il diritto dei giornalisti a mantenere segrete le proprie fonti d'informazione costituisce un elemento essenziale della libertà d'informazione e di stampa e chiede che detto diritto sia riconosciuto nelle disposizioni legislative di tutti gli Stati membri, per esempio sotto forma di diritto di astenersi dal rendere testimonianza;

45. ribadisce che la libertà di stampa è un diritto fondamentale soggetto unicamente ai limiti imposti dal rispetto degli altri diritti fondamentali e che l'esercizio di tale diritto non può essere vincolato ad un'autorizzazione amministrativa o all'autorizzazione di un'associazione professionale di giornalisti;

46. ribadisce che il diritto alla libertà di espressione implica il diritto di manifestare pubblicamente e pacificamente le proprie convinzioni; sempre che i principi dello Stato di diritto siano rispettati e che tale manifestazione non abbia carattere razzista o costuisca apologia del terrorismo, respinge le limitazioni imposte all'esercizio di tale diritto;

47. chiede alla Grecia di garantire la libertà di associazione e di riunione autorizzando incontri di minoranze etniche, religiose o di altro tipo; rileva che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo riconosce limitazioni alla libertà di associazione e di assemblea solo in situazioni in cui siano minacciate o violate l'integrità territoriale e la sicurezza nazionale di un paese o qualora sia turbata la pace sociale, e che quindi qualsiasi altra limitazione è inaccettabile;

48. precisa che il diritto di fondare e/o aderire ad un sindacato si applica in generale anche alle persone operanti in organizzazioni governative;

49. chiede che il diritto di aderire o meno ad un sindacato sia riconosciuto senza che vi siano svantaggi di sorta per chi lo esercita; precisa che gli aderenti ad un sindacato dovrebbero essere in grado di coprire posizioni di rappresentanza all'interno di detto sindacato, a prescindere dalla nazionalità;

50. esorta con rinnovata fermezza [11] gli Stati membri e i paesi interessati ad aderire all'UE ad impegnarsi per normative in materia di riconoscimento della libertà di associazione all'interno delle forze armate, sia per i militari di leva che per i militari professionali e volontari;

51. appoggia la prassi seguita in alcuni Stati membri di nominare mediatori che si occupano prioritariamente del rispetto dei diritti dell'uomo nelle forze armate e chiede che l'Ufficio del Mediatore europeo sia dotato di conseguenza;

52. ribadisce che l'Unione europea e i suoi Stati membri devono ratificare la Carta sociale del Consiglio d'Europa e applicarla senza riserve, che devono rispettare gli accordi internazionali e le raccomandazioni dell'OIL e che il governo del Regno Unito dovrebbe sottoscrivere quanto prima il protocollo sulla politica sociale allegato al trattato sull'Unione;

Il diritto alla libera circolazione

53. deplora che l'articolo 7 A del trattato, il quale stabiliva al 1Ί gennaio 1993 l'entrata in vigore della libera circolazione all'interno dell'Unione, non sia stato a tutt'oggi attuato;

54. ritiene che il mancato rispetto di tale impegno abbia contribuito in misura decisiva al fatto che i cittadini abbiano perso la fiducia nelle istituzioni europee e nell'opera di costruzione europea;

55. si compiace che la Commissione abbia presentato nel luglio 1995 tre proposte di direttiva per migliorare la libera circolazione nell'Unione; deplora tuttavia i rinvii nella presentazione di dette proposte nonché la circostanza che esse siano state vincolate all'entrata in vigore di accordi in materia nell'ambito del terzo pilastro;

56. prende atto dell'entrata in vigore dell'Accordo di Schengen il 26 marzo 1995 e della sua applicazione a partire da tale data da parte di sette Stati membri dell'Unione europea;

57. deplora che tale situazione abbia rafforzato talune frontiere interne alla Comunità e che l'accordo preveda una serie di misure di compensazione;

58. rinnova l'auspicio che l'accordo di attuazione di Schengen rientri tra le competenze della Corte di giustizia delle Comunità europee;

59. ribadisce nuovamente che la libera circolazione deve essere applicata a tutte le persone che si trovano legalmente nel territorio dell'Unione indipendentemente dalla loro cittadinanza;

I diritti in campo giudiziario

60. ricorda che l'indipendenza della magistratura costituisce uno dei pilastri dello Stato di diritto e il fondamento stesso di una protezione efficace dei diritti e delle libertà fondamentali di tutti i cittadini e, in particolare, di coloro che devono comparire in giudizio; ritiene che sia altresì necessario assicurare la terzietà del giudice giudicante attraverso la separazione delle carriere di magistrato inquirente e di magistrato giudicante, al fine di garantire un processo equo;

61. ribadisce il suo impegno per i principi generali del diritto quali il principio dell'indipendenza della magistratura, il principio "non bis in idem", il principio della presunzione d'innocenza, il rispetto dei diritti della difesa e il principio che non è l'accusato che deve dimostrare la propria innocenza, bensì lo Stato la sua colpevolezza; respinge ogni compressione del diritto alla difesa e sottolinea che per avere un'effettiva parità tra accusa e difesa è necessario produrre prove nei dibattimenti e non usare la carcerazione preventiva come strumento per estorcere confessioni o peggio delazioni;

62. considera estremamente pericoloso per il diritto dell'individuo sottoposto a processo ogni tipo di legislazione premiale basata sulla delazione, senza riscontri oggettivi di quanto dichiarato da criminali riconosciuti in cambio di condizioni di vita particolarmente vantaggiose;

63. esorta gli Stati membri a prevedere la possibilità per ciascun individuo di esercitare in ogni momento i propri diritti per far valere la responsabilità civile dei magistrati in caso di colpa grave o dolo di costoro;

64. chiede agli Stati membri di effettuare le necessarie riforme della procedura penale onde rafforzare i diritti e le azioni processuali delle vittime, in una prospettiva non solo di punizione del reo ma anche di riparazione dei danni materiali e morali da esso causati alla vittima;

65. chiede che siano altresì tutelati i diritti delle vittime di azioni criminali e del terrorismo e che sia garantito un idoneo sistema di indennizzo per tali vittime e chiede, in questo caso, l'adozione da parte di tutti gli Stati membri della Comunità della Convenzione europea sull'indennizzo alle vittime di atti di violenza criminale del 24 novembre 1983;

66. chiede agli Stati membri di garantire quanto prima un'adeguata protezione dei testimoni tenendo conto della risoluzione del Consiglio del 23 novembre 1995 [12] relativa alla protezione dei testimoni nella lotta contro la criminalità organizzata internazionale;

67. chiede agli Stati membri di predisporre mezzi procedurali adeguati per ovviare alle lentezze della giustizia applicando così l'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo;

68. invita gli Stati membri a proseguire la loro stretta cooperazione nella lotta al terrorismo, attenendosi rigorosamente alle regole dello Stato di diritto;

I diritti dei detenuti

69. fa sua la considerazione del Comitato contro la tortura secondo cui uno Stato che fa incarcerare un individuo è responsabile quando quest'ultimo è detenuto in condizioni che non rispettano la dignità umana;

70. sollecita che le "norme per l'esecuzione della pena" (R(87)3) stabilite dal Consiglio d'Europa siano infine applicate senza limitazioni in tutti gli istituti carcerari;

71. sottolinea lo stato inadeguato delle carceri europee, il grave problema del sovraffollamento nonché le pessime condizioni materiali e l'ambiente insalubre dei penitenziari europei; chiede che gli Stati membri migliorino le condizioni di vita e la situazione igienica nelle carceri, si impegnino a predisporre attrezzature sanitarie adeguate, offrano ai detenuti possibilità appropriate di occupazione e disciplinino le condizioni di lavoro nelle carceri;

72. sollecita gli Stati membri:

- a non incarcerare i minorenni,

- a non condannare i drogati per la loro tossicodipendenza ma a proporre loro un controllo terapeutico e un'assunzione a carico sociale;

- a consentire ai sieropositivi o alle persone affette da AIDS che si trovino in carcere di beneficiare di condizioni adeguate alle necessità mediche e psicologiche derivanti dalla loro sieropositività o malattia;

73. chiede di prevedere per i reati meno gravi, che non rappresentano alcun pericolo per terzi, nella misura del possibile, carceri aperte o semiaperte, "congedo condizionale" e ogni analoga misura volta a favorire la "risocializzazione"; auspica anche pene alternative all'esterno del carcere, per esempio il lavoro di pubblica utilità;

74. chiede che nelle carceri sia garantita una tutela efficace contro gli abusi e che le perquisizioni corporali e gli interrogatori delle detenute vengano effettuati esclusivamente da agenti di sesso femminile; chiede inoltre che siano messe a disposizione delle gestanti e delle madri detenute con neonati e bimbi in tenera età infrastrutture adeguate;

75. chiede che gli Stati membri procedano rapidamente ad una profonda riforma della carcerazione preventiva;

76. ribadisce il principio in base al quale la detenzione deve avvenire nella maggioranza dei casi in una località il più possibile vicina all'ambiente familiare e/o sociale d'origine;

77. si compiace che il 1Ί novembre 1995 l'Irlanda abbia ratificato la Convenzione europea del 1983 sull'estradizione di persone condannate; deplora tuttavia che la relativa applicazione sia stata limitata a pochissimi detenuti irlandesi che scontano la loro pena in Gran Bretagna;

78. deplora la decisione del governo britannico del marzo 1995 di prorogare il "Prevention Terrorism Act";

79. condanna fermamente la detenzione di richiedenti asilo in vista dell'espulsione;

80. chiede adeguate possibilità di alloggio per i malati di mente che hanno compiuto reati;

I diritti degli immigrati e il diritto di asilo

81. ribadisce che la politica di "immigrazione zero" non blocca affatto i flussi d'immigrazione, bensì porta piuttosto al soggiorno illegale; invita pertanto gli Stati membri ad astenersi dal considerare l'immigrazione soltanto in un'ottica restrittiva, repressiva e poliziesca, a riconoscere la dimensione umana della questione e il carattere positivo che l'immigrazione può avere per qualsiasi società, nonché a prevedere nelle loro legislazioni criteri in materia di immigrazione legale;

82. fa presente che la dignità dell'uomo è intangibile e che pertanto l'inviolabilità e l'inalienabilità dei diritti dell'uomo costituiscono il fondamento di qualsiasi società umana, della pace e della giustizia nel mondo e che tali diritti devono quindi applicarsi senza restrizioni a qualsiasi persona nel territorio dell'Unione europea;

83. invita gli Stati membri a prendere atto che una parte notevole degli stranieri "senza documenti" è costituita da persone che hanno perso il loro statuto giuridico in seguito a leggi restrittive sull'immigrazione; chiede che dette leggi siano modificate e che tali persone ottengano uno statuto giuridico sicuro;

84. ribadisce che il diritto alla vita di famiglia e alla riunificazione familiare non può essere messo in discussione in nessuna circostanza, così come nessuna famiglia può essere separata a causa dello statuto di uno dei suoi membri;

85. ribadisce che l'accesso alla sicurezza sociale e all'educazione dei bambini deve essere garantito indipendentemente dallo statuto sociale e amministrativo;

86. suggerisce agli Stati membri di concedere uno statuto giuridico legale alle persone che si trovano da molto tempo in una situazione di illegalità, nonché ad adoperarsi affinché il soggiorno illegale dell'interessato non diventi un motivo per l'arresto;

