Il Parlamento europeo
in azione
Avvenimenti principali 1999-2004

 
Il Parlamento europeo
Riforma dell'UE
Cronologia: prima e dopo Nizza
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Riformare l'Unione per riuscire l'ampliamento

Il Parlamento europeo conclude questa legislatura coma l'aveva cominciata nel 1999: con la speranza, e l'esigenza, di una profonda riforma dell'Unione. Sia il Trattato di Amsterdam entrato in vigore poco prima delle ultime elezioni, sia il Trattato di Nizza non hanno soddisfatto tali attese. Oggi è sul tappeto un progetto di Costituzione che è stato elaborato secondo il metodo proposto dal Parlamento e che integra molte delle proposte dei deputati. Ma prima di arrivare a tanto ci sono voluti cinque anni di perseveranza per superare le lacune dei trattati di Amsterdam e Nizza.

« L’ampliamento deve essere l'occasione e il catalizzatore di una profonda riforma dell'Unione e il rinvio di una siffatta riforma globale ad ampliamento avvenuto non potrebbe che renderla più difficile e aleatoria.». Così si esprimevano i deputati di fresca elezione già in una risoluzione del novembre 1999.

Il trattato di Amsterdam aveva lasciato in sospeso le riforme istituzionali indispensabili affinché un'Unione a 25 o 30 Stati membri potesse evitare la paralisi. Per i deputati era ormai improrogabile rendere le istituzioni più efficaci, più trasparenti e più democratiche. Era inoltre giunto il momento di uscire dai negoziati diplomatici a porte chiuse e di associare alle discussioni il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali degli Stati membri e dei paesi candidati nonché la società civile. Era infine giunto il momento di razionalizzare i testi che, dopo quasi mezzo secolo, avevano finito per rendere l'Unione un'impalcatura giuridica incomprensibile.

Passo dopo passo, dalla Comunità all'Unione

La costruzione dell'Europa è avvenuta di trattato in trattato, avanzando a passo spedito in campo economico, ma con andatura più esitante riguardo agli aspetti politico e istituzionale. Il Trattato di Parigi, che fonda nel 1951 la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) istituisce un potere sovranazionale nei due settori cruciali per l'economia europea del dopoguerra. Le regole del gioco sono chiare e i campi d'azione ben delimitati. A livello politico invece si registra già tre anni più tardi l'insuccesso della Comunità europea di difesa. E' sicuramente troppo presto per gestire in comune una materia così sensibile. L'Europa si costruirà prima di tutto sull'economia.

A partire dal 1957 il progetto economico viene rilanciato con il Trattato di Roma. Questa volta si tratta di creare un mercato comune per la progressiva soppressione delle barriere commerciali e lanciare nuove politiche comuni: dopo il carbone e l'acciaio, è la volta della concorrenza, dell'agricoltura e dei trasporti. I primi anni segnano un netto successo, fino a quando, a metà degli anni '60 si instaura un clima di sfiducia in merito al fascicolo agricolo che fa scattare uno dei freni principali all'efficacia decisionale: l'unanimità. Viene così meno il primo slancio.

Occorrerà aspettare il trattato noto come "l'Atto unico" del 1986 perché l'integrazione europea ritrovi nuovo slancio. Nel mercato comune sussistono molti ostacoli tecnici alla libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone. Questo nuovo trattato punta a superarli e ha il merito di ripristinare la norma della maggioranza e di attribuire un vero e proprio ruolo legislativo al Parlamento per tutte le questioni connesse al nuovo obiettivo: il mercato unico, il cui completamento è programmato per la fine del 1992. Nel contempo vedono la luce nuove politiche comuni: politica regionale, ricerca, ambiente, cooperazione economica e monetaria.

Fino a quel momento l'Europa ha soprattutto organizzato il proprio funzionamento interno. Ma gli sconvolgimenti avvenuti nel suo immediato contesto internazionale cambiano bruscamente le carte in tavola: la riunificazione tedesca nel 1990 preannuncia la disintegrazione del blocco dell'Est e il ritorno alla democrazia di numerosi paesi vicini. Nel 1991 gli Stati membri negoziano un nuovo trattato avente una duplice ambizione: consolidare la normativa in campo economico e dotarsi di un vero e proprio ruolo sulla scena politica internazionale. Il risultato sarà una struttura giuridica ed istituzionale arzigogolata e squilibrata: il Trattato di Maastricht, concluso contemporaneamente all'implosione dell’URSS.

