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Procedura : 2007/2145(INI)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A6-0479/2008

Discussioni :

PV 17/12/2008 - 14
CRE 17/12/2008 - 14

Votazioni :

PV 14/01/2009 - 4.5
CRE 14/01/2009 - 4.5
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Testi approvati :

P6_TA(2009)0019

Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 17 dicembre 2008 - Strasburgo Edizione GU

14. Situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2004-2008) - Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (discussione)
Video degli interventi
Processo verbale
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la discussione su:

- la relazione di Giusto Catania, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2004-2008) [2007/2145(INI)] (A6-0479/2008),

l’interrogazione orale al Consiglio sullo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (FSJA): passi avanti nel 2008, di Gérard Deprez, a nome della commissione LIBE (O-0128/2008 - B6-0489/2008),

l’interrogazione orale al Consiglio sui progressi nel 2008 dello Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG), di Gérard Deprez, a nome della commissione LIBE (O-0133/2008 - B6-0494/2008).

 
  
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  Giusto Catania, relatore. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, signora della Presidenza del Consiglio, 60 anni fa con la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si dava avvio a una vera e propria rivoluzione planetaria, si affermava l’idea profetica del filosofo Kant, secondo cui la violazione di un diritto in un solo paese deve essere sentita come tale in qualsiasi altra parte del mondo.

La rivoluzione dei diritti umani ha posto alla comunità internazionale due concetti strettamente connessi. Il primo: non si può e non si deve distinguere tra cittadino e straniero, tra uomo e donna, tra bianco e nero, tra cristiano ed ebreo, tra musulmano e non musulmano, tra credente e laico. In sostanza si sancisce l’uguaglianza fra tutti e tutte, nella rivendicazione dei propri diritti. Il secondo concetto è che l’umanità stessa è essa stessa garanzia di dignità e pertanto nessuno può essere trattato in modo indegno, neanche il peggiore dei criminali. Come dice lo stesso Kant, non possiamo rifiutare al malvagio il rispetto dovuto in quanto uomo.

L’Unione europea è considerata la patria suprema, il tempio della tutela dei diritti umani: l’efficace protezione e la promozione dei diritti fondamentali devono essere il cardine della democrazia in Europa. L’attuazione dei diritti fondamentali deve essere un obiettivo di tutte le politiche europee e a tal fine le istituzioni dell’Unione europea dovrebbero promuoverli attivamente, tutelarli, tenerne pienamente in conto in fase di elaborazione ed adozione della legislazione, facendosi supportare dall’attività dell’Agenzia dei diritti fondamentali che può rendere efficace la Carta europea dei diritti fondamentali e può contemporaneamente garantire la conformità con il sistema istituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Purtroppo non sempre all’interno dell’Unione europea siamo stati in grado, con le scelte politiche dei governi e con l’attività legislativa dei parlamenti, di garantire la tutela e la promozione dei diritti fondamentali. Il Parlamento europeo da 6 anni non approva una relazione sulla situazione dei diritti fondamentali dentro l’Unione europea, mentre siamo stati sempre attenti e puntuali a segnalare violazioni dei diritti fondamentali fuori dal nostro territorio. Non possiamo solo porre la giusta attenzione su Guantanamo, Abu Ghraib, le violazioni in Colombia e in Cina e poi girarsi dall’altra parte quando le violazioni si consumano dentro casa nostra.

Sono d’accordo con le cose che ha detto oggi la Commissaria Ferrero-Waldner, bisogna costruire una coerenza tra le politiche interne e le politiche esterne dell’Unione europea. Da un’analisi attenta sullo stato dei diritti fondamentali nell’Unione europea si rischia di avallare un’amara considerazione sul fatto che i diritti umani in Europa sono spesso tutelati solo formalmente. Per supportare tale affermazione basterebbe analizzare le condizioni degli apolidi, delle minoranze nazionali, dei rom, dei cancellati, dei profughi, dei richiedenti asilo e dei migranti per ragioni economiche.

Domani è la giornata internazionale per la tutela dei lavoratori migranti ed ancora la Convenzione delle Nazioni Unite non è stata recepita da neanche uno dei paesi membri. In questi ultimi anni abbiamo analizzato lo stato di degrado dei centri di detenzione amministrativa per migranti, che rappresentano sia sul piano giuridico che sul piano delle condizioni materiali di vita veri e propri buchi neri, luoghi in cui uomini e donne sono trattati spesso in modo disumano e degradante, senza le necessarie tutele legali volute da una legislazione che spesso è inaccettabile e garantisce contemporaneamente soprusi e impunità.

Lo stato dei diritti umani nell’Unione europea non è affatto confortante, lo dice il rapporto annuale di Amnesty International, e allora dobbiamo provare a promuovere una politica attiva per evitare che ci sia una sistematica violazione dei diritti che formalmente devono essere garantiti e devono essere definiti inviolabili.

Per questa ragione chiediamo al Consiglio - e approfitto della presenza della Segretaria di Stato - di integrare nelle future relazioni annuali sui diritti dell’uomo nel mondo, oltre all’analisi della situazione nel mondo, anche quella di ogni Stato membro, così in questo modo - e concludo Presidente - possiamo evitare l’approccio di due pesi e due misure. Quale Europa vogliamo? Questa è la domanda a cui vogliamo rispondere con questa relazione di cui mi onoro essere relatore.

 
  
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  Gérard Deprez, autore. – (FR) Signora Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, oggi teniamo l’ultima discussione di questo mandato parlamentare sui progressi compiuti rispetto allo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. Ho trasmesso il contenuto della relativa interrogazione orale alla Commissione e alla presidenza del Consiglio, per cui non dedicherò i pochi minuti a mia disposizione a una sua parafrasi. Signora Presidente, nel momento in cui la città di Strasburgo ci invita a celebrare il Natale in uno spirito festoso, vorrei cogliere l’opportunità per distribuire alcuni doni.

Sono lieto di porgere il primo alla presidenza francese del Consiglio, non certo per la costanza nella presenza né per la puntualità, bensì in termini generali per la qualità della preparazione di cui ha dato prova nei contatti con il Parlamento, la competenza dimostrata e, in particolare, l’eminenza dei ministri che hanno preso parte ai delicati negoziati intercorsi con il Parlamento europeo. Vorrei esprimere uno speciale ringraziamento al presidente in carica del Consiglio di cui il Parlamento ha avuto unanimemente modo di apprezzare calore, professionalità e capacità.

Porgo il mio secondo dono al commissario Barrot, vicepresidente della Commissione, perfettamente a suo agio nel ruolo precedente che, su richiesta del suo presidente e per risparmiare alla Commissione i gravi problemi politici che sarebbero nati dalla sostituzione dell’onorevole Frattini, ha accettato di assumere, senza preparazione alcuna, uno dei portafogli più complessi e delicati dell’intera Commissione. Signor Commissario, in meno di un anno lei è riuscito non soltanto a dominare un ambito particolarmente complesso, ma anche a lasciare un segno distintivo, come dimostrano le proposte appena sottoposte alla nostra attenzione sui nuovi orientamenti per la politica in materia di asilo.

Il terzo dono va ai miei colleghi, molti dei quali consumati professionisti, che si dedicano con grande passione ai temi affidati loro, altri veri stacanovisti, un paio, va detto, veri “caratteristi” a cui volgo lo sguardo, come altri, con ugual rispetto e affetto.

Il mio ultimo dono è per i nostri collaboratori sia della segreteria – Emilio De Capitani è qui, ma non ascolta – sia dei gruppi politici, come anche i nostri assistenti, il cui entusiasmo, dedizione e abilità sono fattori fondamentali per il successo del nostro lavoro.

Distribuiti i doni, è tempo di bilanci. E’ incontestabile, signora Presidente, che in meno di dieci anni lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia è cresciuto notevolmente. Da uno stadio assolutamente embrionale nel 1999 – ricordo che l’ambizione del programma di Tampere era innanzi tutto di creare le basi per una cooperazione tra Stati membri e promuovere il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie – il settore della libertà, della sicurezza e della giustizia si è ulteriormente sviluppato con il programma dell’Aia, che ha rafforzato la piattaforma comunitaria.

Su questa duplice base e sotto la pressione di eventi esterni drammatici – non mi dilungherò sugli attacchi che ci hanno tanto amareggiati con il loro pesante strascico di morti e tragedie – diverse politiche hanno compiuto progressi straordinari e mi riferisco all’impegno nella lotta al terrorismo, alle forme gravi di criminalità, all’immigrazione illegale, al razzismo e alla xenofobia, alla tossicodipendenza e all’alcolismo.

Inoltre, non è affatto una critica nei confronti di noi tutti – Consiglio, Commissione, Parlamento – riconoscere che negli ultimi dieci anni il nostro approccio è stato essenzialmente, non dico esclusivamente, guidato da un riflesso difensivo innescato sia dai drammatici avvenimenti che ho appena citato sia dalle legittime aspettative di sicurezza dei nostri cittadini.

Di recente è però gradualmente emerso un altro approccio che percorre una via meno difensiva ed è ispirato al desiderio di un’azione più positiva, volontaristica, verso lo spazio che insieme intendiamo creare. Un approccio che ha permesso al trattato di Lisbona, come sapete, di rendere vincolante la carta dei diritti fondamentali. Questo approccio ha portato a decidere la trasformazione dell’osservatorio di Vienna nell’Agenzia per i diritti fondamentali ed ha permesso al patto in materia di immigrazione e asilo, senza dimenticare i requisiti di difesa e sicurezza, di sfociare in una politica di maggiore apertura basata sulla gestione attiva dei flussi migratori e di compiere progressi nel partenariato.

Dopo i doni e i bilanci, giungo ora, signora Presidente, alla sfida con la quale insieme dovremo confrontarci e ai nuovi orientamenti sui quali dovrebbe fondarsi il programma di Stoccolma, che sinceramente spero venga attuato nel quadro del trattato di Lisbona, se infine verrà ratificato.

Poiché il tempo a mia disposizione è quasi terminato, trarrò soltanto una conclusione. Non dobbiamo lasciarci guidare dai nostri timori o da quelli dei nostri cittadini. Dobbiamo invece affidarci innanzi tutto ai nostri valori, che devono essere sostenuti da valutazioni obiettive dei rischi che dobbiamo affrontare. Questo è lo spirito, mi auguro, con il quale elaboreremo il programma di Stoccolma e lo attueremo insieme.

 
  
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  Rama Yade, presidente in carica del Consiglio. − (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli parlamentari, la relazione Catania è un documento eccellente che fornisce un quadro molto ampio della situazione dei diritti umani nell’Unione europea. Essa contiene numerosissime raccomandazioni molto utili, che riguardano sia aspetti istituzionali sia aspetti pratici dei diritti umani, alcune delle quali riguardano la Commissione, cui lascerò il compito di rispondere per la parte che la concerne.

Mi concentrerei dunque su alcuni punti che sono stati sollevati. Penso per esempio all’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali. L’Agenzia viene criticata perché ha una sfera di competenza ristretta, dato che si limita al primo dei tre pilastri dell’Unione europea. Forse al riguardo vale la pena sottolineare che da un lato esiste una clausola di revisione del mandato dell’agenzia entro il 31 dicembre 2009, la quale consente un’eventuale estensione delle competenze dell’Agenzia al terzo pilastro sulla base di una proposta della Commissione.

Dall’altro è previsto che qualunque istituzione europea o Stato membro possa volontariamente richiedere pareri all’Agenzia tenuto conto delle competenze delle diverse parti. In tale contesto, per la prima volta il 3 settembre il Consiglio, per il tramite della presidenza francese, ha chiesto il parere dell’Agenzia sulla proposta di decisione quadro concernente l’uso dei dati dei passeggeri da parte delle autorità preposte all’applicazione della legge degli Stati membri, argomento che rientra nel terzo pilastro dell’Unione europea.