87. chiede agli Stati membri di non espellere dal loro territorio chiunque necessiti di una terapia la cui impossibilità di essere continuata nelle stesse condizioni comprometterebbe le possibilità di guarigione o di sopravvivenza;

88. sottolinea che a norma della Convenzione europea per i diritti dell'uomo sono inammissibili le espulsioni collettive;

89. sottolinea che il diritto di asilo è un diritto universale sancito dall'articolo 14 della Dichiarazione universale sui diritti dell'uomo;

90. invita tutti gli Stati membri dell'Unione europea ad applicare in modo incondizionato nelle questioni di diritto d'asilo la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati e il relativo protocollo del 1967, i principi definiti dal comitato esecutivo dell'Alto commissariato per i rifugiati nonché la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo;

91. sottolinea che la Convenzione di Ginevra non opera alcuna distinzione in materia di vittime di persecuzioni, che queste ultime siano attuate da organi statali o da altri organismi, qualora lo Stato non possa o non voglia garantire all'interessato la protezione che egli ha il diritto di attendersi; rinnova la sua richiesta al Consiglio e agli Stati membri di riconoscere che le vittime di persecuzioni da parte di terzi o in situazioni di violenza interna generalizzata hanno bisogno della stessa tutela internazionale;

92. chiede che gli Stati membri riconoscano la persecuzione a causa del sesso;

93. ritiene che le esigenze in materia di visti o documenti di viaggio e le sanzioni a carico delle imprese di trasporto costituiscano un ostacolo notevole al diritto di accesso alla procedura di asilo;

94. ritiene che un richiedente asilo possa essere espulso in un "paese terzo sicuro" soltanto a condizione che lo Stato interessato abbia fornito allo Stato che espelle la garanzia completa che la richiesta del richiedente asilo sarà esaminata accuratamente con una procedura adeguata ed equa;

95. esprime la propria preoccupazione in relazione al fatto che la raccomandazione del Consiglio concernente l'accordo-tipo bilaterale sulla riammissione tra uno Stato membro dell'Unione e un paese terzo non contiene garanzie adeguate per la tutela dei richiedenti asilo e dei profughi;

96. invita la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri ad applicare la clausola di inefficacia prevista all'articolo 11 dell'accordo-tipo concernente la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e la Convenzione di Ginevra, nonché ad inserire garanzie supplementari onde assicurare che:

- la situazione a livello dei diritti dell'uomo nei paesi terzi venga analizzata in modo obiettivo e globale,

- i richiedenti asilo la cui domanda non sia stata esaminata alla luce del criterio del paese terzo sicuro vengano riconosciuti nel paese terzo come individui che hanno bisogno di tutela e abbiano accesso a una procedura di asilo equa e completa;

97. deplora che nel 1995 il Consiglio abbia affrontato a più riprese il diritto di asilo in risoluzioni e altri strumenti che si sottraggono ai controlli sia parlamentare che giurisdizionale;

in merito alla risoluzione del Consiglio del 20 giugno 1995 relativa alle garanzie minime per le procedure in materia di asilo:

98. ritiene che la risoluzione relativa alle garanzie minime per procedure equivalenti di asilo, in cui sono formulati alcuni principi essenziali di dedizione ai valori di libertà, democrazia e rispetto dei diritti dell'uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, costituisca un importante punto di partenza per la Comunità; ricorda che gli Stati membri dispongono dell'importante diritto di prevedere, nella normativa nazionale in materia di garanzie di procedura per i richiedenti asilo, norme più favorevoli di quelle contenute nelle garanzie minime comuni;

99. esprime preoccupazione perché la risoluzione introduce deroghe ai principi generali, per esempio l'effetto sospensivo dell'impugnazione nonché il principio secondo cui ogni decisione concernente una richiesta di asilo deve essere adottata dall'autorità competente;

100. esprime preoccupazione perché la risoluzione introduce l'applicazione del concetto di "paese terzo sicuro" senza tuttavia stabilire adeguate garanzie giuridiche contro il rimpatrio di persone in paesi in cui sono minacciate di persecuzione;

in merito alla risoluzione del Consiglio del 25 settembre 1995 e alla decisione del novembre 1995 concernenti la suddivisione degli oneri attinenti all'accoglienza e al soggiorno temporaneo degli sfollati:

101. invita il Consiglio a concludere senza indugio un accordo sull'accoglienza temporanea di profughi di guerre civili;

102. considera inopportuno tener conto anche dell'aiuto umanitario e militare di uno Stato membro ai fini di limitare la sua partecipazione a livello di accoglienza di profughi o sfollati;

in merito alla posizione comune del Consiglio del 23 novembre 1995 relativa all'armonizzazione e all'interpretazione del concetto di profugo:

103. deplora che la posizione comune presupponga il carattere individuale della persecuzione e escluda gruppi in fuga da guerre civili e da conflitti armati generalizzati;

104. ritiene che l'introduzione del concetto di "reinsediamento" all'interno del paese di origine renda ancora più difficile ottenere lo statuto di profugo nell'Unione;

105. ritiene che il Consiglio, in virtù del principio di sussidiarietà, non sia autorizzato ad imporre un'armonizzazione del concetto di profugo tale da limitare la portata della Convenzione di Ginevra;

106. rileva con la massima preoccupazione che nel 1995 sono stati 133 i profughi morti tentando di entrare nel territorio dell'Unione;

107. è profondamente preoccupato per il ruolo svolto dalla criminalità organizzata nell'immigrazione illegale;

La lotta contro il razzismo e la xenofobia

108. condanna fermamente tutte le forme di razzismo, xenofobia e antisemitismo nonché altre discriminazioni basate sulla religione o su motivi etnico-culturali; chiede che tale condanna figuri espressamente nel trattato sull'Unione europea;

109. si rallegra che il Consiglio "Giustizia e Affari interni" abbia adottato un'azione comune contro il razzismo e abbia proclamato il 1997 anno europeo contro il razzismo; invita la Commissione a continuare ad adottare e a sostenere iniziative contro il razzismo, l'antisemitismo e la xenofobia nell'Unione, ricercando beninteso la complementarità con le azioni condotte dal Consiglio d'Europa;

110. sollecita gli Stati membri a non considerare come forma legale di libertà di espressione la diffusione di dichiarazioni a carattere razzista, xenofobo e antisemita, ma a classificarla come reato e ad adottare le misure preventive del caso;

111. sollecita gli Stati membri ad impegnarsi a fondo per evitare che funzionari pubblici e in particolare le forze dell'ordine assumano comportamenti razzisti, nonché a punire i responsabili di simili comportamenti;

112. sottolinea nuovamente la necessità di promuovere misure nei settori dell'istruzione e della formazione per lottare efficacemente contro il razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo e ritiene che tali misure debbano essere destinate in via prioritaria agli operatori sociali, agli agenti di polizia, ai funzionari della magistratura, agli scolari e agli studenti;

I diritti economici e sociali e il diritto alla sicurezza sociale

113. ritiene che la povertà e l'emarginazione siano fenomeni indegni di una società democratica e opulenta;

114. fa suo l'appello di don J. Wresinski, fondatore dell'associazione "ATD Quarto Mondo", secondo cui "la schiavitù è stata abolita; può esserlo anche la miseria";

115. critica la limitazione dei diritti fondamentali a causa della povertà e dell'emarginazione; ciò vale in particolare anche per gli individui senza residenza fissa, cui di fatto viene impedito l'esercizio dei diritti politici, e segnatamente del diritto di voto;

116. auspica l'elaborazione di uno strumento giuridico vincolante a livello comunitario che stabilisca garanzie minime in materia di reddito, protezione sociale, accesso all'assistenza medica e all'alloggio, in quanto queste sono le premesse indispensabili per una vita conforme alla dignità umana; chiede che nel quadro di questa politica sia dedicata una particolare attenzione agli anziani;

117. esprime indignazione per i numerosi decessi di senzatetto e vagabondi a causa del maltempo invernale e sollecita, in quanto assolutamente necessario, l'allestimento di strutture edilizie adeguate;

118. ritiene che, contestualmente alle misure di tutela sociale ed economica, vadano attuate politiche incisive per frenare il processo di impoverimento sociale;

119. deplora il fatto che sempre più comuni, specialmente in Francia e Germania, proibiscono la questua nel loro territorio;

120. chiede agli Stati membri di riconoscere la situazione particolare delle popolazioni nomadi (sinti, rom, lavoratori itineranti), a rispettare il loro stile di vita tradizionale, a garantire il pieno rispetto dei loro diritti ed esigenze fondamentali e ad astenersi da ogni forma di discriminazione e di pressione per far prendere loro una fissa dimora;

121. chiede che sia rispettato l'obbligo giuridico incombente ad ogni comune di prevedere luoghi di accoglienza adeguati e predisposti per le popolazioni nomadi e chiede agli Stati membri di far rispettare o di prevedere tali obblighi nella loro legislazione;

122. ritiene che il diritto al lavoro sia un diritto fondamentale e che gli Stati membri siano tenuti, senza eccezioni, a tutelarlo; sollecita nuovamente l'introduzione di adeguati provvedimenti per lottare contro la disoccupazione di massa nel quadro di tutte le politiche comunitarie;

123. sostiene il diritto ad una sicurezza sociale di base per gli anziani;

Il diritto alla riservatezza personale e all'autodeterminazione in campo informativo

124. sottolinea che i diritti al rispetto della sfera privata, dell'abitazione e della protezione dei dati personali costituiscono diritti fondamentali che gli Stati sono tenuti a proteggere e quindi che ogni misura di sorveglianza visiva o acustica deve essere adottata nel più rigoroso rispetto di tali diritti e sempre in presenza di garanzie giudiziarie;

125. ricorda che la Corte europea per i diritti dell'uomo ha recentemente inflitto pene per intrusioni palesi nella sfera privata e sottolineato al riguardo che ogni intrusione nel domicilio e nelle comunicazioni private, a prescindere da eccezioni stabilite dalla legge o adottate sotto controllo giudiziario, rappresenta una grave violazione dei diritti dell'uomo;

126. chiede agli Stati membri di emanare disposizioni legislative comuni per tutelare questi diritti, tali da tenere in considerazione il rapido sviluppo delle nuove tecnologie;

127. chiede che nell'ambito di banche dati come il SIS, il SIE, il SID e Europol sia rispettato il diritto alla tutela della sfera privata e si garantisca che non esistono criteri discriminatori nei confronti di alcun gruppo sociale, che nelle banche dati non possano essere raccolte informazioni concernenti la religione, le convinzioni ideologiche o religiose, la razza, lo stato di salute o l'identità sessuale degli individui;

Il diritto alla non discriminazione

128. ribadisce che il diritto fondamentale dei minorati alla parità di opportunità e alla non discriminazione deve trovare riconoscimento nelle politiche comunitarie;

129. sottolinea nuovamente il diritto degli anziani ad una vita dignitosa e conferma il contenuto della sua risoluzione del 24 febbraio 1994 sulle misure a favore degli anziani [13];

130. ribadisce che il diritto alla parità e il diritto alla non discriminazione si basano sull'articolo 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e sull'articolo 119 del trattato e che si tratta quindi di diritti tutelati al cui rispetto sono tenuti gli Stati membri;