Il Trattato di Maastricht traccia le tappe verso la moneta unica e lancia nuove politiche comuni: industria, reti transeuropee, protezione dei consumatori, salute, istruzione. Si tratta del «pilastro» comunitario, che conserva la sua logica politica ed istituzionale, con un ruolo centrale per la Commissione e per il Parlamento, al quale spetta il ruolo di colegislatore assieme al Consiglio per talune materie. Ma vedono la luce altri due «pilastri» che rispondono alla logica della semplice cooperazione intergovernativa: la politica esterna e gli affari interni e la giustizia, due settori al quale il Parlamento europeo non è minimamente associato e nei quali la maggior parte delle decisioni saranno soggette alla regola dell'unanimità. Sotto la nuova denominazione «Unione europea» e in un quadro istituzionale comune convive ormai una moltitudine di procedure e di norme diverse a seconda delle materie.

L'affondamento nel porto di Amsterdam

Lo squilibrio del sistema, la sua complessità e la sua incompiutezza sono così evidenti che i Capi di Stato e di governo hanno fissato, già a partire da Maastricht, un nuovo appuntamento per tentare di razionalizzare le cose e di garantire un migliore funzionamento dell'UE. Tale esercizio diventerà il Trattato di Amsterdam, concluso nel 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999. Amsterdam segna un successo a metà. Esso semplifica e amplia la codecisione a 20 nuovi settori rafforzando ulteriormente la democrazia parlamentare a livello dell'Unione, integra nei trattati le politiche in materia di polizia e di frontiere che venivano condotte al di fuori di esse (Schengen), aggiunge una dimensione sociale all'UE con un capitolo sull'occupazione, consacra il principio di sussidiarietà e crea un Alto rappresentante per la politica estera.

Ma Amsterdam è anche un mezzo fallimento. Mentre l'Unione ha appena accolto tre nuovi Stati membri (Austria, Finlandia, Svezia) e deve prevedere di integrarne molti di più, i governi non riescono a mettersi d'accordo sul capitolo istituzionale. Permangono gli squilibri e la complessità ereditati da Maastricht che fanno temere la paralisi per l'Unione ampliata.

Maggiori ambizioni

Il Parlamento, che già aveva tracciato un progetto costituzionale 15 anni prima (il progetto Spinelli), fin dall'inizio della legislatura raccomanda una semplificazione e una razionalizzazione dei trattati e un testo costituzionale. Affinché l'Unione ampliata possa continuare a funzionare occorre, a giudizio dei deputati, ridurre le possibilità di bloccare le decisioni in seno al Consiglio, fare del voto a maggioranza la regola e applicare la codecisione legislativa tra il Parlamento e il Consiglio alla maggior parte delle materie. I deputati reclamano altresì una politica veramente comune nei settori della sicurezza e della difesa e una migliore sinergia delle politiche europee in materia economica e sociale.

Consci delle lacune di Amsterdam, i Capi di Stato e di governo hanno convocato una nuova Conferenza intergovernativa al Consiglio europeo di Helsinki nel dicembre 1999. Ma questa CIG dispone di un esile mandato che consiste sostanzialmente nel negoziare i punti in sospeso di Amsterdam, adeguando il sistema decisionale e la composizione della Commissione e del Parlamento in vista dell'ampliamento.

Le attese del Parlamento sono invece più ambiziose. Esso le formula in un'importante relazione adottata nell'aprile 2000. I deputati propongono di rifondare tutti i trattati precedenti in un unico testo corredato di una prima parte costituzionale comprendente gli obiettivi dell'Unione, la Carta dei diritti fondamentali (dotata così di potere vincolante), le istituzioni, la ripartizione delle competenze tra l'Unione e gli Stati e le procedure decisionali.