Il Consiglio ha pertanto cercato di dimostrare l’importanza specifica che attribuisce al tema dei diritti umani.

Passerei ora alla questione dei migranti e dei rifugiati. Sono state formulate numerosissime proposte e nella relazione si sono inglobate misure per quanto concerne i migranti. Personalmente posso soltanto ribadire che nel patto europeo di immigrazione e asilo il Consiglio ribadisce solennemente che politiche di immigrazione e asilo devono attenersi alle norme del diritto internazionale e, in particolare, a quelle riguardanti i diritti umani, la dignità umana e i profughi.

Citerei infine un terzo punto affrontato dalla relazione, ovvero i diritti dell’infanzia. Come non concordare con le vostre conclusioni nel momento in cui condannano ogni forma di violenza nei confronti dei minori, esortano all’eliminazione del lavoro minorile, invitano a prestare attenzione ai bambini rom e assistenza ai minori in generale? Rilevo che la relazione considera la reclusione dei delinquenti minori soltanto come ultima risorsa a cui ricorrere rammentando che esistono provvedimenti alternativi.

La relazione affronta anche molti altri aspetti, ma non posso certo riprenderli tutti. Vorrei tuttavia concludere con una nota estremamente positiva della quale sono particolarmente lieta sottolineando come la decisione quadro concernente la lotta ad alcune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale, cui la relazione fa riferimento, è stata formalmente adottata dal Consiglio “Giustizia e affari interni” il 28 novembre 2008, dopo sette anni di intenso dibattito.

In risposta all’onorevole Deprez, esordirò ringraziandovi per i complimenti estesi alla presidenza francese dell’Unione europea. Vi prego di credermi quando dico che ne sono profondamente commossa. Il presidente Sarkozy ha cercato di dimostrare in questo modo, attraverso il proprio operato, attraverso la gestione di una presidenza che in sostanza era una presidenza di crisi – prova ne sono state la crisi georgiana e quella finanziaria – che l’Europa politica è tornata. Siamo profondamente toccati dal vostro apprezzamento e anche noi vorremmo ringraziarvi, onorevoli parlamentari, per la strettissima collaborazione che ci ha uniti durante la presidenza francese degli ultimi mesi.

Prima di affrontare i temi da voi sollevati, vorrei formulare due osservazioni. La prima è che sono molto sensibile alla questione dei doppi standard posta da più parti. E’ vero che ci si potrebbe domandare se in ultima analisi sia possibile difendere i diritti dell’uomo all’estero, al di fuori dei confini europei, quando si presta meno attenzione alla situazione interna, come talvolta si sospetta che accada.

Il quesito è molto pertinente e personalmente continuo a ribadire che dobbiamo migliorare la situazione interna per consolidare la nostra credibilità all’esterno nel campo dei diritti umani. Il nostro approccio a questo proprosito deve caratterizzarsi per la sua audacia, ma anche per la sua modestia. Soltanto rammentando l’indivisibilità dei diritti umani avremo maggiori possibilità di essere ascoltati all’esterno.

Alcuni di voi hanno parlato del conferimento del premio Sakharov a Hu Jia, scelta della quale ovviamente mi rallegro. Apprezzo la distinzione attribuita a questo blogger cinese che gode del sostegno del Parlamento europeo. Trovo che sia una cosa eccellente. Io stessa mi sono impegnata molto nella difesa di Hu Jia e spero che questo premio consenta di progredire nel campo dei diritti umani, specialmente in Cina.

Detto questo, tornerei ai temi da lei sollevati, onorevole Deprez, per dire innanzi tutto che il Consiglio, nel corso dell’ultimo anno, come ho ricordato poc’anzi, si è adoperato per collaborare intensamente con il Parlamento europeo con il quale è stato condotto un dialogo molto proficuo, soprattutto con la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sui testi che potrebbero o dovrebbero essere adottati prioritariamente, calendario istituzionale permettendo.

La presidenza ha esortato gli Stati membri a concludere le ratifiche, il che ha permesso di accelerare il lavoro all’interno dei parlamenti nazionali e adottare una serie di testi, di cui alcuni essenziali.

Entro la fine di questo mandato parlamentare speriamo che vedano la luce testi importanti come quello sulla comunitarizzazione di Europol e il mandato di ricerca delle prove. Considerati nel loro complesso, tali testi dovrebbero consentirci di procedere a una valutazione significativa dell’Unione europea rispetto a questi temi.

Forse avrete anche notato che la presidenza ha attuato o fatto notevolmente progredire molte iniziative che l’Aula aveva inserito tra le sue priorità.

In merito espressamente al terzo pilastro, la presidenza si è impegnata a far funzionare a tutti gli effetti la codecisione nel campo dell’immigrazione e della giustizia o della giustizia civile. Come sapete, per quanto concerne i negoziati con paesi terzi, la presdienza ha difeso l’idea che le future trattative sullo scambio di dati con gli Stati Uniti avvengano unicamente con il Parlamento europeo, il che non è stato semplice.

I progressi registrati in questi campi sono quindi notevoli, ma potrebbero diventare ancora più significativi se si applicasse il metodo comunitario ai settori di libertà, sicurezza e giustizia che rientrano nel terzo pilastro.

Salvaguardare i diritti fondamentali proprio nello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia è di fatto una sfida continua e, come voi, io ritengo che proprio attraverso la tutela dei diritti fondamentali vadano interpretati gli sviluppi osservati nel campo della libertà, della sicurezza e della giustizia.

Ovviamente non posso che ribadire la volontà del Consiglio di lavorare lungo queste linee e dichiariamo il nostro accordo con la maggior parte dei punti da voi sollevati, pur ricordando il nostro contesto istituzionale.

In termini di rilancio della proposta riguardante la tutela dei diritti procedurali nel quadro dei procedimenti penali, il prossimo anno dovrebbe essere dibattuto un piano di azione sulla protezione delle persone nell’ambito dei procedimenti penali. Si valuterà inoltre il mandato di arresto europeo affinché la decisione quadro possa essere attuata in maniera coerente. Inoltre, il trattato di Lisbona, se entrerà in vigore, imprimerà un rinnovato slancio al processo non soltanto perché renderà vincolante la carta dei diritti fondamentali, ma anche perché consentirà sviluppi istituzionali nel campo della libertà, della sicurezza e della giustizia.

Si potrebbero citare molti altri temi sollevati nella relazione e dai parlamentari negli ultimi mesi. A questo proposito ritengo che non mancherà occasione di approfondire altri aspetti nel prosieguo della discussione. Prima però lascerei che il vicepresidente Barrot – è mio compito dirlo, signora Presidente? – prenda la parola.

 
  
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  Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione. − (FR) Signora Presidente, oltre a estendere un caloroso benvenuto al presidente in carica del Consiglio Yade, vorrei ringraziare il relatore, l’onorevole Catania, e la commissione, sulla quale poi ritornerò, onorevole Deprez.

La relazione presentata è dettagliata e ricca, come ha già sottolineato la presidenza. Onorevole Catania, i diritti fondamentali sono il cuore dell’integrazione europea e la Commissione è ovviamente impegnata nella promozione del loro rigoroso rispetto nel concreto.

Nella relazione si sottolinea la necessità di compiere ancora notevoli progressi per quanto concerne istituzioni e Stati membri. E’ vero che occorre fare di più per promuovere e applicare i diritti fondamentali nell’Unione europea e proprio l’UE deve dare l’esempio non soltanto per rendere credibile la propria politica esterna, ma anche per creare la fiducia reciproca tra gli Stati membri, fondamentale per realizzare un concreto spazio di libertà, sicurezza e giustizia di funzionare.

La relazione formula raccomandazioni importanti e condividiamo pienamente l’idea che sia essenziale adoperarsi meglio per monitorare il rispetto delle proposte legislative risultanti dalla carta, migliorare le condizioni di accoglienza di migranti e richiedenti asilo, garantire che la lotta al terrorismo sia condotta nella piena osservanza dei diritti fondamentali, moltiplicare gli sforzi per combattere la discriminazione, migliorare la situazione dei rom in tutta l’Unione europea e, aggiungerei, collaborare più intensamente con il Consiglio d’Europa. In tal senso è mia intenzione impegnarmi personalmente.

Le raccomandazioni e le critiche legittime non devono tuttavia offuscare i reali progressi compiuti dalla Commissione e dall’Unione europea nella promozione dei diritti fondamentali, come rammentato poc’anzi dalla signora presidente Yade. Tali progressi includono la recente adozione da parte del Consiglio della decisione quadro sul razzismo e la xenofobia e della decisione sulla protezione dei dati nell’ambito del terzo pilastro, anche se ciò viene considerato soltanto un primo passo.

La Commissione ha di recente proposto una nuova legge sul diritto di asilo che si ispira alla volontà di promuovere un alto livello di protezione. Ho ricordato agli Stati membri l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali quando recepiscono la direttiva sul rimpatrio degli immigranti illegali e vigilerò su questo aspetto.

La nuova proposta di direttiva in merito alla protezione dalla discriminazione al di fuori del luogo di lavoro integrerà la nostra serie di misure legislative. La parità di genere, ambito in cui l’Unione ha cercato di essere all’avanguardia, è stata tema di una proposta della Commissione volta a migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavorativa prolungando la durata del congedo per maternità.

Ovviamente, onorevoli parlamentari, dobbiamo garantire che i nostri testi includano i diritti fondamentali, ma dobbiamo anche accertarci della loro applicazione nel concreto. Il compito è importantissimo e per poterlo compiere con successo è necessario porre in essere una vera e propria strategia che consenta di garantire il rispetto dei diritti fondamentali nell’Unione europea. Il futuro programma pluriennale, il programma di Stoccolma, dovrebbe prevedere a mio parere una comunicazione che definisca la politica di rispetto dei diritti fondamentali nell’Unione con un’illustrazione chiara delle possibilità e dei limiti dell’azione della Commissione in tale ambito.

Dobbiamo rendere i diritti fondamentali quanto più effettivi possibile. E’ inutile inventare continuamente nuove leggi. Aggiungerei che il quadro normativo di base esiste già, ovvero la convenzione europea sui diritti umani e la carta dei diritti fondamentali. Ora disponiamo di alcune informazioni sulla violazione dei diritti fondamentali fornite dal Consiglio d’Europa.

Infine, come da voi sottolineato, ora possiamo contare su uno strumento, l’Agenzia per i diritti fondamentali, il cui mandato sarà oggetto di una clausola di revisione alla fine del prossimo anno, come ha appena ricordato il ministro. E’ però vero che tali strumenti vanno utilizzati appieno.

In primo luogo, e cerco di riassumere, l’Unione dovrebbe essere irreprensibile nella propria attività legislativa. Occorre garantire un controllo sistematico e rigoroso della compatibilità della legislazione europea con la carta dei diritti fondamentali.

Nel 2005 la Commissione ha definito un metodo per verificare la conformità delle proposte e dobbiamo ulteriormente rafforzarne l’applicazione e l’uso. E’ veramente indispensabile che in tutti i nostri processi legislativi si tenga sempre presente il rispetto per tali diritti fondamentali.

Poi ovviamente occorre intervenire presso gli Stati membri allorquando è necessario. Nel futuro programma di Stoccolma prevedo di spiegare chiaramente la politica della Commissione in materia di intervento. Nell’ambito delle competenze stabilite dal trattato possiamo intervenire in due modi.