131. chiede agli Stati membri di garantire una partecipazione effettiva e paritaria delle donne nella vita pubblica;

132. chiede agli Stati membri di dare seguito quanto prima agli accordi conclusi in materia di diritti umani in occasione della quarta Conferenza mondiale delle donne a Pechino;

133. ritiene che la "Convention on Elimination of All Forms of Discrimination against Women" debba essere integrata da un protocollo opzionale che dia alle singole persone e ai gruppi il diritto di sporgere denuncia e che debba essere adottato un protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo riguardante i diritti delle donne;

134. ritiene necessario un nuovo studio sulla situazione specifica dei diritti umani delle donne ed insiste affinché gli Stati membri adottino misure adeguate per combattere la violenza sessuale ed altre violazioni nei confronti dei diritti umani delle donne;

135. è preoccupato per l'aumento della tratta delle donne nell'Unione europea ed insiste affinché siano conclusi rapidamente accordi europei per contrastare questa pratica lesiva della dignità umana;

136. chiede al riguardo l'adozione di un codice di comportamento europeo contro la tratta delle donne, basato sulle necessità delle vittime, che preveda la nomina di relatori nazionali sulla violenza contro le donne;

137. evidenzia i numerosi ostacoli per ottenere lo status di rifugiato incontrati dalle donne che chiedono asilo e a tale riguardo invita gli Stati membri a considerare la violenza sessuale come una forma di tortura;

138. ritiene necessario che gli Stati membri accordino diritti specifici alle donne migranti;

139. ritiene necessario che gli Stati membri si astengano dal concludere e applicare accordi bilaterali con paesi che ammettono violazioni intollerabili dei diritti fondamentali delle donne;

140. constata un'evidente correlazione tra la dipendenza economica e la vulnerabilità nei confronti della violenza sessuale ed insiste pertanto affinché tutti i lavoratori, inclusi i lavoratori migranti operanti come domestici, si sentano protetti da una legislazione che garantisca loro che il soggiorno nell'Unione europea non dipende integralmente dalla buona volontà del datore di lavoro;

141. ribadisce che nessuno può essere discriminato per la sua religione, per la sua origine, il suo sesso, il suo orientamento sessuale o la sua opinione;

142. chiede nuovamente, con riferimento alla sua risoluzione dell'8 febbraio 1994 sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità europea [14], che venga proibita ogni discriminazione e ogni disparità di trattamento a danno di omosessuali e lesbiche, in particolare per quanto riguarda termini differenti per il conseguimento della maggiore età per relazioni omosessuali, nonché svantaggi legislativi in materia di codice del lavoro, codice civile, normative contrattuali, regime sociale, codici economici, codice penale e adozioni;

143. ritiene che il mancato riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso nell'intera Unione rappresenti una discriminazione sulla base della cittadinanza, in particolare per quanto riguarda il diritto alla libera circolazione e il diritto al ricongiungimento familiare;

144. critica il fatto che la legislazione del Consiglio d'Europa in materia etnica e di minoranze non sia ancora stata trasposta da quasi nessuno Stato membro dell'UE e che la richiesta di una Carta delle minoranze etniche e linguistiche dell'Unione europea non sia stata accolta dal Consiglio, dalla Conferenza intergovernativa e dagli Stati membri, per cui i diritti delle minoranze etniche e linguistiche stabilite in vari Stati membri non godono di alcuna tutela, ovvero di una tutela a livello puramente regionale o nazionale;

145. sottolinea che nessuno può essere discriminato per la sua appartenenza ad una minoranza etnica

o linguistica e che un sostegno specifico alle minoranze per tutelarle contro la spinta all'assimilazione da parte di una maggioranza non costituisce una violazione del principio di uguaglianza, ma al contrario fornisce un contributo alla sua realizzazione;

146. sollecita fermamente l'Austria ad abrogare le sue leggi contro gli omosessuali e in particolare le disposizioni che fissano l'età minima per rapporti omosessuali maschili a 18 anni, consentendo quelli eterosessuali e lesbici a 14 anni;

147. sottolinea che tali disposizioni sono in contrasto con la raccomandazione dell'Assemblea del Consiglio d'Europa (924/81);

148. prende atto che la Commissione delle Comunità europee è stata condannata dalla Corte di giustizia per violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo in seguito a prassi abusive di test di AIDS prima dell'assunzione del personale (sentenza del 5 ottobre 1994, causa C-404/92 P, X contro Commissione);

149. chiede agli Stati membri l'introduzione di una legislazione specifica che stabilisca criteri e vincoli per la ricerca scientifica, soprattutto in ordine alle manipolazioni genetiche e alla protezione degli embrioni;

I diritti del fanciullo

150. ribadisce che il diritto all'istruzione con libera scelta del sistema scolastico è un diritto fondamentale e che gli Stati devono garantire un'istruzione libera, gratuita e completa per tutti, senza distinzione;

151. chiede all'Unione europea di abolire lo sfruttamento economico del fanciullo sotto forma di lavoro infantile;

152. chiede che vengano introdotti meccanismi di controllo e salvaguardia dei diritti elementari dei bambini;

153. chiede agli Stati membri di armonizzare quanto prima l'età minima per l'accesso alla vita lavorativa, aumentando il limite a 16 anni, e di rendere la frequenza scolastica obbligatoria e gratuita fino a tale età;

154. chiede che gli Stati membri classifichino come reato il ricorso alla violenza fisica contro i bambini;

155. invita gli Stati membri a decidere un'azione comune che istituisca un elenco centralizzato dei bambini scomparsi, in attesa del perfezionamento della Convenzione sul sistema europeo d'informazione;

156. invita gli Stati membri a rafforzare gli incentivi nel settore della prevenzione e della rimozione delle gravi negligenze a carico del minore;

157. chiede che gli Stati membri realizzino studi approfonditi sul maltrattamento dei bambini in ogni paese;

158. ritiene indispensabile, per lottare contro il maltrattamento dei bambini, una stretta cooperazione tra i servizi sanitari, della medicina sociale e della magistratura;

159. condanna fermamente lo sfruttamento sessuale dei bambini, gli abusi sessuali di vario tipo e la degradazione dei bambini a oggetti sessuali e merce commerciale; chiede il divieto totale di produzione, commercializzazione, trasporto e possesso di ogni tipo di materiale pornografico infantile, soprattutto in Svezia e Danimarca, dove il possesso di scritti a carattere pedofilo non è punibile per legge;

160. si rallegra dello sviluppo di sistemi volti a bloccare contenuti illegali o nocivi su Internet; sollecita la Commissione ad elaborare un sistema relativo ad un marchio europeo di qualità per i fornitori di accesso ad Internet e a sostenere il coordinamento internazionale in tale settore;

161. reputa che ogni fanciullo abbia diritto ad una famiglia ovvero a crescere in un ambiente familiare, poiché ciò lo rende più capace di affrontare l'esistenza;

162. rileva che il diritto del fanciullo a crescere in un ambiente rassicurante rischia di essere compromesso qualora non esista il diritto al divorzio ovvero esso sia circoscritto da norme come ad esempio la prova della colpevolezza, atte a perturbare i rapporti tra il fanciullo e uno dei suoi genitori;

163. invita gli Stati membri ad appoggiare, di massima, il diritto del fanciullo ad incontrare entrambi i genitori anche dopo il divorzio;

164. ritiene che il fanciullo dovrebbe essere consultato su questioni quali l'identità del suo tutore, in caso di decesso dei genitori; ritiene inoltre che si debba tener conto della volontà del bambino man mano che egli cresce e che, dopo una certa età, il suo parere svolge un ruolo assolutamente determinante;

165. chiede che gli Stati membri stabiliscano disposizioni in materia di eventuali procedimenti penali a carico di organizzatori turistici e di compagnie aeree che incitano al turismo sessuale;

166. chiede che in tutti i paesi europei vengano inasprite le pene per il traffico di bambini e la violenza sessuale contro i bambini e che tutti gli Stati membri emanino disposizioni legislative in materia di extraterritorialità tali da consentire di citare in giudizio nel suo territorio una persona che ha commesso un reato in un altro Stato;

Il diritto ad un ambiente sano

167. ribadisce che il diritto alla vita implica una responsabilità nei confronti delle generazioni attuali e future e che quindi tale diritto inevitabilmente trova riscontro in un maggior rispetto della natura in quanto premessa essenziale per la sopravvivenza;

168. ritiene che le autorità pubbliche debbano garantire a ogni individuo un ambiente sano e la possibilità di influenzare le decisioni che riguardano il suo ambiente;

169. chiede che gli Stati membri armonizzino le disposizioni legislative nazionali e inaspriscano le pene per i reati contro l'ambiente sulla base del principio "chi inquina paga";

170. chiede che sia vietata l'esportazione di tutti i materiali, generi alimentari, prodotti, farmaci, ecc. la cui distribuzione sia vietata nell'Unione europea;

*

* *

171. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione e al Consiglio nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri e agli Stati che hanno già chiesto ufficialmente di aderire alla Comunità europea.

  • [1] () GU C 120 del 16.5.1989, pag. 51.
  • [2] () GU C 240 del 16.9.1991, pag. 45.
  • [3] () GU C 94 del 13.4.1992, pag. 277.
  • [4] () GU C 115 del 26.4.1993, pag. 178.
  • [5] () GU C 44 del 14.2.1994, pag. 103.
  • [6] () GU C 126 del 22.5.1995, pag. 75.
  • [7] () GU C 32 del 5.2.1996, pag. 102.
  • [8] () GU C 320 del 28.10.96, pag. 36.
  • [9] () GU C 78 del 18.3.1996, pag. 31.
  • [10] () GU C 44 del 14.2.1994, pag. 103.
  • [11] () Cfr. documenti parlamentari allegati che da tempo trattano in parte del diritto di associazione dei militari: l'iniziativa PE del 1984, l'iniziativa del Consiglio d'Europa del 1988, l'iniziativa Bertens del 1995, la sintesi dell'audizione dinanzi al Parlamento europeo (interrogante: Hundt), l'interrogazione Konrad del 1996.
  • [12] () GU C 327 del 7.12.1995, pag. 5.
  • [13] () GU C 77 del 14.3.1994, pag. 24
  • [14] () GU C 61 del 28.2.1994, pag. 40

B. MOTIVAZIONE

INTRODUZIONE

"... l'ideale dell'essere umano libero, che goda della libertà dal timore e dalla miseria, può essere conseguito soltanto se vengono create condizioni le quali permettano ad ognuno di godere dei propri diritti economici, sociali e culturali, nonché dei propri diritti civili e politici".

Così recitano, testualmente, i preamboli di due importanti Patti delle Nazioni Unite: il preambolo del Patto internazionale sui diritti civili e politici e quello del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Entrambi risalgono al 1966 e sono stati sottoscritti da più di 100 Stati. Le divergenze emerse negli ultimi anni in seno al Parlamento europeo sono pertanto difficilmente comprensibili.

La presentazione delle relazioni sui diritti dell'uomo nell'Unione europea ha provocato ogni volta vivaci discussioni sul contenuto del concetto "diritti dell'uomo". Una parte dei parlamentari si rifiutava di discutere di povertà e di disoccupazione in Europa nell'ambito dei "diritti dell'uomo". Persino il fatto di trattare la situazione delle donne, dei disabili e dei rifugiati nel contesto dei "diritti dell'uomo" era controverso.