Il Parlamento auspica l'abolizione della struttura a pilastri ereditata da Maastricht per passare a una generalizzazione del metodo comunitario. Esso propone inoltre di sostituire il complesso sistema di ponderazione dei voti in seno al Consiglio con una doppia maggioranza molto più chiara: l'approvazione di una decisione richiederebbe il sostegno della maggioranza degli Stati che rappresentano almeno la maggioranza della popolazione dell'Unione. I deputati preconizzano altresì la fusione delle funzioni di Alto rappresentante e di Commissario per le relazioni esterne che, in seno alla Commissione, sarebbero riunite nel portafoglio di un vicepresidente. In materia di bilancio i deputati sostengono infine la soppressione della distinzione tra spese obbligatorie e non obbligatorie nonché l'iscrizione delle prospettive finanziarie pluriennali nei trattati, il cui importo sarà fissato di comune accordo tra il Consiglio e il Parlamento. Queste proposte del Parlamento finiranno per imporsi. Ma non a Nizza.

Appuntamento alla Convenzione

Al termine di una maratona negoziale a livello dei Capi di Stato e di governo il Consiglio europeo di Nizza non partorirà che un minitrattato. La Carta dei diritti fondamentali vi è semplicemente allegata senza potere vincolante. Il sistema di voto maggioritario per ponderazione dei voti non è abolito ma semplicemente ricalcolato per dare maggior peso ai grandi Stati, che peraltro accettano di avere un solo Commissario nell'Unione ampliata. Invece di facilitare l'assunzione di decisioni, Nizza la rende più difficile. Quanto al resto se ne discuterà più tardi.

I deputati europei sono delusi. Certo, essi riconoscono che «il Trattato di Nizza toglie l'ultimo ostacolo formale all'ampliamento», ma «un'Unione con 27 e più Stati membri necessita di riforme più profonde».  E pur giudicandone il risultato in base all'ordine del giorno ridotto della CIG, le risposte fornite sono insufficienti agli occhi del Parlamento. L'Unione non ottiene nulla in termini di capacità d'azione o di riduzione del suo deficit democratico. Secondo il Parlamento «il Trattato di Nizza conclude un ciclo iniziato a Maastricht (…) ed esige l'avvio di un processo costituzionale che sia coronato dall'adozione di una Costituzione dell'Unione europea».

A Nizza l'aspetto essenziale non era sicuramente nel trattato. Era semmai nella dimostrazione eclatante dei limiti raggiunti con il metodo dei negoziati intergovernativi e nei suoi allegati: la dichiarazione 23 sull'avvenire dell'Unione che annuncia una riforma più profonda e secondo un altro metodo e la Carta dei diritti fondamentali di cui la Convenzione farà nel 2003 un elemento centrale del suo progetto di Costituzione. Un progetto che è oggi sul tappeto e che integra la maggior parte delle richieste formulate dal Parlamento a partire dalla primavera 2000.



  
Relatori:
  
Riforma dei trattati e Conferenza intergovernativa nel 2000: Giorgos Dimitrakopoulos (EPP-ED, GR)
Riforma dei trattati e Conferenza intergovernativa nel 2000: Jo Leinen (PES, D)
Conferenza intergovernativa: revisione dei trattati, interessi finanziari e Procuratore europeo: Giorgos Dimitrakopoulos (EPP-ED, GR)
Conferenza intergovernativa: revisione dei trattati, interessi finanziari e Procuratore europeo: Jo Leinen (PES, D)
Costituzionalizzazione dei trattati: Olivier Duhamel (PES, F)
Trattato di Nizza e avvenire dell'Unione: Íñigo Méndez De Vigo (EPP-ED, E)
Trattato di Nizza e avvenire dell'Unione: António José Seguro (PES, P) - non più deputato al Parlamento europeo
  
Gazzetta ufficiale - Atti definitivi:
  
Riforma dei trattati e Conferenza intergovernativa nel 2000 - testo adottato dal Parlamento
Conferenza intergovernativa: revisione dei trattati, interessi finanziari e Procuratore europeo - testo adottato dal Parlamento
Costituzionalizzazione dei trattati - testo adottato dal Parlamento
Trattato di Nizza e avvenire dell'Unione - testo adottato dal Parlamento

 

 

 
  Publishing deadline: 2 April 2004