Primo, quando l’applicazione della legislazione comunitaria in uno Stato membro crea un problema di diritti fondamentali, la Commissione deve svolgere il proprio ruolo di custode dei trattati, anche attraverso le procedure di infrazione. Occorrerà analizzare e senza dubbio elencare le situazioni in cui una siffatta violazione dei diritti fondamentali richiede espressamente una procedura di infrazione. Sarò particolarmente vigile in merito al rispetto dei diritti fondamentali e soprattutto dei diritti dell’infanzia quando gli Stati membri, come dicevo poc’anzi, attuano la direttiva sul rimpatrio. Sono intervenuto sul progetto per il rilevamento di impronte digitali nei campi nomadi in Italia per sottolineare l’esigenza di rispettare il diritto comunitario e i diritti fondamentali, specialmente le norme in materia di protezione dei dati personali.

Vi sono inoltre situazioni in cui andiamo oltre le competenze comunitarie. Si tratta di interventi politici che possono rivelarsi necessari in talune circostanze in cui non è possibile utilizzare meccanismi nazionali.

Per quanto concerne le detenzioni segrete della CIA, la Commissione ha parlato in varie occasioni con Polonia e Romania per sottolineare la necessità di avviare indagini. La Polonia ha risposto segnalando alla Commissione di aver intrapreso un’indagine penale. Il senato rumeno ha condotto un’indagine che dovrebbe essere integrata per tener conto della seconda relazione del Consiglio d’Europa.

So che nella sua relazione, onorevole Catania, lei fa riferimento al famoso articolo 7, che è un po’ la dissuasione nucleare, domandandosi perché non sia stato utilizzato. Ho potuto utilizzarlo come minaccia. E’ vero che quando ho ricordato alla Bulgaria la necessità concreta di rimettere in discussione un premio giornalistico conferito a un giornalista noto per le sue affermazioni abiette nei confronti dei rom alla fine il premio gli è stato ritirato. E’ anche vero però che occorre riflettere su questo uso dell’articolo 7.

Infine, come è ovvio, dobbiamo cercare di far progredire realmente i diritti umani in taluni ambiti di fondamentale importanza per lo spazio di vita comune. I diritti dell’infanzia riguardano le politiche dell’Unione nel suo complesso. Si tratta tuttavia di un ambito in cui si possono compiere progressi concreti. Vorrei rammentarvi che, nella politica europea in materia di asilo, abbiamo affermato che non era possibile detenere minori non accompagnati. In generale abbiamo insistito affinché i minori siano oggetto di particolare attenzione.

Nel caso della riforma Dublino II, abbiamo ribadito le esigenze di riunificazione familiare. Sono grato alla presidenza francese per averci incoraggiati nuovamente ad attuare questo meccanismo di reazione rapida, essenziale per evitare rapimenti di minori. Prossimamente, nel marzo 2009, proporrò la revisione di una decisione quadro sullo sfruttamento sessuale dei minori, la pornografia infantile e la lotta al traffico di esseri umani.

A livello di protezione dei dati personali, abbiamo bisogno di una strategia globale rinnovata che comprenda anche una revisione della direttiva 95/46 sulla base di una valutazione eseguita alla luce degli sviluppi tecnologici.

Ho già parlato del diritto di asilo. Per quanto concerne la lotta al razzismo e alla xenofobia, invece, ora che disponiamo di un testo – e sono grato alla presidenza francese per averci permesso al fine di averlo – dobbiamo ovviamente impiegarlo per assicurarci che la crisi economica non sfoci in un aggravamento del fenomeno del razzismo e della xenofobia, specialmente presso alcuni leader di opinione. Dobbiamo garantire un reale rispetto dei diritti fondamentali in tutti i campi correlati alla lotta al terrorismo e lacomunicazione sul razzismo e la xenofobia potrebbe definire modi per migliorare l’efficacia della relativa azione.

Da ultimo, nel 2010 la Commissione dovrebbe presentare una relazione sui crimini totalitari allo scopo di promuovere una cultura di riconciliazione specifica dell’Unione europea, una cultura basata sul riconoscimento dei crimini e delle vittime per porre fine alle divisioni tra nuovi e vecchi Stati membri, questi ultimi non sempre abbastanza sensibilizzati alla tragica storia dei primi. Si tratta di un’impresa vasta, una strategia che dovrebbe preoccuparsi soprattutto di realizzare i principi di cui l’Unione europea si è dotata.

Concluderei quindi dicendo all’onorevole Catania che, come è ovvio, attingeremo a piene mani dalla sua relazione traendone una serie di idee per dare forma al programma di Stoccolma.

Passerei ora all’interrogazione posta dall’onorevole Deprez. Volevo intanto ringraziarlo e confermargli, rivolgendomi anche ai membri della sua commissione qui presenti, che per me, commissario responsabile della libertà, della sicurezza e della giustizia, è un aiuto e una fortuna poter contare su una commissione esigente, ma al tempo stesso estremamente attenta e coinvolta in tutti questi difficili problemi, per i quali occorre individuare il giusto equilibrio tra l’esigenza di sicurezza chiaramente legittima e la possibilità che deve essere offerta alle libertà e alla giustizia di realizzare il loro potenziale.

E’ vero che sono stati compiuti progressi nel campo della libertà, della sicurezza e della giustizia. Nondimeno, dopo Tampere, dopo l’Aia, ora siamo chiamati a elaborare il cosiddetto programma pluriennale di Stoccolma e al momento è prematuro per me per formulare idee precise in merito al contenuto del prossimo programma. Ne citerò soltanto alcuni punti, scusandomi se mi sto dilungando eccessivamente.

In primo luogo, il rispetto concreto dei diritti fondamentali nell’Unione europea deve diventare un principio ispiratore dell’intero programma pluriennale.

In secondo luogo, al centro della nostra azione ci devono essere gli esseri umani, siano essi cittadini europei o di paesi terzi che risiedono nel nostro territorio. Dobbiamo costruire un’Europa di risultati a beneficio dei cittadini, un’Europa imperniata su garanzie di un miglior accesso alla giustizia e sulla tutela di diritti, sicurezza e protezione, dei cittadini e soprattutto delle persone più vulnerabili quali le vittime.

Ringrazio inoltre la signora presidente in carica del Consiglio Yade per aver sollevato la questione dei diritti procedurali. A mio parere si tratta di un testo estremamente importante. So che dovremo superare una certa resistenza, ma se veramente vogliamo giungere a un reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, è essenziale assicurare che la giustizia sia amministrata in tutta Europa con una serie di meccanismi procedurali di tutela. E’ assolutamente fondamentale.

Lo spazio giudiziario europeo deve semplificare i rapporti e la libera circolazione dei cittadini, senza dimenticare che dobbiamo combattere la criminalità e il terrorismo agendo nel rispetto dello stato di diritto. Il modello di giustizia europeo si imporrà attraverso l’equilibrio e la coerenza al prezzo di uno sforzo per migliorare la fiducia e il riconoscimento reciproco.

In terzo luogo, vi è la dimensione esterna dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che va integrata e aggiunta alla dimensione interna. Non possiamo combattere il traffico di esseri umani senza affrontare i fenomeni esistenti nei paesi in cui tale traffico ha spesso inizio. In fondo l’intera politica di immigrazione, l’intera politica di gestione coordinata dei flussi migratori, rientra nell’idea di collegare la dimensione esterna a quella interna.

La Commissione intende presentare una comunicazione sulle future priorità nel maggio 2009, dopodiché avrà luogo un dibattito politico in merito all’adozione del terzo programma pluriennale alla fine del 2009. Devo dire però, come ho rammentato questa mattina ai coordinatori della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, che per elaborare un simile programma pluriennale abbiamo realmente bisogno del Parlamento europeo. Non ho dubbi quanto al fatto che potremo contare sui vostri suggerimenti, le vostre proposte.

E’ vero che lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia è progredito, ma è anche vero che siamo in qualche modo agli albori di una vera comunità giudiziaria in cui i cittadini possano muoversi all’interno dello spazio europeo, vedendo difesi i propri diritti a prescindere dallo Stato membro in cui si trovano, esito estremamente importante se realmente vogliamo che il concetto di cittadinanza europea trovi un’espressione tangibile nella vita dei cittadini europei.

Vi è ancora molto da fare, ma è un impegno estremamente appassionante. Ringrazio di nuovo il Parlamento europeo, e segnatamente la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, per l’assistenza offertaci con grande entusiasmo e convinzione.

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó, relatore per parere della commissione per la cultura e l’istruzione. – (ES) Signora Presidente, per il mio intervento sfrutterò sia il tempo concessomi a nome del mio gruppo parlamentare sia quello concesso all’onorevole Mohácsi a nome della commissione per la cultura e l’istruzione.

Innanzi tutto non posso esimermi dal complimentarmi con il relatore per l’eccellente lavoro svolto e il grande impegno di cui mi ha dato personalmente prova per pervenire a un consenso con gli altri gruppi in merito al contenuto di quella che ora è la sua relazione.

Condivido pienamente gli sforzi profusi dal relatore in difesa dei diritti umani e la sua volontà di avanzare. E’ vero: sono pienamente d’accordo con quanto da lui affermato nel suo intervento, vale a dire che talvolta in Europa arriviamo al paradosso di difendere e attaccare la realtà dei diritti umani altrove nel mondo trascurando una discriminazione inaccettabile nei nostri stessi paesi perché ci capita di non disporre delle armi adatte alla situazione.

E’ una situazione che va indubbiamente denunciata ed è il Parlamento a essere legittimamente autorizzato a farlo.

Il relatore è testimone del fatto che abbiamo avuto discussioni in merito all’opportunità di inserire nella relazione altri problemi sociali oltre ai diritti umani.

Ritengo che in alcuni paragrafi, soprattutto, come è ovvio, nelle sue versioni precedenti, si leggesse un tentativo troppo ambizioso di risolvere ogni cosa, ossia non soltanto questioni di diritti umani, bensì ogni problema sociale che attualmente esiste in Europa.

Un approccio del genere può talvolta indebolire le nostre azioni. Sicuramente vanno affrontati problemi come la mancanza di alloggi o la carenza di posti di lavoro per persone più avanti negli anni, ma non sono certo che tutti questi temi debbano essere affrontati nell’ambito di uno stesso pacchetto o nel contesto della difesa dei diritti fondamentali.

E’ un dato di fatto, però, che all’interno delle nostre frontiere accusiamo problemi gravi, problemi che riguardano specificamente i singoli, ma anche interi gruppi sociali che sono talvolta ignorati o subiscono discriminazioni a causa del genere, dell’orientamento sessuale, delle origini etniche, del credo religioso e così via. Queste difficoltà devono essere messe in luce e affrontate in maniera globale, lavoro che è stato naturalmente svolto in collaborazione con il Consiglio d’Europa, benemerita istituzione alla quale viene tribunato il dovuto merito.

In proposito, la commissione per la cultura ha espressamente fatto riferimento a uno di questi problemi, che vorrei sottolineare in questa sede a nome dell’onorevole Mohácsi, responsabile di tale argomento all’interno della commissione. Mi sto riderendo alla discriminazione nei confronti dei bambini rom a livello di istruzione.

La relazione in generale affronta in maniera esemplare i problemi dei minori in vari campi, soprattutto la discriminazione subita dai bambini rom, nonché la necessità che i mezzi di comunicazione, come già affermato, e gli interlocutori, ossia organizzazioni non governative e associazioni sociali, siano coinvolti nella lotta alla discriminazione.

La relazione contiene molto materiale istruttivo e la società deve essere informata in merito alle implicazioni di tali valori, ambito nel quale i mezzi di comunicazione da un lato e l’intero settore dell’istruzione dall’altro hanno una grande responsabilità.