Così non si può più continuare se si vogliono prendere sul serio i Patti dell'ONU del 1966. Dal Patto sui diritti economici, sociali e culturali emerge infatti chiaramente che le questioni connesse al lavoro, alla remunerazione e alle condizioni di lavoro sono questioni attinenti ai diritti dell'uomo.

Dobbiamo partire dal concetto di diritti dell'uomo dell'ONU, il quale comprende tre categorie centrali di norme. Il concetto di diritti dell'uomo dell'ONU comprende in primo luogo i diritti negativi di libertà. Essi garantiscono che l'individuo non deve essere vittima di costrizioni o violenza di altro tipo da parte di organi statali senza giustificazione. Il concetto di diritti dell'uomo dell'ONU comprende, in secondo luogo, i diritti positivi di partecipazione: essi garantiscono la partecipazione del singolo ai processi decisionali in campo politico e sociale. Inoltre, in terzo luogo, il concetto di diritti dell'uomo dell'ONU comprende i diritti sociali di partecipazione e il diritto allo sviluppo, invocato soprattutto dai paesi del Terzo mondo; essi stabiliscono chiaramente che nei diritti civili e politici rientrano anche le condizioni per esercitarli. Si tratta dei nuovi diritti dell'uomo della terza generazione.

Il fatto di assicurare a ricchi e poveri lo stesso diritto di dormire sotto i ponti, significa per i poveri una libertà decisamente insoddisfacente e cinica; questa libertà da sola non basta. I diritti sociali dell'uomo servono quindi a garantire, nelle condizioni della società industriale, libertà, uguaglianza e partecipazione. Essi integrano i tradizionali diritti liberali in materia di liberà. Su questo punto s'impone una riflessione, come si è visto nell'inverno 1996/1997, durante il quale si sono registrati nell'Europa centrale e settentrionale numerosi decessi per assideramento. I notiziari hanno riferito che queste persone sono morte di freddo, ma in realtà sono morte di povertà.

I diritti dell'uomo sono diventati un concetto chiave della politica internazionale. Eppure, nonostante siano citati in quasi tutte le costituzioni, convenzioni, risoluzioni e discorsi di statisti, le divergenze sui relativi contenuti diventano sempre più marcate. Negli ultimi anni, ogniqualvolta una relazione sui diritti dell'uomo nell'UE rivendicava diritti sociali dell'uomo, si reagiva immediatamente affermando che si trattava di una "richiesta politica". Ogni rivendicazione di diritti umani ha una forte valenza politica, che aumenta quanto più li si esamina da vicino, quanto più tale rivendicazione ci riguarda direttamente.

E' facile insistere sull'osservanza dei diritti umani altrove, soprattutto di quelli che si crede di aver attuato in modo esemplare a casa propria. Ma è difficile riconoscere le carenze nel proprio paese - e si tende piuttosto a minimizzarle e comunque a non volerle accettare in connessione con violazioni dei diritti umani.

Abbiamo denunciato fin troppo spesso le colpe altrui. In questa relazione ci occuperemo delle proprie inadempienze. Per essere credibili dobbiamo in certo qual modo verificare la stabilità delle basi dei diritti dell'uomo nell'UE. Non possiamo e non dobbiamo accontentarci del fatto che la situazione altrove è ancora molto, ma molto peggiore. A questa considerazione si può obiettare con una frase di Bert Brecht: "Ognuno parli della propria vergogna".

Se decidiamo di elaborare una relazione sulla situazione dei diritti dell'uomo nell'UE, non dobbiamo comportarci da ipocriti. Non possiamo e non dobbiamo costruirci un proprio concetto europeo di diritti umani, che farebbe inevitabilmente sorgere al di fuori dell'UE il sospetto che noi definiamo i diritti dell'uomo a nostro piacimento, così da poterli poi rispettare. Se elaboriamo una relazione sui diritti dell'uomo, dobbiamo basarla sul concetto di diritti umani valido per le Nazioni Unite. Non si tratta solo di un gesto di fair play e dell'imperativo della credibilità nei confronti degli Stati che tanto spesso critichiamo nelle nostre risoluzioni. Si tratta anche di un obbligo che ci deriva dai Patti dell'ONU sottoscritti dagli Stati dell'Unione europea. L'attuazione dei diritti dell'uomo civili e politici non è possibile senza la contestuale attuazione dei diritti dell'uomo economici, sociali e culturali, e viceversa. E' questo il vero significato della frase spesso citata "I diritti dell'uomo sono indivisibili". Quando esaminiamo la situazione dei diritti umani nell'Unione europea, dobbiamo seguire un'impostazione unitaria. E' quanto si propone di fare la presente relazione.

Esiste un registro classico, tristemente classico della normalità in materia di diritti dell'uomo: le relazioni annuali di Amnesty International sono un inventario delle sofferenze di questo mondo. La relazione per il 1995 riporta nelle sue 637 pagine torture, stupri e uccisioni, illegalità e libertà negate in 151 Stati. Leggiamo queste relazioni con indignazione, sgomento e orrore. E talvolta si ha l'impressione che noi europei ci atteggiamo e parliamo come il fariseo nel Vangelo di Luca 18,11: "Oh Dio, ti rendo grazie perché non sono come il resto degli uomini". Una relazione europea sui diritti dell'uomo non deve cadere in una simile esaltazione.

Ci piace celebrarci come difensori dei diritti dell'uomo. In occasione del 40Ί anniversario della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, nel 1991, il direttore Michel Mousalli, all'epoca capo della Sezione protezione giuridica internazionale presso il Commissario ONU ai rifugiati, ha tracciato un bilancio schietto: "Non c'è niente da festeggiare". Perché la dottrina prevalente nell'UE interpreta la Convenzione sui rifugiati in modo tale che le vittime di guerre civili e disordini interni non beneficano più di alcuna protezione. Le masse di profughi devono continuare a vagare - è questo l'orientamento politico dell'attuale prassi interpretativa - a dispetto della Convenzione.

La presente relazione si ispira, nella presentazione formale e negli orientamenti, alle relazioni che l'hanno preceduta. Le si potrà forse rinfacciare di essere parziale. Lo è sicuramente. Come può una relazione sulla situazione dei diritti umani non essere parziale, per quanto riguarda i diritti umani? Non può esserci una relazione "neutrale" sui diritti dell'uomo. Due sono le possibilità: una relazione che cerca di descrivere la situazione senza preoccuparsi delle suscettibilità oppure una che minimizza, seleziona, attenua e presume che tutto ciò che accade nei nostri paesi possa essere considerato al massimo come un peccato veniale. "Tertium non datur". Questa relazione, come le precedenti, opta per una chiara descrizione dei fatti. Non esistono infatti scuse del tipo: "In confronto a... nell'UE va tutto molto bene". La teoria della relatività rientra nel dominio della fisica, non nell'ambito di una relazione sui diritti dell'uomo.

La presente relazione illustra chiaramente la situazione dei diritti dell'uomo nei singoli Stati dell'UE. Chi vede in ciò un'ingerenza negli affari interni, non conosce il diritto internazionale. Secondo un'opinione oggi generalmente riconosciuta e confermata da ultimo in occasione della Conferenza sui diritti dell'uomo a Vienna nel 1993, i diritti umani non sono più un affare interno degli Stati. Pertanto nessun governo, neppure europeo, può lamentarsi di un'indebita ingerenza se vengono criticate le condizioni vigenti nel paese in questione.

A quanti intendono "assottigliare" o addirittura "dimezzare" i diritti umani si ricorda l'obiettivo della guerra antifascista enunciato dal Presidente americano Roosvelt nel 1941, secondo il quale "la libertà dai bisogni materiali" deve essere equiparata alla libertà di parola e di pensiero e alla libertà dal timore. Non si potrebbe esprimere in modo più bello e semplice come devono essere definiti i diritti dell'uomo. Roosvelt era in anticipo di 25 anni sui Patti dell'ONU. Noi, nel 1997, non possiamo arretrare.* * * * *

I. STRUMENTI PER RAFFORZARE I DIRITTI DELL'UOMO

La presente relazione si propone di indicare le violazioni dei diritti umani nell'UE, quale testimonianza del nostro impegno comune a tutelare l'uomo con tutti i suoi diritti e a configurare l'Europa come uno spazio in cui vigono la giustizia, la libertà e la pace, la dignità della persona viene rispettata e l'uomo non deve temere per la sua vita e per la sua dignità.

Per rafforzare il sistema europeo di protezione dei diritti umani non basta che siano membri della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) gli Stati dell'UE, ma è necessario che vi aderisca anche la stessa Unione europea. Questa adesione cambierebbe radicalmente e rafforzerebbe il sistema di salvaguardia dei diritti umani e farebbe del rispetto di tali diritti un obiettivo prioritario della Comunità.

Secondo il parere (n. 2/94) della Corte di giustizia delle Comunità europee del 28 marzo 1996, l'adesione è possibile solo previa modifica della normativa comunitaria. Tale modifica deve avvenire nell'ambito della Conferenza intergovernativa in corso.

L'UE dovrebbe elaborare un catalogo di diritti fondamentali. La mancanza di un siffatto strumento rappresenta una grave lacuna del sistema europeo di tutela dei diritti umani.

La costruzione europea non può limitarsi a promuovere lo sviluppo economico. Ogni politica deve essere anche una politica dei diritti dell'uomo, la quale a sua volta non può limitarsi ai cittadini dell'Unione, ma deve valere per tutte le persone che vivono nell'UE.

L'inserimento sistematico di una clausola dei diritti umani in tutti gli accordi conclusi dall'UE con paesi terzi sarebbe l'espressione della volontà politica di combattere le violazioni dei diritti umani ovunque vengano perpetrate e di eliminarle definitivamente. Una siffatta clausola contrattuale non dovrebbe però avere soltanto carattere simbolico: una sua mancata osservanza deve dar luogo a sanzioni, che possono giungere fino alla denuncia dell'accordo in questione.

II. IL DIRITTO A VIVERE E A MORIRE IN DIGNITA'

Eutanasia

In alcuni paesi europei si registra una notevole diffusione di una particolare forma di violazione del diritto alla vita attraverso l'eutanasia attiva. Per esempio, nei Paesi Bassi l'eutanasia attiva e l'assistenza alle persone che decidono liberamente di morire sono di per sé vietate, ma sono diventate possibili con una modifica del regolamento di polizia mortuaria. Il necroscopo denuncia il decesso alla Procura. Se risultano soddisfatte una serie di condizioni, come il consenso del malato e la partecipazione di un secondo medico, la Procura rinuncia alle indagini. E' tollerata anche l'eutanasia attiva senza consenso, per esempio nel caso di neonati affetti da gravi handicap. Questa regolamentazione è un'aberrazione giuridica.

L'eutanasia attiva è un reato espressamente condannato dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il cui articolo 2 sancisce il diritto illimitato alla vita per ogni individuo. Il Parlamento europeo si è energicamente opposto, a più riprese, alle violazioni del diritto alla vita di disabili, pazienti in coma prolungato e neonati minorati, che sono di norma le persone colpite dall'eutanasia attiva non autorizzata in Europa.