 
  
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  Kinga Gál, a nome del gruppo PPE-DE. – (HU) Signora Presidente, è difficile per il Parlamento europeo adottare una decisione completa in merito alla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea perché proprio questi diritti fondamentali dovrebbero essere meno soggetti a preconcetti politici e partitici e più basati su fatti e dati indipendenti, scevri da qualunque forma di ipocrisia. Pertanto, il fatto che sia stata istituita un’Agenzia europea per i diritti fondamentali nel periodo in esame trasmette un messaggio significativo da parte del Parlamento e, come è ovvio, di noi tutti. E’ probabilmente tale organo che si assumerà questo compito per gli anni a venire. Nel contempo, il messaggio che l’Europa trasmette ai propri cittadini sui diritti fondamentali è molto importante. Come si pone dinanzi a questi problemi? Affronta realmente i problemi concreti con i quali molti suoi cittadini devono confrontarsi?

I 240 emendamenti proposti nel progetto di relazione sottolineano la natura sfaccettata di alcuni aspetti problematici e controversi. Grazie al relatore e ai relatori ombra, alcuni altri testi accettabili sono stati fortunatamente elaborati partendo dalla relazione iniziale, che era molto opinabile. Questo non significa che non permangano divergenze su questioni di principio tra i gruppi politici, così come esistono sicuramente profonde differenze sui paragrafi controversi, che rispecchiano principi e atteggiamenti spesso di carattere emotivo, molti dei quali rientrano nella sfera di competenza degli Stati membri. Dopo tutto, la metà occidentale dell’Europa interpreta quasi sempre il godimento dei diritti fondamentali come godimento della libertà dalla discriminazione, a prescindere dal fatto che ciò riguardi le numerose minoranze di immigrati o le discriminazioni operate in ragione dell’origine etnica o dell’orientamento sessuale. Nei nuovi Stati membri, invece, non siamo ancora giunti a questo punto quando parliamo del desiderio di poter godere dei nostri diritti fondamentali. In molti casi ancora temiamo per le nostre libertà fondamentali e per quel che riguarda le minoranze si tratta di milioni di minoranze indigene, i cui diritti fondamentali sono ancora violati nei nostri Stati. E’ importante quindi che la relazione tenga conto di tali differenze. Vi sono inoltre una serie di frasi ancora controverse, in merito alle quali non vi è alcun consenso, che il PSE trova inaccettabili. A ogni modo, non dimentichiamo un principio: nella pratica, la tutela dei diritti fondamentali può variare da individuo a individuo e la cosa più importante è affrontare le differenze in uno spirito di reciproco rispetto, consiglio che può risultare utile nell’attuale situazione.

 
  
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  Martine Roure, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, tutti sappiamo che la tutela dei diritti fondamentali è la chiave di volta dell’attuazione dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. L’Unione europea vuole ottenere eccellenti risultati e si è dotata di una legislazione europea antidiscriminazione. Tuttavia, sebbene con gran facilità denunciamo la realtà dei diritti umani nel mondo, dobbiamo in primo luogo essere capaci di mettere ordine all’interno della nostra stessa Unione, come giustamente sottolineava la signora ministro. Per questo ora chiediamo una politica attiva per combattere ogni forma di discriminazione e garantire rispetto per la dignità umana, specialmente nelle carceri, dove l’umanità spesso si ferma alle porte.

Prendiamo atto d’altro canto del fatto che in questo momento di crisi i governi paiono finalmente accorgersi di questi cittadini europei che vivono nella povertà e nell’incertezza, benché abbiano un’occupazione. L’indigenza e l’esclusione sociale costituiscono una violazione dei diritti fondamentali nel loro complesso. Dobbiamo combattere le ingiustizie con le quali devono confrontarsi chi vive nell’indigenza e i lavoratori poveri.

L’Europa deve ribadire che tutti i diritti fondamentali, compresi quelli sociali, sono inscindibili. Come possiamo esercitare nel concreto la libertà di espressione se non abbiamo un alloggio, se viviamo per strada, se non abbiamo accesso alle cure sanitarie? Dobbiamo ascoltare ciò che i cittadini hanno da dire e garantire a ciascuno di loro i diritti fondamentali sanciti dalla carta: il diritto a una vita decorosa, il diritto a cure sanitarie di qualità, il diritto a un alloggio dignitoso, il diritto all’accesso a servizi di interesse generale e il diritto a un minimo retributivo.

Per concludere, se mi è consentito vorrei citare le parole di padre Joseph Wresinski, fondatore di ATD Fourth World, il quale ha detto che ovunque uomini e donne sono condannati a vivere nell’indigenza i diritti umani sono violati. E’ nostro solenne dovere unirci per garantire che il rispetto di tali diritti.

 
  
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  Alexander Alvaro, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signora Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Vicepresidente della Commissione, oggi celebriamo la ventesima edizione del premio Sakharov e la settimana scorsa il 60° anniversario della dichiarazione universale dei diritti umani, due celebrazioni che non sono mai state tanto rilevanti. Dobbiamo potenziare l’impegno che già profondiamo per attuare i diritti umani e fondamentali non solo in Europa, bensì anche nel mondo.

Signora Ministro Yade, ho il massimo rispetto per il coraggio da lei dimostrato nel criticare i rapporti del suo stesso governo con la Libia in questa sede. Non tutti avrebbero osato farlo e credo che ciò esemplifichi perfettamente il concetto di rimettere ordine prima in casa propria.

Nel 2004 al Parlamento europeo è stato garantito che un gruppo di commissari si sarebbe occupato di diritti fondamentali. Temo che ancora ci debba essere presentata una relazione al riguardo e purtroppo abbiamo assistito a violazioni della libertà di spostamento in Italia, della libertà di espressione in altri Stati membri e del diritto, tra l’altro, alla vita privata dell’individuo nel Regno Unito.

I diritti fondamentali sono come i muscoli: se non vengono utilizzati, si atrofizzano. Aiutateci a esercitare questi muscoli per permetterci di riscoprire un fondamento per una coesistenza dignitosa nelle nostre società anche in futuro.

 
  
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  Tatjana Ždanoka, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, in primo luogo vorrei ringraziare il relatore, l’onorevole Catania, per lo straordinario impegno profuso al fine di tener conto degli emendamenti presentati dai gruppi politici. Il compito era molto ambizioso e spero che la relazione sui diritti fondamentali nell’Unione europea venga infine adottata.

Per il futuro, il mio gruppo è del parere che il nostro scopo nel predisporre siffatte relazioni non debba essere unicamente quello di citare problemi, bensì anche di indicare gli Stati membri in cui specifici diritti fondamentali vengono violati e ritenerli responsabili. Una lettera in tal senso firmata dai copresidenti dei verdi è stata inviata di recente al presidente del Parlamento. Ovviamente tutti abbiamo chiaro di quale Stato membro si tratta nel momento in cui si parla di violazione di tale o tal’altro diritto umano, ma riteniamo che i cittadini europei debbano sapere con certezza chi sta ignorando il nostro principio essenziale del rispetto dei diritti fondamentali.

In merito al testo, mi dispiace profondamente che alcuni colleghi trascurino il fatto che non contano solo i diritti civili e politici. A mio parere i diritti economici, sociali e culturali sono parimenti importanti.

Nel testo finale sono state inserite parecchie proposte dei verdi, vale a dire protezione della vita privata nella lotta al terrorismo, necessità di ratificare la convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali e la carta per le lingue regionali e minoritarie, nonché il divieto di discriminazione nei confronti degli apolidi. Esortiamo inoltre gli Stati membri a ratificare la convenzione delle Nazioni Unite sulla disabilità e consentire alla commissione dell’ONU per l’eliminazione della discriminazione razziale di esaminare i singoli casi.

Nel mio paese, la Lettonia, oltre 350 000 cosiddetti non cittadini, molti dei quali nati nel paese, non possono neanche votare alle elezioni locali. Purtroppo il problema non è stato affrontato nella relazione in ossequio al principio di non citare singoli Stati membri, ma desidero ribadire che negare a residenti a lungo termine il diritto di partecipare alla vita politica a livello locale minaccia l’integrazione politica e sociale. Pertanto, concedere il diritto di voto a queste persone è assolutamente indispensabile.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, sono fortemente contrario almeno a due punti sollevati nella relazione. Il primo è quello dell’orientamento sessuale, il secondo è quello dei cosiddetti diritti in materia di procreazione.

Le proposte volte a concedere accesso universale all’aborto e riconoscere i matrimoni gay in tutti gli Stati membri dell’Unione europea non hanno nulla a che vedere con i diritti fondamentali. Non esiste alcun documento internazionale che corrobori questa interpretazione del diritto al matrimonio e non vi è alcun fondamento giuridico per tali proposte neanche nel corpus di leggi della stessa Unione europea. Tentando continuamente di introdurre tali aspetti nell’elenco dei diritti fondamentali, la sinistra europea vuole che ci abituiamo a questi concetti. Desidero però ribadire che non concederemo mai il nostro consenso.

Chiedo dunque ai rappresentanti della Commissione europea se abbiano realmente intenzione di formulare una proposta di direttiva concernente la lotta all’omofobia e quali disposizioni eventualmente includerebbe. La Commissione ritiene che esista una base giuridica per formulare una proposta di direttiva sul reciproco riconoscimento dello stato delle coppie omosessuali in tutti gli Stati membri dell’Unione europea? La Commissione ha intenzioni del genere? La direttiva proposta in tema di discriminazione al di fuori del luogo di lavoro è forse volta a introdurre con una scappatoia il riconoscimento dei matrimoni gay negli Stati membri dell’Unione europea? Insisto affinché a tali quesiti giuridici complessi venga data una risposta precisa ed esauriente.

 
  
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  Miguel Portas, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signora Presidente, l’Europa tende giustamente a seguire con estrema attenzione la situazione dei diritti umani ovunque nel mondo ed è per questo che oggi celebriamo la ventesima edizione del premio Sakharov. E’ giusto agire in tal senso, ma – questo è il principale merito della relazione Catania – l’Europa non si preoccupa di valutare in che misura i diritti fondamentali sono rispettati all’interno del proprio territorio. Questo dovrebbe essere realmente un programma politico per la Commissione e il Consiglio, ora e in futuro, perché l’autorevolezza con la quale parliamo di diritti fondamentali al di fuori dell’Europa dipende da quanto noi stessi li rispettiamo.

Vi citerò un esempio che riguarda una questione specifica importante. E’ inaccettabile che diversi governi si rifiutino attualmente di accogliere detenuti provenienti da Guantánamo se la loro colpevolezza non è stata accertata. Il mio governo ha invece deciso di accoglierli e mi complimento per l’approccio; il problema è che ha affermato di aver preso questa decisione per aiutare l’amministrazione statunitense. Proprio per aiutare Washington vari governi hanno accettato i voli illegali. Dobbiamo accogliere i detenuti di cui non si sia dimostrata la colpevolezza se e quando essi lo richiedono e non per aiutare un paese a risolvere un problema che esso stesso ha creato.

 
  
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  Georgios Georgiou, a nome del gruppo IND/DEM. – (EL) Signora Presidente, come è ovvio il dibattito internazionale sui diritti umani è estremamente utile. Considero dunque mio dovere elogiare il relatore, l’onorevole Catania, per la sensibilità e l’insistenza sulla tutela dei diritti umani anche in Europa. Vorrei tuttavia cogliere l’opportunità per intervenire allo scopo di richiamare l’attenzione del Parlamento su un nuovo elemento che non riguarda più minoranze, violazioni dei diritti umani a livello globale, rifugiati economici o politici, sottogruppi europei, minoranze religiose, omosessuali e così via, ma che interessa gli europei che, in ragione della tempesta preannunciata alla vigilia della crisi economica internazionale, saranno divisi in categorie bisognose di protezione a livello di diritti umani.

Temo che avremo a che fare con il fenomeno di gruppi di europei che perderanno la propria condizione a causa della disoccupazione e della limitata protezione sociale, gruppi che forse saranno indotti a dimostrazioni e reazioni, mettendo probabilmente a repentaglio economie e politiche in tutto il continente europeo. Tali gruppi devono essere immediatamente oggetto di disposizioni e misure di protezione da parte dell’Unione europea per quanto concerne i diritti umani. I recenti eventi drammatici verificatisi in Grecia ovviamente riguardano l’Europa che, questa volta, non può concedersi come in passato il lusso di occuparsi dei diritti di stranieri e minoranze ed è tenuta a intervenire per affrontare i gravi problemi dei suoi cittadini posti di fronte al rischio di trovarsi, in termini di diritti, in una situazione peggiore di coloro ai quali viene offerta ospitalità nell’Unione. L’ora in cui l’Europa deve affrontare i nuovi problemi di diritti umani dei cittadini europei è purtroppo scoccata senza preavviso.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI).(NL) Signora Presidente, mai parlare di corde a casa dell’impiccato. Ancora una volta, la relazione dell’Unione europea sui diritti umani trabocca di autocompiacimento per l’elogiabile preoccupazione dell’Europa per le violazioni dei diritti umani ovunque nel mondo. Un fatto resta però innegabile: troppo spesso la politica comunitaria in materia di diritti umani poggia su un’indignazione ipocrita e selettiva.

In particolare, come è già stato detto, anche dai nostri colleghi della sinistra, il Parlamento europeo non dovrebbe prima preoccuparsi di riordinare casa propria? Dopo tutto, meno di due mesi fa, proprio questo Parlamento ha violato la libertà di espressione che cerca di difendere con tanta enfasi in ogni angolo del pianeta, dall’Antartide alla foresta amazzonica, da Abu Ghraib a Harare, nella sua stessa casa.

L’onorevole Vanhecke, editore responsabile di una pubblicazione locale fiamminga, perseguito dal governo belga e da giudici politicamente eletti per un reato di opinione, non ha neanche avuto l’opportunità di difendersi dinanzi al Parlamento quando il mese scorso è stato punito con la privazione dell’immunità politica. Inoltre oggi, giorno in cui celebriamo il premio Sakharov, il film Fitna di Geert Wilders, oggetto di minacce di morte da fanatici islamici nei Paesi Bassi, viene vietato in Parlamento per ordine della conferenza dei presidenti. Lunga vita alla libertà di parola e di opinione, ma a quanto pare non in questa Camera!

 
  
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  Stefano Zappalà (PPE-DE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, è indubbio che la relazione Catania rappresenta una tappa importante nella vita dell’Unione, in quanto è la verifica della situazione esistente al suo interno.

È indubbio che la forte pressione migratoria cui è sottoposta l’Unione da vari anni insieme alle profonde modifiche interne in atto ha creato e crea numerosi problemi agli Stati membri ed ai cittadini europei e non. È altresì indubbio che l’Unione ha dei precisi doveri quali quello di governare la situazione nel più profondo possibile rispetto dei diritti umani, ma anche nel rispetto e nella protezione dei propri cittadini e dei sistemi organizzati nazionali.

Tuttavia, dall’insieme di questa lunghissima ed articolata relazione sembra emergere un diffuso richiamo agli Stati membri per violazioni esistenti nei loro territori e quindi sotto il loro controllo. In varie parti della relazione emerge un quadro che delinea un’Europa non a mio avviso corrispondente alla realtà delle cose ed appare - ovviamente in modo credo non voluto dal relatore - come se si privilegiasse di più chi a volte non rispetta le regole e non chi tali regole rispetta o deve farle rispettare.

Nel complesso, pur condividendo alcune parti della relazione, ritengo che in altre essa debba essere riscritta nell’interesse generale. Infine, mi consenta Presidente di esprimere la mia personale solidarietà al Vaticano per gli attacchi che nel presente dibattito gli sono stati rivolti all’interno di quest’Aula.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma (PSE).(NL) Signora Presidente, oggi partecipiamo ancora una volta a una discussione importante sul tema della promozione dei diritti umani che stabilisce di fatto il tono della posizione e del ruolo del Parlamento e dell’Unione europea indicando in una certa misura chi siamo. In quanto europei attribuiamo grande valore al rispetto dei diritti universali e inalienabili di ciascun individuo, ovunque si trovi nel mondo. Benché i nostri valori condivisi, le pari opportunità e il rispetto per i diritti fondamentali costituiscano parte integrante dei trattati europei e la base dell’Unione, non è accettabile che ci si scarichi la responsabilità a vicenda nel momento in cui le cose vanno male. L’odierna relazione dell’onorevole Catania mette giustamente in luce questo aspetto e non posso non complimentarmi con il relatore e tutti i suoi collaboratori per la scelta di questo approccio.

Chiedo dunque al signor commissario che cosa ne pensa dell’idea che noi, nell’Unione europea, dobbiamo rivalutare la possibilità di elaborare norme migliori per stabilire le responsabilità di ciascuno qualora vi siano questioni che riguardano i diritti umani.

Vorrei soffermarmi su uno specifico elemento della relazione, segnatamente la situazione dei rom nell’Unione europea. I rom non rappresentano soltanto la comunità più discriminata in Europa, ma sono anche una minoranza transnazionale che ha valicato molti confini. A seguito dello scoppio di violenza nei confronti dei rom in Italia di oltre un anno fa, sono chiaramente emerse le carenze di una competenza strettamente nazionale per quanto concerne il rispetto dei loro diritti.

La responsabilità principale della cura dei residenti ricade ovviamente sugli Stati membri, ma ogni Stato membro è tenuto a operare entro i limiti dei trattati europei e internazionali. Viceversa, fin troppo spesso siamo costretti a osservare che gli Stati membri ricorrono al cosiddetto principio del non intervento. Le questioni che riguardano le minoranze sono viste come di competenza nazionale, e questo per me non è più accettabile. Come ho detto, dovremmo aprire una discussione e valutare se sia possibile pervenire ad accordi all’interno dell’Unione europea per affrontare le violazioni dei diritti umani a livello comunitario ponendo fine alla politica del timore di un confronto a livello di responsabilità.

 
  
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  Sophia in 't Veld (ALDE).(NL) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei esprimere i miei più sentiti ringraziamenti alla presidenza francese e complimentarmi per l’iniziativa intrapresa nel quadro delle Nazioni Unite per depenalizzare l’omosessualità. A mio parere questo è un passo avanti straordinario perché la discriminazione nei confronti di lesbiche, omosessuali, bisessuali e transessuali è ancora all’ordine del giorno, anche in Europa, temo.

Secondo me l’Europa dovrebbe distinguersi come esempio encomiabile di applicazione del principio che tutti sono uguali dinanzi alla legge. In tal senso, la direttiva contro la discriminazione attualmente all’esame contiene per me fin troppe aspettative che si prestano a discriminazione, eccezioni che vanno eliminate.

Quanto ai matrimoni gay, vorrei replicare alle precedenti affermazioni dell’onorevole Szymański. A essere franca, a mio parere, indipendentemente dalla posizione occupata nello scenario politico, la non interferenza dello Stato nella scelta del partner da parte di un individuo è una questione di civiltà. Lo Stato non può vietare rapporti sulla base della religione, del colore o dell’orientamento sessuale. La scelta del partner è prettamente individuale e non ha nulla a che vedere con lo Stato.

Signora Presidente, concludo toccando il tema dei PNR, i dati di identificazione delle pratiche, citato dal ministro Yade. Temo che il Parlamento europeo sia tutt’altro che contento della via intrapresa dal Consiglio europeo. L’argomento è stato oggetto di precedenti discussioni e spero che il Consiglio sia pronto in futuro a far proprie le raccomandazioni del Parlamento in tale ambito.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro paese può essere veramente considerato leader della lotta alla discriminazione e alla persecuzione e per quanto riguarda la tutela dei minori rom, su cui mi pare che la relazione Catania si soffermi molto, bisogna dire veramente grazie al ministro degli Interni Maroni che, con un controllo a tappeto sulla situazione dei bimbi rom, ha scoperto una realtà che forse già in passato si sarebbe potuta scoprire.

Il 50% dei bimbi rom in questi campi, abbandonati a se stessi, sono non scolarizzati e non vaccinati. Allora bisognerebbe anche ricordare nella relazione la responsabilità delle famiglie rom che mandano i bimbi anziché a scuola, li mandano a fare cose illecite e li tengono in condizioni per non essere integrati e allora fanno bene quei governi come il governo italiano che per integrare, per esempio scolasticamente i bimbi rom e i bimbi immigrati, prevedono delle corsie che consentano attraverso delle classi ponte di poterli avviare alla conoscenza della nostra lingua.

Si dice no al rimpatrio quando ci sono nei paesi di provenienza delle criticità. Ma da dove vengono gli immigrati? Da paesi che hanno tutti situazioni di criticità, è un non senso in questa relazione. Allora bisogna applicare i principi di difesa dei diritti umani con buon senso, con la nazionalità europea, non in base all’ideologismo di chi ci dà lezioni di difesa dei diritti quando parla a nome di partiti che hanno la falce e martello del comunismo nel simbolo. Bella fonte!

 
  
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  Eva-Britt Svensson (GUE/NGL).(SV) Signor Presidente, vorrei ringraziare il relatore, l’onorevole Catania, sia per la relazione sia per il suo impegno, forte come sempre, e il suo lavoro di promozione del rispetto dei diritti fondamentali. In tema di diritti fondamentali non vi è margine per compromessi, non possono esistere né ragioni politiche né culturali che inducano a un compromesso.

Vorrei rispondere all’onorevole Szymański ricordando che i diritti fondamentali ovviamente includono anche i diritti in materia di procreazione, così come includono il diritto all’orientamento sessuale. L’importante ora è che tutte le istituzioni dell’Unione europea lavorino per garantire che i diritti fondamentali, la carta, non restino semplicemente lettera morta, ma si concretizzino attraverso l’attuazione effettiva di misure reali. Dobbiamo garantire il rispetto di questi diritti e questo vale per tutti i gruppi della società. Grazie.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM).(SV) Signor Presidente, negli Stati membri e nelle istituzioni dell’Unione europea, così come nel mondo occidentale in generale, assistiamo a gravi problemi di discriminazione nei confronti degli omosessuali, dei bisessuali e dei transessuali. In alcune parti del mondo, questi problemi sono anche più accentuati e la gente rischia persino la detenzione o l’esecuzione per le proprie preferenze sessuali. Questa situazione è assolutamente inaccettabile e non dovrebbe accadere nel 2008.

Ritengo che i diritti umani siano universali e non relativi. Non possiamo invocare vecchi costumi per difendere la persecuzione di omosessuali, bisessuali e transessuali. No, i diritti umani valgono per tutti nel mondo intero e devono essere inviolabili. Ogni persona che si dica democratica deve assumersi la responsabilità e lottare contro l’intolleranza in tutte le situazioni.

E’ invece decisamente preoccupante il fatto che sono molti i membri di questo Parlamento a nutrire sentimenti ostili nei confronti degli omosessuali, come è risultato particolarmente evidente prima e dopo la mostra da me ospitata a Bruxelles la scorsa settimana. Quando ho letto i commenti, sono rimasta veramente sconcertata, anche se purtroppo non molto sorpresa.