Solo in Germania ogni anno 50.000 persone subiscono gravi danni al cervello in seguito a incidenti, intossicazioni, annegamento, infiammazioni, ictus. Circa 3.000 entrano in uno stato di profonda incoscienza, sindrome da decerebrazione o coma vigile. La medicina sa ben poco su questi pazienti, se essi siano in grado di risvegliarsi dopo un lungo periodo, se e che cosa percepiscono. Nel 1995 il Centro di diritto ed etica della medicina di Londra ha inviato ai neurologi di tutti i paesi dell'UE un questionario contenente domande rigorosamente catalogate (sospensione dell'alimentazione dopo 3, 6 o 12 mesi o oltre) e risposte formulate con il sistema della scelta multipla. Nel questionario mancava naturalmente la domanda se un procedimento del genere sia sostanzialmente da respingere.

I familiari dei pazienti in coma, associazioni di autodifesa, medici, infermieri e personale sanitario lo hanno definito un omicidio, un piano mostruoso per far morire di fame i malati più gravi. Si apriva uno spiraglio all'eutanasia attiva su dementi e minorati, il diritto dei pazienti alla vita veniva a dipendere dalla loro utilità e dai costi che comportavano. Dagli ospedali, che non possono più occuparsene, vengono trasferiti in centri di ricovero, anche se qui manca personale specializzato.

La critica è pienamente giustificata: un paziente in coma soffre se non gli vengono somministrati liquidi, ma non è in grado di farsi capire. Sospendere l'alimentazione è pertanto inammissibile. In linea di principio dobbiamo considerare come equivalente all'eutanasia attiva qualsiasi azione, anche un'omissione, intesa a provocare deliberatamente la morte di una persona. Nessun Procuratore accetterebbe come eutanasia passiva il fatto che una madre cessi di nutrire il suo neonato.

Non basta evidentemente condannare l'eutanasia attiva. I paesi dell'UE dovrebbero essere nel contempo incoraggiati a promuovere strutture di assistenza ai malati terminali. L'"hospice movement" in Gran Bretagna è un buon esempio in questo senso. Le persone in fin di vita vengono assistite nel modo migliore e più dignitoso. Un'assistenza di questo tipo, promossa dallo Stato, è utile anche per evitare gli eccessi di analoghe strutture organizzate autonomamente. Un numero crescente di persone aderisce ad organizzazioni private di assistenza, che rivendicano il diritto del paziente di scegliere la morte in caso di malattie inguaribili. Si tratta del problema insolubile di come porre fine a sofferenze insopportabili in una società umana. Non sempre però una siffatta assistenza persegue queste finalità. Un'assistenza nell'ambito della quale entri in gioco il denaro e la morte diventi un affare commerciale di oscure organizzazioni va categoricamente respinta. Approfittare del bisogno delle persone nell'ultima fase della loro vita è scandaloso. Per questo occorre che lo Stato finanzi e promuova l'assistenza ai malati terminali.

La pena di morte

Fortunatamente, la pena di morte in quanto violazione del diritto alla vita è stata abolita in tutti gli Stati membri dell'Unione europea, dopo che anche Belgio (1996), Grecia e Italia si sono espressi in tal senso.

La Gran Bretagna, la Grecia e il Belgio non hanno però ancora ratificato gli strumenti internazionali necessari per sanzionare definitivamente l'abolizione della pena di morte, in particolare il Protocollo n. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Esiste quindi il pericolo che la pena di morte possa essere reintrodotta. Si chiede pertanto a questi tre Stati membri di sostanziare la loro volontà di abolire definitivamente la pena di morte, de facto e de jure, avviando le rispettive procedure di ratifica.

Occorre inoltre garantire che persone minacciate della pena di morte in un paese terzo non possano esservi estradate; qualsiasi altra decisione rappresenta una violazione del diritto alla vita da parte dello Stato.

Azioni terroristiche

Le organizzazioni terroristiche costituiscono una minaccia per il diritto alla vita. Il terrorismo è un delitto compiuto contro innocenti.

Nel 1995 attacchi terroristici attribuibili all'ETA hanno provocato in Spagna 15 morti e 47 feriti; in Gran Bretagna si sono avute 6 azioni terroristiche che hanno causato notevoli danni; in Francia 22 persone sono morte e più di 140 sono rimaste ferite in una lunga serie di attentati.

Non esiste nessuna causa o rivendicazione politica, per quanto nobile, in grado di giustificare simili atrocità. Il terrorismo va combattuto con determinazione. Tutte le disposizioni e misure contro il terrorismo devono però tutelare i diritti dell'uomo, a prescindere dalla gravità dei fatti commessi. Alle violazioni dei diritti umani non si può e non si deve rispondere con altre violazioni dei diritti umani. Lo Stato deve differenziarsi dal criminale non solo nei suoi obiettivi, ma anche nella scelta dei mezzi per il loro perseguimento.

La Corte europea di giustizia ha condannato a più riprese la Turchia per violazione dei diritti dell'uomo. Queste condanne non si riferiscono a vicende ormai concluse. Terrore e torture continuano infatti ad essere all'ordine del giorno in questo paese. Malgrado le assicurazioni fornite in senso contrario, la situazione in Turchia è sempre la stessa: le persone "spariscono" o rimangono vittime di assassinii di Stato e gli oppositori vengono incarcerati per le critiche espresse. Ciò vale soprattutto per le regioni curde. Questi orrori non rientrerebbero in realtà in una relazione sulla situazione dei diritti umani nell'UE, dal momento che la Turchia non è membro dell'Unione. Ma chi commette violazioni dei diritti umani nell'esercito e nella polizia non è l'unico colpevole; responsabili sono anche coloro che forniscono a queste persone le armi con le quali le violazioni dei diritti umani saranno perpetrate; e si tratta anche di paesi membri dell'UE, soprattutto la Repubblica federale di Germania, che soltanto nel 1995 ha autorizzato trasferimenti di armi alla Turchia per circa 180 milioni di marchi. Parlare in queste condizioni di "politica responsabile in materia di esportazioni di armi" è cinico. Sotto il profilo penale, la Germania si rende in tal modo colpevole di contribuire a violazioni dei diritti dell'uomo. E' necessario pertanto insistere presso tutti gli Stati membri affinché interrompano definitivamente tutte le esportazioni di armi verso paesi come la Turchia.

III. IL DIRITTO ALL'INCOLUMITA' FISICA

Anche la presente relazione condanna fermamente le torture e altre pene e trattamenti disumani o degradanti.

La Corte europea per i diritti dell'uomo sottolinea nelle sue sentenze che qualsiasi ricorso alla forza fisica contro una persona arrestata o incarcerata, che non risulti assolutamente necessario a motivo del suo comportamento, costituisce un attacco alla dignità umana e una violazione del diritto all'incolumità fisica sancito dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in base al quale: "Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti".

Nel 1995 la Corte ha condannato l'Austria e dichiarato il governo austriaco colpevole di trattamento inumano e degradante nei confronti di un cittadino austriaco, a causa del trattamento riservatogli dai funzionari di polizia durante l'arresto. I funzionari incaricati di interrogarlo lo avevano maltrattato per estorcergli una confessione.

In un caso ancora più grave, la Gran Bretagna è stata condannata per violazione dell'articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ("Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge") per uso improprio della forza da parte dei servizi di sicurezza nei confronti di tre membri dell'IRA. Il fatto che le vittime fossero terroristi non può giustificare l'uso improprio della forza da parte dello Stato.

IV. I DIRITTI FONDAMENTALI DI LIBERTA'

La Grecia non ha ancora previsto la possibilità dell'obiezione al servizio militare per ragioni di coscienza. In questo paese 310 obiettori di coscienza continuano a rimanere in carcere perché si rifiutano di prestare il servizio militare. Quasi tutti sono testimoni di Geova che rifiutano di vestire l'uniforme. La pena comminata può arrivare fino a 4 anni e 8 mesi di reclusione. A ciò si aggiungono la perdita dei diritti civili, il divieto di esercitare un'attività professionale o ricoprire una carica pubblica, il rifiuto di rilasciare il passaporto con la conseguente impossibilità di uscire dal paese.

Anche altri paesi europei violano la libertà di coscienza, in particolare Austria, Spagna, Francia e Portogallo, dove l'obiezione di coscienza viene riconosciuta solo all'atto della chiamata di leva. Anche nelle carceri di questi paesi si ritrovano obiettori di coscienza.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ripetutamente accusato la Grecia di violazioni dell'articolo 9 della CEDU, perché obbliga i suoi cittadini ad indicare la propria confessione religiosa nella carta d'identità.

La Corte europea ha ribadito a più riprese che il diritto alla libertà d'espressione (articolo 10 della CEDU) costituisce un elemento fondamentale di una società democratica e una condizione prioritaria per il suo progresso.

Nel 1995 si è constata una nuova violazione di questo diritto in Irlanda: la vendita e la messa in circolazione di pubblicazioni e la proiezione di filmati e riprese favorevoli all'aborto sono vietate. Con questa legge si viola manifestamente il diritto alla libera espressione e anche quello di ogni donna di essere informata sui suoi diritti.

La Germania è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel 1995 per violazione della libertà di associazione e di espressione, perché funzionari tedeschi non dovevano essere membri del Partito comunista tedesco, pena il licenziamento per motivi di "inaffidabilità politica".

In Grecia non vengono rispettate le libertà di associazione e di riunione, dato che le minoranze non possono associarsi e riunirsi pacificamente per lottare a favore del riconoscimento dei loro diritti.

V. IL DIRITTO ALLA SICUREZZA

La questione della morale di una società diventa più precaria nella misura in cui sia le istanze che in passato ne erano responsabili, sia le strutture che veicolavano la morale vengono meno al proprio compito. Il "bene" è stato spodestato, il "male" è purtroppo rimasto. Tuttavia esso non appare più come un temibile male ancestrale, ma piuttosto come una specie di avaria nel processo di sviluppo. Per superarla si fa appello alla giustizia, che si rivela però puntualmente incapace di farvi fronte perché oberata da troppe richieste. In situazioni di questo tipo è il momento dei populisti. In nome del diritto alla sicurezza delle persone, di per sé pienamente legittimo, essi rivendicano leggi più rigorose, pene più severe e maggiori poteri per polizia e Procure. Non tutte queste richieste sono da respingere a priori. Di quando in quando può effettivamente rendersi necessario adeguare le leggi ad una realtà mutata. Ma un politico il quale suggerisca alla gente che, per eliminare il male, basta semplicemente rafforzare l'apparato giudiziario, dà a intendere il falso. In fondo, se la persecuzione dei reati su Internet, come su altre reti informatiche, fallisce, non è tanto per le difficoltà tecniche d'intervento, quanto per la massa di reati che si dovrebbero perseguire. Internet rispecchia purtroppo, nel bene e nel male, la realtà a livello mondiale. Ciò non significa che polizia e Procure dovrebbero rassegnarsi e rimanere con le mani in mano. Ma si dovrebbe smettere di creare illusioni sull'onnipotenza della giustizia e di promettere la sicurezza totale.

VI. I DIRITTI DEI DETENUTI

Il Comitato europeo contro la tortura ha nuovamente sottolineato che uno Stato che mette un individuo in stato di detenzione è tenuto a garantire condizioni carcerarie dignitose.