La lotta contro l’intolleranza e a favore dei diritti umani deve essere condotta ovunque, con i nostri amici, a livello nazionale, nell’Unione europea e in tutto il mondo attraverso le Nazioni Unite. Apprezzo pertanto le iniziative intraprese al riguardo dalla presidenza francese. Ho esaurito il minuto e mezzo a mia disposizione, per cui vi ringrazio.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). – (SK) Signor Presidente, vorrei ringraziare il relatore, l’onorevole Catania, per la sua relazione sulla situazione attuale dei diritti umani e delle libertà in Europa.

I diritti umani fondamentali sono spessi infranti nel quadro della lotta al terrorismo che porta a violazioni del diritto fondamentale alla vita privata, a minacce o a violazioni della protezione dei dati personale e spesso alla discriminazione.

Abbiamo visto quanti parlamentari si siano serviti di questa relazione per promuovere le proprie agende di partito chiedendo l’autonomia. L’autonomia non ha spazio nel quadro dell’Unione europea e, nel XXI secolo, l’autonomia come ideale politico non ha spazio neanche nel trattato di Lisbona. Nell’Unione europea abbiamo il grande privilegio della libera circolazione delle persone e dovremmo pertanto interpretare l’autonomia nei termini dell’attuale situazione del mercato del lavoro. Vecchi reazionari e persone incapaci di afferrare l’idea principale dell’unificazione degli Stati che ispira l’Unione europea si riscaldano le mani separatiste al fuoco del nazionalismo e del fascismo ed è per questo che disdegno ogni giustificazione dell’autonomia come metodo efficace per risolvere i problemi delle società tradizionali e delle minoranze nazionali.

 
  
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  Mihael Brejc (PPE-DE).(SL) Signor Presidente, si tratta di una relazione alquanto consistente e mi chiedo quale sia il suo scopo. In 28 pagine e 167 punti, la relazione riporta tutte le componenti importanti per quel che riguarda i diritti fondamentali. Ciononostante, malgrado alcuni punti indubbiamente validi sui quali si è posto l’accento, essa non rispecchia la situazione attuale dei diritti umani né contiene fatti o argomentazioni a sostegno delle affermazioni formulate. Contiene invece molte parole, spesso contraddittorie e irrilevanti, e tante illusioni, il che è tutt’altro che positivo. Traboccante di appelli alle autorità competenti, prevede persino una disposizione contraria alla legislazione.

Sono sorpreso che l’onorevole Catania non abbia basato il proprio testo sulle relazioni annuali del Mediatore europeo. Se lo avesse fatto, sarebbe stato in grado di raffrontare di anno in anno gli sviluppi e renderci edotti in merito ai progressi compiuti o alla loro mancanza. Non mi riferisco a singoli punti. Penso semplicemente che la relazione sia incoerente. Sebbene il termine per la presentazione di emendamenti sia stato prorogato, temo di dover dire che l’odierna relazione non può essere emendata in quanto difetta di una struttura sostanziale e giuridica appropriata.

Quanto invece alla relazione della commissione per la cultura e l’istruzione, la situazione è completamente diversa poiché esprime con chiarezza la propria posizione sui diritti umani in 12 punti. Penso che l’onorevole Catania in veste di relatore avesse intenzioni encomiabili e credo anche che si sia adoperato al meglio per presentare la situazione dei diritti fondamentali nella maniera migliore possibile. A mio giudizio, però, la presente relazione, nonostante alcuni elementi realmente validi già sottolineati, non risponde ai requisiti minimi per una discussione seria, e questo mi dispiace.

Se la relazione dovesse essere adottata, temo che sarà criticata ancor più aspramente dal pubblico. Per questo, onorevole Catania, ritengo che sarebbe opportuno che lei la riscrivesse in maniera da presentare un quadro chiaro della situazione nel 2004 e degli sviluppi conseguiti sino a oggi.

Grazie.

 
  
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  Stavros Lambrinidis (PSE).(EL) Signor Presidente, un fatto è certo: la crisi economica globale gonfierà le fila degli immigrati in Europa e getterà migliaia di immigrati clandestini che già vivono tra noi nelle grinfie della disoccupazione. Corriamo pertanto un fortissimo rischio di aumento della xenofobia e del razzismo a cui si accompagna una gravissima minaccia per la coesione sociale nei paesi europei. Un controllo ossessivo dei confini da parte della polizia in tali circostanze non può risolvere il problema. Abbiamo bisogno di politiche serie per l’integrazione degli immigrati in Europa, politiche che permettano sia agli immigrati sia ai loro figli di non sentirsi più estranei o che consentano ad altri di smettere di vederli come estranei nella nostra società. Eppure questo dibattito in Europa ora è cessato. Esisteva a Salonicco in occasione del Consiglio, esisteva a Groningen nel 2004. Ora è scomparso. Il motivo, per quanto mi riguarda, è molto semplice: i politici in Europa non sono riusciti a persuadere le rispettive cerchie del fatto che oggi la diversità è semplicemente inevitabile e auspicabile nelle nostre comunità. In Consiglio, Commissione e Parlamento questa volontà politica deve rinascere.

 
  
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  Inese Vaidere (UEN).(LV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel tentativo di proporre un punto di vista universale, la relazione ha finito per essere squilibrata e di parte dando l’impressione che nella sfera dei diritti fondamentali la situazione nell’Unione europea sia pessima. Questa è ovviamente un’esagerazione che ci scredita, ma risulta comoda per i paesi al di fuori dell’Unione con i quali intratteniamo un dialogo in materia di diritti umani. Le profonde differenze tra i vari Stati per quanto concerne il numero di minoranze e di immigrati non sono state tenute presenti. L’articolo 45 erroneamente afferma che negli Stati membri orientali dell’Unione vi sono pochi immigrati. Prima dell’occupazione della Lettonia, la percentuale di lettoni nel paese era circa dell’80 per cento a fronte di un 8 per cento di russi. All’inizio del 1990, con la fine dell’occupazione, i lettoni rappresentavano soltanto il 51 per cento. Come conseguenza diretta della russificazione, il resto sono per la maggioranza “immigrati russofoni”. Chi non desidera integrarsi e ottenere la cittadinanza non dovrebbe avere il diritto politico di voto. La raccomandazione che invita a offrire ai membri di ogni minoranza il diritto di essere istruiti e parlare nella propria madrelingua contrasta con il diritto della popolazione nativa di parlare nella propria lingua nel proprio paese. Qualora l’odierna relazione dovesse essere adottata, potremmo vederci costretti a elaborare immediatamente un’altra relazione del Parlamento europeo sulla protezione della popolazione e della lingua lettone in Lettonia. Nessun emendamento può migliorare la relazione. L’unica soluzione è respingerla. Grazie.

 
  
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  Michael Cashman (PSE).(EN) Signor Presidente, la discriminazione è viva e vegeta nel mondo e nell’Unione europea. Per questo desidero complimentarmi con la presidenza francese per l’iniziativa assunta nell’ambito delle Nazioni Unite in merito alla depenalizzazione dell’omosessualità.

E’ deprimente aver udito qualcuno che oggi in Aula promuoveva l’intolleranza. La discriminazione deturpa l’intero mondo e – se posso permettermi – deturpa le anime di chi la pratica. Di discriminazione parlano politici e istituzioni come il Vaticano, che dovrebbero informarsi meglio. Per questo porgo i miei ringraziamenti, a nome di chi non ha voce perché se parlassero, per la loro omosessualità o identità di genere, sarebbero fustigati, torturati, imprigionati o giustiziati unicamente a causa della loro diversità.

Vinceremo. Otterremo la parità. Come gay sono personalmente impegnato in tal senso. Otterremo la parità semplicemente perché giustizia e bontà sono dalla nostra parte. Grazie dunque alla presidenza. E’ un grande privilegio per voi concludere il mandato con un impegno così importante.

 
  
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  Armando França (PSE).(PT) Signor Presidente, lo scopo dei programmi di Tampere e dell’Aia in merito ai quali oggi stiamo discutendo a seguito dell’interrogazione dell’onorevole Deprez è attuare uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia mediante una cooperazione essenziale tra Stati membri, nonché tra istituzioni dell’Unione e Stati membri. Tale obiettivo va raggiunto rafforzando misure che garantiscano libertà, sicurezza e giustizia, elementi fondamentali per il processo di integrazione europea. Tuttavia, l’Unione europea esisterà veramente soltanto quando, insieme al mercato interno e alla cooperazione economica, istituiremo uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, quando i cittadini europei si sentiranno liberi e tutelati nei loro diritti fondamentali e quando vi sarà pari giustizia per tutti. E’ dunque estremamente importante sviluppare la cooperazione in questo settore, ma il trattato di Lisbona sarà decisivo in quanto le sue disposizioni in materia sono sovrane e concedono competenze al Parlamento europeo e ai parlamenti nazionali.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE). – (PL) Signor Presidente, la comunità internazionale si occupa della questione dei diritti umani all’incirca ogni vent’anni. Nel 1948 ha adottato la dichiarazione internazionale sui diritti umani, quasi 20 anni dopo i patti sui diritti umani e nel 1989 un altro documento, ovvero la convenzione sui diritti del fanciullo.

Nel frattempo, noi nell’Unione europea non siamo ancora in grado di elaborare un documento legislativo o adottare una vera e propria carta dei diritti fondamentali che divenga un documento vincolante.

Accolgo pertanto con favore la relazione dell’onorevole Catania in cui si affrontano i diritti dei minori e vorrei sottolineare che tali diritti dovrebbero rivestire per noi la massima importanza perché i bambini rappresentano il futuro dell’Europa e l’Europa sarà plasmata dal modo in cui li alleviamo. Per questo la povertà, forma di discriminazione che colpisce tanti bambini in Europa, deve essere sradicata e dobbiamo combatterla nel nome di un futuro buono e giusto per l’Europa.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, il prossimo anno, nel 2009, il nuovo programma pluriennale nel campo della libertà, della sicurezza e della giustizia dovrebbe essere adottato. I risultati dell’ultimo decennio sono positivi, ma dobbiamo evitare la costante tentazione di favorire la sicurezza a discapito della libertà e della giustizia.

Per esempio, a livello di cooperazione giustizia, l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento offre notevoli vantaggi a tutti gli operatori del settore, ma dovrebbe avere il suo naturale contraltare nell’adeguata protezione dei diritti e delle garanzie procedurali dei cittadini nell’Unione, ma questo non è ancora il caso.

Per rafforzare la sicurezza sono stati creati vari sistemi di informazione, ma la decisione quadro sulla protezione dei dati personali nell’ambito del terzo pilastro non è stata ancora adottata, come sa bene l’onorevole Roure. La promozione e l’effettiva protezione dei diritti fondamentali sono alla base della nostra democrazia e devono costituire un obiettivo onnipresente in tutte le politiche europee. I diritti fondamentali sono interdipendenti e costituiscono un insieme indivisibile di diritti e proprio in questo spirito sono sanciti nella carta dei diritti fondamentali. E’ quindi fondamentale modificare il trattato di Lisbona in modo che la nostra carta abbia un valore giuridicamente vincolante.