Nel suo Rapporto sulle condizioni nelle carceri nel 1995, l'Osservatorio internazionale dei penitenziari richiama l'attenzione sul sovraffollamento in molte prigioni europee, che costituisce uno dei problemi più gravi: la capienza è sfruttata al 168% in Grecia, al 128% in Italia, al 126% in Portogallo, al 118% in Belgio e al 111% in Francia. In alcuni istituti di pena questa percentuale sale addirittura al 250%, come per esempio nelle prigioni francesi di Béziers. A questo problema si può far fronte con nuovi istituti e un aumento del personale; ma ancora più urgente è promuovere soluzioni alternative alla reclusione. La pena detentiva deve essere l'ultima ratio.

Le organizzazioni per i diritti dell'uomo denunciano all'unanimità il peggioramento delle condizioni di vita nelle carceri europee. Questo peggioramento è dovuto alla tendenza generale a comminare pene più lunghe, alla fatiscenza degli istituti, alla mancanza di strutture sanitarie, alle scarse possibilità di occupazione dei detenuti e a condizioni di lavoro deplorevoli. Tutti questi fattori hanno contribuito a far sì che attualmente le condizioni di vita in alcuni penitenziari europei equivalgano ad un trattamento inumano e degradante.

Lo stato di salute di molti detenuti è precario. Il Rapporto pubblicato dal Comitato europeo contro la tortura sulle condizioni di vita in alcune carceri irlandesi segnala le carenze esistenti a livello di assistenza medica (nessun servizio psichiatrico, scarsissimo personale sanitario, visite mediche estremamente superficiali, ecc.).

Pur sapendo che l'uso della droga e le pratiche sessuali sono diffuse fra i detenuti, non disponiamo di una politica coordinata per far fronte al pericolo dell'AIDS. Tenendo conto del numero di detenuti tossicodipendenti e del numero stimato di sieropositivi in carcere, si può dire che tutti i paesi europei si comportano in modo irresponsabile perché non attuano alcuna politica sanitaria preventiva. In tutti i penitenziari europei si dovrebbe introdurre urgentemente un trattamento speciale per i tossicodipendenti, che preveda la somministrazione di droghe sostitutive e terapie adeguate. In Italia, anche i detenuti in stadio avanzato di AIDS rimangono in carcere e non vengono trasferiti in apposite strutture.

Il tasso di mortalità nelle carceri è particolarmente elevato: nel 1995 si sono registrati nei penitenziari britannici 74 decessi, di cui 59 suicidi, 3 morti per overdose e 3 omicidi; il tasso di suicidi fra i detenuti è qui dieci volte superiore a quello del resto della popolazione.

In Francia, nel 1995, 107 prigionieri si sono suicidati e molti decessi sono da ascrivere all'indifferenza del personale di custodia nei confronti dei detenuti bisognosi di assistenza. Lo stesso dicasi per le carceri italiane.

Il Comitato europeo contro la tortura, dopo una visita ad alcune carceri italiane, ha sottolineato, nel suo Rapporto 1995, il rischio ivi esistente (soprattutto per un detenuto straniero) di essere maltrattato. Il Rapporto pubblicato da questo Comitato nel dicembre 1995 su una visita effettuata in Irlanda segnala una tendenza all'uso della forza da parte del personale di custodia.

Secondo Amnesty International, nel 1995 i servizi di sicurezza di quasi tutti i paesi europei si sono resi colpevoli di casi di torture, pene crudeli e maltrattamenti. In tale contesto vengono citate soprattutto la Francia e la Gran Bretagna, dove si sono verificati numerosi casi di morte violenta, sopravvenuta in occasione di arresti, fermi di polizia o detenzione, a causa del trattamento riservato a queste persone da agenti di polizia o di custodia. In Germania i maltrattamenti hanno spesso una matrice razzista.

Tutti gli Stati membri sono unanimi nel condannare la tortura, le pene e i trattamenti inumani e degradanti e a considerarli pratiche inaccettabili, insostenibili e indegne di una società civile. Le legislazioni nazionali di tutti gli Stati membri prescrivono al riguardo pene severe. Ciononostante, il numero delle denunce presentate per maltrattamenti subiti è in continuo aumento. Sembra che la tendenza sia quella di minimizzarle.

Il bersaglio principale dei maltrattamenti e degli abusi compiuti da funzionari di polizia, agenti di custodia e persino compagni di cella sono gli stranieri, i richiedenti asilo e le persone prive di uno status di soggiorno ben definito. A causa dello stato di bisogno in cui si trovano, di un contesto legislativo sempre più repressivo e di un ambiente generalmente ostile nei loro confronti, queste persone particolarmente vulnerabili diventano spesso dei capri espiatori. Se la vittima protesta, nessuno la capisce. Se qualcuno la capisce, nessuno le crede. Se alla fine qualcuno le crede, è troppo tardi perché l'interessato viene espulso prima che venga avviato un procedimento giudiziario contro i responsabili.

Come richiesto dal Comitato europeo contro la tortura, gli Stati membri devono introdurre un efficace procedimento di denuncia a favore dei detenuti che si sentano lesi nei loro diritti. Queste denunce devono essere fatte seguire dagli opportuni accertamenti e devono portare, entro un termine quanto più breve possibile e dopo indagini esaustive e imparziali, all'imposizione di sanzioni penali e disciplinari.

I detenuti che presentano una denuncia contro agenti di polizia o di custodia devono essere tutelati dalle intimidazioni. La strategia seguita dalla polizia di presentare in seguito una controdenuncia per "resistenza all'autorità dello Stato" deve essere condannata qualora risulti che il suo obiettivo consisteva unicamente nello screditare la vittima.

I detenuti devono essere informati dei loro diritti, compreso il diritto a denunciare eventuali maltrattamenti, in una lingua a loro comprensibile. Devono avere la possibilità di informare immediatamente del loro arresto una terza persona. La presenza di un avvocato durante gli interrogatori è essenziale per garantire il rispetto dei diritti del detenuto. Il diritto ad essere visitato da un medico di fiducia è un diritto fondamentale per chi dichiari di aver subito maltrattamenti.

Altri aspetti anomali: in Francia la custodia preventiva può durare fino a 5 anni, in Italia il 45% dei detenuti è in custodia preventiva, in Lussemburgo il 55% dei detenuti è in carcere per reati connessi alla droga. Non si può accettare il fatto che manchino disposizioni legislative adeguate alla particolare situazione delle persone in custodia preventiva e che in tal modo venga snaturato il principio della presunzione d'innocenza di cui all'articolo 6 della CEDU.

VII. IL DIRITTO D'ASILO

La politica attualmente perseguita dall'UE nei confronti dei profughi è una politica che respinge i profughi. E' urgentemente necessario formulare una strategia comune in materia di accoglienza dei profughi, che non deve orientarsi al minimi comune denominatore, ma deve essere almeno rispondente ai requisiti della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Le disposizioni sullo Stato terzo previste dalla procedura d'asilo spostano il profugo da un paese all'altro senza alcuna tutela. Ogni paese conta sul fatto che sarà il paese successivo ad offrirgli protezione. Ma una tutela effettiva non esiste da nessuna parte. In questo modo le Convenzioni sui rifugiati già in vigore vengono completamente vanificate.

La politica d'asilo consiste ormai solo nell'impedire presunti abusi. La politica d'asilo consiste nella dissuasione. Tutte le misure si limitano semplicemente a tenere i profughi lontani dai paesi dell'UE. Se un profugo riesce infine ad entrarvi, inizia la seconda fase della politica d'asilo europea: mandarlo via quanto prima e, possibilmente, nel frattempo rendergli la vita difficile. Si parla senza alcun imbarazzo di misure di dissuasione. Si tratta di: divieti di lavoro, sistemazione precaria in grandi alloggiamenti, assistenza sociale e medica inadeguate, detenzione in attesa dell'espulsione. Tutto ciò è assolutamente contrario allo spirito e alla lettera della strategia di tutela dei profughi in Europa, quale elaborata dopo la Seconda guerra mondiale. L'interpretazione restrittiva del concetto di persecuzione, le difficoltà nella presentazione di una domanda d'asilo, termini ridotti per la procedura di richiesta d'asilo, la nozione di "domanda manifestamente infondata" e le condizioni nei centri d'accoglienza costituiscono altrettante violazioni della Convenzione di Ginevra, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

VIII. LA LOTTA CONTRO IL RAZZISMO E LA XENOFOBIA

I nostri paesi sono attraversati da un'ondata di razzismo e di xenofobia. I ripetuti attacchi sferrati in Germania, nel 1995, contro centri d'accoglienza di profughi in attesa di ottenere asilo ne sono una drammatica testimonianza. Atteggiamenti xenofobi si diffondono in Francia, Germania, Austria, Regno Unito e Italia. Le cause di questo fenomeno sono riconducibili anche alla legislazione. In Germania, per esempio, la normativa sugli stranieri considera con scarso entusiasmo anche gli immigrati che si trovano nel paese già da lungo tempo. Laddove la legge dice "sì", lo fa sempre seguire da due "ma". E' questa esitazione a rendere la normativa così complicata: un vero labirinto, che disorienta i nuovi arrivati. La legge continua a considerare i cittadini stranieri come un pericolo per la sicurezza e l'ordine pubblico, come destinatari delle norme di polizia e non come soggetti attivi di un arricchimento sociale e culturale della nostra società. La legislazione sugli stranieri rischia di diventare un campo di sperimentazione per un neonazionalismo europeo. Gli individui vengono gerarchizzati: nei paesi dell'UE sono considerati stranieri "buoni" solo gli stranieri UE. Tutti gli altri - lavoratori migranti, profughi - sono persone di seconda e terza categoria, alle quali vengono negati in misura crescente alcuni diritti fondamentali, fra cui quello al ricongiungimento familiare. Ciò crea un terreno fertile per la propaganda aggressiva dell'estrema destra, che la politica degli Stati membri non contrasta a sufficienza.

Nell'articolo 4 della Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale si chiede un divieto della propaganda razzista, ossia di qualsiasi diffusione di idee basate sulla superiorità di una "razza"; si chiede inoltre di vietare la propaganda organizzata e ogni altro tipo di propaganda che inciti alla discriminazione razziale.

L'attuale legislazione è manifestamente inadeguata; inoltre essa non viene applicata, in quanto non consente di classificare queste pratiche come reati. Ogni diffusione di idee razziste va definita un reato, affinché in tutti i paesi europei il razzismo non rientri più nella libertà d'espressione, ma sia perseguibile come incitamento all'odio e alla denigrazione.

IX. IL DIRITTO A NON ESSERE DISCRIMINATI

Le donne continuano ad essere discriminate. Gli Stati membri devono promuovere e tutelare i loro diritti e combattere gli stereotipi sessisti.

Le disuguaglianze sociali ed economiche fra uomini e donne costituiscono ancor oggi un attacco ai diritti umani e al principio della parità di trattamento sancito dall'articolo 14 della CEDU. Lo strumentario giuridico che dovrebbe assicurare la parità fra i sessi non viene applicato e le pari opportunità in campo professionale sono sistematicamente disattese. Continuano a sussistere differenze nella remunerazione, sia nel settore privato che in quello pubblico.