Nella relazione Catania vengono identificate varie priorità, dai diritti sociali alla protezione dei dati personali e dei diritti delle minoranze. Tuttavia, in questo momento di crisi economica generalizzata, credo che dovremmo prestare particolare attenzione ai casi di indigenza ed esclusione sociale, che sono di per loro una violazione dei diritti fondamentali. Ritengo quindi essenziale integrare sia la dimensione sociale sia la protezione dei diritti fondamentali in tutte le politiche comunitarie garantendo al contempo un monitoraggio sistematico e rigoroso della compatibilità delle proposte legislative rispetto a tali diritti.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, apprezzo l’onestà e la precisione della relazione Catania, anche se non concordo con alcuni passaggi. Esporre le nostre lacune in una relazione come questa dovrebbe rammentarci la necessità di smetterla di predicare tanto ad altri al di fuori dell’Unione. Molti in quest’Aula si sono messi in coda per rimproverare all’America la consegna straordinaria e criticare i governi europei che hanno collaborato con la CIA. Personalmente sarei rimasto sconcertato se non avessimo collaborato in alcun modo con la CIA contro fanatici terroristi che avrebbero potuto distruggere il nostro stile di vita.

Non vi è alcun riferimento nella relazione per esempio all’espulsione italiana di criminali stranieri. Tale politica diffusa e riuscita, perlomeno così pare, è ovviamente fin troppo controversa per figurare in un contesto del genere ed è anche un grave colpo inferto al dogma indiscutibile e assolutista che ha infettato la discussione sui diritti umani. Vorrei per esempio che nel mio paese, il Regno Unito, avessimo espulso un criminale straniero come il cittadino italiano della mia circoscrizione londinese che ha assassinato il suo preside ma, dopo aver scontato la pena, con il consenso dei giudici è rimasto nel Regno Unito in ossequio ai suoi diritti. I cittadini rispettosi delle leggi in Europa meritano di sapere che i loro diritti sono tutelati contro le persone che vorrebbero attaccarli.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE).(EN) Signor Presidente, i diritti degli omosessuali sono un argomento importante nell’Unione europea e di volta in volta danno vita a un intenso dibattito.

Di recente, il tema del diritto delle coppie omosessuali di adottare figli è nuovamente tornato alla ribalta. Al riguardo, vorrei cogliere l’opportunità per porre alla Commissione e al Consiglio una domanda molto diretta: condividono la scelta di consentire alle coppie omosessuali il diritto di adottare figli come le coppie eterosessuali e la sosterebbero, oppure ritengono che il diritto di un figlio adottato di essere inserito nel contesto di una famiglia eterosessuale sia di primaria importanza, per cui adozioni da parte di coppie omosessuali non dovrebbero considerarsi auspicabili e non dovrebbero essere consentite dal diritto comunitario? Apprezzerei molto una risposta coraggiosamente diretta da parte del commissario e del ministro, risposta che sarebbe molto utile.

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, gli episodi più tragici della storia umana hanno avuto origine dal rifiuto dell’umanità di un gruppo della razza umana da parte di un altro. In passato, schiavitù, persecuzione e genocidio sono state le armi usate contro chi, per lingua, razza, religione o altro, è stato visto come subumano.

Oggi, nell’Unione europea, vorremmo pensare che siamo lontani da questa barbarie, eppure l’umanità viene negata per età, dimensioni e abilità. I bambini prima della nascita e i bambini disabili anche dopo la nascita sono considerati da molti subumani con il risultato che oltre un milione di bambini nell’Unione viene “cancellato” ogni anno prima della nascita o persino dopo.

La cosa più sconvolgente è che questo bagno di sangue viene compiuto nel nome dei diritti umani. Posso permettermi di ricordarvi che la dichiarazione universale dei diritti umani, della quale celebriamo il 60° anniversario, riconosce l’umanità a tutti gli effetti dei feti?

 
  
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  Csaba Sógor (PPE-DE). (HU) Signor Presidente, le minoranze nazionali si trovano in nuovi paesi non certo per colpa loro. Purtroppo, in molti nuovi Stati membri su di loro viene fatta gravare una colpa collettiva, dato che gli Stati tentano di vietare l’istruzione nella propria madrelingua o lo studio della propria storia, delle città natale e dei luoghi o fiumi locali. Peggio ancora, in alcuni nuovi Stati membri si sta diffondendo un nuovo “sport: la violenza ai danni delle minoranze con l’aiuto della polizia. Qualcuno vorrebbe bandire ogni forma di autonomia perché sostengono che l’Unione europea ne risulterebbe frammentata. Eppure paesi come l’Italia o la Finlandia, che hanno concesso l’autonomia culturale o regionale alle proprie minoranze, non ne sono stati distrutti. Dobbiamo concedere a ogni Stato membro dell’Unione l’opportunità di rispettare i diritti delle minoranze nazionali.

 
  
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  Rama Yade, presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, nel 60° anniversario della dichiarazione universale dei diritti umani la relazione Catania giunge al momento opportuno. L’ampia varietà di temi affrontati, la forza delle proposte formulate e anche le vostre reazioni rispecchiano la natura fondamentale degli argomenti che oggi ci vedono qui riuniti. Cercherò pertanto di rispondere alle varie domande che mi sono state poste tentando per quanto possibile di raggruppare gli interventi, visto che vari riguardavano i medesimi argomenti.

In primo luogo vorrei soffermarmi sulla questione dei diritti sociali e dell’indigenza, posta da molti parlamentari, tra cui l’onorevole Roure. Ovviamente questi diritti economici, sociali e culturali sono importanti, poiché fanno parte della seconda generazione di diritti umani e sono simboleggiati dalla firma del patto internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali del 1966. Avete comunque ragione nel sottolineare l’importanza dell’applicazione di tali diritti in quanto potrebbero essere screditati se non fossero applicati.

Ne consegue che l’Unione europea e la Francia sono, come è ovvio, attivamente impegnate nella lotta all’indigenza. Vi ricordo che la figura del relatore speciale è stata creata all’interno della commissione per i diritti umani espressamente per affrontare tali argomenti e diritti. I principi ispiratori del rafforzamento della lotta indigenza sono attualmente in fase di elaborazione in sede di Nazioni Unite. Da ultimo, l’Unione europea e più specificamente la Francia hanno intrapreso iniziative che mi paiono interessanti. L’Unione europea ha promosso e avallato il protocollo opzionale del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali appena adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite creando un meccanismo di ricorso individuale.

Concordo con l’idea che naturalmente si tratta di una lotta a lungo termine e fintantoché discriminazione e povertà saranno diffuse, fintantoché vi saranno disoccupazione e problemi legati all’accesso alle cure sanitarie, non potremo essere soddisfatti. Si stanno tuttavia profondendo sforzi, costanti e sostenuti, per garantire che i diritti economici, sociali e culturali siano applicati con chiarezza e l’Unione europea è la prima a promuoverli.

Vi è poi un secondo tema già citato da molti di voi: l’omosessualità. In proposito vorrei dire che l’iniziativa intrapresa dalla Francia è molto semplice e ribadisco che il nostro punto di partenza è stato la scoperta che, oggi nel mondo, 90 paesi criminalizzano l’omosessualità e sei di questi applicano la pena di morte. Questo significa che uomini e donne non possono scegliere liberamente di vivere secondo il proprio orientamento sessuale e rischiano di essere incarcerati o perseguiti. Qui siamo dunque nel regno dei diritti fondamentali.

Lo scopo non è quello di aprire discussioni, per quanto interessanti possano essere, sui matrimoni gay o le adozioni da parte di coppie omosessuali né di decidere, attraverso questa iniziativa, in merito a dibattiti sociali. Lo scopo è invece estendere a chiunque nella società questo diritto fondamentale, il diritto di esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale senza correre il rischio di vedersi negata la propria libertà.

E’ tutto qui e credo che vada reso merito all’Unione europea e agli Stati membri dell’Unione, dato che molti sostengono il progetto, se tale iniziativa domani sarà presentata alle Nazioni Unite. Spero che a noi si unisca il maggior numero di Stati possibile perché quando si parla di diritti fondamentali non vi sono discussioni: si tratta di una pura e semplice questione di umanità e libertà.

Passiamo ora a un altro tema, quello dei rom e più in generale dei migranti, tema sollevato da diversi parlamentari. Per quanto concerne i rom, il 2 luglio la Commissione ha presentato una relazione nel quadro di una sua comunicazione. La relazione enumera le politiche e gli strumenti esistenti, contribuisce all’inserimento della popolazione rom e raccomanda un uso più sistematico di tali politiche e strumenti proprio per incoraggiare l’integrazione dei rom.

Come sapete, il 16 settembre a Bruxelles, la presidenza francese ha preso parte al primo vertice europeo rom organizzato proprio dalla Commissione europea con la collaborazione della fondazione Soros. Il vertice ha riunito i rappresentanti delle istituzioni europee e degli Stati membri, oltre a suscitare una nutrita partecipazione della società civile. La mia collega del governo francese, responsabile degli alloggi e delle concentrazioni urbane, e il rappresentante del ministero degli Affari esteri vi hanno reso omaggio al modo in cui europei provenienti da ogni contesto si sono mobilitati per il vertice.

Il vertice è stato importante perché la questione dei rom riveste un interesse comune per gli europei e richiede una politica proattiva, ovviamente adeguata alle specificità nazionali, da parte di ogni Stato membro. Una politica volontaria di questo genere a livello nazionale dovrebbe avere lo scopo specifico di garantire che la popolazione rom abbia effettivamente accesso all’istruzione, al mercato del lavoro, alle cure sanitarie e agli alloggi, ed è alquanto evidente che un coordinamento tra Stati membri dell’Unione è assolutamente importante e decisivo.

Su iniziativa della presidenza francese, diverse idee hanno consentito di proseguire un dibattito formale sull’argomento. Un secondo vertice sulla parità si è tenuto a Parigi il 29 e 30 settembre 2008, mentre una tavola rotonda sulla povertà e l’esclusione ha avuto luogo il 15 e 16 ottobre 2008 a Marsiglia con due miei colleghi di governo. In breve, gli Stati membri dell’Unione europea stanno prestando notevole attenzione alla situazione della comunità rom e credo, o meglio sono certa, che il nostro lavoro verrà ulteriormente sviluppato anche dopo la presidenza francese dell’Unione europea. Vi assicuro che siamo pienamente impegnati su questo fronte.

In merito al tema più ampio dei migranti, poiché la presidenza francese sta giungendo al termine vorrei menzionare il patto europeo di immigrazione e asilo e il successo che esso ha rappresentato. Per la prima volta, con questo patto l’Unione europea o gli Stati membri dell’Unione europea condivideranno obiettivi, avranno una posizione comune sull’argomento, in particolare per quanto concerne la creazione di un ufficio di sostegno per l’asilo, l’obiettivo dei visti biometrici e l’azione richiesta all’Unione quando uno Stato è sottoposto a una pressione eccessiva, specialmente nel campo dell’immigrazione.

Il patto che, lo ricordo, è stato adottato dal Consiglio europeo in ottobre propone impegni politici come l’organizzazione dell’immigrazione legale tenuto conto di esigenze e capacità, la lotta all’immigrazione illegale sulla base della collaborazione, la maggiore efficacia dei controlli alle frontiere e la creazione di un’Europa di asilo.

In breve ritengo che tutti questi elementi relativi al patto di immigrazione e asilo siano tali da consentire all’Unione europea di adottare una strategia comune in materia e forse, attraverso questa strategia, di attuare una vera e propria politica di immigrazione unitamente ai diritti correlati.

Vorrei ora replicare alla domanda e ai commenti formulati in merito alla questione di Guantánamo e alle conseguenze della sua chiusura per dirvi che l’Unione europea ha ribadito molte volte che la lotta al terrorismo doveva essere condotta nel rispetto dello stato di diritto, ovvero dando prova di rispetto per i diritti umani, il diritto umanitario internazionale e il diritto internazionale dei rifugiati. Si è anche detto che non vi può essere vuoto giuridico per i detenuti, prescindendo da chi siano, e l’esistenza di luoghi di detenzione segreti è inaccettabile.