Le donne sono maggiormente colpite dalla disoccupazione e dalla povertà rispetto agli uomini. Solo in Svezia, Finlandia e Danimarca le disparità risultano più attenuate. In Grecia e in Francia le donne svolgono un ruolo di scarso rilievo, soprattutto nella vita politica.

Il diritto delle donne all'incolumità fisica non viene rispettato: violenze in ambito familiare, violenza sessuale, torture psichiche e molestie sessuali.

Nessun individuo dev'essere discriminato o limitato nei suoi diritti a causa della sua identità sessuale.

Nella maggior parte dei paesi europei, omosessuali e lesbiche continuano ad essere discriminati praticamente in tutti i settori.

Le coppie omosessuali e lesbiche sono penalizzate dal diritto di successione, non possono presentare dichiarazioni congiunte dei redditi, non hanno accesso agli alloggi sociali, in caso di decesso del partner il superstite non subentra generalmente nel contratto di locazione, ecc. La legga nega quindi a queste persone la parità di trattamento a causa della loro identità sessuale.

A livello europeo è urgentemente necessario abolire qualsiasi discriminazione a danno di omosessuali e lesbiche, anche attraverso il riconoscimento giuridico di modalità di vita diverse. Nell'UE le coppie omosessuali e lesbiche sono riconosciute solo in Danimarca e Svezia, ma anche in questi paesi esistono discriminazioni nell'ambito della normativa sull'adozione.

X. IL DIRITTO ALLA SICUREZZA SOCIALE DI BASE

La povertà nei paesi ricchi dell'UE aumenta. Cresce il numero dei senzatetto e quello delle persone dipendenti dall'assistenza sociale e dagli aiuti pubblici.

Esiste una forma di violenza contro i bambini più sottile di quella fisica - che è anche un'altra forma di maltrattamento: la povertà.

Un numero crescente di bambini e adolescenti vive al limite o al di sotto della soglia di povertà. La Commissione delle Nazioni Unite per la protezione dei diritti dell'infanzia ha definito la povertà di molti bambini in Germania una vergogna. Nel 1981 l'UE ha stabilito la soglia della povertà: è povero chi dispone di meno del 50% del reddito medio - secondo i dati delle organizzazioni assistenziali, solo in Germania si trovano in questa condizione 7,3 milioni di persone. La diffusione della microcriminalità fra i giovani si collega a tale fenomeno. Sono soprattutto i giovani a non riuscire più a cavarsela in un mondo che si dischiude solo ai benestanti. E' necessaria pertanto una politica che garantisca anche ai bambini e ai giovani una sicurezza sociale di base e cerchi di assicurare loro la parità di opportunità. La migliore politica criminale è infatti, come sempre, una politica sociale.

Tutti questi problemi non si risolvono tenendoli nascosti o dissimulandoli. Nell'UE esiste purtroppo una tendenza ad applicare misure repressive: il divieto della questua in diverse città francesi e tedesche ne è un triste esempio; in Europa neppure gli ordinamenti medievali erano giunti a tanto! La crisi economica non sarà meno grave se si sottraggono alla vista le vittime di questa crisi, emarginando i poveri e i senzatetto.

XI. I DIRITTI DELL'INFANZIA

I diritti dell'infanzia vengono violati in Europa e nel resto del mondo.

In alcuni Stati membri dell'Unione europea il lavoro minorile è ampiamente diffuso e continua quindi lo sfruttamento della manodopera infantile. In Gran Bretagna, l'età minima stabilita dalla legge per l'accesso al lavoro è di 13 anni; in questo paese più di 2 milioni di bambini lavorano quindi regolarmente.

L'Unione europea deve impegnarsi con determinazione a favore di un divieto del lavoro minorile. Occorre armonizzare senza indugio l'età minima per l'accesso alla vita lavorativa e prevedere l'istruzione obbligatoria fino all'età di 16 anni in tutti i paesi europei.

In Europa il numero di abusi compiuti su bambini continua ad aumentare e in tutti i paesi europei la protezione dell'infanzia denota gravi lacune, come per esempio la mancanza di una stretta cooperazione tra i servizi medici, quelli socio-sanitari e le autorità giudiziarie.

Gli Stati membri dovrebbero classificare come reati la violenza fisica contro i bambini e l'incuria grave, che hanno pesanti ripercussioni sullo sviluppo fisico e psichico del bambino.

E' necessario accertare l'ampiezza del fenomeno dei maltrattamenti a danno dei bambini in Europa per poterlo prevenire, in quanto i bambini maltrattati diventano spesso genitori che, a loro volta, maltratteranno i figli.

Lo sfruttamento sessuale dei bambini, il loro maltrattamento in varie forme e la loro degradazione a oggetti sessuali sembra aver raggiunto il culmine dell'aberrazione. I bambini sono oggi in Europa, come in altre parti del mondo, oggetti sessuali, merce commerciale e vittime di perversioni di ogni tipo.

L'indignazione della gente si manifesta in diversi modi. Si chiede un maggior ricorso alla detenzione preventiva, la reclusione a vita degli individui pericolosi, la castrazione coatta per chi commette delitti sessuali, punizioni più severe e nessuna pietà per chi dimostra di non averne; e qualcuno chiede addirittura la pena di morte. A che cosa serve? E' risaputo che neppure la pena più severa ha effetti intimidatori; lo abbiamo constatato migliaia di volte nel corso dei secoli. In molti luoghi la reclusione svolge oggi una funzione di custodia temporanea di delinquenti. In questo ambito è necessario apportare miglioramenti. Demonizzare il reinserimento nella società è pericoloso. La miglior difesa per la collettività è un delinquente ravveduto, non uno che rimane possibilmente qualche anno in più dietro le sbarre. Anche la castrazione dei criminali sessuali non è, a prescindere da tutte le altre considerazioni, una proposta efficace per il semplice fatto che riduce sì la sessualità, ma non l'aggressività. Non serve a nulla quindi limitarsi a custodire in cella i criminali, occorre intervenire in qualche modo: il reinserimento sociale non è una fantasia utopica, ma un'amara necessità. Per la liberazione anticipata deve valere il principio secondo cui, nel dubbio, si deve decidere non a favore ma contro l'interesse del recluso, in modo da tutelare la vittima. E nonostante ciò, nonostante tutte le diagnosi e prognosi, rimane sempre un margine di rischio, che la prassi e la dottrina giuridica possono solo cercare di ridurre al minimo.

La violenza contro i bambini rientra ormai nella quotidianità, come pure lo stress a carico dei genitori. Chi si limita a descrivere questi abusi come "diabolici", si rifiuta di prendere atto della frequenza dei maltrattamenti a danno dei bambini. Per esempio, in Germania si registrano ogni anno 80.000/100.000 casi di maltrattamenti su bambini, 150.000 casi di abusi sessuali e da 600 a 1.000 bambini vengono uccisi ogni anno dai propri genitori. Le percosse sono il tipo di violenza più diffuso e per attuarla si ricorre indifferentemente a qualsiasi oggetto a portata di mano: cinghie, bastoni, pale da carbone, attizzatoi, ecc. Sbaglia chi crede che la violenza contro i bambini sia un fenomeno limitato esclusivamente alle cosiddette famiglie problematiche: nelle famiglie socialmente più elevate è più probabile che esso non venga scoperto. E' difficile per le statistiche evidenziare quante volte i genitori perdono il controllo di sé: ciò che viene evidenziato è sufficientemente grave: ematomi, bruciature, morsicature, lesioni craniche. In ogni caso, se la punizione del colpevole arriva, arriva comunque troppo tardi. In tutta evidenza, se la comunità statale non "vigila" adeguatamente, l'assistenza sociale ai bambini e agli adolescenti risulta improntata alla repressione.

Il diritto illimitato del bambino a vivere l'infanzia, ad evolversi liberamente e a condurre una vita dignitosa che meriti di essere vissuta dev'essere solennemente sancito da tutti i paesi europei. Non esiste ormai un'altra alternativa all'inserimento di disposizioni a tutela dell'infanzia nel trattato sull'Unione europea.

Un'autentica censura e un radicale divieto della pornografia infantile devono essere introdotti in tutti i paesi dell'UE e specialmente in Svezia e Danimarca, dove il possesso di riviste di carattere pedofilo non è punito dalla legge.

Gli Stati membri dovrebbero varare, sull'esempio della Germania e della Francia, disposizioni legislative sull'extraterritorialità, affinché la persona che abbia commesso un reato in un altro Stato possa essere perseguita sul loro territorio come se avesse compiuto il reato nel proprio paese.

XII. IL DIRITTO AD UN AMBIENTE SANO

Sappiamo che i danni all'ambiente possono assumere una gravità tale da pregiudicare il diritto all'incolumità fisica, alla sfera privata e alla libera circolazione.

Pertanto, il diritto ad un ambiente sano e stabile scaturisce inevitabilmente dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, che rivendica la tutela di questo diritto fondamentale.

In Europa si parla spesso di "conciliare ecologia ed economia". Con ciò si vuol dire che si cerca di raggiungere un compromesso. Ma i discorsi sono spesso pura retorica: retorica a parte, essi testimoniano una visione sbagliata del mondo, che rende praticamente impossibile un compromesso responsabile. Perché un'economia seria non è concepibile senza il rispetto delle leggi di natura, tanto più quando l'obiettivo consiste nel garantire il benessere solo ad una piccola parte del genere umano. Le radiazioni ultraviolette che penetrano attraverso il buco d'ozono non distinguono fra il colpevole e la vittima; i tumori della pelle colpiscono entrambi. E l'effetto serra, se non viene bloccato, colpirà pesantemente prima o poi anche i paesi industrializzati, che sono stati i primi a provocarlo. Un'economia responsabile deve essere fondamentalmente ecologica e deve salvaguardare la Terra in quanto spazio vitale. A quel punto non rimane più nulla da conciliare.

1995 - Disputa sulla Brent Spar: per quanto limitati possano essere stati i rischi connessi all'affondamento della piattaforma, per quanto plausibili possano essere stati, sotto il profilo tecnico, i motivi che ne sconsigliavano la rottamazione sulla terraferma, la Brent Spar è diventata il simbolo di un particolare tipo di gestione, che baratta il risparmio immediato sui costi con rischi incalcolabili nel lungo periodo e pagabili a caro prezzo. Un deposito galleggiante a nord della Scozia è diventato il simbolo della violazione pianificata del principio della prevenzione. Questo è quanto: ma una vicenda come quella della Brent Spar non si ripeterà più, ogni altro caso successivo provocherà forti reazioni.

Gli Stati membri devono armonizzare le normative nazionali esistenti e rendere più severe le pene per i reati contro l'ambiente, in linea con il principio "chi inquina paga". Anche provvedimenti di natura penale possono contrastare efficacemente comportamenti che provocano danni all'ambiente e svolgere una funzione preventiva in tal senso.