La nostra posizione non è cambiata e tutto si basa sulla certezza che le società democratiche possono affrontare il terrorismo a lungo termine soltanto se rimangono fedeli ai loro valori. L’Unione europea crede che gli Stati Uniti debbano adottare misure per chiudere Guantánamo quanto prima. Stiamo pertanto conducendo un regolare dialogo con l’amministrazione statunitense sull’argomento.

Penso che da alcuni di voi, onorevoli parlamentari, abbiano sollevato un punto decisivo: la questione dei diritti umani qui, in Europa, e soprattutto il ruolo del Consiglio d’Europa, per cui inizierei rendendo il dovuto omaggio al ruolo svolto dal Consiglio d’Europa nella difesa e nella promozione dei diritti fondamentali. Credo che dalla sua creazione il Consiglio d’Europa abbia svolto un lavoro eccellente, soprattutto con la Corte europea dei diritti dell’uomo.

I meccanismi per il monitoraggio dei diritti umani negli Stati membri già esistono e penso che l’uso di tali meccanismi rappresenti per noi un modo non per cedere a doppi standard, bensì per riordinare effettivamente la nostra casa, poiché il Consiglio d’Europa e il suo strumento legale, la Corte europea dei diritti umani, fungono da forze trainanti per ricordare agli Stati membri dell’Unione, ma non solo, visto che il Consiglio d’Europa conta più membri rispetto all’Unione europea, il loro dovere di mettere in luce le lacune e chiedere che vi venga posto rimedio. Il Consiglio d’Europa è dunque uno strumento fondamentale, un’organizzazione essenziale per quel che riguarda la difesa e la promozione dei diritti umani.

Parallelamente esiste l’Agenzia per i diritti fondamentali, che si occupa anch’essa di diritti umani negli Stati membri e viene citata in varie relazioni di recente pubblicazione. L’Agenzia si concentra sulla situazione dei diritti umani negli Stati membri laddove viene attuato il diritto comunitario e questo è tutto. Visto che l’ambito di ogni organizzazione si limita ad alcuni ambiti, credo che possa esistere un modus vivendi per entrambe e dunque, lungi dal rappresentare una limitazione del suo mandato, la disposizione che ho appena citato è invece intesa a evitare una duplicazione delle attività del Consiglio d’Europa.

Il regolamento che istituisce l’Agenzia prevede espressamente, per esempio, la stretta collaborazione con il Consiglio d’Europa per evitare ogni tipo di sovrapposizione e, al riguardo, continuerò a citare i testi: “tale cooperazione deve evitare sovrapposizioni tra le attività svolte dall’agenzia e quelle svolte dal Consiglio d’Europa”. E’ quindi importante che l’Agenzia per i diritti fondamentali e le istituzioni del Consiglio d’Europa cercare di integrino reciprocamente gli sforzi e che gli organi operanti siano l’uno il complemento dell’altro. Per questo l’interesse costante dell’Agenzia è ovviamente lavorare entro la propria sfera di competenza integrando l’azione del Consiglio d’Europa.

Penso di aver fornito una breve risposta a tutti i punti sollevati, onorevoli parlamentari. Lascerò al commissario europeo il compito di rispondere ai quesiti che lo riguardano o gli sono stati rivolti.

 
  
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  Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, la presidenza ha risposto a diverse domande, per cui sarò estremamente breve.

In primo luogo, vorrei rendere omaggio a quanto affermato dall’onorevole Roure in apertura della discussione, ossia che la carta dei diritti fondamentali è riuscita effettivamente a unire diritti sociali e diritti civili. A mio parere questo è il contributo positivo della carta che speriamo venga incorporata nel diritto europeo poiché di fatto rappresenta il collegamento tra diritti civili e sociali.

Ciò premesso, vorrei rispondere ad alcune domande formulate in merito alle minoranze. Non disponiamo di fatto di poteri specifici che ci permettano di occuparci di diritti delle minoranze negli Stati membri, ma possiamo combattere la discriminazione nei confronti di persone che appartengano a una minoranza. La discriminazione personale rientra infatti nell’ambito della nostra lotta alla discriminazione.

In merito alla comunità rom, penso che la presidenza abbia risposto in modo esauriente. Vorrei però rammentare che abbiamo organizzato il vertice sui rom il 16 settembre. Io personalmente ho avuto l’onore di concludere il vertice e vorrei sottolineare che, insieme al collega Špidla, stiamo facendo della discriminazione contro i bambini rom una delle nostre priorità.

Una simile discriminazione è totalmente inaccettabile, ma ci è voluto molto tempo prima che l’Europa iniziasse ad affrontare questi problemi. Gli Stati membri hanno responsabilità notevoli e ci è voluto tempo prima che le assumessero. E’ vero che oggi utilizzeremo tutti i mezzi a nostra disposizione per promuovere realmente l’integrazione della comunità rom.

Ciò detto, ci preoccupiamo anche di non basare la nostra strategia su un approccio esclusivamente etnico nei confronti dei rom. Un approccio del genere potrebbe anche essere controproducente e vanificherebbe i benefici derivanti dall’aver affrontato il problema dei rom orizzontalmente in tutte le politiche dell’Unione.

Giungo quindi alla questione della differenziazione sessuale. Onestamente ritengo che la risposta della presidenza sia stata molto pertinente. E’ realmente un dovere di tolleranza rispettare e garantire il rispetto per la differenziazione sessuale. E’ abbastanza chiaro che in merito esiste il testo sulla discriminazione, ma dobbiamo garantirne l’applicazione.

Vorrei inoltre aggiungere che la Commissione in realtà non intende assumere una posizione per conto degli Stati membri in merito all’organizzazione del diritto di famiglia – come ben sapete, abbiamo già avuto difficoltà a stabilire norme in materia di divorzio – né possiamo imbarcarci su un terremo lasciato all’unanimità.

Vorrei tuttavia aggiungere che il diritto in materia di libera circolazione delle persone obbliga ovviamente gli Stati membri a riconoscere determinati legami contratti in un altro Stato membro e al riguardo non posso che richiamarmi al diritto europeo.

In conclusione vorrei dire che a mio parere ciò che più conta, come giustamente sottolineava l’onorevole Deprez, è non lasciarsi guidare dai timori. Bisogna riconoscere che dagli attacchi dell’11 settembre esiste questa paura del terrorismo per cui a volte si è persa di vista la protezione dei diritti, delle libertà individuali e della vita privata, equilibrio sul quale invece occorre a mio avviso vigilare. Non è disprezzando i diritti fondamentali, i diritti umani e la vita privata che si combatterà efficacemente il terrorismo e io penso che una lotta efficace debba essere di fatto il nostro obiettivo primario.

Aggiungerei infine che nel campo dei diritti fondamentali il nostro compito non consiste unicamente nell’elaborare testi, bensì anche nell’assicurarne l’applicazione. Un dovere di vigilanza si impone. Vi assicuro che, per quel che riguarda la Commissione e il commissario responsabile per la libertà, la sicurezza e la giustizia, mi preoccuperò personalmente di verificare che a ogni livello siano realmente vigili nel garantire l’applicazione del diritto europeo.

 
  
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  Giusto Catania, relatore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio ringraziare il Commissario Barrot e la signora Yade per le parole che hanno detto di supporto alla mia relazione. Voglio anche ringraziare i relatori ombra, la collega Gál, il collega Roure, il collega Guardans e la collega Ždanoka per il contributo attivo che hanno dato alla relazione, alla composizione di questa relazione.

Io credo che le questioni che sono state poste sono molto interessanti, in particolare mi vorrei soffermare su un punto che poneva il Commissario Barrot. In un momento in cui si acuisce la crisi economica dobbiamo evitare che nell’Unione europea ci sia una vera e propria guerra tra poveri, tra cittadini discriminati per le loro condizioni sociali e cittadini discriminati per le loro condizioni di vita, per la loro aspettativa, magari per il fatto di arrivare all’Unione europea e di essere accolti nel migliore dei modi possibili.

È vero che questa crisi rischia di acuire fenomeni di razzismo e di xenofobia e lo vorrei dire al collega Brejc, noi abbiamo analizzato con grande attenzione la relazione dell’Agenzia dei diritti fondamentali e precedentemente la relazione dell’Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia, abbiamo potuto scoprire che negli ultimi anni sono aumentati in modo esponenziale gli atti di razzismo e di xenofobia nell’Unione europea. Per questa ragione siamo molto preoccupati per quello che sta avvenendo e pensiamo che bisogna favorire i processi in cui si produce attivamente un ruolo in cui la promozione e la tutela dei diritti fondamentali diventa il nodo più efficace per costruire un’Europa di pace, un’Europa impegnata nel favorire il dialogo interculturale e un’Europa libera dalla barbarie.

Io credo che in questo modo, con questa relazione possiamo contribuire a migliorare il ruolo dell’Unione europea nel panorama internazionale, non mi soffermo su altre sollecitazioni che sono venute dal dibattito, alcune che non meritano una reazione da parte mia e ho apprezzato moltissimo invece l’interlocuzione che è venuta e le proposte che sono venute da molti colleghi che hanno partecipato attivamente al dibattito.

 
  
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  Presidente. − La discussione congiunta è chiusa.

La votazione si svolgerà prossimamente.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Marian-Jean Marinescu (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Conformemente alla carta dei diritti fondamentali, ogni cittadino dell’Unione è libero di cercare un’occupazione, lavorare e stabilirsi in qualunque Stato membro.

Purtroppo sinora non tutti i cittadini europei hanno potuto usufruire di questa libertà. Il periodo di limitazione di due anni sul mercato del lavoro imposto ai nuovi Stati membri scade alla fine di quest’anno. Otto Stati membri hanno tuttavia manifestato la propria intenzione di prorogarlo per altri tre anni vista l’attuale crisi finanziaria.

Secondo la relazione della Commissione dell’11 novembre 2008, non esistono prove conclusive che dimostrino che un numero notevole di lavoratori locali avrebbe perso il posto di lavoro o avrebbe subito una riduzione di salario a causa dei lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri.

Tenere chiusi i mercati del lavoro significa prolungare la disparità di trattamento tra cittadini europei. Abolire tali limitazioni contribuirebbe a evitare i problemi derivanti dal lavoro non dichiarato o il falso lavoro autonomo.

Per questo ritengo che gli Stati membri che continuano a imporre limitazioni sul mercato del lavoro debbano tener presente in primo luogo il reale impatto positivo derivante dalla libera circolazione dei lavoratori su una crescita economica sostenibile.

La libera circolazione si è dimostrata essere non soltanto un fattore positivo, bensì addirittura una necessità.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Senza commentare nel dettaglio il contenuto dell’odierna relazione nei confronti della quale si possono muovere parecchie critiche, vorrei richiamare l’attenzione su un articolo contro il quale voterò anche se ho respinto in commissione un emendamento inteso a eliminarlo. Mi riferisco al punto 46, che raccomanda l’elaborazione di una definizione di minoranze nazionali a livello europeo sulla base della raccomandazione 1201 (1993) del Consiglio d’Europa. Tale raccomandazione non dovrebbe essere invocata senza chiarirne prima, in modo meticoloso, l’interpretazione che ne viene data in quanto contiene una formulazione ambigua che potrebbe essere letta nel senso di una concessione di diritti collettivi alle minoranze o autonomia territoriale su criteri etnici. Ritengo che il Parlamento europeo non debba accettare acriticamente un riferimento a tale raccomandazione. Anche la commissione di Venezia (la commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) ha sottolineato che occorre particolare cautela in qualunque interpretazione della raccomandazione 1201.

 
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