PROPOSTA DI RISOLUZIONE (B4-0031/96)

presentata a norma dell'articolo 45 del regolamento

dall'on. Edward Newman

sull'incatenamento di detenute ospedalizzate

Il Parlamento europeo,

A. prendendo atto della prassi seguita nel Regno Unito, consistente nel mettere in ceppi e incatenare ad un secondino, 24 ore su 24, alcune detenute ospedalizzate,

B. ritenendo che questa prassi potrebbe considerarsi illegale, in virtù dell'articolo 3 della Convenzione del Consiglio d'Europa per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e le libertà fondamentali, Convenzione che è stata ripetutamente richiamata in numerose risoluzioni del Parlamento europeo,

1. condanna questo trattamento degradante e disumano;

2. è costernato per il fatto che donne ammalate od incinte siano normalmente incatenate a secondini mentre sono in ospedale;

3. chiede che il Regno Unito ponga immediatamente termine a questa prassi;

4. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione e al Consiglio nonché al governo del Regno Unito.

PARERE

(articolo 147 del regolamento)

destinato alla commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni

sul rispetto dei diritti umani nell'Unione europea nel 1995

(relazione Roth)

Commissione per i diritti della donna

Relatrice: on. Hedy d'Ancona

PROCEDURA

Nella riunione del 2 luglio 1996 la commissione per i diritti della donna ha nominato relatrice per parere l'on. d'Ancona.

Nelle riunioni del 24 febbraio e 19 marzo 1997 ha esaminato il progetto di parere.

In quest'ultima riunione ha approvato le seguenti conclusioni con 14 voti favorevoli e 4 contrari.

Hanno partecipato alla votazione gli onn. van Dijk, presidente; Fouque e Bennasar Tous, vicepresidenti; d'Ancona, relatrice; Colombo Svevo, Daskalaki, Eriksson, Ghilardotti, González Alvarez (in sostituzione dell'on. Ribeiro), Gröner, Hautala, Larive, Lenz (in sostituzione dell'on. Peijs), Lulling, Mann, McNally, Sornosa Martínez e Waddington.

Introduzione

Ha senso chiedere che ai diritti umani delle donne sia dedicata un'attenzione particolare? Tale domanda è di primo acchito comprensibile. In teoria i diritti umani, come fissati nelle diverse convenzioni internazionali, sono ovviamente applicabili ad ogni individuo. Ma la realtà è diversa: le donne sono più spesso degli uomini vittime delle violazioni dei diritti umani, in parte a motivo delle violazioni di carattere specificamente sessuale dei diritti umani, come la violenza nella sfera privata o lo stupro come arma di guerra. Ma anche il fatto che tali violenze alle donne non sempre vengano riconosciute dalle autorità riveste un ruolo importante in materia.

Grazie agli sforzi del movimento femminile internazionale, negli ultimi anni è emersa chiaramente la necessità di definire esplicitamente i diritti umani delle donne. Durante la conferenza dell'ONU sui diritti umani del 1993 a Vienna, i diritti umani delle donne sono stati riconosciuti come una forma particolare dei diritti dell'uomo. Anche organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch hanno di recente evidenziato le relazioni specifiche che esistono tra le donne e i diritti umani. Nel 1995 Amnesty ha pubblicato una relazione dal titolo "Human rights are women's rights", che non lascia spazio ad alcun dubbio: i diritti elementari delle donne sono violati su vasta scala in tutto il mondo. Così, ad esempio, la maggioranza delle vittime delle guerre sono donne e bambini. La stessa cosa accade per i rifugiati e i profughi; sono le donne che hanno la maggiore probabilità di essere strappate alla casa e al focolare.

Pechino

Benché la maggior parte degli abusi denunciati nella relazione di Amnesty International riguardi paesi al di fuori dell'Unione europea, non c'è alcun paese al mondo in cui i diritti della donna non vengano violati strutturalmente. Pertanto, in occasione della quarta Conferenza mondiale delle donne, tenutasi a Pechino nel settembre 1995, i diritti umani delle donne figuravano in testa all'ordine del giorno. Nel testo finale sottoscritto dai governi a Pechino figura un capitolo speciale dedicato ai diritti umani in cui sono fissati tre obiettivi strategici.

Protezione e promozione dei diritti umani

In primo luogo, i governi si sono impegnati a proteggere e a favorire il rispetto dei diritti umani delle donne creando tutta una serie di strumenti adeguati. È sempre troppo grande la dicotomia tra i diritti umani come sono fissati nelle convenzioni internazionali e l'effettiva traduzione degli stessi nelle regolamentazioni e legislazioni nazionali. I paesi partecipanti ritengono che un'attenzione speciale dovrebbe essere dedicata alla "Convention on Elimination of All Forms of Discrimination against Women" (CEDAW) . Tale convenzione risale al 1979 e riguarda la parità di trattamento delle donne nel settore pubblico e privato e la parità rispetto ai diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. La conferenza dell'ONU sui diritti umani, tenutasi a Vienna nel 1993, aveva già constatato la necessità di integrare la CEDAW con un protocollo opzionale inteso a concedere agli individui e ai gruppi il diritto di sporgere denuncia. Un siffatto protocollo potrebbe incentivare i governi ad applicare la convenzione alla lettera. Inoltre, la convenzione sarebbe messa su un piede di parità con altre convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo che contemplano la possibilità di sporgere denuncia.

Se i governi intendono proteggere seriamente i diritti umani delle donne, ciò significa anche che essi devono agire in maniera più incisiva contro la violenza perpetrata nei confronti delle donne. La violenza costituisce non soltanto una violazione dei diritti umani, ma spesso altresì un ostacolo all'esercizio dei diritti elementari. Il testo di Pechino chiede ai governi di affrontare ogni forma di violenza nei confronti della donna, indipendentemente dal fatto che si tratti di violenza nel settore pubblico o in quello privato. Ne è un esempio la tratta delle donne, contro cui sono imperative misure severe. L'organizzazione internazionale per le migrazioni stima che nel 1995 circa 500.000 donne siano state importate, per lo più clandestinamente, nei paesi dell'Unione europea. Nel dicembre1995 il Parlamento europeo ha approvato a grande maggioranza una risoluzione sulla tratta degli esseri umani e alla fine dell'anno scorso la Commissaria europea Gradin ha presentato una comunicazione sulla tratta delle donne. Queste iniziative devono essere seguite da accordi concreti a livello europeo intesi a contrastare la tratta delle donne.

Legge e parità

Il secondo obiettivo stabilito a Pechino riguarda più specificamente le modalità con cui la parità deve essere fissata nella legislazione e nella pratica. Un rigoroso rispetto degli accordi internazionali in materia può essere tra l'altro favorito dedicando particolare attenzione agli aspetti specifici dei diritti umani legati al sesso nell'ambito dell'istruzione e della formazione dei funzionari, dei giuristi e della polizia. Nel corso di quest'anno sarà pubblicato uno studio comparativo del Consiglio d'Europa sulle disparità a livello nazionale nella legislazione in materia di violenza ed altre violazioni dei diritti umani nei confronti delle donne.

La parità sul piano legislativo deve inoltre avere delle ripercussioni sulla posizione delle donne che richiedono asilo, auspicio già espresso anche a Pechino. È noto che le donne ottengono lo status di rifugiato molto meno frequentemente degli uomini, e questo perché le attività delle donne non vengono spesso considerate un fatto politico. Un'altra ragione risiede nel fatto che motivi come la violenza sessuale o la violenza nei confronti di un certo sesso non consentono mai praticamente di ottenere lo status di rifugiato. Dei miglioramenti sono auspicabili anche per quanto concerne la posizione delle donne migranti nell'Unione europea. È importante che queste donne possano ottenere un permesso di soggiorno indipendentemente dal proprio coniuge.

Informazioni sui diritti umani

Il terzo obiettivo strategico prevede che i governi partecipanti si impegnino a fornire alle donne in generale maggiori informazioni sui diritti umani. A tal fine potrebbero essere utili delle campagne di sensibilizzazione più trasparenti. Altri strumenti importanti possono essere l'incentivazione dei contatti tra le organizzazioni femminili e le autorità e l'attenzione per i diritti umani delle donne nell'ambito dell'istruzione e dei mass media. Al riguardo va tenuto conto delle diversità locali e regionali e delle differenze di lingua e di cultura. A Pechino è stata evidenziata anche la necessità di un nuovo studio sulla situazione dei diritti umani delle donne, idea sostenuta accesamente da qualche tempo dalla Lobby europea delle donne. Questa organizzazione si batte per l'istituzione di un centro europeo dei diritti umani delle donne. Un primo passo in questa direzione si avrà l'8 marzo 1997, la giornata internazionale delle donne, con l'apertura di un centro che si occuperà essenzialmente della violenza perpetrata nei confronti delle donne.

Inchiesta

Le raccomandazioni della Conferenza di Pechino hanno finora comportato degli autentici cambiamenti? L'anno scorso la Lobby europea delle donne ne ha fatto una prima valutazione. Per quanto concerne le azioni in materia di diritti umani, soltanto tre paesi membri avevano avviato concretamente delle nuove azioni. Ma in quel momento mancava ancora un'informazione esaustiva delle azioni politiche. Di conseguenza la vostra relatrice per parere ha effettuato una breve inchiesta presso le autorità dei 15 Stati membri responsabili delle pari opportunità. In questa inchiesta si chiede ai governi di riferire sulle azioni condotte nell'ambito dei diritti umani a seguito delle promesse formulate a Pechino. I risultati dell'inchiesta saranno disponibili per il parere della commissione per i diritti della donna sui diritti umani per quanto concerne il 1996.

Conclusioni

La commissione per i diritti della donna invita la commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni, competente nel merito, a recepire nella sua risoluzione i seguenti paragrafi:

1. chiede agli Stati membri di dare seguito quanto prima agli accordi conclusi in materia di diritti umani in occasione della quarta Conferenza mondiale delle donne a Pechino;

2. ritiene che la "Convention on Elimination of All Forms of Discrimination against Women" debba essere integrata da un protocollo opzionale che dia alle singole persone e ai gruppi il diritto di sporgere denuncia e che debba essere adottato un protocollo addizionale alla Convenzione europea sui diritti dell'uomo riguardante i diritti delle donne;

3. ritiene necessario un nuovo studio sulla situazione specifica dei diritti umani delle donne ed insiste affinché gli Stati membri adottino misure efficaci atte a combattere la violenza sessuale ed altre violazioni nei confronti dei diritti umani delle donne;

4. è preoccupato per l'aumento della tratta delle donne nell'Unione europea ed insiste affinché siano conclusi rapidi accordi europei per contrastare questa pratica lesiva della dignità umana;

5. chiede al riguardo l'adozione di un codice di comportamento europeo contro la tratta delle donne, basato sulle necessità delle vittime, che preveda la nomina di relatori nazionali sulla "violenza contro le donne";

6. evidenzia i numerosi ostacoli per ottenere lo status di rifugiato incontrati dalle donne che richiedono asilo e invita gli Stati membri a considerare al riguardo la violenza sessuale una forma di tortura;

7. ritiene necessario che gli Stati membri accordino diritti propri alle donne migranti,

8. ritiene necessario che gli Stati membri si astengano dal concludere e applicare accordi bilaterali che ammettono violazioni intollerabili dei diritti fondamentali delle donne;

9. constata un'evidente correlazione tra la dipendenza economica e la vulnerabilità nei confronti della violenza sessuale ed insiste pertanto affinché tutti i lavoratori, inclusi i lavoratori migranti operanti come domestici, si sentano protetti da una legislazione che garantisca loro che il soggiorno nell'Unione europea non dipende integralmente dalla buona volontà del datore di lavoro.